Venerdì
(Quando [1] il P. Generale aveva ordinato di non portarmi più la S. Comunione. Per poco ne muoio. Fu allora che Gesù mi mandò P. Luigi…).
Piango perché è venerdì, giorno di S. Comunione, e io ne sono privata… Lo spasimo, sempre acuto, si fa tremendo. Tutto lo spirito mio geme ferito e la carne soffre come di essere colpito a morte… E nel piangere penso: ai crudeli come ai buoni fra i miei Confratelli [2]; penso che i buoni soffrono con me e per la mia stessa causa. E offro la mia sofferenza per sollevare la loro
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Venerdì
(Quando [1] il P. Generale aveva ordinato di non portarmi più la S. Comunione. Per poco ne muoio. Fu allora che Gesù mi mandò P. Luigi…).
Piango perché è venerdì, giorno di S. Comunione, e io ne sono privata… Lo spasimo, sempre acuto, si fa tremendo. Tutto lo spirito mio geme ferito e la carne soffre come di essere colpito a morte… E nel piangere penso: ai crudeli come ai buoni fra i miei Confratelli [2]; penso che i buoni soffrono con me e per la mia stessa causa. E offro la mia sofferenza per sollevare la loro e per strappare a Gesù un "sì", definitivo, circa i manoscritti. Perché la sua divina intransigenza questa volta non piega a nessuna preghiera.
Viene il mio Signore e mi consola dicendo:
«Eccomi, piccolo Giovanni. Non ci lasciano essere una cosa sola: Io in te, tu ciborio che contieni Me, per la gioia di entrambi. Piccolo, piccolo Giovanni, amiamoci e l'amore sia fusione. Vieni. Sul mio petto, piccolo Giovanni, come l'altro Giovanni [3], e l'amor mio entri in te a darti ciò che ti è stato negato…»
L'unione dà confidenza. Beata, chiedo la grazia che i P. Berti, Migliorini e altri vogliono.
Gesù si fa severo, con lo sguardo insostenibile dei momenti in cui è più Giustizia che Misericordia… Lo guardo con timore anche se so che quello sguardo non è per la povera Maria. Si muove lento per la stanza, si curva sui quaderni manoscritti ritornati da Roma per le correzioni al Preevangelo. Ripete delle frasi staccate che sono in esso. Le riconosco. Si volge, mi dice: «Tu le comprendi, non è vero?»
«Sì, mio Signore. Vuoi che io le scriva?»
«No. Sono già scritte. Ripeterle sarebbe provocare la loro ragione, sempre quella: "Così tu parli ai sacerdoti?". La frase detta a Me infinite volte dai sacerdoti d'Israele, perché chi manca fa la voce grossa per far tacere chi ha ragione e dice: "Tu manchi", per non dire: "Ho mancato". E anche quando le parole vengono dalla Sapienza, e lo si sa che vengono di là, si dice: "Tu sei che hai parlato" per colpire la creatura. Perciò non riscriverle. Sono già scritte qui, perché le leggano. E sono scritte altrove, dove mano d'uomo non può giungere a distruggere e occhio d'uomo non può rifiutarsi di leggere. Per questo ti dico che in verità un giorno essi le leggeranno. Ma questi quaderni e gli altri che sono ancora a Roma devono tornare in questa casa, sotto la tua tutela. La dilazione ottenuta non cambia il decreto. Fosse il mio stesso Vicario che con viscere di vero Cristo prendesse l'Opera e te sotto la sua protezione – e grazia e benedizione scenderebbero dalla Divinità sul suo capo – i manoscritti devono tornare qui in casa del mio portavoce.
Il segno della mia riprovazione per quanto è stato fatto contro il tuo spirito deve rimanere a monito di quelli che hanno fatto e di quelli che saranno i loro successori. Dal tuo spirito non si cancellerà mai più la tremenda tortura che ti hanno data, non sulla Terra e non nel Cielo: qui marchio di spasimo, là segno di gloria, grande tribolazione che diviene elezione, come è detto [4] nell'Apocalisse di Giovanni. Il segno resti ad essi come in te. Perché posso perdonare tutto quanto si fa allo "strumento", dato che ho pietà dei "morti" simili a quelli della chiesa di Sardi, e do loro il tempo di raffermare ciò che non è ancora morto e far rivivere ciò che è spento, ossia la capacità di intendere Dio attraverso te, mia voce. Ma non posso passare senza segno di castigo quanto si fa allo spirito tuo, e più ancora a Me, negandoci di unirci nel Sacramento, di nutrirti dei Sacramenti che Io ho istituito per tutte le anime in grazia di Dio o bisognose di tornare alla Grazia. E negarlo conoscendo le tue condizioni e quelle di questa città.
Io ho pagato col mio Sangue tutte le anime. Io ho pagato, in anticipo. Io ho dato Me stesso perché voi mi abbiate. Chi può negare Me ai miei figli diletti? Non posso perdonare tutto perché, se è vero che sono Colui che perdona, metto a condizione della misura del perdono la misura dell'amore [5] che ha il colpevole. Qui non si è avuto amore né verso Dio, per il quale è gioia il comunicarsi, né verso te, anima a cui è vita il ricevermi. E se perdono il dolore dato al portavoce, castigo per il dolore dato alla tua anima di cristiana. Fàllo pur sapere a chi va detto.»
