(1) Questa mattina, trovandomi fuori di me stessa mi sono trovata col bambino Gesù in braccia, circondata da varie persone devote, sacerdoti, molte delle quali intenti alla vanità, al lusso ed alla moda, e pareva che dicevano tra loro quel detto antico: “L’abito non fa monaco”. Il benedetto Gesù mi ha detto:
(2) “Diletta mia, oh! quanto mi sento defraudato della gloria che mi deve la creatura, e con tanta sfacciataggine mi nega, e fin dalle persone che si dicono devote”.
(3) Io nel sentire ciò ho detto: “Carino del mio cuore, recitiamo tre Gloria Patri mettendo l’intenzione di dare tutta quella gloria che deve la creatura alla vostra Divinità, così riceverete almeno una riparazione”.
(4) E Lui: “Sì, sì, recitiamole”.
(5) E le abbiamo recitato insieme, poi abbiamo recitato un’Ave Maria, mettendo pure l’intenzione di dare alla Regina Madre tutta quella gloria che le devono le creature. Oh! come era bello pregare col benedetto Gesù, mi trovavo così bene che ho soggiunto: “Diletto mio, quanto vorrei fare la professione di fede nelle vostre mani col recitare insieme con Voi il Credo”.
(6) E Lui: “Il Credo lo reciterai tu sola, perché a te spetta, non a Me, e lo dirai a nome di tutte le creature per darmi più gloria ed onore”.
(7) Ond’io ho messo le mie mani nelle sue ed ho recitato il Credo, dopo ciò il benedetto Gesù mi ha detto:
(8) “Figlia mia, pare che mi sento più sollevato ed allontanata quella nube nera dell’ingratitudine umana, specie delle devote. Ah! figlia mia, l’azione esterna ha tanta forza di penetrare nell’interno, da formare una veste materiale all’anima, e quando il tocco divino la tocca, non lo sentono vivo, perché hanno la veste fangosa investita l’anima, e non sentendo la vivacità della grazia, la grazia o viene respinta o resta infruttuosa. Oh! quanto è difficile godere piaceri, vestire di lusso esternamente, e disprezzarli internamente, anzi succede il contrario, cioè, d’amare nell’interno e di godere di ciò che esternamente ci circonda. Figlia mia, considera tu stessa quale n’è il dolore del mio cuore in questi tempi, vedere la mia grazia respinta da tutta specie di gente, mentre tutta la mia consolazione è il soccorrere le creature, e tutta la vita delle creature è l’aiuto divino, e le creature mi respingono indietro il mio soccorso ed il mio aiuto. Entra tu a parte del mio dolore e compatisci le mie amarezze”.
(9) Detto ciò ha scomparso, restando tutta afflitta per le pene del mio adorabile Gesù.
(1) Continuando il mio solito stato, mi sono trovata circondata da tre vergini, le quali prendendomi mi volevano a viva forza crocifiggermi sopra d’una croce, ed io siccome non vedevo il benedetto Gesù, temendo, facevo resistenza, e quelle vedendo la mia resistenza mi hanno detto: “Sorella carissima, non temere che non c’è il nostro Sposo, lascia che ti incominciamo a crocifiggere, che il Signore, tirato dalla virtù delle sofferenze verrà, noi veniamo dal Cielo, e siccome abbiamo visto mali gravissimi che stanno per succedere in Europa, per fare che almeno succedessero più miti, siamo venute a farti soffrire”. In questo mentre mi hanno trapassato coi chiodi le mani ed i piedi, ma con tal crudeltà di dolore, che mi sentivo morire. Ora, mentre soffrivo è venuto il benedetto Gesù, che guardandomi con occhio severo mi ha detto:
(2) “Chi ti ha comandato di metterti in queste sofferenze? Dunque a che cosa tu mi servi? A non poter essere neppure libero di fare quel che voglio, e ad essere un continuo intoppo alla mia giustizia?”
