MaM
Messaggio del 25 maggio 2017:Cari figli! L’Altissimo mi ha permesso di invitarvi di nuovo alla conversione. Figlioli, aprite i vostri cuori alla grazia alla quale tutti siete chiamati. Siate testimoni della pace e dell’amore in questo mondo inquieto. La vostra vita qui sulla terra è passeggera. Pregate affinché attraverso la preghiera aneliate al cielo e alle cose celesti ed i vostri cuori vedranno tutto in modo diverso. Non siete soli, Io sono con voi e intercedo per voi presso mio Figlio Gesù. Grazie per aver risposto alla mia chiamata.

Messaggi di altre apparizioni

Luisa Piccarreta (Libro di Cielo)

2-20 Maggio 7, 1899 Della purità d’intenzione e la vera carità.

(1) Mentre al giorno ho fatto la meditazione, Gesù continuava a farsi vedere a me vicino e mi ha detto:

(2)La mia persona è circondata da tutte le opere che si fanno dalle anime, come da una veste, e a misura della purità d’intenzione e dell’intensità dell’amore con cui si fanno, così mi danno più splendore ed Io darò a loro più gloria, tanto che nel giorno del giudizio le mostrerò a tutto il mondo per far conoscere a tutto il modo come mi hanno onorato i miei figli ed il modo come Io onoro loro”.

(3) Prendendo un’aria più afflitta ha soggiunto:

(4)Figlia mia, che sarà di tante opere, anche buone, fatte senza retta intenzione, per usanza e per fine d’interesse? Qual vergogna non sarà di loro nel giorno del giudizio, nel vedere tante opere buone in sé stesse, ma marcite dalla loro intenzione, che invece di renderle onore come a tanti altri, le stesse loro azioni le renderanno vergogna? Perché non sono le opere grandi che miro, ma l’intenzione con cui si fanno, qui è tutta la mia attenzione”.

(5) Per poco Gesù ha fatto silenzio, ed io pensavo alle parole che aveva detto mentre andavo ruminando nella mia mente, specialmente sulla purità dell’intenzione e come facendo il bene alle creature, le stesse devono scomparire, facendo una la creatura con lo stesso Signore e fare come se le creature non esistessero, Gesù ha ripreso il suo dire dicendomi:

(6)Eppure così è. Vedi, il mio cuore è larghissimo, ma la porta è strettissima, nessuno può riempire il vuoto di questo cuore, se non che le anime distaccate, nude e semplici, perché come tu vedi, essendo la porta piccola, qualunque impedimento, anche minimo, cioè: Un’ombra d’attacco, un’intenzione storta, un’opera senza il fine di piacermi impedisce che entrino a deliziarsi nel mio cuore. L’amore del prossimo molto ne va nel mio cuore, ma dev’essere tanto congiunto al mio, in modo che deve formare uno solo, senza potersi discernere uno dall’altro; ma quell’altro amore del prossimo che non è trasformato nel mio amore, Io non lo guardo come cosa che a Me appartiene”.

2-21 Maggio 9, 1899 Lamenti, domande, colloquio con Gesù.

(1) Questa mattina mi trovavo in un mare d’afflizione per la perdita di Gesù. Dopo molto stentare Gesù è venuto, e tanto si stringeva a me vicino, che non potevo neppure vederlo, giungeva a mettere la sua fronte sulla mia, il suo volto poggiava proprio sul mio, e così tutte le altre membra. Ora, mentre Gesù stava in questa posizione gli ho detto: “Mio adorabile Gesù, non mi vuoi più bene”.

(2) E Lui: “Se non ti volevo bene, non mi stavo tanto a te vicino”.

(3) Ed io ho ripreso: “Come mi dici che mi vuoi bene se non mi fai più soffrire come prima? Temo che non mi si vuole più in questo stato, almeno liberami pur dal fastidio del confessore”.

