(1) Questa mattina il benedetto Gesù mi faceva vedere il Santo Padre con le ali aperte, che andava in cerca dei suoi figli per raccoglierli sotto le sue ali, e sentivo i suoi lamenti, che diceva: “Figli miei, figli miei, quante volte ho cercato di radunarvi sotto le mie ali e voi mi sfuggite! Deh! ascoltate i miei lamenti ed abbiate compassione del mio dolore!” E mentre ciò diceva, piangeva amaramente, e pareva che non erano i soli secolari che si discostavano dal Papa, ma anche i sacerdoti, e questi davano più dolore al Santo Padre. Quanta pena faceva vedere il Papa in questa posizione! Dopo ciò, ho visto Gesù che faceva eco ai lamenti del Santo Padre e soggiungeva:
(2) “Pochi sono quelli che sono rimasti fedeli, e questi pochi vivono come volpi rintanati nelle proprie tane, hanno timore d’esporsi per tirarsi i propri figli dalla bocca dei lupi; dicono, propongono, ma sono tutte parole gettate al vento, mai giungono ai fatti”.
(3) Detto ciò è scomparso. Dopo poco è ritornato ed io mi sentivo tutta annientata in me stessa alla presenza di Gesù, e Lui vedendomi annichilita mi ha detto:
(4) “Figlia mia, quanto più ti abbassi in te stessa, tanto più mi sento tirato ad abbassarmi verso di te ed empirti della mia grazia, ecco perciò che l’umiltà è foriera della luce”.
(1) Avendo fatto la comunione, vedevo il mio dolce Gesù che mi invitava ad uscire fuori con Lui, con patto però che se dovevo andare insieme, dove vedevo che Gesù era costretto per i peccati a mandare dei castighi, non dovevo contrastare con Lui perché non li mandasse. Con questa condizione siamo usciti, girando la terra. In primo ho incominciato a vedere, non tanto lontano da noi, specialmente a certi punti tutto disseccato, onde a Lui rivolta ho detto: “Signore, come faranno queste povere gente se le mancherà il cibo come nutrirsi? Deh! Voi tutto potete, come lo avete fatto disseccare, così fatelo rinverdire”. E siccome teneva la corona di spine, ho disteso la mano dicendogli: “Mio Bene, che cosa vi hanno fatto queste gente? Forse vi hanno messo questa corona di spine, ebbene, datela a me, così resterete placato e darete il cibo per non farle perire”. E togliendogliela, l’ho premuto sulla mia testa. Mentre ciò facevo, Gesù mi ha detto:
(2) “Si vede che non posso portarti insieme, perché portare te e non poter far niente è lo stesso”.
(3) Ed io: “Signore, non ho fatto niente, perdonami se conoscete che ho fatto male, ma deh! portami insieme con Te!”
(4) E Lui: “Il tuo modo d’agire mi lega dappertutto”.
(5) Ed io: “Non sono io che faccio così, siete Voi stesso che mi fate operare in questo modo, perché trovandomi con Voi, veggo che le cose tutte sono vostre, e se io non prendessi cura delle cose vostre, mi pare che verrei a non curare Voi stesso. Perciò dovete perdonarmi se agisco in questo modo, che per amor vostro lo faccio, e non dovete allontanarmi per questo”.
(6) Dopo abbiamo continuato a girare. Io facevo quanto potevo a non dirgli niente a qualche punto che non castigasse, per non dargli occasione che me ne mandasse a ritirare e perdere la sua amabile presenza. Ma dove non potevo, incominciavo a contrastare. Siamo giunti ad un punto del l’Italia e stavano facendo un combinato, che doveva venire un gran dissesto, ma non ho capito che cosa fosse, perché avendo incominciato a dire: “Signore, non permettete, povera gente! Come faranno?” Vedendo Gesù che io mi affannavo e volevo impedirglielo, mi ha detto con impero:
(7) “Ritirati, ritirati!”
(8) E togliendosi una cinta di chiodi, di spilli che teneva incarnati nel suo corpo, che lo faceva molto soffrire, ha soggiunto:
(9) “Ritirati e portati questa cinta con te, che mi darai molto sollievo”.
(10) Ed io: “Si, me la metterò io invece vostra, ma lasciami stare teco”.
(11) E Lui: “No, ritirati”.
(12) E lo ha detto con tale impero, che non potendo resistere, in un istante mi sono trovata in me stessa, e non ho potuto capire il combinato che cosa fosse.
