MaM
Messaggio del 16 luglio 1983:Sappiate che le vostre giornate non sono le stesse se pregate o non pregate. Sarò molto contenta se dedicherete alla preghiera almeno un’ora al mattino e un’ora alla sera.

Messaggi di altre apparizioni

Luisa Piccarreta (Libro di Cielo) - Messaggi anno:1909

8-59 Gennaio 2, 1909 Continua parlando dei terremoti.

(1) Riprendo a dire, con mia somma ripugnanza e solo per ubbidire ciò che ha passato dal giorno 28 Dicembre a riguardo del terremoto.

(2) Stavo pensando tra me alla sorte di tanta povera gente viva sotto le pietre, ed alla sorte del mio Sacramentato Signore, vivo anche Lui, sepolto sotto le macerie, e dicevo tra me, pare che il Signore dice a quei popoli:

(3) “Ho subito la stessa vostra sorte per i vostri peccati; sto insieme con voi ad aiutarvi, a darvi forza; vi amo tanto che sto ad aspettare un ultimo atto d’amore per salvarvi tutti, non tenendo conto di tutto il male che avete fatto per l’addietro”.

(4) Ah! mio bene, mia vita e mio tutto, vi mando le mie adorazioni sotto le macerie, dovunque Tu ti trovi; i miei abbracci, i baci, e tutte le mie potenze a tenerti continua compagnia, oh! quanto vorrei venire a dissotterrarti per mettervi in luogo più comodo e più degno di Te! In questo mentre, il mio adorabile Gesù mi ha detto nel mio interno:

(5) “Figlia mia, hai interpretato in qualche modo gli eccessi d’amore che, anche mentre flagello ho verso dei popoli; ma non è tutto, è anche più, ma sappi però che la mia sorte Sacramentale è forse meno infelice, meno nauseante sotto le pietre che nei tabernacoli; è tale e tanto il numero dei sacrilegi che si commettono dai preti, ed anche dal popolo, che ne ero stanco di scendere nelle loro mani e nei loro cuori, da costringermi a distruggerli quasi tutti. E poi, che dirti dell’ambizione, degli scandali dei sacerdoti, tutto era tenebre in loro, non più luce qual devono essere, e quando i sacerdoti giungono a non dar più luce, i popoli giungono agli eccessi, e la mia giustizia è costretta a distruggerli”.

(6) Stavo pure pensando alle sue privazioni, e mi sentivo una paura, come se volesse succedere anche qui qualche forte terremoto. Vedendomi così sola senza di Gesù, mi sentivo tanto oppressa da sentirmi morire. Onde avendo di me compassione, il buon Gesù appena ha fatto una ombra e mi ha detto:

(7) “Figlia mia, non ti opprimere tanto, per tuo riguardo risparmierò da gravissimi danni questa città. Vedi se Io non devo continuare a castigare, invece di convertirsi, di arrendersi, nel sentire la distruzione delle altre province dicono che là sono i luoghi, i terreni che fanno ciò succedere, e si prendono più bel tempo continuando ad offendermi. Quanto sono ciechi e sciocchi; non è la terra tutta nel mio proprio pugno? Non posso forse Io aprire le voragini della terra e farli inghiottire anche in altri luoghi? E per farli vedere, farò fare il terremoto in altri luoghi, dove non è solito di fare”.

(8) Mentre ciò diceva, pareva che stendesse la sua mano nel centro della terra, ne prendeva il fuoco e lo avvicinava alla superficie della terra, e la terra si scuoteva e si sentiva il terremoto, dove più forte e dove meno, soggiungendo:

(9) “Questo non è altro che il principio dei castighi; che ne sarà la fine?”

8-60 Gennaio 8, 1909 Il frutto e lo scopo della comunione.