(4) Mentre ciò dicevo pareva che Gesù non dava retta al mio dire e mi faceva vedere moltitudine di gente, che commettevano ogni specie di nefandezze e Gesù, sdegnato con loro, faceva piombare in mezzo ad essi diverse specie di malattie contagiose, e molti morivano neri come carboni, pareva che Gesù sterminava dalla faccia della terra quella moltitudine di gente. Mentre ciò vedevo, ho pregato Gesù che versasse in me le sue amarezze, acciocché potesse risparmiare le gente, ma neppure mi dava retta a questo e rispondendomi alle parole che prima le avevo detto, ha soggiunto:

(5)Il più grande castigo che posso dare a te, al sacerdote e al popolo, è se ti liberassi da questo stato di sofferenze. La mia Giustizia si sfogherebbe in tutto il suo furore, perché non troverebbe più alcuna opposizione. Tanto vero, che il peggiore male per uno è essere messo ad un ufficio e poi essere deposto, meglio per lui se non fosse stato commesso quell’ufficio, perché abusando e non profittando se ne rende indegno”.

(6) Poi Gesù ha seguitato a venire quest’oggi parecchie volte, ma tanto afflitto che muoveva a pietà e a lacrime, forse alle stesse pietre. Per quanto ho potuto cercavo di consolarlo, or me l’abbracciavo, or gli sostenevo la testa molto sofferente, or gli dicevo: “Cuore del mio cuore Gesù, non è stato mai tuo solito comparirmi così afflitto, se altre volte ti sei fatto vedere afflitto, col versare in me subito dopo hai cambiato aspetto, ma ora mi viene negato di darti questo sollievo. Chi doveva dirlo, che dopo tanto tempo che ti sei benignato di versare e di farmi partecipe delle tue sofferenze e che Tu stesso hai fatto tanto per dispormi, a quest’ora dovevo restarne priva? Era il patire per tuo amore l’unico mio sollievo, era il patire che mi faceva sopportare l’esilio del Cielo, ma adesso, mancandomi questo mi sento che non ho dove più appoggiarmi e mi viene a noia la vita. Deh! oh Sposo santo, amato Bene, cara mia Vita, deh! fammi tornare le pene, dammi il patire, non guardare la mia indegnità ed i miei gravi peccati, ma la tua gran Misericordia che non è esaurita”.

(7) Mentre in questo mi sfogavo con Gesù, avvicinandosi più a me mi ha detto:

(8)Figlia mia, è la mia Giustizia che vuole sfogarsi sulle creature; il numero dei peccati negli uomini quasi è completo e la Giustizia vuole uscire fuori, per farne pompa del suo furore e ripararsi delle ingiustizie degli uomini. Ecco, per farti vedere quanto sono amareggiato e per contentarti un po’, voglio versare il solo mio alito in te”.

(9) E così, avvicinando le sue labbra alle mie mi mandava il suo respiro, che, tanto amaro, che mi sentivo attossicare la bocca, il cuore e tutta la persona. Se il solo suo alito era così amaro, che sarà del resto di Gesù? Mi ha lasciato tanto una pena, che mi sentivo trafiggere il cuore.

2-22 Maggio 12, 1899 Gesù la contenta, versa dal Costato dolcezze e amarezze. Passa la giornata insieme con Gesù.

(1) Questa mattina il mio adorabile Gesù, continuando a farsi vedere afflitto, mi ha trasportato fuori di me stessa e mi faceva vedere le varie offese che riceveva, ed io l’ho incominciato a pregare di nuovo che versasse in me le sue amarezze. Gesù da principio non mi dava retta e solo mi ha detto:

(2)Figlia mia, la carità allora è perfetta quando è fatta per il solo fine di piacermi ed allora è della vera e viene riconosciuta da Me quando è spogliata del tutto”.

(3) Io, prendendo occasione dalle sue stesse parole gli ho detto: “Gesù mio caro, è per questo appunto che voglio che Tu versi in me le proprie amarezze, per poterti sollevare da tante pene, e se ti prego che risparmi pur le creature, è perché ricordo bene che Tu in altre occasioni, dopo che avevi castigato le creature, nel vederle soffrire tanto la povertà che altre cose, molto anche hai sofferto. Invece, quando io sono stata accorta e ti ho pregato ed importunato fino a stancarti, tanto che ti sei ben compiaciuto di versare in me, risparmiando loro, dopo ne sei pur restato molto contento, non ve ne ricordate? E poi, non sono tue immagini?”

(4) Gesù, vedendosi convinto, mi ha detto: “Per te è necessario contentarti, avvicinati e bevi al mio costato”.

(5) Così feci, mi avvicinai per bere al costato, ma invece di venire l’amarezza, succhiavo un sangue dolcissimo, che tutta m’inebriava d’amore e di dolcezza, si, ne ero contenta, ma non era questa la mia intenzione, perciò a Lui rivolta gli dissi: “Caro mio bene, che fai? Non è amaro quello che viene, ma dolce. Deh! ti prego, versa Tu in me le tue proprie amarezze”. E Gesù guardandomi benignamente, mi disse:

(6)Continua a bere, che appresso verrà l’amaro”.