(1) Questa mattina il mio adorabile Gesù, nell’atto di venire, mi ha detto:
(2) “Come il sole è la luce del mondo, così il Verbo di Dio nell’incarnarsi divenne la luce delle anime, e come il sole materiale dà luce in generale ed a ciascuno in particolare, tanto che ognuno lo può godere come se fosse suo proprio, cosi il Verbo, mentre dà luce in generale è sole per ciascuno in particolare, tanto vero, che questo sole divino ognuno lo può tenere con sé come se fosse solo”.
(3) Chi può dire quello che comprendevo su di questa luce ed i benefici effetti che ridondano nelle anime che tengono questo sole come se fosse loro proprio? Mi pareva che l’anima, possedendo questa luce, mette in fuga le tenebre, come il sole materiale col spuntare sul nostro orizzonte mette in fuga le tenebre della notte. Questa luce divina, se l’anima è fredda, la riscalda; se è nuda di virtù, la rende feconda; se inondata dal morbo pestifero della tiepidezza, col suo calore assorbe quell’umore cattivo; in una parola, per non andare troppo per le lunghe, questo sole divino, introducendo nel centro della sua sfera, ricopre l’anima con tutti i suoi raggi e giunge a trasformare l’anima nella sua stessa luce.
(4) Dopo ciò, siccome io mi sentivo tutta affranta, Gesù, volendomi ristorare mi ha detto:
(5) “Questa mattina voglio dilettarmi in te”.
(6) Ed ha incominciato a fare i suoi soliti stratagemmi amorosi.
(1) Dopo aspettare e riaspettare, il mio dolce Gesù si faceva vedere da dentro il cuore. Mi pareva di vedere un sole che spandeva raggi, e guardando nel centro di questo sole, vi scorgevo il volto di Nostro Signore, ma quello che mi ha fatto stupire, che vedevo nel mio cuore tante donzelle vestite di bianco, con corona in testa, che attorniavano questo sole divino, nutrendosi di quei raggi che spandeva questo sole. Oh! come erano belle, modeste, umili e tutte intente, e beandosi in Gesù! Onde, non conoscendo il significato di ciò, con un po’ di timore ho chiesto a Gesù di farmi sapere chi erano quelle donzelle, e Gesù mi ha detto:
(2) “Queste donzelle erano le tue passioni, che ora con la mia grazia ho cambiato in tante virtù, che mi fanno nobile corteggio; stando tutte a mia disposizione, ed Io in ricompensa le vado nutrendo con la continua mia grazia”.
(3) Ah! Signore, eppure mi sento tanto cattiva, che mi vergogno di me stessa!
(1) Questa mattina ho dovuto molto soffrire per l’assenza del mio caro Gesù, ma però ha ricompensato le mie pene col soddisfare un mio desiderio di voler sapere una cosa che da molto tempo bramavo. Onde dopo aver girato e rigirato in cerca di Gesù, or lo chiamavo con la preghiera, or con le lacrime, or col canto, chi sa potesse restare ferito dalla mia voce e così farsi trovare, ma tutto indarno. Ho replicato i miei gemiti; a chiunque trovavo domandavo di Lui. Finalmente, quando il mio cuore si sentiva crepare e che non ne poteva più, l’ho trovato, ma lo vedevo di tergo, e ricordandomi d’una resistenza che gli feci, che dirò nel libro del confessore, gli ho chiesto perdono e così pare che ci siamo messi d’accordo, tanto che Lui stesso mi ha domandato che cosa volessi, ed io gli ho detto: “Compiacetevi di farmi conoscere la vostra Volontà sul mio stato, specialmente che cosa debbo fare quando mi trovo con poche sofferenze e Voi non ci venite, e se ci venite è quasi ad ombra; onde, non vedendo Voi, i miei sensi me li sento in me stessa, e trovandomi in questa posizione mi sento come se ci mettessi del mio e non fosse necessario aspettare la venuta del confessore per uscire da quello stato”.
(2) E Gesù: “Soffri o non soffri, vengo o non ci vengo, il tuo stato è sempre di vittima, molto più che questa è la mia Volontà e la tua, ed Io giudico non secondo le opere che si fanno, ma secondo la volontà con cui si opera”.
(3) Ed io: “Signor mio, va bene come dite, ma mi pare che sto inutile e si perde molto tempo, e mi sento un fastidio, un timore, e poi far venire il confessore, mi tormenta l’anima che non fosse Volontà vostra”.
(4) E Lui: “Pensi tu che fosse peccato il far venire il confessore?”
(5) Ed io: “No, ma temo che non fosse tua Volontà”.
(6) E Lui: “Del peccato devi fuggire, anche l’ombra, ma del resto non devi darti pensiero”.