(3) Io nel mio interno dicevo: “Che vuol da me, io neppure volevo, sono state loro che mi hanno indotto, e se la prende con me”. Ma non potevo parlare per l’acerbità del dolore; quelle vergini vedendo la severità di nostro Signore più mi facevano soffrire, tirando e rimettendo di nuovo i chiodi, e mi avvicinavano a Lui mostrando le mie sofferenze, e quanto più soffrivo, più il Signore pareva che si mitigasse, e quando l’hanno visto più mitigato e quasi intenerito del mio soffrire, mi hanno lasciato e se ne sono andate, lasciandomi sola con nostro Signore. Onde Lui stesso mi assisteva e sosteneva, e vedendomi soffrire, per rincuorarmi mi ha detto:
(4) “Figlia mia, la mia vita si manifesta nelle creature con le parole, con le opere e con le sofferenze, ma quelle che la manifestano più chiara sono le sofferenze”.
(5) In questo mentre è venuto il confessore per chiamarmi all’ubbidienza, e parte per le sofferenze, parte che il Signore non mi lasciava, non potevo ubbidire. Onde mi sono lamentata col mio Gesù, col dirgli: “Signore, come si trova il confessore a quest’ora, giusto adesso doveva venire?”
(6) E Lui: “Figlia mia, lascialo che stia un poco con noi, e che partecipe anche alle mie grazie. Quando uno continuamente frequenta una casa, partecipa al pianto ed al riso, alla povertà ed alle ricchezze; così è del confessore, non ha partecipato alle tue mortificazioni e privazioni? Ora partecipa alla mia presenza”.
(7) Quindi pareva che le partecipava la fortezza divina dicendogli: “La vita di Dio nell’anima è la speranza, e per quanto speri, tanto di vita divina contieni in te stesso; e siccome la vita divina contiene potenza, sapienza, fortezza, amore ed altro, così l’anima si sente innaffiare come da tanti ruscelli quante sono le virtù divine, e la vita divina cresce sempre in te stesso, ma se non speri, tanto nello spirituale e dallo spirituale ne parteciperà anche il corporale, la vita divina si andrà consumando e fino a spegnersi del tutto, perciò spera, spera sempre”.
(8) Onde, a stento ho fatto la comunione, e dopo mi sono trovata fuori di me stessa e vedevo tre uomini in forma di tre cavalli indomiti che si sfrenavano nell’Europa, facendo tanta strage di sangue, e pareva che volevano, come dentro d’una rete, la maggior parte dell’Europa coinvolgerla in guerre accanite, tutti tremavano alla vista di questi diavoli incarnati, e molti ne restavano distrutti.
(1) Trovandomi nel solito mio stato stavo pensando a nostro Signore, quando giunto sul monte Calvario fu spogliato del tutto, ed amareggiato di fiele, e lo pregavo dicendogli: “Adorabile mio Signore, non veggo in Te che veste di sangue abbigliata da piaghe, e per gusto e piacere amarezze di fiele, e per onore e gloria confusione, obbrobri e croci. Deh! non permettere che dopo che hai tanto Tu sofferto, che io non guardi le cose di questa terra che come sterco e fango, che non mi prenda altro piacere che in Te solo, e che tutto il mio onore non sia altro che la croce”. E Lui facendosi vedere mi ha detto:
(2) “Figlia mia, se tu facessi diversamente perderesti la purità dell’occhio, ché facendosi un velo alla vista perderesti il bene di vedermi, perché quell’occhio che si bea delle sole cose del Cielo tiene la virtù di vedermi, e chi si bea delle cose della terra tiene la virtù di vedere le cose della terra, perché l’occhio, vedendole diversamente da quel che sono, le vede e le ama”.
(1) Continuando il solito mio stato e stando con somma amarezza per le continue privazioni del mio adorabile Gesù, quando appena si ha fatto vedere dicendomi:
(2) “Figlia mia, la prima mina che si deve menare nell’interno dell’anima è la mortificazione, e quando questa mina si getta nell’anima, atterra tutto ed immola tutto a Dio, perché nell’anima ci sono come tanti palazzi, ma tutti di vizi, come sarebbe l’orgoglio, la disubbidienza, e tant’altri vizi, e la mina della mortificazione atterrando tutto, vi riedifica tanti altri palazzi di virtù, immolandoli e sacrificandoli tutti alla gloria di Dio”.
(3) Detto ciò è scomparso, e dopo poco è venuto il demonio che voleva molestarmi solo, ed io senza prendere paura gli ho detto: “A che pro molestarmi? Quando tu sei un’altro per farti vedere più bravo prendi un bastone e battimi fino a non farmi lasciare neppure una goccia di sangue, intendendo però, che ogni goccia di sangue che spargo sia un attestato di più d’amore, di riparazione e di gloria che intendo di dare al mio Dio”.
