(1) E’ da qualche mese che non scrivo, e con gran ripugnanza e solo per obbedire mi metto di nuovo a scrivere, oh! che pena mi sento, solo il pensiero che potrei dire al mio diletto Gesù: “Vedi come vi amo di più, e come cresce il mio amore, che solo per amor tuo mi sottopongo a questo sacrificio, e per quanto duro, altrettanto posso dire che più vi amo”. E pensando che posso dire al mio Gesù che vi amo di più, mi sento la forza di compiere il sacrificio d’ubbidire
(2) Onde non ricordandomi tutto distintamente, dirò tutto insieme ed in confuso il passato, cominciando da dove lasciai. Che stavo pregando che portasse mia madre in paradiso senza toccare purgatorio.
(3) Quindi il giorno 19 Marzo, sacro a San Giuseppe, di mattino, trovandomi nel solito mio stato, mia madre, passava da questa vita nell’ambiente dell’eternità; ed il benedetto Gesù, facendomela vedere che se la portava mi ha detto:
(4) “Figlia mia, il Creatore che si porta la creatura”.
(5) Ed in questo mentre, mi sono sentita investire dentro e fuori da un fuoco così vivo da sentirmi bruciare le viscere, lo stomaco, e tutto il resto, e se prendevo qualche cosa, si convertiva in fuoco, ed ero costretta a rimetterla non appena l’avevo ingoiata; questo fuoco mi consumava e mi manteneva in vita. Oh! come comprendevo il fuoco divoratore del purgatorio, che mentre le consuma le dà vita. Il fuoco fa l’ufficio di cibo, d’acqua, di morte e di vita, però in questo stato io ero felice, ma avendo visto solo che Gesù se l’era portata, ma non mi aveva fatto vedere dove l’era portata, la mia felicità non era piena, e dalle mie stesse sofferenze prendevo cruccio quali sarebbero le sofferenze di mia madre se stesse in purgatorio, e vedendo il benedetto Gesù, che in questi giorni quasi non mi ha lasciato mai, piangevo e gli dicevo: “Dolce amor mio, dimmi dove l’hai portato? Io sono contenta che ce l’hai tolta, perché la tieni con Te, ma se non l’hai con Te, questo non lo tollero e tanto piangerò, fino a tanto che mi contenterai”. E Lui pareva che godeva del mio pianto e mi abbracciava, mi sosteneva, mi asciugava le lacrime e mi diceva:
(6) “Figlia mia, non temere, quietati, e quando ti sarai quietata te la farò vedere, e ne sarai tanto contenta; e poi ti sia di sicurezza il fuoco che tu senti che ti ho contentata”.
(7) Ma io seguitavo a piangere, specie quando lo vedevo, sentendomi nel mio interno che mancava ancora qualche cosa alla beatitudine di mia madre; tanto che quelle persone che mi circondavano, essendo venute per la morte di mia madre, vedendomi tanto piangere, credendosi che piangevo la morte di mia madre, restavano quasi scandalizzati, credendomi spostata dalla Volontà Divina, quand’io più che mai nuotavo in questo ambiente di Divina Volontà. Ma io non mi appiglio a nessun tribunale umano, perché falso, ma solo al divino, perché è pieno di verità. Se il buon Gesù non mi condannava, anzi mi compativa, e per sostenermi veniva più speso, dandomi quasi motivo di farmi piangere, perché se non veniva, con chi dovevo piangere per impetrare ciò che io volevo? Quelli avevano ragione perché giudicavano l’esterno, poi del resto, essendo tanta cattiva, non è meraviglia che gli altri si scandalizzassero di me. Onde dopo parecchi giorni, venendo il buon Gesù mi ha detto:
(8) “Figlia mia, consolati, che voglio dirti e farti vedere dove sta tua madre, siccome tu prima, e dopo passata hai offerto di continuo ciò che Io meritai, feci e patì nel corso della mia vita a pro suo, quindi sta a parte di ciò che Io feci e gode della mia Umanità, essendole nascosta la sola Divinità, che fra breve le sarà anche svelata, ed il fuoco che tu senti e le tue preghiere hanno servito ad esentarla da qualunque altra pena di senso, che a tutti spettano, perché la mia giustizia, prendendo da te la soddisfazione, non poteva prenderla d’ambedue”.
(9) In questo mentre, mi pareva di vedere mia madre dentro d’una immensità che non aveva confini, ed in questo vi erano tanti godimenti e gioie, per quante parole, pensieri sospiri, opere e patimenti, palpiti, insomma tutto ciò che conteneva l’Umanità Santissima di Gesù Cristo. Comprendevo che è un secondo paradiso per i beati, e che tutti per entrare nel paradiso della Divinità, debbono passare per questo dell’Umanità di Cristo. Quindi, per mia madre era stato un singolarissimo privilegio riservato a pochissimi, di non aver toccato altro purgatorio; ma però comprendevo che sebbene non stava in tormenti, ma piuttosto in godimenti, la sua felicità non era perfetta, ma quasi metà.
