Dice Gesù:
«Ascoltami bene, figlia, perché la lezione di oggi è molto difficile.
L’uomo, ogni uomo, ha in sé l’immagine che Dio ha ideato per l’Uomo. Ma non tutti gli uomini hanno in sé la somiglianza con Dio.
È detto [450]: “Dio fece l’uomo a sua immagine e somiglianza”. Come può dunque essere che taluni abbiano la sola immagine? E come possono avere l’immagine di Dio se Dio è incorporeo, purissimo Spirito, Luce infinita e sempiterna, Pensiero operante, Forza creativa, ma non corpo?
Quanta ignoranza vi è ancora fra i credenti! Ignoranza conseguente e ignoranza non conseguente.
È ignoranza conseguente
... (CLICCA QUI PER LEGGERE IL RESTO)
Dice Gesù:
«Ascoltami bene, figlia, perché la lezione di oggi è molto difficile.
L’uomo, ogni uomo, ha in sé l’immagine che Dio ha ideato per l’Uomo. Ma non tutti gli uomini hanno in sé la somiglianza con Dio.
È detto [450]: “Dio fece l’uomo a sua immagine e somiglianza”. Come può dunque essere che taluni abbiano la sola immagine? E come possono avere l’immagine di Dio se Dio è incorporeo, purissimo Spirito, Luce infinita e sempiterna, Pensiero operante, Forza creativa, ma non corpo?
Quanta ignoranza vi è ancora fra i credenti! Ignoranza conseguente e ignoranza non conseguente.
È ignoranza conseguente quella che viene da una istruzione veramente primordiale, da una istruzione religiosa che si ferma all’a b c della Religione, causata da lontananza da centri religiosi o da – il che è molto colpevole da parte del colpevole – da noncuranza di ministri che non consumano se stessi nel far conoscere Dio ai propri agnelli, pastori idoli [451] che Io guardo con volto severo.
Questa ignoranza non leva il Cielo a coloro che la posseggono. Perché Io sono giusto e non faccio accusa ad uno spirito, se so che l’ignoranza di costui non è volontaria. Ma anzi lo guardo per la fede, e se vedo che si è retto, con quel filo di scienza di Dio che gli hanno dato, come avesse molto saputo, lo premio come premio un dottore santo. Non è sua colpa se poco sa. È suo merito se del poco sa farsi una forza in queste poche, lineari idee: “Dio è. Io son suo figlio. Mi rende tale l’obbedire alla sua Legge. E ubbidendo giungerò a possedere Iddio in eterno per i meriti del Salvatore che mi ha reso la Grazia”. Lo Spirito di Dio si sostituisce con idee di luce nell’illuminare il credente che il suo pastore trascura o che è in zone dove raramente è il pastore.
Ma vi è anche l’ignoranza non conseguente. Quella di chi, potendo, non vuole istruirsi o, dopo essersi istruito, trascura e torna ignorante perché così vuole che sia per comodo suo. Dimenticare la Verità è necessario a chi vuol vivere da bruto.
Questa ignoranza Io la maledico. È uno dei peccati che attirano il mio sdegno senza perdono. Perché? Perché è ripudio a Dio Padre, Figlio e Spirito Santo.
Un figlio che non vuole conoscere nulla del padre, o che conoscendolo vuole (e giunge) a dimenticarlo, che figlio è? Ribelle non dico alle voci soprannaturali, ma anche alle voci del sangue. Inferiore perciò ai bruti che, finché sono, per età, sottoposti al padre, lo riconoscono e lo seguono. Quale ribellione sia poi quella rivolta ad un Dio che è Padre per la carne e il sangue e per l’anima e lo spirito, lascio a voi pensarlo.
Ripudiano il Figlio perché, senza pensiero per il sacrificio del Dio-Figlio che si è incarnato per portare la Verità all’uomo, oltre che la Redenzione, annullano in sé ogni voce di questa Verità per vivere nella loro menzogna.
Ripudiano lo Spirito Santo perché la Verità è sempre unita alla Scienza, ed è la Scienza che con la sua luce vi fa comprendere le verità più sublimi. Io l’ho detto [452]: “Io me ne vado e molte cose avrei ancora da dirvi, ma per ora non siete capaci di comprenderle. Ma quando sarà venuto lo Spirito di Verità vi ammaestrerà d’ogni vero e compirà l’opera mia di Maestro rendendovi capaci di capire”.
O eterno Divino Spirito, che così ci ami che per gloria del Padre sei sceso a purissimo sponsale per generare il Redentore e che, essendomi uguale, mi sei divenuto generatore, Tu procedente da Me e dal Padre! O eterno Divino Spirito, che per gloria del Figlio hai effuso il tuo Fuoco e continuamente l’effondi perché la Parola sia compresa e le creature da uomini divengano dèi vivendo secondo la Grazia e la Parola! Mistero del nostro Amore! Inconcepibile poema che solo nel Paradiso sarà conosciuto in pieno dagli eletti!
Io l’ho detto [453]: “Sarà perdonata ancora la bestemmia contro di Me. Ma non sarà perdonato chi bestemmia contro lo Spirito Santo”. Che bestemmia viene usata verso di Lui? Il disamore che si esplica col rifiutare di accogliere la Verità illuminata da Esso.
E torniamo al principio del dettato.
L’ignoranza diffusissima fra i credenti dà idee errate sulla immagine con Dio. Non immagine fisica. Dio-Spirito non ha volto, non ha statura, non ha struttura. Ma l’uomo ha l’immagine che per l’uomo Dio Creatore ha ideato.
Non aveva certo bisogno il Potente e l’Infinito di ottenere l’uomo da una evoluzione secolare di quadrumani. Il quadrumane fu quadrumane dal momento che fu creato e fece i primi lazzi sugli alberi del terrestre paradiso. L’uomo fu uomo dal momento che Dio lo creò [454] dal fango e, cosa non fatta per nessun altro creato, gli alitò lo spirito in volto.
La somiglianza con Dio è in questo spirito eterno, incorporeo, soprannaturale che avete in voi. È in questo spirito, atomo dell’infinito Spirito, che rinchiuso in angusta e precaria carcere attende e anela di ricongiungersi alla sua Sorgente e condividere con Essa libertà, gioia, pace, luce, amore, eternità.
L’immagine persiste anche là dove non è più somiglianza. Poiché l’uomo rimane fisicamente tale agli occhi degli uomini anche se agli occhi di Dio e dei soprannaturali abitatori dei Cieli e di pochi eletti della Terra appare col suo nuovo aspetto di demone. Col suo vero aspetto da quando la colpa mortale lo priva della somiglianza con Dio, non avendo in lui più vita lo spirito.
L’uomo senza la Grazia, che la colpa leva, non è più che il sepolcro dove si putrefà lo spirito morto. Ecco perché alla risurrezione della carne gli umani, pur avendo tutti una comune immagine fisica, saranno dissomigliantissimi fra di loro. Di aspetto semidivino i beati, di aspetto demoniaco i dannati. Allora trasparirà all’esterno il mistero delle coscienze. Terribile cognizione!
L’uomo tanto più si rende somigliante a Dio quanto più vive nella Grazia e accresce questa, di per sé già infinita, coi meriti del suo vivere santo. Occorre sforzarsi a raggiungere la perfezione della somiglianza. Non la raggiungerete mai perché non può la creatura essere simile al Creatore; ma vi avvicinerete, per quanto vi è concesso, a questa soprannaturale Bellezza.
Io l’ho detto [455]: “Siate perfetti come il Padre mio”. Non vi ho messo limite di perfezione. Più voi vi sforzerete a raggiungere questa perfezione e più i diaframmi dell’umano cadranno come muro assalito da forze vittoriose, e diminuiranno le distanze, e crescerà la vista, e aumenterà la capacità di intendere, comprendere, vedere, conoscere Dio.
Ma occorre tendere ad essa con tutte le vostre forze, con tutte le vostre generosità. Senza “voltarsi indietro” [456] a guardare ciò che si lascia. Senza fermarsi mai. Senza stancarsi. Il premio giustifica l’eroismo, perché il premio è tuffarsi nel godimento dell’Amore, avere perciò Dio come lo avrete in Cielo.
O beatifica unione e possesso meraviglioso! È vostro, figli fedeli. Venite e saziatevene!»
Mi ero prefissa di scrivere questa mattina la continuazione della mia gioia di ieri sera. Ma appena iniziato il giorno Gesù ha dettato e perciò lo faccio solo ora.
Dopo aver fatto l’ora di agonia con Gesù nell’Orto, mi sono messa giù quieta, pensando alle belle mani della mia santina [457]. Non potevo, del suo aspetto, pensare che alle mani, non avendo visto che quelle. E, come una bambina, avevo un grande desiderio di vedere se è proprio come appare nei ritratti annessi alla sua autobiografia. Ma non speravo di vederla. Invece, come un quadro che si illumina piano piano, ella si è svelata. Dopo le mani, le braccia, un poco stese verso me come per gesto d’abbraccio, e poi il corpo e ultimo il volto.
Sì, i ritratti, i primi specialmente – perché ora, tocca e ritocca, l’hanno quasi svisata – le somigliano. Però trovo che la fanno più rotonda d’ovale che non sia. Io la ritrovo molto nell’ovale smagrito degli ultimi momenti. Forse perché il viso spiritualizzato che ho visto pareva consumarsi nella fiamma luminosa che sprigionava.
Sorrideva colla bocca e cogli occhi. Molto bella e giovane, con due fossette agli angoli della bocca e due occhi, di un grigio tendente al pervinca, bellissimi. Non mi è parsa molto alta. Su per giù come è Paola, ma lo sembra di più per l’abito lungo e per il portamento dignitoso, regale direi. Non aveva mantello, né crocifisso coperto di rose. Sembrava come sarà stata durante le sue occupazioni monastiche, col solo e semplice abito marrone scuro e soggolo bianco sotto il velo nero. Ha proprio le mani più lunghe di quelle di Maria, ma molto belle. Si è lasciata guardare con un sorriso soave e pregare con un sorriso di promessa. Poi se ne è andata e a me non è rimasto che il ricordo e un tenue profumo nell’aria.
Penso che a me, per me, sono apparsi ben pochi santi: S. Giovanni molte volte. S. Giuseppe una volta in gennaio (visione del Paradiso) e più volte negli orrendi giorni dal 10 al 24 aprile. Poi S. Francesco una volta, qui, ai primi di maggio, mi pare. E ora S. Teresa del Bambino Gesù. Gli altri li ho visti in visione e per lutti [458]. Ah! no. Anche S. Agnese quando mi ha dettato le sue parole. E basta. A certuni parrà che ne vedo molti. Ma non mi pare. In oltre un anno di… missione speciale (dirò così) ne ho visti, per me, soltanto cinque: sei se vi unisco Nennolina. E quelli che prego sempre: S. Francesco e Teresina, dopo oltre un anno di dettati, e nessuno dei due come generalmente si raffigurano.
Sono molto contenta, sa? Ieri sera, mentre la guardavo, le dicevo: “Un petalo, un petalo solo delle tue rose per dirmi che mi viene fatta grazia” e non sarei stata per nulla stupita di trovarlo per davvero. Invece ho sentito solo, dalla parte dove era la santa, un lieve odore di rosa dopo che ella se ne era andata.
Lei e S. Francesco sono stati i miei maestri quando cominciavo a ricercare Gesù. Non ho avuto per degli anni altre guide. E ora che penso esser prossima alla fine, anzi al principio, sono molto felice di sentirmeli vicini. Mi aiuteranno a comprendere Gesù. La serenità è ancora in me, nonostante fisicamente soffra tanto.
Non è bello che in preparazione della festa del Carmine io abbia avuto la visita di Maria, Regina del Carmelo, e della santina del Carmelo?
Penso che il 16 luglio 1897 la Comunione alla serafica Teresina le fu portata come viatico e che fu salutata dal canto che io canto spesso:
Tu che il mio nulla ben comprendi, o Dio,
di abbassarti non temi fino a me…
Sacramento adorato! Nel cuor mio
scendi, nel cuor mio che anela a Te.
Vo’ che la tua bontà, dolce Signore,
mi faccia dopo ciò morir d’amore.
La voce ascolta del mio gran desìo,
discendi nel cuor mio…
Io allora avevo pochi mesi: quattro. Ora forse ne avrò quattro da vivere, da attendere la Vita. Ma non ho gli stessi sentimenti di Teresa, sebbene più imperfetti? La stessa sete di Eucarestia, lo stesso desiderio di morire d’amore, la stessa unica speranza: Gesù?
Vorrei, non per desiderio di umana lode, ma per amore di Dio, essere come la santina. Faccio quanto posso. Oh! no! Non mi pento d’essermi data all’Amore, anche io non me ne pento. Mi spiace solo d’essermici data troppo tardi e molto male, e mi dolgo solo che l’Amore mi consumi così lentamente.
