7 aprile 1947 Lunedì dopo Pasqua, o dell'Angelo, 1947
Mi dice Gesù:
«Non ti devi meravigliare di questo. Te lo avevo detto sino dalla estate del tuo esilio a S. Andrea. [1]
Quando in un deserto arido, dove non sono fiori dal dolce e sano succo ma piante tossiche o senza fiori, nasce un rosaio e si copre di corolle che imbalsamano l'aria, le api selvagge, che abitano nelle rupi o nei cavi di alberi morti, vengono a quelle rose perché il vento ha detto loro che esse sono sorte, ricche di fragranti succhi, là dove non erano che amare, rare, velenose erbacce. Vengono liete di poter raccogliere dolce miele senza dover andare lontano, lontano a cercare.
Così le anime. Quando fiorisce in un luogo un'anima mia ed emana fragranza di Me, ecco venire le povere anime che hanno tanto bisogno di dolcezza, di luce, di conforto, di nutrimento. E colei che è fragrante di Me deve fare come il rosaio nato nel deserto: lasciarsi succhiare il cuore soave, dare ciò che il Creatore le ha dato.
Maria, Io sono che vivo in voi [2], mie care anime vittime e serve dell'amore. Ciò che voi date sono ancora Io, perché voi siete così totalmente date a Me da non esser più per voi stesse, ma perché Io sono. Voi eravate sinché aveste la volontà di essere tutte mie. Poi ci siamo fusi. E il più grande, Io, ha assorbito il più piccolo, voi. Di voi la veste esterna; il resto, Io che vivo in voi. E le anime sentono il mio profumo e accorrono. E le anime intravedono la mia luce e accorrono. Siete anfore che trasudano il profumo che vi empie. Veli che avvolgete la luce ma non la occultate. Esse, le anime, parlano a voi per parlare a Me. Lasciatele venire.
Quando Io mi creo in qualche luogo una vivente piccola chiesa e vi sto nel tabernacolo del cuore per consolare e persuadere che Io sono – e sono amico, pietoso, misericordioso, paziente – la piccola vivente chiesina dove Gesù riposa deve essere contenta che le anime vengano per avvicinarsi a Gesù.
Dirai: "Ma allora deve vedere la gente?". No, anima mia. Ora meno che mai. Ma accogliere tutte le parole dei fratelli. Portavoce sempre. Della mia voce a loro, della loro a Me.
Sappi distinguere. Lo puoi perché la Luce è in te. Distinguere i bisognosi dai curiosi. Fuori questi. Totalmente fuori. Sèrrati come una valva d'ostrica perlifera sulla perla che è in te, perché la vuota e talora cattiva curiosità, sempre inutile, qualche volta dannosa, non entri dove Io sono: in te e nella tua casa. Fuori con le loro inchieste, pretesti, lettere insincere. E apri, non la tua casa, ma il tuo cuore ad accogliere i bisognosi.
Te l'ho detto ieri, prima che ti venisse quel grido d'anima: "Stiamo insieme. In comunione di amore e di dolore per i bisogni del mondo". E non ti stupire, non ti disturbare, non ti insuperbire. Tre cose inutili, l'ultima dannosa. È naturale che il tuo profumo attiri. Affida a Me le suppliche che ti fanno. Non insuperbire, perché ciò avviene perché Io vivo in te, non per le tue proprie virtù. Dunque Io soltanto regno.
E sta' in pace. Sempre in pace. Come ti amo, lo vedi in tutte le cose. Dove siamo Io e te soli a volere una cosa, sempre si avvera. Dove non si avvera è perché uomini e Satana ostacolano. Ma Dio non ha fretta. E l'ostacolo, il ritardo prodotto dall'ostacolo serve a far risplendere più bella la meraviglia della mia Opera e delle mie operazioni in te, mia agnella che ti lasci condurre, tóndere, immolare dal tuo Gesù senza far resistenza alcuna. La pecorella più docile del Pastore.
Beati i miti, gli ubbidienti, i generosi, gli abbandonati al Signore per la salute del mondo. Beata te, anima mia.»
1 S. Andrea è Sant'Andrea di Còmpito, dove la scrittrice rimase sfollata per la guerra dal 24 aprile al 23 dicembre 1944.
2 Io sono che vivo in voi, come per san Paolo in Galati 2, 20.
18 aprile 1947
Mentre attendo il Padre che mi deve portare la S. Comunione, ho dei pensieri sulla stessa. Penso alla forma così semplice che Gesù ha preso per dare Se stesso: un frammento di pane che poche parole fanno Corpo di G. C. E penso cosa proverei io, se fossi sacerdote, nel sostituirmi a Gesù per dire quelle parole e mutare il pane in Corpo divino. Chiamare Dio, il Dio incarnato, dal Cielo, farlo scendere lì con la Carne, il Sangue, l'Anima e Divinità, non una volta tanto, ma tutti i giorni… e toccarlo, questo mansueto Gesù Eucarestia che si abbandona alle
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Mentre attendo il Padre che mi deve portare la S. Comunione, ho dei pensieri sulla stessa. Penso alla forma così semplice che Gesù ha preso per dare Se stesso: un frammento di pane che poche parole fanno Corpo di G. C. E penso cosa proverei io, se fossi sacerdote, nel sostituirmi a Gesù per dire quelle parole e mutare il pane in Corpo divino. Chiamare Dio, il Dio incarnato, dal Cielo, farlo scendere lì con la Carne, il Sangue, l'Anima e Divinità, non una volta tanto, ma tutti i giorni… e toccarlo, questo mansueto Gesù Eucarestia che si abbandona alle mani del Sacerdote come a quelle di Giuseppe e Maria quando era Neonato. Mi si frangerebbe il cuore di amore! E il mio corpo, il mio pensiero, il mio spirito vorrebbero essere più mondi di un giglio che sboccia, per poter non indegnamente toccare il Signore. E penso alla sua degnazione a posarsi su una lingua, in una bocca, non sempre pulite né profumate, a scendere in uno stomaco che talora è ancora ingombro di cibo mal digerito. Ho visto Gesù moltissime volte posare la sua mano sui lebbrosi e su piaghe orrende. Ed era già molto. Ma qui non si posa per un attimo: qui scende, si confonde ai nostri fetori e rigurgiti. Mi sprofondo in abissi di umiltà davanti all'umiltà di Gesù Dio, in abissi di amore riconoscente davanti all'amore generoso di Gesù-Eucarestia.
