Venerdì
(Quando [1] il P. Generale aveva ordinato di non portarmi più la S. Comunione. Per poco ne muoio. Fu allora che Gesù mi mandò P. Luigi…).
Piango perché è venerdì, giorno di S. Comunione, e io ne sono privata… Lo spasimo, sempre acuto, si fa tremendo. Tutto lo spirito mio geme ferito e la carne soffre come di essere colpito a morte… E nel piangere penso: ai crudeli come ai buoni fra i miei Confratelli [2]; penso che i buoni soffrono con me e per la mia stessa causa. E offro la mia sofferenza per sollevare la loro
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Venerdì
(Quando [1] il P. Generale aveva ordinato di non portarmi più la S. Comunione. Per poco ne muoio. Fu allora che Gesù mi mandò P. Luigi…).
Piango perché è venerdì, giorno di S. Comunione, e io ne sono privata… Lo spasimo, sempre acuto, si fa tremendo. Tutto lo spirito mio geme ferito e la carne soffre come di essere colpito a morte… E nel piangere penso: ai crudeli come ai buoni fra i miei Confratelli [2]; penso che i buoni soffrono con me e per la mia stessa causa. E offro la mia sofferenza per sollevare la loro e per strappare a Gesù un "sì", definitivo, circa i manoscritti. Perché la sua divina intransigenza questa volta non piega a nessuna preghiera.
Viene il mio Signore e mi consola dicendo:
«Eccomi, piccolo Giovanni. Non ci lasciano essere una cosa sola: Io in te, tu ciborio che contieni Me, per la gioia di entrambi. Piccolo, piccolo Giovanni, amiamoci e l'amore sia fusione. Vieni. Sul mio petto, piccolo Giovanni, come l'altro Giovanni [3], e l'amor mio entri in te a darti ciò che ti è stato negato…»
L'unione dà confidenza. Beata, chiedo la grazia che i P. Berti, Migliorini e altri vogliono.
Gesù si fa severo, con lo sguardo insostenibile dei momenti in cui è più Giustizia che Misericordia… Lo guardo con timore anche se so che quello sguardo non è per la povera Maria. Si muove lento per la stanza, si curva sui quaderni manoscritti ritornati da Roma per le correzioni al Preevangelo. Ripete delle frasi staccate che sono in esso. Le riconosco. Si volge, mi dice: «Tu le comprendi, non è vero?»
«Sì, mio Signore. Vuoi che io le scriva?»
«No. Sono già scritte. Ripeterle sarebbe provocare la loro ragione, sempre quella: "Così tu parli ai sacerdoti?". La frase detta a Me infinite volte dai sacerdoti d'Israele, perché chi manca fa la voce grossa per far tacere chi ha ragione e dice: "Tu manchi", per non dire: "Ho mancato". E anche quando le parole vengono dalla Sapienza, e lo si sa che vengono di là, si dice: "Tu sei che hai parlato" per colpire la creatura. Perciò non riscriverle. Sono già scritte qui, perché le leggano. E sono scritte altrove, dove mano d'uomo non può giungere a distruggere e occhio d'uomo non può rifiutarsi di leggere. Per questo ti dico che in verità un giorno essi le leggeranno. Ma questi quaderni e gli altri che sono ancora a Roma devono tornare in questa casa, sotto la tua tutela. La dilazione ottenuta non cambia il decreto. Fosse il mio stesso Vicario che con viscere di vero Cristo prendesse l'Opera e te sotto la sua protezione – e grazia e benedizione scenderebbero dalla Divinità sul suo capo – i manoscritti devono tornare qui in casa del mio portavoce.
Il segno della mia riprovazione per quanto è stato fatto contro il tuo spirito deve rimanere a monito di quelli che hanno fatto e di quelli che saranno i loro successori. Dal tuo spirito non si cancellerà mai più la tremenda tortura che ti hanno data, non sulla Terra e non nel Cielo: qui marchio di spasimo, là segno di gloria, grande tribolazione che diviene elezione, come è detto [4] nell'Apocalisse di Giovanni. Il segno resti ad essi come in te. Perché posso perdonare tutto quanto si fa allo "strumento", dato che ho pietà dei "morti" simili a quelli della chiesa di Sardi, e do loro il tempo di raffermare ciò che non è ancora morto e far rivivere ciò che è spento, ossia la capacità di intendere Dio attraverso te, mia voce. Ma non posso passare senza segno di castigo quanto si fa allo spirito tuo, e più ancora a Me, negandoci di unirci nel Sacramento, di nutrirti dei Sacramenti che Io ho istituito per tutte le anime in grazia di Dio o bisognose di tornare alla Grazia. E negarlo conoscendo le tue condizioni e quelle di questa città.
Io ho pagato col mio Sangue tutte le anime. Io ho pagato, in anticipo. Io ho dato Me stesso perché voi mi abbiate. Chi può negare Me ai miei figli diletti? Non posso perdonare tutto perché, se è vero che sono Colui che perdona, metto a condizione della misura del perdono la misura dell'amore [5] che ha il colpevole. Qui non si è avuto amore né verso Dio, per il quale è gioia il comunicarsi, né verso te, anima a cui è vita il ricevermi. E se perdono il dolore dato al portavoce, castigo per il dolore dato alla tua anima di cristiana. Fàllo pur sapere a chi va detto.»
E Gesù si allontana dopo avermi benedetta.
Questo alle 9,30… Alle 11 la posta mi porta due lettere, anzi tre: una di P. M., in contrasto con quella di P. Berti dello stesso giorno, una da Venezia da Suor Saviane, la terza da P. Pennoni che mi dice la sua intenzione di rivolgersi al S. Padre per avere protezione. Non commento nulla. Faccio soltanto notare che Gesù ha già prospettato questa possibilità confermando però che anche in questo caso i manoscritti devono tornare a me.
1 Quando… L'annotazione tra parentesi è inserita con scrittura minuta accanto alla data. Per P. Luigi rimandiamo al 19 marzo 1946, in nota.
2 Confratelli, cioè i frati dell'Ordine dei Servi di Maria, cui la scrittrice apparteneva come Terziaria.
3 come l'altro Giovanni, il cui gesto confidenziale è attestato in Giovanni 13, 25.
4 è detto in Apocalisse 7, 13-17. La citazione che segue è da Apocalisse 3, 1.
5 la misura dell'amore, come in Luca 7, 47.
Gesù ci insegna a morire.
Dice Gesù:
«Ho dettato un'Ora Santa [1] per coloro che lo desideravano. Ho svelato la mia Ora di Agonia del Getsemani per darti un gran premio, perché non vi è atto di fiducia più grande fra amici che quello di svelare all'amico il proprio dolore. Non è il riso e il bacio prova suprema d'amore, ma il pianto e il dolore reso noto all'amico. Tu, amica mia, lo hai conosciuto. Per quando eri nel Getsemani. Ora sei sulla Croce. E senti pene di morte. Appoggiati al tuo Signore mentre ti dà un'Ora di preparazione alla
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Gesù ci insegna a morire.
Dice Gesù:
«Ho dettato un'Ora Santa [1] per coloro che lo desideravano. Ho svelato la mia Ora di Agonia del Getsemani per darti un gran premio, perché non vi è atto di fiducia più grande fra amici che quello di svelare all'amico il proprio dolore. Non è il riso e il bacio prova suprema d'amore, ma il pianto e il dolore reso noto all'amico. Tu, amica mia, lo hai conosciuto. Per quando eri nel Getsemani. Ora sei sulla Croce. E senti pene di morte. Appoggiati al tuo Signore mentre ti dà un'Ora di preparazione alla morte.
I. "Padre mio [2], se è possibile passi da me questo calice".
Non è una delle sette Parole della Croce. Ma è già parola di passione. È il primo atto della Passione che inizia. È la necessaria preparazione per le altre fasi dell'olocausto. È invocazione al Dator della vita, rassegnazione, umiltà, è orazione in cui si intrecciano, nobilitandosi la carne e perfezionandosi l'anima, la volontà dello spirito e la fralezza della creatura che ripugna alla morte.
"Padre!…". Oh! è l'ora in cui il mondo si allontana dai sensi e dal pensiero mentre si avvicina, come meteora che scende, il pensiero dell'altra vita, dell'ignoto, del giudizio. E l'uomo, sempre un pargolo anche se centenario, come un bambino spaurito, rimasto solo, cerca il seno di Dio.
Marito, moglie, fratelli, figli, genitori, amici… Erano tutto finché la vita era lontana dalla morte, finché la morte era un pensiero nascosto sotto nebbie lontane. Ma adesso che la morte esce da sotto al velo e avanza, ecco che per un capovolgimento di situazione, sono i genitori, i figli, gli amici, i fratelli, il marito, la moglie che perdono i loro tratti decisi, il loro valore affettivo, e si offuscano davanti all'imminente avanzarsi della morte. Come voci che si affievoliscono per la distanza, ogni cosa della Terra perde vigore mentre ne acquista ciò che è al di là, ciò che fino a ieri pareva così lontano… E un moto di paura colpisce la creatura.
Se non fosse penosa e paurosa, la morte non sarebbe l'estremo castigo e l'estremo mezzo per espiare concesso all'uomo. Sinché non vi fu la Colpa, la morte non fu morte ma dormizione. E dove non fu colpa non fu morte come per Maria Ss. Io morii perché su Me era tutto il Peccato, e ho conosciuto il ribrezzo del morire.
"Padre!". Oh! questo Dio tante volte non amato, o amato ultimo, dopo che il cuore ha amato parenti e amici, od ha avuto più indegni amori per creature di vizio, o ha amato le cose come dèi, questo Dio tanto sovente dimenticato, e che ha permesso di dimenticarlo, che ha lasciato liberi di dimenticarlo, che ha lasciato fare, che è stato irriso talora, tal'altra maledetto, tal'altra negato, ecco che risorge nel pensiero dell'uomo e riprende i suoi diritti. Tuona: "Io sono!" e per non far morire di spavento con la rivelazione della sua potenza, medica quel potente "Io sono" con una parola soave: "Padre". "Io sono Padre tuo". Non è più terrore. È abbandono il sentimento che dà questa parola. Io, Io che dovevo morire, che comprendevo cosa è il morire, dopo avere insegnato agli uomini a vivere chiamando "Padre" l'Altissimo Jeovè, ecco che vi ho insegnato a morire senza terrore, chiamando "Padre" il Dio che fra gli spasimi dell'agonia risorge o si fa più presente allo spirito del moribondo.
"Padre!". Non temete! Non temetelo, voi che morite, questo Dio che è Padre! Non viene avanti, giustiziere armato di registri e di scure, non viene avanti cinico strappandovi alla vita e agli affetti. Ma viene aprendovi le braccia, dicendo: "Torna alla tua dimora. Vieni al riposo. Io ti compenserò, ad usura di ciò che qui lasci. E, Io te lo giuro, in seno a Me sarai più attivo per coloro che lasci che rimanendo quaggiù in lotta affannosa e non sempre rimunerata".
Ma la morte è sempre dolore. Dolore per la sofferenza fisica, dolore per la sofferenza morale, dolore per la sofferenza spirituale. Deve essere dolore per essere mezzo di ultima espiazione nel tempo, lo ripeto. E in un ondeggiare di nebbie, che offuscano e scoprono in alterna vicenda ciò che nella vita si è amato, ciò che ci rende paurosi dell'al di là, l'anima, la mente, il cuore, come nave presa da gran tempesta, passano – da zone calme già nella pace dell'imminente porto ormai vicino, visibile, così sereno che già dà una quiete beata e un senso di riposo simile a quello di chi, terminata quasi una fatica, pregusta la gioia del prossimo riposo – passano a zone in cui la tempesta li scrolla, li colpisce, li fa soffrire, spaurire, gemere. È di nuovo il mondo, l'affannoso mondo con tutti i suoi tentacoli: la famiglia, gli affari; è l'angoscia dell'agonia, è lo spavento dell'ultimo passo… E poi? E poi?… La tenebra investe, soffoca la luce, sibila i suoi terrori… Dove è più il Cielo? Perché morire? Perché dover morire? E l'urlo gorgoglia già in gola: "Non voglio morire!".
No, fratelli miei che morite perché giusto è il morire, santo è il morire essendo voluto da Dio. No. Non gridate così! Quell'urlo non viene dalla vostra anima. È l'Avversario che suggestiona la vostra debolezza per farvelo dire. Mutate l'urlo ribelle e vile in un grido d'amore e di fiducia: "Padre, se è possibile passi da me questo calice". Come l'arcobaleno dopo il temporale, ecco che quel grido riporta la luce, la quiete. Rivedete il Cielo, le sante ragioni del morire, il premio del morire, ossia il ritornare al Padre, e allora comprendete che anche lo spirito, anzi, che lo spirito ha dei diritti più grandi della carne perché esso è eterno e di natura soprannaturale, e ha perciò la precedenza sulla carne, e allora dite la parola che è assoluzione a tutti i vostri peccati di ribellione : "Però non la mia, ma la tua volontà sia fatta".
Ecco la pace, ecco la vittoria. L'angelo di Dio si stringe a voi e vi conforta [3] perché avete vinto la battaglia, preparatoria a far della morte un trionfo.
II. "Padre, perdona loro [4]".
È il momento di spogliarsi di tutto quanto è peso per volare più sicuri a Dio. Non potete portare con voi né affetti né ricchezze che non siano spirituali e buone. E non c'è uomo che muoia senza avere da perdonare qualcosa ad uno od a molti suoi simili e in molte cose, per molti motivi. Quale l'uomo che giunga a morire senza aver patito l'acre di un tradimento, di un disamore, di una menzogna, un'usura, un danno qualsiasi, da parenti, consorti, o amici? Ebbene: è l'ora di perdonare per essere perdonati. Perdonare completamente, lasciando andare non solo il rancore, non solo il ricordo, ma anche la persuasione che il nostro motivo di sdegno era giusto. È l'ora della morte. Il tempo, il mondo, gli affari, gli affetti hanno fine, divengono "nulla". Un solo vero esiste ormai: Dio. A che dunque portare oltre le soglie ciò che è del di qua delle soglie?
Perdonare. E poiché giungere alla perfezione d'amore e di perdono, che è il neppur più dire: "Eppure io avevo ragione", è molto, troppodifficile per l'uomo, ecco passare al Padre l'incarico di perdonare per noi. Dargli il nostro perdono, a Lui che non è uomo, che è perfetto, che è buono, che è Padre, perché Egli lo depuri nel suo Fuoco e lo dia, divenuto perfetto, a chi merita il perdono.
Perdonare, ai vivi e ai morti. Sì. Anche ai morti che sono stati cagione di dolore. La loro morte ha levato molte punte al corruccio degli offesi, talora le ha levate tutte. Ma il ricordo dura ancora. Hanno fatto soffrire, e si ricorda che hanno fatto soffrire. Questo ricordo mette sempre un limite al nostro perdono. No. Ora non più. Ora la morte sta per levare ogni limite allo spirito. Si entra nell'infinito. Levare perciò anche questo ricordo che limita il perdono. Perdonare, perdonare perché l'anima non abbia peso e tormento di ricordi e possa essere in pace con tutti i fratelli viventi o penanti, prima di incontrarsi col Pacifico.
"Padre, perdona loro". Santa umiltà, dolce amore del perdono dato, che sottintende perdono chiesto a Dio per i debiti verso Dio e verso il prossimo che ha colui che chiede perdono per i fratelli. Atto d'amore. Morire in un atto d'amore è avere l'indulgenza dell'amore. Beati quelli che sanno perdonare in espiazione di tutte le loro durezze di cuore e delle colpe dell'ira.
III. "Ecco tuo figlio" [5].
Ecco tuo figlio! Cedere ciò che è caro, con previdente e santo pensiero. Cedere gli affetti, e cedersi a Dio senza resistenza. Non invidiare chi possiede ciò che lasciamo. Nella frase potete affidare a Dio tutto quanto vi sta a cuore e che abbandonate, e tutto quanto vi angustia, anche il vostro stesso spirito.
Ricordare al Padre che è Padre. Mettergli nelle mani lo spirito che torna alla Sorgente. Dire: "Ecco. Sono qui. Prendimi con Te perché mi dono. Non cedo per forza di cose. Mi dono perché ti amo come figlio che torna a suo Padre". E dire: "Ecco. Questi sono i miei cari. Te li dono. Questi sono i miei affari, quegli affari che qualche volta mi hanno fatto essere ingiusto, invidioso del prossimo, e che mi hanno fatto dimenticare Te perché mi parevano – lo erano, ma io lo credevo più che non fossero – mi parevano di una importanza capitale per il benessere dei miei, per il mio onore, per la stima che mi attiravano. Ho creduto anche che solo io fossi capace di tutelarli. Mi sono creduto necessario per compirli. Ora vedo… Non ero che un congegno infinitesimale nel perfetto organismo della tua Provvidenza, e molte volte un congegno imperfetto che guastava il lavoro dell'organismo perfetto. Ora che le luci e le voci del mondo cessano e tutto si allontana, vedo… sento… Come le mie opere erano insufficienti, logore, incomplete! Come erano dissonanti dal Bene! Ho presunto di essere io un grande 'che'. Tu eri – previdente, provvidente, santo – che correggevi i miei lavori e li rendevi utili ancora. Ho presunto. Talora ho anche detto che non mi amavi perché non mi riusciva, come agli altri che invidiavo, ciò che io volevo. Ora vedo. Miserere di me!".
Umile abbandono, riconoscente pensiero alla Provvidenza in riparazione delle vostre presunzioni, avidità, invidie e sostituzioni di Dio con povere cose umane, con le golosità delle ricchezze diverse.
IV. "Ricòrdati di me" [6].
Avete accettato il calice di morte, avete perdonato, avete ceduto ciò che era vostro, persino voi stessi. Avete molto mortificato l'iodell'uomo, molto liberato l'anima da ciò che spiace a Dio: dallo spirito di ribellione, dallo spirito di rancore, dallo spirito di avidità. Avete ceduto la vita, la giustizia, la proprietà, la povera vita, la più povera giustizia, le tre volte povere proprietà umane, al Signore. Novelli Giobbe, siete languenti e spogli davanti a Dio. Potete allora dire: "Ricòrdati di me".
Non siete più niente. Non salute, non fierezza, non ricchezza. Non possedete più neppure voi stessi. Siete bruco che può divenire farfalla o marcire nella carcere del corpo per un'ultima estrema ferita allo spirito. Siete fango che torna fango o fango che si muta in stella a seconda che preferite scendere nella cloaca dell'Avversario o ascendere nel vortice di Dio. L'ultima ora decide della vita eterna. Ricordatevelo. E gridate: "Ricòrdati di me!".
Dio attende quel grido del povero Giobbe per colmarlo di beni nel suo Regno. È dolce ad un Padre perdonare, intervenire, consolare. Non attende che questo grido per dirvi: "Sono con te, figlio. Non temere". Ditela questa parola per riparare a tutte le volte che vi dimenticaste del Padre o foste superbi.
V. "Dio mio,[7] perché mi hai abbandonato?".
Talora sembra che il Padre abbandoni. Non si è che nascosto per aumentare l'espiazione e dare maggior perdono. Può l'uomo lamentarsi con ira di ciò, egli che infinite volte ha abbandonato Iddio? E deve disperare perché Dio lo prova?
Quante cose avete messo nel vostro cuore che non erano Dio! Quante volte foste inerti con Lui! Con quante cose lo avete respinto e scacciato. Avete empìto il cuore di tutto. Lo avete poi ferrato e ben chiavistellato perché vi temevate che Dio entrando potesse disturbare il vostro quietismo accidioso, purificare il suo tempio cacciandone gli usurpatori. Finché foste felici, che vi importava di avere Dio? Dicevate: "Ho già tutto perché me lo sono meritato". E quando felici non foste, non lo fuggiste mai Dio, facendolo causa di ogni vostro male?
Oh! figli ingiusti che bevete il veleno, che entrate nei labirinti, che precipitate nei burroni e nei covi di serpi e altre fiere, e poi dite: "È Dio il colpevole", se Dio non fosse Padre e Padre santo, che dovrebbe rispondere al vostro lamento delle ore dolorose quando nelle felici lo dimenticaste? Oh! figli ingiusti che pieni di colpe pretendereste di essere trattati come il Figlio di Dio non fu trattato nell'ora dell'olocausto, dite: chi fu il più abbandonato? Non è il Cristo, l'Innocente, Colui che per salvare accettò l'abbandono assoluto di Dio dopo averlo amato attivamente sempre? E non avete voi nome di "cristiani"? E non avete il dovere di salvare almeno voi stessi?
Nell'accidia torbida che di sé si compiace e teme disturbo dell'accogliere l'Attivo, non c'è salvezza. Imitate allora Cristo, gettando questo grido nel momento di angoscia più forte. Ma fate che la nota del grido sia nota di mansuetudine e di umiltà, non tono di bestemmia e rimprovero. "Perché mi hai Tu abbandonato, Tu che sai che senza di Te nulla io posso? Vieni, o Padre, vieni a salvarmi, a darmi forza di salvare me stesso perché orrende sono le strette di morte e l'Avversario me ne aumenta ad arte la potenza, mi fischia che Tu non mi ami più. Fàtti sentire, o Padre, non per i miei meriti ma proprio perché sono un nulla senza meriti che non sa vincere se è solo e che comprende, ora, che la vita era lavoro per il Cielo".
Guai ai soli, è detto [8]. Guai a chi è solo nell'ora della morte, solo con se stesso contro Satana e la carne! Ma non temete. Se chiamerete il Padre, Egli verrà. E questo umile invocarlo espierà i vostri colpevoli torpori verso Dio, le false pietà, gli amori sregolati dell'io, che fanno accidiosi.
VI."Ho sete" [9].
Sì, veramente, quando si è capito il vero valore della vita eterna rispetto al metallo falso della vita terrena, quando la purificazione del dolore e della morte è accettata come santa ubbidienza, quando si è cresciuti in sapienza e in grazia presso Dio in poche ore, in pochi minuti talora, più che non si sia cresciuti in molti anni di vita, viene una sete profonda di acque celesti, di celesti cose. Le lussurie di tutte le seti umane sono vinte. Ma viene la soprannaturale sete di possedere Iddio. La sete dell'amore. L'anima aspira di bere l'amore e di esserne bevuta. Come un'acqua che è piovuta al suolo e non vuole divenire fango ma tornare nuvola, l'anima ora ha sete di salire al luogo dal quale discese. Quasi rotte le muraglie carnali, la prigioniera sente le aure del Luogo d'origine e vi anela con tutta se stessa.
