(1) Trovandomi fuori di me stessa, mi sono trovata dentro d’una chiesa e vi stavano molta gente ad assistere alle funzioni sacre. In questo mentre, pareva che per autorità del governo entravano altre persone a profanare il luogo santo. Chi saltava, chi violentava e chi sacrilegamente metteva mano al Santissimo ed ai sacerdoti. Io nel vedere ciò piangevo e pregavo dicendo al Signore: “Non permettere che giungano a questo di profanare i vostri sacri tempi, ché chi sa quanti castighi tremendi scarichereste sulle vostre creature per questi orrendi peccati”. Mentre ciò dicevo mi ha detto:
(2) “Figlia mia, causa di tutti questi delitti enormi, perché un peccato è causa e castigo di far cadere in altri peccati, sono stati i peccati dei sacerdoti. Primo me l’hanno profanato loro occultamente il mio santo tempio con le messe sacrileghe, col mescolare gli atti impuri nell’amministrazione dei sacramenti, e sono giunti sotto l’aspetto di cose sante non solo a profanare i miei tempi di pietre, ma a profanare e a violentare i miei tempi vivi, quali sono le anime ed a profanare lo stesso mio Corpo. Di tutto ciò i secolari ne hanno avuto qualche sentore, e non vedendo in loro la luce necessaria al loro cammino, anzi non hanno trovato altro che tenebre, sono restati tanto ottenebrati da perdere la bella luce della fede, e senza luce non è meraviglia se giungono a così gravi eccessi.
(3) Perciò prega per i sacerdoti, acciocché siano luce nei popoli, affinché rinascendo la luce, i secolari possano acquistare la vita e vedere gli errori che commettono, e vedendoli, avranno ribrezzo di commettere questi gravi eccessi, che saranno causa di gravi castighi”.
(1) Trovandomi nel solito mio stato, è venuto per poco il mio adorabile Gesù, e tutto oppresso ed afflitto ha voluto versare in me le sue amarezze, e dopo mi ha detto:
(2) “Figlia mia, sono tali le amarezze che me danno le creature, che non posso contenerle, perciò ho voluto fartene parte. In questi tempi tutto è effeminato; gli stessi preti pare che hanno perduto il carattere maschile ed acquistato il carattere femminile, sicché di rado si trova un prete maschio, ed il resto tutti effeminati. Ahi! in che stato deplorevole si trova la povera umanità”.
(3) Detto ciò è scomparso. Io stessa non comprendo il significato di ciò, ma l’ubbidienza ha voluto che scrivessi.
(1) Continuando il mio solito stato, mi sono trovata fuori di me stessa, e pareva che stavano persone che mi volevano crocifiggere, e mentre mi distendevano sopra la croce, vedevo Nostro Signore dentro di me, e come mi distendevo io così si distendeva Lui, sicché nelle mie mani vi erano le sue mani, ed il chiodo passava le mie e le sue mani, sicché ciò che soffrivo io soffriva Lui. Era tale il dolore che quei chiodi spuntati ci davano, che mi sentivo morire; ma che dolce morire insieme con Gesù, solo temevo di non morire.
(2) Ora mentre si accingevano a crocifiggermi i piedi, Gesù mi è come sfuggito da dentro, e mi stava davanti, e le mie sofferenze prendevano come forme di luce, e si mettevano innanzi al Signore come in atto di adorazione, e dopo ciò mi ha detto:
(3) “Figlia mia, la Grazia per chi la riceve è luce, è via, è nutrimento, è forza, è sollievo; e per chi non la riceve, oltre che non trova luce e si sente mancare la via sotto dei piedi, col restare digiuno e senza forza, ma si converte in fuoco e castigo”.
(4) Mentre ciò diceva, dalla sua mano usciva un torrente di luce che scendeva sopra le creature, e questa luce, per chi restava luce e per chi fuoco.
(1) Avendo fatta la comunione, mi trovavo dentro d’una gran luce, era lo stesso Gesù, il quale mi ha detto:
(2) “Figlia mia, tutto ciò ch’è luce, è tutto mio, niente è della creatura. Succede come una persona che si trova investita dei raggi del sole, se vorrebbe attribuire a sé la luce che gode, sarebbe uno stolto e senza cervello. Solo però c’è questo, che la persona invece di godere la luce del sole, potrebbe dire, io voglio camminare all’ombra e ritirarsi dalla luce, e l’anima ritirandosi dalla mia luce resta tenebre, e le tenebre non possono produrre altro che male”.