Poi un pensiero e una domanda al mio Signore presente: "Se l'uomo non avesse peccato e fosse rimasto [innocente], lui e tutti i suoi discendenti per eredità di colpa, ci sarebbe mai stata l'Eucarestia, anzi la Comunione fra Dio e l'uomo, così intima e reale quale l'abbiamo noi peccatori?".
Mi risponde Gesù sfavillante d'amore:
«Anzi! Non comunione particolare del Verbo incarnato ai suoi fedeli, ma comunione totale con la Ss. Trinità avreste avuto. Perché Io, scendendo Ostia in voi, meco porto il trino e inscindibile Amore, ma di Me particolarmente vi nutro. Ho detto [1]: "Ecco il mio Corpo. Ecco il mio Sangue", e la Chiesa dice: "Ecco il Corpo del nostro Signore Gesù Cristo. Ti custodisca per la vita eterna". Ma foste rimasti innocenti, senza bisogno di frammenti di pane avreste avuto la Comunione con Dio. La sostanza è per la vostra umanità divenuta prepotente dopo il Peccato d'Adamo. Prima era regina la spiritualità. E la spiritualità non ha bisogno di sostanze materiali per capire di ricevere e possedere un oggetto. Nel nostro caso: Dio.
L'uomo rimasto innocente, già giusto per dono gratuito di Dio, si sarebbe [2] sempre più evoluto verso la perfezione, perché ogni santità, esclusa quella divina, è suscettibile di perfezione. Altissima è la scala che porta dalla perfezione relativa indispensabile per possedere un giorno il Regno dei Cieli, alla perfezione inferiore unicamente a Dio solo. Tu devi considerare, anima mia, la grande differenza perfettiva che è quella che un'anima raggiunge dopo essersi purgata per anni o per secoli nel Purgatorio dalle sue imperfezioni non eliminate nel giorno terreno, da quella che un'anima raggiunge nel tempo mortale talora brevissimo, non per operazione attraverso un mezzo creato da Dio, quale è quella del Purgatorio — pietoso laboratorio dove le anime imperfette si fanno quali devono essere gli abitanti della Città celeste, dove nulla di impuro e brutto può entrare — ma per eroica volontà propria.
Anche gli uomini innocenti avrebbero potuto lavorare a raggiungere colla propria volontà una perfezione altissima. La razza umana si sarebbe evoluta in sempre maggiore spiritualità. Ecco allora che, dalla beatitudine di saper conoscere e amare Dio, avendo con Lui familiari contatti di Padre con figli a Lui cari — come testimoniano questi punti: "E Dio disse all'uomo e alla donna…" (Genesi cap. I, v. dal 28 al 30), e: "Il Signore avendo formato tutti gli animali… li condusse ad Adamo…" (Gen. cap. II v. 19), e ancora: "E con la costola tolta ad Adamo il Signore Dio formò la donna e la condusse ad Adamo", e infine nel capo III la voce del Signore che passeggiava nel paradiso nel fresco della sera e che chiama Adamo e ha con lui e la donna l'ultimo colloquio terminato nella condanna — sarebbe passato ad un possesso di Dio. Perché Dio dà sempre il centuplo per uno alla creatura che lo ama. E in questo caso si sarebbe dato in possesso, Spirito d'Amore che si fonde all'amore spirituale della creatura divenuta perfetta. E questa sarebbe stata la Comunione degli Innocenti, dallo spirito così affinato da sentire Dio, credere di ricevere Dio non per aiuto di fede e di sostanze, ma per percezione esatta dell'arrivo di Dio con tutti i suoi doni per un nuovo abbraccio al figlio amante.
Unire e redire [3] dell'Amore all'uomo. Come un flutto divino del divino Oceano sul lido che l'invoca e si protende verso l'Oceano divino per esserne baciato e coperto. Un bacio continuo, un rinverginizzarsi sempre più alto dello spirito già vergine, che sarebbe divenuto sempre più vergine, un candore che non è più colore ma fuoco, lo stesso incandescente e virgineo candore di Maria Immacolata, Specchio di Dio che entro Lei splende e fuor di Lei si riflette perfettamente.
Ecco la vostra Comunione se foste rimasti puri quali vi aveva creati l'Eterno. Dio in voi Uno e Trino. Voi in Lui. Nel vostro spirito-re, lo Spirito-Re. La differenza così sensibile, attualmente, fra il luogo della vostra esistenza e il luogo eterno, ridotta a un leggerissimo diaframma che un più vivo palpito di amore avrebbe fatto cadere, facendo che la creatura, dal paradiso terrestre dove avrebbe comunicato con Dio nell'amore spirituale, si trovasse, senza fatica o dolore, nel paradiso celeste dove sarebbe rimasta in Dio e con duplice potere di godimento e d'amore.
