(1) Questa mattina, trovandomi fuori di me stessa, vedevo il mio dolce Gesù che soffriva molto, ed io l’ho pregato che mi facesse parte delle sue pene e Lui mi ha detto:
(2) “Anche tu soffri; piuttosto Io mi metto nel tuo posto, e tu fammi l’uffizio d’infermiera”.
(3) Così pareva che Gesù si mettesse nel mio letto, ed io accanto a Lui incominciavo a rivederle la testa, e ad una ad una l’ho tolto le spine che stavano conficcate. Poi sono andata al suo corpo ed ho visitato tutte le sue piaghe, le asciugavo il sangue, le baciavo, ma non avevo come ungerle per mitigare lo spasimo, quando ho visto che da me usciva un olio, ed io lo prendevo ed ungevo le piaghe di Gesù, ma con certo timore ché non capivo che cosa significasse quell’olio che usciva da me. Ma Gesù benedetto mi ha fatto capire che la rassegnazione al Divino Volere è olio, che mentre unge e mitiga le nostre pene, nel medesimo tempo è olio che unge e mitiga lo spasimo delle piaghe di Gesù. Onde, dopo essere stata per un buon pezzo di tempo a far questo uffizio al mio caro Gesù, è scomparso ed io sono ritornata in me stessa.
(1) Questa mattina, avendo fatto la comunione, mi pareva che il confessore metteva l’intenzione di farmi soffrire la crocifissione, ed all’istante ho visto l’angelo custode che mi distendeva sulla croce per farmela soffrire. Dopo ciò ho visto il mio dolce Gesù che tutta mi compativa e mi ha detto:
(2) “Il tuo refrigerio sono Io, il mio refrigerio è il tuo patire”.
(3) E mostrava un contento indicibile del mio patire e del confessore, ché con la ubbidienza che mi aveva dato di soffrire gli aveva procurato quel sollievo, poi ha soggiunto:
(4) Siccome il sacramento dell’Eucaristia è frutto della croce, perciò mi sento più disposto a concederti il patire quando ricevi il mio corpo, perché vedendo te patire, mi pare che non misticamente, ma realmente continuo in te la mia passione a pro delle anime, e questo è per Me un grande sollievo, ché raccolgo il vero frutto della mia croce e dell’Eucaristia”.
(5) Dopo ciò ha detto: “Finora è stata l’ubbidienza che ti ha fatto soffrire, vuoi tu che mi diverto Io un poco col rinnovarti di nuovo la crocifissione di propria mia mano?”
(6) Ed io sebbene mi sentivo molto sofferente, ed ancor freschi i dolori della croce rinnovatemi, ho detto: “Signore, sono nelle vostre mani, fa di me ciò che vuoi”.
(7) Allora Gesù tutto contento ha incominciato a conficcarmi di nuovo i chiodi nelle mani e nei piedi, vi sentivo tale intensità di dolore, che non so io stessa come sono lasciata viva, ma però ne ero contenta che contentavo Gesù. Onde dopo che mi ha ribattuto i chiodi, mettendosi a me vicino ha incominciato a dire:
(8) “Quanto sei bella! Ma quanto più cresce la tua bellezza nel tuo patire! Oh! come mi sei cara! I miei occhi restano feriti nel guardarti, che scorgono in te la mia stessa immagine”.
(9) E diceva tant’altre cose, che sarebbe inutile il dirle, prima perché sono cattiva; secondo ché non vedendomi quale il Signore mi dice, mi sento una confusione ed un rossore nel dire queste cose, onde, spero che il Signore mi farà veramente buona e bella, ed allora scemando il mio rossore potrò descriverle, perciò faccio punto.
(1) Trovandomi fuori di me stessa e non trovando il mio dolce Gesù, ho dovuto girare molto per andare in cerca di Lui. Alla fine l’ho trovato in braccia alla Regina Mamma che succhiava il latte dalle sue mammelle, per quanto gli dicevo e facevo, pareva che non si brigava di me, anzi neppure mi guardava. Chi può dire la pena del mio povero cuore, nel vedere che Gesù non si curava di me? Onde dopo aver rotto il freno alle lacrime, avendo di me compassione, è venuto fra le mie braccia ed ha versato nella mia bocca un poco di quel latte che aveva succhiato della Mamma Regina.