(7) Ed io: “Se non fosse tua Volontà, a che pro starci?”
(8) E Lui: “Ah! mi pare che la figlia mia vuole sfuggire lo stato di vittima, non è vero?”
(9) Ed io, tutta arrossendo ho detto: “No, Signore, dico questo per quando qualche volta non mi fate soffrire e Voi non ci venite, del resto fatemi soffrire ed io non mi darò nessun pensiero”.
(10) E Gesù: “Ed a Me mi pare che vuoi sfuggire. Poi, sai tu quando ho riservato di venire e comunicarti le mie pene, se la prima, la seconda, la terza ed anche l’ultima ora? Onde, distraendoti da Me e sforzandoti ad uscire ti occuperai in altro, ed Io venendo non ti troverò preparata e prenderò la mia volta e Me ne andrò altrove”.
(11) Ed io tutta spaventata: “Non sia mai, oh Signore. Non voglio altro sapere che la vostra Santissima Volontà”.
(12) E Lui: “Stati calma e aspetta il confessore”.
(13) Detto ciò è scomparso. Pare che mi sento sgravata da un gran peso da questo parlare di Gesù, ma con tutto ciò non è scemata in me la pena dolorosa quando Gesù mi priva di Lui.
(1) Avendo questa mattina fatto la comunione, mi trovavo in un mare di amarezze, che non vedevo il mio sommo bene Gesù. Tutto il mio interno me lo sentivo messo in allarme, quando in un istante vi si ha fatto vedere e mi ha detto, quasi rimproverandomi:
(2) “Non sai tu che il non abbandonarsi in Me è un voler usurpare i diritti della mia Divinità, facendomi un grande affronto? Perciò abbandonati ed quieta il tuo interno tutto in Me e troverai la pace, e trovando la pace troverai Me stesso”.
(3) Detto ciò, come lampo è scomparso, senza farsi più vedere. Ah! Signore, tenetemi Voi tutta abbandonata e ben stretta nelle vostre braccia, in modo che non possa mai sfuggire, altrimenti farò sempre delle scappatine!
(1) Continua il benedetto Gesù a non venire. Oh! Dio, che pena indicibile è la sua privazione! Cercavo quanto più potevo di starmene in pace e tutta abbandonata in Lui, ma che! Il mio povero cuore non ne poteva più, facevo quanto più potevo per calmarlo, dicevo: “Cuor mio, aspettiamo un altro poco, chi sa viene, usiamo qualche stratagemma per tirarlo a venire”. Onde, rivolta a Lui gli dicevo: “Signore, venite, l’ora si fa tarda e Voi non ci venite ancora? Questa mattina cerco per quanto posso a starmi quieta, eppure non vi fate trovare? Signore, vi offro il martirio della tua privazione come attestato d’amore e come farvi un presente per attirarvi a venire. E’ vero che non sono degna, ma non è perché sono degna che vi cerco, ma per amore, e perché senza di Voi mi sento mancare la vita”. E siccome non ci veniva, gli dicevo: “Signore, o venite o vi stancherò col mio dire, e quando vi sarete stancato, neppure allora ci dovrete venire?” Ma chi può dire tutti i miei spropositi? Gliene dicevo tanti, che andrei troppo per le lunghe se volessi dire tutto.
(2) Dopo ciò, quando appena vedevo il mio dolce Gesù che si muoveva dentro il mio interno, come se si risvegliasse da un sonno, onde si è fatto vedere più chiaro, e trasportandomi fuori di me stessa, mi ha detto:
(3) “Come l’uccello quando deve volare batte le ali, così l’anima ai voli dei desideri, batte le ali dell’umiltà, ed in quei battiti vi manda una calamita che mi attira, in modo che mentre lei prende il suo volo per venire a Me, Io prendo il mio per andare a lei”.
(4) Ah, Signore, si vede che mi manca la calamita dell’umiltà! Se io nel mio cammino spandessi ovunque la calamita dell’umiltà, non stenterei tanto ad aspettare e riaspettare la tua venuta!
(1) Dopo aver passato giorni amari, di privazione e di rimproveri del benedetto Gesù per le mie ingratitudini e resistenze al suo Volere ed alle sue grazie, questa mattina nel venire mi ha detto:
(2) “Figlia mia, il passaporto per entrare nella beatitudine che l’anima può possedere su questa terra, dev’essere firmato con tre firme, e queste sono la rassegnazione, l’umiltà e l’ubbidienza.