Tu che sai cosa è l'Amore che viene a comunicarsi coi suoi fuochi trini, puoi intuire, sebben vagamente, l'estasi perpetua, la pienezza di vita, la sicurezza, la sapienza, la pace, che l'uomo innocente avrebbe avuto a compagne costanti per la perpetua Comunione di Dio all'uomo. Non più: "Ecco il mio Corpo e il mio Sangue". Ma: "Eccoci, o figlio! Accoglici ed abbi in te il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo per essere perfetto nell'unione con Noi".
Oh! l'unione con Noi! L'unione vostra con Noi! Il mio ardente desiderio che ha informato la mia ardente preghiera4 della sera pasquale! La gloria mia a voi perché siate una cosa sola con Noi!
Maria, tu molto conosci l'Amore, ma ancor nulla conosci dell'immensità dell'Amore. Non può creatura mortale conoscerlo. Ma verrai dove Io sono e conoscerai. Conoscerai a quali potenze di doni Dio voleva giungere per premiare i figli fedeli. Sono misteri che il Cielo svelerà.
Sta' in pace.»
1 Ho detto, in Matteo 26, 26-28; Marco 14, 22-24; Luca 22, 19-20. La formula che segue è quella che, ai tempi della scrittrice, il sacerdote pronunciava (in latino) nel dare la Comunione ai fedeli.
2 si sarebbe, invece di avrebbe, è correzione nostra.
3 Un ire e redire cioè Un andare e ritornare
4 preghiera, riferita in Giovanni 17.
8 maggio 1947
Dice Maria Ss. di Fatima apparendomi come Ella mi appare…:
«Ti ho dato il 5 la vista intellettiva di ciò che è un Rosario ben detto: pioggia di rose sul mondo. Ad ogni Ave che un'anima amante dice con amore e con fede io lascio cadere una grazia. Dove? Da per tutto: sui giusti a farli più giusti, sui peccatori per ravvederli. Quante! Quante grazie piovono per le Ave del Rosario!
Rose bianche, rosse, oro. Rose bianche dei misteri gaudiosi, rosse dei dolorosi, d'oro dei gloriosi. Tutte rose potenti di grazie per i meriti del mio Gesù. Perché sono i suoi meriti infiniti che dànno valore a ogni orazione. Tutto è e avviene, di ciò che è buono e santo, per Lui. Io spargo, ma Egli avvalora. Oh! Benedetto mio Bambino e Signore!
Vi do le rose candide dei meriti grandissimi della perfetta, perché divina, e perfetta perché volontariamente voluta conservare tale dall'Uomo, Innocenza di mio Figlio. Vi do le rose porpuree degli infiniti meriti della Sofferenza di mio Figlio, così volonterosamente consumata per voi. Vi do le rose d'oro della sua perfettissima Carità. Tutto di mio Figlio vi do, e tutto di mio Figlio vi santifica e salva. Oh! io sono nulla, io scompaio nel suo fulgore, io compio solo il gesto di dare, ma Egli, Egli solo è l'inesauribile fonte di tutte le grazie!
E voi, mie dilette anime, ascoltate questa mia parola: Fate con spirito ilare la volontà del Signore. Fare la sua Ss. Volontà con tristezza è dimezzare il grande merito del farla. La rassegnazione è già cosa che Dio premia. Ma la gioia del fare la Volontà di Dio centuplica il merito, e perciò il premio, del fare questa divina Volontà, sempre, sempre, sempre giusta, anche se forse all'uomo non pare tale. Fate dunque con spirito ilare ciò che Dio vuole. E sarete a Lui gradite e a me, Madre vostra, dilettissime. State in pace sotto lo sguardo mio che non vi abbandona.»
14 maggio 1947
Una lezione d'amore di Gesù, in una effusione d'amore così forte che quasi spezza la mia vita:
«Mia cara anima vittima, nel calice di propiziazione che viene offerto sugli altari quotidianamente è il mio Sangue e il pianto d'amore generoso delle anime-vittime. Perché il vostro dolore è amore. Per amore lo avete chiesto il dolore, per amore ve l'ho dato, per amore lo patite. Tutto è amore nelle vittime: tanto il sorriso per il mio amore che le consola, come il gemito per la tortura della carne, come il pianto per l'incomprensione o il tradimento degli uomini, o quello per il dispiacere di sentire non amato il vostro Dio. E di piangere per le due prime cose non dovete vergognarvi. Ho pianto Io prima di voi, perché l'uomo ha pure una carne e un cuore, e questi spremono pianto quando sono torturati, né il pianto avvilisce il sacrificio d'amore.
Ma nel calice era necessaria l'acqua insieme al vino. Il Sangue vivo e l'acqua del supremo sacrificio. E l'acqua del mio Costato fu la prima stilla della santa sorgiva che poi avrebbero alimentato le anime-vittime, martiri, oh! sì, martiri, e tali sarete considerate in Cielo, anche se non vi è dato spargere il vostro sangue in un martirio cruento.
