(1) Dopo aver passato giorni amarissimi di privazione, il mio povero cuore lottava tra il timore d’averlo perduto e la speranza, chi sa potessi di nuovo rivederlo. Oh! Dio, che guerra sanguinolenta ha dovuto sostenere questo povero mio cuore! Era tanta la pena che or si agghiacciava ed or era premuto come sotto d’un torchio e gocciolava sangue. Mentre mi trovavo in questo stato, mi sono sentita vicino il mio dolce Gesù, che togliendomi un velo che m’impediva di vederlo, finalmente ho potuto vederlo. Subito gli ho detto: “Ah! Signore, non mi vuoi più bene!”
(2) E Lui: “Si, si, quel che ti raccomando è la corrispondenza alla mia grazia, e per essere fedele dev’essere come quell’eco che risuona dentro d’un vuoto, che non appena incomincia ad emettersi la voce, subito, senza il minimo indugio si sente rimbombare l’eco appresso. Così tu, non appena incominci a ricevere la mia grazia, senza neppure aspettare che la compisca di dare, subito incomincia l’eco della tua corrispondenza”.
(1) Continuo a restare quasi priva del mio dolce Gesù, la mia vita mi viene meno per la pena, mi sento un tedio, una noia, una stanchezza della vita. Andavo dicendo nel mio interno: “Oh! come si è prolungato il mio esilio! Oh! qual felicità sarebbe la mia se potessi sciogliere i legami di questo corpo e così l’anima prenderebbe libero il volo verso il mio sommo Bene!” Un pensiero mi ha detto: “E se tu vai all’inferno?” Ed io, per non chiamare il demonio a combattermi, subito mi sono sbrigata col dire: “Ebbene, anche dall’inferno manderò i miei sospiri al mio dolce Gesù, anche lì voglio amarlo”. Mentre mi trovavo in questi pensieri ed altri, che sarebbe troppo lunga la storia il ridirli tutti, l’amabile Gesù per poco tempo si è fatto vedere, ma in un aspetto serio, e mi ha detto:
(2) “Non è arrivato ancora il tuo tempo”.
(3) Poi, con una luce intellettuale mi faceva comprendere che nell’anima tutto dev’essere ordinato. L’anima possiede tanti piccoli appartamenti dove ogni virtù prende il suo posto, sebbene si può dire che una sola virtù contiene in sé tutte le altre e che l’anima possedendone una sola, viene ad essere corredata da tutte le altre virtù; ma, con tutto ciò, sono tutte distinte tra loro, tanto che ognuna tiene il suo posto nell’anima ed ecco che tutte le virtù hanno il loro principio dal mistero della Sacrosanta Trinità, che mentre è una sono tre distintamente, e mentre sono tre è una. Comprendevo pure che questi appartamenti nell’anima, o sono pieni di virtù o del vizio opposto a quella virtù, e se non c’è né la virtù né il vizio, restano vuoti. A me pareva come una casa che contiene tante stanze, tutte vuote, oppure quelle stanze, chi piena di serpi, chi di fango, chi ripiena di qualche mobile pieno di polvere, chi oscura. Ah! Signore, solo Voi potete mettere in ordine la povera anima mia!
(1) Continua ancora lo stesso. Questa mattina mi ha trasportato fuori di me stessa, dopo tanto tempo pare che ho visto Gesù con chiarezza, ma mi vedevo tanto cattiva che non ardivo di dire una sola parola, ci guardavamo ma in silenzio; in quegli sguardi a vicenda comprendevo che il mio buon Gesù era ripieno d’amarezza, ma non ardivo di dire versatele in me. Lui stesso si è avvicinato a me ed ha incominciato a versare, ed io non potendo contenerle, come le ricevevo le gettavo per terra. Lui mi ha detto:
(2) “Che fai? Non vuoi partecipare più alle mie amarezze? Non vuoi darmi più sollievo nelle mie pene?”
(3) Ed io: “Signore, non è la mia volontà, non so io stessa che cosa mi è avvenuta, mi sento tanto ripiena, che non ho dove contenerle; solo un vostro prodigio può più allargare il mio interno e così potrò ricevere le vostre amarezze”.