(7) Così, mettendomi di nuovo al costato, dopo che continuò a venire il dolce, venne anche l’amaro. Ma chi può dire l’intensità dell’amarezza? Dopo che mi saziai di bere mi levai e guardando la testa che teneva la corona di spine, la tolsi e la conficcai sulla mia testa e Gesù pareva tutto condiscendente, mentre in altre volte non aveva ciò permesso. Quanto era bello vedere Gesù dopo che versò le sue amarezze! pareva quasi disarmato, senza fortezza, ma tutto mansueto, come un umile agnellino, tutto condiscendente. Io avvertì che l’ora era tardissima e siccome il confessore era stato subito questa mattina a chiamarmi all’ubbidienza, quindi, non è che sapevo che dovevo essere chiamata dall’ubbidienza, che all’ubbidienza Gesù mi lascia libera, perciò a Lui rivolta gli ho detto: “Gesù dolcissimo, non permettere che io sia di disturbo alla famiglia e di fastidio al confessore col farlo venire di nuovo, deh! ti prego, fammi Tu stesso ritornare in me stessa”. Gesù mi ha detto:

(8)Figlia mia, non ti voglio lasciare quest’oggi”.

(9) Ed io: “Anch’io non ho cuore di lasciarti, ma un pochettino solo, quando mi faccio vedere alla famiglia che sto in me stessa e poi ritorneremo a stare insieme”. Così, dopo un lungo contrasto, dandoci un addio a vicenda mi ha lasciato un poco. Era appunto l’ora del pranzo e la famiglia allora veniva a chiamarmi, ma che, sebbene mi sentivo in me stessa, ma mi sentivo tutta piena di sofferenza, la testa non mi reggeva; quell’amaro e quel dolce bevuto al costato di Gesù, mi dava tanta sazietà e sofferenza insieme, che mi riusciva impossibile poter prendere nessun’altra cosa. La parola data a Gesù mi faceva stare sulle spine; così, sotto il pretesto che mi doleva la testa ho detto alla famiglia: “Lasciatemi sola, che non voglio niente”. E così sono lasciata libera di nuovo e subito ho incominciato a chiamare il mio dolce Gesù e Lui sempre benigno è ritornato, ma chi può dire ciò che sono passata quest’oggi, quante grazie Gesù ha fatto all’anima mia, quante cose mi ha fatto capire? E’ impossibile poterlo esprimere a parole. Così, dopo un lungo stare, Gesù, per calmare le mie sofferenze, dalla sua bocca ha versato un latte dolce e poi verso sera mi ha lasciato col darmi la parola che subito sarebbe ritornato e così mi sono trovata in me stessa di nuovo, ma un poco più libera di sofferenze.

2-23 Maggio 16, 1899 Gesù parla della croce e si lamenta delle anime devote.

(1) Gesù ha seguitato per altri giorni a manifestarsi allo stesso modo, di non volersi distaccare da me. Pareva che quel poco di sofferenze che aveva versato in me lo attiravano tanto, che non sapeva stare senza di me. Questa mattina ha versato un altro poco d’amarezza dalla sua bocca nella mia e dopo mi ha detto:

(2) “La croce dispone l’anima alla pazienza. La croce apre il Cielo ed unisce insieme Cielo e terra, cioè, Dio e l’anima. La virtù della croce è potente e quando entra in un’anima, ha la virtù di togliere la ruggine di tutte le cose terrene, non solo, ma le dà la noia, il fastidio, il disprezzo delle cose della terra ed invece, poi le rende il sapore, il gradimento delle cose celesti, ma da pochi viene riconosciuta la virtù della croce, perciò la disprezzano”.