(3) La rassegnazione perfetta al mio Volere è cera che liquefa i nostri voleri e ne forma uno solo, è zucchero e miele, ma una piccola resistenza al mio Volere, la cera si disunisce, lo zucchero si rende amaro ed il miele si converte in veleno. Or, non basta essere rassegnata, ma l’anima dev’essere convinta che il maggior bene per sé ed il maggior modo di glorificarmi è il far sempre la mia Volontà. Ecco la necessità della firma dell’umiltà, perché l’umiltà produce questa conoscenza. Ma chi nobilita queste due virtù? Chi le fortifica, chi le rende perseveranti, chi le incatena insieme in modo da non potersi separare, chi l’incorona? L’ubbidienza. Ah! si, l’ubbidienza, distruggendo affatto il proprio volere e tutto ciò che è materiale, spiritualizza tutto e come corona vi si pone d’intorno, onde la rassegnazione e l’umiltà senza l’ubbidienza saranno soggette ad instabilità, ma con l’ubbidienza saranno fisse e stabili, ed ecco la stretta necessità della firma dell’ubbidienza, per fare che questo passaporto possa correre per passare al regno della beatitudine spirituale che l’anima può godere di qua. Senza di queste tre firme, il passaporto non avrà valore e l’anima sarà sempre respinta dal regno della beatitudine e sarà costretta a stare nel regno dell’inquietudine, dei timori e dei pericoli, e per sua disgrazia avrà per dio il proprio io, e quest’io sarà corteggiato dalla superbia e dalla ribellione”.
(4) Dopo ciò mi ha trasportato fuori di me stessa, dentro di un giardino, che pareva che fosse il giardino della Chiesa, in cui vedevo che fuorviavano da cinque a sei persone, sacerdoti e secolari, che unendosi coi nemici della Chiesa muovevano una rivoluzione. Che pena faceva vedere Gesù benedetto piangere il triste stato di queste persone! Poi ho guardato nell’aria e vedevo una nube d’acqua, ripiena di pezzi di ghiaccio grossi che cadevano sopra la terra. Oh! quanto strazio facevano sopra i raccolti e sopra l’umanità! Ma però spero che voglia placarsi. Onde, più afflitta di prima sono ritornata in me stessa.
(1) Continua il mio adorabile Gesù a venire, quando appena e ad ombra, ed anche nel venire non dice niente. Questa mattina, dopo avermi rinnovato i dolori della croce per ben due volte, guardandomi con tenerezza mentre stavo soffrendo lo spasimo delle trafitture dei chiodi, mi ha detto:
(2) “La croce è uno specchio dove l’anima rimira la Divinità, e rimirandosi ne ritrae i lineamenti, la rassomiglianza più consimile a Dio. La Croce non solo si deve amare, desiderare, ma farsene un onore, una gloria, della stessa croce, e questo è operare da Dio e diventare come Dio per partecipazione, perché solo Io mi gloriai della croce e me ne feci un onore del patire, e l’amai tanto, che in tutta la mia vita non volli stare un momento senza la croce”.
(3) Chi può dire ciò che comprendevo della croce, da questo parlare del benedetto Gesù? Ma mi sento muta ad esprimerlo con le parole. Ah! Signore, vi prego a tenermi sempre confitta in croce, affinché avendo sempre innanzi questo specchio divino, possa tergere tutte le mie macchie ed abbellirmi sempre più a vostra somiglianza.
(1) Trovandomi nello stesso mio stato, anzi, con un poco di timore per una cosa che non è necessario qui dirla, il mio dolce Gesù nel venire mi ha detto:
(2) E sono i vasi sacri, ed è necessario di tanto in tanto spolverarli; i vostri corpi sono tanti vasi sacri, in cui vi faccio la mia dimora, perciò è necessario che vi faccia di tanto in tanto delle spolveratine, cioè, che li visiti con qualche tribolazione, per fare che Io vi stia con più decoro. Perciò stati calma”.
(3) Dopo ciò, avendo fatto la comunione ed avendomi rinnovato i dolori della crocifissione, ha soggiunto:
(4) “Figlia mia, quanto è preziosa la croce! Vedi un po’: Il sacramento del mio corpo nel darsi all’anima, la unisce con Me, la tramuta fino a diventare una stessa cosa con Me, ma col consumarsi delle specie si disunisce l’unione realmente contratta; ma la croce no, vi prende Iddio e l’unisce con l’anima per sempre, e con maggiore sicurezza lei si pone come suggello. Dunque, la croce suggella Iddio nell’anima, in modo che non c’è mai separazione tra Dio e l’anima crocifissa”.