(1) Continuando il mio solito stato, alla sfuggita è venuto il benedetto Gesù, e solo mi ha detto:
(2) “Figlia mia, ogni sofferenza che l’anima soffre, è un dominio di più che acquista di sé stessa, perché la pazienza nel soffrire è regime, e reggendo sé stessa, quanto più soffre tanti domini di più acquista, e non fa altro che ampliare ed ingrandire il suo regno del Cielo, acquistando ricchezze immense per la vita eterna. Sicché ogni cosa di più che tu soffri, fa conto che acquisti un regno di più nell’anima tua, cioè un regno di grazia corrispondente ad un regno di virtù e di gloria”.
(1) Mentre stavo pregando, e secondo il mio solito al più ciò che faccio, lo faccio come se lo stessi facendo con Nostro Signore e con le sue stesse intenzioni, onde stavo recitando il credo, e non avvertendo io stessa, stavo dicendo che intendevo di avere la fede di Gesù Cristo, per riparare tante miscredenze, e per impetrare che tutti avessero il dono della fede; in questo mentre si è mosso nel mio interno e mi ha detto:
(2) “Tu sbagli, Io non ci avevo né fede e né speranza, né ne potevo avere, perché ero lo stesso Dio, Io ero solo amore”.
(3) Nel sentire amore, mi piaceva tanto poter essere solo amore, che non badando ho detto un altro sproposito, cioè: “Signore mio, vorrei essere anch’io come Te, tutto amore, e niente altro”. E Lui ha soggiunto:
(4) “Questa è la mia mira, perciò ti vado spesso parlando della perfetta rassegnazione, ché vivendo del mio Volere l’anima acquista l’amore più eroico, e giunge ad amarmi col mio stesso amore, e diventa tutt’amore, e diventando tutt’amore, sta a mio continuo contatto, sicché sta con Me, in Me, e per Me fa tutto ciò che voglio, né si muove, né desidera che il mio Volere, dove c’è racchiuso tutto l’amore dell’Eterno, e dove resta essa racchiusa, e vivendo in questo modo l’anima giunge quasi a sperdere la fede e la speranza, perché giungendo a vivere del Volere Divino, l’anima non si sente più a contatto della fede e della speranza, se vive del suo Volere, che cosa deve credere se l’ha trovato e ne fa suo cibo? E che cosa deve sperare se già lo possiede, vivendo non fuori di Dio ma in Dio? Perciò la vera e perfetta rassegnazione è il suggello della sicura predestinazione, ed il possesso certo che l’anima prende di Dio. Hai capito? Pensaci bene”.
(5) Io sono restata come incantata e dicevo tra me: “Niente meno si può giungere a questo?” E quasi dubitavo e dicevo: “Forse ha voluto tentarmi per vedere ciò che faccio io, e darmi campo a dire più spropositi, e farmi vedere dove giunge la mia superbia; ma però è buono a dire qualche sproposito, almeno si spinge a dire qualche cosa, e si ha il bene di sentire la sua voce, che fa ritornare di morte a vita”. E pensavo che altro sproposito potrei dire. In questo mentre si è mosso di nuovo ed ha replicato:
(6) “Tu vuoi tentarmi, non Io, e poi finisci col dubitare delle mie verità”.
(7) Ed ha fatto silenzio. Io mi sentivo confusa ed andavo pensando a ciò che mi aveva detto, ma chi può dirle tutte, sono cose che non si possono esprimere.