Quale quel pellegrino esausto che vedendo, dopo anni, ormai prossimo il luogo natìo, non raduna le forze e prosegue, svelto, tenace, incurante di tutto che non sia arrivare là da dove partì un giorno e tutto il vero suo bene vi lasciò, ed è certo ora di trovarlo e di gustarlo più ancora, perché fatto esperto del povero bene, che non sazia, trovato nel luogo di esilio?
"Ho sete". Sete di Te, mio Dio. Sete di averti. Sete di possederti. Sete di darti. Perché sulle soglie fra la Terra e il Cielo già si sa capire l'amore di prossimo come va capito, e viene un desiderio di agire per dare Dio al prossimo che lasciamo. La santa operosità dei santi che, granelli morti che divengono spiga, si effondono in amore per dare amore e per fare amare Dio da chi ancora è nelle lotte della Terra. "Ho sete". Non c'è più che un'acqua che sazi, giunta l'anima alle soglie della Vita: l'Acqua viva, Dio stesso.
L'Amore vero: Dio stesso. Amore contrapposto ad egoismo. L'egoismo è morto prima della carne nei giusti, e regna l'amore. E l'amore grida: "Ho sete di Te e di anime. Salvare. Amare. Morire per essere libero di amare e di salvare. Morire per nascere. Lasciare per possedere. Rifiutare ogni dolcezza, ogni conforto perché tutto è vanità quaggiù, e l'anima vuole solo tuffarsi nel fiume, nell'oceano della Divinità, bere di Essa, essere in Essa, senza più sete, perché la Fonte d'Acqua della Vita l'avrà accolta".
Avere questa sete per riparare al disamore e alla lussuria.
VII. "Tutto è compiuto" [10].
Tutte le rinunce, tutte le sofferenze, tutte le prove, le lotte, le vittorie, le offerte: tutto. Ormai non c'è più che da presentarsi a Dio. Il tempo concesso alla creatura per divenire un dio, a Satana per tentarla, è compiuto. Cessa il dolore, cessa la prova, cessa la lotta. Restano soltanto il giudizio, l'amorosa purificazione, o viene, beatissima, la dimora immediata del Cielo. Ma quanto è Terra, quanto è volontà umana, ha fine.
Tutto è compiuto! La parola della completa rassegnazione o del gioioso riconoscimento di aver finito la prova e consumato l'olocausto. Non contemplo coloro che muoiono in peccato mortale, i quali non dicono, essi, "tutto è compiuto", ma con un urlo di vittoria e un pianto di dolore lo dicono, per loro, l'angelo delle tenebre, vittorioso, e l'angelo custode, vinto. Io parlo ai peccatori pentiti, ai buoni cristiani o agli eroi della virtù. Questi, sempre più vivi nello spirito man mano che la morte prende la carne, mormorano, o gridano, rassegnati o gioiosi: "Tutto è consumato. Il sacrificio ha termine. Prendilo per mia espiazione! Prendilo per mia offerta d'amore!". Così dicono gli spiriti, con la penultima parola, a seconda che subiscano la morte per legge comune o, anime vittime, la offrano per volontario sacrificio. Ma tanto le une che le altre, giunte ormai alla liberazione dalla materia, reclinano lo spirito sul seno di Dio dicendo [11]: "Padre, nelle tue mani raccomando lo spirito mio".
Maria, sai cosa è spirare con questa elevazione fatta viva nel cuore? È spirare nel bacio di Dio. Vi sono molte preparazioni alla morte. Ma credi che questa, sulle mie parole, è nella sua semplicità la più santa.»
Gesù ha dato questo dettato alle 12, quando, finita già la visione avuta [12] alle prime ore del mattino, credevo aver finito di scrivere e mi ero messa a cucire, faticosamente, ma necessariamente, per preparare biancherie necessarie alla casa. Ho gettato via ditale e ago e ho riafferrato la penna. E, gravissima come sono, ho ricevuto come un vero dono preziosissimo questa preparazione alla morte.
1 Ora Santa, riportata in data 14 giugno 1944. Ora di Agonia, scritta il 6 luglio 1944 ma non sui quaderni e rimasta a lungo inedita: rinvenuta infine tra i manoscritti, è pubblicata nel volumetto delle "Preghiere". Sopra il presente titolo Gesù ci insegna a morire la scrittrice ha inserito in piccolo e con inchiostro diverso: Sarei gratissima al R.P. Migliorini se mi mandasse una copia di questa Ora di preparazione alla morte. Se no ne resto priva.
2 "Padre mio…", in Matteo 26, 39.42.44; Marco 14, 36.39; Luca 22, 41-42.
3 vi conforta, come in Luca 22, 43.
4 "Padre, perdona loro", in Luca 23, 34.
5 "Ecco tuo figlio", in Giovanni 19, 26.
6 "Ricòrdati di me", in Luca 23, 42. Il successivo e generico riferimento a Giobbe può avere un riscontro in Giobbe 1, 20-22.
7 "Dio mio…", in Matteo 27, 46; Marco 15, 34.
8 è detto in Qoèlet 4, 10.
9 "Ho sete", in Giovanni 19, 28.
10 "Tutto è compiuto", in Giovanni 19, 30.
11 dicendo, come Gesù in Luca 23, 46.
12 la visione avuta… Non ci risulta che abbia scritto una "visione" avuta in quello stesso giorno. Dobbiamo però precisare che il presente scritto sulla preparazione alla morte è senza data nel quaderno autografo, e che la data da noi messa, del 14 luglio 1946, è quella dello scritto che immediatamente lo precede sullo stesso quaderno.
Ore 5,20 antimeridiane
Mi sveglio. Trovo la mia afflizione al mio capezzale e me la carico come una croce. Ma contemporaneamente ecco la cara, divina Voce: "Viene Gesù a dare il suo bacio (l'Eucarestia) alla sua piccola sposa". Rispondo: "Oh! mio Signore, dammi una luce. Dimmi se proprio sei Tu! Tutto quanto mi fanno soffrire i Padri Servi di Maria in generale, e Padre Migliorini in particolare, mi inducono a credere che io sia una illusa, una malata di mente e un'ossessa. Sei Tu che parli o è il mio cervello che si è ammalato e che delira? Sei Tu
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Ore 5,20 antimeridiane
Mi sveglio. Trovo la mia afflizione al mio capezzale e me la carico come una croce. Ma contemporaneamente ecco la cara, divina Voce: "Viene Gesù a dare il suo bacio (l'Eucarestia) alla sua piccola sposa". Rispondo: "Oh! mio Signore, dammi una luce. Dimmi se proprio sei Tu! Tutto quanto mi fanno soffrire i Padri Servi di Maria in generale, e Padre Migliorini in particolare, mi inducono a credere che io sia una illusa, una malata di mente e un'ossessa. Sei Tu che parli o è il mio cervello che si è ammalato e che delira? Sei Tu o è Satana? Il mio maggior dolore è questo, e Tu lo sai. La tema di ascoltare voci che non sono le tue e dei tuoi santi, o di sbagliare dicendo 'parola tua' ciò che invece è soltanto pensiero mio".
Gesù mi risponde:
«E anche se fosse? Non ho Io detto [1] che dal cuore escono i pensieri degli uomini e che dal frutto si conosce se la pianta è buona? Non è detto nella Scrittura e nella Sapienza che chi illustra Me avrà la vita eterna e chi per Me lavora non peccherà? Quante volte è detto apertamente o velatamente che chi è saturo di Sapienza è saturo di Me, che chi parla parole soprannaturali è voce dello Spirito di Dio che abita nel suo cuore? Perché è lo Spirito di Dio, anima mia diletta, che compie queste operazioni nel cuore degli uomini in cui fa dimora trovandoli meritevoli di essere da Lui abitati. E lo Spirito Paraclito è l'Amore del Padre e del Figlio. Dunque se tu nel tuo cuore senti suonare queste parole, segno è che tu ascolti i divini colloqui della Trinità Ss. Dunque se tu mi senti parlare, segno è che Io sono in te col mio amore. Dunque, anche fosse proprio il tuo cuore che suggerisce questi pensieri che poi tu scrivi, segno è che il tuo cuore è pieno di Dioperché "è dal cuore dell'uomo che viene quello che esce dalla bocca". Or dunque, se il tuo cuore spinge alla bocca e alla mente pensieri, viste e parole divine o soprannaturali, segno è che il tuo cuore è santo, che il tuo cuore ospita unicamente amore, giustizia, cose celesti; segno è che la tua conversazione è in Cielo e tu abiti col tuo spirito in Cielo avendo il Cielo chiuso dentro di te. Beati quelli che come te sono! E di che ti affliggi, o mio bell'albero, dolce pomo, soave ulivo, se tu dài frutti celesti, dolci della Sapienza che Noi siamo, luminosi come puro olio acceso della Luce che Noi siamo?
Sta' in pace! Sta' in pace, mia diletta, mia fedele, mia innamorata e mia amata piccola sposa. Sta' in pace. E procedi con pace. Tu fai ciò che Io voglio. Chi ti osteggia non ferisce te, ma Me ferisce, perché Me osteggia, Me solo, tanto Io, e nessun altro che Io, possiedo e grandeggio e splendo e ammaestro e vivo in te. Procedi. Tu fai amare il Signore, Maria e la celeste popolazione dei Santi. Soltanto per questo, soltanto per questo avresti la vita eterna! E poi c'è tutto il tuo lungo e sempre crescente amore. C'è la tua sofferenza. C'è la tua immolazione. Tutto te c'è. Oh! non temere. Tu non puoi errare perché tu sei immersa nell'amore eroico. Non temere. Ciò che è colmo o ciò che è immerso non può ricevere alcuna cosa più, o essere più bagnato e sommerso da altro che non sia quello in cui già si trova. Non temere. Procedi e perdona.
I miopi e quelli che per la sensualità triplice, o anche solo per l'orgoglio, vivono nella piatta pianura, hanno cataratte sulle pupille dell'intelletto e non possono vedere il sole che splende sulle cime dei monti che si tendono al cielo perché amano il cielo, le altezze, le purezze, non vedono le piante che il sole fa crescere sulle cime. Ugualmente essi non vedono i divini contatti del Sole Dio con la vetta del tuo spirito e le piante che il tuo volere di amarmi ha fatto nascere là, sulla vetta dello spirito tuo, e che il Sole Dio fa crescere sempre più rigogliose e nessuna tempesta le potrà sradicare.
Ad ogni anima che si dona tutta alla Sapienza si possono applicare le parole del libro sapienziale [2]: "Mi sono elevata come cedro sul Libano e qual cipresso sul monte Sion. Mi sono innalzata come palma di Cades e rosa di Gerico. Come un bell'ulivo nei campi e un platano nelle piazze presso le fonti. Come pianta d'aromi o resine soavi io esalo i miei profumi ed empio di essi la mia casa". Perché chi si dona alla Sapienza esala la Sapienza. E la Sapienza è ubertosa; è utile e bella selva di piante d'ogni specie, dai fiori, frutti, profumi soavi, nutrita dalle fonti eterne della sua stessa natura: la Divinità. Non è solo di Maria Ss. questo elogio. In Lei la Sapienza fu completa e ogni perfezione di creatura fu da Lei raggiunta. Ma, Io te lo dico, è anche di tutte le anime che si donano alla Sapienza, e la Liturgia lo applica a molte di esse che hanno saputo possedere la Sapienza.
Chi sei tu? Chiedono e ti chiedi chi sei? Io te lo dico con le parole di Isaia [3] quale è il nome tuo: "Io, il Signore, do e darò ad essi un nome migliore di quello di figli e figlie: darò loro un nome eterno che non perirà giammai". Io te lo dico con le parole di Giovanni [4] il prediletto: "Al vincitore darò nascosta manna, e gli darò un sassolino bianco nel quale sarà scritto un nome nuovo, che nessuno conosce se non colui che lo riceve". E già te l'ho dato, e non te lo leverò se tu mi resti fedele. Non te lo leverò, e tu lo porterai con molti altri, con tutti "quelli che vengono dalla gran tribolazione" a dove non è più dolore "perché Dio asciugherà ogni lacrima dai loro occhi".
Sei in pace, piccola sposa? Sono venuto a baciarti come ti ho detto all'inizio? Il mio eucaristico miele è in te? Lo senti come è soave? Non battono i nostri due cuori con un sol palpito? Ti inebbria il mio Sangue? Splende in te il mio Sole? Ti scalda, ti consola? Oh! Maria mia! Ma vieni! Ma abbandonati! È così bello amarsi e dimenticare le quadrighe di Aminadab5, feroci, dure, scure, gelide, materiali. Vieni all'amore. Dàmmi l'amore. Ho tante poche anime che mi amino senza riserva come tu fai. Perché vorresti ritirarti spaurita dalle voci di chi sta fra l'erba e il pantano, simile ai ranocchi che vorrebbero far tacere l'usignolo e volare nel sole come la colomba e sono irritati di non poterlo fare? Vieni. Son proprio Io. Vieni. Non puoi dubitare, non dubiti più quando Io ti tengo così. Ma l'estasi non è di tutte l'ore. E tu devi saper rimanere beata, sicura come ora sei, anche quando l'estasi si ritira e ti fasciano l'incomprensione e la diffidenza, volute, degli uomini. Tutto passerà, anima mia. Ma Io ti resterò sempre, e per sempre. Dopo il Calvario viene la Risurrezione. Dopo la Passione l'Ascensione. Per il Cristo e per le spose di Cristo.
La mia pace, la mia carità in te, a te, con te sempre.»
1 detto, in Matteo 12, 33; 15, 18-20; Marco 7, 20-23; Luca 6, 43-45.
2 parole del libro sapienziale, cioè Siracide 24, 13-15.
3 parole di Isaia, in Isaia 56, 5.
4 parole di Giovanni, in Apocalisse 2, 17; 7, 13-14.17 (rinviando ad Isaia 25, 8).
5 le quadrighe di Aminadab, nominate in Cantico dei cantici 6, 12.
Sento la notizia che hanno ritrovato in una caverna scheletri di uomo-scimmia. Resto pensierosa dicendo: "Come possono asserire ciò? Saranno stati brutti uomini. Volti scimmieschi e corpi scimmieschi ce ne sono anche ora. Forse i primitivi erano diversi da noi nello scheletro". Mi viene un altro pensiero: "Ma diversi in bellezza. Non posso pensare che i primi uomini fossero più brutti di noi essendo più vicini all'esemplare perfetto che Dio aveva creato e che certo era bellissimo oltre che fortissimo". Penso a come la bellezza dell'opera creativa più perfetta si sia potuta avvilire tanto da permettere agli scienziati di negare ... (CLICCA QUI PER LEGGERE IL RESTO)
Sento la notizia che hanno ritrovato in una caverna scheletri di uomo-scimmia. Resto pensierosa dicendo: "Come possono asserire ciò? Saranno stati brutti uomini. Volti scimmieschi e corpi scimmieschi ce ne sono anche ora. Forse i primitivi erano diversi da noi nello scheletro". Mi viene un altro pensiero: "Ma diversi in bellezza. Non posso pensare che i primi uomini fossero più brutti di noi essendo più vicini all'esemplare perfetto che Dio aveva creato e che certo era bellissimo oltre che fortissimo". Penso a come la bellezza dell'opera creativa più perfetta si sia potuta avvilire tanto da permettere agli scienziati di negare che l'uomo sia stato creato uomo da Dio e non sia l'evoluzione dalla scimmia.
Gesù mi parla e dice: "Cerca la chiave nel capo 6° della Genesi. Leggilo". Lo leggo. Gesù mi chiede: "Capisci?".
"No, Signore. Capisco che gli uomini divennero subito corrotti e nulla più. Non so che attinenza abbia il capitolo con l'uomo-scimmia".
Gesù sorride e risponde:
«Non sei sola a non capire. Non capiscono i sapienti e non gli scienziati, non i credenti e non gli atei. Stammi attenta. E comincia a recitare [1]: "E avendo cominciato gli uomini a moltiplicarsi sulla Terra e avendo avuto delle figliole, i figli di Dio (o figli di Set) videro che le figliole degli uomini (figlie di Caino) erano belle e sposarono quelle che fra tutte a loro piacquero… Ora dunque, dopo che i figli di Dio si congiunsero colle figlie degli uomini e queste partorirono, ne vennero fuori quegli uomini potenti, famosi nei secoli". Gli uomini che per potenza del loro scheletro colpiscono i vostri scienziati, che ne deducono che al principio dei tempi l'uomo era molto più alto e forte di quanto è attualmente, e dalla struttura del loro cranio deducono che l'uomo derivi dalla scimmia. I soliti errori degli uomini davanti ai misteri del creato.
Non hai ancora capito. Ti spiego meglio. Se la disubbidienza all'ordine di Dio e le conseguenze della stessa avevano potuto inoculare negli innocenti il Male con tutte le sue diverse manifestazioni di lussuria, gola, ira, invidia, superbia e avarizia, e presto l'inoculazione fiorì in fratricidio provocato da superbia, ira, invidia e avarizia, quale più profonda decadenza e quale più profondo dominio di Satana avrà provocato questo peccato secondo?
Adamo ed Eva avevano mancato al primo dei comandi [2] di Dio all'uomo. Comando sottinteso nell'altro di ubbidienza dato ai due: "Mangiate di tutto ma non di quest'albero". L'ubbidienza è amore. Se essi avessero ubbidito senza cedere a nessuna pressione del Male fatta al loro spirito, al loro intelletto, al loro cuore, alla loro carne, essi avrebbero amato Dio "con tutto il loro cuore, con tutta la loro anima, con tutte le loro forze", come molto tempo dopo fu esplicitamente ordinato dal Signore. Non lo fecero e furono puniti. Ma non peccarono nell'altro ramo dell'amore: quello verso il proprio prossimo. Non maledissero neppure Caino, ma piansero sul morto nella carne e sul morto nello spirito in uguale misura, riconoscendo che giusto era il dolore da Dio permesso, perché essi avevano creato il Dolore col loro peccato e per primi dovevano sperimentarlo in tutti i suoi rami. Rimasero perciò figli di Dio e con loro i discendenti venuti dopo questo dolore. Caino peccò contro l'amore di Dio e contro l'amore di prossimo. Infranse l'amore totalmente e Dio lo maledisse, e Caino non si pentì. Perciò egli e i propri figli non furono che figli dell'animale detto uomo.
Se il primo peccato di Adamo ha fatto di tanto decadere l'uomo, che avrà prodotto di decadenza il secondo al quale si univa la maledizione di Dio? Quali fomiti di peccato nel cuore dell'uomo-animale perché privo di Dio, e a quale potenza saranno giunti, dopo che Caino ebbe non soltanto ascoltato il consiglio del Maledetto, ma lo ebbe abbracciato come suo padrone diletto, uccidendo per ordine suo? La discesa di un ramo, di quello avvelenato dal possesso di Satana, non ebbe sosta ed ebbe mille volti.
Quando Satana prende, corrompe in tutti i rami. Quando Satana è re, il suddito diviene un satana. Un satana con tutte le sfrenatezze di Satana. Un satana che va contro la legge divina e umana. Un satana che viola anche le più elementari e istintive norme di vivere da uomini dotati di anima, e si abbrutisce nei più laidi peccati dell'uomo bruto.
Dove non è Dio è Satana. Dove l'uomo non ha più anima viva è l'uomo-bruto. Il bruto ama i bruti. La lussuria carnale, più che carnale perché afferrata ed esasperata da Satana, lo fa avido di tutti i connubi. Bello e seducente gli pare ciò che è orrido e sconvolgente come un incubo. Il lecito non lo appaga. È troppo poco e troppo onesto. E pazzo di libidine cerca l'illecito, il degradante, il bestiale.
Quelli che non erano più figli di Dio, perché col padre e come il padre avevano fuggito Dio per accogliere Satana, si spinsero a questo illecito, degradante, bestiale. Ed ebbero mostri per figli e figlie. Quei mostri che ora colpiscono i vostri scienziati e li traggono in errore. Quei mostri che, per la potenza delle forme e per una selvaggia bellezza e un'ardenza belluina, frutti del connubio fra Caino e i bruti, fra i brutissimi [3] figli di Caino e le fiere, sedussero i figli di Dio, ossia i discendenti di Set per Enos, Cainan, Malaleel, Jared, Enoc di Jared — da non confondersi coll'Enoc di Caino — Matusala, Lamec e Noè padre di Sem, Cam e Jafet. Fu allora che Dio, ad impedire che il ramo dei figli di Dio si corrompesse tutto con il ramo dei figli degli uomini, mandò il generale diluvio a spegnere sotto il peso delle acque la libidine degli uomini e a distruggere i mostri generati dalla libidine dei senza Dio, insaziabili nel senso perché arsi dai fuochi di Satana.
E l'uomo, l'uomo attuale, farnetica sulle linee somatiche e sugli angoli zigomatici, e non volendo ammettere un Creatore, perché troppo superbo per poter riconoscere di essere stato fatto, ammette la discendenza dai bruti! Per potersi dire: "Noi, da soli, ci siamo evoluti da animali a uomini". Si degrada, si autodegrada, per non volersi umiliare davanti a Dio. E discende. Oh! se discende! Ai tempi della prima corruzione ebbe di animale l'aspetto. Ora ne ha il pensiero ed il cuore, e la sua anima, per sempre più profondo connubio col male, ha preso il volto di Satana in troppi.
Scrivilo questo dettato nel libro. Più ampiamente avrei trattato l'argomento, come ti avevo detto [4] nel luogo del tuo esilio, a controbattere le teorie colpevoli di troppi pseudo-sapienti. Ma deve bene esservi un castigo per coloro che non mi vogliono sentire nelle parole che scrivi sotto dettatura mia. Avrei svelato grandi misteri. Perché l'uomo sapesse, ora che i tempi sono maturi. Non è più il tempo da contentare le folle con le favolette. Sotto la metafora delle antiche storie sono le verità chiave a tutti i misteri dell'universo, ed Io li avrei spiegati attraverso il mio piccolo, paziente Giovanni. Perché l'uomo dal sapere la verità traesse forza a risalire l'abisso per essere sullo stesso piano del nemico nell'ultima lotta che precederà la fine di un mondo che, nonostante tutti gli aiuti di Dio, non volle diventare un pre-paradiso, ma preferì divenire un pre-inferno.
E questa pagina mostrala, senza darla, a quelli che tu sai. A uno sarà aiuto contro i resti di una pseudo scienza che atrofizza il cuore, agli altri aiuto alla già forte spiritualità per la quale in tutto vedano il segno inconfondibile di Dio.»
1 recitare, da Genesi 6, 1-2.4. La scrittrice ha inserito successivamente, nella citazione, le parole che abbiamo messo tra parentesi.
2 primo dei comandi, quello di Deuteronomio 6, 5, che rinvia all'altro comando di Genesi 2, 16-17. L'esposizione che segue rimanda a Genesi 3-4.