(1) Avendo fatto la comunione, al meglio stavo pensando come potevo stringermi più che mai col benedetto Gesù, e Lui mi ha detto:

(2) “Per stringerti più stretta con Me, fino a giungere a sperdere il tuo essere in Me, come Io lo trasfondo nel tuo, devi in tutto prendere ciò che è mio e in tutto lasciare ciò che è tuo; in modo che se tu pensi sempre a cose sante e che solo riguardano il bene, l’onore e la gloria di Dio, lascia la tua mente e prendi la divina; se parli, se operi bene e solo per amore di Dio, lascia la tua bocca, le tue mani e prendi la mia bocca e le mie mani; se cammini le vie sante e rette, camminerai coi miei stessi piedi; se il tuo cuore amerà solo Me, lascerai il tuo cuore e prenderai il mio, e mi amerai col mio medesimo amore, e così di tutto il resto, sicché tu resterai rivestita di tutte le cose mie, ed Io di tutte le cose tue. Ci può essere più stretta unione di questa? Se l’anima giunge a non più riconoscere sé stessa, ma l’Essere Divino in sé stessa, questi sono i frutti delle buone comunioni, e questo è lo scopo divino nel volersi comunicare alle anime; ma quanto ne resta frustrato il mio amore, e quanti pochi frutti ne raccolgono le anime da questo sacramento, fino a restarne la maggior parte indifferenti ed anche nauseati di questo cibo divino”.

8-61 Gennaio 22, 1909 Quando Dio è debitore dell’anima.

(1) Stavo pensando alle tante privazioni di Nostro Signore, e che anni addietro, una volta avendo aspettato qualche ora Nostro Signore, quando venne mi lamentavo con Lui ché tanto mi aveva fatto stentare per venire, e il benedetto Gesù mi disse:

(2) “Figlia mia, quando Io ti sorprendo, prevenendo i tuoi desideri di volermi e ci vengo senza farti aspettare, tu resti debitrice a Me; ma quando ti faccio aspettare un poco e poi ci vengo, Io resto debitore a te, e ti pare poco che un Dio ti dia l’occasione d’essere tuo debitore?”

(3) E dicevo tra me: “Allora erano ore, e adesso che sono giorni, chi sa quanti debiti ha fatto con me! Credo che siano innumerevoli, perché molti ne sta facendo di questi corrivi”. Ma poi pensavo tra me: “E che mi giova avere un Dio debitore? Credo che per Gesù tanto è averlo debitore quanto essere debitrice, perché Lui in un momento può dare tanto all’anima, da equivalere e sorpassare i debiti che tiene, ecco che i debiti restano annullati”. Ma mentre ciò pensavo, il benedetto Gesù nel mio interno mi ha detto:

(4) “Figlia mia, tu dici sciocchezze, oltre i doni spontanei che Io dono alle anime, ci sono i doni di vincolo. Alle anime, di doni spontanei posso dare e posso non dare, resta a Me la scelta, perché nessun vincolo mi lega, ma alle anime dei doni di vincolo, come nel fatto tuo, mi sento vincolato, costretto a darle ciò che vuole, a concederle i miei doni. Immagina un signore e due persone; una di queste due persone tiene denari in mano di quel signore, l’altra no; all’uno e all’altro può dare quel signore, ma chi è più certo di ottenere in occasione di bisogno, quello che tiene i denari in mano del signore o quello che non tiene? Certo quello che tiene i denari avrà tutte le buone disposizioni, il coraggio, la fiducia per andare a chiedere ciò che è depositato nelle mani di quel signore, e se lo vedrà esitare nel dargli, gli dirà francamente: “Fate presto a darmelo, perché finalmente non ti chiedo il tuo, ma il mio”. Mentre se va quello che nulla tiene in mano di quel signore, andrà timido, senza fiducia e starà alla grazia di quello se gli vuol dare qualche aiuto; questa è la differenza che passa perché sono debitore e perché no. Se tu capissi i beni immensi che produce questo contrarre credito con Me!”

(5) Aggiungo che mentre scrivevo, pensavo tra me un’altra sciocchezza: “Quando sarò in Cielo, mio caro Gesù, sentirai stizza di avere contratto con me tanti debiti; mentre se vieni qui, restando io debitrice, Tu che sei tanto buono, nel primo incontro che faremo mi leverai tutti i debiti, ma io che sono cattiva non me la terrò, mi farò pagare anche un respiro d’aspettazione”. Ma mentre ciò pensavo, nel mio interno mi ha detto:

(6) “Figlia mia, non sentirò stizza, ma contento, perché i miei debiti sono debiti d’amore, e desidero di più essere debitore che d’averti debitrice, perché questi debiti che contraggo con te, mentre saranno debiti per Me, saranno pegni e tesori che conserverò nel mio cuore in eterno, che ti daranno il diritto d’essere amata da Me più dagli altri, e questa sarà una gioia, una gloria di più per Me, e tu avrai pagati pure il respiro, il minuto, il desiderio, il palpito; e quanto più sarai prepotente e avara nell’esigere, più mi darai gusto e più ti darò. Sei contenta così?”