(2) Dopo ciò ho guardato nel suo petto, e teneva una piccola perla, tanto risplendente che investiva l’umanità santissima di Nostro Signore di luce. Onde, volendo sapere il significato, ho domandato a Gesù che cosa fosse quella perla, che mentre pare così piccola spande tanta luce. E Gesù:
(3) “La purità del tuo patire, che mentre è piccolo, ma siccome soffri per solo amor mio e saresti pronta a soffrire altro se Io te lo concedessi, ecco la causa di tanta luce. Figlia mia, la purità nell’operare è tanto grande, che chi opera per il solo fine di piacere a Me solo, non fa altro che mandare luce in tutto il suo operare. Chi non opera rettamente, anche il bene non fa altro che spandere tenebre”.
(4) Quindi ho visto nel petto di Nostro Signore, e teneva uno specchio tersissimo, e pareva che chi camminava rettamente restava tutto assorbito in quello specchio, chi no, ne restava fuori, senza che potevano ricevere nessuna impronta dell’immagine del benedetto Gesù. Ah! Signore, tenetemi tutta assorbita in questo specchio divino, acciò nessun altra ombra d’intenzione io abbia nel mio operare.
(1) Avendo fatto la comunione, il mio dolce Gesù vi si è fatto vedere tutto affabilità, e siccome mi pareva che il confessore mettesse l’intenzione della crocifissione, la mia natura ne sentiva quasi una ripugnanza a sottomettersi. Il mio dolce Gesù, per rincuorarmi, mi ha detto:
(2) “Figlia mia, se l’Eucaristia è caparra della futura gloria, la croce è sborso come comperarla. Se l’Eucaristia è seme che impedisce la corruzione, ed è come quelle erbe aromatiche, che ungendosi i cadaveri non ne restano corrotti, e dona l’immortalità all’anima ed al corpo, la croce l’abbellisce ed è tanto potente, che se c’è contrazione di debiti essa se ne fa mallevadrice, e con maggior sicurezza si fa restituire la scrittura del debito contratto, e dopo che ha soddisfatto ogni debito, ne forma all’anima il trono più sfolgorante nella futura gloria. Ah! si, la croce e l’Eucaristia si avvicendano insieme, ed una opera più potentemente dell’altra”.
(3) Poi ha soggiunto: “La croce è il mio letto fiorito, non perché non soffrivo atroci spasimi, ma perché per mezzo della croce partorivo tante anime alla grazia, vedevo spuntare tanti bei fiori che producevano tanti frutti celesti, quindi vedendo tanto bene, tenevo a mia delizia quel letto di dolore e mi dilettavo della croce e del patire. Anche tu, figlia mia, prendi come delizie le pene, e dilettati di starti crocifissa nella mia croce. No, no, non voglio che tema il patire, quasi volessi operare da infingarda, su, coraggio, opera da valorosa ed esponi da te stessa al patire”.
(4) Mentre così diceva, vedevo il mio buon angelo che stava preparato per crocifiggermi, ed io da me stessa ho disteso le braccia, e l’angelo mi crocifiggeva. Oh! come godeva il buon Gesù del mio patire, e quanto ne ero contenta io, ché poteva dar gusto a Gesù un’anima così miserabile! Mi pareva che fosse un grande onore per me il patire per amor suo.
(1) Questa mattina mi sono trovata fuori di me stessa e vedevo tutto il cielo cosparso di croci, chi piccola, chi grande, chi mezzana. Chi più grande, più dava splendore. Era un incanto dolcissimo il vedere tante croci che abbellivano il firmamento, più risplendenti del sole. Dopo ciò, parve che si aprisse il Cielo e si vedeva e sentiva la festa che si faceva dai beati alla croce. Chi più aveva sofferto era più festeggiato in questo giorno. Si distinguevano in modo speciale i martiri, chi aveva sofferto nascosto. Oh! come si stimava la croce e chi più aveva sofferto, in quel beato soggiorno! Mentre ciò vedevo, una voce ha risuonato per tutto l’empireo che diceva:
(2) “Se il Signore non mandasse le croci sopra la terra, sarebbe come quel padre che non ha amore per i propri figli, che invece di volerli vedere onorati e ricchi, li vuol vedere poveri e disonorati”.
(3) Il resto che vidi di questa festa, non ho parole come esprimerlo, me lo sento in me, ma non so uscirlo fuori, perciò faccio silenzio.
(1) Dopo aver passato giorni di privazione, non solo, ma di turbazione ancora, questa mattina, trovandomi più turbata sul misero mio stato, l’adorabile Gesù nel venire mi ha detto:
(2) “Tu, con lo starti inquieta, hai turbato il mio dolce riposo. Ah! si, non mi fai più riposare”.