(4) Allora Gesù mi ha segnato con un segno grande di croce ed ha versato di nuovo, così pare che ho potuto contenerle, e dopo ha soggiunto:
(5) “Figlia mia, la mortificazione è come il fuoco che fa disseccare tutti gli umori; cosi la mortificazione dissecca tutti gli umori cattivi che ci sono nell’anima e la inonda d’un umore santificante, in modo da far germogliare le più belle virtù”.
(1) Dopo essere venuto parecchie volte, ma sempre in silenzio, io mi sentivo un vuoto ed una pena che non sentivo la voce dolcissima del mio dolce Gesù e Lui, ritornando, quasi per contentarmi mi ha detto:
(2) “La grazia è la vita dell’anima. Come al corpo dà vita l’anima, così la grazia dà vita all’anima. Ma non basta al corpo per aver vita, aver l’anima solamente, ma abbisogna ancora d’un cibo come nutrirsi e crescere a debita statura, cosi all’anima non basta avere la grazia per avere vita, ma ci vuole un cibo per nutrirla e condurla a debita statura, e qual è questo cibo? E’ la corrispondenza. Sicché la grazia e la corrispondenza formano quella catena inanellata che la conducono al cielo, ed a misura che l’anima corrisponde la grazia, viene formando gli anelli di questa catena”.
(3) Poi ha soggiunto: “Qual è il passaporto per entrare nel regno della grazia? E’ l’umiltà. L’anima, guardando sempre il suo nulla e scorgendosi non essere altro che polvere, che vento, tutta la sua fiducia la rimetterà nella grazia, tanto da renderla padrona, e la grazia, prendendo padronanza su di tutta l’anima, la conduce per il sentiero di tutte le virtù e la fa giungere all’apice della perfezione”.
(4) Che sarà l’anima senza grazia? Mi pareva come il corpo senza dell’anima, che diventa puzzolente e scaturisce vermini e marciume da tutte le parti, tanto da rendersi soggetto di orrore alla stessa vista umana, cosi l’anima, senza la grazia, si rende tanto abominevole da far orrore alla vista, non degli uomini, ma di quel Dio tre volte Santo.
(5) Ah! Signore, liberatemi da tanta sciagura e dal mostro abominevole del peccato!
(1) Trovandomi in uno stato pieno di scoraggiamento, specialmente per la privazione del mio sommo Bene, questa mattina, facendosi vedere appena, mi ha detto:
(2) “Lo scoraggiamento è un umore infettivo, che infetta i più bei fiori e i più graditi frutti e penetra fino al fondo della radice, in modo che quell’umore infettante, invadendo tutto l’albero, lo rende appassito, squallido, e se non vi si pone rimedio col innaffiarlo con l’umore contrario, siccome quell’umore cattivo si è introdotto fin nella radice, dissecca la radice e fa cadere l’albero per terra. Cosi succede all’anima che s’imbeve di quest’umore infettivo dello scoraggiamento”.
(3) Con tutto ciò io mi sentivo ancora scoraggiata, tutta rannicchiata in me stessa e mi scorgevo tanto cattiva che non ardivo slanciarmi verso il mio dolce Gesù. La mia mente era occupata che per me era inutile di più sperare come prima le continue visite di Lui, le sue grazie, i suoi carismi, tutto per me era finito. E Lui, quasi sgridandomi, ha soggiunto:
(4) “Che fai? Che fai? Non sai tu che la sconfidenza rende l’anima moribonda? Che pensando che deve morire, non pensa più a nulla, né ad acquistare, né a mettere a traffico, né ad abbellirsi di più, né a porre rimedio ai suoi malori, non pensa altro che per lei è finito. E non solo rende l’anima moribonda, ma tutte le virtù la sconfidenza le rende vicine a spirare”.