3 brutissimi è nostra libera interpretazione di una parola riscritta e resa quasi illeggibile. Per le discendenze vedere Genesi 4-5.
4 avevo detto, il 30 maggio e il 14 luglio 1944, a Sant'Andrea di Còmpito, luogo in cui la scrittrice era sfollata per la guerra.
Dice Gesù:
«Avrei potuto parlare prima per darti questa gemma, o mio piccolo Giovanni. Ma tale è la dignità del S. Sacrificio, troppo poco conosciuto per ciò che è da troppi cristiani cattolici, che ho dato la precedenza alla spiegazione di esso. Ed è questa la prima lezione che do a molti, parlando eccezionalmente in dì festivo e su un brano evangelico che ho già trattato secondo l'insegnamento consueto. Quando un sacerdote o una voce parla in nome di Dio e per ordine di Dio, quando si ubbidisce ad un precetto, Io, che sono il Signore, taccio perché grande è
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Dice Gesù:
«Avrei potuto parlare prima per darti questa gemma, o mio piccolo Giovanni. Ma tale è la dignità del S. Sacrificio, troppo poco conosciuto per ciò che è da troppi cristiani cattolici, che ho dato la precedenza alla spiegazione di esso. Ed è questa la prima lezione che do a molti, parlando eccezionalmente in dì festivo e su un brano evangelico che ho già trattato secondo l'insegnamento consueto. Quando un sacerdote o una voce parla in nome di Dio e per ordine di Dio, quando si ubbidisce ad un precetto, Io, che sono il Signore, taccio perché grande è la dignità di un maestro che parla in mio nome e per ordine mio, e grande è la dignità di un rito, grandissima quella della S. Messa, rito dei riti così come l'Eucarestia è il Sacramento dei Sacramenti.
Or dunque ascolta, o mio piccolo Giovanni. Ti ho detto molto tempo fa – eri al luogo di esilio e soffrivi come solo Io so quanto – che ogni brano ed episodio evangelico è una miniera di insegnamenti. Ricordi? Ti avevo mostrato la seconda moltiplicazione dei pani [1] e ti avevo detto che, come con pochi pesci e pochi pani avevo potuto sfamare le turbe, altrettanto i vostri spiriti possono essere sfamati all'infinito dai pochi brani che sono riportati dai 4 Vangeli. Infatti sono 20 secoli che di essi si sfama un numero incalcolabile di uomini. Ed Io, ora, attraverso il mio piccolo Giovanni ho dato aumento di episodi e parole perché veramente l'inedia sta per consumare gli spiriti e Io ne ho pietà. Ma anche da quei pochi episodi dei 4 Vangeli vengono, da 20 secoli, pane e pesci agli uomini perché ne siano saziati e ne avanzino ancora.
Tutto ciò fa lo Spirito Santo, che è il Maestro docente sulla cattedra dell'insegnamento evangelico. "Quando sarà venuto [2] il Paraclito, Egli vi ammaestrerà in ogni vero e vi insegnerà ogni cosa e vi rammenterà tutto quanto ho detto", insegnando lo spirito vero di ogni parola, di ogni lettera dell'episodio. Perché è lo spirito della parola, e non la parola in sé, che dà la vita allo spirito. La parola incompresa è suono vano. È incompresa quando è solo vocabolo, rumore, non "vita, seme di vita, scintilla, sorgente" che mette radici, accende, lava e nutre.
Le nozze di Cana [3]. Ecco che da 20 secoli sono spunto ai maestri di spirito a predicare la santità del matrimonio compiuto con la grazia di Dio, a predicare la potenza delle preghiere di Maria, il suo insegnamento all'ubbidienza: "Fate ciò che Egli vi dirà", la potenza mia che muta l'acqua in vino, e così via. Nessuno di questi frutti colti dal brano evangelico sono errati. Ma non questi soli sono i frutti che l'episodio porta e che voi potete coglierne.
Mia piccola innamorata, amante di Me, affamata di Me Eucarestia, questo è uno degli episodi della mia vita pubblica in cui è in germe il miracolo ultimo dell'Uomo-Dio: l'Eucarestia. La Risurrezione è già miracolo di Dio-Uomo, il primo di tutti i miracoli venuti da quando, dalla Vittima distrutta dal Sacrificio, emerse il glorificato Gesù Dio-Uomo, il Vittorioso. Prima era ancora nascosto il Dio nell'Uomo. La sua Natura trapelava per bagliori nella parola e nei miracoli, simile alle vampate che incoronano di tanto in tanto un monte e fanno dire: "Qui si cela il fuoco e questo monte, in apparenza simile a molti altri, è un vulcano che ha per sua anima l'elemento fuoco in luogo di essere unicamente strati su strati di terre e di rocce".
Ma l'Umanità del Cristo che doveva patire e morire era in tutto simile a quella di ogni uomo, avendo una carne soggetta alla legge della materia, col bisogno di cibo, di sonno, di bevande, di vesti, e disagio di freddo o di calore, e stanchezze per molto lavoro o lungo cammino, e compattezze di carne, e – miseria per l'Onnipresente – e costrizione in un unico luogo. Tutto meno la colpa e gli appetiti alla stessa. Anzi, tutto, e soprattutto ciò che è il martirio dei giusti: il dover vivere fra i peccatori vedendo le offese fatte all'Eterno da essi, e le discese dell'uomo nella fanghiglia dei bruti. L'Uomo – Io te lo dico, Maria – ha sofferto, col suo intelletto e col suo cuore di Giusto, più di questo che di ogni altra cosa. Il fetore del vizio e del peccato! La verminaia di tutte le concupiscenze! Io te lo dico: ho cominciato ad espiarle da quando le ho avute vicine, tanto era il tormento che davano all'anima e all'intelletto mio. Gli angeli hanno numerato i colpi degli immateriali flagelli dei vizi dell'uomo sulla mia Umanità, numerosi quanto e dolorosi più di quelli del flagrum romano.
Dopo il Sacrificio, il mio vero Corpo, pur restando vero Corpo, assunse la libera bellezza e potenza dei corpi glorificati, quella che sarà anche la vostra. Quella in cui la materia somiglierà allo spirito con il quale visse e lottò per farsi regina come esso re. E il Corpo fu glorioso come lo Spirito che in esso era divino, non più soggetto a tutto quello che prima lo mortificava, e lo spazio non fu più ostacolo, né ostacolo il muro, né ostacolo la lontananza, né ostacolo l'essere Io qui nel Cielo voi lì sulla Terra, perché Io fossi in Cielo e in Terra vero Dio e vero Uomo colla mia Divinità, con la mia Anima, col mio Corpo e col mio Sangue, infinito come alla mia Natura divina si conviene, contenuto in un frammento di Pane come il mio Amore volle, reale, onnipresente, amante, vero Dio, vero Uomo, vero Cibo all'uomo, sino alla consumazione dei secoli, e vero gaudio degli eletti per ciò che non è più secolo ma eternità.
L'Eucarestia è il miracolo ultimo dell'Uomo Dio. La Risurrezione, il miracolo primo del Dio Uomo che da Se stesso trasmuta il suo Cadavere in Vivente eterno. L'Eucarestia, trasformazione delle specie del pane e del vino in Corpo e Sangue di Cristo, è al limite fra le due epoche come una stella, quella del mattino, fra i due tempi che han nome Notte e Giorno. E quando brilla la stella del mattino il viandante si dice: "Ora è giorno" benché ancora non sia giorno, perché sa che quella luce, ai limiti del cielo, è presagio d'alba. L'Eucarestia è la Stella del mattino del tempo nuovo. La sua luce di miracolo d'amore è presagio d'alba, dell'alba del tempo di Grazia. Per questo sta, raggiante dei suoi fuochi, sospesa fra il tempo che si chiude e quello che s'apre, alla fine della mia predicazione, all'inizio della Redenzione.
Se la stella dell'Epifania [4] brillò per dire ai re che il Re universale era dato al mondo, la stella della mia Eucarestia brillò nella Cena pasquale per dire al mondo che il vero Agnello stava per essere immolato, che già si immolava, dandosi spontaneamente in perpetuo cibo agli uomini perché il Sangue suo non bagnasse soltanto gli stipiti e gli architravi, ma circolasse, tutt'uno con loro, a farli santi, e la Carne immacolata fortificasse la loro debolezza mentre l'Anima del Cristo e la Divinità del Verbo abitano in loro portando seco l'inscindibile Presenza del Padre e dell'Eterno Spirito. E fra l'annuncio della stella epifanica e l'annuncio della stella eucaristica, ecco brillare con i suoi simboli incompresi la luce del miracolo di Cana a dire al mondo ciò che avrebbe fatto, nel cuore di pietra degli uomini e con la povera acqua del loro pensiero, la Sapienza e Potenza incarnata.
"Tre giorni dopo c'era un banchetto". Tre giorni: tre epoche, prima del convito di gioia. La prima, dalla creazione del mondo [5] sino alla punizione del diluvio; la seconda, dal diluvio alla morte di Mosè. La terza, da Giosuè, mia figura, alla mia venuta. E ancora tre epoche, o tre giorni: i tre anni della mia predicazione prima del convito pasquale. E come avviene per un banchetto nuziale, che la preparazione ad esso è sempre più piena più si avvicina il momento del festino, così fu per il mio convito d'amore. Perciò sempre più chiare le voci del concerto profetico e le luci degli attendenti il vero Sposo che veniva a sposare Sé all'Umanità per farla regina.
"E vi era la Madre di Gesù". La Madre! Può mancare la Madre se deve essere partorito l'uomo nuovo? Può non esservi Eva se deve essere d'ora in avanti la "Vita" dove era la Morte? E può mancare la Donna [6] mentre si avvicina l'ora che il Serpente avrà oppresso il capo e limitata la sua libertà d'azione? Non può. E la Madre dei viventi, l'Eva senza macchia, la Donna dell' "Ave" e del "Si faccia", la Donna dal calcagno potente, la Corredentrice, è presente al convito con cui ha inizio lo sponsale dell'Umanità con la Grazia.
Ma "venuto a mancare il vino" i convitati non avrebbero gioito per la presenza di Gesù. Oh! veramente quando venni per il mio convito di Grazia trovai che il vino mancava presto. Era troppo poco, e presto fu consumato, e gli uomini caddero in tristezza perché Io deludevo le loro speranze di inebbriarsi di umani succhi di potenza e vendetta.
Che avevo trovato iniziando la mia missione? "Idrie di pietra preparate per le purificazioni dei Giudei". Ossia per le purificazioni materiali. Ecco. I cuori, dopo secoli e secoli di impura assimilazione della Sapienza, si erano mutati in idrie di pietra. E non già per purificare se stessi, ma per servire a purificare. Il rigorismo, l'esteriorità dei riti. Quel rigorismo che induriva senza servire a detergere neppure se stessi. Il solito peccato di superbia del credersi perfetti e di credere impuri gli altri. La durezza opaca della pietra opposta alla luce e alla duttilità della Sapienza che illumina a comprendere e aiuta ad amare. Cuori chiusi. Anche l'acqua che li empie non li fa morbidi. Serve a ghiacciarli. E nulla più. Gettata l'acqua, essi sono aridi, duri e senza profumo. Questo è l'esteriorità dei riti che colmano senza penetrare, senza trasformare, senza far dolci e profumati. Le idrie, i cuori, erano vuoti. Non contenevano neppure quel minimo di cosa utile che è l'acqua per purificare gli altri. Erano vuoti. Non avevano neppure pensato a colmarsi del minimo. Vuoti, arcigni, scabri, inutili, scuri nell'interno come un antro, bigi all'esterno per polvere e vecchiaia.
"Empite d'acqua le idrie". Oh! quanta l'acqua viva che Io ho versato nei cuori di pietra degli ebrei perché almeno avessero un minimo per essere utili ad alcunché! Ma essi non si mutarono e nella quasi maggioranza respinsero l'acqua, restando vuoti, duri, oscuri, arcigni.
"E ora attingete". Ecco. Nei cuori dove l'acqua fu accolta si mutò in vino eletto, tanto che il maestro di tavola disse: "Tutti dànno al principio il vino migliore e poscia il peggiore, mentre tu hai serbato il migliore alla fine". Ho infatti serbato il migliore alla fine, Io, sposo del gran convito. Nell'Ultima Cena, ultimo atto del Maestro, Io, Sposo, ho mutato non l'acqua in vino, ma il vino in Sangue mio per una nuova trasformazione che vi aiutasse, o uomini, ad essere felici della mia felicità che è santa ed eterna. Avevo per tre anni empito le idrie vuote dell'Acqua veniente dal Cielo. Ma ora l'acqua non bastava più. Veniva il tempo della lotta e del giubilo, e il vino è utile al lottatore e immancabile ai conviti. Ed Io vi ho dato l'Eucarestia, il mio Sangue, perché beveste la mia stessa forza, e forti foste, e la mia ilare volontà di servire Iddio, e diveniste eroi come il Maestro vostro, e la mia gioia fosse in voi.
Né quel miracolo di trasformazione [7] di una specie nell'altra ha più avuto fine. Le idrie del convito di Cana si vuotarono presto lasciando ebbri gli invitati alle nozze. La mia Eucarestia empie i calici e le pissidi di tutta la Terra da secoli. E sino alla fine dei secoli gli affamati, gli esausti, i sitibondi, gli stanchi, gli afflitti, i morenti e quelli che appena cominciano a vivere con ragione, i puri come i penitenti, i malati come i sani, i sacerdoti come i laici, gli uomini d'ogni razza e condizione, sulle vette e nelle pianure, fra le nevi polari e all'equatore, sulle acque e sulle terre, vengono a bere, a mangiare, a nutrirsi, a salvarsi, a vivere del mio Sangue e della mia Carne, di questo Vino dato alla fine del Convito, alle soglie della Redenzione, perché fosse il Convito perpetuo dello Sposo a chi lo ama e la Redenzione continua dei vostri languori e cadute.
Le nozze di Cana. La trasformazione dell'acqua in vino. La Cena di Pasqua: la transustanziazione del pane e vino nel mio Corpo e nel mio Sangue. La prima, a segnare l'inizio della mia missione di trasformazione degli ebrei dell'antico tempo in discepoli del Cristo. La seconda, a segnare il principio della transustanziazione degli uomini in figli di Dio per la Grazia rivivente in loro. L'ultimo miracolo dell'Uomo Dio. Il primo e perpetuo miracolo dell'Amore umanizzato.
Questa, mio piccolo Giovanni, una delle applicazioni – ed è la più alta – del miracolo delle nozze di Cana.
Ed in te, e per sempre, il mio Corpo e il mio Sangue siano quelle Cose preziose e incorruttibili per le quali, come dice [8] Simon Pietro, sei stata riscattata, affinché tu esalti le virtù di Colui che dalle tenebre ti chiamò all'ammirabile sua luce. La mia pace a te, piccola sposa, anelante all'Amore. La pace a te. La pace a te. La pace a te.»
1 la seconda moltiplicazione dei pani, nella "visione" e nel "dettato" di commento, scritti il 28 maggio 1944, forma il capitolo 353 dell'opera "L'Evangelo".
2 Quando sarà venuto… è citazione da Giovanni 14, 26.
3 Le nozze di Cana, episodio che si trova in Giovanni 2, 1-11, è trattato nel capitolo 52 dell'opera "L'Evangelo".
4 stella dell'Epifania, quella che guidò i Magi, in Matteo 2, 2.7.9.10; nella Cena pasquale, nel passo di Matteo 26, 26-29; Marco 14, 22-25; Luca 22, 19-20; non bagnasse soltanto gli stipiti e gli architravi, come prescritto in Esodo 12, 7.
5 creazione del mondo, in Genesi 1; diluvio, in Genesi 6-8; morte di Mosè, in Deuteronomio 34; Giosuè, in Giosuè 1.
6 la Donna, in Genesi 3, 15.
7 trasformazione è termine esatto per il miracolo di Cana, ma per il miracolo dell'Eucarestia deve parlarsi ditransustanziazione, come è detto nel capoverso che segue e in altri passi del presente "dettato".
8 come dice, in 1 Pietro 2, 9.
In merito ai dettati 24-29-30 agosto e 2 settembre 1944. Nel Preevangelo.
Dice Gesù:
«Date le ostinate repliche di alcuni a questi luminosi punti del mio insegnamento – che vi dovrebbero aprire tanti orizzonti e aiutare le vostre anime, e quelle da voi amministrate, a tendere a questo gaudio che è il ricordo, la conoscenza, la ri-conoscenza di ciò che è Dio, e godere un poco di Cielo in Terra, e avere da questo un grande aiuto a progredire in perfezione – trattiamo l'argomento come avessimo di fronte fanciulli ostinati ai quali non bisogna stancarsi di insegnare e con
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In merito ai dettati 24-29-30 agosto e 2 settembre 1944. Nel Preevangelo.
Dice Gesù:
«Date le ostinate repliche di alcuni a questi luminosi punti del mio insegnamento – che vi dovrebbero aprire tanti orizzonti e aiutare le vostre anime, e quelle da voi amministrate, a tendere a questo gaudio che è il ricordo, la conoscenza, la ri-conoscenza di ciò che è Dio, e godere un poco di Cielo in Terra, e avere da questo un grande aiuto a progredire in perfezione – trattiamo l'argomento come avessimo di fronte fanciulli ostinati ai quali non bisogna stancarsi di insegnare e con argomenti che non possano essere respinti.
Cosa è l'uomo? Il Catechismo dice: "È una creatura ragionevole composta di anima e di corpo".
Cosa è l'anima? Il Catechismo dice: "È la parte più nobile dell'uomo perché è sostanza spirituale dotata di intelletto e volontà, capace di conoscere Dio e di possederlo eternamente".
Chi ha creato l'uomo? Il Catechismo dice: "Lo ha creato Dio".
Perché lo ha creato? Il Catechismo dice: "Perché l'uomo lo conosca, lo ami e lo serva in questa vita e lo goda nell'altra per sempre".
Come lo ha creato? La Genesi, c. II v. 7, dice: "E il Signore formò l'uomo dal fango della terra e gli ispirò il soffio della vita e l'uomo divenne creatura vivente". E nel I della Genesi, v. 27, è detto: "Dio creò l'uomo a sua immagine". Il Catechismo conferma: "L'uomo fu creato a immagine e somiglianza di Dio".
E come? Nel volto forse? Nella forma del corpo? Dio non ha corpo né volto. Io per divenire uomo ho dovuto assumere la vostra forma perché non ne avevo una mia propria corporea. Dio è perfettissimo Spirito, semplice, eterno, senza principio né fine. Il Catechismo insegna perciò che: "L'uomo si dice che fu creato ad immagine e somiglianza di Dio, perché l'anima umana è spirituale e ragionevole, libera nel suo operare, capace di conoscere e amare Dio e di goderlo eternamente, perfezioni che rispecchiano nell'uomo un raggio dell'infinita grandezza del Signore".
Un raggio dell'infinita grandezza del Signore. Grande verità, essendoché solamente Noi Uni e Trini ci conosciamo e di Noi godiamo con pienezza di gaudio generandoci per questo gaudioso amore che è conoscenza della nostra perfettissima Perfezione. E Noi abbiamo voluto che voi ci aveste ad esemplare per creare in voi la creatura divinizzata che è l'uomo figlio di Dio. Per questo abbiamo messo in voi l'Amore che è la nostra Essenza e vi abbiamo proposto l'Amore come termine della Perfezione per giungere ad essere voi con Noi senza più fine, così come voi foste in Noi prima che fosse il Creato, quando vi contemplavamo, prima che foste usciti dal nulla, per essere, secondo il nostro volere, la creatura in cui si rispecchia Dio che l'ha divinamente concepita per sua gloria. Ora in Dio non può esser nulla che non sia di Dio. Perciò l'uomo è di Dio che può, a piena giustizia, dirlo Padre, e che deve, con doverosa giustizia, volerlo raggiungere e possedere dopo essersi sforzato ad amarlo e conoscerlo.
Beati quelli che sanno salire al sommo della beatitudine che è l'unione con Dio, ossia il conoscimento di Dio, ossia la fusione con l'Amore, la contemplazione della Trinità che è Uno, del Fuoco che non consuma ma ricrea e supercrea facendo della creatura umana ciò che fu pensato dall'Amore: un dio figlio di Dio. In verità il Padre ha messo il sigillo della propria paternità nel suo figlio: la capacità di conoscere e amare Dio, e in questa vita e nell'altra.
Dunque Dio creò l'uomo composto di due sostanze, una detta corpo, inizialmente creata col fango e susseguentemente procreata con la carne e col sangue dell'uomo, e di una detta anima, la quale, creata volta per volta da Dio, e per una sola volta e per una sola carne, scende ad unirsi alla carne che si forma in un seno. Senza l'anima l'uomo sarebbe una creatura animale guidata dall'istinto e dalle doti naturali. Senza il corpo l'uomo sarebbe una creatura spirituale con doti soprannaturali d'intelligenza, volontà e grazia come gli angeli.
Dio, al capolavoro del creato, rappresentato dall'uomo, in cui sono unite le due creature, animale e spirituale, per fare una sola unità, cosa aveva donato oltre all'esistenza? Doni gratuiti che i teologi dividono in naturali, preternaturali, soprannaturali.
Naturali: il corpo sano e bello con i 5 sensi perfetti e l'anima ragionevole dotata di intelligenza, volontà e libertà.
Preternaturali: l'integrità, ossia la perfetta soggezione del senso, libero da fomiti di ogni genere, alla ragione; l'immortalità del corpo che non avrebbe conosciuto l'orrore della morte; l'immunità da ogni dolore; e la scienza proporzionata al suo stato di creatura eletta, e perciògrande scienza che il perfetto intelletto assimilava senza fatica.
Soprannaturali: la visione beatifica di Dio, la Grazia che fa dell'uomo un figlio di Dio, e il destino di godere eternamente di Dio.
Dunque l'uomo, e per l'origine e per i doni ricevuti, poteva veramente chiamarsi "figlio di Dio" e conoscerlo come un figlio conosce il proprio padre.
Cosa è la Grazia? Dice il Catechismo: "La Grazia è un dono soprannaturale, che illumina la mente, muove e conforta la volontà affinché l'uomo operi il bene e si astenga dal male". Ma essa è soprattutto amore. Amore di Dio alla sua creatura prediletta che è l'uomo, amore che eleva la creatura alla natura del Creatore deificandola, onde giusta è la parola2 della Sapienza: "Voi siete dèi e figli dell'Altissimo". È inoltre mezzo di salute, da quando l'uomo ha bisogno di mezzi di salute essendo rimasto debole per le conseguenze del peccato. Attiva oltre ogni dire, quando non trova impedimento o inerzia in voi al lavoro che essa vuole compiere in voi, essa santifica la creatura e le azioni della creatura, e ha tre rami minori, dal suo tronco sublime, detti della grazia attuale, sufficiente, efficace. Ma è un'unica Grazia: principio trasformatore, qualità divina inerente all'anima, simile a luce il cui splendore, avvolgendo e penetrando le anime, ne cancella le macchie della colpa e comunica loro una radiosa bellezza.
