(1) Continuando il mio solito stato, ma pieno di amarezze e di privazioni; onde, avendo fatto la comunione stavo lamentandomi col benedetto Gesù del modo come Lui mi aveva lasciato e dell’inutilità del mio stato. E Lui avendo compassione dei miei lamenti mi ha detto:
(2) “Figlia mia, niente ha sminuito i beni che sono tra Me e te, perché tutto il bene sta nel principio del fondamento. Quando due persone si uniscono in vincolo d’amicizia o in unione di sposalizio, e a parte si sono fatti i doni, e si sono amato tanto da rendersi indivisibili, tanto che l’uno ha preso ed ha copiato tanto l’altro, da sentire in sé stesso l’essere della persona amata, se per stretta necessità sono costretti a stare l’uno lontano dall’altro, si vengono forse a sminuire quei doni o a decrescere nell’amore? Niente affatto, anzi la lontananza fa crescere più nell’amore e fa conservare con più cautela i doni ricevuti, aspettando nel ritorno qualche imprevisto dono maggiore. Anzi c’è di più, avendo copiato in sé la persona amata, pare che per lei non c’è lontananza, perché si sente nella sua voce scorrere la voce dell’amato, avendolo imitato; se lo sente scorrere nella sua mente, nelle sue opere, nei suoi passi, sicché è lontano e vicino, lo guarda e le sfugge, lo tocca e non può stringerlo, sicché l’anima è in continuo martirio d’amore. Onde se la giustizia mi costringe a privarti di Me ed a stare per qualche tempo lontano, puoi dire che ti ho tolto i doni e che c’è diminuzione d’amore?”
(3) Ed io: “E’ troppo duro il mio stato, cara mia vita, ed a che pro starmene se non mi fate soffrire per risparmiare il mio prossimo dai castighi? Avete detto tante volte di non far piovere, e non piove; sicché non posso più vincervi in niente. Quel che dite fate, mentre se vi avessi vicino come prima, vi direi tanto che mi fareste vincere. Come dite che non è niente la lontananza?”
(4) E Lui: “E’ per questo, appunto, che sono costretto a starmene lontano, per non darti la vinta e dar luogo alla giustizia. Ma però col tenerti, c’è anche un bene, perché la mancanza dell’acqua chiamerà la carestia, ed i popoli in questo tempo resteranno umiliati, e succedendo le strage e le guerre la grazia li troverà più disposti a salvarli; non è anche un bene questo, che mentre le guerre stavano per primeggiare la carestia, mentre col tenerti saranno prolungate per altro poco le guerre, e così saranno più anime salvate”.
(5) Poi ha soggiunto: “L’Amore non dice mai basta, ancorché l’amore la flagellasse (all’anima) , la facesse a brandelli, quei brandelli griderebbero amore. L’Amore non dice basta, non è contento ancora, quei brandelli li spolverizza, li riduce al nulla, ed in quel nulla vi soffia il suo fuoco, le dà la sua stessa forma, niente vi mescola d’umano, ma tutto di divino, ed allora l’amore canta le sue glorie, le sue prodezze, i suoi prodigi e dice: “Sono contento, il mio amore ha vinto, ha distrutto l’umano ed ha edificato il divino”. Succede all’amore come a quel valente artefice, che avendo tanti oggetti che non gli gradiscono, li fa in pezzi, li mette sul fuoco e li fa tanto stare, fino a liquefarli e farli perdere tutta la loro forma, e poi vi forma tanti altri oggetti bellissimi e piacevoli, degni della sua valentia. E’ pur vero che per l’umano è troppo duro questo agire dell’amore, ma quando vedrà il suo acquisto, vedrà d’avere sottentrato la bellezza alla bruttezza, la ricchezza alla povertà, la nobiltà alla ruvidezza; anche essa canterà le glorie dell’amore”.