(3) Chi può dire quante cose ho compreso della croce mentre Gesù parlava? Il parlare di Gesù non è come il nostro, che tanto si capisce quanto si dice, ma una sola parola lascia una luce immensa, che ruminandola bene, potrebbe far stare occupato tutto il giorno in profondissima meditazione. Perciò, se io volessi dire tutto, andrei troppo per le lunghe ed anche mi mancherebbe il tempo a farlo. Dopo poco, Gesù è ritornato di nuovo, ma un poco più afflitto. Io subito ho domandato la cagione e Gesù mi ha fatto vedere molte anime devote e mi ha detto:

(4) “Figlia mia, quello che guardo in un’anima è quando si spoglia della propria volontà, allora la mia Volontà l’investe, la divinizza e la fa tutta mia. Vedi un po’ queste anime che si dicono devote, fino a tanto che le cose vanno a loro modo, poi una piccola cosa, se non sono lunghe le loro confessioni, se il confessore non le soddisfa, perdono la pace e certune giungono a non volerne fare più niente. Questo dice che non è la mia Volontà che le predomina, ma la loro. Credi pure oh figlia mia che hanno sbagliato la strada, perché quando veggo che davvero vogliono amarmi, ho tanti modi di poter dare la mia Grazia”.

(5) Quanta pena faceva vedere Gesù soffrire da questa sorta di gente. Ho cercato di compatirlo per quanto ho potuto e così è finito.

2-24 Maggio 19, 1899 L’umiltà è la sicurezza dei favori celesti.

(1) Questa mattina mi sentivo un timore che non fosse Gesù, ma il demonio che mi volesse illudere. Gesù è venuto e vedendomi con questo timore mi ha detto:

(2) “L’umiltà è la sicurezza dei favori celesti. L’umiltà veste l’anima d’una sicurezza tale, in modo che le astuzie del nemico non vi penetrano dentro. L’umiltà mette in salvo tutte le grazie celesti, tanto, che dove veggo l’umiltà, abbondantemente faccio scorrere qualunque specie di favori celesti. Perciò non voler disturbarti per questo, ma con occhio semplice guarda sempre nel tuo interno se sei investita della bella umiltà e di tutto il resto non curarti di niente”.

(3) Poi mi ha fatto vedere molte persone religiose e tra queste, sacerdoti anche di santa vita, ma per quanto buoni fossero, non vi era in loro quello spirito di semplicità nel credere alle tante grazie ed ai tanti diversi modi che il Signore tiene con le anime. E Gesù mi ha detto:

(4) “Io mi comunico già agli umili che ai semplici, perché subito danno credenza alle mie grazie e le tengono in gran conto, sebbene fossero ignoranti e poveri. Ma con questi altri che tu vedi, Io sono molto restio, perché il primo passo che avvicina l’anima a Me è la credenza; onde avviene di questi tali, che con tutta la loro scienza e dottrina ed anche santità, non provano mai un raggio di luce celeste, cioè, camminano per la via naturale e mai giungono a toccare neppure per un tantino ciò che è soprannaturale. Eccoti pure la causa perché nel corso della mia vita mortale non ci fu neppure un dotto, un sacerdote, un potente nel mio seguito, ma tutti ignoranti e di bassa condizione, perché più umili e semplici ed anche più facili a fare dei grandi sacrifici per Me”.

2-25 Maggio 23, 1899 Gesù scherza e parla del vero distacco.

(1) Questa volta il mio adorabile Gesù voleva giocare un poco; veniva, faceva vedere che mi voleva sentire, ma mentre mi mettevo a dire, come un lampo mi scompariva dinanzi. Oh! Dio, che pena. Mentre il mio cuore nuotava in questa pena amarissima della lontananza di Gesù ed ancora quasi un po’ inquieto, Gesù è ritornato di nuovo dicendomi:

(2) “Che c’è, che c’è? Più quieta, più calma. Dì, dì, che vuoi?”

(3) Ma nell’atto di dire, è scomparso. Ho fatto quanto ho potuto per quietarmi, ma che, dopo qualche tempo il mio cuore è tornato pur a non saper darsi pace senza del suo unico e solo conforto e forse più di prima. Gesù, ritornando di nuovo, mi ha detto:

(4) “Figlia mia, la dolcezza ha la virtù di far cambiare la natura alle cose, sa l’amaro ben convertire in dolce, perciò, più dolce, più dolce”.

(5) Ma però senza darmi tempo di dire una sola parola. Così ho passato questa mattina.

(6) Dopo ciò mi sono sentita fuori di me stessa, insieme con Gesù. Ci stavano molte persone; chi ambiva la ricchezza, chi l’onore, chi la gloria e chi fin la santità e tante altre cose, ma non per Dio, sebbene per essere tenuto per qualche gran che dalle creature. Gesù, rivolto a loro, tentennando la testa, loro ha detto:

(7) “Stolti che siete, che vi state lavorando la rete come imbrogliarvi”.