(1) Trovandomi nel solito mio stato, stavo pensando alla passione di Nostro Signore, e mentre ciò facevo è venuto e mi ha detto:
(2) “Figlia mia, è tanto gradito chi va ruminando sempre la mia passione, e ne sente dispiacere e mi compatisce, che mi sento come rinfrancato da tutto ciò che soffrii nel corso della mia passione, e l’anima, ruminandola sempre, viene ad apprestare un cibo continuo, e in questo cibo ci sono tanti diversi condimenti e sapori che formano diversi effetti, sicché se nel corso della mia passione mi diedero funi e catene per legarmi, l’anima mi scioglie e mi dà la libertà; quelli mi disprezzarono, mi sputarono e disonoravano, essa mi apprezza, mi pulisce da quei sputi e mi onora; quelli mi spogliarono e mi flagellarono, essa mi risana e mi veste; quelli mi coronarono di spine trattandomi da re di burla, mi amareggiarono la bocca di fiele e mi crocifissero, l’anima ruminando tutte le mie pene, mi corona di gloria e mi onora per suo re, mi riempie la bocca di dolcezza dandomi il cibo più squisito qual’é la memoria delle mie stesse opere, e schiodandomi dalla croce mi fa risorgere nel suo cuore, dandole Io per ricompensa, ogniqualvolta che fa ciò, una nuova vita di grazia, sicché essa è il mio cibo, ed Io mi faccio suo cibo continuo. Onde la cosa che più mi piace è il ruminare sempre la mia passione”.
(1) Continuando il mio solito stato, stavo dicendo al benedetto Gesù, oh! quanto vorrei amarvi per essere più amata da Voi. E Lui nel mio interno mi ha detto:
(2) “T’amo tanto, che mai ti lascio, ed abito in te continuamente”.
(3) Ed io: Grazie della vostra benignità d’abitare in me, ma non sono tanto contenta, sarei più contenta e mi sentirei più sicura se io potessi abitare in Voi”.
(4) E Lui: “Ah! figlia mia, nel tempo tu darai l’abitazione a Me, nell’eternità Io la darò a te, e sii pur contenta e sicura ché Colui che abita in te tiene potenza da mantenere consolidata e libera da ogni pericolo la sua abitazione”.
(1) Oh! quanto ho stentato e sofferto per la sua privazione. Onde dopo molto, appena alla sfuggita si è fatto vedere e mi ha detto:
(2) “Figlia mia, se la perfetta rassegnazione è il segno certo e sicuro della predestinazione, la croce allarga i confini del regno del Cielo”. E come lampo è sparito via.
(1) Trovandomi fuori di me stessa vedevo le tante offese che si fanno da sacerdoti e da persone religiose, e il dispiacere grande che il benedetto Gesù ne sentiva. Onde io, quasi meravigliandomi ho detto: “Dolce mia vita, è vero che le persone religiose vi offendono, ma pare a me che i secolari v’offendono maggiormente, eppure mostrate più dispiacere di quelli che di questi, pare che siete tutt’occhi per guardare tutto ciò che fanno i primi, e mostrate di non guardare ciò che fanno i secondi”.
(2) E Lui: “Ah! figlia mia, tu non puoi comprendere la diversità che passa tra le offese dei religiosi e quelle dei secolari, perciò ti meravigli. I religiosi hanno dichiarato di appartenermi, d’amarmi e di servirmi, ed Io li ho affidato i tesori della mia Grazia, e ad altri i tesori dei sacramenti, quali sono i sacerdoti. Ora fingendo di appartenermi nell’esterno, nel loro interno se occorre sono da Me lontani, fanno vedere d’amarmi e di servirmi, ed invece mi offendono, e si servono delle cose sante per servire le loro passioni, perciò sono tutt’occhi per non farle sciupare i miei doni, le mie grazie, e ad onta delle mie premure, giungono a farne scempio in quelle stesse cose che nell’esterno pare che mi stanno glorificando, questa è un offesa tanto grave, che se tu la potessi comprendere ne morresti di crepacuore. Invece, i secolari dichiarano di non appartenermi, di non conoscermi e di non volermi servire, ed è la prima cosa che sono liberi dello spirito d’ipocrisia, la cosa che più mi dispiace. Quindi avendosi dichiarato, non l’ho potuto affidare i miei doni, sebbene la Grazia li eccita, li combatte, ma non si è donata, ché non la vogliono. Succede come ad un re, che avendo mosso battaglia per liberare i popoli dalla schiavitù in cui sono tenuti dagli altri re, a forza di sangue è giunto a liberare parte di quei popoli, quindi se li è messo sotto il suo dominio, provvedendoli di tutto, e se occorre dandoli ad abitare la sua stessa abitazione. Or, di chi si dispiacerebbe di più se l’offendono, di quei popoli che sono rimasti da lui lontani, che pure voleva liberare, o di quei che vivono con lui?”