(7) Io sono restata confusa e non ho saputo dire più niente.

8-62 Gennaio 27, 1909 Luisa della Passione del Tabernacolo.

(1) Continuando il mio solito stato dicevo tra me: “Che vita inutile è la mia, qual è il bene che faccio? Tutto è finito, non ci sono più partecipazioni di spine, di croci, di chiodi, pare che tutto è esaurito; mi sento, sì, sofferente, tanto che non posso muovermi, è un reumatismo generale di dolore, ma è cosa tutta naturale, solo mi lascia il pensiero continuo della Passione, l’unione della mia volontà con quella di Gesù, offrendo ciò che Lui soffrì e tutta me stessa come Lui vuole, per chi vuole, che poi non resta altro che una squallida miseria, dunque, qual è lo scopo della mia vita?” Mentre ciò pensavo, appena ha fatto un lampo il benedetto Gesù e mi ha detto:

(2) “Figlia mia, sai che cosa sei tu? Luisa della Passione del Tabernacolo; quando ti partecipo le pene, sei ancora del calvario; quando no, rimani del Tabernacolo, e vedi com’è così: Io nel Tabernacolo niente do di esteriorità, né di croci, né di spine, eppure l’immolazione è quella dello stesso calvario, le preghiere sono le stesse, l’offerta della mia vita continua ancora, la mia Volontà non ha cambiato in niente, mi brucia la sete della salvezza delle anime, sicché posso dire che le cose della mia vita sacramentale unite con la mia vita mortale stanno sempre ad un punto, non hanno scemato in nulla, ma però è tutto interno, sicché se la tua volontà è la stessa di quando Io ti partecipavo le mie pene, le tue offerte sono simili, il tuo interno è unito con Me, con la mia Volontà; non ho ragione di dirti che sei Luisa della Passione del Tabernacolo? Con questa sola differenza, che quando ti partecipo le mie pene, prendi parte alla mia vita mortale, ed Io esento il mondo dai più gravi flagelli; quando non te le partecipo, flagello il mondo e tu prendi parte alla mia vita sacramentale, ma sempre una è la vita”.

8-63 Gennaio 28, 1909 Cosa significa vittima.

(1) Avendo letto un libro dove parlava della varietà dei modi d’operare interiormente, e come Gesù ricompensava queste anime con capitale grande di grazia e con sovrabbondanza d’amore, onde io paragonavo tutto ciò che avevo letto ai tanti modi e ai tanti atti svariati che Gesù mi aveva insegnato nel mio interno, che messi a confronto con quelli del libro, mi parevano tanto vasti quanto può essere il mare a confronto d’un piccolo fiume. E dicevo tra me: “Se ciò è vero, chi sa quanta grazia verserà in me e quanto bene mi vorrà il mio sempre amabile Gesù!” Onde trovandomi nel solito mio stato, quando appena è venuto il buon Gesù, e mi ha detto:

(2) “Figlia mia, tu non sai bene ancora che significa essere eletta vittima. Come Io con l’essere vittima racchiusi in Me tutto l’operato delle creature, le loro soddisfazioni, riparazioni ed adorazioni, ringraziamenti, sicché per tutti e per ciascuno Io feci ciò che loro erano tenuti. Sicché, essendo tu vittima è inutile paragonarti agli altri, dovendo racchiudere in te non il modo di uno ma la varietà del modo di ciascuno, e dovendo Io farti supplire per tutti e per ciascuno, di conseguenza ne viene che debbo darti la grazia, non che do ad uno solo, ma la grazia da equivalere a quello che do a tutto l’assieme delle creature. Quindi anche l’amore deve superare a tutto quello che voglio a tutto l’assieme delle creature, perché grazia ed amore vanno sempre uniti insieme, hanno un solo passo, una sola misura, un solo volere; l’amore tira la grazia, la grazia tira l’amore, sono inseparabili. Ecco perché tu vedi il mare vastissimo che Io ho messo in te, ed il piccolo fiume negli altri”.