Così la Chiesa docente nelle conclusioni del Concilio di Trento. Ed Io, Maestro dei maestri, contemplando la Grazia per ciò che è, nell'eterno "è" di Dio, dico che la Grazia è principio trasformatore della creatura in figlio di Dio, qualità perciò divina simile alla Luce dalla quale proviene, il cui splendore avvolgendo e penetrando le anime, sia che sia dono dato (come ad Adamo) o dono reso (come per i cristiani cattolici reintegrati in Grazia per i meriti del mio Sacrificio e del Sacramento da Me istituito), comunica loro non soltanto una radiosa bellezza, ma la capacità di vedere e conoscere Iddio, così come il Primo Uomo lo conosceva vedendolo e comprendendolo col suo spirito pieno di innocenza e Grazia.
La Grazia è dunque restituzione dell'uomo alla capacità di amare e conoscere Iddio. La Grazia è dunque lume a vedere ciò che è Immensa Tenebra al pensiero dell'uomo ma Infinita Luce per lo spirito in grazia, è dunque voce, e sapientissima voce, è vista, luminosissima vista per contemplare Iddio, è dono dato ad aiutare il desiderio dell'anima di conoscere Dio, è mezzo a ricordare l'Origine così come Essa desidera essere ricordata, è strumento alla deificazione della creatura. E tanto più la creatura, per volontà propria e per giustizia raggiunta per volontà d'amore, cresce nella Grazia, altrettanto crescerà in lei ciò che è unione col Divino e crescerà in lei sapienza, che è uno dei divini attributi, e con la sapienza la capacità di comprendere, conoscere, amare la Verità e le verità. Perché la Grazia è lo Spirito di Dio che entra nell'uomo con tutti i suoi doni, trasformando, elevando, santificando le potenze e le azioni dell'uomo. E fra queste, prima e principale, l'amore. Azione per la quale siete stati creati.
Amare è conoscere. Non si ama che chi si conosce. Tanto più si ama quanto più si conosce. Nessuno potrebbe sostenere di amare un parente sconosciuto, o un uomo abitante agli antipodi, così come ama il parente che ha presso o l'amico di casa. Il suo amore per questo non andrà più oltre di un astratto sentimento di fratellanza o di parentela, che non dà gioia se dura, e non pena se cessa. Mentre la perdita di un parente ben conosciuto o di un amico è vero dolore. E avvenuta che sia, si cerca conservare di lui ogni ricordo per sentire men viva la perdita o, se è solo lontananza, in tutte le maniere si cerca renderla meno assoluta per sentire meno grave la lontananza. I fanciulli divenuti orfani nell'infanzia, osservateli con quale ansia cercano ricostruirsi un'ideale figura dello scomparso genitore coi ricordi lasciati da lui o raccolti sui labbri dei parenti e amici.
La creatura ha bisogno di amare, e per sentirsi meno sola e per amare deve ricordare. Il ricordo è come una catena che unisce all'amato, lanciata nelle distanze. Non se ne vede l'estremità, ma i movimenti che si sentono venire attraverso l'amorosa catena del ricordo reciproco dicono che si è amati come si ama.
Per questo Dio diede ai primi uomini la conoscenza di Sé. Perché essi fossero perfettamente felici nel periodo della Grazia e della Gioia, e avessero poscia un ricordo che li unisse ancora al Padre, nascosto dietro le caligini del peccato, alzate come un muro fra i decaduti e la Perfezione, ma non definitivamente perduto poiché l'amore durava. Adamo ed Eva conobbero Dio, ne ebbero la spirituale visione beatifica e ne compresero l'Essenza perché i loro spiriti, dico spiriti, in Grazia potevano affissarne l'incorporea e suprema Bellezza e intenderne la Sapienza nella voce di Dio "nel fresco della sera" [3].
Oh! dolci colloqui, rapimenti di creature deificate con Dio loro Autore, nella pace del terrestre paradiso, divini ammaestramenti appresi senza fatica da due intelletti senza tare di imperfezioni fisiche o di imperfezioni morali, accettati senza quelle cocciutaggini che rendono a voi difficili ad accettare le divine lezioni, perché voi non sapete più amare come gli Innocenti, o poveri uomini mutilati di troppe cose sante e empìti di troppe altre inutili e dannose, poveri uomini che potreste tornare perfetti se possedeste un perfetto amore!
O lezioni di Dio, sapienza che rifluiva dalla Sorgente paterna nei figli benedetti, ricevuta come un dono, amata come una festa, amore reciproco che era parola, che era domanda precorsa dalla risposta, che era fiducia, che era sorriso, che era pace! Pagina di un gaudio per sempre distrutto, pagina scritta nei libri della vita e ai primordi della vita e poi bruttata, e non più proseguita, dall'impronta incancellabile della Colpa, chi ti può leggere ai viventi in esilio perché comprendano ciò che hanno perduto e siano umili? Umili guardando di quanto sono decaduti, considerando quanto Dio è buono nel dare ancor tanto di amore e sapienza, nonostante che la serpentina testa della superbia non doma sia sempre pronta a drizzarsi in loro per discutere con Dio che si rivela, consiglia o comanda a scopo buono.
Adamo ed Eva avevano dunque il dono della Grazia che è amore, luce, sapienza, conoscenza di Dio, e questo dono, essendo essi uomini privati e pubblici insieme, essendo i progenitori di tutta la famiglia umana, sarebbe stato da essi trasmesso insieme agli altri doni ai loro discendenti e non ci sarebbe stato bisogno per essi di faticare per ricordare Dio, per risalire faticosamente dalle tenebre verso la Luce, lottando col peso del Male, con la controcorrente delle tentazioni, con le caligini dell'ignoranza, con tutta la miseria venuta dal decadimento dalla Grazia. Non ci sarebbe stata necessità di ricordo perché non ci sarebbe stato da ricordare il Bene perduto, ma soltanto ci sarebbe stato gaudioso godere dell'Amato.
Poi Adamo ed Eva peccarono, e Dio li cacciò dal suo cospetto e li escluse dalla sua amicizia e dall'Eden "ponendo Cherubini sulle soglie di esso" dice4 la Genesi, e condannando l'Umanità al lavoro, al dolore, all'ignoranza, alla morte, per la parte materiale, alla privazione della Grazia, della conoscenza di Dio e del Paradiso celeste per la parte spirituale. Il Catechismo dice: "Adamo ed Eva perdettero la Grazia di Dio e il diritto che avevano al Cielo, furono cacciati dal paradiso terrestre, sottoposti a molte miserie nell'anima e nel corpo e condannati a morire" e "i loro discendenti per eredità di colpa subirono i danni della privazione della grazia, la perdita del paradiso, l'ignoranza, l'inclinazione al male, tutte le miserie della vita e infine la morte", di modo che "se Dio non avesse usato misericordia, gli uomini non avrebbero più potuto salvarsi".
Quale fu la misericordia usata da Dio al genere umano? Risponde ancora la Genesi con le sue pagine e il Catechismo con le sue risposte: "La misericordia di promettere subito ad Adamo il Redentore divino o Messia, e di mandarlo a suo tempo per liberare gli uomini dalla schiavitù del demonio e del peccato, reintegrandoli nello stato di figli di Dio con la restituzione dello stato di Grazia" per i miei meriti e la Passione mia.
Or dunque ditemi: se nel momento stesso della condanna, Dio Padre già la tempera nel suo rigore con la speranza di un redentore, con la promessa di un perdono, non sta questo a dimostrare che Egli stesso, sempre Misericordia anche nella Giustizia perché eterna e perfetta Carità, volle che nell'anima dell'uomo avvolto nelle tenebre e nel dolore rimanessero delle scintille di luce – ricordi – che impedissero la disperazione, l'abbattimento, l'abbandono, il languore di chi non ha più un fine e trascina senza vigore di speranze i suoi giorni? Sì, in verità, che così fu.
E riepilogando il detto fin qui, tratto dalla Genesi – libro scritto sotto l'ispirazione dello Spirito Santo, e perciò avente Dio per autore, come definisce il Concilio Vaticano – e dal Catechismo nel testo prescritto da quel mio vero Vicario e Pastore che ora è meco in Cielo dopo avermi amato con perfezione e perciò ricordato con perfezione sulla Terra – verità che nessuno può respingere a meno di dichiararsi eretico – si può concludere che l'uomo innocente e in grazia aveva il dono di grazia di conoscere Dio, amarlo e goderlo eternamente, e che l'uomo decaduto ebbe il dono di misericordia di una promessa, e di un ricordo perciò del Divino, che lo aiutasse a ben operare per potere, in un futuro certo, godere, dopo il dolore del castigo, la vista e il possesso di Dio.
Ed ora, dopo aver trattato in generale l'argomento, scendiamo a trattarlo nei punti che non potete, o meglio non volete, accettare, nei dettati5 del Preevangelo dei giorni 24 - 29 - 30 agosto 1944 e 2 settembre 1944 (Infanzia di M. Ss.).
Ho dettato il 2 settembre 1944: "Sono questi dei misteri che sono troppo alti perché li possiate comprendere in pieno". Soprattutto i dotti non li possono comprendere. I semplici di cuore, che solo l'Amore e la Sapienza istruiscono, li comprendono meglio perché non li discutono. Per essi, parola soprannaturale che comunichi pace è parola certa e l'accolgono con umiltà e riconoscenza. Ma lo ripeto: vi sono misteri che non si possono comprendere se si sviscerano in base ad un metodo analitico umano. O avere una fede grande e un'accesa carità, e allora divengono sufficientemente chiari, o non comprenderli. Ma vi consiglio di accettare almeno le luci che vi dono per fare meno incompleta la vostra scienza. Ricordate sempre che anche l'uomo più dotto è sempre troppo piccolo e finito rispetto all'Infinito e alla Sapienza dell'Infinito. E vi consiglio anche a non alterare le mie parole, né a svisarne il significato per potere giungere a dar pena al portavoce. Non è carità addolorare i fratelli e accusare gli innocenti.
Voi volete sapere come si è potuto dire che le anime preesistono. Dove avete trovato quella parola che Io non ho detta? Nel fondo del vostro pensiero, non nelle mie pagine. Le anime non preesistono. Non sono oggetti ammassati in depositi per essere presi al momento buono. Dio non ha bisogno di scorte per avere pronte le sostanze.
Nel dettato del 24 agosto 1944 Io dico al piccolo Giovanni: "Tu hai visto la generazione continua delle anime da Dio". Avevo usato quel vocabolo per dare a voi tutti più che mai viva la sensazione che l'uomo è figlio di Dio poiché è il padre colui che genera, e anche per farvi intendere la bellezza della parte che in voi è somigliante a Dio. Non vi è nulla in Dio che non sia Dio. Le vostre anime dunque, venendo da Dio, sono soprannaturalmente divinizzate per l'Origine e per la Grazia, che nei credenti nel Dio vero e nel Cristo Redentore viene infusa col S. Battesimo e conservata con la fuga dal peccato.
Se Io già illuminavo il fine mostrando il principio che è la vita celeste di possesso di Dio, se lo facevo mentre mostravo il principio – la creazione dell'anima per opera di Dio, per incarnarsi in una carne e santificarsi nella esistenza per essere vincitrice in Cielo – mi si doveva capire, ché stolti non siete, ma dotti siete, e a questa vostra scienza ci tenete. Comprendete, dunque, con buona volontà, il pensiero del vostro Signore, che è chiaro e comprensibile a tutti coloro che hanno volontà d'intenderlo. E che? Sareste voi come quelli che mi accusavano, al mio tempo mortale, e ancor mi accusano, perché Io dico6 esser preferibile far violenza a se stessi col cavarsi l'occhio che pecca, o la mano, o il piede, anziché conservarli peccando? Non comprendete dunque la metafora? Non sapete trasportare allo spirituale un paragone materiale? Ebbene, se siete così limitati, provvedo facendo sostituire il vocabolo "generazione" con l'altro di "creazione" (p. 13 Preevangelo).
Avevo dato al portavoce la visione7 della creazione delle anime. Leggete la visione descritta dal portavoce (fascicolo s. t. p. 63, 25-5-44). Una visione che, come dico più oltre (31-5-44, fascicolo X Y pag. 794-796) era data in tal modo per rendere l'operazione creativa, immateriale, visibile alla veggente. Descrivendo tale visione il portavoce usa il vocabolo "creare" (riga 30ª p. 63 fascicolo s.t.) così come dice, con verità e semplicità, che "non vede, essendo in Paradiso – conclusione della veggente esattamente giusta – quando la macchia di origine sporca le anime". Nel Paradiso, infatti, ciò non può accadere. Da questo vedete come è nella verità il portavoce. E ancora lo stesso dichiara che "non vede gli spiriti che, cessato il loro tempo sulla Terra, si separano dalla carne e tornano per essere giudicati". Maria dice che "comprende come sono giudicati dai mutamenti dell'espressione di Gesù" (riga 74ª della stessa pagina).
Tornare all'Origine, presentarsi al Giudice G., non vuol dire andare in un dato luogo né esattamente andare ai piedi dell'eterno trono. Sono, queste, formule usate per aiutare il vostro pensie-ro. L'anima che lascia la carne che animava si trova immediatamente di fronte alla Divinità che la giudica, senza necessità di salire e presentarsi alle soglie del beato Regno. È catechismo che Dio è in Cielo, in Terra e in ogni luogo. E perciò l'incontro avviene dovunque. La Divinità empie di Sé il Creato. È quindi presente in ogni luogo del Creato. Io sono che giudico. Ma Io inscindibile dal Padre e dallo Spirito Santo, onnipresenti in ogni luogo.
Il giudizio è rapido come rapida è stata la creazione: meno di un millesimo della vostra più piccola unità di tempo. Ma come nell'atomo dell'attimo creativo l'anima ha tempo di intravvedere la Ss. Origine che la crea e di seco portarne il ricordo perché sia istintiva religione e guida nella ricerca della fede, della speranza, della carità che, se voi ben osservate, sono, nebulosamente, come germi informi, anche nelle religioni più imperfette — la fede in una divinità, la speranza in un premio dato da questa divinità, l'amore a questa divinità — altrettanto nell'atomo dell'attimo del giudizio particolare lo spirito ha tempo di comprendere ciò che non ha voluto comprendere nella vita terrena, e ha odiato come nemico o schernito o negato come fola vana, o anche servito con tiepidezze che esigono riparazione, e di seco portare, nel luogo espiativo o nell'eterna dannazione, il ricordo, a suscitare fiamme d'amore per l'eterna Bellezza, o tortura di castigo col rovello del Bene perduto che la coscienza intelligente rimprovererà di aver voluto liberamente perdere. Perché lo ricorderanno, e terribile, senza poterlo contemplare, insieme ai loro peccati.
La creazione dell'anima e il giudizio particolare sono i due atomi di attimi in cui le anime dei figli dell'uomo intellettualmente conoscono Dio per quel tanto che è giusto e sufficiente a dar loro un agente per tendere al loro Bene appena intravveduto, ma rimasto impresso nella sostanza che, essendo intelligente, libera, semplice, spirituale, ha comprensioni pronte, volontà libere, desideri semplici, e movimento o inclinazione o appetito, se più vi piace, a riunirsi con l'amore a Colui donde venne, e a raggiungere il suo fine del quale ha già intuito la bellezza, o a staccarsene con un odio perfetto raggiungendo colui che è il loro dannato re, e avendo nel ricordo "di odio" un tormento, il maggiore fra i tormenti infernali, una disperazione, una maledizione indescrivibili (ricordare dettato 15-1-44).
Il "siate perfetti come il Padre" che Io ho detto8, non era parola vana né esagerata. L'uomo stava per essere nuovamente elevato allo stato di Grazia. Potevo dunque, a piena ragione, dare questo comando di perfezione. Poiché per la perfezione eravate stati creati. E questo desiderio dei giusti ad una perfezione è un desiderio spirituale veniente direttamente da Dio, che giunge a darvene il comando: "Cammina alla mia presenza e sii perfetto" (Genesi 17 v. 1). E, più ampio sebbene implicito, ve lo ripete nelle leggi del Sinai, e nelle lezioni dei Sapienziali, e nelle parole dei patriarchi, dei profeti, degli ispirati tutti, nei quali Io sono che parla. È infine, come più diretto né più esplicito non può essere, nel mio comando: "Siate perfetti come il Padre vostro". E, come eco della mia eterna Parola, è nelle parole dei miei Santi, da Pietro in poi.
"Siate perfetti" ho detto. Per liberare lo spirito degli antichi da quell'angoscioso senso di timore che interdiceva loro di poter pensare di essere degni di somigliare al Padre loro. Da troppi secoli l'Altissimo era per loro il Dio terribile, e l'amore e la speranza e la fede erano tremebondi davanti l'Immensità severa di Dio. Ma ormai era venuto il tempo della Misericordia, del Perdono, della Pace, dell'Amicizia, dellafigliolanza con Dio. Quindi ecco il comando di illimitata perfezione: "Siate perfetti come il Padre". E col comando l'implicita assicurazione che conforta a osare "perché, sol che lo vogliate, potete divenirlo".
Dio non fa e non dice atto o parola vani. Io non ho perciò dato vano comando, né fatto stimolo vano ai vostri cuori con questo comando. Vi ho ridestato un desiderio affievolitosi, che il Padre mio e vostro aveva messo vivo nello spirito dell'Uomo, e che l'Uomo avrebbe trasmesso con ogni altro dono di Dio ai suoi discendenti: il desiderio di possedere Dio, di goderlo in Cielo dopo una vita passata al suo servizio. Questo desiderio, ridestato vivamente, sarebbe stato vano se non avesse dovuto mutarsi in realtà. Ma le creature possono giungere a questa realtà. È anzi desiderio di Dio che vi giungano. Ed è per questo che Dio lascia nell'anima, anche del più selvaggio, un ricordo di Dio per cui quell'anima, così come può, possa in un futuro più o meno lontano giungere al suo scopo: la conoscenza di Dio, che è beatitudine, per averlo amato e servito come sapeva per poterlo poi possedere.
Che se poi la maggioranza delle anime vive in modo che sembra smentire la mia asserzione, ciò non è negazione di quanto Io dico, ma dimostrazione di quanto è pervertito l'uomo nei suoi affetti e voleri, per le sue alleanze col Male. In verità molti sono che strozzano col capestro dei vizi e dei peccati la loro anima dopo averla fatta schiava di Satana al quale si sono alleati. La strozzano definitivamente per non sentirla più gridare e piangere ricordando che il Male non è lecito e che vi è un castigo per chi lo compie. Sono, costoro, coloro che da figli di Dio tornano creature-uomo per la perdita della Grazia e da uomo divengono poi demone, ché l'uomo separato dal Bene è vilucchio che si abbarbica, per reggersi, al Male. Dove non è legge soprannaturale, difficilmente, e sempre imperfettamente, è legge morale. E dove la morale umana è imperfetta o assente, è vivente, in tutto o in parte, la concupiscenza triplice.
Ma se la maggioranza delle anime sembrano negare col loro modo di operare il naturale ricordo e desiderio di Dio e il loro volere che è di tendere ad un fine di gaudio, occorre ricordare che nell'uomo è la creatura carnale e quella spirituale, e che l'uomo ha il libero arbitrio, il quale serve sempre la parte più forte. Ora, se uno indebolisce coi vizi e peccati la sua anima, certo sarà che essa divenga debole mentre si irrobustirà la parte animale che soverchierà la più debole sino ad ucciderla. Ma non per questo si potrà negare che l'anima venga creata con capacità di ricordare e desiderare naturalmente il suo fine.
Natura dell'anima è natura spirituale. Perciò l'anima ha desideri spirituali anche se, per privazione di Grazia (coloro che non sono rigenerati dal Battesimo) non ha che desideri naturali al regno spirituale donde viene e dove istintivamente sente esservi lo Spirito supremo. Nelle anime, poi, rigenerate alla Grazia dal Battesimo e mantenute e fortificate in essa dagli altri Sacramenti, l'attraimento dell'anima al suo fine avviene divinamente essendoché la Grazia, ossia ancora Dio, attira a Sé i suoi diletti figli, sempre più vicini, sempre più nella luce più, per gradi, essi salgono nella spiritualità, di modo che la separazione diminuisce e più vivo è il vedere, più vasto il conoscere, più ampio il comprendere, più perfetto l'amare, sino a pervenire alla contemplazione che è già fusione e unione della creatura col suo Creatore, atto temporaneo ma incancellabile e trasformatore, perché l'abbraccio di Fuoco della Divinità che si chiude sulla sua creatura rapita imprime un carattere nuovo a questi viventi, che già sono separati dall'Umanità e spiritualizzati in serafini, dotti della Sapienza che Dio dà loro, dandosi ad essi come essi a Lui.
Per questo, giusto è definire che lo scrittore ispirato "ha Dio per autore". Dio che rivela o illumina misteri o verità, secondo che a Lui piace, a questi suoi strumenti "eccitandoli e movendoli con soprannaturali virtù, assistendoli nello scrivere in modo che essi rettamente concepiscano coll'intelligenza e vogliano fedelmente scrivere, e con mezzi adatti e con infallibile verità esprimano tutte e sole quelle cose da Lui, Dio, comandate". È Dio che con triplice azione illumina l'intelletto perché conosca il vero senza errore, o con la rivelazione per verità ancora ignorate, o con l'esatto ricordo se sono verità già stabilite ma ancora alquanto incomprensibili alla umana ragione; muove perché sia scritto con fedeltà quanto soprannaturalmente l'ispirato viene a conoscere; assiste e dirige perché le verità siano dette, nella forma e nel numero che Dio vuole, con verità e chiarezza, perché siano note ad altri per il bene di molti, con la stessa parola divina negli insegnamenti diretti, o con le parole dell'ispirato nel descrivere visioni o ripetere lezioni soprannaturali.
L'opera che viene data agli uomini attraverso il piccolo Giovanni non è un libro canonico. Ma è sempre un libro ispirato, che Io dono per aiutarvi a comprendere certi passi dei canonici e specie a comprendere ciò che fu il mio tempo di Maestro e a conoscermi: Io, Parola, nelle mie parole. Né Io, né tantomeno il portavoce, che per la sua assoluta ignoranza in questo ramo neppure sa distinguere teologia dogmatica da quella mistica o da ascetica, né sa sottigliezze di definizioni, né conclusioni di Concili, ma sa amare e ubbidire — e ciò mi basta né altro voglio dal portavoce — né Io né lui diciamo che l'Opera è libro canonico. In verità, però, Io vi dico che è libro ispirato, non essendo lo strumento capace a scrivere pagine che neppure comprende se Io stesso non gliele spiego per levargli il timore.