(10) Ne sia sempre ringraziato il Signore. Io continuai a soffrire per 12 giorni, tanto che me ridussi in fin di vita, e avendosi l’ubbidienza interposto a far che questo filo di vita non si spezzasse, sono ritornata al mio stato naturale. Io non so, pare che questa ubbidienza ha un’arte magico su di me, e che quando presto il Signore le farà perdere il suo prestigio per portarmi con Sé. Io vi sentivo uno scontento perché l’ubbidienza si mette attraverso per non farmi passare al Cielo. Ed il buon Gesù mi disse:
(11) “Figlia mia, i beati nel Cielo mi danno tanta gloria per l’unione perfetta della loro volontà con la mia, che la loro vita é un riprodotto del mio Volere, c’è tanta armonia tra Me e loro, che il loro fiato, il respiro, i movimenti, i gaudi, e tutto ciò che costituisce la beatitudine loro, è effetto del mio Volere; ma però ti dico, che l’anima ancor viatrice, se è unita con mio Volere, in modo che mai si discosta, la sua vita è di Cielo, ed Io ne ricevo la stessa gloria, anzi ne prendo più gusto e compiacimento, perché ciò che fanno i beati lo fanno senza sacrificio ed in godimenti; ciò che fanno i viatori, lo fanno con sacrificio ed in patimenti, e dove c’è sacrificio, Io prendo più gusto e mi compiaccio di più; ed gli stessi beati, vivendo nel mio Volere, come l’anima ancora vivendo nella mia Volontà forma una stessa vita, e partecipano al gusto che Io prendo dell’anima viatrice”.
(12) Un altra volta, ricordo che stando io in timore che fosse opera del demonio il mio stato, il buon Gesù mi disse:
(13) “Figlia mia, sa anche parlare di virtù il demonio, ma mentre parla di virtù, nell’interno vi getta la ripugnanza, l’odio alla stessa virtù; sicché la povera anima si trova in contraddizione e senza forza a praticare il bene. Invece quando sono Io che parlo, essendo Io verità, la mia parola è piena di vita, non è sterile ma feconda, sicché mentre parlo, infondo amore alla virtù e produco la stessa virtù nell’anima, perché la verità è forza, è luce, è sostegno ed una seconda natura per l’anima che si fa guidare dalla verità”.
(14) Continuo a dire che non appena erano passati un dieci giorni della morte di mia madre, che cade infermo gravemente mio padre, ed il Signore mi faceva comprendere che anche lui sarebbe morto; io ne feci il dono anticipato e ripetetti le stesse istanze che feci per la madre; cioè, che non gli facesse toccare purgatorio, ma il Signore si mostrava più restio, e non mi dava ascolto; io temevo molto, non la salvezza, perché il buon Gesù me ne aveva fatto solenne promessa quasi d’una quindicina di anni addietro, che dei miei, e di quelli che mi appartengono, nessuno si sarebbe perduto; ma temevo forte il purgatorio. Io pregavo sempre, il buon Gesù veniva stentatamente. Solo il giorno che il padre moriva, cioè dopo una quindicina di giorni di malattia, il benedetto Gesù si fece vedere tutto benigno, vestito di bianco, come se fosse in festa, e mi disse:
(15) “Oggi aspetto tuo padre, e per amor tuo mi farò trovare, non da giudice, ma da padre benigno; lo accoglierò fra le mie braccia”.
(16) Io insistetti per il purgatorio, ma non mi diede retta e scomparve. Morto mio padre, non mi successe nessuna sofferenza nuova come fu per mia madre, e da questo capii che già era andato in purgatorio. Io pregavo e ripregavo, Gesù si faceva vedere alla sfuggita senza darmi tempo, per giunta non potevo neppure piangere, perché non avevo con chi piangere, e Colui che solo poteva ascoltare il mio pianto mi sfuggiva. Adorabili giudizi di Dio nei suoi modi.
(17)Onde dopo due giorni di pene interne, mentre vedevo il benedetto Gesù e domandavo di mio padre, lo sentii da dietro le spalle di Gesù Cristo, come se scoppiasse in pianto e chiedeva aiuto e scomparvero. Io ne restai lacerata nell’anima e pregavo, finalmente dopo sei giorni, trovandomi nel solito mio stato, mi trovai fuori di me stessa dentro d’una chiesa e vi stavano molte anime purganti, io pregavo Nostro Signore che almeno facesse venire mio padre dentro della Chiese a fare il purgatorio, perché vedevo che dette anime, nelle chiese sono in continui sollievi per le preghiere e messe che si dicono, e molto più per la presenza reale di Gesù Sacramentato; pare che sia loro un continuo refrigerio. In questo mentre vidi mio padre, venerando nell’aspetto, e Nostro Signore me lo fece mettere vicino al tabernacolo. Così pare che sono restata meno lacerata nel mio interno.
(18) Ricordo in confuso che un altro giorno venendo il buon Gesù, mi faceva comprendere la preziosità del patire, e pregavo che facesse comprendere a tutti il bene che c’è nel patire. E Lui mi disse:
(19) “Figlia mia, la croce è un frutto spinoso, che fuori è molesto e pungente, tolte le spine e scorza, si trova un frutto prezioso e saporito, che solo chi ha la pazienza di sopportare le molestie delle punture, può giungere a scoprire il segreto della preziosità e sapore di quel frutto; e solo quello ch’è giunto a scoprire questo segreto, lo guarda con amore, e con avidità va in cerca di questo frutto senza curare le punture, e tutti gli altri lo guardano con sdegno e lo disprezzano”.
(20) Ed io: “Ma dolce mio Signore, qual’è questo segreto che c’è nel frutto della croce?”
(21) E Lui: “Il segreto dell’eterna beatitudine, perché nel frutto della croce si trovano tante monetine che solo corrono per entrare in Cielo, e che l’anima con queste monetine si arricchisce e si rende beata in eterno”.
(22)Il resto lo ricordo in confuso e me lo sento non ordinato nella mente, perciò passo innanzi, e faccio punto.