(4) E quello: “Non me ne trovo bastoni da poterti battere, e se vado a prenderlo tu non mi aspetti”.
(5) Ed io: “Va pure che qui ti aspetto”. E così se n’è andato, restando io con la ferma volontà d’aspettarlo, quando con mia sorpresa ho visto che avendosi incontrato con un altro demonio, andavano dicendo: “E’ inutile che ritorniamo, a che pro battere quando deve servire a nostro danno e con nostra perdita? E’ buono far soffrire a chi non vuole soffrire, perché quello offende Dio, ma chi vuole soffrire, ci facciamo male con le nostre mani”. E così non è più ritornato, restando io mortificata.
(1) Trovandomi nel solito mio stato, stavo pensando ed offerendo la Passione di nostro Signore, specie la corona di spine, e lo pregavo che desse lume a tante menti accecate, che si facesse conoscere, ché è impossibile conoscerti e non amarti. Mentre questo dicevo, il mio adorabile Gesù è uscito da dentro il mio interno e mi ha detto:
(2) “Figlia mia, quanta rovina fa nelle anime la superbia, basta dirti che vi forma un muro di divisione tra la creatura e Dio, e da mie immagini le trasforma in demoni. E poi, se tanto ti duole e ti dispiace che le creature siano tanto accecate, che loro stesse non capiscono né veggono il precipizio in cui si trovano, e tanto ti sta a cuore che Io gli aiuti, la mia Passione serve come veste all’uomo, che gli copre le più grandi miserie, lo abbellisce e gli rende tutto il bene che per il peccato si aveva tolto e perduto, ond’Io te ne faccio un dono, acciocché te ne serva per te e per chi vuoi tu”.
(3) Nel sentire ciò mi è venuto un tal timore vedendo la grandezza del dono, e temendo che non sapessi utilizzare questo dono, e quindi dare dispiacere allo stesso Donatore, onde ho detto: “Signore, non mi sento la forza d’accettare tal dono, sono troppo indegna di tal favore, meglio tenetelo Voi che il tutto siete e tutto conoscete, a chi è necessario e conviene applicare questa veste così preziosa e d’immenso valore, ché io, poveretta, che cosa potrò conoscere? E se è necessario applicarla a qualcuno ed io non lo faccio, qual conto stretto non chiederete?”
(4) E Gesù: “Non temere, lo stesso Donatore ti darà la grazia di non tenere inutile il dono che ti ha dato, credi tu che Io ti faccio un dono per farti danno? Non mai”.
(5) Ond’io non ho saputo che rispondere, ma sono restata spaventata e sospesa, riserbandomi di sentire come la pensava la signora ubbidienza. S’intende però che questa veste altro non vuole significare che tutto ciò che operò, meritò e patì nostro Signore, dove la creatura trova la veste per coprirsi la nudità spogliata di virtù, le ricchezze per arricchirsi, le bellezze per rendersi bella ed abbellirsi, ed il rimedio a tutti i suoi mali. Onde, avendolo detto all’ubbidienza, mi ha detto che l’accettassi.
(1) Questa mattina, siccome non veniva il benedetto Gesù, mi sentivo tutta oppressa e stanca, onde avendo venuto mi ha detto:
(2) “Figlia mia, non volerti stancare nel soffrire, ma fa come se in ogni ora incominciassi a soffrire, perché chi si lascia dominare dalla croce distrugge nell’anima tre regni cattivi che sono: Il mondo, il demonio, e la carne, e vi costituisce altri tre regni buoni che sono: Il regno spirituale, il divino e l’eterno”.
(3) Ed è scomparso.