Io non ho voce per farmi udire dal mondo. Ma se ne avessi vorrei dire a tutti: “Non abbiate paura di darvi a Gesù, all’Amore soave e misericordioso. Egli ripaga con tali dolcezze la nostra donazione che non vi è parola atta a spiegarla. Ogni raffronto è riflesso di luce tremolante di un lumino rispetto al grande sole. E per le piccole anime che hanno peccato e ora tornano a Dio, o per le piccole anime che non sanno fare grandi cose, non c’è che questa via da seguire per raggiungere coloro che non errarono o che seppero toccare le vette dell’eroismo penitenziale: darsi all’Amore e lasciare che Lui faccia… Faccia ciò che vuole di noi e in noi. Ci farà fare sempre molto di più di quello che faremmo da noi, anche con molti anni di vita austera e generosa”.
L’Amore! Che Maestro! Che iniziatore! Che purificatore! Io non ho che questa moneta: il mio amore dato all’Amore. E con questa, non per mio merito ma per la misericordia del mio Amore, sono certa di conquistarmi il Cielo.
Come sono certa che le cose straordinarie che mi accadono non sono certo monete di conquiste per me, ma anzi… contromonete, perché possono indurmi alla superbia. E io le devo ricevere con umiltà, con vero riconoscimento che non sono per me ma per tutti. Io sono soltanto il canale per cui scendono ed ho l’obbligo di santificarmi sempre più per esser degna di riceverle senza profanarle con un contatto impuro. Un dono perciò non scevro di pericolo.
Mentre, quando amo con tutte le mie forze e per amore dell’Amore mi sacrifico, oh! allora sono sicura di non errare! Anzi sarà proprio questo amore l’assoluzione mia sulle imperfezioni che posso avere in ogni campo. E cresca, cresca, cresca per essere la mia salvezza eterna.
Signore, non ti chiedo la gloria delle visioni, ma ti chiedo la grazia di amarti sempre più.
[450] È detto in Genesi 1, 26-27.
[451] pastori idoli, come in Zaccaria 11, 17 (idolo secondo la volgata, stolto secondo la neo-volgata).
[452] l’ho detto in Giovanni 16, 12-15.
[453] l’ho detto in Matteo 12, 31-32; Marco 3, 28-29; Luca 12, 10.
[454] lo creò… gli alitò…, come si legge in Genesi 2, 7.
[455] l’ho detto in Matteo 5, 48.
[456] voltarsi indietro, come in Luca 9, 62.
[457] santina è santa Teresa del Bambino Gesù, che le si è manifestata il 13 luglio.
[458] lutti è lettura incerta (potrebbe leggersi anche tutti ma non avrebbe senso). Le varie apparizioni possono essere rintracciate attraverso gli indici. Paola, menzionata più sopra, è come sempre Paola Belfanti.
Dice Gesù:
«Tu stessa mi dai il tema di questa lezione. Tu hai detto: “Io compatisco e ho pazienza con animali e bambini perché non sono dotati o non hanno ancora la ragione. Ma con un adulto che sragiona o per cattiveria o per cocciutaggine, allora non ragiono più neppure io perché non lo compatisco”.
Brava! Ma se il tuo Signore, che ti ha dotata di ragione, dovesse fare così con te, quante volte nella tua vita ti avrebbe dovuto punire? E se – dato che a tutti gli uomini Io ho dato la ragione – e se dovessi colpire e non compatire quando gli uomini vanno contro ragione, cosa dovrei fare? Quale uomo si salverebbe dal castigo? Non dico neppure: quando gli uomini vanno contro la mia Legge. Dico: contro ragione, come dici tu.
Da questo, tu e tutti misurate quanto è migliore Dio al migliore degli uomini. Una perfezione di bontà senza limiti. E verso la quale voi, abusando appunto di questa illimitatezza, vi permettete qualsiasi mancanza.
Ma non dovete farlo. Se sono buono, non è neanche giusto che voi ve ne abusiate. Vorrei dirvi: “Trattatemi da Dio”. Mi limito a dirvi: “Trattatemi da vostro Padre, Fratello e Amico, e agite con Me come agiscono i buoni figli, i buoni fratelli, i buoni amici fra gli uomini”.
Ma purtroppo non sapete fare neppure questo. E vi lamentate poi se non avete del bene sulla Terra?»
Dice Gesù:
«Nelle mie diverse beatitudini [459] ho enunciato i requisiti necessari per raggiungerle e i premi che ad essi beati saranno dati. Ma, se sono diverse le categorie nominate, uguale è il premio, se osservate bene: godere delle stesse cose che gode Dio.
Categorie diverse. Ho già mostrato come Dio provvede a creare col suo pensiero anime di diverse tendenze [460], allo scopo che la Terra goda di un equilibrio giusto in tutte le sue necessità inferiori e superiori. Che se poi la ribellione dell’uomo altera questo equilibrio volendo andare sempre contro la Volontà divina, che amorosamente lo guida
... (CLICCA QUI PER LEGGERE IL RESTO)
Dice Gesù:
«Nelle mie diverse beatitudini [459] ho enunciato i requisiti necessari per raggiungerle e i premi che ad essi beati saranno dati. Ma, se sono diverse le categorie nominate, uguale è il premio, se osservate bene: godere delle stesse cose che gode Dio.
Categorie diverse. Ho già mostrato come Dio provvede a creare col suo pensiero anime di diverse tendenze [460], allo scopo che la Terra goda di un equilibrio giusto in tutte le sue necessità inferiori e superiori. Che se poi la ribellione dell’uomo altera questo equilibrio volendo andare sempre contro la Volontà divina, che amorosamente lo guida per via giusta, non è di Dio la colpa.
Gli umani, perennemente scontenti del loro stato, o con sopruso vero e proprio o con conati di sopruso, invadono o turbano il campo altrui. Cosa sono le guerre mondiali o le guerre famigliari e quelle di professione se non questi soprusi operanti? Cosa sono le rivoluzioni sociali, cosa le dottrine che si ammantano del nome di “sociali” ma che in realtà non sono che prepotenza e anticarità, perché non sanno volere e praticare il giusto che predicano, ma traboccano sempre in violenze che non sollevano gli oppressi ma ne aumentano il numero a vantaggio di pochi prepotenti?
Ma dove regno Io, Dio, queste alterazioni non avvengono. Negli spiriti veramente miei e nel mio Regno nulla turba l’ordine. Ecco dunque che sono vissute e sono premiate le diverse forme della multiforme santità di Dio, il quale è giusto, puro, pacifico, misericordioso, libero da avidità di ricchezze effimere, gioioso della gioia del suo amore.
Nelle anime, quale tende ad una forma e quale all’altra. Tende in maniera eminente, poiché in un santo le virtù sono tutte presenti. Ma ne predomina una per cui quel santo è particolarmente celebrato fra gli uomini. Io lo benedico e premio però per tutte, perché il premio è “godere Dio” sia per i pacifici come per i misericordiosi, per gli amanti di giustizia come per i perseguitati dall’ingiustizia, per i puri come per gli afflitti, per i mansueti come per i poveri di spirito.
I poveri di spirito! Come è intesa sempre male, anche da chi la intende nel senso giusto, questa definizione! Povero di spirito, per la superficialità umana e la sciocca ironia umana, nonché ignoranza che si crede sapienza, vuol dire “stupido”.
Credono i migliori che lo spirito sia l’intelligenza, il pensiero; che sia furbizia e malignità, i più materiali. No. Lo spirito è al disopra molto dell’intelligenza. È il re di tutto quanto è in voi. Tutte le doti fisiche e morali sono suddite e ancelle di questo re. Là dove una creatura figlialmente devota a Dio sa tenere le cose al posto giusto. Dove invece la creatura non è figlialmente devota, allora avvengono le idolatrie, e le ancelle divengono regine, detronizzando lo spirito re. Anarchia che produce rovina come tutte le anarchie.
La povertà di spirito consiste nell’avere quella libertà sovrana da tutte le cose che sono delizia dell’uomo, e per le quali l’uomo giunge anche al delitto materiale o all’impunito delitto morale, che sfugge troppo sovente alla legge umana ma che non fa vittime minori, anzi ne fa più numerose e con conseguenze che non si limitano a levare la vita alla vittima, ma talora levano stima e pane alla vittima e ai famigliari suoi.
Il povero di spirito non ha più schiavitù di ricchezze. Se anche non giunge a rinnegarle materialmente, spogliandosi di esse e di ogni agio entrando in un ordine monastico, sa usarle per sé con una parsimonia che è doppio sacrificio, per essere invece prodigo di doni ai poveri del mondo. Costui ha compreso la mia frase [461]: “Fatevi degli amici con le ricchezze ingiuste”. Del suo denaro, che potrebbe esser nemico del suo spirito portandolo alla lussuria, gola e anticarità, egli fa il suo servo che gli spiana la via del Cielo, tutta tappezzata – per il ricco: povero di spirito – delle sue mortificazioni e delle sue opere di carità per le miserie dei suoi simili.
Quante ingiustizie non ripara e medica il povero di spirito! Ingiustizie sue proprie, del tempo in cui, come Zaccheo, non era che un avido e duro di cuore. Ingiustizie dei suoi prossimi vivi o defunti. Ingiustizie sociali.
Elevate monumenti a persone che furono grandi solo per essere prepotenti. Perché non elevate monumenti ai nascosti benefattori dell’umanità indigente, povera o lavoratrice, a coloro che usano le loro ricchezze non per fare della propria vita un perpetuo festino ma per renderla luminosa, migliore, più elevata a chi è povero, a chi soffre, a chi è menomato nelle capacità funzionali, a chi è lasciato nell’ignoranza dai prepotenti perché l’ignoranza serve meglio ai loro maledetti scopi? Quanti ve ne sono, anche fra coloro che non sono nelle dovizie, anzi che sono poco meno che poveri e che pure sanno sacrificare anche “i due piccioli” [462] che possiedono per sollevare una miseria che, per essere senza luce, quale loro hanno – e che l’abbiano si comprende dal modo come agiscono – è più grande della loro!
Sono poveri di spirito quelli che, perdendo il molto o il poco che hanno, sanno conservare la pace e la speranza, non maledire e non odiare. Nessuno. Né Dio né gli uomini.
La grande categoria dei “poveri di spirito” che Io ho nominato per primi – perché potrei dire che, senza questa libertà dello spirito sopra tutte le delizie della vita, non si possono avere le altre virtù che danno le beatitudini – si divide e suddivide in tante forme.
Umiltà di pensiero che non si gonfia e non si proclama superpensiero, ma usa del dono di Dio riconoscendone l’Origine, per il Bene. Solo per quello.
Generosità negli affetti, per cui sa spogliarsi anche di questi pur di seguire Dio. Anche della vita. La ricchezza più vera e più istintivamente amata dalla creatura animale. I miei martiri sono stati tutti generosi in tal senso, perché il loro spirito si era saputo far povero per divenire “ricco” dell’unica ricchezza eterna: Dio.
Giustizia nell’amare le cose proprie. Amarle perché, testimonianza della Provvidenza verso di noi, è dovere. Ne ho già parlato in dettati precedenti. Ma non amarle al punto di amarle più di Dio e della sua volontà; amarle non al punto di maledire Dio se mano d’uomo ve le strappa.
Infine, lo ripeto, libertà da schiavitù di denaro.
Ecco le diverse forme di questa spirituale povertà che Io ho detto possederà, per giustizia, i Cieli. Sotto i piedi tutte le labili ricchezze della vita umana per possedere le ricchezze eterne. Mettere la terra e i suoi frutti dal sapore subdolo, che è dolce alla superficie e amaro al centro, all’ultimo posto, e vivere lavorando per la conquista del Cielo. Oh! là non vi sono frutti di bugiardo sapore. Là vi è l’ineffabile frutto del godimento di Dio.
Questo, Zaccheo l’aveva compreso. Fu questa frase lo strale che gli aprì il cuore alla Luce e alla Carità. A Me, che venivo a lui per dirgli: “Vieni”. E quando Io venni a lui per chiamarlo, egli era già un “povero di spirito”. Perciò fu atto a possedere il Cielo».
[459] beatitudini, enunciate in Matteo 5, 1-12; Luca 6, 20-23. Nel presente “dettato” e in quello del giorno seguente viene menzionato Zaccheo (Luca 19, 1-10) perché i due “dettati” sono stati scritti immediatamente dopo la stesura della “visione” della conversione di Zaccheo e del relativo “dettato” di commento, messi entrambi nell’opera maggiore (capitolo 417).
[460] anime di diverse tendenze, come spiega già il “dettato” del 31 maggio.
[461] frase che è riferita in Luca 16, 9.
[462] i due piccioli, con riferimento all’episodio dell’obolo della vedova, riportato in Marco 12, 41-44; Luca 21, 1-4.
Dice Gesù:
«Già era stato detto [463] sino dai tempi antichi: “Se Dio dà pace, chi potrà condannare?”.
Eppure quei dottori che sempre mi accusavano, e che sapevano alla perfezione le parole del Libro, giudicavano in modo diverso. Perché? Perché sapevano alla lettera, ma non comprendevano lo spirito della lettera. Simili in tutto ai dottori di ora, i quali giudicano e condannano con appigli ridicoli e crudeli i miei prediletti, e Me con loro.
Anche per Zaccheo hanno usato condanna. Dio aveva dato pace al suo servo pentito che tornava alla Casa: del Padre più che del Padrone. Essi condannano
... (CLICCA QUI PER LEGGERE IL RESTO)
Dice Gesù:
«Già era stato detto [463] sino dai tempi antichi: “Se Dio dà pace, chi potrà condannare?”.