(3) Io ne sono rimasta sbalordita, paragonando tanta grazia a tanta mia ingratitudine, e a tanta mia cattiveria.

8-64 Gennaio 30, 1909 La storia del perché

(1) Trovandomi nel solito mio stato, mi sono trovata fuori di me stessa, mi pareva di vedere un’anima nel purgatorio, mia conoscente, ed io le dicevo: “Vedi un po’ come sto innanzi a Dio, ci temo tanto, specie dello stato in cui mi trovo”. E quella mi ha detto:

(2) “Ci vuol niente a sapere se stai bene o male, se tu apprezzi il patire stai bene, se no, stai male, perché chi apprezza il patire apprezza Dio, ed apprezzandolo non si può mai dispiacergli, perché le cose che si apprezzano si stimano, si amano, si tengono care e custodite, più che sé stesso; e può essere mai possibile che uno voglia male sé stesso? Così è impossibile che possa dispiacere a Dio apprezzandolo”.

(3) Onde dopo, appena è venuto il benedetto Gesù e mi ha detto:

(4) “Figlia mia, le creature, in quasi tutti gli eventi che succedono, vanno ripetendo e dicendo sempre: E perché? E perché? E perché? Perché questa malattia? Perché questo stato d’animo? Perché questo flagello? E tanti altri perché? La spiegazione del perché? non è scritta in terra, ma in Cielo, e là la leggeranno tutti. Sai tu che cosa è il perché? E’ l’egoismo che dà cibo continuo all’amor proprio. Sai tu dove fu creato il perché? Nell’inferno. Chi fu il primo a pronunziarlo? Un demonio. Gli effetti che produsse il primo perché? furono la perdita dell’innocenza nello stesso Eden, la guerra delle passioni implacabili, la rovina di tante anime, i mali della vita. La storia del perché? è lunga, basta dirti che non c’è male nel mondo che non abbia la impronta del perché? Il perché è distruzione della sapienza divina nelle anime. E sai tu dove sarà seppellito il perché? Nell’inferno, per renderli irrequieti in eterno, senza darli mai pace. L’arte del perché? è guerreggiare le anime senza darle mai tregua”.

9-1 Marzo 10, 1909 Il Padre fa una sola cosa con Gesù. Gesù si dà continuamente alle anime.

(1) Continuando il mio solito stato, mi sono trovata fuori di me stessa col bambino Gesù in braccia, io gli ho detto: “Dimmi carino mio, che cosa fa il Padre?”

(2) E Lui: “Fa una sola cosa con Me, sicché ciò che fa il Padre faccio Io”.

(3) Ond’io ho soggiunto: “E coi santi, che cosa fate?”

(4) E Lui: “Darmi continuamente, sicché Io sono vita loro, gaudio, felicità, bene immenso, senza termine e confini. Di Me sono ripieni, in Me tutto trovano; Io sono tutto per loro, e loro sono tutti per Me”.

(5) Io, nel sentire ciò, volevo prendere dei picci, e gli ho detto: “Ai santi vi date continuamente, ed a me poi così stentato, così avaro, ad intervallo fino a farmi passare parte della giornata senza venire, e qualche volta ci stentate tanto che mi viene il timore che neppure fino a sera ci verrete, onde io vivo morendo, ma d’una morte la più crudele e spietata; eppure dicevate di volermi tanto bene”.

(6) E Lui: “Figlia mia, anche a te mi do continuamente, ora personalmente, ora con la grazia, ora con la luce ed in tanti altri modi. E poi, chi te lo nega che ti amo tanto, tanto?”

(7) Ora in questo mentre, mi è venuto un pensiero, che domandassi se era Volontà di Dio il mio stato, che era più necessario di quello che gli stavo dicendo, e gliel’ho detto, e Lui invece di rispondermi, si è avvicinato alla mia bocca e mi ha messo la sua lingua nella mia bocca, ed io non ho potuto più parlare; solo che succhiavo una cosa che non so dire; e nel ritirarla, appena ho potuto dire: “Signore, ritornate subito, chi sa quando verrete”.