(8) Poi, rivolto a me, mi ha detto:

(9) “Figlia mia, perciò la prima cosa che tanto raccomando è il distacco da tutte le cose ed anche da loro stesse e quando l’anima si è distaccata da tutto, non ha bisogno di farsi forza per stare lontana da tutte le cose della terra, che da sé stesse le vanno intorno, ma vedendosi non curate, anzi disprezzate, dandole un addio si licenziano per non darle più molestia”.

2-26 Maggio 26, 1899. Vede il proprio nulla.Gesù la ammaestra.

(1) Questa mattina mi trovavo in un annientamento di me stessa, fino a sentirmi esosa ed infastidita. Mi pareva essere più abominevole che trovar si potesse. Mi vedevo come un piccolo verme che si volgeva e si rivolgeva, ma sempre lì, nel fango rimaneva, senza poter dare un passo. Oh! Dio, che miseria umana, eppure dopo tante grazie elargitemi, sono così cattiva ancora! Il mio buon Gesù, sempre benigno con questa miserabile peccatrice, è venuto e mi ha detto:

(2) “Il disprezzo di te stessa allora è lodevole quando è ben investito dallo spirito della fede; ma quando non è investito dallo spirito di fede, invece di farti bene ti potrà nuocere, perché vedendoti quale tu sei, che non puoi fare niente di bene, sconfiderai, rimarrai abbattuta, senza fidarti di dare un passo nella via del bene, ma appoggiandoti a Me, cioè investendoti dallo spirito di fede, verrai a conoscere e disprezzare te ed insieme a conoscere Me, confidandoti di tutto poter operare coll’aiuto mio, ed ecco che facendo in questo modo, camminerai secondo la verità”.

(3) Quanto bene ha fatto all’anima mia questo parlare di Gesù; ho compreso che devo entrare nel mio nulla e conoscere chi sono io, ma non devo lì fermarmi, ma subito dopo conosciuta me stessa, devo volare nel mare immenso di Dio, e lì fermarmi ad attingere tutte le grazie che bisognano all’anima mia; altrimenti la natura resta infiacchita ed il demonio cercherà mezzi come gettarla nella sconfidenza.

(4) Sia benedetto sempre il Signore, e tutto a gloria sua sempre sia.

2-27 Maggio 31, 1899 Lamenti che Gesù fa del confessore.

(1) Questa mattina, stando nel mio solito stato, il mio adorabile Gesù è venuto e nell’atto stesso ho veduto il confessore. Gesù si mostrava un po’ dispiaciuto con lui, perché pareva che il confessore volesse che tutti approvassero che fosse opera di Dio il fatto mio, e voleva quasi convincere col manifestare qualche cosa del mio interno ad altri sacerdoti. Gesù si è voltato al confessore e gli ha detto:

(2) “Questo è impossibile, e fui Io, ed ebbi dei contrari e da persone delle più riguardevoli ed anche da sacerdoti ed altre dignità, ebbero chi ridire sulle mie sante opere, fino a tacciarmi da indemoniato. Questi contrasti, anche da persone religiose, Io li permetto per fare che a suo tempo potesse più rilucere la verità. Che vuoi consigliarti per due o tre sacerdoti dei più buoni e santi ed anche dotti, per averne lume ed anche per fare ciò che voglio Io nelle cose da farsi, qual’è il consiglio dei buoni e la preghiera, questo Io lo permetto, ma il resto no, no; sarebbe un voler farne sciupio delle opere mie e metterle in burla, ciò che molto Mi dispiace”.

(3) Poi disse a me: “Quello che voglio da te è un operare retto e semplice, che del pro e contro delle creature non ti curare, lasciale pensare come vogliono, senza prenderti il minimo fastidio, che il volere che tutti fossero favorevoli è un voler fuorviare dall’imitazione della mia Vita”.

2-28 Giugno 2, 1899. Sulla conoscenza di noi stessi.

(1) Il mio dolcissimo Gesù questa mattina mi ha voluto far toccare con le proprie mani il mio nulla. Nell’atto che si è fatto vedere, le prime parole che mi ha indirizzato sono state:

(2) “Chi sono Io, e chi sei tu?”

