MaM
Messaggio del 1 agosto 1985:Cari figli, desidero dirvi che ho scelto questa parrocchia e che la tengo nelle mie mani come un piccolo fiore che non vuole morire. Io vi invito ad abbandonarvi a me, perché io possa donarvi a Dio freschi e senza peccato. Satana ha preso una parte del mio piano e vuole farlo proprio. Pregate perché ciò non avvenga, poiché io vi voglio per me, per potervi donare a Dio. Grazie per aver risposto alla mia chiamata!

Messaggi di altre apparizioni

Luisa Piccarreta (Libro di Cielo)

13-57 Febbraio 2, 1922 La Divina Volontà è seme che moltiplica le immagine di Dio. Per operare Gesù in noi, ci vuole somma uguaglianza in tutte le nostre cose.

(1) Questa mattina, il mio sempre amabile Gesù è venuto tutto bontà e dolcezza; portava una corda al collo ed in mano uno strumento come se volesse fare qualche cosa. Onde si è tolta la corda dal collo ed ha cinto il mio, poi ha fissato lo strumento nel centro della mia persona, e d’un diametro che faceva girare da una rotella che vi stava nel centro di quello strumento, mi misurava tutta per vedere se in tutte le parti della mia persona, trovasse tutte le parti eguali, Lui era tutto attento per vedere se il diametro, nel girare che faceva, trovava la perfetta uguaglianza, ed avendola trovato ha dato un sospiro di grande contento, dicendo:

(2) “Se non l’avessi trovato eguale non avrei potuto compiere ciò che voglio; a qualunque costo sono deciso di farne un portento della grazia”.

(3) Ora, quella rotella che stava nel centro pareva che fosse una rotella di sole, e Gesù si rimirava dentro per vedere se la sua adorabile persona ricompariva tutta intera in quella rotella di sole, e ricomparendo, tutto contento pareva che pregava. In questo mentre è scesa dal Cielo un’altra rotella di luce, simile a quella che tenevo nel centro della mia persona, ma senza distaccare i raggi da dentro il Cielo, e si sono immedesimate insieme e Gesù le ha impresse in me con le sue santissime mani ed ha soggiunto:

(4) “Per ora l’incisione l’ho fatto, il suggello l’ho messo, poi penserò a svolgere ciò che ho fatto”.

(5) Ed è scomparso. Io sono rimasta stupita, ma non so che cosa sia. Solo ho capito che per operare Gesù in noi, ci vuole somma uguaglianza in tutte le cose, altrimenti Lui opera ad un punto dell’anima nostra, e noi distruggiamo ad un altro punto. Le cose ineguali sono sempre moleste, difettose, e se si vuole poggiare qualche cosa, c’è pericolo che la parte ineguale la faccia andare per terra. Un giorno, un’anima che non è sempre uguale vuol fare il bene, vuol sopportare tutto; un altro giorno non si riconosce più: svogliata, impaziente, sicché non si può fare nessun assegnamento su di lei. Dopo ciò il mio Gesù è ritornato, ed avendomi tirato nel suo Volere mi ha detto:

(6) “Figlia mia, la terra, col gettare il seme dentro di essa germoglia, moltiplica il seme che si è gettato. La mia Volontà si stende più che terra e vi getta il seme del mio Volere nelle anime, e fa germogliare e moltiplicare tant’altre mie immagini simili a Me. Il mio Volere germoglia i miei figli e li moltiplica. Sappi però che gli atti fatti nel mio Volere sono come il sole, che tutti pretendono la luce, il calore ed il bene che contiene il sole, né nessuno può impedire che si godesse dei beni di esso, senza che uno defraudi l’altro tutti ne godono, tutti sono proprietari del sole, ognuno può dire: il sole è mio. Così gli atti fatti nel mio Volere, più che sole, sono voluti e pretesi da tutti, li aspettano le generazioni passate, per ricevere su tutto ciò che hanno fatto la luce smagliante del mio Volere; li aspettano i presenti, per sentirsi fecondare ed investire da questa luce; li aspettano i futuri, per compimento del bene che faranno. Insomma, la mia Volontà sono Io, e gli atti fatti nel mio Volere gireranno sempre nella ruota interminabile dell’eternità per costituirsi vita, luce e calore di tutti”.