(8) E Lui ha risposto: “Stasera ci verrò di nuovo”.

(9) Ed è scomparso.

9-2 Aprile 1, 1909 Gesù ingemma all’anima con le gemme che escono dal dolore.

(1) Sentendomi molto sofferente, fino a non potermi muovere, stavo offrendo le mie piccole sofferenze con quelle di Gesù, e con quella intensità d’amore con cui Lui intendeva di glorificare il Padre, di riparare le nostre colpe, e tutti quei beni che ci impetrò con le sue sofferenze, e dicevo tra me: “Faccio conto che queste mie sofferenze siano un mio martirio, che i dolori siano i carnefici, che il letto l’eculeo, che l’immobilità le funi che mi tengono legata per rendermi più cara ed amante del mio sommo bene. Ma carnefici io non ne veggo, dunque chi è il mio carnefice, che non solo nell’esterno del corpo, ma anche nelle parti più intime, fino nel fondo dell’anima mi lacera, mi fa a brani, tanto che il cerchio della vita mi pare che volesse crepare? Ah! il mio carnefice è proprio Gesù benedetto!” In questo mentre, quasi dentro d’un lampo mi ha detto:

(2) “Figlia mia, troppo onore per te essere Io tuo carnefice. Io non faccio altro che come uno sposo, che dovendo sposare la sua sposa e farla uscire in pubblico, per farle fare una bella comparsa, e per farla degna di sé, non si fida di nessuno, neppure della sua stessa sposa, ma lui stesso la vuole lavare, pettinare, vestirla, ornarla con le gemme, coi brillanti, questo è un onore grande per una sposa, molto più che non avrà nessun pensiero: “Piacerò io al mio sposo o no? Gradirà egli come sono ornata o mi riprenderà come stolta, non avendo saputo indovinare il modo come meglio piacergli? Così faccio Io con le mie spose dilette, è tanto l’amore che le porto che non mi fido di nessuno; sono costretto a farle anche da carnefice, ma carnefice amoroso. Ed ora le faccio una lavata, or una pettinata, ora a vestirla un po’ più bella, ora ad ingemmarla, ma non con le gemme che caccia la terra, che è cosa tutta superficiale, ma con le gemme che faccio uscire dal fondo dell’anima, dalle parti più intime, che si formano col tocco delle mie dita che crea il dolore, e dal dolore escono le gemme; converte la volontà in oro e questa volontà convertita in oro dalle mie stesse mani, ne manderà fuori di tutti i colori, e le corone più belle, e le vesti più magnifiche, e i fiori più odorosi e le musiche più gradite; ed Io, con le mie stesse mani, come le faccio produrre così le andrò tutte assestando per ornarla sempre di più. Tutto ciò passa con le anime sofferenti, quindi non ho Io ragione di dirti: Troppo onore per te?”

9-3 Maggio 5, 1909 Le sofferenze imprimono la Santità di Gesù nell’anima.

(1) Trovandomi nel solito mio stato, quando appena il mio benigno Gesù si è fatto sentire con la sua dolce parola dicendomi:

(2) “Figlia mia, le mortificazioni, miserie, privazioni, dolori, croci, non servono ad altro, che a chi se ne serve a bene imprimere la mia santità nell’anima, e come se si andasse abbellendo di tutte le varietà dei colori divini. Di più non sono altro che tanti profumi di Cielo, di cui l’anima ne resta tutta profumata”.

9-4 Maggio 8, 1909 Chi molto parla è vuoto di Dio.

(1) Continuando il mio solito stato, quando appena il mio amabile Gesù si è fatto vedere e mi ha detto:

(2)Figlia mia, chi molto parla è segno che è vuoto nel suo interno, mentre chi è pieno di Dio, trovando più gusto nel suo interno non vuol perdere quel gusto, ci stenta a parlare e solo per necessità parla, ed anche parlando non si parte mai dal suo interno, e cerca per quanto è da sé, d’imprimere negli altri ciò che sente in essa. Mentre chi molto parla, non solo è essa vuota di Dio, ma col suo molto parlare cerca di svuotare agli altri di Dio”.