Eppure, poiché nelle ore che è "portavoce" — ossia è da Me preso come da Aquila divina che lo porta nel regno della Luce onde veda e torni fra voi portandovi gemme di soprannaturale valore — il piccolo Giovanni è nella sapiente verità del vedere e comprendere, egli usa il vocabolo "creare" per dire del formarsi delle anime per volere di Dio (fascicolo s.t. p. 63). Io, lo torno a ripetere, avevo usato nel dettato il vocabolo "generazione" per darvi la misura della vostra dignità di figli di Dio. Ma, ripeto anche questo, se ciò vi è di ostacolo a credere, sostituite pure "generazione" con "creazione" e abbiate pace per questo nulla che vi fa ombrosi.
Creare di continuo, da parte del Padre, di anime, non vuole dire "preesistere" come voi dite, dicendo che Io l'ho detto. E ricordare da parte delle anime non vuole dire "preesistere". Ma neppure si può negare che, perché l'attimo creativo è rapidissimo, l'anima, sostanza spirituale intelligente, creata dal Perfettissimo, non possa formarsi sapiente della sua provenienza. Dio Creatore, che ha dato una ragione relativa alle creature inferiori, e una vastissima alle creature umane, e un'intelligenza prontissima oltre che vastissima alle creature angeliche, non avrà dato intelligenza pronta e vasta alla creata anima? Non è essa creata da Lui come gli angeli, gli uomini e gli animali? Sarà dunque essa sola – questa fiamma figlia del Fuoco – tenebre e gelo? Sarà essa sola torpida, ebete, cieca, sorda, smemorata, bruta tanto da non possedere neppure quei rudimentali moti dell'istinto che spingono gli animali a scegliersi i cibi e gli elementi e i climi a loro propizi per vivere e procreare? Inferiore persino ai vegetali, che sentono che nel sole è vita e che, anche piantati in luogo oscuro, si tendono verso il pertugio donde scende luce e di là emergono all'aperto per vivere? O uomini! E pur di negare, per dare dolore al mio portavoce, potete giungere a dire l'anima inferiore alle piante? L'anima: questa mirabile sostanza che Io ho chiamata con sublime metafora "sangue spirituale di Dio eterno, potente, santo", sangue del Padre (parlo in metafora, lo ripeto) che è viva in voi e vi fa immortali, potenti, santi sinché è viva, ossia sinché è unita a Dio con la Carità. L'anima: questa parte di Cielo – e Cielo è Luce e Sapienza – che è in voi contenuta perché l'Infinito avesse in voi un trono che fosse ancor Cielo, e che vi contiene perché l'abbraccio santificante del Cielo sia ancora protettivo intorno alla vostra umanità lottante la sua buona battaglia.
Obbiettate forse che non ha più l'intelligenza integra della prima anima perché è macchiata e menomata dalla Colpa d'origine? Vi rispondo anzitutto che non esce cosa impura dal Pensiero creante. La Colpa originale è nell'uomo e nei figli dell'uomo, non in Dio. Perciò non nell'essere creata da Dio, ma nell'incarnarsi nell'uomo concepito dall'uomo l'anima contrae l'eredità connessa ai discendenti di Adamo, salvo il caso di un eccezionale, unico volere di Dio. In secondo luogo vi ricordo che l'essere più impuro, colui che era Lucifero e che ora è Satana, non ha perso la sua intelligenza potente perché da arcangelo è divenuto demonio, ma usa la sua acutissima intelligenza nel male anziché nel bene come l'avrebbe usata se fosse rimasto arcangelo.
Che dunque mi rispondete se Io vi chiedo perché Satana ricorda Dio ed è intelligente? Non avete ragioni da opporre alla mia asserzione? Non avete che obbiettare? No. Non potete obbiettare nulla. Perché o negare ciò che insegnate, o ammettere che Satana è intelligente e ricorda Dio, tanto che lo odia come lo odia appunto perché lo ricorda come lo ricorda, con la potenza del suo intelletto spirituale, e vi tormenta come vi tormenta appunto perché è acuto nel saper scegliere i modi atti a farvi cadere a seconda del vostro io. Il Catechismo definisce che gli angeli colpevoli furono esclusi dal Paradiso e condannati all'Inferno, ma nessuna definizione è sulla perdita dell'intelligenza nei demoni perché, che la loro intelligenza sussista, lo dimostra l'acutezza delle loro operazioni per nuocervi.
Le anime ricordano. Perché? Perché, come Dio a temperare il rigore della condanna dette nel contempo ad Adamo la speranza di una redenzione, e di quella redenzione, così ugualmente gli lasciò il ricordo del tempo beato perché gli fosse soccorso nel dolore dell'esilio, e stimolo santo ai figli di Adamo ad amare Colui che per essi era l'Ignoto.
Non solo, ma nel creare le anime, a questi figli dell'uomo, Dio non le privò di quella naturale inclinazione verso la Divinità che da per sé sola può aiutare a raggiungere il fine per cui l'uomo è stato creato: amare il Signore, il Dio onnipotente e onnipresente il cui Tutto incorporeo empie l'infinito e che l'uomo sente, più o meno giustamente, e vede essere in tutto che lo circonda, penetra o colpisce. Nei selvaggi sarà nello scroscio della folgore o nello splendere lungo dell'aurora boreale; per gli idolatri sarà nella potenza del leone o nella vita anfibia del caimano; per i credenti in religioni rivelate, ma non perfette, in manifestazioni naturali supposte come azioni e manifestazioni di singoli dèi; nell'uomo civile pensatore o scienziato nei fenomeni del cielo o nel mirabile organismo dei corpi; nel credente, oltre che nella dottrina, nella vita stessa dell'anima che si manifesta con le sue luci e coi suoi palpiti di rispondenza ad altri più ardenti palpiti di un Amore eterno che l'ama, nella meraviglia del nascere e nel mistero del morire, una parte dell'umano, e l'altra vivere di una più vera vita; ma tutti e in tutto l'uomo sente un'invisibile e potente Presenza, sia che la neghi — e nel negarla ammette già che esista, perché non si nega che ciò che è e che si sa da molt'altri creduto — sia che la odî, confessando con l'odio che Essa è, sia che l'ami proclamando coll'amore che la si crede reale e che si spera poterla un giorno non già credere ma godere.
Dio ha fatto questo: ha lasciato nell'uomo l'inclinazione al Bene supremo. E che è questo se non ricordo? E che ve ne pare? che non potesse farlo, Egli che è onnipotente e che, senza sforzo o fatica, da millenni regge il Creato, e senza un attimo di sosta crea anime, giudica anime, conosce contemporaneamente tutte le azioni di esse, le preconosce, essendo il Passato, il Presente, il Futuro un unico "è" davanti al suo Pensiero, le segue nello svolgersi, le giudica senza confusioni e errori, e giudica le anime che ad un suo comando lasciano la carne alla quale erano state mandate e che tornano al mondo ultraterreno supercreate, ricreate o, dovrei dire, distrutte dalla libera volontà dell'arbitrio? Ma questo vocabolo, per voi che cogliete sempre il senso materiale delle parole e non lo spirito delle stesse, vi farebbe gridare all'anatema. Dirò allora: brutte, sconce, mutili e svisate per aver cancellato volontariamente il ricordo del Divino. Perché è soprattutto questo ricordo, più di ogni lezione che si possa apprendere nelle scuole di ogni genere, quello che istruisce l'anima a perseguire le virtù per amore al proprio Dio e per speranza di possederlo un giorno, oltre la vita, nella Vita senza fine.
In verità, fra i molti doni che l'Amore ha conservato all'uomo decaduto, questo è il più alto e il più attivo. Parlo delle anime in generale, non di quelle dei cristiani cattolici, membri del Corpo mistico, vivificati dalla Grazia che è il dono dei doni. Questa inclinazione naturale al Bene supremo, che è ricordo spirituale di Dio, talora talmente sottile che le altre due parti dell'uomo non lo avvertono pur essendo da esso guidate a pensare e rette nell'operare, è stimolo alla ricerca della Divinità, all'operare per esser degni di Essa, a vivere in una parola in modo da giungere a ricongiungersi ad Essa. Per esso le anime si creano, se non la possiedono già, una religione che può essere errata per ignoranza del Vero, ma che è sempre amore alla divinità, ossia rispondenza al fine per cui l'uomo fu creato: amare e servire Dio sulla Terra e goderlo, immediatamente e completamente o dopo un tempo più o meno lungo, per l'eternità.
Il ricordo crea amore. L'amore, giustizia. La giustizia della creatura genera un più grande amore per lei da parte di Dio. E il conoscimento si fa sempre più chiaro, più amore e giustizia aumentano nella creatura. Coll'amore cresce perciò sempre più il ricordo di Dio, perché, come ho detto, ricordo è conoscimento d'amore, e dove è amore là è Dio. Quando poi delle anime, a luce nel ricordare e a voce nell'apprendere, hanno la Grazia, che dite voi? Che essa Grazia non vi renda di molto simili all'Adamo innocente e perciò capaci di conoscere Dio? Che dite voi? Che quando alla Grazia, che vi viene resa per i miei meriti, venga unita la buona volontà e il lavoro di santificazione, la vostra conoscenza di Dio non si accosti sempre più a quella che era la gioia di Adamo? In verità, in verità vi dico che così avviene, e il ricordo, nei santi ancora viventi in Terra, non è più un ricordo, ma è conoscimento.
Vi stupite della mia asserzione? E i patriarchi e i profeti, privi di Grazia ma giusti, non furono rapiti alla visione di Dio e non ne udirono la voce? Non mirarono la gloria di Dio e il Cielo mirabile? "Or quando Abramo entrò nei 99 anni gli apparve il Signore" (Genesi 17, 1). "E il Signore apparve a Mosè in una fiamma di fuoco di mezzo a un roveto" (Esodo 3, 2). "E salito Mosè sul monte la nuvola coperse il monte e la gloria del Signore… E Mosè entrato nella nuvola…" (Esodo 24, 15-18). "…io vidi uno che sembrava un uomo e dentro di lui e intorno a lui vidi una specie d'elettro" (Ezechiele 1, 26-27). "E udii una voce d'uomo che da mezzo all'Ulai gridava e diceva…", "Ecco Gabriele… e mi istruì…" (Daniele 8, 16; 9, 21-22). Tanto per ricordare alcuni punti9 in cui è scritto in libri canonici che anche a quelli privi di Grazia fu concessa la visione o la parola celeste.
Conoscere Dio e "conversare con Lui" nell'intimo eden è già vedere e prevedere. Perché Dio non è mutato per scorrere di millenni, e le sue lezioni ai suoi eletti sono vaste, piene, luminose, come ai due innocenti che erano nudi e non ne avevano vergogna, perché non sapevano le povere scienze della materia ma unicamente le sublimi sapienze dell'amore.
E dopo ciò potete ancora impugnare, come fossero errori, le parole scritte dallo strumento? Non contemplo neppure il caso che voi possiate ritenerle errore del Maestro o non riconoscere, dalla dovizia e sapienza del dono, chi è Colui che lo detta. Dopo ciò potete ancora impugnare, come fosse errore dello strumento, la verità che le anime hanno un ricordo di Dio, tanto più vivo più l'anima evolve in giustizia, vivissimo quando alla giustizia della creatura si unisce lo stato di grazia, ossia di figliolanza da Dio, perfetto quando, come in Maria Ss., vi è l'eterna verginità dello spirito da contatto con la Colpa e vi è pienezza di Grazia, assoluta innocenza, possesso della Sapienza, carità perfetta? Tanto perfetto in Maria Ss. quale nessun'altra creatura mai l'avrà.
Dite voi, Servi di mia Madre [10], e che è per voi Maria Ss.? La Eva nuova che conosce Dio come l'antica? No. Più che Eva. Perché, oltre che l'Innocente, Figlia, Sposa, Madre di Dio, così da Dio contemplata ab eterno, Ella è l'Agnella al fianco dell'Agnello, la Vittima, consumata con la divina Ostia per fare di voi dei "conoscenti Iddio".
Ed ora rileggete, spogliando le vostre menti delle "vesti di foglie di fico" che vi siete cucite intorno ai vostri intelletti e che vi intercettano il vedere, rileggete là dove si parla di ricordo, di conoscenza, di dolci conversari della Unità Trina raccolta nel Cuore immacolato della Piena di Grazia con la sua anima adorante. Rileggete là dove Io parlo delle operazioni della Grazia che è Luce e Sapienza e che rende luminoso sempre più il ricordo di Dio e, unita alla giustizia, fa del ricordo un conoscimento sempre più perfetto, talora precoce, sempre santo, nello spirito dei santi. E pregate poscia che nella vostra intelligenza avvenga una nuova Pentecoste, e tutti i doni dello Spirito, Maestro di ogni vero, entrino a rinnovarvi, a riaccendervi in quella somiglianza divina che è amore soprannaturale colla soprannaturale Bellezza, senza il quale l'unione e la somiglianza e comprensione sono impossibili.
In ginocchio, con l'animo umile degli umili, davanti a Colui che vi parla perché ha pietà di voi, pastori, e degli agnelli, e prende un "nulla" proprio perché è tale e perché ama ripetere il gesto fatto davanti all'umanità concupiscente dei Dodici, per confondere con la sua divina Sapienza la povera scienza umana dei dotti che si attardano a numerare i fili degli zizit [11], polverosi per essere stati più vicini al suolo che al cielo, e lasciano, per questo lavoro inutile e pedante, di raccogliere e conservare le perle luminose di cui è contesto il lavoro. Sono zizit, per chi non comprendesse la metafora, le inutili perdite di tempo e gli sfoggi ancor più inutili di sapere umano usati per stabilire se la capienza di un luogo o il numero dei suoi abitanti, desunti da lavori umani e molto posteriori al mio tempo, perciò inesatti, corrispondono all'asserito da uno strumento, o se l'epoca e la permanenza in un luogo che egli dice, sempre confrontata secondo una misura che gli uomini si sono data, corrispondono al millesimo di frazione di tempo che essi ritengono perfetta. Ma dite! È il numero dei giorni, la vastità di un paese, la somma dei suoi abitanti che vi interessa, o è la dottrina dell'opera? Nel primo caso, mille e mille autori umani vi possono dar pascolo abbondante. Nel secondo, unicamente Io posso darvi ciò che andrebbe cercato in primo luogo. Perché solo quanto Io vi do vi serve per la vita eterna. Il resto è fieno che dopo essere digerito viene espulso e diviene immondezza. Non entrerete in Cielo per sapere quanti giorni uno fu in un luogo o quanti cittadini erano in una città, ma per esservi perfezionati traendo vita luminosa dalla Parola che è Vita e Luce.
Amate Me più della scienza. Benedite Me e non il vostro sapere. E amate anche il "fanciullo" che ho preso per collocarlo fra voi. E con Me benedite il Padre [12], Signore del Cielo e della Terra, per avere una volta di più rivelato Se stesso ad un piccolo in luogo di rivelarsi ai sapienti. Un piccolo, un fanciullo, un nulla. Sì. Ma un nulla consumato dal desiderio di servire e amare Iddio e di farlo conoscere, un nulla che da sé solo ha svegliato in sé sempre più vivo il ricordo di Dio, un nulla che ha consumato col suo amore e il suo volontario olocausto i diaframmi dell'umanità, un nulla che è giunto ad amare la Luce più dell'esistenza e degli onori, un nulla che si è così inabissato nella assoluta libertà del contemplare unicamente Iddio tanto da perdere di vista ogni cosa che Dio non sia, un nulla morto a tutto ciò che per i più è ansia di vita, ma vivo in eterno perché morto per vivere nel Signore.
Dio, Io ve lo dico, mostra il suo regno non ai dotti, ma a coloro che sono illuminati dalla grazia e viventi nell'amore, ed è solo Dio che sceglie, prende e posa sul vertice del monte, là dove tanto è vicino il Cielo che lo spirito può gridare, ardendo, quello che doveva essere il grido di ogni uomo: "Ecco il mio Dio. Io lo vedo! Io lo intendo! Io lo conosco! Io sono divorato e ricreato dall'Amore".
Piccolo Giovanni, puoi anche ricordare loro che l'uomo ha un angelo a custode e che questo spirito non è inerte presso l'uomo sul quale riflette le luci che egli angelo rispecchia adorando l'infinita Luce. Sta' in pace, anima mia.»
1 Appunti in margine è il titolo che la scrittrice mette sulla copertina del quaderno autografo n. 115, che contiene gli scritti dal 28 gennaio al 28 febbraio 1947 e del 2 aprile 1947. All'inizio del quaderno la scrittrice ha inserito dei foglietti volanti per complessive sei facciate, il cui scritto è senza data ma rinvia ad un indice generale dell'opera sul Vangelo, contenuto in un fascicolo di propaganda stampato a Roma nel 1948. Nei foglietti, sotto il titolo "Episodi epurati", la scrittrice trascrive, depurandoli, i passi dell'opera che nell'attuale edizione dal titolo "L'Evangelo come mi è stato rivelato" si trovano, nella loro stesura originale e integrale, nel capitolo 98 (brani 2, 3 e 4), nel capitolo 174 (brani 12 e 14) e nel capitolo 183 (brani 3 e 5). La scrittrice conclude: Credo che così non daranno noia a nessuno. Se ce ne sono altri, mi si indichino, ché "Lui" saprà ben operare i tagli. Però faccio notare che vi sono libri anche… cristiani, perché celebrano i primi martiri (vedi il "Quo Vadis") che NON sono modelli di purezza… in molti punti. Eppure da decenni vanno in pace anche per i conventi e collegi…
2 la parola, che è in Salmo 82, 6.
3 nel fresco della sera, come in Genesi 3, 8 secondo l'antica volgata.
4 dice, in Genesi 3, 24.
5 dettati, che si trovano al termine dei capitoli 4, 7, 8 e 10 dell'opera "L'Evangelo come mi è stato rivelato".
6 dico, in Matteo 5, 29-30; 18, 8-9; Marco 9, 43-48.
7 visione del 25 maggio 1944, commentata il 31 maggio 1944. I fascicoli sono le copie dattiloscritte (come al 1° aprile e al 25 dicembre 1945).
8 ho detto, in Matteo 5, 48.
9 alcuni punti, i cui rimandi ai libri canonici, messi nel testo tra parentesi, sono stati corretti da noi solo nel modo di indicare capi e versetti.
10 Servi di mia Madre, cioè religiosi dell'Ordine dei Servi di Maria, al quale appartenevano Padre Migliorini e Padre Berti, che in quel momento seguivano e curavano, a Roma, i delicati e difficili rapporti tra l'Opera ancora inedita di Maria Valtorta e le Autorità ecclesiastiche.
11 zizit è un termine che troviamo spesso nella grande opera "L'Evangelo" per denotare certi ornamenti nelle vesti di scribi e farisei.
12 con Me benedite il Padre, come in Matteo 11, 25; Luca 10, 21.
In merito alle visioni e dettati1 del 24 e 25 febbraio 1944 e 3 gennaio 1945 e 17 gennaio 1945.
Dice Gesù:
«In verità sono così chiare le visioni e le parole date in merito alla mia tentazione, anche nella sua parte ignorata, che esse sono già risposte a tutte le obbiezioni di coloro che fanno domande in proposito, e non sarebbe necessario che Io ne dessi di più ampie anche perché – lo ricordi colui che sollecita queste risposte – sin dal 25-2-1944 Io ho fatto chiaramente capire che non amavo soffermarmi né ritornare sull'episodio e non amavo che
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In merito alle visioni e dettati1 del 24 e 25 febbraio 1944 e 3 gennaio 1945 e 17 gennaio 1945.
Dice Gesù:
«In verità sono così chiare le visioni e le parole date in merito alla mia tentazione, anche nella sua parte ignorata, che esse sono già risposte a tutte le obbiezioni di coloro che fanno domande in proposito, e non sarebbe necessario che Io ne dessi di più ampie anche perché – lo ricordi colui che sollecita queste risposte – sin dal 25-2-1944 Io ho fatto chiaramente capire che non amavo soffermarmi né ritornare sull'episodio e non amavo che altri vi si soffermasse, attirando su di esso la particolare attenzione dello strumento, agendo perciò in maniera diametralmente opposta a quella che avevo avuta Io, che allo stesso strumento, che mi proponeva allora le stesse obbiezioni che ora mi propone nuovamente e sempre per stimolo dello stesso individuo, rispondevo: "Non ho voluto che tu parlassi sulla tentazione sensuale del tuo Gesù. Anche se la tua interna voce ti aveva fatto comprendere il movente di Satana per attirarmi al senso, ho preferito parlarne Io. E non vi pensare oltre".
Avrei voluto che seguiste il mio esempio di prudenza verso il piccolo fanciullo che ho messo fra voi, il quale deve dirvi tutto ciò che vede, ossia tutto quanto è stato usato pro e contro il Cristo, ma al quale anche la sua inesperienza e la bontà paterna di Dio fanno da riparo provvidenziale contro le più crude miserie e azioni degli uomini e di Satana.
Lo avrei voluto per rispetto al piccolo fanciullo i cui occhi vedono Dio, e lo avrei voluto perché questo mi avrebbe testimoniato dello stato del vostro animo, che Io desidererei giusto anche nelle sfumature più leggere. Nulla vi è di insignificante e di inutile e di trascurabile nella giustizia. Ha valore in essa la grande e visibile azione del saper morire per essa, come la silenziosa e nascosta imitazione di Me nella maniera di condursi presso i propri fratelli, o figli di spirito, o discepoli vostri. Perché voi vi siete volontariamente consacrati a questa paternità spirituale e a questo ammaestramento dei piccoli, voi padri e maestri di spirito, voi pastori ai quali ho affidato i miei agnelli, e dovete essere i miei imitatori.
Lo avrei infine voluto perché questo mi avrebbe testimoniato dello stato del vostro intelletto, libero da quanto crea confusione e nebbia alle verità così chiaramente visibili nelle mie pagine, dimostranti la costante perfezione di Gesù Cristo Dio Uomo in tutte le circostanze della sua vita mortale, in tutte le sue azioni, parole e anche silenzi. Perché vi sono silenzi che sono più parlanti di ogni parola e docenti più di ogni dottrina.