13-58 Febbraio 4, 1922 Le anime che vivono nella Divina Volontà prendono parte della attività eterna della Divina Volontà.

(1) Continuando il mio solito stato, il mio dolce Gesù nel venire mi ha detto:

(2) “Figlia mia, le anime che vivono nella mia Volontà sono le piccole rotelle che girano nella gran ruota dell’eternità. La mia Volontà è il moto e la vita della ruota dell’eternità interminabile; come esse entrano nel mio Volere per pregare, per amare, per operare, ecc., la ruota dell’eternità le fa girare nella sua circonferenza interminabile, ed esse, siccome in quella ruota trovano tutto ciò che si è fatto e si deve fare, tutto ciò che dovrebbe farsi e non si fa, sicché come girano così gettano luce ed ondate divine in ciò che si è fatto e si deve fare, dando a nome di tutti l’onore divino al loro Creatore, e rifanno ciò che dalle creature non è stato fatto. Oh! com’è bello vedere entrare un’anima nel mio Volere, come entra, la gran ruota dell’eternità le dà la corda per farla girare nella sua gran mole, e la piccola rotella fa dei giri eterni; la corda della gran ruota la mette in comunicazione con tutte le corde divine, e mentre gira fa ciò che fa il suo stesso Creatore, perciò esse sono come le prime da Me create, e come le ultime, perché nel girare si trovano al principio, nel mezzo ed alla fine; onde saranno la corona di tutta l’umana famiglia, la gloria, l’onore ed il supplemento di tutto, ed il ritorno a Dio di tutto l’ordine delle cose da Lui create. Perciò i tuoi giri siano continui nel mio Volere, Io ti darò la corda e tu ti presterai a riceverla, non è vero?”

(3) Dopo ha soggiunto: “Non hai detto tutte le girate che fa la rotella della tua volontà nella gran ruota dell’eternità”.

(4) Ed io: “Come potevo dirle se non lo so?”

(5) E Lui: “Come l’anima entra nella mia Volontà, ed anche una semplice adesione, un abbandono, Io le do la corda per farla girare, e sai quante volte gira? Gira per quante intelligenze pensano, quanti sguardi danno le creature, quante parole dicono, quante opere e quanti passi si fanno, girano ad ogni atto divino, ad ogni moto, ad ogni grazia che dal Cielo scende, insomma, in ciò che si fa in Cielo e in terra loro formano il giro, il girare di queste rotelle sono veloci, rapidi, sicché sono incalcolabili a loro stesse, ma Io li numero tutti, prima per prendermi la gloria, l’amore eterno che mi danno, e poi per fondere tutto il bene eterno, per dar loro la capacità di farli sorpassare tutto per poter abbracciare tutti e farsi corona di tutto”.

13 [1] I. M. I. Amore mio e vita mia, guida Tu la mia mano e sii insieme con me nello scrivere, sicché non io, ma Tu farai tutto, mi detterai le parole affinché siano tutte luce di verità, non permettere che metta niente di me, anzi fa’ che io scomparisca affinché tutto Tu faccia, e tutto tuo sia l’onore e la gloria, io faccio ciò solo per obbedire, e Tu non negarmi la tua grazia.

14-1 Febbraio 4, 1922 L’amore ramingo e respinto dà in singhiozzo di pianto.