Ecco il vino eucaristico che il Sacerdote mette nel calice e lo alza, offrendolo per i bisogni del mondo e per suffragi a coloro che sono già fuori dal mondo. Che alza soprattutto offrendolo colmo del mio Sangue e delle "preghiere dei santi" della Terra, ossia i loro patimenti d'amore, per onorare Iddio. Sì, anima mia! Perché ogni santità per essere raggiunta è fatta di patimenti. Lotte contro le passioni e le tentazioni, contro scherni, le persecuzioni, malattie, ecco il Calvario dei santi.
E come nel Cielo fumano e profumano davanti al mio tronole orazioni dei Santi, così dalla Terra salgono gli incensi dell'adorazione al Signore Iddio, offerti dai giusti nella loro perpetua Messa, del loro sacrificio latreutico, eucaristico, propiziatorio, impetratorio, consumato insieme al mio. Perché questo vi ho concesso nel mio amore che vi vuole dove Io sono, che vi immedesima a Me, o tralci vivissimi fra i tralci vivi: di poter fare tutto ciò che Io faccio.
Vedi, anima mia, che sebbene da tre lustri le malattie ti siano chiodi per tenerti confitta alla tua croce, tu sei in tutte le Messe e in tutti i Calici, in tutte le Ostie che vengono celebrate e offerte quotidianamente sugli altari di tutto il mondo, più che se tu fossi presente al Sacrificio nella tua Chiesa parrocchiale. Anzi, questo ti dà un altro tratto di somiglianza con Me. Io pure fui impedito nel Parasceve e nel Sabato pasquale di essere presente al Tempio, ma in verità mai fui adoratore del Padre come lo fui sulla Croce, fuori dalla cinta della Città santa, sul monte che era infame…
Pensa, pensa, anima innamorata della quale Io sono innamorato, cosa concede l'amore! Esso libera dalle limitazioni della creatura i desideri della creatura, quei desideri che lo stesso Amore suscita e rende immensi, e lo spirito della stessa può – altro tratto di somiglianza con Me – essere spiritualmente presente su tutti gli altari, in tutti i Calici e le Ostie con Me.
Vieni, fonditi sempre più al mio Corpo, al mio Sangue! Non più vicina, ma unita, unita a Me! Canta con Me, con tutto il giubilo di chi adora Iddio suo Padre: "Or dunque, o Padre santo, ti offriamo questo sacrificio per onorarti, ringraziarti, propiziarti, e impetrarti tutte le grazie che la tua Chiesa e i tuoi fedeli hanno bisogno di ricevere, nonché per suffragare i defunti e pregare perché il tuo potere converta al tuo Cristo, Pastore unico e santo, coloro che sono fuori dall'Ovile".
Sta' lieta, anima mia! Sta' lieta! Con te è il Signore.»
16 maggio 1947 Venerdì
Dice Gesù:
«Vuoi sapere quale fu l'apostolo che ha amato più di ogni altro? Giovanni. Veramente Giovanni. Prima e dopo la Passione. Prima e dopo la Pentecoste. Io e lui: due oceani d'amore dei quali il secondo appena è di poco minore al primo nel quale si riversa e fonde.
E quale è l'apostolo che ho più amato? È Giuda di Keriot. Non sbarrare gli occhi, non sussultare. Così è. Ho amato più di tutti Giuda di Keriot. E ora ti spiego, e capirai.
Giovanni era il prediletto. Si sa. E si sa il vero. Egli era buono, puro, fedele.
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Dice Gesù:
«Vuoi sapere quale fu l'apostolo che ha amato più di ogni altro? Giovanni. Veramente Giovanni. Prima e dopo la Passione. Prima e dopo la Pentecoste. Io e lui: due oceani d'amore dei quali il secondo appena è di poco minore al primo nel quale si riversa e fonde.
E quale è l'apostolo che ho più amato? È Giuda di Keriot. Non sbarrare gli occhi, non sussultare. Così è. Ho amato più di tutti Giuda di Keriot. E ora ti spiego, e capirai.
Giovanni era il prediletto. Si sa. E si sa il vero. Egli era buono, puro, fedele. È ovvio che attirasse l'amore di Dio e l'amore dell'Uomo, ossia l'amore di Gesù Dio-Uomo.
Ma dimmi: è più faticoso fare un'azione che esige uno sforzo continuo e che sappiamo in precedenza inutile, o fare un'altra che in luogo di sforzo è gioia e riposo a compierla? Quella prima, non è vero? E chi avrà più merito? Chi compie la prima o la seconda? La prima, e per solofine di fare tutto il proprio dovere senza speranza di averne ricompensa, o la seconda che minuto per minuto ripaga ampiamente di ciò che facciamo? Avrà più merito chi compie la prima.
E ancora: sai quale amore ha colui che per solo eroismo d'amore e di dovere verso Dio e il fratello continua ad occuparsi e preoccuparsi di giovare al fratello cattivo per vedere di farlo buono e dar gloria al Signore? Amore perfetto egli ha. Quell'amore che tutto compie e tutto perdona, tutto superando, mosso dal fine perfetto di fare opera che a Dio piace. Non riesce? Si sa che non riesce? Si sa che Dio sa che non riesce? Non importa. Si fa ugualmente. È l'eroismo del dovere compiuto alla perfezione. E dimostra anche perfezione del sentimento. Perché se uno non amasse in Dio uno che sa essere delinquente, traditore, incorreggibile nei suoi sentimenti perversi, non potrebbe amare questo delinquente. Ma lo ama dell'amor sublime che gonfiava il mio cuore sulla Croce quando non pregavo per i giusti ma invocavo il perdono del Padre su coloro che erano i miei assassini.