E Gesù si allontana dopo avermi benedetta.
Questo alle 9,30… Alle 11 la posta mi porta due lettere, anzi tre: una di P. M., in contrasto con quella di P. Berti dello stesso giorno, una da Venezia da Suor Saviane, la terza da P. Pennoni che mi dice la sua intenzione di rivolgersi al S. Padre per avere protezione. Non commento nulla. Faccio soltanto notare che Gesù ha già prospettato questa possibilità confermando però che anche in questo caso i manoscritti devono tornare a me.
1 Quando… L'annotazione tra parentesi è inserita con scrittura minuta accanto alla data. Per P. Luigi rimandiamo al 19 marzo 1946, in nota.
2 Confratelli, cioè i frati dell'Ordine dei Servi di Maria, cui la scrittrice apparteneva come Terziaria.
3 come l'altro Giovanni, il cui gesto confidenziale è attestato in Giovanni 13, 25.
4 è detto in Apocalisse 7, 13-17. La citazione che segue è da Apocalisse 3, 1.
5 la misura dell'amore, come in Luca 7, 47.
Gesù ci insegna a morire.
Dice Gesù:
«Ho dettato un'Ora Santa [1] per coloro che lo desideravano. Ho svelato la mia Ora di Agonia del Getsemani per darti un gran premio, perché non vi è atto di fiducia più grande fra amici che quello di svelare all'amico il proprio dolore. Non è il riso e il bacio prova suprema d'amore, ma il pianto e il dolore reso noto all'amico. Tu, amica mia, lo hai conosciuto. Per quando eri nel Getsemani. Ora sei sulla Croce. E senti pene di morte. Appoggiati al tuo Signore mentre ti dà un'Ora di preparazione alla
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Gesù ci insegna a morire.
Dice Gesù:
«Ho dettato un'Ora Santa [1] per coloro che lo desideravano. Ho svelato la mia Ora di Agonia del Getsemani per darti un gran premio, perché non vi è atto di fiducia più grande fra amici che quello di svelare all'amico il proprio dolore. Non è il riso e il bacio prova suprema d'amore, ma il pianto e il dolore reso noto all'amico. Tu, amica mia, lo hai conosciuto. Per quando eri nel Getsemani. Ora sei sulla Croce. E senti pene di morte. Appoggiati al tuo Signore mentre ti dà un'Ora di preparazione alla morte.
I. "Padre mio [2], se è possibile passi da me questo calice".
Non è una delle sette Parole della Croce. Ma è già parola di passione. È il primo atto della Passione che inizia. È la necessaria preparazione per le altre fasi dell'olocausto. È invocazione al Dator della vita, rassegnazione, umiltà, è orazione in cui si intrecciano, nobilitandosi la carne e perfezionandosi l'anima, la volontà dello spirito e la fralezza della creatura che ripugna alla morte.
"Padre!…". Oh! è l'ora in cui il mondo si allontana dai sensi e dal pensiero mentre si avvicina, come meteora che scende, il pensiero dell'altra vita, dell'ignoto, del giudizio. E l'uomo, sempre un pargolo anche se centenario, come un bambino spaurito, rimasto solo, cerca il seno di Dio.
Marito, moglie, fratelli, figli, genitori, amici… Erano tutto finché la vita era lontana dalla morte, finché la morte era un pensiero nascosto sotto nebbie lontane. Ma adesso che la morte esce da sotto al velo e avanza, ecco che per un capovolgimento di situazione, sono i genitori, i figli, gli amici, i fratelli, il marito, la moglie che perdono i loro tratti decisi, il loro valore affettivo, e si offuscano davanti all'imminente avanzarsi della morte. Come voci che si affievoliscono per la distanza, ogni cosa della Terra perde vigore mentre ne acquista ciò che è al di là, ciò che fino a ieri pareva così lontano… E un moto di paura colpisce la creatura.
Se non fosse penosa e paurosa, la morte non sarebbe l'estremo castigo e l'estremo mezzo per espiare concesso all'uomo. Sinché non vi fu la Colpa, la morte non fu morte ma dormizione. E dove non fu colpa non fu morte come per Maria Ss. Io morii perché su Me era tutto il Peccato, e ho conosciuto il ribrezzo del morire.
"Padre!". Oh! questo Dio tante volte non amato, o amato ultimo, dopo che il cuore ha amato parenti e amici, od ha avuto più indegni amori per creature di vizio, o ha amato le cose come dèi, questo Dio tanto sovente dimenticato, e che ha permesso di dimenticarlo, che ha lasciato liberi di dimenticarlo, che ha lasciato fare, che è stato irriso talora, tal'altra maledetto, tal'altra negato, ecco che risorge nel pensiero dell'uomo e riprende i suoi diritti. Tuona: "Io sono!" e per non far morire di spavento con la rivelazione della sua potenza, medica quel potente "Io sono" con una parola soave: "Padre". "Io sono Padre tuo". Non è più terrore. È abbandono il sentimento che dà questa parola. Io, Io che dovevo morire, che comprendevo cosa è il morire, dopo avere insegnato agli uomini a vivere chiamando "Padre" l'Altissimo Jeovè, ecco che vi ho insegnato a morire senza terrore, chiamando "Padre" il Dio che fra gli spasimi dell'agonia risorge o si fa più presente allo spirito del moribondo.