(1) Trovandomi nel solito mio stato, il mio sempre amabile Gesù si faceva vedere tutto affannato, il suo respiro era fuoco, e stringendomi a Sé mi ha detto:

(2) “Figlia mia, voglio refrigerio alle mie fiamme, voglio sfogare il mio amore, ma il mio amore è respinto dalle creature. Tu devi sapere che Io nel creare l’uomo, misi fuori da dentro la mia Divinità una quantità d’amore che doveva servire come vita primaria delle creature, per arricchirsi, per sostenersi, per fortificarsi, e per aiuto in tutti i loro bisogni, ma l’uomo respinge quest’amore ed il mio amore va ramingo dacché fu creato l’uomo e gira sempre senza mai fermarsi, e respinto d’uno corre ad un altro per darsi, e come è respinto dà in singhiozzo di pianto, sicché l’incorrispondenza forma il singhiozzo di pianto dell’amore. Onde, mentre il mio amore va ramingo e corre per darsi, se vede uno debole, povero, dà in singhiozzo di pianto e gli dice: “Ahi, se non mi facessi andare 13[1] Questo libro è stato copiato direttamente dal originale manoscritto di Luisa Piccarreta ramingo e mi avessi dato alloggio nel tuo cuore, saresti stato forte e nulla ti mancherebbe”. Se vede un altro caduto nella colpa dà in singhiozzo: “Ahi! se mi avessi dato l’entrata nel tuo cuore non saresti caduto”. Per quell’altro che vede trascinato dalle passioni, infangato di terra, l’amore piange e singhiozzando gli ripete: “Ahi! se avessi preso il mio amore, le passioni non avrebbero vita su di te, la terra non ti toccherebbe, il mio amore ti basterebbe per tutto”. Sicché in ogni male dell’uomo, piccolo oppure grande, lui ha un singhiozzo di pianto e continua ad andar ramingo per darsi all’uomo, e quando nell’orto del Getsemaní si presentarono tutti i peccati innanzi alla mia Umanità, ogni colpa aveva il singhiozzo del mio amore, e tutte le pene della mia Passione, ogni colpo di flagello, ogni spina, ogni piaga, era accompagnata dal singhiozzo del mio amore, perché se l’uomo avesse amato, nessun male poteva venire; la mancanza d’amore ha germogliato tutti i mali ed anche le mie stesse pene.

(3) Io, nel creare l’uomo feci come un re, che volendo rendere felice il suo regno, prende un milione e lo mette in giro, affinché chi ne vuole ne prenda, ma per quanto gira, appena qualcuno prende qualche centesimo. Ora, il re è ansioso di sapere se i popoli prendono il bene che li vuol fare, e domanda se il suo milione è finito per mettere fuori altri milioni, e gli viene risposto: “Maestà, appena qualche centesimo”. Il re sente il dolore nel sentire che il suo popolo non riceve i suoi doni e né li apprezza. Onde, uscendo in mezzo ai suoi sudditi incomincia a vedere, chi coperto di stracci, chi infermo, chi digiuno, chi tremante di freddo, chi senza tetto, ed il re nel suo dolore dà in singhiozzo di pianto e dice: “Ah! se avessero preso i miei soldi non vedrei nessuno che mi fanno disonore, coperti di stracci, ma ben vestiti; né infermi, ma sani; non vedrei nessuno digiuno e quasi morto per fame, ma sazi; se avessero preso i miei soldi nessuno sarebbe senza tetto, avrebbero potuto benissimo fabbricarsi una stanza per ricoverarsi”. Insomma, in ogni sventura che vede nel suo regno lui ha un dolore, una lacrima, e rimpiange il suo milione che l’ingratitudine del popolo respinge. Ma è tanta la bontà di questo re, che ad onta di tanta ingratitudine non ritira questo milione, lo fa continuare a girare, sperando che altre generazioni possano prendere il bene che gli altri hanno respinto, e così ricevere la gloria del bene che ha fatto al suo regno. Così faccio Io, il mio amore uscito non lo ritirerò, continuerà ad andare ramingo, il suo singhiozzo durerà ancora, fino a tanto che trovi anime che prendano questo mio amore fino all’ultimo centesimo, affinché cessi il mio pianto e possa ricevere la gloria della dote dell’amore che ho messo fuori a bene delle creature. Ma sai tu chi saranno le fortunate che faranno cessare all’amore il singhiozzo del pianto? Le anime che vivranno nel mio Volere, loro prenderanno tutto l’amore respinto dalle altre generazioni, con la potenza della mia Volontà creatrice lo moltiplicheranno quanto vogliano e per quante creature me lo hanno respinto, ed allora cesserà il suo singhiozzo, ed in ricambio sottentrerà il singulto della gioia, e l’amore appagato darà alle fortunate tutti i beni, e la felicità che gli altri non hanno voluto”.