È l'amore che Io voglio in te per tutti coloro che ti odiano… Se sapessi come questo amore che diamo a quelli che sono gli irriducibili nemici nostri, gli inconvertibili, opera miracoli! Diretti, a loro stessi, come lo fu l'amore di Stefano per Saulo, amore che gli ottenne l'incontro con Me sulla via di Damasco. O indirettamente.
L'amore non si perde. Non una parte infinitesimale d'amore, di questa moneta, di questo lievito, di questo balsamo che è l'amore, resta senza fruttificare. Raccolta dagli angeli, notata da Dio, sale nel tesoro dei Cieli e là serve – oh! misteriose operazioni di Dio – ad acquistare, a far crescere, a medicare anime, schiave di Satana, anime statiche nella loro appena abbozzata giustizia, anime ferite e malate. L'amore dato per la conversione dei nostri crocifissori, e rimasto senza frutto per essi per la loro perversa volontà, va a fecondare alla grazia altre anime, sconosciute in Terra ma che saranno note in Cielo.
Ascolta ancora, per tornare a Giuda. Io ho detto [1]: "A colui che molto ama molto è perdonato". È vero ed è giusto. Più uno ama e più merita perdono da parte dell'offeso. Ma anche: colui che più perdona dimostra di amare molto. E colui che perdona sempre tutto, tutto sempre, sinché non viene l'ora del giudizio, colui ama non molto ma totalmente. Così ho amato Giuda di Keriot. Totalmente. Anche gli altri li ho amati così, specie Giovanni. Ma era giustizia amarli così. Erano buoni, pur nei loro difetti, e mi amavano con tutte le loro forze. Erano piccole, imperfette? Furono tali sino alla fine, sinché lo Spirito Santo non le rinnovellò? Non importa. Erano tutte le loro forze. Ma Giuda! Ma Giuda! Amare Giuda! Totalmente amare Giuda del quale non ignoravo una piega del tenebroso cuore! Amarlo perché è detto2 "amerai il prossimo tuo come te stesso"!
Vedi, anima mia, molti ripetono questo comando dai pulpiti, dalle cattedre, dagli altari, dai confessionali… e credono di conoscerlo appieno perché dicono: "Il secondo comandamento è amare il prossimo come se stessi". Ma pochi fanno considerare – pochi maestri di spirito ai molti ignoranti di spirito – una cosa essenziale del comandamento d'amore. Ed è questa. È detto "amerai il tuo prossimo come te stesso" senza specificare: prossimo buono, prossimo malvagio, prossimo docile o indocile, prossimo amoroso o odiante. No. È detto "amerai il tuo prossimo". Tutto. Buono o cattivo. Di un amor gioioso o doloroso. Ma sempre tutto il tuo prossimo.
Questo amore per tutto il prossimo esige spirito di misericordia, mitezza, umiltà, molto ben formati. Perché è difficile, sì, è difficile poter amare certo prossimo! Bisogna essere molto, molto, molto ben fondati nella carità per poterlo fare. Ma anche qui non siete senza modello. Il vostro Modello eccolo: Io, Gesù! Imitatemi e sarete perfetti come Io voglio per vostra gioia eterna.
L'orrenda, cupa figura di Giuda che ho così ampiamente svelata nell'Opera, non è stata senza scopo. Non mi sono certo dilettato nell'illustrare quel viluppo di serpi infernali! Ma ve l'ho svelata perché, svelando essa, ho anche svelato come i maestri di spirito e anche i cristiani tutti devono agire verso i molti Giuda che popolano la Terra e che non c'è uomo che non incontri nel suo giorno mortale…
Ai maestri di spirito e a tutti Io dico: "Imitatemi in questo perfetto amore e possederete un amore simile a quello di Gesù, Maestro vostro".»
Ore 21,30, stesso giorno
Ho la visione e la comprensione di quello che è il Cuore Immacolato di Maria.
Visione: uno splendidissimo cuore simile a una raggiante luna, simile a luminosa perla dalla luce lunare. Siamo soliti a vedere il Cuor di Gesù emanante raggi d'oro, fiamme d'oro. Una raggiera intorno al suo rosso Cuore. Ma questo di Maria è tutto luce. Una paradisiaca luce! Più bianca di Ostia raggiante in un ostensorio! Più luminoso di luna splendente in tersissimo cielo! Più vago di enorme perla! Tutto luce! Che bellezza!… Splende là, al centro del petto purissimo… Un candore che brilla nel candore del corpo glorificato di Maria Ss. di Fatima. E per essere splendore che supera lo splendore purissimo di tutta la Vergine, pensi ognuno quale splendore deve essere…
E lo Spirito Santo mi dà questa lezione e comprendo:
«Da quel Cuore vennero le stille per formare il Cuore all'incarnato Verbo. Da quale candore doveva venire quel sangue necessario a formare l'embrione umano del Ss. Figlio di Dio! Sangue purissimo da purissima sorgente. Candore che sgorga da fonte immacolata per circondare di candore l'anima creata al Verbo, concepito dall'Amore col Candore. Sui palpiti di stella purissima di questo Cuore, Delizia mia, si è informato il pulsare del Cuor divino. Pensa tu quale perfezione totale di sentimenti e di movimenti avrà avuto questo Cuore immacolato sul ritmo del quale – ritmo di palpiti fisici, ritmo di palpiti morali, ritmo di palpiti spirituali – si formò ad esser Cuore d'Uomo-Dio il cuore del Figlio concepito dalla Vergine.