Eppure quei dottori che sempre mi accusavano, e che sapevano alla perfezione le parole del Libro, giudicavano in modo diverso. Perché? Perché sapevano alla lettera, ma non comprendevano lo spirito della lettera. Simili in tutto ai dottori di ora, i quali giudicano e condannano con appigli ridicoli e crudeli i miei prediletti, e Me con loro.
Anche per Zaccheo hanno usato condanna. Dio aveva dato pace al suo servo pentito che tornava alla Casa: del Padre più che del Padrone. Essi condannano Lui e il suo servo perché, secondo loro, non era sufficiente la forma del pentimento di Zaccheo [464]. È naturale! Non aveva quelle ipocrite forme, tutte esterne, che essi, farisei e scribi, amavano; forme usate per ingannare il mondo su una pretesa santità che era unicamente finzione, perché l’interno era e restava appestato dai loro vizi. Era un pentimento vero, del suo cuore.
Io ho detto [465]: “È dal cuore che escono le cose che contaminano l’uomo”. Ma vi escono anche le cose che lo santificano. Da questo tabernacolo che contiene come in pisside aurea lo spirito vostro, in cui per una spirituale transustanziazione si incarna e risiede Dio, escono i buoni pensieri, le rette intenzioni, le ferme volontà d’esser santi, gli eroismi che vi dànno il Cielo, i pentimenti sinceri che cancellano anche il ricordo delle vostre colpe dalla mente di Dio e vi portano a Lui, e Lui a voi, per il suo bacio di Padre.
Anche per i miei prediletti il mondo farisaico, sempre esistente e operante, giudica e condanna. Costui è una “voce”? Non può essere. Che ha fatto per meritarlo?
Nulla e tutto, rispondo. Nulla se si considera la sua miseria rispetto alla potenza di Dio e alla sua perfezione. Tutto se si considera la sua generosità che è tutta donata a Dio, e a Dio solo, operante sotto l’umiltà di una vita comune, amante sino a consumare le forze fisiche, ubbidiente nelle grandi e nelle piccole cose, sin nelle inezie che Io chiedo per tenerlo sempre docile al mio desiderio e provarlo continuamente nella sua mansuetudine. Credete che solo chi ama “con tutto se stesso” può dare con un sorriso, al Dio che glielo chiede, il vivere come il frutto che porta alle labbra, il sacrificio di un genitore o di altro affetto santo come la parola che gli dico di tacere, la casa e il pane come il riposo che gli dico di annullare in ore di stanchezza profonda per continuare a servire Me.
Se Io gli do pace, chi potrà condannare? Cosa condannare? Quello che Dio giudica meritevole di benedizioni e carezze ora, di beatitudine poi? Condannare il bene che fa a sé e agli altri? Imitatelo e non condannatelo, e vergognatevi, o servi disutili, o satana blasfemi, di non sapere più servire il Signore Iddio vostro, di non sapere più ricevere, comprendere e dire le parole dello Spirito eterno, di non sapere più farvi pane per le anime dei vostri simili, ma gelo, ma veleno, ma catena.
Condannare cosa? Il modo come parla o scrive? Oh! osservate, o angelici spiriti, o beati possessori del Paradiso, i piccoli uomini, dall’animo con l’ali spezzate o mancanti, che non potendo più alzarsi in volo giudicano che altri non lo possa fare! Osservate le talpe cieche che non potendo vedere il sole negano che esso sia e che altri lo veda! Osservate i corvi senza canto che non potendo ripetere le armonie che altri hanno appreso dai Cieli negano che sia la Voce!
Là dove non bastano l’ali del piccolo uccello innamorato di Dio, accorrono le ali angeliche e lo sollevano a quell’altezza che Io voglio. Io, Io stesso, Aquila d’amore, piombo e lo rapisco in alto, sino al mio Paradiso, e gli mostro questa bellezza che voi quasi non sapete più immaginare, parendovi fola, e nascondete la vostra incapacità sotto una valanga di parole il cui costrutto è questo: “Il Paradiso non ha descrizione perché è Pensiero”.
È Pensiero? È realtà. Parla, tu, mio piccolo uccello che vi sei salito [466] fra le ali dell’Aquila che t’ama, e di’ se il Paradiso sia solo Pensiero o realtà spirituale, realtà di luce, canto, gioia, bellezza. Di’ a questi che hanno l’ali trascinanti nella mota – perché la loro inerzia le ha spezzate e ridotte membra morte – cosa meriti il Paradiso e come il dolore, la povertà, la malattia siano da salutarsi con un sorriso pensando a questo Luogo dove li attende la Gioia senza fine.
Il Sole che voi a malapena vedete dietro cortine spesse di nebbie, date dalle vostre sensualità di carne e di pensiero, dai vostri razionalismi che hanno sbriciolato in voi la capacità di credere con la semplicità dei pargoli e la fermezza dei martiri, il Sole che voi non potete più contemplare perché non riuscite più a sollevare il capo dal giogo pesante della vostra umanità che soverchia in voi lo spirito – mentre i miei benedetti, spogli di ogni umana costrizione, stanno col capo dell’animo sempre alzato ad adorare Me-Sole – vi è, e spande oceani di luce e fuoco per investire di calore e rivestire di splendore questi miei amici per i quali ho pronto un trono eterno. Vi è, ed è già loro, perché splende sul loro capo come volto di padre sulla culla del suo bambino, e cosa più dolce non vi è di questa amorosa, gelosa tutela d’amore che non li lascia un minuto.
Voi che non sapete più cantare le vostre armonie a Dio, non sapete neppur più dirgli che lo amate, non con la bocca ma col cuore – ed è questa l’armonia che Dio vuole udire dall’uomo – non negate che questi miei amatori possano ripetere armonie soprannaturali, apprese da Me e dai miei santi. I miei amatori hanno reso duttile la loro spirituale ugola gorgheggiando senza stancarsi, né per passar di tempo, né per contrarietà di vita, il loro inno d’amore, e di tutte le cose si fanno spunto per dirmi: “T’amo”. Hanno così potuto esser capaci di imparare a ridire i canti dei Cieli.
Oh! benediteli questi che vi scoprono punti e luci, che vi riportano luci e parole che la vostra miseria non conosce, costoro che con una totale schiavitù d’amore stanno confitti su un patibolo che come il mio ha la base fissata nel fango terrestre e il vertice nell’azzurro del cielo, ponti per cui voi potete salire – voi che non sapete che strisciare – salire e conoscere come sia bello l’azzurro e innamorarvene e aver desiderio di imitarli.
Perché volete negare, perché volete dire a Dio: “Non ti è lecito fare ciò”? L’apostolicità della Chiesa non è finita con gli Apostoli. Continua con gli apostoli minori. Ogni santo ne è uno, ogni “voce” ne è uno. Ed Io, Capo della Chiesa apostolica, posso dovunque scegliere e spargere questi miei piccoli apostoli per il bene vostro.
Sono umili rispetto a voi dotti? E che erano i primi dodici? Pescatori, analfabeti, ignoranti. Ma ho preso loro e non i dotti rabbini perché costoro, perché consci di esser nulla, erano capaci di accettare la Parola, mentre i rabbini, saturi d’orgoglio, non avevano capacità di farlo. L’umiltà è quella che Io cerco, e se costoro, pur rimanendo amorosi, puri e generosi, divenissero superbi, li abbandonerei senza fallo.
Due sono le cose che assolutamente richiedo in loro: amore e fedeltà alla Verità – e non solo alla Verità-Dio, ma anche alla Verità-virtù – e umiltà sincera. Ma più ancora sono inesorabile per questa. La superbia, segno di Satana, primo segno di Satana, mi allontana con disgusto.
Perciò pensate che se Io do loro la mia pace nessuno di voi può condannarli. Essi sono al disopra delle vostre condanne. Fra le mie braccia amano e ascoltano i segreti di Dio e poi ve li offrono secondo che Dio vuole, per gettarvi una collana di perle paradisiache che vi sia guida e scala al Cielo.
Ti do la mia pace, mia “voce”. Riposati in essa come un bambino sul seno del padre suo.»
[463] era stato detto, in Giobbe 34, 29, che è il rimando messo dalla scrittrice accanto alla data. (Volgata: Se egli dà pace…; neo-volgata: Se egli tace…)
[464] Zaccheo è nostra correzione da Matteo (la stessa correzione è stata fatta dalla scrittrice più sopra). Per il riferimento a Zaccheo rimandiamo alla prima nota del “dettato” del 19 luglio.
[465] ho detto in Matteo 15, 10-11; Marco 7, 14-15.
[466] vi sei salito nelle “visioni” del 10 gennaio, 6 marzo e 25 maggio. L’immagine dell’Aquila si trova già nel secondo “dettato” del 14 giugno e in quello del 15 giugno.
Ieri sera, non so se per farmi fare un’ora di Getsemani, dato che era giovedì sera, o se per tormento diabolico, sentii formarsi una burrasca nel mio cuore che era tanto in pace da quando lei è venuto [467]. E creda, Padre, che ne ho avuto paura.
Mi sono detta: “Se il Tentatore mi riprende, sto fresca!”. Ho più paura delle nostalgie, che mi suscita con una violenza che mi fa perdere il controllo, che non d’una crisi di cuore. Perché so come mi lasciano poi, indebolita moralmente e atta a sentire troppo acutamente le inevitabili miserie della vita. Mi
... (CLICCA QUI PER LEGGERE IL RESTO)
Ieri sera, non so se per farmi fare un’ora di Getsemani, dato che era giovedì sera, o se per tormento diabolico, sentii formarsi una burrasca nel mio cuore che era tanto in pace da quando lei è venuto [467]. E creda, Padre, che ne ho avuto paura.
Mi sono detta: “Se il Tentatore mi riprende, sto fresca!”. Ho più paura delle nostalgie, che mi suscita con una violenza che mi fa perdere il controllo, che non d’una crisi di cuore. Perché so come mi lasciano poi, indebolita moralmente e atta a sentire troppo acutamente le inevitabili miserie della vita. Mi innestano, se si può dire, nella vita e nel passato, strappandomi dal mio Presente che è Dio, mia Vita. E ne spasimo perché sono come un uccello, abituato all’azzurro e allo spazio, chiuso in una gabbietta al buio e tormentato da persone che, a lui sconosciute, sono per lui terrore solo a vederle.
Può parere forte quanto io dico, dato che non sono fra sconosciuti né fra tormentatori. Ma questo è vero per Maria donna, la quale ormai è così poco più donna che può dirsi di lei che ormai è fuor della vita. La mia Vita è altrove. Per un capovolgimento miracoloso mi paiono cose estranee, fuori di me, le cose che sono il tutto degli altri, mentre mi pare vera vita quella che vive il mio spirito. Vita segreta e sconosciuta al mondo, e così viva!
Ieri sera, proprio prima che si formasse la burrasca dei ricordi, e degli spasimi consecutivi, stavo ripassando nella mente le cose vedute [468] in visione e me ne beavo ancora, ripensando a questo o a quell’episodio di cui rivedevo con vivezza le fasi. Rivedevo col pensiero, non con la vista interiore. Ricordavo, insomma. E sorridevo al piccolo Beniamino, e mi allietavo della gioia di Gesù fra i bambini, e rivedevo la casa di Zaccaria a Ebron e la Vergine intenta alle donnesche cure e così via. E mi dicevo: “Quante cose mi ha fatto vedere Gesù per innamorarmi sempre più di Lui! Quanto ho dentro con cui vivere felice come re fra i suoi tesori! Grazie, Gesù!”.
E dopo è venuto il… babau… Ma è durato poco, se non ritorna. Ho chiamato tutti i miei celesti amici: Gesù, Maria, Giuseppe; Giovanni e la piccola Teresa, e ho detto loro: “Soffiate via le nubi nere. Io non ne ho la forza… ma non voglio perdere il mio Sole. È in me e mi dà tanta pace. Aiutatemi”. Ed ho sentito che mi aiutavano. Sorrisi e carezze e pace, pace, pace.
Stamane mi sono destata dal sopore cantando la canzone che mi sono fatta per dire a Dio che lo amo e lo desidero. Proprio cantando, sa? Come un uccello lieto del primo sole.
Suor Saviane [469] mi ha scritto: “La fede che ti ha sostenuta sempre trionfi nella tua anima purificata dalla sofferenza e faccia brillare le perle nuove e preziose della immortale corona. La cara Madonna ti accompagni e ti prepari all’ingresso nella nuova Gerusalemme quando e come vorrà Gesù. Tu a Lui ti sei offerta… In questa svolta, per te più angosciosa che per altri, senti il Cielo con la schiera dei tuoi intercessori assai, assai vicino a te nel doloroso pellegrinaggio… Senti me pure vicina con la preghiera… Gesù non ti abbandona… Gesù sia il tuo scudo, il tuo balsamo, il tuo premio…”.