(3) Chi può dire quanto sono lasciata mortificata nel sentire d’aver tolto il riposo a Gesù Cristo? Con tutto ciò, per qualche ora mi sono quietata, ma dopo mi sono trovata più inquieta di prima, che io stessa non so questa volta dove andrò a finire.
(4) Dopo quelle due parole che ha detto Gesù, mi sono trovata fuori di me stessa, e guardando nella volta dei cieli vi scorgevo tre soli: Uno pareva che si posasse all’oriente, l’altro all’occidente, il terzo a mezzogiorno. Era tanto lo splendore dei raggi che tramandavano, che si univano gli uni con gli altri, in modo che formavano uno solo. Mi pareva di vedere il mistero della Santissima Trinità, e l’uomo formato con le tre potenze ad immagine di Essa. Comprendevo pure che chi stava in quella luce, restava trasformata la volontà nel Padre, l’intelletto nel Figlio, la memoria nello Spirito Santo. Quante cose comprendevo! Ma non so manifestarlo.
(1) Continua lo stesso stato e forse anche peggio, sebbene faccio quanto posso a starmi quieta senza turbarmi, perché così vuole l’ubbidienza, ma con tutto ciò non lascio di sentirne il peso dell’abbandono che mi preme e giunge fino a schiacciarmi. Oh! Dio, che stato è codesto? Ditemi almeno dove vi ho offeso? Quale ne è la causa? Ah! Signore, se volete continuare in questo modo, credo che non potrò aver più resistenza!
(2) Onde, quando appena si è fatto vedere, mettendomi una mano sotto il mento in atto di compatirmi, mi ha detto:
(3) “Povera figlia, come ti sei ridotta!”
(4) E facendomi parte delle sue pene, come lampo è scomparso, lasciandomi più afflitta di prima, come se non fosse venuto; anzi, mi sento come se non fosse venuto da tanto tempo, e vi provo tale afflizione, che vivo, ed il mio vivere è un continuo agonizzare. Ah! Signore, porgetemi aiuto e non mi lasciate in abbandono, sebbene lo merito.
(1) Continua lo stesso stato di privazione e di abbandono. Onde, trovandomi fuori di me stessa vedevo un’inondazione d’acqua mista con grandine, che pareva che varie città ne restavano inondate con notabile danno. Mentre ciò vedevo, mi trovavo in grande costernazione perché volevo impedire quell’inondazione, ma siccome mi trovavo sola, molto più che non avevo meco Gesù, quindi le mie povere braccia me le sentivo deboli per poter ciò fare. Onde, con mia sorpresa ho veduto venire (mi pareva che fosse dall’America) una vergine, e lei da un punto ed io dall’altro, siamo riuscite ad impedire in gran parte il flagello che ci minacciava. Dopo ciò, essendoci riunite insieme, scorgevo quella vergine con le insegne della passione e coronata con corona di spine, come pure mi trovavo io, ed una persona che mi pareva che fosse angelo, che diceva:
(2) “Oh! potenza delle anime vittime! Ciò che non è dato a noi, angeli, di fare, con le loro sofferenze, possono far loro. Oh! se gli uomini sapessero il bene che viene da loro, perché stanno per il bene pubblico e particolare, non farebbero altro che implorare da Dio che moltiplicasse queste anime sulla terra”.
(3) Dopo ciò, avendoci detto che ci raccomandassimo a vicenda al Signore, ci siamo separate.
(1) Trovandomi ancor priva dell’adorabile mio Gesù, al più qualche ombra, oh! quanto mi costa amaro, quante lacrime mi conviene versare! Questa mattina, dopo aver molto aspettato e ricercato, l’ho trovato nel mio stesso letto, tutto afflitto, con la corona di spine che gli trafiggeva la testa; gliel’ho tolta pian piano e l’ho messa sulla mia. Oh! quanto mi vedevo cattiva innanzi alla sua presenza! Non avevo forza di dire una sola parola. Gesù, avendo di me compassione, mi ha detto:
(2) “Fatti cuore, non temere, cerca di riempire il tuo interno di Me e di impinguarlo di tutte le virtù, fino a traboccarne fuori, e quando giungerai a farne il trabocco, allora ti porterò nel Cielo e finiranno tutte le tue privazioni”.
(3) Dopo ciò, ha soggiunto prendendo un’aria afflitta: “Figlia mia, prega, ché stanno preparati tre distinti giorni, uno lontano dall’altro, di tempeste, grandine, fulmini, inondazioni, che faranno gran danno agli uomini ed alle piante”.