Guarda, guarda, béati. Non c'è luce più bella in Paradiso, dopo la nostra, di questa. E non c'è luce più dolce. Non c'è. Noi, i Tre gloriosi, troviamo in questa luce la gioia nostra. I beati la loro. Gli angeli la loro. Il Paradiso splende di questa luce dell'immacolato Cuore di Maria nostra. Quella luce che tu dici indescrivibile, ed è voce e letizia del Paradiso, promana da questo Seno, da questo Cuore dell'eterna Vergine. Volesse l'uomo che si spandesse sulla Terra! Sarebbe la seconda redenzione, il secondo perdono… la finale salvezza! Oh! il perdono del mondo! Il perdono al mondo per Maria! Ma il mondo respinge la Madre che lo partorirebbe alla pace.
Ama, ama per tutto il mondo. E la luce del Cuor di Maria ti penetrerà della gioia che fa Noi stessi beati.»
Mi letifico guardando il raggiante Cuore-Ostia di Maria Immacolata, dalla luce intensa e soavissima di perla accesa…
1 ho detto, in Luca 7, 47.
2 è detto, in Levitico 19, 18.
17 maggio 1947
La divina chiamata mi trae dal sonno per questa breve lezione dello Spirito Santo:
«Tanto più un'anima è figlia di Dio, secondo il concetto teologico di S. Paolo apostolo (ai Romani c. 8 v. 14), e tanto più è sollecita a seguire i consigli dello Spirito Santo, il quale non suscita mai nei figli di Dio desideri irrealizzabili (ai Galati c. 5 v. 17) e prega in voi gridando: "Padre", sapendo che il Padre conosce ciò che vuole l'Amore intercedendo in nome dei santi, ossia secondo i suoi desideri d'amore, perché l'amore incendi la Terra (Romani 8 v. 26-27 e Galati cap. 4, v. 6).
L'anima figlia di Dio prende dal Padre suo questa caratteristica divina: la sollecitudine pronta e ilare nel fare ciò che è Bene. La misura della figliolanza raggiunta è data dalla prontezza con la quale l'anima eseguisce le divine ispirazioni, senza fermarsi a considerare ciò che queste possono esigere di sforzo dalla creatura umana ed avere in sé di pericoloso per l'individuo carnale.
In vero l'anima che è figlia di Dio è già come un astro lanciato nella immensa vastità degli spazi celesti per raggiungere il suo posto e fissarsi in esso: Dio, e nulla ne può arrestare la corsa d'amore.
La mia gioia sia in te.»
30 maggio 1947
Dice Gesù, mentre io leggo la frase [1] dell'Ecclesiastico cap. 31 v. 35:
«Tutte le cose create da Dio sono buone e le ha create per sollievo dell'uomo. Tutte. Ma ciò che le fa divenire non buone è sempre il disordine con cui l'uomo le usa. Dio vi voleva e vi vuole in gioia. Ma la disubbidienza all'ordine, ossia le concupiscenze, sostituiscono alla gioia la noia, il dolore, le risse, la miseria, la disunione dei cuori e delle famiglie. Per questo, dopo che il disordine si era instaurato sulla Terra e cresceva col tempo, il Signore dette la Legge. Ma è forse giovata? No. Dette Me. Ma è forse giovato? No. Io detto la Parola evangelica. Ma è forse giovata? No.
È detto ancor nell'Ecclesiastico: "Il sapiente non odia la Legge e non darà negli scogli come nave in tempesta. L'uomo di senno è fedele alla Legge di Dio, e la Legge è fedele a lui".
Ecco la ragione di ogni male: che troppo pochi sono i sapienti, e perciò, nonostante la ragione data da Dio all'uomo sia come nave atta a portare l'uomo dalla riva terrena a quella celeste sull'oceano dei suoi giorni terreni, la maggioranza dà di cozzo sugli scogli e naufraga miseramente.
Prega, ora. Ho bisogno di una tua preghiera per lo spirito che Io so. La pace a te.»
1 frase, che è in Siracide 31, 27. La citazione successiva è da Siracide 33, 2-3.
16 luglio 1947
Dice S. Azaria:
«La missione dell'Angelo Custode si crede, da parte della gente, che cessi con la morte del custodito. Non è così sempre. Cessa, è cosa conseguente, alla morte del peccatore impenitente, e con sommo dolore dell'angelo custode di colui che non si pentì. Si trasfigura in gloria gioconda ed eterna alla morte di un santo che dalla Terra passa al Paradiso senza soste purgative. Ma continua quale era, come protezione che intercede e ama il suo affidato, per coloro che dalla Terra passano al Purgatorio per espiare e purificarsi. Allora noi, gli angeli custodi, oriamo con la carità per voi davanti al trono di Dio, e uniti alle nostre orazioni d'amore presentiamo i suffragi che sulla Terra vi applicano parenti e amici.
Oh! tutto non posso dire di quanto sia vivo, attivo, dolce il legame che ancora ci unisce a voi purganti. Come madri che spiano il ritorno della salute in un figlio che fu malato ed è convalescente, come spose che contano i giorni che le separano dalla riunione con lo sposo prigioniero, così noi. Noi, neppur per un attimo, non cessiamo di osservare la divina amorosa Giustizia e le vostre anime che si mondano fra i fuochi d'amore. E giubiliamo vedendo l'Amore sempre più placato verso voi, e voi sempre più degne del suo Regno. E quando la Luce ci ordina: "Vai a trarlo fuori per portarlo qui", più ratti che saette noi ci precipitiamo a portare un attimo di Paradiso, che è fede, che è speranza, che è conforto a coloro che ancora restano a espiare, là nel Purgatorio, e stringiamo a noi l'anima amata per la quale operammo e soffrimmo, e risaliamo con lei insegnandole l'osanna paradisiaco.