(3) In queste due parole vidi due luci immense: In una comprendevo Dio, nell’altra vedevo la mia miseria, il mio nulla. Mi vedevo non essere altro che un’ombra, come quell’ombra che fa il sole nell’irradiare la terra, che dipende dal sole, che passando per essa ad altri punti, l’ombra finisce d’esistere fuori del suo splendore. Così l’ombra mia, cioè il mio essere, dipende dal mistico Sole Iddio, e che in un semplice istante può disfare quest’ombra. Che dire poi, come ho deformato quest’ombra che il Signore mi ha dato, non essendo neppure mia? Fa orrore a pensarlo, puzzolente, putrida, tutta verminosa, eppure in questo stato così orrido, ero costretta a stare innanzi ad un Dio sì santo, oh! come sarei stata contenta se mi fosse dato nascondere nei più cupi abissi.

(4) Dopo ciò Gesù mi ha detto: “Il favore più grande che posso fare ad un’anima, è il farle conoscere sé stessa, la conoscenza di sé e la conoscenza di Dio, vanno pari passo, per quanto conoscerai te stessa, altrettanto conoscerai Dio. L’anima che ha conosciuto sé stessa, vedendosi che da sé non può niente operare di bene, quest’ombra del suo essere la trasforma in Dio e ne avviene che in Dio fa tutte le sue operazioni. Succede che l’anima sta in Dio e cammina presso di Lui, senza guardare, senza investigare, senza parlare, in una parola, come morta, perché conoscendo a fondo il suo nulla, non ardisce di fare niente da sé, ma ciecamente segue il tiro delle operazioni del Verbo”.

(5) A me sembra che all’anima che conosce sé stessa, succede come a quelle persone che vanno in vapore, che mentre passano da un punto all’altro, senza fare un passo da sé stesse, fanno dei lunghi viaggi, ma tutto ciò in virtù del vapore che le trasporta. Così l’anima, mettendosi in Dio, come le persone in vapore, fa dei sublimi voli nella via della perfezione, ma conoscendo appieno che non essa, ma in virtù di quel Dio benedetto che la porta in Sé. Oh! come il Signore favorisce, arricchisce, concede le grazie più grandi, sapendo che non a sé, ma tutto a Lui attribuisce. Oh! anima che conosci te stessa, quanto tu sei fortunata!

2-29 Giugno 3, 1899 Gesù versa le sue amarezze.

(1) Questa mattina mi trovavo in un mare d’afflizione, che Gesù non era venuto ancora, sentivo tale pena, che mi sentivo strappare il cuore. Quando è venuto il confessore per chiamarmi all’ubbidienza, che doveva celebrare la santa messa e Gesù senza farsi vedere neppure l’ombra, come è suo solito, che quando non viene si fa vedere una mano, un braccio, specialmente quando è giorno di far la comunione, come questa mattina, Lui stesso viene, mi purifica, mi prepara per ricevere Lui stesso sacramentalmente. Dicevo tra me: “Sposo santo, Gesù amabile, come non venite Voi stesso a prepararmi? Come potrò ricevervi?” Ma intanto, il tempo è giunto, il confessore è venuto, ma Gesù senza venirci affatto. Che pena straziante, quante lacrime amare!

(2) Il confessore mi ha detto: “Lo vedrai nella comunione e gli dirai per ubbidienza perché non viene e che cosa vuole da te”.

(3) Così dopo la comunione ho veduto il mio buon Gesù, sempre benigno con questa miserabile peccatrice. Mi ha trasportato fuori di me stessa ed io lo tenevo in braccia, era da bambino, tutto afflitto. Io subito ho incominciato a dire: “Bambinello mio, solo ed unico mio bene, com’è che non vieni? In che ti ho offeso? Che cosa vuoi da me che mi fai così tanto piangere?” E nell’atto di dire, era tanta la pena, che con tutto ciò che lo tenevo fra le mie braccia, continuavo a piangere. Ma anche prima che finissi di dire l’ultima parola, Gesù, avvicinando la sua bocca alla mia, ha versato le sue amarezze, senza rispondermi una parola. Quando finiva di versare, io incominciavo di nuovo a dire, ma Gesù senza darmi retta, si metteva di nuovo a versare. Dopo ciò, senza rispondermi niente a ciò che io volevo, mi ha detto:

(4) “Fammi versare in te, altrimenti, come ho distrutto con la grandine altri punti, così distruggerò le parti vostre; perciò fammi versare e non pensare ad altro”.

(5) Così, senza dirmi altro è finito.