(1) Avendo fatto la comunione, vedevo il bambino dentro del mio interno, come se andasse trovando una cosa importante, io ho detto: “Carino mio, che andate trovando con tanta premura?” E Lui ha detto:
(2) “Figlia, vado trovando il pennello della tua volontà per poter dipingere la mia immagine nel tuo cuore, perché se non mi dai la tua volontà mi manca il pennello per poter liberamente dipingere Me in te; e come la volontà mi serve di pennello nelle mie mani, così l’amore mi serve di tinte per poter imprimere la varietà dei colori della mia immagine. Oltre di ciò, come la volontà umana mi serve di pennello, così la mia Volontà serve di pennello nelle mani dell’anima per dipingere la sua immagine nel mio cuore, ed in Me poi troverà abbondante tinta d’amore per la varietà dei colori”.
(1) Avendo fatto la meditazione che chi semina bene raccoglierà bene, e chi semina vizi raccoglierà mali, stavo pensando quale sarebbe il bene che potrei seminare stando la mia posizione, miseria ed inabilità mia. In questo mentre mi sono sentita raccogliere e sentivo dirmi nel mio interno:
(2) “Tutto, tutto il suo essere l’anima deve seminare il bene; l’anima tiene una intelligenza mentale, e questa la deve applicare a comprendere Dio, a pensare sempre a bene, mai far entrare nella mente alcun seme cattivo, e questo è seminare bene con la mente; così della bocca, mai seminare seme cattivo, cioè parole cattive, indegne d’un cristiano, ma sempre dire parole sante, utili, buone, ecco il seminare bene con la bocca; quindi, col cuore amare solo Dio, desiderare, palpitare, tendere a Dio, ecco seminare bene col cuore; onde, con le mani fare opere sante, coi piedi camminare dietro gli esempi di Nostro Signore, ecco un altro seme buono”.
(3) Io, nel sentire ciò pensavo tra me: “Sicché nella mia posizione posso anch’io seminare bene ad onta della mia estrema miseria”. Ma pensavo a ciò con certo timore del conto che il padrone mi chiederà se ho seminato bene; e nel mio interno mi sono sentita ripetere:
(4) “La mia bontà è tanto grande, che molto male fa chi mi dà a conoscere per severo e molto esigente, rigorista; oh! che onta fanno al mio amore, Io non chiederò altro conto che del piccolo terreno loro dato, e non per altro chiederò conto che per darli il frutto dei loro raccolti, dando all’intelligenza, che quanto più mi avrà compreso in vita, altrettanto di più mi comprenderà in Cielo, e quanto più mi comprenderà, tanto più di gaudio e beatitudine verrà inondata, dando il raccolto alla bocca dei vari gusti divini, armonizzando la sua voce sopra tutti gli altri beati; alle opere dandole il raccolto dei miei doni, e così di tutto il resto”.
(1) Continuando il mio solito stato, stavo molto impensierita dello stato dell’anima mia, dicevo tra me: “Chi sa che male c’è nell’anima, che il Signore mi priva di Lui e mi lascia abbandonata a me stessa”.
(2) In questo mentre, quando appena è venuto mi ha riempito tutta, tutta di Lui, e tutto il mio essere, tutto a Lui si rivolgeva; neppure una fibra né un moto che non tendesse a Lui. Onde dopo ciò mi ha detto:
(3) “Hai visto figlia mia? Il segno quando nell’anima c’è qualche colpa quando si trova priva di Me, è che ritornando Io a farmi vedere non resta tutta ripiena di Dio, né il suo essere si trova subito disposto ad immergersi tutto in Me, sicché neppure una fibra resta che non è fissata nel suo centro. Mentre dove c’è colpa o qualche cosa che non è tutta mia, né Io posso riempirla, né l’anima può immergersi in Me. La colpa, la materia, non può entrare in Dio né correre a Dio, quindi quietati e non volerti turbare”.