14-2 Febbraio 9, 1922 Il corpo straziato di Gesù è il vero ritratto dell’uomo che commette peccato. Gesù nella flagellazione si fece strappare a brandelli le carni, si ridusse tutto una piaga per ridonare di nuovo la vita all’uomo.

(1) Trovandomi nel solito mio stato, stavo seguendo le ore della Passione ed il mio dolce Gesù, mentre lo accompagnavo nel mistero della sua dolorosa flagellazione, si faceva vedere tutto scarnificato, il suo corpo denudato non solo delle sue vesti, ma anche delle sue carni, le sue ossa si potevano numerare uno per uno; il suo aspetto era non solo straziante ma orribile a vedersi, che incuteva timore, spavento, riverenza ed amore insieme. Io mi sentivo muta innanzi ad una scena sì straziante, avrei voluto far chi sa che cosa per sollevare il mio Gesù, ma non sapevo far nulla, la vista delle sue pene mi dava la morte e Gesù tutto bontà mi ha detto:

(2) “Diletta figlia mia, guardami bene per conoscere a fondo le mie pene. Il mio corpo è il vero ritratto dell’uomo che commette il peccato; il peccato lo spoglia delle vesti della mia grazia, ed Io per ridonarla di nuovo mi feci spogliare delle mie vesti. Il peccato lo deforma e mentre è la più bella creatura che uscì dalle mie mani, si rende la più brutta e fa schivo e ribrezzo; Io ero il più bello degli uomini, e per ridonare la bellezza all’uomo, posso dire che la mia Umanità prese la forma, la più brutta, guardami come sono orrido, mi feci a via di sferzate scorticare la pelle, da non più conoscermi. Il peccato non solo toglie la bellezza, ma forma piaghe profonde, marciose e cancrenose che rodono le parti più intime, gli consumano gli umori vitali, sicché tutto ciò che fa sono opere morte, scheletrite, gli strappano la nobiltà della sua origine, la luce della sua ragione e diventa cieco, ed Io, per riempire la profondità delle sue piaghe, mi feci strappare a brandelli le carni, mi ridussi tutto una piaga, e col versare a fiumi il sangue feci scorrere gli umori vitali nella sua anima, per ridonargli di nuovo la vita. Ah! se non avessi in Me la fonte della vita della mia Divinità, che come ad ogni pena che mi davano la mia Umanità moriva, essa mi sostituiva la vita, Io sarei morto fin dal principio della mia Passione.

(3) Ora, le mie pene, il mio sangue, le mie carni cadute a brandelli stanno sempre in atto di dar vita all’uomo, e l’uomo respinge il mio sangue per non ricevere la vita, calpesta le mie carni per restare piagato, oh! come sento il peso dell’ingratitudine”.

(4) E gettandosi nelle mie braccia ha rotto in pianto. Io me l’ho stretto al mio cuore, ma Lui piangeva forte, che strazio veder piangere Gesù! Avrei voluto soffrire qualunque pena per non farlo piangere. Onde l’ho compatito, l’ho baciato le piaghe, l’ho rasciugato le lacrime, e Lui come riconfortato ha soggiunto:

(5) “Sai come faccio Io? Come un padre che ama molto suo figlio, e questo figlio è cieco, deforme, zoppo; ed il padre che lo ama fino alla follia, che fa? Si cava gli occhi, si strappa le gambe, si scortica la pelle, e glieli dà al figlio e dice: “Sono più contento di restare io cieco, zoppo, deforme, purché vegga te, mio figlio, che vedi, che cammini, che sei bello”. Oh! come è contento quel padre ché vede suo figlio guardare coi suoi occhi, camminare con le sue gambe e coperto con la sua bellezza; ma quale sarebbe il dolore del padre se vedesse che il suo figlio, ingrato gli getta via gli occhi, le gambe, la pelle, e si contenta di restare brutto qual è? Tale sono Io, a tutto ci ho pensato, ma essi, ingrati formano il mio più acerbo dolore”.