E questo episodio, nel punto che voi non volete accettare dicendolo "sconveniente", vi parla appunto con la magnifica lezione del mio silenzio opposto a questa parte impura della tentazione satanica. Il mio silenzio, la mia indifferenza totale ai solleticamenti di Satana, avrebbero dovuto aver voce, per voi, di glorificazione del Cristo. Per voi hanno avuto invece altra voce. Quella di avvilimento pel Cristo. Tentando Cristo di impurità, vi fa effetto che sia stata lesa la dignità del Cristo. Confondete il tentativo col risultato. Lesione sarebbe stata il risultato. Glorificazione è il fallimento del tentativo. Non l'avete saputa considerare questa differenza? Allora non avete saputo leggere la verità taciuta ma palesemente visibile che è nella visione e nei dettati.
Saper leggere! Non tutti lo sanno fare, e fare con esattezza. Per saperlo fare, e fare con esattezza, occorre avere occhio puro da vampe interne e da offuscamenti esterni. Se il vostro occhio spirituale, ossia il vostro pensiero, è limpido e puro, voi vedete le cose quali esse sono. In questo caso: di glorificazione del Cristo. Ma se il vostro pensiero è offuscato o avvampato da fumi di umano sapere e da orgoglio di dover voi soli sapere, o peggio da fuochi impuri, allora è il riflesso vostro quello che tinge di tinte opposte a quelle reali ciò che voi contemplate, e di un episodio casto e innocente ne fa uno sensuale e peccaminoso. Ma rimettete l'episodio lontano dalle vostre luci, nella sua vera luce, ed esso tornerà quale era: testimonianza di una eroicità di castità e innocenza inutilmente insidiate.
Ora, se voi gettate sull'episodio il riflesso della vostra umanità, perché non potete ammettere che uno non possa sentire turbamento interno per una tentazione esterna, perché non potete ammettere che neppure il Cristo, il Santo di Dio, possa essere stato tentato dall'esterno senza risentire turbamento interno, allora siete voi che date quel colore all'episodio. Ma non dovete allora dire che esso episodio testimonia uno sconveniente turbamento del Cristo, turbamento che in verità non può essere ammesso per rispetto alla dignità del Signore Gesù, e perché in verità nel Cristo ci fu sempre ordine e armonia fra carne e spirito, ambedue sempre ossequienti e perfetti nel dare gloria al loro Creatore. Dite dunque, se opinate diversamente da ciò che appare in modo non dubbio dall'episodio in parola, che siete voi che gettate su esso punto dell'episodio ciò che si agita in voi facendo "supposizioni", come dite per altre cose, vostre, e supposizioni che nessuna cosa dell'episodio autorizza e giustifica a supporre e a credere. Ciò è grave.
Perché mi fate dettare queste parole? Non capite quanto dolore mi date costringendomi a dettarle anche soltanto per qualcuno fra voi? Non capite che non è cosa encomiabile mostrare uno scandalo, che in verità non sentite, solo per dare turbamento al portavoce, per tentarlo al dubbio sulla Voce che gli parla, alla sfiducia, o anche per tentarlo a modificare parti dell'opera? Cosa che poi gli rimproverereste e gli opporreste come prova capitale che l'opera è frutto del suo pensiero. Modificare parti dell'opera come se una creatura potesse farlo su pagine dettate da Me. E perché frugare e rifrugare in un dato punto sul quale Io non mi sono fermato, neppure mentre lo pativo, né col pensiero né con la parola scendendo a discuterlo con Satana, e sul quale avevo consigliato di non soffermarsi né di tornarci sopra, perché mi fa schifo, ora come allora? Schifo, dico. Ecco l'unica reazione che il laido insinuare di Satana ha provocato in Me.
Ma ora, e lo sia per sempre, vi darò le risposte che volete, perché "abbiate quella limpida chiarezza su tale punto" che uno di voi dichiara che "sarebbe desiderabile". Io le darò. Non il portavoce, né tanto meno egli si permetterà poi di ritoccare il testo (pag. 111 del I° anno evangelico) "per renderlo cristallino" come sempre vorrebbe uno di voi. Ognuno al suo posto.
Cosa è la tentazione? Dice il Catechismo: "È un incitamento al peccato che ci viene dal demonio, o dai cattivi, o dalle nostre passioni". È un incitamento. Dunque se incita al peccato segno è che non è peccato per se stessa. No. Non è peccato. Anzi è mezzo per crescere nella giustizia e aumentare i nostri meriti rimanendo fedeli alla Legge del Signore. Comincia a divenire peccato di imprudenza quando volontariamente l'uomo si mette in condizione di peccare, avvicinandosi a cose o a persone che lo possono indurre al peccare.
Da chi viene la tentazione? Dal demonio, dai malvagi, dalle passioni. Dunque viene da fattori esterni e da fattori interni. In verità vi dico, però, che i più pericolosi sono i fattori interni, ossia le inclinazioni disordinate e gli istinti o fomiti, rimasti nell'uomo con le altre miserie conseguenti al Peccato di Adamo. Fattori interni che Satana aizza, o tenta di aizzare con ogni mezzo, in questo lavoro molto ben servito dagli uomini che sono intorno a voi e dall'umano io che è un campo di tentazioni sempre rinascenti, avendo tendenza grande all'egoismo della materia e alla sensualità della mente, il primo spingendo la carne a ribellarsi a Dio e allo spirito, la seconda portando la mente alla stolta superbia che si crede lecito tutto, persino di sindacare le opere e le giustizie di Dio.
In verità vi dico che il maggior aiuto a Satana lo date voi accogliendo e coltivando in voi "la concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi, la superbia della vita", cose che vengono non dal Padre ma dal mondo. Perché senza il vostro consenso a preparare il terreno propizio alle invasioni dei fattori esterni, essi non potrebbero penetrare in voi turbando il vostro interno, esasperando i fattori interni. I fomiti del peccato, da soli, non potrebbero condurre a dannazione se l'uomo non li coltivasse, come nella maggioranza degli individui avviene. Li coltivasse come fiori di male che soddisfano il disordinato sentimento dell'uomo per il loro vistoso e invitante aspetto, e che poscia si cambiano in frutti di colpa.
Se sui fomiti si abbattesse, santamente spietata, la buona volontà, essi rimarrebbero sterili, simili a maligne piante disseccate, o quanto meno intristite, tanto da non potere crescere, ma anzi soggette a continuo affievolimento, sino alla loro distruzione totale. Invece l'uomo li lascia esistere in sé, ed essi crescono; crescono rinvigoriti dai bocconi ghiotti che l'uomo incauto si concede, senza sapere che ogni cedevolezza all'illecito, anche se piccola e in apparenza trascurabile e innocua, è preparazione a cedevolezze più grandi. Perché l'appetito alle concupiscenze aumenta più si assaggia il piccante loro sapore. E l'appetito soddisfatto nella sua sempre rinascente e crescente violenza, aumenta di conseguenza la forza degli istinti disordinati, e questi crescono sino ad empire di loro tutto l'uomo e ad abbattere le barriere della coscienza.
Oh! Avviene come di una pianta messa a dimora in uno spazio angusto. Sinché essa non ha fatto tutto il suo sviluppo, sta contenuta nel recinto dove l'hanno posta, ma quando è totalmente cresciuta e le sue radici sono vaste quanto le sue fronde, allora non possono più stare compresse nel luogo troppo ristretto e si insinuano sotto le fondamenta dei muri di confine per cercare spazio così come in alto lo hanno cercato i rami, e crescendo sollevano i muri, li scompaginano, li fanno franare aprendo varchi dai quali possono entrare ladri o fanciulli a manomettere la pianta per spogliarla di frutti e rami, e malmenandola talora sino a produrne la morte. Nel caso dell'anima, la pianta della disordinata inclinazione alle concupiscenze, in contrasto con l'inclinazione dello spirito al suo fine: Dio, apre il varco a Satana e al mondo, che si alleano seduttori contro l'io incauto, portando la morte o la manomissione, la mutilazione della bella integrità dello spirito.
In verità ve lo dico. Non è l'essere tentati che deve fare paura. Né la forza della tentazione e il ripetersi dei suoi violenti attacchi deve indurre l'anima ad avvilirsi nel pensiero che questo avviene perché essa è fuori della grazia del Signore e destinata alla morte eterna. Rallegratevi anzi, o voi che siete così fortemente vessati da Satana. Segno è che siete nemici di Satana e che Satana vi sente già come preda che gli è sfuggita per sempre. L'ira satanica si avventa sempre contro le prede sfuggite alla sua fame e contro le conquiste di Dio.
È logico che così sia. Anche nelle battaglie fra due eserciti nemici, dove è che il nemico reitera i suoi assalti più forti? Forse contro le posizioni più deboli e meno importanti? No. Su quelle capitali e fortissime. Le altre sono facili conquiste che esso si serba per ultime, quando le milizie sono già stanche, tanto per dare ad esse l'incentivo di qualche vittoria perché sia sprone alle lotte più dure. Sarebbe ben stolto quel capo d'eserciti che stancasse uomini e mezzi per fare imponenti spiegamenti di forze e sprecasse munizioni contro una città dalle difese già franate per l'incuria dei difensori, o disposta ad arrendersi senza combattimento.
Satana non è mai un conquistatore stolto. Sa molto bene regolare i suoi assalti. E se dove vede debolezza spirituale e morale, e molto indeboliti i ripari difensivi della coscienza – perché contro di essi hanno fatto da ariete le inclinazioni malvagie dell'uomo – o anche dove vede consentimento pieno ad accettarlo per amico, non fa violenti assalti ma usa soltanto blandizie, là dove vede una resistenza e prevede una disfatta fortemente si avventa con tutti i mezzi, dalle blandizie ai terrori, né si stanca di ripetere a cento, a mille, direttamente o con l'aiuto del mondo e delle circostanze, di tutti perciò i mezzi esterni, di conquistare la preda, o di tormentare – almeno questo vuole l'eterno odiatore dei buoni – o di tormentare i figli di Dio.
In verità vi dico che quando una creatura ha raggiunto l'eroicità nella virtù o, come dice Paolo, la creatura "è divenuta forte nel Signore e nella sua virtù potente", allora è che occorre rivestirsi "dell'armatura di Dio per poter resistere alle insidie del diavolo", perché è allora che, come sempre dice l'Apostolo, la creatura "non combatte più colla carne e col sangue, ma contro i principi e le potestà, contro i dominatori di questo mondo tenebroso, contro i maligni spiriti dell'aria", ossia contro l'Inferno fortissimo, il quale scatena direttamente le grandi bufere delle potenti tentazioni in un ultimo sforzo per tentare di abbattere lo spirito gigante che gli resiste.
La tentazione è, allora, un peccato o una gloria? Un bene o un male? Non è peccato. E, pur essendo un elemento del Male, si può tramutare in mezzo di bene e di gloria per la libera volontà con cui l'uomo la respinge. Non è coartato ad alcun uomo, non lo fu neppure al Cristo, il libero arbitrio di poter cedere o non cedere alle tentazioni. Tentazione respinta, merito acquistato. Per questo Dio ha lasciato all'uomo la sua splendida libertà di volere. Perché attraverso ad essa, e con merito proprio, l'uomo pervenisse ad una meritata gloria.
Ricordatevelo sempre. E ricordatevi anche sempre che la vita dell'uomo è espiazione del male che l'uomo commette; è, nel migliore dei casi, ossia in quello di uno che non faccia neppur una colpa avvertita, è sempre espiazione o, se più vi piace, sofferenza conseguente alla Colpa d'origine, e che perciò — per quanto il mio Sacrificio e la reintegrazione nella Grazia che per esso Sacrificio vi ho ottenuto abbiano, in misura sovrabbondante, ridotta — e che perciò ogni uomo è tenuto ad una sofferenza per giungere nuovamente a quel grado di giustizia che i Progenitori ebbero, gratuitamente dato, in un colla vita. Oh! santa, immacolata innocenza delle Creature prime, che le attuali devono ricostruire con il loro dolore, oltre che con i gratuiti doni che Io vi ho ottenuti col mio Sacrificio!
Perciò, quando vedete il Santo dei santi, oppure un santo, fortemente tentato, non dite: "Questo è sconveniente". Ma osservate come reagisce il tentato. E se vedete che esso resta indifferente alla tentazione — cosa che testifica che egli è giunto alla perfezione che Io vi ho consigliata: "simile a quella del Padre mio", perfezione che nessun agente può turbare — se vedete che egli resta indifferente alla tentazione, avendo vinto in se stesso la battaglia contro tutte le reazioni della carne e del sangue, o se vedete un giusto che contemporaneamente sa lottare contro il disordine che, stuzzicato dall'esterno, vorrebbe rialzarsi, e contro la Bestia che stuzzica e getta richiami al disordine, non dite che "ciò è sconveniente", ma dite che ciò serve a far brillare o ad illuminare il grado di perfezione raggiunta dal tentato.
Chi può patire tentazione? Dio? Gli angeli? Gli uomini? Dio, essendo Dio, non può patire alcuna tentazione. Gli angeli, rimasti fedeli anche durante la ribellione di Lucifero e dei suoi seguaci, non possono patire tentazione essendo stati dopo la prova elevati all'ordine soprannaturale, alla contemplazione e lode di Dio. Dunque è solamente l'uomo colui che può essere tentato, l'uomo composto di sostanza materiale e di sostanza spirituale, dotato di libertà di ragione, di intelligenza e coscienza, per poter discernere il bene e il male e volere il bene o il male. È soltanto l'uomo, ancora combattente la sua battaglia, colui che può essere soggetto alla tentazione, per triste eredità che gli è venuta dal peccato del capostipite dell'Umanità.
Dal giorno della caduta di Adamo dallo stato di innocenza a quello di colpa, dal giorno che la donna volle conoscere da vicino la pianta proibita e il Serpente poté parlare ad Eva che lo ascoltò attenta in luogo di sfuggirlo e accolse le sue parole di menzogna e i suoi suggerimenti di rovina, l'uomo si trova perennemente vicino alla pianta del Bene e del Male intorno alla quale è avvolto Lucifero, e patisce tentazione. Ma è attraverso alla sua vittoria contro le insinuazioni alla colpa che acquista giustizia e conquista la sua corona immortale, oppure, se ripete il gesto di Eva e coglie il frutto proibito ubbidendo al Suggestionatore, si avvelena talora sino a morirne. È proprio per la vittoria sulle tentazioni esterne e per il dominio sui sensi e sull'orgoglio, e perciò sugli stimoli interni, che voi uomini vi fate "dèi e figli dell'Altissimo", simili al Fratello vostro santissimo Gesù, che ha patito tentazioni ma non ha mai peccato perché non volle peccare.Tentati si può esserlo senza il nostro consenso ad esserlo. Peccatori si diviene unicamente col nostro consenso.
Io, Gesù, non ho mai consentito al peccato. Anzi, avendo combattuto ogni reazione umana non accettevole a Dio, per spirito di volontaria e amorosa giustizia, e avendolo fatto sin dai più teneri anni "stando soggetto al padre (putativo) e alla madre, due giusti che mi insegnarono giustizia, e crescendo in sapienza, età e grazia", ho eliminato in Me, e per sempre, ogni possibilità di improvviso disordine o di turbamento interno per pressioni e circostanze che con l'età maggiore mi sorsero intorno, intensificandosi sino alla morte.
Non fraintendetemi! Dico pressioni e circostanze, non dico lussurie. Pressioni e circostanze di parenti incomprensivi, di cittadini ancor più ottusi dei parenti, di connazionali astiosi, di nemici insidiosi, di amici traditori. Non c'è soltanto il senso che serva a far peccato. Tante sono le cause per le quali l'uomo può peccare. E che dite voi? Dite, ad esempio, che la condotta di Giuda non sarebbe stata causa in qualunque altro di peccato contro l'amore? Dite, ad esempio, che non fosse perpetua tentazione a reagire umanamente il malanimo degli scribi e farisei e di tutti i miei avversari, così sottili nell'avversarmi e anche così bassi nei mezzi e nelle accuse che usavano per avversarmi?
Non ho peccato. Io ho detto: "E chi di voi mi può convincere di peccato?". L'ho detto ai miei nemici di allora. Lo posso dire ai miei nemici di ora, e anche agli increduli e ai dubbiosi della mia santità. Ma anche se Io non lo dico a voi, che voglio riguardare come amici anche se mi date dolore attraverso al dolore che date al mio piccolo Giovanni, le mie opere ve lo dicono.
Vi è forse parola o atto scritto, nell'Opera che ho dettata e illustrata, che possa convincervi di peccato, di un solo peccato del vostro Maestro? Quell'opera sono Io. Non solo sono Io che la detto e la illustro, ma sono Io che la vivo, Io che mi vi presento quale ero ai miei giorni mortali, nell'ambiente che mi circondava, nel piccolo mondo santo della mia famiglia, in quello più vasto e diverso, a seconda degli esseri che lo componevano, dei miei discepoli, in quello più vasto – tutta la Palestina – e mutevole, agitato e corso da diverse correnti, simile ad un mare muoventesi intorno a Me, sotto un variabile cielo di marzo, talora tutto placido e sereno, subito dopo coperto di nembi e corso da venti di tempesta che sollevavano il mare in marosi rombanti il loro livore contro Me, minacciosi e anche assalitori, sino alla violenza finale del Venerdì pasquale.
Perché non mi volete riconoscere? Perché non capite il mio linguaggio? Perché volete essere simili a quelli che mi osteggiavano nel Tempio dicendo: "Noi non sappiamo chi Tu sia"? Siete anche voi come gli apostoli che nell'ultima Cena mostravano di non conoscermi ancora per ciò che Io ero: il Verbo Figliolo del Padre, che al Padre tornava dopo essere stato a lungo fra gli uomini per dare ad essi le parole che il Padre gli dava? Ma essi, i miei poveri Apostoli, non avevano ancora ricevuto lo Spirito Santo, Colui che illumina ogni vero. Voi invece l'avete ricevuto. Neppur la sua Luce vi illumina il Cristo che è in queste pagine? L'eterno sapientissimo Verbo che compie una nuova opera di amore e salvezza perché ha pietà dei troppi che muoiono di inedia spirituale, che si perdono perché non mi conoscono, che assiderano perché non sono soccorsi coi fuochi dell'apostolico amore, che vanno fuori via perché sono dei ciechi e non c'è chi porga loro la mano per condurli a Me che essi cercano smarrendosi su altre strade che voi condannate ma dalle quali non li traete, poveri figli che voi condannate perché percorrono da ciechi quelle strade cercando la Luce, e che Io non condannerò perché vedo i moti del loro cuore, e li trarrò a Me perché sono il Salvatore degli Ebrei e dei Gentili, di tutti quelli che cercano la Verità.
Vi torno a chiedere: perché mi fate dettare queste parole? Sono queste quelle che vorrei dirvi? Non mi date dolore. Il dolore che mi procurano coloro che Io voglio considerare miei amici è il dolore che più mi è dolore…
Io, Gesù, non ho mai consentito al peccato, non ho mai sentito turbamento per il peccato. L'unico, ricordatevelo, l'unico turbamento che poteva causarmi il fetore del male, agitantesi intorno a Me, era lo schifo, il ribrezzo per la colpa. Preferivo avvicinare un lebbroso morente di malattia ad un sano crostoso di vizio e fetente di lussuria, specie se era impenitente. Il mio infinito amore per i peccatori, che erano da salvare, mi ha sempre fatto superare la nausea del loro spirituale fetore. Mio Padre, soltanto mio Padre sa quale lunga passione è stata per Me quella di dover vivere avvolto dal turbine delle tentazioni e dall'onda fangosa dei peccati che scorrono la Terra e piegano e travolgono gli uomini. Dover vivere e vedere il naufragio di tanti, senza poter imprigionare la Bestia perché non era ancora il tempo di farlo. Non lo è ancora. Ed essa scorre fumando i suoi aliti infernali, seminando i suoi veleni, e la segue l'ondata colossale dei peccati, sempre crescente e sempre crescenti. Anche ora ne ho nausea e dolore.
Chi ero Io? Ero il Verbo incarnato. Dunque ero Dio. E dunque ero Uomo. Ero veramente Dio ed ero veramente Uomo. Ero il Redentore, il novello Adamo, "il Primogenito di fra i morti" come dice il mio Giovanni, che nel suo Apocalisse scrive anche: "Gesù Cristo che ci ha amati e ci ha lavati dai nostri peccati nel suo Sangue", e nella sua Epistola: "Tre sono che rendono testimonianza in Cielo: il Padre, il Verbo e lo Spirito Santo, e questi Tre sono Uno solo; e son tre che rendono testimonianza in Terra: lo spirito, l'acqua e il sangue, e questi tre sono una sola cosa".
Tre del Cielo che testimoniano della divina Natura di Gesù che è Cristo dalla nascita sino alla morte ed oltre la Morte e Risurrezione nei secoli dei secoli, e senza interruzione alcuna, come certi eretici hanno voluto sostenere.
Il Padre che tre volte, durante la mia vita pubblica, mi indica come suo Figliuolo diletto e suo compiacimento e gloria. E se sul Tabor la voce dell'Eterno Padre fu udita da tre sole persone che per la loro condizione di discepoli possono venir tacciati, dai negatori, come degli esaltati o menzogneri, al Giordano e specialmente a Gerusalemme, sopraffollata per l'imminenza della Pasqua d'Azzimi, molte persone – tante da poter già essere chiamate turbe, e nelle quali erano mescolati israeliti con gentili, giudei con proseliti, discepoli con nemici del Cristo – udirono la testimonianza del Padre mio. Tre volte, in tre tempi e in tre luoghi e circostanze diverse, il Padre mi rese testimonianza senza mai smentirsi.
Ora, soltanto le versioni vere restano immutabili, mentre le non vere, col passar del tempo, subiscono alterazioni che scoprono la loro fonte menzognera. Se dunque per tre volte, in tre tempi, luoghi e circostanze diverse, una Voce, sempre uguale di potenza, e ben diversa dalla mia e da quella di ogni altro uomo, tuonò dai Cieli per dare la stessa testimonianza su Me, segno è che realmente Io ero Dio simile al Padre, essendo che Dio Padre solamente di un Figliolo, Dio come Lui, può dire di gloriarsi avendolo generato, e compiacersene vedendolo perfetto come Egli Padre è per Natura divina, e perfetto per volontà e grazia nell'assunta Natura umana.
Il Verbo con la Dottrina sapientissima e le sue opere, di tal natura e potenza che da loro sole testimoniano che è Colui che l'insegna e che le compie: un Dio.
Lo Spirito Santo, manifestatosi in forma di Colomba al Giordano e come Fuoco nel Cenacolo alla Pentecoste per ultimare l'opera del Cristo, purificando e perfezionando gli Apostoli per il loro ministero, così come Io avevo loro promesso, ed essendo, per coloro che sanno vedere, presente e tralucente in ogni parola di infinita, caritativa sapienza che sgorgava dalle labbra del Maestro Gesù Cristo. Lo Spirito Santo non soccorre mai i mentitori. Li abbandona al Padre della Menzogna e fugge lontano da essi. Egli invece è sempre stato con Me perché Io sono Gesù Cristo Dio e Uomo, così come dicevo di essere.