Come sempre, questa suora santa, che non sa umanamente niente, scrive come sapesse tutto. Il mio tutto, la vita speciale che Dio mi fa vivere. Ho chiamato i miei “intercessori” celesti seguendo il suo consiglio, perché credo che questa suora sia illuminata. E ho fatto bene. Lo farò sempre quando tornerà il… babau. Dato che io non valgo niente e che lei è lontano per infondermi la sua pace. Me ne ha infusa tanta nelle 24 ore che è stato qui, or sono 10 giorni, che sono ancora forte… È inutile! In Cielo Dio e in Terra lei ci vogliono per la povera Maria!…
Ora apro la Bibbia. Mi si apre al salmo 118 [470] (se leggo bene il numero romano). E precisamente alla strofa Caf.
Gesù mi dice:
«Leggi. Pare scritto per te. Ma l’anima tua non si strugge nell’attesa del mio soccorso. Una cosa che si strugge si consuma e annulla. Invece la tua anima cresce e si fortifica nell’attesa. L’attesa serve a spogliarti da ogni resto di umanità. Ti voglio avere semplice e nuda come petalo di fiore. L’attesa serve a fortificare la tua speranza. Ti voglio con una speranza più perfetta e forte di un blocco d’acciaio.
Anche fossi sulle soglie dell’abisso e vedessi l’inferno teso per ghermirti e dietro a te il mondo latrante come canea che vuole sbranare e pronto ad avventarsi, non devi avere paura. Io te lo dico: “Non devi avere paura”. Sono la Parola che non mente. Spera e credi in Me.
Non solo i tuoi occhi ma anche le tue labbra si sono consumate e stancate nel dirmi con la voce e lo sguardo: “Quando mi consolerai?”. Oh! presto, diletta. Ancora un poco di croce e poi sarai consolata [471] molto più di quanto tu speri, consolata così sovrannaturalmente che rimarrai estatica di gioioso stupore. Non ti parrà possibile, allora, di aver meritato tanto. Non ti parrà possibile perché la gioia smemora del dolore antecedente e perché l’umiltà tiene bassi i sentimenti di un mio servo.
Mia piccola, amata discepola, dolce figlia del mio amore, non guardare se la grandine delle pene ha fatto di te come un otre esposto alla brina. Ogni lacrima è una gemma. Ogni atto di fede, mentre il dolore percuote, è più che una gemma. Verrai a Me più ornata di sposa.
Già ti ho insegnato [472] a non contare i giorni del passato e del futuro. Di’ sempre la parola di Dio: “Ora”. “Io soffro ora. Il passato non c’è più. Il futuro potrebbe non esserci. Ma ora Dio mi ama, ma ora amo Dio, ma ora Dio mi premia per l’eternità. Ora, sempre ora”.
Il salmista chiede: “Quando farai giustizia dei miei persecutori?”. Lui lo poteva dire. Io non ero ancora venuto a portare il perdono e l’amore. Tu non lo devi dire. Non lo devi neppure desiderare. Perché Io ho detto [473]: “Quando uno ti percuote, offri l’altra guancia. Ama chi ti disama per non essere simile a quelli del mondo che amano solo chi li ama. Beati voi se sarete perseguitati”. Lascia a Me il compito di difesa e di castigo. Tu ama. È più dolce e più santo.
Se tu sapessi come ti amo quando vedo che non solo non sai odiare più – tu che odiavi – non sai odiare più da quando ti ho detto di amare anche i nemici per amor mio, ma che soffri di sentire gli altri odiare perché l’odio fra fratelli è offesa a Me Padre di tutti gli uomini!
Se anche gli iniqui ti raccontassero favole, sarebbe inutile. Ormai sei al disopra di loro e delle loro parole. Stabile in Dio, nel rifugio del suo cuore come un uccellino in un nido. Perciò sai, nutrita come sei direttamente al mio seno, quale sia il vero cibo, e i mendaci sapori dei cibi di menzogna non ti possono più sedurre. Tu vivi della e nella Parola di Verità, e l’odio dei golosi di menzogna non ti può che stupire, come stupisce un bimbo dello sgarbo che un adulto oppone alla sua carezza. Ma non suscita odio. Anzi ti stacca dagli uomini. È ciò che voglio. E ti spinge sempre più verso Me, in Me. È ciò che voglio più ancora.
Colui che parla la verità che Dio gli pone sulle labbra diviene tanto odioso al mondo che esso cerca non tanto di farne sparire la persona, poiché il mondo è vile ed ha paura delle prigioni, quanto di distruggerne stima e memoria fra i buoni. Ma resta fedele.
Ai comandamenti dati a tutti se ne aggiunge uno speciale per le mie “voci”, per i miei prediletti. La fedeltà assoluta. Una fedeltà non solo nel comandato ma nel consigliato, non solo nel consigliato: anche nel desiderato da Me. Perciò contro ogni utile umano siimi fedele. Giovanna [474] fu fedele fino al rogo alle sue “voci”. Ed erano voci di angeli e santi. La tua Voce è la mia. Siile fedele sino al martirio, se ti sarà chiesto. A qualunque martirio. E quello della bassa calunnia, della guerra subdola, delle invidie e menzogne, non è meno torturante di un rogo. Siimi fedele. Io ti aiuterò.
E ora di’ tu l’ultimo distico: “Nella tua misericordia dammi vita; e metterò in pratica gli insegnamenti della tua bocca”.
Sì. Vita e Vita ti darò. Qui finché mi servi, in Cielo perché tu riposi nel mio gaudio. Vita qui perché sempre più tu viva ciò che Io ti insegno. Bevi, bevi alla fonte della mia divina Parola. Gesù-Maestro è più che mai Maestro tuo, perché troppo rari sono coloro che lo vogliono per loro Maestro, ed Egli si dona senza misura ai pochi che hanno compreso che non vi è scienza nel mondo e non vi è parola che siano più della sua sante e vere.
O dilettissimi, che mi amate e vivete della mia Parola, scrigni vivi in cui Io depongo le gemme del mio Pensiero, lampade d’oro che splendete della Luce che arde in voi, venite, venite. Io guardo a questo piccolo gregge d’agnelli amorosi fra le torme dei lupi feroci, degli agnelli che testimoniano di Me fra il mondo insatanassato, degli agnelli la cui vita è una professione di fede e una prova che vi è Dio, e sfavillo di gioia.
Contrassegnati del mio Segno! Oh! venite, benedetti! Il mio cuore vi è aperto. Venite e posate su esso. Venite…
Io te lo dico: “Giubila! Dio è con te”.»
[467] è venuto il 10 luglio, come registra la scrittrice il giorno 11.
[468] le cose vedute, cioè vari episodi dell’opera “L’Evangelo come mi è stato rivelato”.
[469] Suor Saviane è suor Giuseppina Saviane, una delle suore (già ricordate il 20 aprile e il 10 maggio) del Collegio in cui la scrittrice aveva studiato.
[470] salmo 118, che nella neo-volgata è diventato Salmo 119. La strofa Caf corrisponde ai versetti 81-88.
[471] sarai consolata… è una promessa che sembra alludere non alla sua morte beata (come le sarà predetta il 12 settembre) ma a quello stato di misterioso isolamento psichico, forse di natura estatica, che caratterizzerà gli ultimi anni di vita della scrittrice (come abbiamo già ricordato in nota al 15 giugno).
[472] ti ho insegnato, il 12 giugno.
[473] ho detto in Matteo 5, 10-12.38-39.43-47; Luca 6, 22-23.27-35.
[474] Giovanna è Giovanna d’Arco (1412-1431), santa. Il riferimento alle “voci” soprannaturali, che Giovanna ascoltava, chiarisce l’espressione rivolta a Maria Valtorta: la tua Voce è la mia, che significa: la Voce che tu ascolti è la mia.
Festività di S. Maria Maddalena
Una bella e lunga visione che non ha nulla a che fare con la Santa penitente che io ho sempre amata tanto. La scrivo aggiungendo fogli a questo quaderno perché sono sola e prendo quanto ho sotto mano.
Vedo le catacombe. Per quanto io non sia mai stata nelle catacombe, capisco che sono esse. Quali non so. Vedo oscuri meandri di stretti corridoi scavati nella terra, bassi e umidi, fatti tutti a giravolte come un labirinto. Si cammina diritti e sembra di poter continuare, al massimo di poter svoltare in un altro corridoio, invece ci
... (CLICCA QUI PER LEGGERE IL RESTO)
Festività di S. Maria Maddalena
Una bella e lunga visione che non ha nulla a che fare con la Santa penitente che io ho sempre amata tanto. La scrivo aggiungendo fogli a questo quaderno perché sono sola e prendo quanto ho sotto mano.
Vedo le catacombe. Per quanto io non sia mai stata nelle catacombe, capisco che sono esse. Quali non so. Vedo oscuri meandri di stretti corridoi scavati nella terra, bassi e umidi, fatti tutti a giravolte come un labirinto. Si cammina diritti e sembra di poter continuare, al massimo di poter svoltare in un altro corridoio, invece ci si trova di fronte una parete terrosa e occorre svoltare, tornare indietro sino a ritrovare un altro corridoio che vada oltre.
In essi sono loculi e loculi pronti per ricevere martiri. Pronti in questo senso: che ognuno è leggermente scavato nella parete per dare una norma ai fossori. Così in principio. Ma più ci si addentra e più i loculi sono già fondi e compiti, messi tutti nel senso della parete, come tante cuccette di nave. Altri sono invece già colmi della loro santa spoglia e chiusi da una rozza lapide incisa malamente col nome del martire o del defunto e i segni cristiani oltre una parola di addio e di raccomandazione.
Ma questi loculi già completati e chiusi sono proprio in quella zona che suppongo sia la centrale della catacomba, perché qui si aprono sovente ambienti più vasti, come sale e salette, e più alti, ornati di graffiti e più luminosi degli altri per delle lucernette a olio sparse qua e là per devozione e per comodità dei fedeli ai quali per qualche motivo si spenga la propria lampadetta.
Anche le persone qui sono più numerose e sboccano da tutte le parti, salutandosi con amore, a voce bassa come il luogo santo lo richiede. Vi sono uomini, donne e bambini. Di ogni condizione sociale. Vestiti da poveri e da patrizi. Le donne hanno il capo coperto da una stoffa leggera come una mussola. Non è il velo di tulle, certo, ma è come una garza fitta fitta, più bella nelle ricche, più povera nelle povere, scura per le spose e vedove, bianca per le vergini. Vi sono spose che hanno i bambini in braccio. Forse non avevano a chi lasciarli e se li sono portati seco e, se i più grandicelli camminano al fianco delle mamme loro, i più piccini, certuni infanti, dormono beati sotto il velo materno, cullati dal passo della madre e dai canti lenti e pii che si elevano sotto le volte. Sembrano angioletti scesi dal Cielo e sognanti il Paradiso a cui sorridono nel sonno.
La gente aumenta e finisce a radunarsi in una vastissima sala semicircolare che ha nel culmine del cerchio l’altare volto verso la folla ed è tutta coperta di pitture o mosaici.
Non capisco bene. So che sono figurazioni colorate in cui splendono i toni più vivi o chiari e brillano le raggiere d’oro. Sull’altare molti lumi accesi. Intorno all’altare una corona di vergini bianco-vestite e bianco-velate.
Entra, benedicente, un vecchio dall’aspetto buono e maestoso. Credo sia il Pontefice, perché tutti si prostrano riverenti. Egli è circondato da preti e diaconi e passa fra la siepe di teste chine con un sorriso di bellezza ineffabile sul volto. Il solo sorriso dice della sua santità. Sale all’altare e si prepara al rito mentre i fedeli cantano.
La celebrazione ha luogo. È quasi simile alla nostra. Molto più complessa di quella vista nel Tullianum, celebrata dall’apostolo Paolo, e di quella vista [475] celebrare in casa di Petronilla.
Il vecchio celebrante, Vescovo di certo se non Pontefice, è aiutato e servito dai diaconi, i quali hanno vesti molto diverse dalle sue perché, mentre questo porta una veste (di celebrazione) che somiglia, tanto per darle un’idea, a quegli accappatoi da toletta che le donne usano per pettinarsi – mantellette tonde che coprono sul davanti e sul dietro e le spalle e braccia sino quasi al polso – i diaconi hanno una veste di celebrazione quasi uguale alle attuali, lunga sino al ginocchio e con maniche larghe e corte.
La Messa consta di canti, che comprendo essere brani di salmi o dell’Apocalisse, di letture di brani epistolari o biblici e del Vangelo, i quali vengono commentati ai fedeli dai diaconi a turno.
Finito di leggere il Vangelo – lo legge con voce di canto un giovane diacono – si alza il Pontefice. Lo chiamo così perché sento che così è indicato da una mamma ad un suo bambino piuttosto irrequieto. Il brano scelto era la parabola [476] delle dieci vergini: sagge e stolte.
Il Pontefice dice:
«Propria delle vergini, questa parabola si rivolge a tutte le anime, poiché i meriti del Sangue del Salvatore e la Grazia riverginizzano le anime e le fanno come fanciulle in attesa dello Sposo.