I due dolci attimi nella missione dei Custodi, i due più dolci attimi, sono quando la Carità ci dice: "Scendi, ché un nuovo uomo è generato e tu lo devi custodire come gemma che mi appartiene", e quando possiamo salire con voi al Cielo. Ma il primo è meno del secondo. Gli altri attimi di gioia sono le vostre vittorie sul mondo, la carne e il demonio. Ma come si trema per la vostra fragilità da quando vi si prende in custodia, così sempre si palpita dopo ogni vostra vittoria, perché il Nemico del Bene è vigile a tentare di abbattere ciò che lo spirito costruisce. Perciò gioioso, perfetto nella sua gioia è l'attimo in cui entriamo con voi nel Cielo. Perché nulla più può distruggere ciò che è ormai compiuto.
E ora, anima mia, rispondo ad un tuo intimo chiederti se Dio è contento che nella tua casa [1] sia un altro Custode. O tu, che non ci fai mai domande ma tieni aperto il tuo spirito sul quale il tuo desiderio scrive talora i suoi più forti interrogativi a tua stessa insaputa, senza che la tua volontà [intervenga], trattenuta dal chiedere da quel degno rispetto che troppo pochi hanno verso il Soprannaturale che si abbassa su voi, sappi che è dolce rispondere a chi è come te, e darti conforto, anima cara a Dio e tormentata dagli uomini.
Sì. Dio è contento. Contento perché nella tua casa è un angelo felice di vegliare un'anima testé creata, gemma di Dio, e contento perché Gesù è Colui che amava i pargoli… e il resto lo dico all'anima tua, e resti fra noi come un segreto così bello che è inutile svelarlo al mondo che non sa comprendere le gioie di Dio e delle anime di Dio.»
1 nella tua casa, dove si trovava come "inquilina" una donna "prossima ad essere madre", di cui parlerà il 30 ottobre 1947.
24 luglio 1947
Le parole dell'Amore sono sempre un invito all'Amore, sia che siano dolci e premianti, sia che siano severe. Perché l'Amore tende a congiungersi con i suoi creati e perciò sempre, anche quando rimprovera, invita ad avvicinarsi, per essere perdonati, o a fondersi, per essere beati.
Colui che dice che Dio è terribile non conosce Dio – e se così è, è ancor perdonabile – o mente conoscendolo, e allora è imperdonabile perché sacrilegamente leva a Dio il suo più divino serto: quello della Carità che comprende e perdona; è imperdonabile perché leva al suo prossimo la forza che lo salva: quella della fiducia nella misericordiosissima Carità.
Quando Io sento uno, sia pur sacerdote, che tuona su un'anima: "Dio non è contento di te. Dio ti condanna" e così via, riprovo il dolore di quando, in Palestina, ero denegato per ciò che ero dai miei nemici, e devo fare uno sforzo di misericordia per non condannare colui che condanna il suo prossimo e denega la mia infinita e paziente Misericordia.
Sta' in pace. Sono sempre il tuo Dio d'amore.»
27 luglio 1947
Ore 11,30 (ascoltando la S. Messa radiotrasmessa da S. Maria degli Angeli – Roma)
Dice Gesù non appena la S. Messa ha inizio:
«Una lezione, una grande lezione, Maria mia.
Ecco! Vedi… (mi appare la vetta del Calvario, giallo e brullo, la croce altolevata colla Vittima, ai lati Maria Ss. e Giovanni. Giù in basso Gerusalemme nel sole. Sul Calvario la folla imprecante…). Considera, anima mia dilettissima, che non mi sazio di ammaestrare perché voglio che tu mi conosca tutto e in tutto, per quanto è concesso a creatura ancor della Terra. Voglio tu venga a Me dotta di Me.
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Ore 11,30 (ascoltando la S. Messa radiotrasmessa da S. Maria degli Angeli – Roma)
Dice Gesù non appena la S. Messa ha inizio:
«Una lezione, una grande lezione, Maria mia.
Ecco! Vedi… (mi appare la vetta del Calvario, giallo e brullo, la croce altolevata colla Vittima, ai lati Maria Ss. e Giovanni. Giù in basso Gerusalemme nel sole. Sul Calvario la folla imprecante…). Considera, anima mia dilettissima, che non mi sazio di ammaestrare perché voglio che tu mi conosca tutto e in tutto, per quanto è concesso a creatura ancor della Terra. Voglio tu venga a Me dotta di Me. Perché ti voglio nella conoscenza di Dio prima che la morte ti porti nel Regno della Intelligenza e Conoscenza.
Considera, anima mia. Chi è stato il Sacerdote del Calvario? Si dice: "Gesù fu Sacerdote e Vittima". È vero. Io solo potevo essere Sacerdote di Me, con la mia volontà di offerta, per compiere la Volontà del Padre mio. Nessuna forza umana avrebbe potuto sacrificare Me-Dio, se Io-Dio non avessi voluto il sacrificio.