14-3 Febbraio 14, 1922 Il contento di Gesù quando si scrive di Lui.

(1) Trovandomi nel solito mio stato, il mio dolce Gesù si faceva vedere tutto compiaciuto e con un contento indescrivibile, ed io gli ho detto: “Che hai Gesù? Buone nuove mi porti che sei così contento?”

(2) E Gesù: “Figlia mia, sai perché sono così contento? Tutta la mia gioia, la mia festa è quando ti veggo scrivere, veggo vergare nelle parole scritte la mia gloria, la mia vita, la conoscenza di Me che si moltiplica sempre più, la luce della Divinità, la potenza della mia Volontà, lo sbocco del mio amore, le veggo vergate sulla carta ed Io in ogni parola sento la fragranza di tutti i miei profumi, poi veggo quelle parole scritte correre, correre in mezzo ai popoli per portare nuove conoscenze, il mio amore sboccante, i segreti del mio Volere; oh! come ne gioisco, che non so che ti farei quando scrivi. E come tu scrivi nuove cose su ciò che mi riguarda, così Io vo inventando nuovi favori per compensarti, e mi dispongo a dirti nuove verità per darti nuovi favori.

(3) Io ho amato sempre di più e ho riservato grazie più grandi a chi ha scritto di Me, perché essi sono la continuazione della mia vita evangelica, i portavoci della mia parola, e ciò che non dissi nel mio Vangelo, mi riservai di dirlo a chi avrebbe scritto di Me. Io non finii allora di predicare, Io debbo predicare sempre, fino a che esisteranno le generazioni”.

(4) Ed io: “Amor mio, scrivere le verità che Tu mi dici è sacrificio, ma il sacrificio allora si sente più duro e quasi non mi sento la forza, quando sono obbligata e mi costringono a scrivere le mie intimità tra Te e me, e ciò che riguarda me, che non so ciò che farei per non mettere penna su carta”.

(5) E Gesù: “Tu resti sempre da parte, è sempre di Me che tu parli: ciò che ti faccio, l’amore che ti voglio e dove giunge il mio amore verso le creature. Questo spingerà gli altri ad amarmi, affinché anche loro possano ricevere il bene che faccio a te, e poi questo mischiare te e Me nello scrivere è anche necessario, altrimenti si direbbe, a chi ha detto questo? Con chi è stato così largo nel favorirla? Forse al vento, all’aria? Non si dice nella mia vita che Io feci così largo con la mia Mamma? Che parlai agli apostoli, alle turbe, e che sanai il tale infermo? Quindi tutto è necessario, e sii sicura che ciò che scrivi, è sempre Me che fai più conoscere”.

14-4 Febbraio 17, 1922 L’amore è la culla dell’uomo.

(1) Mi sentivo oppressa per la privazione del mio dolce Gesù, e non facevo altro che chiamarlo, desiderarlo, ma invano. Onde, dopo aver molto stentato, quando non ne potevo più, è venuto, ed io chi sa quante cose volevo dirgli, ma Lui si è elevato in alto senza darmi tempo, ed io lo guardavo e lo chiamavo, Gesù, Gesù, vieni. Anche Lui mi guardava e pioveva dalla sua persona una rugiada su di me che m’imperlava tutta, e questa rugiada lo attirava verso di me, in modo che si è abbassato verso di me e mi ha detto:

(2) “Figlia mia, il desiderio di volermi vedere rompe il velo che esiste tra il tempo e l’eternità, ed il ripetuto desiderio le dà il volo per avvicinarsi a Me. Il mio amore è quasi irrequieto quando veggo che l’anima mi vuole ed Io non mi faccio vedere, ed allora si quieta quando non solo mi faccio vedere, ma le do nuovi carismi e nuovi pegni d’amore, il mio amore è sempre in atto di voler dare nuovi pegni d’amore alla creatura, e non appena vedo che la mia Volontà prende la parte operante, dirigente di darsi alla creatura, il mio amore fa festa, corre, vola verso di essa, si fa culla dell’uomo, e se vede che non riposa nella sua culla, lo tentenna, le canta per farlo riposare e dormire nel suo seno, e mentre dorme lui le alita in bocca per dargli nuova vita d’amore. Se vede che il suo cuore non è felice, dal suo interrotto respiro, con l’alito che le manda il mio amore le forma la culla nel cuore, per toglierle le amarezze, gli intoppi, le molestie e felicitarlo d’amore. E quando si sveglia, oh! come gioisce il mio amore nel vederla rinata, felice e piena di vita, e le dice: “Vedi, ti ho cullato nel mio seno per darti riposo, ho vegliato al tuo fianco nel tuo sonno per fare che tu ti destassi forte, felice e tutt’altra da quella che eri, adesso voglio essere culla ai tuoi passi, alle tue opere, alle tue parole, a tutto, pensa che sei cullata da Me, e nella culla del mio amore mettici il tuo amore, affinché immedesimandoci, ci felicitiamo a vicenda; bada a non metterci altro, altrimenti mi contristerai e mi farai piangere amaramente.

(3) E’ il mio amore che più si avvicina all’uomo, anzi, è la culla dove lui è nato, sebbene nella mia Divinità tutto è armonia come sono in piena armonia le membra al corpo, sebbene l’intelligenza prende la parte dirigente, dove risiede la volontà dell’uomo, se lei non vuole si può dire che l’occhio non vede, la mano non opera, il piede non cammina; invece, se vuole, l’occhio vede, la mano opera, il piede corre, tutte le membra si mettono d’accordo; così la mia Divinità, la mia Volontà prende la parte dirigente, e tutti gli altri attributi si mettono in piena armonia per seguire ciò che il mio Volere vuole, sicché vi concorre la sapienza, la potenza, la scienza, la bontà, eccetera, e siccome tutti i miei attributi, sebbene distinti tra loro, ma vivono nella fonte dell’amore, sboccano d’amore, ecco perciò mentre è l’amore che corre, che agisce, che si dona, tutti gli altri miei attributi vi concorrono insieme.

(4) Poi, all’uomo, ciò che più gli è necessario è l’amore. L’amore è come il pane alla vita naturale, sicché può farne a meno della scienza, della potenza, della sapienza, o al più sono cose che si vogliono a tempo ed a circostanza, ma che si direbbe se avessi creato l’uomo e non lo amassi? E poi, a che pro crearlo se non dovessi amarlo? Questo mi sarebbe di disonore e non opera degna di Me, che non so far altro che amare; e che sarebbe dell’uomo se non avesse un principio d’amore e non potesse amare? Sarebbe un brutto, e neppure degno di essere guardato, perciò in tutto deve correre l’amore, l’amore dovrebbe correre in tutte le azioni umane, come corre l’immagine del re nella moneta del regno; e se la moneta non è improntata dalla immagine del re, non viene riconosciuta per moneta; così se non corre l’amore non è riconosciuta per opera mia”.

14-5 Febbraio 21, 1922 L’amore fa morire e vivere continuamente.

(1) Continuando il mio solito stato, il mio sempre adorabile Gesù nel venire mi ha detto:

(2) “Figlia mia, il mio amore verso la creatura mi faceva morire ad ogni istante. La natura del vero amore è morire e vivere continuamente per la persona amata; l’amore di volerla a sé gli fa sentire la morte, gli procura un martirio, forse dei più dolorosi e prolungati, ma lo stesso amore, più forte della stessa morte, nel medesimo istante che muore gli dà la vita, ma per fare che cosa? Per dar vita alla persona amata e formarvi una sola vita, quelle fiamme hanno virtù di consumare l’una per fonderla nell’altra. E’ proprio questa la virtù del mio amore, farmi morire, e dalla mia consumazione formare tanti semi per metterli nei cuori di tutte le creature, per farmi di nuovo risorgere e formare con esse una sola vita con Me.