Sorridete, o vecchi cadenti; alzate il volto, o patrizi sino a ieri immersi nella fanghiglia del paganesimo corrotto; guardate senza più rimpianto al vostro candido ignorare di fanciulle, o madri e spose. Non siete, nell’anima, dissimili da questi gigli fra cui passeggia l’Agnello e che ora fanno corona al suo altare. L’anima vostra ha bellezze di vergine che nessun bacio ha sfiorata, quando rinascete e permanete in Cristo, Signor nostro. Il suo venire fa più candida di alba su un monte coperto di neve l’anima che prima era sporca e nera dei vizi più abbietti. Il pentimento la deterge, la volontà la depura, ma l’amore, l’amore del nostro santo Salvatore, amore che viene dal suo Sangue che grida con voce d’amore, vi rende la verginità perfetta. Non già quella che aveste all’alba della vostra vita umana. Ma quella che era del padre di tutti: Adamo, ma quella che era della madre di tutti: Eva, prima che Satana passasse, traviando, sulla loro innocenza angelica, sull’innocenza: dono divino che li vestiva di grazia agli occhi di Dio e dell’universo.
O santa verginità della vita cristiana! Bagno di Sangue, di Sangue di un Dio che vi fa nuovi e puri come l’Uomo e la Donna usciti dalle mani dell’Altissimo! O nascita seconda della vostra vita, nella vita cristiana, preludio di quella terza nascita che vi darà il Cielo quando vi salirete al cenno di Dio, candidi per la fede o porpurei per il martirio, belli come angeli e degni di vedere e seguire Gesù Cristo, Figlio di Dio, Salvatore nostro!
Ma oggi, più che alle anime riverginizzate dalla Grazia, mi volgo a quelle chiuse in corpo vergine, con volontà di vergine. Alle vergini sagge che hanno compreso l’invito d’amore del Signor nostro e le parole del vergine Giovanni [477], e vogliono seguire per sempre l’Agnello fra la schiera di coloro che non conobbero contaminazione e che empiranno in eterno i Cieli del cantico che niuno può dire se non coloro che vergini sono per amore di Dio. E parlo alla forte nella fede, nella speranza, nella carità, che si ciba questa notte delle Carni immacolate del Verbo e si corrobora col suo Sangue come di Vino celeste per esser forte nella sua impresa.
Una fra voi si alzerà da questo altare per andare incontro a un destino il cui nome può essere “morte”. E vi va fidente in Dio, non della fede comune a tutti i cristiani, ma di una ancor più perfetta fede che non si limita a credere per se stessa, a credere nella protezione divina per se stessa. Ma crede anche per gli altri e spera di portare a questo altare colui che domani sarà agli occhi del mondo il suo sposo ma agli occhi di Dio il fratello suo dilettissimo. Doppia [478], perfetta verginità che si sente sicura della sua forza al punto di non temere violazione, di non temere ira di sposo deluso, di non temere debolezza di senso, di non temere paura di minacce, di non temere delusione di speranze, di non temere paura e quasi certezza di martirio.
Alzati e sorridi al tuo Sposo vero, casta vergine di Cristo che vai incontro all’uomo guardando a Dio, che ci vai per portare l’uomo a Dio! Dio ti guarda e sorride e ti sorride la Madre che fu Vergine e gli angeli ti fanno corona. Alzati e vieni a dissetarti alla Fonte immacolata prima di andare alla tua croce, alla tua gloria.
Vieni, sposa di Cristo. Ripeti a Lui il tuo canto d’amore sotto queste volte che ti sono più care della cuna della tua nascita al mondo, e portalo teco sino al momento che l’anima lo canterà nel Cielo mentre il corpo poserà nell’ultimo sonno fra le braccia di questa tua vera Madre: l’apostolica Chiesa.»
Finita l’omelia del Pontefice, vi è un poco di brusio, perché i cristiani sussurrano guardando e accennando la schiera delle vergini. Ma viene zittito per far fare silenzio e poi vengono fatti uscire i catecumeni e la Messa prosegue.
Non c’è il Credo. Almeno io non lo sento dire. Dei diaconi passano fra i fedeli raccogliendo offerte, mentre altri diaconi cantano con la loro voce virile alternando le strofe di un inno alle voci bianche delle vergini. Volute di incenso salgono verso la volta della sala mentre il Pontefice prega all’altare e i diaconi sollevano sulle palme le offerte raccolte in vassoi preziosi e in anfore pure preziose.
La Messa prosegue ora così come è adesso. Dopo il dialogo che precede il Prefazio, e il Prefazio cantato dai fedeli, si fa un grande silenzio in cui si odono solo le aspirazioni e i sibili del celebrante che prega curvo sull’altare e che poi si solleva e a voce più distinta dice le parole della Consacrazione.
Bellissimo il Pater intonato da tutti. Quando si inizia la distribuzione delle Specie i diaconi cantano. Vengono comunicate le vergini per prime. Poi cantano esse il canto [479] udito per la sepoltura di Agnese: “Vidi supra montem Sion Agnum stantem…”. Il cantico dura sinché dura la distribuzione delle Specie alternandosi al salmo [480]: “Come il cervo sospira alle acque, così l’anima mia anela Te, mio Dio” (credo avere tradotto bene).
La Messa ha termine. I cristiani si affollano intorno al Pontefice per esserne benedetti anche singolarmente e per accomiatarsi dalla vergine a cui si è rivolto il Pontefice. Questi saluti avvengono però in una sala vicina, una anticamera, direi, della chiesa vera e propria. E avvengono quando la vergine, dopo una preghiera più lunga di tutte degli altri presenti, si alza dal suo posto, si prostra ai piedi dell’altare e ne bacia il bordo. Pare proprio un cervo che non sappia staccarsi dalla sua fonte d’acqua pura.
Sento che la chiamano: “Cecilia, Cecilia” [481] e la vedo, finalmente, in viso, perché ora è ritta presso il Pontefice e si è un poco sollevato il velo. È bellissima e giovanissima. Alta, formosa con grazia, molto signorile nel tratto, con una bella voce e un sorriso e uno sguardo d’angelo. Dei cristiani la salutano con lacrime, altri con sorrisi. Alcuni le dicono come mai si è potuta decidere a nozze terrene, altri se non teme l’ira del patrizio quando la scoprirà cristiana.
Una vergine si rammarica che ella rinunci alla verginità. Risponde Cecilia a lei per rispondere a tutti: “Ti sbagli, Balbina. Io non rinuncio a nessuna verginità. A Dio ho sacrato il mio corpo come il mio cuore e a Lui resto fedele. Amo Dio più dei parenti. Ma li amo ancora tanto da non volerli portare a morte prima che Dio li chiami. Amo Gesù, Sposo eterno, più d’ogni uomo. Ma amo gli uomini tanto da ricorrere a questo mezzo per non perdere l’anima di Valeriano. Egli mi ama, ed io castamente lo amo, perfettamente lo amo, tanto da volerlo avere meco nella Luce e nella Verità. Non temo le sue ire. Spero nel Signore per vincere. Spero in Gesù per cristianizzare lo sposo terreno. Ma se non vincerò in questo, e martirio mi verrà dato, vincerò più presto la mia corona. Ma no!… Io vedo tre corone scendere dal Cielo: due uguali e una fatta di tre ordini di gemme. Le due uguali sono tutte rosse di rubini. La terza è di due fasce di rubini intorno e un grande cordone di perle purissime. Esse ci attendono. Non temete per me. La potenza del Signore mi difenderà. In questa chiesa ci troveremo presto uniti per salutare dei nuovi fratelli. Addio. In Dio”.
Escono dalle catacombe. Si avvolgono tutti in mantelli scuri e sgattaiolano per le vie ancora semioscure perché l’alba è appena appena al suo inizio.
Seguo Cecilia che va insieme a un diacono e a delle vergini. Alla porta di un vasto fabbricato si lasciano. Cecilia entra con due vergini sole. Forse due ancelle. Il portinaio però deve essere cristiano perché saluta così: “Pace a te!”.
Cecilia si ritira nelle sue stanze e insieme alle due prega e poi si fa preparare per le nozze. La pettinano molto bene. Le infilano una finissima veste di lana candidissima, ornata di una greca in ricamo bianco su bianco. Sembra ricamata in argento e perle. Le mettono monili alle orecchie, alle dita, al collo, ai polsi.
La casa si anima. Entrano matrone e altre ancelle. Un via vai festoso e continuo.
Poi assisto a quello che credo sia lo sposalizio pagano. Ossia l’arrivo dello sposo fra musiche e invitati, e delle cerimonie di saluti e aspersioni e simili storie, e poi la partenza in lettiga verso la casa dello sposo tutta parata a festa. Noto che Cecilia passa sotto archi di bende di lana bianca e di rami che mi paiono mirto e si ferma davanti al larario, credo, dove vi sono nuove cerimonie di aspersioni e di formule. Vedo e odo i due darsi la mano e dire la frase rituale: “Dove tu, Caio, io Caia”.
Vi è tanta di quella gente e su per giù tutta in vesti uguali: toghe, toghe e toghe, che non capisco quale sia il sacerdote del rito e se c’è. Mi pare di avere il capogiro.
Poi Cecilia, tenuta per mano dallo sposo, fa il giro dell’atrio (non so se dico bene), insomma della sala a nicchie e colonne dove è il larario, e saluta le statue degli antenati di Valeriano, credo. E poscia passa sotto nuovi archi di mirto ed entra nella vera casa. Sulla soglia le offrono doni e, fra l’altro, una rocca e un fuso. Gliela offre una vecchia matrona. Non so chi sia.
La festa si inizia col solito banchetto romano e dura fra canti e danze. La sala è ricchissima come tutta la casa. Vi è un cortile – credo si chiami impluvio, ma non ricordo bene i nomi della edilizia romana né so se li applico giusti – che è un gioiello di fontane, statue e aiuole. Il triclinio è fra questo e il giardino folto e fiorito che è oltre la casa. Fra i cespugli, statue di marmo e fontane bellissime.
Mi sembra passi molto tempo perché la sera scende. Si vede che per i romani non c’erano le tessere [482]. Il banchetto non finisce mai. È vero che vi sono soste di canti e danze. Ma insomma…
Cecilia sorride allo sposo che le parla e la guarda con amore. Ma pare un poco svagata. Valeriano le chiede se è stanca e, forse per farle cosa gradita, si alza per licenziare gli ospiti.
Cecilia si ritira nelle sue nuove stanze. Le sue ancelle cristiane sono con lei. Pregano e, per avere una croce, Cecilia bagna un dito in una coppa che deve servire alla toletta e segna una leggera croce scura sul marmo di una parete. Le ancelle la svestono del ricco abito mettendole una semplice veste di lana, le sciolgono i capelli levandone le forcine preziose e glieli annodano in due trecce. Senza gioielli, senza riccioli, così, con le trecce sulle spalle, Cecilia pare una giovinetta, mentre giudico abbia dai 18 ai 20 anni.
Un’ultima preghiera e un cenno alle ancelle che escono per tornare con altre più anziane, certo della casa di Valeriano. In corteo vanno ad una magnifica camera e le più vecchie accompagnano Cecilia al letto che è poco dissimile dai divani alla turca di ora, soltanto la base è di avorio intarsiato e colonne di avorio sono ai quattro lati, sorreggenti un baldacchino di porpora. Anche il letto è coperto di ricchissime stoffe di porpora. La lasciano sola.
Entra Valeriano e va a mani tese verso Cecilia. Si vede che l’ama molto. Cecilia sorride al suo sorriso. Ma non va verso lui. Resta in piedi al centro della stanza, perché, non appena uscite le vecchie ancelle che l’avevano adagiata sul letto, ella si è rialzata.
Valeriano se ne stupisce. Crede non l’abbiano servita a dovere ed è già iracondo verso le ancelle. Ma Cecilia lo placa dicendo che fu lei a volerlo attendere in piedi.
“Vieni, allora, Cecilia mia” dice Valeriano cercando di abbracciarla. “Vieni, ché io ti amo tanto”.
“Io pure. Ma non mi toccare. Non mi offendere con carezze umane”.
“Ma Cecilia!… Sei mia sposa”.
“Son di Dio, Valeriano. Son cristiana. Ti amo, ma con l’anima in Cielo. Tu non hai sposato una donna, ma una figlia di Dio cui gli angeli servono. E l’angelo di Dio sta meco a difesa. Non offendere la celeste creatura con atti di triviale amore. Ne avresti castigo”.
Valeriano è trasecolato. Dapprima lo stupore lo paralizza, ma poi l’ira d’esser beffato lo soverchia ed egli si agita e urla. È un violento, deluso sul più bello. “Tu mi hai tradito! Tu ti sei fatta giuoco di me. Non credo. Non posso, non voglio credere che tu sei cristiana. Sei troppo buona, bella e intelligente per appartenere a questa rozza congrega. Ma no!… È uno scherzo. Tu vuoi giuocare come una bambina. È la tua festa. Ma lo scherzo è troppo atroce. Basta. Vieni a me”.
“Sono cristiana. Non scherzo. Mi glorio d’esserlo perché esserlo vuol dire esser grandi in Terra e oltre. Ti amo, Valeriano. Ti amo tanto che sono venuta a te per portarti a Dio, per averti con me in Dio”.
“Maledizione a te, pazza e spergiura! Perché mi hai tradito? Non temi la mia vendetta?…”.