E tre sono le cose che rendono testimonianza in Terra della mia vera Umanità: lo spirito che Io ho reso come tutti gli uomini dopo una penosa agonia, il Sangue mio sparso nella Passione, e l'acqua che uscì dal mio costato esanime insieme alle ultime stille di sangue cadaverico raccolto nel cavo del Cuore spento. Ora voi sapete che soltanto un vero corpo dà sangue se viene ferito, e che soltanto un vero cadavere presenta separazione della parte acquosa del sangue – voi dite: siero – dall'altra che si coagula in grumi o almeno che è già più spessa e scura di quanto non sia il sangue vivo, se ancor troppo poco è il tempo intercorso dalla morte alla fuoriuscita del sangue. Ma Io, e la mia Sindone lo testimonia, ho emesso sangue già grumoso perché ero morto già da qualche tempo quando fui colpito al costato e gelavo e irrigidivo già, rapidamente, per le condizioni particolari che mi avevano dato rapida morte.
Dunque, per testimonianza dell'apostolo Giovanni, testimone della mia morte, Io sono vero Uomo.
Paolo di Tarso scrive, a coloro che avrebbero potuto smentirlo se egli avesse esagerato o mentito nel descrivermi: "Quel Gesù, fatto di poco inferiore agli angeli, a motivo della morte patita, è coronato di gloria e di onore avendo per grazia di Dio gustato la morte per tutti. E certo ben si conveniva a Colui per il quale e dal quale sono tutte le cose… di rendere perfetto per via di sofferenza l'autore della loro salvezza… Anche Lui ha avuto in comune con gli uomini la carne e il sangue per distruggere morendo colui che aveva l'impero della morte… Infatti Egli non assunse gli angeli, ma il seme di Adamo assunse. Dovette dunque essere in tutto simile ai fratelli per diventare pontefice misericordioso e fedele davanti a Dio e per espiare i peccati del popolo, perché avendo sofferto ed essendo stato provato Egli stesso, potesse aiutare quelli che sono nella prova… Noi non abbiamo un pontefice che non possa aver compassione delle nostre infermità, essendo Egli stato tentato in tutto come noi, ma senza peccato… Ogni pontefice… è costituito… perché offra doni e sacrifici per i peccati e possa aver compassione degli ignoranti e dei traviati essendo egli stesso circondato di infermità… Certo era conveniente che noi avessimo tal pontefice, santo, innocente, immacolato, segregato dai peccatori, sublimato sopra i Cieli".
Dunque anche Saulo, dotto e contemporaneo degli Ebrei del mio tempo, divenuto Paolo, pieno di sapienza e verità, con la realtà della mia figura storica e con le luci dello Spirito Santo, testimonia che Io sono vero Dio e vero Uomo, uguale al Padre per Natura divina e increata, uguale alla Madre per Natura umana e creata, Cristo senza interruzione e in eterno Riparatore, Salvatore e Redentore perfetto.
E se dunque ero Uomo, perché non avrei dovuto patire tentazione come ogni altro uomo patisce? Se il Padre mio volle farmi "in tutto simile" a voi, perché avrebbe dovuto concedermi l'ingiusto privilegio, e perché avrei dovuto pretendere l'ingiusto privilegio di non conoscere la sofferenza e la fatica delle tentazioni, che tutti gli uomini patiscono e alle quali reagiscono in diversa maniera a seconda della prevalenza in loro o dell'assenza in loro della buona volontà di santificarsi, ossia della loro spiritualità o della loro carnalità? Ma è proprio perché mi sono perfezionato per via di sofferenza continua, che sono stato Ostia perfetta! Se il Padre avesse voluto che il Demonio non si accostasse all'Uomo che era il suo Verbo incarnato, non avrebbe potuto forse impedirglielo? Non lo ha forse fatto di tenermi celato, con un complesso di provvidenziali circostanze e per trent'anni, alle ricerche di Satana? E non poteva, se lo avesse voluto, mettere limiti fissi alle tentazioni che mi venivano fatte, se avesse voluto permetterne alcune, ma non tutte, non quella, come sconveniente al Cristo? E non avrebbe potuto farmi superiore agli uomini e agli angeli? Perché allora mi ha fatto di poco inferiore agli angeli e simile agli uomini? E non vi è contraddizione in questa parola dell'Apostolo che dice che Io sono Uomo in tutto simile agli altri uomini e che però anche dice che Io sono di poco inferiore agli angeli? Allora non sono simile a voi? Allora non sono simile a Dio, perché Dio è da più degli angeli? Ha dunque detto bestemmie, stoltezze o menzogne l'Apostolo? E se non le ha dette, in che è questa differenza, questa uguaglianza e questa inferiorità dell'essere diverso dagli angeli, a loro inferiore, e uguale agli uomini e nello stesso tempo disuguale poiché sono di poco inferiore agli angeli? Ma non è bestemmiare dire che il Verbo incarnato è inferiore agli angeli? In che consiste questa differenza, che è in Me, dagli angeli e dagli uomini?
Non vi siete mai posto queste domande, con sincera volontà di rispondere e facendo lavorare l'intelletto sotto la luce di Dio? Perché, figli miei, voi, tutti, avete il dovere di porvi sotto la luce divina e sforzarvi di capire, sforzarvi da voi a capire; non accomodarvi pigramente alle spiegazioni date da altri, per non faticare voi a capire. Leggeste tutti i libri che parlano di Me e del Signore altissimo, non vi gioverebbero, se li leggeste macchinalmente, quanto una sola cognizione raggiunta con sforzo vostro di capire, con umiltà amorosa che ricorre allo Spirito Santo per poter capire, con giustizia eroica per avere amico lo Spirito Santo ed essere condotti da Lui a comprendere il linguaggio divino. Perché solo "coloro che sono condotti dallo Spirito Santo sono figli di Dio". È ancora Paolo che lo dice. Ed è naturale che i figli comprendano il linguaggio paterno.
Ma Io ve la dirò la differenza, e come può essere che Io sia simile a voi e nello stesso tempo di poco inferiore agli angeli.
Sono simile a voi, sono l'Uomo, perciò sono senza dubbio inferiore agli angeli, perché l'uomo non è la creatura spirituale, la più nobile del creato, come lo sono gli angeli, puramente spirituali, fortemente intelligenti, e prontamente intelligenti perché non appesantiti da carne e da sensi e confermati in grazia, sempre adoranti il Signore, del quale comprendono il pensiero e lo attuano senza ostacolo. Ma può l'uomo elevare se stesso ad un grado soprannaturale? Lo può, vivendo volontariamente nella purezza, ubbidienza, umiltà, carità, proprio come fanno gli angeli. E questo Io l'ho fatto. Quel Gesù, fatto di poco inferiore agli angeli, fu Uomo per paterno desiderio divino, perché potesse essere il Redentore. Di poco, poi, si fece inferiore agli angeli per sua propria volontà e per darvi l'esempio che l'uomo può, se vuole, elevare se stesso alla perfezione angelica e conducendo vita angelica.
Oh! vita umana così fusa al soprannaturale da annullare la materia nelle sue voci e debolezze per assumere le voci e le perfezioni angeliche! Vita dimentica della concupiscenza, vivente d'amore e nell'amore! L'uomo che diventa angelo, ossia la creatura composta di due sostanze che purifica la parte più bassa con i fuochi della Carità, e nella Carità sono tutte le virtù come tanti semi chiusi in un unico frutto, tanto da potersi dire che se ne spoglia, anzi, meglio, che la spoglia di tutto ciò che è materialità sino a rendere anche la materia degna di penetrare un giorno nel Regno dello Spirito. Posa nel sepolcro la veste purificata in attesa del comando finale. Ma allora sorgerà glorificata sino ad essere ammirazione anche degli angeli, perché la bellezza dei corpi risorti e glorificati sarà di reverente stupore anche agli angeli di Dio, che ammireranno questi loro fratelli di creazione dicendo: "Noi sapemmo rimanere nella grazia per una sostanza soltanto; essi, gli uomini, sono vincitori della prova e con lo spirito e con la carne. Gloria a Dio per la duplice vittoria degli eletti".
Il Cristo, simile in tutto agli uomini, volle raggiungere la bellezza della perfezione angelica con una vita senza ombra, non di peccato ma neppur di attrazione al peccato, e, rimanendo Uomo per patire la morte con la carne e col sangue onde espiare le colpe della carne, del sangue, e della mente e delle superbie della vita, con tutto, tutto, tutto il dolore per riparare a tutta, tutta, tutta la Colpa, si fece di poco inferiore agli angeli, nobilitando la natura umana a perfezione angelica.
Dunque, Dio sono. E Uomo sono. E come l'angelo è l'anello intermedio fra l'uomo e Dio, Io, che dovevo risaldare la catena interrotta, riunire voi a Dio, ho della mia perfetta Umanità fatto congiunzione fra la Terra (gli uomini) e il Cielo (gli angeli) riportando l'Umanità ad una perfezione uguale, anzi maggiore, più grande di quella che Adamo ed Eva ebbero all'inizio dei giorni, quando l'Uomo era innocente e felice per dono gratuito di Dio, senza sapere e subire la dura lotta contro il Male e i fomiti del peccato. Non si è dunque avvilita la Divinità nell'assumere il seme di Adamo, ma si è divinizzata l'Umanità, riportata per libera volontà dell'Uomo alla perfezione che fa simili al Padre mio il quale non conosce ingiustizia.
Non mentisce, non bestemmia e non si contraddice l'Apostolo dicendo, per parola ispirata, che Gesù, l'Uomo, si è fatto di poco inferiore agli angeli in spiritualità eroica. Non ha mancato Dio Padre, e non Dio Figlio, e non Dio Spirito Santo nel dare l'unica veste che gli convenisse al Redentore perché fosse tale e vi redimesse, oltre che con la grande azione del suo Sacrificio, con la continua lezione del suo crescere in grazia sino a raggiungere la perfezione spirituale, e ciò per redimervi dalla vostra ignoranza, da quell'ignoranza conseguente al peccato, avvilente le forze dell'uomo, che suggestiona lo stesso con l'insinuazione che egli, perché fatto più di materia che di spirito, non può tentare la sua evoluzione nello spirito.
No. La materia vi sembra tanta e prepotente perché la vedete e la sentite urlare le sue voci bestiali. Vi sembra tanta perché la temete e perché non volete farla soffrire per paura di soffrire. Vi sembra tanta perché Satana ve ne altera i contorni. Vi sembra tanta perché non sapete. Siete ignoranti, ancora, di ciò che veramente è quella magnifica cosa che è l'anima, di ciò che è quella potentissima cosa che è l'anima unita a Dio.
Lasciate le paure. Lasciate le ignoranze. Guardatemi. Io, l'Uomo, ho raggiunto la Perfezione della giustizia essendo uomo come voi perché lo volli. Imitatemi. Non temete. Tenete l'anima unita a Dio e avanzate. E salite. Salite nelle plaghe luminose del soprannaturale. Trascinate col vostro volere ardente la carne là dove sale il vostro spirito. Fatevi angeli. Fatevi serafini. Il demonio non potrà più ferirvi nel profondo. I suoi strali cadranno ai vostri piedi dopo aver percosso la vostra corazza e non sarete turbati come Io non lo fui.
Dunque è stato giusto che il Padre mio non mi concedesse natura diversa dall'uomo, pur potendolo fare. Giusto. Nessuno potrà così dirmi – quando propongo il mio codice e vi dico: "Seguitelo se volete essere dove Io sono" – "Tu vi puoi essere perché diverso da me, nel quale pugna ferocemente la carne. Tu vittorioso su Satana perché in Te non è la carne alleata di Satana". Non può alcuno rimproverarmi di facile vittoria né sconfortarsi per diversità di creazione. In Me e in voi le stesse cose: la carne, l'intelletto e lo spirito per poter vivere, comprendere e vincere. Seme di Adamo Io. Seme di Adamo voi.
Oh! vi sento mormorare: "Tu eri senza la Colpa. Noi…". Anche Adamo era senza la Colpa, eppure peccò perché volle peccare. Io non volli peccare. E non peccai. Io, l'Uomo, non peccai. Il Padre mio mi ha fatto dello stesso seme vostro per dimostrarvi che esser uomini non vuol dire essere peccatori. Come voi Io nella natura umana. Sappiate essere voi come Io nella vittoria. Il Padre mi ha fatto Uomo, avente in comune con voi carne e sangue coi quali vincere, morendo, Satana, esigendo che l'autore della salvezza vostra divenisse perfetto come Uomo per volontà propria e per via di sofferenza, e conseguisse la gloria a motivo della morte patita.
Oh! non è morte anche il saper morire a tutto ciò che è seduzione? Non è morte continua a tutto ciò che è concupiscenza per vivere in eterno in Cielo? Io ho cominciato a consumare il mio Sacrificio per vincere Satana, il mondo, la carne, trionfatori da troppo tempo, dal primo atto di volontà contro le voci della carne e del mondo e del suo re tenebroso. Sono morto a Me stesso per vivere. Sono morto a Me stesso per farvi vivere col mio esempio. Sono morto sulla Croce per darvi la Vita.
Destinato a divenire Pontefice vostro misericordioso, dovevo ben conoscere le lotte dell'uomo per conoscenza d'uomo, e rimanere fedele davanti a Dio per insegnarvi a rimanere tali. Pontefice misericordioso perché, avendo sofferto ed essendo stato provato, non avessi il superbo ribrezzo e il glaciale isolamento di quelli che dicono, guardando i loro fratelli peccatori o deboli: "Io sono superiore ad essi e me ne scosto non volendo contaminare la mia perfezione" e non sanno di essere dell'eterna razza dei farisei. Pontefice esperto e misericordioso perché fossi compassionevole e pronto a tendere la mano, Io, il Vincitore del Male, ai deboli che non sanno sempre calpestarlo come Io feci.
Ditemi voi, ai quali è scandalo il leggere che Io patii quella tentazione, forse che Io ho leso la mia Perfezione divina e umana perché sono stato avvicinato dal Tentatore? Che si è alterato in Me? Che si è corrotto? Nulla. Neanche il più fuggevole pensiero.
Quella tentazione non è forse la più comune e la più secondata dagli uomini? Non è forse la più usata da Satana appunto perché la sa la più facile ad ottenere assenso? Non è per quella porta, per l'impurità, per la lussuria, che Satana entra molte volte nei cuori? Non è forse questa la sua via preferita e la sua arma preferita per ottenere di entrare e di corrompere?
Quale altra via prese all'inizio dei giorni dell'uomo per tarare la pianta senza tare dell'Umanità? Come riuscì a corrompere l'innocenza dei due Progenitori? Se l'atto di Eva si fosse limitato all'imprudenza di accostarsi alla pianta proibita e anche di ascoltare il Serpente, ma senza ubbidire né cedere alle sue insinuazioni, sarebbe sorto il Peccato? Sarebbe venuta la Condanna? No. Anzi i Progenitori, respingendo gli allettamenti satanici, avrebbero imitato gli angeli buoni invano tentati da Lucifero alla ribellione e avrebbero avuto un aumento di grazia.
Ripeto: essere tentato non è colpa. Colpa è aderire alla tentazione. E Eva, e Adamo, non sarebbero stati puniti per l'imprudenza già espiata dalla resistenza alla tentazione. Dio è Padre amoroso e paziente. Ma Eva, ma Adamo, non respinsero la tentazione. La lussuria della mente, ossia la superbia, del cuore, ossia la disubbidienza, accolte nella loro anima sino allora incorrotta, la corruppero svegliando febbri impure che Satana acutizzò sino al delirio e al delitto. Non dico parole errate. Dico "delitto" ed è giusto. Non hanno forse, peccando, fatto violenza al loro spirito ferendolo, piagandolo duramente? Non è un delitto contro lo spirito quello che fa il peccatore che uccide con la colpa mortale o ferisce, indebolendolo continuamente con le colpe veniali, il proprio spirito?
Osserviamo insieme il crescente parossismo della colpa e i gradi della caduta, e poi paragoniamolo all'episodio della mia tentazione. Se ci sarà occhio limpido e cuore onesto, non potrà mancare la conclusione che la tentazione, elemento indubbio del Male, non diventa peccato ma merito per coloro che la sanno patire senza cedere ad essa. Patire non vuol dire godere. Si patisce un martirio, non si patisce un godimento. La tentazione è patita dai santi, ma la tentazione è godimento pervertito dei non santi che l'accolgono e la ubbidiscono.
Dunque: Eva, dotata di una scienza proporzionata al suo stato — notate bene questo perché è aggravante della colpa, e perciò cosciente del valore della prudenza — va all'albero proibito. Primo lieve errore. Vi va con leggerezza, non per intenzione buona di raccogliersi al centro dell'Eden per isolarsi in orazione. Giunta là, contrae conversazione con l'Ignoto. Non la fa guardinga il fenomeno di un animale parlante mentre tutti gli altri avevano voce ma non avevano parola comprensibile all'uomo. Secondo errore. Terzo: nel suo stupore non invoca Dio perché le spieghi il mistero, non ricorda e non riflette neppure che Dio ha detto ai suoi figli che quello era l'albero del bene e del male, e che perciò era da ritenersi imprudente accogliere ogni cosa che da esso venisse senza averne prima chiesto al Signore la vera natura. Quarto errore: il suo aver fede più forte nel credere all'asserto di un Ignoto che non ai consigli del suo Creatore. Quinto: la cupidigia di conoscere ciò che solo Dio conosceva e di divenire simile a Dio. Sesto: la golosità dei sensi che vogliono gustare guardando, palpando, fiutando, mangiando ciò che l'Ignoto aveva suggerito di cogliere e gustare. Settimo: da tentata divenire tentatrice. Passare dal servizio di Dio a quello di Satana, dimenticando le parole di Dio per ripetere quelle di Satana al suo compagno e persuaderlo al furto del diritto di Dio.
L'arsione era ormai al grado massimo. La salita dell'arco fatale era giunta al punto più alto. Là si consumò completamente il peccato con l'adesione di Adamo alle lusinghe della compagna, e fu la caduta dei due lungo l'altra parte della curva. Caduta veloce, molto più veloce della salita perché appesantita dalla colpa consumata, e la colpa si aggravò nel suo peso dalle conseguenze della stessa: ossia fuga da Dio, scuse insufficienti e prive di carità e giustizia, e anche di sincerità nel confessare il fallo, spirito di latente ribellione che impedisce di chiedere perdono.
Non si nascondono per il dolore di essere bruttati dalla colpa e di apparire tali agli occhi di Dio, ma perché sono nudi, ossia per la malizia che ormai è entrata in loro e dà nuovi aspetti a tutte le cose, e rende tanto ignoranti da non saper più riflettere che Dio, che li aveva creati e aveva loro dato tutto il Creato, ben sapeva che essi erano nudi, né si era affaticato a rivestirli, né si era sdegnato di contemplarli tali, perché non c'era bisogno di coprire l'innocenza né c'era sdegno a contemplare un corpo innocente.
Sentite le risposte dei due colpevoli, indice esatto della tentazione non respinta e delle sue conseguenze di colpa: "Ho sentito la tua voce e avendo paura, perché nudo, mi sono nascosto", "La donna che mi desti a compagna mi ha offerto il frutto e io ne ho mangiato", "Il serpente mi ha sedotta ed io ne ho mangiato". Manca fra tante parole l'unica che doveva esserci: "Perdono perché ho peccato". Manca quindi la carità verso Dio. Manca la carità verso il prossimo. Adamo accusa Eva, Eva accusa il serpente. Manca infine la sincerità della confessione. Eva confessa ciò che è innegabile. Ma crede poter nascondere a Dio i preliminari del peccato, ossia la sua leggerezza, la sua imprudenza, la sua debole volontà, subito ammalatasi dopo aver fatto il primo passo verso la disubbidienza al comando santo di non porsi in tentazione di cogliere il frutto proibito. Quel comando doveva esserle di avviso, a lei, intelligentissima, per farle capire che essi non erano tanto forti da poter impunemente mettersi nelle condizioni di peccare senza giungere a peccare. Vi sarebbero giunti perfezionando con volontà propria la libertà concessa loro da Dio, giungendo ad usarla unicamente per il Bene. Eva mente dunque a Dio tacendo la ragione per la quale mangiò del frutto: per divenire simile a Dio.
Ecco che la concupiscenza triplice è nell'Uomo. Tutti i segni dell'amicizia col serpente sono palesi nella superbia, ribellione, menzogna, lussuria, egoismo, sostituitisi alle virtù esistenti prima.
E ora paragoniamo questo incontro di Lucifero con i Progenitori con l'incontro di Lucifero con Me, novello Adamo venuto a restaurare l'ordine violato dal primo Uomo.
Io pure vado in luogo solitario. Ma perché? Quando? A che fare? Per prepararmi con la penitenza – indispensabile preparazione alle opere di Dio – alla mia missione che stava per avere inizio. Cessata la pace protettiva della casa, della famiglia, della città mia, la quale pace poteva appena essere sfiorata da inevitabili contrasti di pensieri fra Me e i parenti, Io tutto spirito, essi tutta umanità e sognanti per Me umane gioie. Ora veniva l'epoca dell'evangelizzazione, i pericoli dell'esaltazione e dell'odio, i contatti coi peccatori e con tutto ciò che forma ciò che si dice comunemente: mondo.
Mi preparo con la penitenza e l'orazione. Completo la mia preparazione con la vittoria su Satana. Oh! esso ha ben sentito che il Vincitore era sorto, vedendomi tetragono alla seduzione impura e forte contro la fame, contro la superbia e la cupidigia. Ma Io voglio che voi contempliate Me nella parte che voi giudicate sconveniente, e facciate il paragone del Puro Gesù con la pura Coppia dei Progenitori, nei quali poté agire il veleno del Serpente perché lo vollero accogliere e perché non vollero patire lo sforzo di respingerlo, posto che imprudentemente lo avevano avvicinato.
Io non ho cercato Satana. Ne sono stato cercato. Trovato che mi ebbe, ne ho patito la vicinanza. Era doverosa esperienza per poter essere il vostro pontefice misericordioso, provato come voi, non sdegnoso di voi, esempio a voi.
Eccomi, o uomini, ecco il Cristo tentato perché uomo, non vinto perché aveva volontariamente portato la sua umanità ad una perfezione "di poco inferiore a quella angelica". Gli angeli non hanno corpo, perciò non hanno senso, perciò l'impurità non li può ledere né turbare più o diversamente di come mi abbia turbato: con l'orrore per questo peccato da bruto.