(4) Detto ciò è scomparso, lasciandomi un po’ più sollevata nello stato in cui mi trovo, ma con un pensiero: Chi sa quando farò questo trabocco fuori? E se non lo faccio mai, mi converrà forse starmene sempre lontana da Lui?
(1) Trovandomi fuori di me stessa, mi pareva che fosse di notte e vedevo tutto l’universo, tutto l’ordine della natura, il cielo stellato, il silenzio notturno, insomma, mi pareva che tutto avesse un significato. Mentre ciò vedevo, mi pareva che vedessi Nostro Signore, che prendendo la parola su ciò che vedevo ha detto:
(2) “Tutta la natura invita ad un riposo, ma qual è il vero riposo? E’ il riposo interno ed il silenzio di tutto ciò che non è Dio. Vedi, le stelle scintillanti di luce temperata, non abbagliante come il sole; il sonno ed il silenzio di tutta la natura, degli uomini e fin degli animali, che tutti cercano un luogo, una tana dove starsene in silenzio e riposarsi della stanchezza della vita. Se ciò è necessario per il corpo, molto più per l’anima è necessario di riposarsi nel suo proprio centro che è Dio. Ma per potersi riposare in Dio è necessario il silenzio interno, come al corpo è necessario il silenzio esteriore per potersi placidamente addormentare. Ma, qual è questo silenzio interiore? E’ di far zittire le proprie passioni col tenerle apposto, d’imporre silenzio ai desideri, alle inclinazioni, agli affetti, insomma, a tutto ciò che non chiama Dio. Or, qual è il mezzo per giungere a ciò? L’unico mezzo ed assolutamente necessario, è di disfare il proprio essere e ridursi al nulla, come era prima che fosse creata, e quando avrà ridotto al nulla il suo essere, riprenderlo in Dio.
(3) Figlia mia, tutte le cose dal nulla hanno principio, questa stessa macchina dell’universo che tu rimiri con tanto ordine, se prima di crearla fosse stata ripiena d’altre cose, non avrei potuto mettere la mia mano creatrice per farla con tanta maestria e renderla tanto splendida ed ornata, al più avrei potuto disfare tutto ciò che ci poteva essere, e poi rifarla come a Me piaceva; ma siamo sempre lì, che tutte le mie opere dal nulla hanno principio, e quando c’è mischianza di altre cose, non è decoro della mia maestà scendere ed operare nell’anima, ma quando l’anima si riduce al nulla, e vi sale a Me, e prende il suo essere nel mio, allora Io vi opero da quel Dio che sono, e l’anima vi trova il vero riposo. Eccoti che tutte le virtù, dall’umiltà e dall’annientamento di sé stesso hanno principio”.
(4) Chi può dire quanto comprendevo su ciò che mi diceva il benedetto Gesù? Oh! come felice sarebbe l’anima mia se potessi giungere a disfare il mio povero essere, per poter ricevere dal mio Dio il suo Essere Divino! Oh! come mi nobiliterei, come resterei santificata! Ma quale sciocchezza è la mia, dove mi abbia il cervello, se ancor non lo faccio? Che miseria umana, che invece di cercare il suo vero bene e di prendere il suo volo in alto, si contenta di arrampicarsi per terra e di vivere nel fango e nel marciume!
(5) Dopo ciò il mio diletto Gesù mi trasportò dentro un giardino, dove c’era molta gente che si preparavano ad assistere ad una festa, ma solo quelli che ricevevano una divisa vi potevano assistere, ma pochi erano quelli che ricevevano questa divisa; a me venne una gran voglia di riceverla, e tanto ho fatto che ho ottenuto l’intento. Onde giunta al punto dove si riceveva, una matrona veneranda, primo mi ha vestito di bianco, poi mi ha messo una tracolla celeste, in cui pendeva una medaglia improntata del volto di Gesù, e che mentre era volto era insieme specchio, che rimirandolo si scorgeva le più piccole macchie, che l’anima, col aiuto d’una luce che veniva da dentro di quel volto, facilmente si poteva togliere. Mi pareva che quella medaglia racchiudesse un senso misterioso. Dopo ha preso un manto d’oro finissimo e tutta mi ha coperto. Mi pareva che così vestita potessi gareggiare con le vergini comprensori. Mentre ciò succedeva, Gesù mi ha detto:
(6) “Figlia mia, ritorniamo a vedere ciò che fanno gli uomini, basta che sei vestita, quando sarà la festa allora ti porterò ad assistere”.
(7) Così, dopo aver girato un poco, mi ha trasportato nel mio letto.