“No, perché so che sei nobile e buono e mi ami. No, perché so che non osi condannare senza prova di colpa. Io non ho colpa…”.
“Tu menti dicendo di angeli e dèi. Come posso credere a questo? Dovrei vedere e se vedessi… se vedessi ti rispetterei come angelo. Ma per ora sei la mia sposa. Non vedo nulla. Vedo te sola”.
“Valeriano, puoi credere che io menta? Lo puoi credere, proprio tu che mi conosci? Sono dei vili, Valeriano, le menzogne. Credi a quanto ti dico. Se tu vuoi vedere l’angelo mio, credi in me e lo vedrai. Credi a chi ti ama. Guarda: sono sola con te. Tu potresti uccidermi. Non ho paura. Sono in tua balìa. Mi potresti denunciare al Prefetto. Non ho paura. L’angelo mi ripara delle sue ali. Oh! se tu lo vedessi!…”.
“Come potrei vederlo?”.
“Credendo in ciò che io credo. Guarda: sul mio cuore è un piccolo rotolo. Sai cosa è? È la Parola del mio Dio. Dio non mente, e Dio ha detto [483] di non avere paura, noi che crediamo in Lui, ché aspidi e scorpioni saranno senza veleno per il nostro piede…”.
“Ma pure voi morite a migliaia nelle arene…”.
“No. Non moriamo. Viviamo eterni. L’Olimpo non è. Il Paradiso è. In esso non sono gli dèi bugiardi e dalle passioni brutali. Ma solo angeli e santi nella luce e nelle armonie celesti. Io le sento… Io le vedo… O Luce! O Voce! O Paradiso! Scendi! Scendi! Vieni a far tuo questo tuo figlio, questo mio sposo. La tua corona prima a lui che a me. A me il dolore d’esser senza il suo affetto, ma la gioia di vederlo amato da Te, in Te, prima del mio venire. O gioioso Cielo! O eterne nozze! Valeriano, saremo uniti davanti a Dio, vergini sposi, felici di un amore perfetto…”. Cecilia è estatica.
Valeriano la guarda ammirato, commosso. “Come potrei… come potrei avere ciò? Io sono il patrizio romano. Sino a ieri gozzovigliai e fui crudele. Come posso esser come te, angelo?”.
“Il mio Signore è venuto per dare vita ai morti. Alle anime morte. Rinasci in Lui e sarai simile a me. Leggeremo insieme la sua Parola e la tua sposa sarà felice d’esserti maestra. E poi ti condurrò meco dal Pontefice santo. Egli ti darà la completa Luce e la Grazia. Come cieco a cui si aprono le pupille tu vedrai. Oh! vieni, Valeriano, e odi la Parola eterna che mi canta in cuore”.
E Cecilia prende per mano lo sposo, ora tutto umile e calmo come un bambino, e si siede presso a lui su due ampi sedili e legge [484] il primo capitolo del Vangelo di S. Giovanni sino al v. 14, poi il cap. 3° nell’episodio di Nicodemo.
La voce di Cecilia è come musica d’arpa nel leggere quelle pagine e Valeriano le ascolta prima stando seduto col capo appuntellato alle mani, posando i gomiti sui ginocchi, ancora un poco sospettoso e incredulo, poi appoggia il capo sulla spalla della sposa e a occhi chiusi ascolta attentamente e, quando lei smette, supplica: “Ancora, ancora”. Cecilia legge brani di Matteo e Luca, tutti atti a persuadere sempre più lo sposo, e termina tornando a Giovanni, del quale legge dalla lavanda in poi.
Valeriano ora piange. Le lacrime cadono senza sussulti dalle sue palpebre chiuse. Cecilia le vede e sorride, ma non mostra notarle. Letto l’episodio di Tommaso incredulo, ella tace…
E restano così, assorti l’una in Dio, l’altro in sé stesso, sinché Valeriano grida: “Credo. Credo, Cecilia. Solo un Dio vero può aver detto quelle parole e amato in quel modo. Portami dal tuo Pontefice. Voglio amare ciò che tu ami. Voglio ciò che tu vuoi. Non temere più di me, Cecilia. Saremo come tu vuoi: sposi in Dio e qui fratelli. Andiamo, ché non voglio tardare a vedere ciò che tu vedi: l’angelo del tuo candore”.
E Cecilia raggiante si alza, apre la finestra, scosta le tende perché la luce del nuovo giorno entri, e si segna dicendo il Pater noster: adagio, adagio perché lo sposo possa seguirla, e poi con la sua mano lo segna in fronte e sul cuore e per ultimo gli prende la mano e gliela porta alla fronte, al petto, alle spalle nel segno di croce, e poi esce tenendo lo sposo sempre per mano, guidandolo verso la Luce.
Non vedo altro.
Ma Gesù mi dice:
«Quanto avete da imparare dall’episodio di Cecilia! È un vangelo della Fede [485]. Perché la fede di Cecilia era ancor più grande di quella di tante altre vergini.
Considerate. Ella va alle nozze fidando in Me che ho detto [486]: “Se avrete tanta fede quanto un granello di senapa, potrete dire a un monte: ritirati, ed esso si sposterà”. Vi va sicura del triplo miracolo di esser preservata da ogni violenza, di esser apostola dello sposo pagano, di esser immune per il momento, e da parte di lui, da ogni denuncia. Sicura nella sua fede, ella fa un passo rischioso, agli occhi di tutti, non ai suoi, perché i suoi fissi in Me vedono il mio sorriso. E la sua fede ha ciò che ha sperato.
Come va al cimento? Corroborata di Me. Si alza da un altare per andare alla prova. Non da un letto. Non parla con uomini. Parla con Dio. Non si appoggia altro che a Me.
Ella lo amava santamente Valeriano, lo amava oltre la carne. Angelica sposa, vuole continuare ad amare così il consorte per tutta la vera Vita. Non si limita a farlo felice qui. Vuole farlo felice in eterno. Non è egoista. Dà a lui ciò che è il suo bene: la conoscenza di Dio. Affronta il pericolo pur di salvarlo. Come madre, ella non cura pericoli pur di dare alla Vita un’altra creatura.
La vera Religione non è mai sterile. Dà ardori di paternità e maternità spirituali che empiono i secoli di calori santi. Quanti coloro che in questi venti secoli hanno effuso se stessi, facendosi eunuchi [487] volontari pur di esser liberi di amare non pochi, ma tanti, ma tutti gli infelici!
Guardate quante vergini fanno da madri agli orfani, quanti vergini da padri ai derelitti. Guardate quanti generosi senza tonaca o divisa fanno olocausto della loro vita per portare a Dio la miseria più grande: le anime che si sono perdute e impazzano nella disperazione e nella solitudine spirituale. Guardate. Voi non li conoscete. Ma Io li conosco uno per uno e li vedo come diletti del Padre.
Cecilia vi insegna anche una cosa. Che per meritare di vedere Iddio bisogna esser puri. Lo insegna a Valeriano e a voi. Io l’ho detto [488]: “Beati i puri perché vedranno Dio”.
Esser puri non vuol dire esser vergini. Vi sono vergini che sono impuri, e padri e madri che sono puri. La verginità è l’inviolatezza fisica e, dovrebbe essere, spirituale. La purezza è la castità che dura nelle contingenze della vita. In tutte. È puro colui che non pratica e seconda la libidine e gli appetiti della carne. È puro colui che non trova diletto in pensieri e discorsi o spettacoli licenziosi. È puro colui che, convinto della onnipresenza di Dio, si comporta sempre, sia che sia con sé solo che con altri, come fosse in mezzo ad un pubblico.
Dite: fareste in mezzo ad una piazza ciò che vi permettete di fare nella vostra stanza? Direste ad altri, coi quali volete rimanere in alto concetto, ciò che ruminate dentro? No. Perché su una via incorrereste nelle pene degli uomini e presso gli uomini nel loro disprezzo. E perché allora fate diversamente con Dio? Non vi vergognate di apparire a Lui quali porci, mentre vi vergognate di apparire tali agli occhi degli uomini?
Valeriano vide l’angelo di Cecilia e ebbe il suo e portò a Dio Tiburzio. Lo vide dopo che la Grazia lo rese degno, e la volontà insieme, di vedere l’angelo di Dio. Eppure Valeriano non era vergine. Non era vergine. Ma quale merito sapersi strappare, per un amore soprannaturale, ogni abitudine inveterata di pagano! Grande merito in Cecilia che seppe tenere l’affetto per lo sposo in sfere tutte spirituali, con una verginità doppiamente eroica; grande merito in Valeriano di saper volere rinascere alla purezza dell’infanzia, per venire con bianca stola nel mio Cielo.
I puri di cuore! Aiuola profumata e fiorita su cui trasvolano gli angeli. I forti nella fede. Rocca su cui si alza e splende la mia Croce. Rocca di cui ogni pietra è un cuore cementato all’altro nella comune Fede che li lega.
Nulla Io nego a chi sa credere e vincere la carne e le tentazioni. Come a Cecilia, Io do vittoria a chi crede ed è puro di corpo e di pensiero.
Il Pontefice Urbano ha parlato sulla riverginizzazione delle anime attraverso la rinascita e la permanenza in Me. Sappiatela raggiungere. Non basta esser battezzati per essere vivi in Me. Bisogna sapervi rimanere.
Lotta assidua contro il demonio e la carne. Ma non siete soli a combatterla. L’angelo vostro ed Io stesso siamo con voi. E la Terra si avvierebbe verso la vera pace quando i primi a far pace fossero i cuori con se stessi e con Dio, con se stessi e i fratelli, non più essendo arsi da ciò che è male e che a sempre maggior male spinge. Come valanga che si inizia da un nulla e diviene massa immane.
Tanto dovrei dire ai coniugi. Ma a che pro? Già ho detto [489]. Né si volle capire. Nel mondo decaduto non soltanto la verginità pare manìa ma la castità nel coniugio, la continenza, che fa dell’uomo un Uomo e non una bestia, non è più riputata che debolezza e menomazione.
Siete impuri e trasudate impurità. Non date nomi ai vostri mali morali. Ne hanno tre, i sempre antichi e sempre nuovi: orgoglio, cupidigia e sensualità. Ma ora avete raggiunto la perfezione in queste tre belve che vi sbranano e che andate cercando con pazza bramosia.
Per i migliori ho dato questo episodio, per gli altri è inutile, perché alla loro anima sporca di corruzione non fa che muovere solletico di riso. Ma voi buoni state fedeli. Cantate con cuore puro la vostra fede a Dio. E Dio vi consolerà dandosi a voi come Io ho detto. Ai buoni fra i migliori darò la conoscenza completa della conversione di Valeriano per il merito di una vergine pura e fedele.»
[475] vista il 29 febbraio la prima, il 4 marzo la seconda.
[476] parabola che è riportata in Matteo 25, 1-13.
[477] parole del vergine Giovanni in Apocalisse 14, 4.
[478] Doppia è lettura incerta.
[479] canto che inizia in Apocalisse 14, 1, udito il 20 gennaio.
[480] al salmo, che è Salmo 42, 2.
[481] Cecilia, la santa martire di Roma, del secondo o terzo secolo, già ricordata il 10 e 13 gennaio e il 12 giugno.
[482] le tessere per ottenere, nel periodo bellico in cui Maria Valtorta scriveva, le previste razioni di pane e di altri viveri.
[483] ha detto in Marco 16, 17-18; Luca 10, 19.
[484] legge, nell’ordine, Giovanni 1, 1-14; 3, 1-21; 13, 1…; 20, 24-29 (oltre ai brani non precisati di Matteo e Luca).
[485] vangelo della Fede, formato di episodi introdotti dal “dettato” del 28 febbraio.
[486] ho detto, in Matteo 17, 20; Luca 17, 6.
[487] facendosi eunuchi, secondo l’immagine di Matteo 19, 12.
[488] l’ho detto, in Matteo 5, 8.
[489] Già ho detto, per esempio il 22 marzo e il 21 giugno.
Ieri nessun dettato. Riposo per le mie povere spalle, rotte dal molto scrivere dei giorni passati. Ma non assenza di favori celesti.
Tanta pace per prima cosa, e poi presenza visibile dei miei Amici del Cielo e le loro carezze e, sensibile anche ad altri, quel profumo di rose che talora è schietto come vi fossero cespi di rose appena colte in camera, talaltra pare fuso con un odore tenue di iodio o di aceto come se le rose fossero appassite un poco sul loro stelo. Il profumo viene lentamente, in principio è appena una sfumatura, poi si afferma
... (CLICCA QUI PER LEGGERE IL RESTO)
Ieri nessun dettato. Riposo per le mie povere spalle, rotte dal molto scrivere dei giorni passati. Ma non assenza di favori celesti.
Tanta pace per prima cosa, e poi presenza visibile dei miei Amici del Cielo e le loro carezze e, sensibile anche ad altri, quel profumo di rose che talora è schietto come vi fossero cespi di rose appena colte in camera, talaltra pare fuso con un odore tenue di iodio o di aceto come se le rose fossero appassite un poco sul loro stelo. Il profumo viene lentamente, in principio è appena una sfumatura, poi si afferma e cresce venendo come a ondate, talora intensissime, talaltra meno forti. Poi dilegua come è venuto.