(1) Continuando il mio solito stato, per poco si faceva vedere da dentro il mio interno, prima Lui solo, e poi tutte e Tre le Divine Persone, ma tutte in profondo silenzio, ed io continuavo alla loro presenza il mio solito lavorio interno, e pareva che il Figlio si unisse con me, ed io non facevo altro che seguirlo, ma tutto era silenzio, e non altro si faceva in questo silenzio che immedesimarsi con Dio, e tutto l’interno, affetti, palpiti, desideri, respiri, diventavano profonde adorazioni alla Maestà Suprema. Onde, dopo aver passato qualche poco in questo stato, pareva che tutte e Tre parlavano, ma una voce sola formava, e mi hanno detto:
(2) “Figlia diletta nostra, coraggio e fedeltà ed attenzione somma nel seguire ciò che la Divinità opera in te, perché tutto quello che fai, non lo fai tu, ma non fai altro che dare la tua anima per abitazione alla Divinità. Succede a te come ad una povera che avendo un piccolo tugurio, il re lo chiede per abitazione, e quella lo dà e fa tutto ciò che vuole il re; onde, abitando il re quel piccolo tugurio, contiene ricchezze, nobiltà, gloria e tutti i beni, ma di chi sono? Del re, e se il re lo vuole lasciare, alla povera che cosa le rimane? Le rimane sempre la sua povertà”.
(1) Continuando il mio solito stato, quando appena è venuto il mio adorabile Gesù tutto mesto e dolente mi ha detto:
(2) “Ah! figlia mia, se l’uomo conoscesse sé stesso, oh! come si guarderebbe dal macchiarsi, perché è tale e tanta la bellezza, la nobiltà, la speciosità, che tutte le bellezze e diversità delle cose create, in sé raduna, e questo ché essendo create tutte le altre cose della natura per servizio dell’uomo, e l’uomo doveva essere superiore a tutte, quindi per essere superiore doveva radunare in sé tutte le qualità delle altre cose create, non solo, ma essendo create le altre cose per l’uomo e l’uomo solo per Dio e per sua delizia, di conseguenza avveniva che non solo doveva radunare in sé tutto il creato, ma doveva superarlo fino a ricevere in sé l’immagine della Maestà Suprema. E l’uomo ad onta di tutto questo, non curando tutti questi beni, non fa altro che lordarsi delle più brutte sporcizie”.
(3) Ed è scomparso. Ond’io comprendevo che succede a noi come ad una povera, che avendo ricevuto una veste d’oro tessuto, arricchita di gemme e di pietre preziose, siccome non se ne intende, non ne conosce il valore, la tiene esposta alla polvere, l’infanga facilmente e la tiene in conto d’una veste ruvida e di poco costo, dimodochè se le viene tolta, poco o nessun dispiacere ne soffre. Tale è la nostra cecità riguardo a noi stessi.
(1) Trovandomi nel solito mio stato, quando appena è venuto e mi ha detto:
(2) “Figlia diletta mia, mi è tanto cara la creatura e l’amo tanto, che se la creatura lo comprendesse le scoppierebbe il cuore d’amore, e questo è tanto vero, che nel crearla non la feci altro che un piccolo recipiente ripieno di dose di tutte le particelle divine, dimodochè di tutto l’Essere mio: Attributi, virtù, perfezioni, l’anima ne contiene tante piccole particelle di tutti, secondo la capacità da Me datagli, e questo acciocché potessi trovare in lei altrettante piccole note corrispondenti alle mie note, e così potere perfettamente deliziarmi e scherzare con lei. Ora, questo piccolo recipiente ripieno di divino, quando l’anima tratta le cose materiali e le fa entrare dentro, vi scorre fuori qualche cosa di divino e vi entra a prendere posto qualche cosa di materia; quale affronto ne riceve la Divinità e quale danno l’anima; quale attenzione ci vuole, se per necessità le conviene trattare per non farle entrare dentro? Tu, figlia, sta attenta, altrimenti, se veggo in te cosa che non sia divina, Io non mi faccio più vedere”.
(1) Questa mattina, il benedetto Gesù dopo molto stentare è venuto e mi ha detto:
(2) “Figlia mia, vedi quante cose si dicono di virtù, di perfezione, ma però vanno a finire tutte ad un solo punto, cioè, nella consumazione della volontà umana nella Divina. Sicché chi più è consumato in questa, si può dire che contiene tutto ed è più perfetto di tutti, perché tutte le virtù ed opere buone sono tante chiavi che ci aprono i tesori divini, ci fanno acquistare più amicizia, più intimità, più commercio con Dio, ma la sola consumazione è quella che ci rende una sola cosa con Lui e ci mette nelle nostre mani il divino potere, e questo perché la vita deve avere una volontà per vivere, or, vivendo della Volontà Divina, naturalmente si rende padrona”.