(3) Ora, anche tu puoi morire chi sa quante volte per amor mio, e forse ad ogni istante, ogniqualvolta mi vuoi e non mi vedi, la tua volontà sente la morte della mia privazione, ma in realtà, perché non vedendomi, la tua volontà muore perché non trova la vita che cerca; ma dopo che in quell’atto si è consumata, Io rinasco in te e tu in Me e ritrovi la vita da te voluta, ma per ritornare di nuovo a morire per vivere in Me. Così se mi desideri, il tuo desiderio non appagato sente la morte, ma facendomi vedere ritrova la sua vita, e così il tuo amore, la tua intelligenza, il tuo cuore, possono stare in continuo atto di morire e vivere per Me. Se l’ho fatto Io per te, è pure giusto che tu lo faccia per Me”.

14-6 Febbraio 24, 1922 La nostra croce sofferta nella Volontà di Dio si fa lunga, simile a quella di Gesù.

(1) Trovandomi nel solito mio stato, il mio sempre adorabile Gesù si faceva vedere nell’atto di prendere la croce per metterla sulle sue santissime spalle, e mi ha detto:

(2) “Figlia mia, quando ricevetti la croce la guardai da cima a fondo, per vedere il posto di ciascun’anima che prendevano nella mia croce, e fra tante, guardai con più amore e feci più attenzione speciale per quelle che sarebbero state rassegnate e avrebbero fatto vita nella mia Volontà. Le guardai e vidi la loro croce lunga e larga come la mia, perché la mia Volontà suppliva a ciò che alla loro croce mancava, e l’allungava e l’allargava quanto la mia. Oh! come spiccava la tua croce lunga, lunga di tanti anni di letto, sofferta solo per compiere la mia Volontà. La mia era solo per compiere la Volontà del mio Padre Celeste, la tua per compiere la mia, l’una faceva onore all’altra, e siccome l’una e l’altra contenevano la stessa misura, si confondevano insieme.

(3) Ora, la mia Volontà ha virtù di rammollire la durezza, di raddolcire l’amarezza, d’allungare ed allargare le cose corte, così quando mi sentii la croce sulle mie spalle, sentivo la morbidezza, la dolcezza della croce delle anime che avrebbero sofferto nel mio Volere, ah! il mio cuore ebbe un respiro di sollievo, e la morbidezza delle croci di queste fece adattare la croce sulle mie spalle, da sprofondarsi tanto che mi fece una piaga profonda, e sebbene mi diede acerbo dolore, sentivo insieme la morbidezza e la dolcezza delle anime che avrebbero sofferto nel mio Volere. E siccome la mia Volontà è eterna, il loro patire, le loro riparazioni, i loro atti correvano in ogni goccia del mio sangue, in ogni piaga, in ogni offesa; il mio Volere le faceva trovarsi come presenti alle offese passate, dacché il primo uomo peccò, alle presenti ed alle future. Erano proprio loro che mi ridavano i diritti del mio Volere, ed Io, per amor loro decretavo la Redenzione, e se gli altri vi entrano, è per cagione di queste che vi prendono parte. Non c’è bene, né in Cielo né in terra, che Io conceda che non sia per causa loro”.

14-7 Febbraio 26, 1922 Come Gesù ci copri di bellezza nella Redenzione.

(1) Stavo pensando al gran bene che il benedetto Gesù ci ha fatto col redimerci, e Lui tutto bontà mi ha detto:

(2) “Figlia mia, Io creai la creatura bella, nobile, di origine eterno e divino, piena di felicità e degna di Me; il peccato la rovinò da cima a fondo, la snobilitò, la deformò e la rese la creatura più infelice, senza poter crescere, perché il peccato le arrestava la crescenza e la copriva di piaghe, da mettere ribrezzo solo a vederla. Ora, la mia Redenzione riscattò la creatura dalla colpa, e la mia Umanità non fece altro che come una tenera madre col suo neonato, che non potendo prendere altro cibo per dare la vita al suo bimbo, si apre il seno ed attacca al suo petto il suo bimbo, e dal suo sangue convertito in latte gli somministra l’alimento per dargli la vita. Più che madre la mia Umanità si fece aprire in sé stessa a colpi di sferze, tanti fori, quasi come tante mammelle, che mandavano fuori fiumi di sangue per fare che i miei figli, attaccandosi, potessero succhiare l’alimento per ricevere la vita e sviluppare la loro crescenza, e con le mie piaghe coprivo la loro deformità e li rendevo più belli di prima, e se nel crearli li creai cieli tersissimi e nobili, nella Redenzione li ornai tempestandoli di stelle fulgidissime delle mie piaghe per coprire le loro bruttezze e renderli più belli; alle loro piaghe e deformità Io attaccavo i diamanti, le perle, i brillanti delle mie pene, per nascondere tutti i loro mali e vestirli d’una magnificenza da superare lo stato della loro origine, perciò con ragione la Chiesa dice: “Felice colpa”, perché con la colpa venne la Redenzione, e la mia Umanità non solo li alimentò col suo sangue, li vestì con la sua stessa Persona e li fregiò con la sua stessa bellezza, ma ora le mie mammelle sono sempre piene per alimentare i miei figli. Quale non sarà la condanna di coloro che non vogliono attaccarsi per ricevere la vita e crescere, ed essere coperti delle loro deformità?”

14-8 Marzo 1, 1922 Come Gesù resta incatenato dall’anima che fa la sua Volontà, e l’anima da Gesù.

(1) Stavo molto afflitta per la privazione del mio dolce Gesù; onde, dopo molto stentare è venuto, e dalle sue piaghe faceva scorrere il suo sangue sul mio petto, intorno al mio collo, e come cadevano su di me quelle gocce di sangue, si formavano come tanti rubini fulgidissimi, che formavano il più bello degli ornamenti, e Gesù mi guardava e mi ha detto:

(2) “Figlia mia, come ti sta bene la collana del mio sangue, come ti abbellisce, guarda, guarda tu stessa come ti fa parer bella”.

(3) Ed io, un po’ corrucciata perché mi aveva fatto tanto aspettare nel venire, ho detto:

(4) “Amor mio e vita mia, oh! quanto amerei per collana un tuo braccio stretto al mio collo; questo sì mi farebbe piacere, perché sentirei la vita e mi attaccherei tanto, che non ti farei più fuggire. Le cose tue, è vero, sono belle, ma quando le distacchi da Te, io non trovo Te, non trovo la vita, e ad onta delle cose tue il mio cuore delira, smania, sanguina per dolore, perché Tu non sei con me. Ah! se sapessi in che tortura mi metti quando non vieni, ti guarderesti bene di farmi tanto aspettare”.

(5) E Gesù tutto intenerito ha circondato il mio collo col suo braccio, prendendomi una mano nella sua, ed ha soggiunto:

(6) “Lo so, lo so quanto soffri, ed a contentarti ecco il mio braccio come collana intorno al tuo collo, non ne sei ora contenta? Sappi che chi fa la mia Volontà, non posso farne a meno di contentarla, perché come respira così forma l’aria del mio Volere intorno a Me, in modo che non solo mi cinge il collo, ma tutta la vita, Io resto come incatenato ed inceppato dall’anima nella stessa fortezza della mia Volontà, ma questo lungi dal dispiacermi, anzi per il gran contento che ne provo, inceppo ed incateno lei, e se tu non sai stare senza di Me, sono le mie catene, i miei ceppi che ti tengono tanto stretta, che basta un momento senza di Me che ti danno un martirio dei più dolorosi, che non c’è l’eguale. Povera figlia, povera figlia, hai ragione; Io terrò conto di tutto, ma non ti lascio, anzi mi chiudo in te per godermi l’aria del mio Volere che mi formi tu stessa, perché, aria della mia Volontà è il tuo palpito, il tuo pensiero, il tuo desiderio, il tuo moto, ed Io in quest’aria troverò il mio poggio, la mia difesa ed il più bel riposo sul tuo petto”.