(5) Ah! Signore, m’immagino di vedere questo spettro della sconfidenza squallido, macilento, pauroso e tutto tremante, e tutta la sua maestria, non con altro ingegno, ma con la sola paura, conduce le anime alla tomba. Ma quel che è più, che questo spettro non si mostra nemico, ché l’anima può schernirsi della sua paura, ma si mostra amico, e s’infiltra tanto dolcemente nell’anima, che se l’anima non sta attenta, scorgendolo amico fedele che agonizza insieme e giunge a morire insieme, difficilmente si saprà liberare dalla sua artificiosa maestria.
(1) Continuando lo stesso stato, con un po’ di coraggio di più, ma non libera perfettamente, il mio carissimo Gesù nel venire mi ha detto:
(2) “Figlia mia, delle volte l’anima sente un incontro in qualche virtù, e l’anima facendosi forza, supera quell’incontro. Allora la virtù resta più risplendente e più radicata nell’anima. Ma però l’anima deve stare attenta per evitare che essa stessa non somministri la funicella per farsi legare dalla sconfidenza, e questo lo farà col restringersi sempre senza mai uscire dal circolo della verità, che è la conoscenza del proprio nulla”.
(1) Trovandomi in uno stato d’abbandono da parte del mio adorabile Gesù, il mio povero cuore me lo sentivo, per il dolore, premere come sotto d’un torchio. Oh! Dio, che pena inenarrabile! Mentre mi trovavo in questo stato, quasi ad ombra ho visto il mio caro Bene, ma non chiaro, solo ho visto chiaro una mano che mi pareva che portava una lampada accesa ed intingeva il dito nella lampada e mi ungeva la parte del cuore esacerbata al sommo dal dolore della sua privazione. Ed in questo mentre ho sentito una voce che diceva:
(2) “La verità è luce, che portò il Verbo sulla terra. Come il sole illumina, vivifica e feconda la terra, così la luce della verità dà vita, luce, e rende feconde le anime di virtù. Sebbene molte nubi offuscano questa luce di verità, quali sono le iniquità degli uomini, ma con tutto ciò non lascia, da dietro le nubi, di mandare barlumi di luce vivificante, onde riscaldare le anime, e se queste nubi sono nubi d’imperfezione e di difetti involontari, questa luce, squarciandole col suo calore le fa svanire e liberamente s’introduce nell’anima”.
(3) Onde comprendevo che l’anima deve stare attenta a non cadere anche nell’ombra del difetto volontario, che sono quelle nubi pericolose che impediscono l’entrata alla luce divina.
(1) Questa mattina, dopo aver fatto la comunione ho visto il mio adorabile Gesù, ma tutto cambiato d’aspetto. Mi pareva serio, tutto ritenutezza, in atto di rimproverarmi. Che cambiamento straziante! Il mio povero cuore, anziché venire sollevato, me lo sentivo più oppresso, più trafitto alla presenza così insolita di Gesù. Eppure mi sentivo tutto il bisogno d’un sollievo per le pene sofferte nei giorni passati della sua privazioni, che mi pareva che vivessi, ma agonizzante e in continua violenza. Ma Gesù benedetto, volendo rimproverarmi, che andavo cercando sollievo alla sua presenza, mentre non dovevo cercare altro che patire, mi ha detto:
(2) “Come la calce ha virtù di concuocere gli oggetti che vi si menano dentro, così la mortificazione ha virtù di concuocere tutte le imperfezioni e difetti che si trovano nell’anima, e giunge a tanto, che spiritualizza anche il corpo e come cerchio vi si pone d’intorno, e vi suggella tutte le virtù. Fino a tanto che la mortificazione non ti concuoce ben bene, l’anima come il corpo, fino a disfarlo, non potrò suggellare perfettamente in te il marchio della mia crocifissione”.