Generalmente è odore di rose. Ma qualche volta è complesso come vi fossero cardenie, gelsomini, violette, mughetti, gigli e tuberose. Non sento mai odore di garofani, di giaggioli, giunchiglie e fresie o altri fiori. Solo quelli che ho nominato sopra.
Penso sia portato da qualche “Amico” o venga con la benedizione di Padre Pio [493]. Ma non so di preciso. E lo saluto ogni volta con un ringraziamento dicendo: “Chiunque tu sia, grazie per la tua sensibile protezione”. Perché io mi sento protetta quando sono fra quelle fragranze, ancor più del solito. Come fossi fra le braccia di chi mi ama con la perfezione di un santo.
Adesso, prima di scrivere quello che ho scritto, ho preso la Bibbia e l’ho aperta a caso. Mi si è aperta all’incontrario. Pensi lei se era a caso! E, girato il libro nel senso giusto, vedo: Cap. 30 dell’Esodo: L’altare dei profumi.[494]
Gesù mi dice: “Lascia aperto lì. È la lezione di oggi. Prima scrivi tu sui profumi che ti mando e poi parlerò Io su quelli che voglio tu mi mandi”. Ho scritto e attendo.
Dice Gesù:
«Ad ogni anima che mi ama Io dico: “Fai del tuo cuore un altare su cui profumi il tuo amore davanti alla mia Santità”. Ma ai miei prediletti do più minuto comando. Perché vi voglio perfetti. Lo voglio per amore e lo voglio per giustizia. Ogni dono esige un ricambio. Io vi ho dato oltre misura. Voi dovete darmi senza misura.
Comprendimi come voglio tu sia, sotto la metafora dell’altare biblico.
Come deve essere il tuo cuore: altare del profumo? Di materia preziosa all’interno e all’esterno e in ogni sua parte.
Nel legno di setim è nascosto il significato della preziosità, dell’incorruttibilità, della resistenza e della leggerezza. Questo legno, prezioso per la sua poca quantità e per le sue doti, era dotato di queste qualità. Prezioso perché scarso e raro in tronchi tanto robusti da poter essere squadrato in blocchi di un metro di altezza per mezzo di lato. Incorruttibile all’azione dell’acqua e dei tarli per la sua durezza che aumentava più diveniva vecchio, come si faceva più prezioso il colore che dalla tinta di un giallo paglia carico diveniva piano piano sempre più scuro sino a parere nero come l’ebano. Resistentissimo perciò all’azione deleteria dell’umido e dei tarli, era particolarmente usato per quegli oggetti che per il loro uso si voleva fossero preservati da rapida usura. Gli oggetti sacri per primi. Nello stesso tempo era di un peso leggero più di altri legni, meno resistenti ma molto più pesanti. Atto perciò ad essere usato in oggetti che all’occorrenza dovevano essere trasportati a braccia per rispetto.
Il tuo cuore deve essere così. Prezioso perché formato dall’amore e dall’unione con Dio e dalla generosità nell’amore. Incorruttibile all’azione deleteria del senso e della tentazione, dell’insidia satanica, i tre tarli dell’anima, perché l’amore generoso e l’unione rendono le fibre del cuore incorruttibili all’azione disgregatrice che viene dall’esterno. Come può entrare altro in un cuore che è pieno di Me? Come può entrare corruzione dove è saturazione di Colui che non ha mai conosciuto in eterno ciò che sia corruzione? Come può entrare Morte là dove ha dimora il Vivente?
Durissimo, fortissimo, resistentissimo deve essere il tuo cuore. Un blocco su cui come ala di mosca inutilmente scorrono le forze avverse. Tu sei di Dio. Su ogni tua fibra è il mio sigillo. Nessun altro segno vi deve essere. Irrobustisciti sempre più nell’amore e nell’unione per rendere sempre più resistente il tuo cuore a tutto ciò che non è il tuo Dio.
Leggerissimo sia nel contempo. Non imprigionato da nessuna radica di umanità, non appesantito da nessuna materialità, né da convenzioni meschine. Non avvilire mai il tuo spirito e la tua fede con piccinerie. Sono due cose celesti e devono esser conservate in atmosfera soprannaturale.
Molto ti ho dato perché molto tu mi dia. Molto ti ho insegnato perché tu mi serva con sapienza. Non lo dimenticare. Come Io ti ho presa, te meschina, per portarti molto più su di dove non meritavi di venire, così tu devi con ogni studio evitare di scenderne, anzi devi con le tue forze di volo cercare di sempre più salire. Non avere paura di non essere capace. Io ci sono che veglio e aiuto. Tu mettivi tutta la tua volontà.
Quadrato il tuo spirito come pietra angolare. Le virtù siano i lati e le facce di questo tuo spirito divenuto altare del profumo per Me. E si appoggi su base di sacrificio: questo il lato che posa al suolo. Sulla misera Terra che va salvata col sacrificio. Abbia i quattro lati che salgono fatti di temperanza, fortezza, giustizia e prudenza, e il lato superiore, quello opposto alla base, fatto di carità. La carità viene dal Cielo e tende al Cielo. La carità è pietra dell’altare sul quale si consumano le oblazioni in omaggio a Dio e in propiziazione dei fratelli. I due corni siano la speranza e la fede.
E come si conviene alle tre teologali virtù e alla dignità dell’altare, sia tutto ricoperto d’oro finissimo. Ogni molecola dell’oro è data da un tuo atto d’amore e di sacrificio. Sacrificio e amore: l’amalgama prezioso che riveste di splendore l’altare del cuore. Tutto in oro deve essere ciò che ha attinenza a Dio. Il tuo olocausto, profumo gradito a Dio più di quello di tutti i fiori della Terra, deve essere offerto su utensile degno del Signore. L’oro, dunque, che l’uomo ha pervertito come metallo facendone strumento di delitto, ma che l’anima vuole, spiritualmente, possedere per offrirlo al culto di Dio.
La cornice deve essere data dalla tua vigilanza che sorveglia sempre perché non si abbia ad affievolire il fuoco profumato del tuo amore. Gli anelli sono la tua buona volontà, le stanghe la tua prontezza a servire Iddio, lasciandoti portare dove Egli vuole.
E terrai costantemente questo altare davanti a Me. Davanti all’Arca della Testimonianza di Dio che è il tuo Salvatore, Verbo del Signore velato da carne umana. Attraverso questo velo Io ti parlerò. Perché ancora devo usare mezzi atti alla tua condizione di vivente. Quando sarà il tempo della tua pace, allora parlerò al tuo spirito ed esso mi comprenderà unicamente col mirarsi nella luce del Cielo.
“E Aronne brucerà sopra di esso un profumo”.
Chi è Aronne? Ma Io! Io sono il tuo Sacerdote e Pontefice, ed Io sull’altare che tu mi hai preparato brucio mattina e sera il profumo di soave fragranza della tua immolazione d’amore. Mattina e sera, cioè sempre. Tu mi devi fornire questo incenso perché Io lo consumi. Per te, per i tuoi fratelli e per gloria di Dio, lasciati ardere.
Vi sono in oriente piante di preziosi aromi, le quali più ne danno più sono ferite e scorticate dall’uomo. Se vengono lasciate senza ferite non hanno nulla di diverso dalle altre piante. Fronde verdi e scorza rugosa e senza profumo. Ma se il ferro apre ferite, ecco che, come lacrime spremute dal dolore, gocciano stille di balsami che servono per profumare gli oli e preservare dalla corruzione. E la pianta deve esser sempre ferita per dare, dare, dare sino alla sua morte. Se la lasciano stare, la ferita si rimargina e le preziose stille non gemono più.
Medita e impara.
Su questo altare nessun altro profumo o oblazione o vittima deve esser posta. Ma unicamente il profumo della tua carità, l’oblazione di te stessa, vittima offerta alla Carità divina per carità di tutti.
“E una volta all’anno” è detto nell’Esodo “Aronne farà l’espiazione col sangue offerto per il peccato”. Ma Io ti dico: “E ogni volta che Io voglio farò col tuo sangue, spremuto e sparso sotto il coltello del Dolore, Io farò sacrificio di espiazione per i peccati del mondo”.
Non ti lamentare. Io salgo ogni giorno, mille e mille volte al giorno, sull’altare per esser consumato. Non vi è minuto, non vi è secondo durante la giornata nelle sue 24 ore, nel quale non vi sia, in un punto del globo, un altare sul quale non splenda, elevata, l’Ostia innocente. Voi siete ancora per questo mio perpetuo e continuo olocausto; altrimenti da tempo l’ira del Padre vi avrebbe distrutti, perché il vostro male supera la pazienza infinita di Dio.
Cosa dice il sacerdote all’altare? “Pro me et omni humano genere”. Questo è il pensiero del sacerdote mentre offre e immola. Anche il tuo: “Per me e per tutto l’umano genere Gesù si è immolato. Io pure per tutto l’umano genere mi immolo con Lui, in Lui, per Lui”. E ogni tua angoscia, ogni tuo tormento, che non è disperazione perché tu continui a sperare in Me, ma ha già sapore di disperazione tanto è aspro, pensa – e pensalo sempre, ogni volta che angoscia e tormento ti ardono e trapassano, ti stritolano e inchiodano con strumenti di fuoco – che servono a dare all’umano genere una grazia.
Non è sterile spasimare. Non è neppure spasimare egoista che dia bene a te. È spasimo con cui comperi doni di grazia ai disgraziati che non sanno amare e pregare, o non lo sanno fare come va fatto. Perciò quando più spasimi di’ a te stessa: “Con questo si annullano delle vere disperazioni. Grazie, mio Dio, di usarmi per questo”.
Va’ in pace, piccolo Giovanni. Dove è carità e amore là è Dio, ha detto [495] il grande Giovanni. Perciò Io sono con te e tu con Dio perché hai compreso l’amore.»
[493] Padre Pio è P. Pio da Pietrelcina, il famoso cappuccino stimmatizzato di San Giovanni Rotondo (1887-1968), oggi santo. La scrittrice, che ne era devota, lo ha già menzionato il 13 maggio 1943.
[494] L’altare dei profumi è trattato in Esodo 30, 1-10.
[495] ha detto, sostanzialmente, in 1 Giovanni 4, 7-21.
Dice Gesù:
«L’amore, la misericordia, la preghiera, la mortificazione, il desiderio di possedere i doni di Dio e di possedere la santità, sentimenti innegabilmente degni di lode, possono macchiarsi di impurità che li guasta e li fa non accetti a Dio.
La purezza di cuore non consiste nell’avere un cuore chiuso in un corpo vergine, né nell’avere desiderio di cuore di rimanere tale. La purezza di cuore è cosa talmente delicata che quella fisica è un nulla in paragone. Massiccio muro questa, contro la quale rimbalzano senza seria lesione i tentativi di Satana. Basta che uno non voglia, che
... (CLICCA QUI PER LEGGERE IL RESTO)
Dice Gesù:
«L’amore, la misericordia, la preghiera, la mortificazione, il desiderio di possedere i doni di Dio e di possedere la santità, sentimenti innegabilmente degni di lode, possono macchiarsi di impurità che li guasta e li fa non accetti a Dio.
La purezza di cuore non consiste nell’avere un cuore chiuso in un corpo vergine, né nell’avere desiderio di cuore di rimanere tale. La purezza di cuore è cosa talmente delicata che quella fisica è un nulla in paragone. Massiccio muro questa, contro la quale rimbalzano senza seria lesione i tentativi di Satana. Basta che uno non voglia, che non giunge a violare se stesso. Ma l’altra è tela argentea di ragno e anche l’ala di un moscone la può spezzare. L’ala di un moscone. La sventatezza dello spirito che cessa di sorvegliarsi costantemente e attentamente. Allora è facilissimo che le cose più sante si macchino di umane ruggini decomponendosi o almeno deturpandosi nella loro essenza buona.
L’amore di Dio è impuro quando date a Dio un culto il cui fine è questo: “Ti amo perché voglio molto da Te”. Tutto potete chiedere e attendere da Dio che vi ama. Ma come è più bello dire: “Padre, io ti amo e voglio ciò che Tu vuoi. Non chiedo che di fare ciò che Tu vuoi. Voglio solo quello che Tu mi mandi perché, se Tu me lo mandi, è certo per mio bene. Tu mi sei Padre ed io mi abbandono al tuo amore”. È impuro quando è per averne compenso. Dio va amato sopra ogni calcolo. Amato in Sé e per Sé. Se ho detto [496]: “Amate senza speranza di compenso” riferendomi al prossimo, con più ragione questo amore puro da calcolo non deve esser dato a Dio?
Ugualmente l’amore del prossimo è impuro quando fra il prossimo amate soltanto quelli che vi amano, quelli che vi servono o in qualsiasi modo vi sono utili.
Io non ho messo limitazione all’amore di prossimo. Ho detto [497]: “Amate il prossimo vostro come voi stessi”. E conoscendo la vostra tendenza ad autoproclamarvi buoni, gentili, cari, santi e così via, e anche la vostra sottigliezza nel distinguere in ciò che vi fa pro distinguere – cosa che vi avrebbe portati ad amare ben pochi, perché in tutti avreste trovato difetti rispetto alle vostre virtù, difetti che avrebbero giustificato, agli occhi vostri, il vostro rigore verso il prossimo – ho specificato [498]: “Offrite l’altra guancia a chi già vi ha percosso, a chi ti ha prepotentemente levato la tunica cedigli anche il mantello. Amate e beneficate chi vi odia, pregate per chi vi fa soffrire”.