(1) Trovandomi nel solito mio stato, me ne stavo tutta afflitta e quasi istupidita per le solite privazioni. Onde appena alla sfuggita è venuto e mi ha detto:
(2) “Figlia mia, quello che voglio che ti stia a cuore è la costanza nel bene, sia nell’interno che nell’esterno, perché la ripetizione d’amarmi, di tanti atti interiori e del bene costante, fa crescere sempre la Vita Divina nell’anima; ma con tale energia che può paragonarsi a quel bambino che, crescendo in aria buona e con cibi sani, cresce sempre bene, in piena salute finché giunge a debita statura, senza aver avuto bisogno né di medici né di medicine, anzi è tanto robusto e forte che solleva ed aiuta gli altri. Mentre chi non è costante cresce come quel bambino che non si nutre sempre di cibi sani, e vive in aria putrida, cresce infermiccio, e siccome le membra non hanno forza di svilupparsi e crescere per mancanza di buon nutrimento, si sviluppano con difetti; quindi, dove si forma un tumore, dove un accesso. Sicché cammina zoppicando, parla stentato, si può dire che è un povero storpiato, sebbene si veggono mescolate le membra buone, ma più ve ne sono difettose; e ad onta che consulta medici e prende medicine, poco o nulla le giovano, perché il sangue è infetto per l’aria putrida, e le membra deboli e difettose per il mal nutrirsi. Onde sarà uomo, ma non giungerà a debita statura ed avrà bisogno d’aiuto senza poter aiutare gli altri. Così è l’anima incostante, l’incostanza nel bene è come se l’anima si nutrisse di cibi non buoni, ed applicandosi ad altre cose che non sono Dio, è come se respirasse aria putrida; quindi la vita divina cresce stentata, misera, mancandole la forza, il vigore della costanza”.
(1) Vi passo giorni amari per le continue privazioni del benedetto Gesù. Onde appena è venuto e mi ha detto:
(2) “Figlia mia, il segno per conoscere se uno ha vera carità è se ama i poveri, perché se ama i ricchi ed a loro si presta, può essere perché spera o perché ottiene, o perché li simpatizza, o per la nobiltà, per l’ingegno, per il bel dire, ed anche per timore; ma se ama i poveri, li aiuta, li sovviene, è perché vede in essi l’immagine di Dio, quindi non guarda la rozzezza, l’ignoranza, la sgarbatezza, la miseria. Attraverso di queste miserie, come da dentro d’un vetro, vede Iddio, da Cui tutto spera, e l’ama, l’aiuta, li consola, come se farebbe a Dio stesso, ecco il bel tipo della vera virtù, che da Dio incomincia ed in Dio finisce; ma ciò che incomincia della materia, materia produce e nella materia finisce. Per quanto pare splendida e virtuosa la carità, non sentendo il tocco divino, né chi la fa né chi la riceve, restano infastiditi, annoiati e stanchi, e se occorre se ne servono per commettere difetti”.
(1) Trovandomi nel solito mio stato, il benedetto Gesù si faceva vedere tutto luce, ed ha detto queste semplici parole:
(2) “Io sono luce; ma di che è formata questa luce? Quale ne è il fondo? La verità. Sicché sono luce perché sono verità. Onde l’anima per essere luce, e per avere luce in tutte le sue azioni, devono uscire dalla verità. Dove c’è artifizio, inganno, doppiezza, non ci può essere luce, ma tenebre”.
(3) E come lampo è scomparso.
(1) Parlando col confessore, lui diceva: “Quanto sarà terribile vedere Dio sdegnato! Tanto vero, che nel giorno del giudizio i cattivi diranno: Monti, seppelliteci, distruggeteci, affinché non vediamo la faccia di Dio sdegnato”.