(3) Dopo ciò, non so dire bene chi fosse, ma mi pareva che fosse un angelo, mi ha trapassato le mani ed i piedi, e Gesù con una lancia che usciva dal suo cuore, mi ha trapassato il mio, con estremo dolore ed è scomparso lasciandomi più afflitta di prima. Oh! come comprendevo bene la necessità della mortificazione, mia inseparabile amica, e che in me non esisteva neppure l’ombra d’amicizia con la mortificazione! Ah! Signore, legatemi Voi con indissolubile amicizia con questa buona amica, ché da me non so mostrarmi che tutta rustichezza, e quella non vedendosi da me accolta con buon viso, mi usa tutti i riguardi, mi va sempre risparmiando, temendo che non le abbia a voltare le spalle del tutto, e mai compisse con me il suo bello e maestoso lavorio, perché, stando che stiamo un po’ lontane, non giungono le sue mani prodigiose fino a me, in modo da potermi lavorare e presentarmi a Voi come opera degna delle sue santissime mani.
(1) Continua quasi sempre lo stesso. Questa mattina, dopo avermi rinnovato le pene della crocifissione, mi ha detto:
(2) “La mortificazione dev’essere il respiro dell’anima. Come al corpo è necessaria la respirazione, e dall’aria buona o cattiva che si respira così resta infettato o purificato, come pure dalla respirazione si conosce se è sano o infermo l’interno dell’uomo, se tutte le parti vitali vanno d’accordo, così l’anima: se respira l’aria della mortificazione, tutto starà in lei purificato, tutti i suoi sensi suoneranno di uno stesso suono concordante, il suo interno rimanderà un respiro balsamico, salutare, fortificante. Se poi non respira l’aria della mortificazione, tutto sarà discordante nell’anima, manderà un respiro puzzolente, stomachevole; mentre sta per domare una passione, un’altra si sfrena. Insomma, la sua vita non sarà altro che un giuoco da fanciulli”.
(3) Mi pareva di vedere la mortificazione come uno strumento musicale, che se le corde sono tutte buone e forti, produce un suono armonioso e gradito. Se poi le corde non sono buone, ora bisogna aggiustare una, ora accordare un’altra, onde tutto il tempo l’impiega ad aggiustare, ma mai a suonare, al più potrà suonare un suono discordante e sgradito, quindi, non si farà mai niente di buono.
(1) Questa mattina il mio adorabile Gesù è venuto e mi ha trasportato fuori di me stessa, ci vedevo molta gente tutta in movimento, mi pareva, ma non so dire certo, come una guerra, oppure rivoluzione, ed a Nostro Signore non faceva(no) altro che intrecciare corone di spine, tanto che, mentre io me ne stavo tutta attenta a toglierne una, un’altra più dolorosa ne conficcavano. Ah! si, pareva proprio che il nostro secolo andrà rinomato per la superbia. La più grande sventura è il perdere la testa, perché perduta che un’abbia la testa con il cervello, tutte le altre membra si rendono inabili, o si rendono nemiche di sé stesso e degli altri , quindi ne avviene che la persona dà una rotta a tutti gli altri vizi.
(2) Il mio paziente Gesù tollerava tutte quelle corone di spine, ed io appena avevo tempo di toglierle, onde si è voltato a loro e li ha detto:
(3) “Morirete, chi nella guerra, chi nelle carceri e chi al terremoto, pochi ne rimarrete. La superbia ha formato il corso delle azioni della vostra vita e la superbia vi darà la morte”.
(4) Dopo ciò, il benedetto Gesù mi ha tirato da mezzo a quella gente e facendosi bambino lo portavo nelle mie braccia per farlo riposare. Lui, chiedendomi un ristoro voleva succhiare a me, io temendo che fosse demonio lo ho segnato varie volte con la croce, e poi gli ho detto: “Se siete veramente Gesù, recitiamo insieme l’Ave Maria alla nostra Regina Mamma”. E Gesù la ha recitato la prima parte ed io la Santa Maria. Dopo, Lui stesso ha voluto recitare il Pater Noster, oh! come era commovente il suo pregare, inteneriva tanto, che il cuore pareva che si liquefacesse. Onde dopo ha soggiunto:
(5) “Figlia, la mia vita la ebbi dal cuore, distintamente dagli altri; ecco perciò una ragione perché sono tutto cuore per le anime, e perché sono portato a voler il cuore e non tollero neppure un’ombra di ciò che non è mio. Onde fra Me e te voglio tutto distintamente per Me, e quello che concederai alle creature non sarà altro che il trabocco del nostro amore”.