Ecco il Cristo che non fugge vilmente per essere inseguito, né contratta o baratta o discute col Tentatore su così bassa cosa che non merita di esser discussa. L'uomo, la creatura più nobile della Terra, dotata di ragione, di spirito, e conscia del suo fine, non corrompa se stesso con reale o metaforico contatto con la Lussuria. Non contempli. Non discuta. Alzi gli occhi. Miri Dio. Ami, da figlio di Dio, Dio e prossimo. Invochi Dio. Taccia con Satana e con se stesso, nella parte di se stesso che vorrebbe discutere di cose carnali. Silenzio di labbra e silenzio di pensiero su argomenti che esalano fumi omicidi. Non sempre è silenzio là dove sono ferme le labbra. Talora, sotto c'è il cuore, il pensiero, il volere che parlano e delirano impuri anche se le labbra sanno tacere e gli occhi rimanere bassi o stravolgersi in pose ispirate per trarre in inganno gli uomini. Gli uomini che vedono l'esterno dell'uomo. Non Dio che vede l'interno dell'uomo e che ha in obbrobrio ogni forma di menzogna mentale per farsi credere santi, e di lussuria mentale e di menzogna calcolata e calcolante.
Perché Satana iniziò la sua Tentazione con l'Impurità? Perché questo peccato è il più diffuso. È in ogni luogo e parte del mondo, in tutti i ceti, e purtroppo in tutte le condizioni. Ha molti nomi. Si ammanta talora anche di legittimità, ma sporca i talami legittimi come i letti delle prostitute, e taccio su altre considerazioni. Perché gli servì così bene la prima volta a mettere la malizia nel cuore dell'uomo. Perché pensava che unicamente con quel mezzo avrebbe potuto stroncare per sempre il pensiero redentivo corrompendo l'insostituibile Redentore. Perché, infine, aveva bisogno di sincerarsi se Io ero il Redentore.
Aveva intuito che Io ero ormai nel mondo. Mi cercava. Era dovunque fosse una santità. Ma in tutte vedeva delle relatività che lo facevano incerto. Non era riuscito per tanti anni a squarciare il velo che avvolgeva il mistero di mia Madre e il mio. La manifestazione del Giordano lo aveva scosso. Ma il terrore di Me lo faceva titubare ancora per darsi pace. Voleva e non voleva sapere chi ero. Sapere per illudersi di vincermi. Non sapere per illudersi di non essere vinto dall'Uomo.
Mi tentò con quella. Il mio fermo contegno, così diverso da quello di ogni uomo, che o fugge o si spaventa o cede o irride dicendosi forte e poi cade più di colui che fugge, gli dissero chi ero. Persuaso sul mio essere, insiste. Nella sua prima tentazione sono già adombrate le altre tre, e specie l'ultima. I miei occhi lo ghiacciano. Il mio silenzio lo esaspera. La mia tranquillità lo sgomenta. Si sente contro una forza che è vano sperar di piegare. Sente che il Puro non può che aver schifo del frutto disonesto che esso gli porge.
Allora tenta con una seduzione in apparenza lecita: "Di' alle pietre che divengano pane". Aver fame di pane è dell'uomo, non è più del bruto come lo è la lussuria, la fame di carne. E allora da uomo, figlio di Dio non perché il Verbo ma perché seme di Adamo come voi, allora Io rispondo. Rispondo per onorare tre volte il Signore. E Satana, convinto che era inutile tentare altre prove, non mi offerse più la lussuria. Gli uomini no. Essi sono più stolti di Satana e mi tentarono per poter dire alle folle: "Egli è peccatore". Le pagine dell'Opera vi dimostrano come gli uomini non ebbero mai una fortuna maggiore di Satana. In nulla.
Tentato in tutto e da tutti, sono rimasto senza peccato. Pontefice eterno, mi sono per mia propria volontà serbato innocente, immacolato, segregato dai peccatori, fatto angelo avendo abolito il senso per servire unicamente lo spirito.
Potete dire ancora che è sconveniente questo episodio? Che è eretico? È forse eretico Paolo che nella sua epistola mi dice "tentato in tutto, in tutto provato, essendo uomo fra gli uomini", con carne, sangue, intelletto, volontà, come voi? Eretico Paolo che scrive ai Filippesi: "Abbiate in voi gli stessi sentimenti di C. G. il quale, esistendo nella forma di Dio, non considerò questa uguaglianza come una rapina, ma annichilò Se stesso prendendo la forma di servo, e divenendo simile agli uomini apparve semplice uomo"? Non vi pare che in questo "annichilarsi" del Figlio di Dio sia non soltanto l'obbrobriosa morte di croce ma anche la miseria di essere trattato come uomo da Satana e dal mondo, i quali con inesausto assedio mi assalirono e circondarono di tentazioni dandomi patimento? Non vi pare che in quel non considerare una rapina la mia uguaglianza con Dio, ma volendo essere l'Uomo, l'Uomo riparatore, l'Uomo espiatore, l'Uomo redentore trattato da uomo, mostratosi Dio per la sua eroicità quotidiana, non stia tanta bellezza e giustizia? E che c'è in Me che voi non abbiate? E che ho fatto Io che voi non possiate fare? Parlo della santificazione propria per divenire perfetti come il Padre nostro dei Cieli.
Rileggete con cuor puro e pensiero senza preconcetti, dopo questa mia lezione, gli episodi che impugnate come sconvenienti, e ditemi se potete ancora dirli tali.
Voi obbiettate, ostinati, per non dire la parola, seconda in bellezza fra tutte le parole, che è "perdonami" – come la prima è "ti amo" – voi dite: "Ma Tu a Giuda dicesti che in Te era il Bene e Male. Ciò non è conveniente! E più oltre dici: 'La tentazione è mordente. L'atto soddisfa e talora nausea, mentre la tentazione non cade ma come albero potato getta più robusta fronda', e ciò fa supporre che Tu ti sia turbato, e sempre più fortemente, per non aver assecondato la tentazione impura".
Siete forse anche voi come Giuda che non capiva mai, che non sapeva capirmi, che non poteva capirmi perché troppo pieno della sua umanità malata, la quale gettava i suoi riflessi su ogni cosa? Se così siete, vi dico di cambiare il vostro pensiero. E vi dico di ricordarvi a chi parlavo. Ad un uomo che, essendo premeditatamente e tenacemente peccatore e specie lussurioso, non poteva accettare col dovuto rispetto le confidenze di Cristo e crederle verità.
A Giovanni potevo aprire il mio cuore. Il puro fra i discepoli di Cristo sapeva credere e capire i segreti di Cristo Puro. L'altro… era un incorreggibile immondo ed era un demonio. Ho taciuto con lui come con Satana. Così al padre come al figlio, perché in verità Giuda volle a padre Satana in luogo di Dio. Al discepolo, poi, malato di sensualità, ho parlato come potevo parlare per essere ancora ascoltato, terminando con l'asserzione: "Io non ho mai ceduto" e riserbandomi di dimostrargli che si può vivere da angeli sol che si voglia. La dimostrazione: l'unica cosa che possa fare, se non buoni, silenziosi, non irridenti, i satana.
Non ho ceduto. Lo dico a voi come l'ho detto a Giuda. Nessuno mi vietava di farlo. Il Padre mi aveva dato il libero arbitrio come ad ogni nato di donna. Avrei potuto perciò accogliere tanto il Male come il Bene e seguire ciò che volevo. Ho voluto seguire il Bene. Non ho voluto seguire il Male. No. Il Figlio dell'Uomo non ha voluto peccare. Satana soffiava a tenere accesi intorno a Me, nel cuore di chi mi circondava con odio o con malsano amore, i suoi fuochi per suscitarmi reazioni umane. Ho patito tentazioni d'ogni specie. La mia volontà ha dominato sempre, la mia purezza ha spento là dove era libidine accesa a tentarmi.
La purezza, non la mia soltanto, fa quest'azione intorno a sé, e vela, anche, quei particolari che sono crudi e stuzzicanti unicamente a quelli che mentalmente o materialmente si pascono di cose impure. Per gli altri no. Ho detto: "Tutto è puro ai puri". È parola di divina sapienza. Puro il pensiero, puro il cuore, puro l'occhio, pura la carne nei puri, perché essi sono fissi nella visione di Dio.
Più l'uomo cresce in perfezione e più è assalito dalle forze esterne del male che sono Satana, il mondo, gli uomini. Ma nell'uomo ripieno di Dio, saturo di purezza, fattosi di poco inferiore agli angeli per volontà di perfezione, gli assalti non sono morte ma vita, non avvilimento ma gloria. Non c'è un santo che non abbia sofferto tentazioni. Non un coronato in Cielo la cui corona non sia contesta delle perle e dei rubini del suo pianto e del suo dolore, talora martirizzante sino al sangue per le vessazioni di Satana e dei suoi alleati.
I martiri non sono soltanto quelli caduti nelle arene e nei tribunali dei persecutori. "La grande tribolazione" della quale parla Giovanni è anche questa, e la stola dei beati si è fatta monda nel sangue dell'Agnello ma anche nel rogo e nella tortura dell'amorosa volontà e dell'odiante tentazione.
Non ho voluto essere diverso da voi, né che voi non poteste venire dove Io sono. Io come voi. Voi come Me. Tentati e vincitori per essere "dèi" nel regno di Dio. Vero Dio e vero Uomo, ho manifestato la potenza di Dio e la capacità dell'uomo di divenire "dio" secondo la parola del salmo e di Paolo.
Vi ho risposto con le parole dei miei apostoli unite alle mie. Perché voi avete difficoltà ad accettare per sante le parole che il piccolo Giovanni vi trasmette. Queste dei miei apostoli, non potete avere difficoltà ad accettarle, non vi possono mettere dubbi sulla loro autorità soprannaturale. Le leggete all'altare, le commentate sui pulpiti, le insegnate dalle cattedre. Dunque le ritenete parole di verità.
Ed esse parole suffragano la mia tesi, non la vostra: che essendo l'Uomo, era naturale che Io fossi tentato; che la tentazione non è sconveniente al Cristo; che Cristo non esce da essa avvilito ma ancor più glorificato, perché il pontefice, che doveva aver compassione dei deboli e dei traviati, essendo stato come essi provato ed essendo stato circondato da infermità come essi, ha saputo conservarsi santo, innocente, immacolato, segregato dai peccatori in quanto è imitarli nel male, ma loro misericordioso fratello per dire a tutti: "Venite a Me, voi che siete addolorati e stanchi, ed Io vi consolerò".
E termino con le parole dette tre anni or sono al piccolo Giovanni: "Non pensate più oltre alla più bassa delle azioni di Satana verso il Cristo, quando avete mille azioni elette del Cristo da meditare e imitare nell'Opera".»
Dice Gesù:
«Prima del grande silenzio del Venerdì Santo, come agli Apostoli, il Verbo vuole parlare alle anime che ama per dare i consigli dell'amore. Vi appaio già legato e dolente nelle membra. Ma l'amore non conosce catene, e forte e sano è l'Amore per voi.
Sempre Gesù ha desiderio di parlare ai suoi diletti. Ho ardente desiderio di comunicarmi con la parola alle anime che, come fiori, nella notte si ergono alle stelle, col calice aperto a bere la rugiada che piove dal cielo e ristora dalle vampe del giorno, e si piegano ansiosi versol'Oriente, per accogliere la luce dell'aurora a conforto delle notturne tenebre.
L'Oriente: Io.
Il giorno: il mondo che avvampa e spossa.
La rugiada: la Sapienza che vi parla.
Le notturne tenebre: ancora il mondo coi suoi interessi ed egoismi, il mondo che penetra dapertutto e offusca con le nebbie pesanti del fumigante io anche là dove dovrebbe aversi soltanto aria luminosa di carità.
L'aurora: Io che vengo, Luce gioconda a chi mi vuole accogliere.
E Io vi dico: Siate buoni e imitatori miei nella vostra "piccola" passione. Così "piccola" rispetto alla mia!
Abbiate carità che si effonde umile e generosa anche ai colpevoli, come l'ebbi Io nell'ultima Cena.
Abbiate fusione totale alla Volontà di Dio come l'ebbi Io nel Getsemani. Non giungerete mai al sudor sanguigno, perché ciò che il Cielo richiede alle creature è un nulla rispetto al tutto che fu ciò che il Cielo a Me richiese.
Abbiate saluto di amicizia anche per il Giuda che è ovunque sono un maestro e dei discepoli.
Abbiate l'eroismo del silenzio nelle offese, e del parlare a tempo giusto per servire la Verità e glorificare Iddio, come lo ebbi Io nelle aule del Sinedrio e del Pretorio e nelle sale infami della reggia di Erode.
Abbiate sollecita premura di sottomettervi ai tormenti, di caricarvi del vostro dolore, come l'ebbi Io sottomettendomi ai flagelli e abbracciando la Croce.
Abbiate costanza nel salire anche se la croce vi aggrava, e non vi accasciate se la debolezza vi fa cadere. Vi ricordo che Io caddi sempre più grandemente più ero vicino alla mèta, per simboleggiare che Satana pone più grandi inciampi più l'anima si avvicina all'ara del sacrificio che la fa ostia simile a Me e continuatrice di Me. Rialzatevi e proseguite. Dio sa distinguere caduta da caduta, ed è Padre che rialza coloro che cadono non per malizia ma per debolezza volontaria di creature e inciampo di Satana.
Abbiate distacco assoluto, assoluta spogliazione anche dalle cose più lecite, per eseguire le estreme volontà di Dio, come l'ebbi Io che mi staccai dalla Madre, mi spogliai delle vesti, e rinunciai alla vita.
E infine perdonate. Perdonate a coloro che sono di pensiero diverso dal vostro e vogliono ciò che voi non volete, come Io perdonai ai capi del Sinedrio che vollero la mia morte per regnare loro soli. Pensate che da se stessi si puniscono volendo ciò di cui non saranno felici, e che hanno bisogno del vostro perdono per avere un conforto quando comprenderanno il loro errore.
Non mettete limiti a queste mie parole. Servono per tutti i tempi e tutte le circostanze. Perché sempre, là dove sono un maestro e dei discepoli, sempre là è un piccolo Cristo circondato da discepoli e avversato dal mondo.
State nella mia pace. Ora e sempre. E posi su voi la benedizione delle mie Mani trafitte.»
Dice Gesù, in merito alla frase [1] "l'anima che è una particella di Dio" (9-5-45) e che P. Migliorini vorrebbe corretta: che è quasiparticella ecc.:
«È detto [2] nella Genesi: "… e gli ispirò in faccia il soffio della vita". Dio-Vita ispirò il suo soffio nell'uomo. Dunque gli dette una particelladel suo Infinito, del suo Amore, di Se stesso insomma.
Col suo volere creativo Dio vi dà l'anima, la parte eternamente vitale che è in voi e che costituisce la spirituale somiglianza e immagine che l'uomo ha con Dio suo Padre e Creatore. Creatore perché vi ha creati. Padre perché,
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Dice Gesù, in merito alla frase [1] "l'anima che è una particella di Dio" (9-5-45) e che P. Migliorini vorrebbe corretta: che è quasiparticella ecc.:
«È detto [2] nella Genesi: "… e gli ispirò in faccia il soffio della vita". Dio-Vita ispirò il suo soffio nell'uomo. Dunque gli dette una particelladel suo Infinito, del suo Amore, di Se stesso insomma.
Col suo volere creativo Dio vi dà l'anima, la parte eternamente vitale che è in voi e che costituisce la spirituale somiglianza e immagine che l'uomo ha con Dio suo Padre e Creatore. Creatore perché vi ha creati. Padre perché, come un padre terreno comunica ai figli somiglianza fisica e psichica con se stesso in un con il sangue dello stesso ceppo del suo, così l'Eterno Padre vi comunica, nello spirito, immagine e somiglianza con Lui in un con la Vita che da Lui si effonde e che, per suo desiderio, dovrebbe godere di Lui eternamente nei Cieli dopo la prova terrena. La Vita vi dà il Padre, da vero Padre, perché è padre colui che dà vita. Da Padre eterno, perché eterno è Colui che vi dà vita.
Alcuni confondono l'essere creati da Dio con l'essere Dio, e dicono che tutto ciò che è, è Dio, e che perciò l'uomo ha la stessa natura ed essenza di Dio, e che persino le altre creazioni di Dio, che noi vediamo, sono Dio. Non vi può essere errore superbo più grande.
L'uomo non è della stessa natura ed essenza di Dio, meno ancora lo sono le altre cose create. Dio è il Creatore. L'uomo colui che fu creato da Dio. Se l'uomo fosse Dio, non avrebbe bisogno di essere creato, perché Dio è l'Increato. Se l'uomo fosse un tutto con Dio, la Terra sarebbe già Cielo, perché gli uomini, la parte, avrebbero già il godimento del Tutto. Quel godimento che è il fine ultimo dell'uomo e al quale l'uomo perviene dopo le lotte e le perseveranze eroiche sostenute e praticate durante il giorno di esilio terreno. Come sarebbe in esilio l'uomo sulla Terra se tutto ciò che è fosse Dio? L'uomo sarebbe allora già in Dio, ossia non più in esilio. Come peccherebbe se fosse Dio? Come potrebbe nascere con la Colpa d'origine se fosse Dio? Come potrebbe aver principio con un concepimento se fosse Dio, che è da sempre, e da nessuno e nessuna cosa fu creato?
Come vedi, anima mia, la eretica dottrina che asserisce che tutto è Dio distrugge tante verità della storia di Dio e della storia dell'uomo. Distrugge i rapporti di regale, divina paternità e di sudditanza filiale. Distrugge il reverenziale timore di Dio. Gonfia l'uomo di superbia oscena perché gli fa drizzare la fronte proterva gridando lo stesso grido di Satana: "Io sono Te!". Chi come Dio? Al grido satanico fa contrapposto il grido angelico di Micael: "Chi come Dio?". E i figli di Dio rispondono: "Nessuno simile a Dio. Tu solo Santo! Tu solo Signore! Tu solo Altissimo!".
È l'inno di coloro nei quali la "parte, o spirito di Dio", come l'hanno definita i più grandi teologi, è realmente viva perché vivente nell'Amore, innestata in Gesù Cristo. È l'inno di coloro che alla prima creazione dell'anima – l'ispirazione dell'alito di Dio in una polvere che diviene carne e che tornerà polvere, per poi ricostruirsi carne nella risurrezione finale e nel finale giudizio – fanno e sanno far seguire la ricreazionecon la "vita" restituita dal Battesimo e mantenuta dai Sacramenti e dagli altri doni paterni e divini, la "vita", ossia la Grazia; e la supercreazione con la volontà eroica che li supercrea veramente somiglianti a Dio, specchi eterni che riflettono la Perfezione eterna e che accendono dei loro splendori gli accesi Cieli, trono all'Immenso, Potente, Santo Iddio Unico, Uno e Trino.
Ben è detto [3] : "Voi siete dèi e figli dell'Altissimo". Ma figli siete per la "particella" che Dio vi ha ispirata, e dèi dovete divenire con sforzo costante di tutta la vita terrena. Se foste già dèi, non dovreste sforzarvi a divenirlo. L'Amore vi chiama a divinizzarvi mediante l'amore, ma dèi non nascete e dèi non siete perché Uno Solo è Dio. La "parte", l'anima spirituale, in voi infusa da Dio, è quella che vi dà aspirazioni e modo di divenire i re del Regno di Dio e i figli in eterno dell'Altissimo, vostro premio, ricchezza, gioia eterna e immisurabile.
Coloro, poi, che vogliono turbarti perché è scritto che "l'anima è particella di Dio", riflettano anche che ciò è detto dai S. Padri e da menti elette di ogni tempo cattolico, e che negare di sapere certe cose per turbare un'anima è fare duplice peccato.
Riflettano inoltre a quali persone Io parlavo: a delle Gentili, per le quali era necessario usare un metodo di insegnamento seducente la loro immaginativa e il loro desiderio di salire agli Olimpi, dove tanti personaggi del loro secolo erano stati collocati, trasformati in deità dall'idolatria dei popoli verso creature che erano, per questa o per quella cosa, diverse dal comune; e ciò per attirarle, attraverso ad aspirazioni umane, verso i sentieri dove già splende Dio come sole lontano che invita ad essere raggiunto, dato il suo dolce, maestoso, divino splendore. Creature pagane che ignoravano l'esistenza dell'anima, che avrebbero capito l'importanza dell'anima e la sua dignità, e il dovere di tutelarne la "vita", solo facendo loro ben capire che essa ha un valore eccelso perché la sua origine è in Dio che la crea.
Non era facile sedurre al Bene menti coperte da scaglie tenaci di concezioni pagane! L'apostolato era difficile allora! Io, e coloro che per primi evangelizzarono, dovemmo aprire le menti come con un vomere sottile e tenace si aprono delle glebe, indurite da secoli di errore, intricate di radici tenacissime, consolidate nel loro pensiero religioso dall'amor di patria che credevano in pericolo se si scrollavano gli altari degli idoli e si sostituivano alle cerimonie e credenze pagane le verità cristiane. Menti più raffinate dei negri dell'Africa o dei selvaggi della Patagonia e della Polinesia, i greci, i romani, i galli, e iberi e cimbri, ma specie i due primi, sono stati dura conquista agli operai di Dio. E le storie della Chiesa documentano di che arte e di che dolore si dovettero ornare i primi sacerdoti cristiani per fare del mondo pagano il mondo cristiano. Carità perfetta, pazienza perfetta, eroismo perfetto, ogni virtù perfetta. Ecco come fu conquistato il mondo pagano a Dio.
Ora occorrerebbe ricominciare. Ma se il mondo è nuovamente una dura gleba che l'errore fa sterile, se è legato da radici di male, se lo consolida l'odio, mancano troppo i vomeri dolci, sottili, tenaci, perseveranti, che a costo di sacrificio totale riaprano la gleba e la liberino dalle radici malsane e vi seminino l'amore.
Voler aggiungere un "quasi" è veramente accostarsi di più all'eretico concetto che tutto è Dio. Perché la deità (non divinità in questo caso, essendo che un dio, così concepito nel pensiero come fatto di tutto ciò che è, non è Dio ma è una deità pagana) sembra così composta di queste particelle. No. Non sono le particelle che formano Dio. Ma è Dio che infonde il suo spirito – ossia: parte di Sé – per formare l'uomo: creatura composta di una sostanza spirituale e di una corporale. Sia lasciato dunque come ho dettato. Ché giusto è. E ognuno, che sia di retto spirito religioso, lo comprende che giusto è.
E tu sta' in pace. Io sono che detto. E Io non conosco l'errore perché sono la luminosa infinita Sapienza.»
1 frase che è nel capitolo 167 (scritto non il 9, ma il 19-5-45) dell'opera "L'Evangelo".
2 È detto, in Genesi 2, 7.
3 è detto, in Giovanni 10, 34, che richiama Salmo 82, 6.