Ma oltre questo spirituale Sacerdote in realtà invisibile al mondo – perché là avevo sembianze di colpevole prigioniero, non di Sacerdote libero – oltre questa mistica, incorporea qualità di Sacerdote di Me stesso, che solo mia Madre e pochi altri spiriti compresero, vi era lareale personalità dei sacerdoti sacrificatori dell'Agnello.
E chi erano? Forse Giovanni? Forse uno dei discepoli fedeli? Forse uno dei pochi giusti d'Israele? No. Erano miei immolatori, ossia sacerdoti del rito perpetuo che aveva inizio, del rito santo che è latreutico, eucaristico, propiziatorio, impetratorio, gli ebrei peccatori, i falsi sacerdoti, i farisei avidi, i sadducei ed erodiani pieni d'odio e di triplice concupiscenza, ribelli a Dio, all'Amore e all'amore di prossimo. Erano miei immolatori i romani, dal Preside ai legionari. Ossia offrivano l'Innocente divino e lo immolavano i peccatori del mio Popolo e i Gentili.
E perché? Non era ciò sconveniente? Non lo era. Era senza simbolo il fatto? No, aveva il suo simbolo.
Io ero venuto per i grandi infermi, per coloro che erano ebeti, ciechi, sordi, lebbrosi di spirito. E chi va alla fonte di salute, la cerca, ne apre lo sgorgo e vi si immerge? Forse i sani? No, i malati.
Io ero venuto per ebrei e gentili, entrambi malati. Ed essi, malati, simbolo del mio Popolo universale, che avrebbe avuto Vita e Salute innestandosi in Me, bevendo l'acqua di Vita eterna che da Me sgorgava, cibandosi di Me, Pane di Vita eterna; ed essi, con l'ottusa ubbidienza del suddito romano alle leggi di Roma, e con il rabbioso accanimento del Tempio e della Sinagoga, consumavano il rito. Servivano Dio credendo di servire i propri interessi o quelli dell'Imperatore. E poiché più gradita a Dio era l'ubbidienza del milite agli ordini di Roma, ossia l'altruismo a pro del bene della Patria, che non l'ubbidienza degli israeliti al loro egoismo, ecco che la Luce penetrò sotto la duplice corazza delle loriche e della religione pagana e, fondendo il granito dei cuori pagani, ne fece terreno di Dio. Mentre non penetrò sotto le vesti leggere dei sacerdoti e farisei, perché oltre le vesti era l'infondibile corazza dell'odio e dell'egoismo. Ma sacerdoti furono ebrei e gentili.
E così ora… e occorre pregare per essi. Per i gentili di ora. Per i sacerdoti di ora. Perché i gentili d'ora abbiano la sorte felice dei gentili d'allora. E perché i sacerdoti di ora non abbiano quella dei sacerdoti d'allora. E ambi mi offrano, sì, ma con frutto per il loro spirito. Così come vuole il mio amore.
Anima mia, dicendo "sacerdoti" non parlo solo di coloro che hanno ricevuto il carattere sacro del Sacerdote, ma parlo di tutti i cattolici. Dei cattolici nei quali il Sacerdozio è la porzione eletta, almeno di nome e per il carattere ricevuto col Sacramento dell'Ordine Sacro, e i fedeli: la milizia agli ordini dei duci del mio Popolo che sono appunto i Sacerdoti, dal mio Vicario all'ultimo sacerdote sperduto in terra di missione, ignoto, povero, solo, perseguitato, soprattutto ignoto, dimenticato dal mondo, ma non da Me che mi curvo a empire di Me la sua solitudine, a ristorare le sue forze, a rivestirlo già della veste dei servi-re dell'Amore Re.
La S. Messa è finita, Maria. Guardami ancora sulla mia Croce, e guarda Maria, mia e tua Madre, e Giovanni tuo fratello. Noi ti amiamo. E vogliamo te, come cero ardente, su questo vero altare che è il Golgota.
Ma, cero che ardi e ti consumi, non stare solo lì, dove sei, ardente ai piedi della Croce; vieni, sali, ad accenderti ancor più, e a rinfrescarti insieme, a medicare le vampe dell'odio del mondo che non capisce e non ama te, così come non capì e amò Me, qui al mio aperto petto. Vieni, ardi, bevi. Amami soprattutto, sempre più. Tu e Io. Noi soli. Io tutto per te. Io solo tutto per te. Vieni…»
Gesù parlava dall'alto della croce. Ma era un luminoso Volto di Cristo già trasfigurato in gloria quello che terminava il discorso, a medicarmi il dolore iniziale della visione del suo Viso martoriato e del dolore di Maria e Giovanni. E quando fui beata del suo abbraccio, terminò:
«Aggiungerai questo. Questa lezione insegna una volta di più che la Potenza di Dio sa usare ai suoi fini di bene anche le persone e cose meno meritevoli, e che la Sapienza di Dio può, di persone e cose meschine, talora più che meschine, fare suoi strumenti per raggiungere un fine di grazia, sia che in loro sia tendenza al Bene, come negli Apostoli, o spirito nemico del Bene vero, come in Saulo di Tarso; ma basta, per questi ultimi, che al tocco della Grazia risponda arrendevolezza di cuore. E una volta ancora si alza il mio monito: Non chiedete mai "perché" a Dio di certi suoi atti (come fare sacerdoti del sacrificio del Figlio di Dio peccatori e gentili) e non giudicate, secondo le apparenze, gli strumenti di Dio, perché il più piccolo fra gli uomini può essere elevato a "più grande" fra i servi di Dio, se Io lo voglio e lui aderisce, con umiltà, al mio volere.»