Lo so che il senso del mondo chiama questi consigli “stoltezza”. I porci [499] chiamano le perle sudici sassi e preferiscono ad essi la broda fetida su cui galleggiano gli escrementi e i rifiuti. Il senso del mondo ha molte affinità coi gusti dei porci. Ma ciò che è stoltezza al mondo è scienza per i figli dell’Altissimo, è intelligenza e grazia.
Seguite questa scienza, intelligenza e grazia, e ne avrete gran premio in Cielo e conforti soprannaturali in Terra, quei conforti di tutte le ore che invano i mondani cercano trovare fra le cose del mondo, e più vi si tuffano e più l’amaro e il disgusto penetrano il loro cuore. Non vi è che Dio che dia pace. Dio e la buona coscienza. Due cose che i peccatori non hanno amichevoli a loro.
La misericordia è pur bella. Ma per esser veramente bella e pura come vergine felice che va all’altare, bisogna si appoggi alla retta intenzione come a braccio di sposo amoroso al quale si giura fede. Altrimenti diviene vanità e superbia, e anche il dare è inutile come gettaste i vostri oboli nelle fauci di Satana.
Io ho detto [500]: “Siate misericordiosi come lo è il Padre mio”. Ma il Padre Iddio suona forse la tromba o si affaccia al balzo dei Cieli per dire: “Udite, udite! Io oggi ho dato pane e vita a tante creature, ho difeso da pericoli tante altre, ho perdonato altre tante”? No. Egli fa e tace. Fa con una tale modestia, con una così riservata cura che voi, o stolti del mondo, non pensate neppure che quanto godete ve lo concede Iddio sempre troppo buono per voi; e voi, che stolti non siete ma siete però ancor molto lungi dall’essere cristiani quali esser dovreste, dite: “Dio me l’ha dato. Ma io l’ho meritato”. Oh! oh! egli l’ha meritato! E non è questa superbia già fonte di demerito? E chi può dire così sottintendendo: “Se Dio non lo avesse fatto avrebbe errato”?
Da mattina a sera e dal tramonto all’aurora Dio vi è misericorde e benefico, e solo rarissime eccezioni fra i figli della Terra alzano sguardo e cuore per dirgli con un sorriso: “Grazie, Padre buono. Riconosco in questo dono la tua mano”. Quando fate della misericordia, fatela unicamente per amore: di Dio per imitare il Padre buono, di prossimo per ubbidire alla mia parola e al mio esempio.
La preghiera! Oh, che buona cosa la preghiera! Dio l’ha messa nel cuore dell’uomo come il bisogno del respirare. Non è infatti il respiro dell’anima? Senza respiro cessa anche il moto del sangue e il corpo muore. La preghiera è quella che mantiene vitale lo spirito tenendolo sempre al cospetto di Dio. Due che si vedono non possono dimenticarsi. Non è vero? Ebbene, la preghiera è mettersi al cospetto di Dio, in veste di figlio, e dirgli: “Eccomi. So che Tu sei il Padre mio e perciò mi accosto a Te. Con chi parlare certo d’esser inteso se non con Colui che mi ha insegnato la Parola, la sua Parola ?”.
Ma la preghiera deve, come le altre cose, esser pura. Non fatta per utile umano. Su i mille milioni di preghiere che vengono fatte sulla Terra quotidianamente, 999 milioni sono fatte per chiedere gioia umana, denaro, salute, e delle volte si spingono persino a chiedere morte per avere libertà da uno che vi è odioso, a chiedere del male per un vostro simile che, a torto o a ragione, ha la colpa di non piacervi. Può mai Dio dare del male per fare contento uno che odia?
Solo un milione di preghiere è fatto per chiedere aiuti soprannaturali che vi permettano di salire a quella perfezione che volete raggiungere per fare cosa grata a Dio, che vi vuole santi e ricongiunti a Lui. Questo milione di preghiere salgono umili e grate e dicono: “Padre, aiutami a santificarmi. La mia debolezza ha bisogno di Te per esser forte. Padre, io voglio amarti perfettamente e non so. Insegnami a farlo, Tu, Amore. Padre, io so e ricordo quanto mi hai già dato. Senza di Te sarei un miserabile nel corpo e più nello spirito. Grazie, Padre, di tutto. Ti dico: ‘Ancora, ancora dei tuoi benefici’. Ma non per sete di benessere umano. Più che per la carne, io dico ‘ancora’ per lo spirito mio, al quale voglio rendere la Patria eterna. O Padre santo, la tua creaturina sospira al tuo seno. Sorreggimi sul cammino perché io non devii in altre strade e venga a Te, mio Riposo e Gioia”.
Il desiderio di possedere i doni di Dio e la santità è quasi obbligo. Che direste del figlio di un re che non desiderasse possedere i doni che il re suo padre gli dona mandandogli a dire dai suoi messi: “Qui vi sono ricchezze incalcolabili per te, perché tu le usi per tuo utile e piacere. Quando ne abbisogni chiedile e te le manderò”? Che di questo figlio di re che, sapendo che il padre gli ha destinato la corona, non avesse desiderio di cingerla per continuare la regalità paterna? Quella corona che il padre re gli ha preparata è un segno dell’amore paterno, che ha pensato al suo erede anche se in terra d’esilio. Rifiutarla o trascurarla è disamore irrispettoso per il padre. Lo stesso è del figlio del Re dei re il quale muore, col suo spirito, nell’indigenza perché, con una abulia colpevole, non ricorre ai tesori del Padre e mai pensa a quella corona: la santità che lo farà re nel Regno eterno.
Ma perché santità? E quali doni? Santità per godere di Dio. Non per boria d’esser lodato fra gli uomini.
In verità vi dico: nel mio Cielo vi sono santità e santi di ogni più svariata caratteristica, ma non ve ne è uno che abbia conseguito santità per il desiderio d’esser conosciuto e celebrato per questo fra gli uomini. L’uno vi è per il martirio, l’altro per esser stato anacoreta, l’uno perché instancabile lavoratore di cuori mediante la predicazione e l’altro perché si consumò nel silenzio e nell’orazione, questo perché fu l’amante della mia Infanzia e l’altro della mia Tortura, ancora chi fu il cavaliere della Purissima e chi fu l’araldo del gran Re. Ma non vi è, non vi è chi sia santo perché pensò ad esserlo per portare aureola agli occhi del mondo.
Voi non vedete i santi il giorno in cui sulla Terra viene proclamata la loro santità. Ma se li poteste vedere in quell’attimo, vedreste uno stupore di bambini che, avendo già in mano un balocco di gran prezzo o contemplando una incisione bellissima, si vedono mettere in mano uno straccio meschino e sotto gli occhi un cincischiato disegno e odono l’adulto che glieli offre dirgli: “Guarda che bel dono ti do!”. Il bimbo guarda e tace. Ma pensa, con la giustezza di osservazione dei bambini: “Ma non c’è confronto con quanto ho già”. E restano indifferenti al dono continuando a guardare e vezzeggiare quanto già avevano.
I santi hanno Dio. Che volete che più li seduca? L’aureola aumenta la loro gioia? Essi l’hanno già completa e perfetta. Hanno Dio.
Ancora: un bambino buono, molto, veramente molto buono, non un piccolo ipocrita, quando si vede lodato per esser stato buono pensa: “Non dovevo forse farlo? Il padre mio mi dice sempre che devo esserlo e perciò non ho fatto nulla che merita lode. Ho ubbidito al padre mio per farlo contento”. Non capisce, nella sua umiltà, quanto è grande saper ubbidire per amore e per far felice chi lo ama.
Anche i santi, umili perché sono santi, pensano: “Che ho fatto di speciale? Ho ubbidito al comando di Dio mio Padre per farlo contento”. E sono già così completamente felici che le feste della Terra li lasciano indifferenti. Le feste, ho detto. Non le preghiere dei fedeli. Queste [501] sono petizioni che gli amici lontani mandano a quelli che, per essere al fianco di Dio, possono parlargli più direttamente dei bisogni loro. È carità questa. E la carità, praticata alla perfezione da loro nella vita, è divenuta ancor più perfetta da quando si è fusa alla Carità stessa.
Desiderate perciò con purità la santità e i doni che vi aiutano a possederla. Ma con purità di cuore. Ossia col solo desiderio di riunirvi al più presto a Dio per amarlo più ancora e di giovare ai fratelli con i vostri meriti per la comunione dei santi.
E la mortificazione? Oh! che sia pura! Quante inutili mortificazioni non fate! Inutili e peccaminose. Perché? Perché impure. Sono impure quelle macchiate da desiderio di lode e da anticarità. Esser buoni per esser lodati, compiere una penitenza per esser notati, sacrificarsi nel mangiare un frutto perché il mondo ammiri e poi non saper esser pazienti, umili, misericordiosi, è proprio inutile. Che volete che me ne faccia del vostro frutto non mangiato, quando vi vendicate del sacrificio del mangiarlo col mordere con parole velenose un vostro fratello? Che volete che me ne faccia di una vostra penitenza se poi non sapete sopportare neppure quello che la vita vi porta? Che merito ha l’esser buoni fuori casa quando siete vipere in casa vostra? Che merito portare cilicio se non sapete portare tacendo il cilicio della mia Volontà?
Ricordatevi quello che ho detto [502]: “Quando fate penitenza ungetevi il capo e lavatevi la faccia”. Passate pure da immortificati agli occhi stolti del mondo. Basta non diate scandalo, perché lo scandalo è sempre male. Ma se apparite soltanto creature comuni, e perciò non ne avete che indifferenza e nessuna lode, mentre nel segreto vi consumate per amore di Dio e dei fratelli, grande sarà il vostro merito agli occhi di Dio.
E se non sapete imporvi penitenze, oh! accettate quelle della vita. Ne è piena! Accettate dicendo: “Se questa pena viene da Dio, sia fatta, o Signore, la tua volontà; se viene da un povero fratello cattivo, Padre, io te l’offro perché Tu lo perdoni e redima”.
Fate così, diletti. E tutto in voi sarà puro. Avrete allora la purezza del cuore. E in un cuore che ha purezza ha trono Iddio.
Va’ in pace, adesso. Procedi con la mia pace sulla via della purezza di cuore, pensando che i puri di cuore godranno Iddio [503].»
[496] ho detto, sostanzialmente, in Matteo 5, 43-47; Luca 6, 27-35.
[497] Ho detto in Matteo 22, 39; riprendendo da Levitico 19, 18.
[498] ho specificato in Matteo 5, 39.40.44 (l’espressione vi fa pro distinguere, di qualche riga più sopra, significa vi fa utile, vi conviene distinguere).
[499] I porci… le perle… richiamano l’immagine di Matteo 7, 6.
[500] ho detto in Luca 6, 36.
[501] Queste (cioè le preghiere) è nostra correzione da Quelle
[502] ho detto, in Matteo 6, 17.
[503] i puri di cuore godranno Iddio, come è detto in Matteo 5, 8.
Dice Gesù:
«La potenza del fare la volontà di Dio! Essa fa sì che Dio nulla ci possa negare [504]. Non si può dire, data la maestà del Signore, che Egli si fa servo dell’uomo ubbidiente, ma pare proprio che l’Altissimo, davanti al suo servo ubbidiente, voglia superarlo in prontezza e, per tutto ciò che è bene, lo esaudisce con pronta sollecitudine.
Non sono le molte preghiere quelle che ottengono. È fare la volontà di Dio. Preghiere e resistenza a questa volontà vuol dire rendere nulle le preghiere. Come potete esigere, per giustizia, che Dio si pieghi alla vostra volontà che desidera una cosa, quando voi non vi piegate al desiderio della sua che vi chiede un’altra cosa?
Io – pensate quanto sia potente sul cuore di Dio l’ubbidienza alla volontà sua – non vi ho redento con nessun atto mio proprio. L’avrei potuto poiché ero Dio come il Padre, e tutto è possibile a Dio. Avrei perciò con una parola sola potuto cancellare la colpa dal mondo così come cancellavo infermità, peccato e morte dai singoli. Ma per insegnare all’uomo a tornare figlio di Dio, Io, Dio divenuto Uomo, ho voluto redimere attraverso l’ubbidienza alla volontà di Dio. E considerate quale ubbidienza fu la mia! Quando l’ebbi totalmente consumata, totalmente, allora si aperse il Cielo sull’uomo decaduto e ne uscì il Perdono.
La disubbidienza aveva diseredato l’uomo, l’ubbidienza lo rifece erede di Dio. Tutto ciò che è eterno e infinito fu vostro di nuovo per l’ubbidienza.
Imparate dunque la via per essere esauditi: “Fare la volontà di Dio per amore di Lui”.
Va’ in pace.»
[504] fa sì che Dio nulla ci possa negare, come si ricava da Giovanni 9, 31, che è il rinvio messo dalla scrittrice accanto alla data.