(2) Ed io che dicevo: “In Dio non ci può essere sdegno, ma è piuttosto secondo lo stato dell’anima: Se buona, la presenza divina, le sue qualità, i suoi attributi, la attirano tutta in Dio, ed essa si consuma d’immergersi tutta in Dio. Se cattiva, la sua presenza la schiaccia, la ributta lontano da Sé, e l’anima, vedendosi ributtata e non sentendo in sé germe d’amore verso un Dio sì Santo, sì Bello, ed essa sì brutta, cattiva, vorrebbe disfarsi dalla sua presenza, se possibile anche distruggendosi. Quindi in Dio non c’è mutazione, ma a seconda che noi siamo così si provano gli effetti”. Onde dopo pensavo tra me: “Quanti spropositi che ho detto”. Perciò, facendo nel giorno la meditazione, appena è venuto e mi ha detto:
(3) “Figlia mia, sta ben detto, non mi cambio, ma a seconda che si cambia la creatura così sente i diversi effetti della mia presenza. Difatti, come può temere chi mi ama, se si sente scorrere tutto il mio Essere nel suo e vi forma la sua stessa vita? Può temere della mia Santità, se alla stessa Santità essa vi prende parte? Può vergognarsi della mia Bellezza, se sempre più cerca di abbellirsi per piacere e per rassomigliarsi a Me? Si sente scorrere nel suo sangue, nelle sue mani, nei suoi piedi, nel suo cuore, nella mente, tutto tutto l’Essere Divino, di modo che è cosa sua, tutto suo, e può temere, può vergognarsi di sé stesso? Ciò è impossibile. Ah! figlia mia, è il peccato che getta tanto scompiglio nella creatura, fino a volersi distruggere per non sostenere la mia presenza. Nel giorno del giudizio sarà terribile per i cattivi, non vedendo in loro germe d’amore, anzi odio verso di Me, la mia giustizia impone di non farmeli amare; quindi le persone che non si amano non si vogliono tenere vicino, e si usano dei mezzi per allontanarle, Io non vorrò tenerli con Me, quelli non vorranno stare, ci fuggiremo a vicenda, l’amore solo è quello che unisce tutto e felicita tutto”.
(1) Continuando il mio solito stato, stavo pensando al mistero della flagellazione, e venendo Gesù e pressandomi la mano alle spalle, nel mio interno mi sentivo dire:
(2) “Figlia mia, volli che le carni fossero sparse a brandelli, ed il mio sangue versato da tutta la mia Umanità per riunire tutta l’umanità dispersa, difatti, col fare che tutto ciò che della mia Umanità fu strappato, carne, sangue, capelli, nella Risurrezione nulla fosse disperso, ma tutto fosse riunito di nuovo alla mia Umanità, con ciò Io incorporavo tutte le creature in Me, sicché, dopo questo chi da Me va disperso, è di ostinata volontà che da Me si strappa per andare a perdersi”.
(1) Trovandomi nel solito mio stato, appena è venuto il benedetto Gesù e mi ha detto:
(2) “Figlia mia, di quante più cose l’anima si priva di qua, altrettante di più ne avrà di là, nel Cielo; sicché quanto più povero in terra, tanto più ricco in Cielo; quanto più privo di gusti, di piaceri, di divertimenti, di viaggi, di passeggiate in terra, tanti gusti, piaceri prenderà in Dio. Oh! come passeggerà negli spazi dei Cieli, specie nei Cieli immensurabili degli attributi di Dio, perché ogni attributo è un Cielo, è un Paradiso di più, e dei beati, chi vi entra dentro si può dire come alla punta degli attributi di Dio; chi cammina nel mezzo, chi più in su ancora, e quanto cammina di più gusta più, gode, si diverte di più; sicché chi lascia terra prende Cielo, fosse anche in minima cosa. Onde segue, chi più disprezzato più onorato, chi più piccolo più grande, chi più sottomesso più dominio, e così di tutto il resto. Eppure, dei mortali, chi è che pensa a privarsi di qualche cosa in terra per averne in Cielo eternamente? Quasi nessuno”.