"Padre!". Non temete! Non temetelo, voi che morite, questo Dio che è Padre! Non viene avanti, giustiziere armato di registri e di scure, non viene avanti cinico strappandovi alla vita e agli affetti. Ma viene aprendovi le braccia, dicendo: "Torna alla tua dimora. Vieni al riposo. Io ti compenserò, ad usura di ciò che qui lasci. E, Io te lo giuro, in seno a Me sarai più attivo per coloro che lasci che rimanendo quaggiù in lotta affannosa e non sempre rimunerata".
Ma la morte è sempre dolore. Dolore per la sofferenza fisica, dolore per la sofferenza morale, dolore per la sofferenza spirituale. Deve essere dolore per essere mezzo di ultima espiazione nel tempo, lo ripeto. E in un ondeggiare di nebbie, che offuscano e scoprono in alterna vicenda ciò che nella vita si è amato, ciò che ci rende paurosi dell'al di là, l'anima, la mente, il cuore, come nave presa da gran tempesta, passano – da zone calme già nella pace dell'imminente porto ormai vicino, visibile, così sereno che già dà una quiete beata e un senso di riposo simile a quello di chi, terminata quasi una fatica, pregusta la gioia del prossimo riposo – passano a zone in cui la tempesta li scrolla, li colpisce, li fa soffrire, spaurire, gemere. È di nuovo il mondo, l'affannoso mondo con tutti i suoi tentacoli: la famiglia, gli affari; è l'angoscia dell'agonia, è lo spavento dell'ultimo passo… E poi? E poi?… La tenebra investe, soffoca la luce, sibila i suoi terrori… Dove è più il Cielo? Perché morire? Perché dover morire? E l'urlo gorgoglia già in gola: "Non voglio morire!".
No, fratelli miei che morite perché giusto è il morire, santo è il morire essendo voluto da Dio. No. Non gridate così! Quell'urlo non viene dalla vostra anima. È l'Avversario che suggestiona la vostra debolezza per farvelo dire. Mutate l'urlo ribelle e vile in un grido d'amore e di fiducia: "Padre, se è possibile passi da me questo calice". Come l'arcobaleno dopo il temporale, ecco che quel grido riporta la luce, la quiete. Rivedete il Cielo, le sante ragioni del morire, il premio del morire, ossia il ritornare al Padre, e allora comprendete che anche lo spirito, anzi, che lo spirito ha dei diritti più grandi della carne perché esso è eterno e di natura soprannaturale, e ha perciò la precedenza sulla carne, e allora dite la parola che è assoluzione a tutti i vostri peccati di ribellione : "Però non la mia, ma la tua volontà sia fatta".
Ecco la pace, ecco la vittoria. L'angelo di Dio si stringe a voi e vi conforta [3] perché avete vinto la battaglia, preparatoria a far della morte un trionfo.
II. "Padre, perdona loro [4]".
È il momento di spogliarsi di tutto quanto è peso per volare più sicuri a Dio. Non potete portare con voi né affetti né ricchezze che non siano spirituali e buone. E non c'è uomo che muoia senza avere da perdonare qualcosa ad uno od a molti suoi simili e in molte cose, per molti motivi. Quale l'uomo che giunga a morire senza aver patito l'acre di un tradimento, di un disamore, di una menzogna, un'usura, un danno qualsiasi, da parenti, consorti, o amici? Ebbene: è l'ora di perdonare per essere perdonati. Perdonare completamente, lasciando andare non solo il rancore, non solo il ricordo, ma anche la persuasione che il nostro motivo di sdegno era giusto. È l'ora della morte. Il tempo, il mondo, gli affari, gli affetti hanno fine, divengono "nulla". Un solo vero esiste ormai: Dio. A che dunque portare oltre le soglie ciò che è del di qua delle soglie?
Perdonare. E poiché giungere alla perfezione d'amore e di perdono, che è il neppur più dire: "Eppure io avevo ragione", è molto, troppodifficile per l'uomo, ecco passare al Padre l'incarico di perdonare per noi. Dargli il nostro perdono, a Lui che non è uomo, che è perfetto, che è buono, che è Padre, perché Egli lo depuri nel suo Fuoco e lo dia, divenuto perfetto, a chi merita il perdono.
Perdonare, ai vivi e ai morti. Sì. Anche ai morti che sono stati cagione di dolore. La loro morte ha levato molte punte al corruccio degli offesi, talora le ha levate tutte. Ma il ricordo dura ancora. Hanno fatto soffrire, e si ricorda che hanno fatto soffrire. Questo ricordo mette sempre un limite al nostro perdono. No. Ora non più. Ora la morte sta per levare ogni limite allo spirito. Si entra nell'infinito. Levare perciò anche questo ricordo che limita il perdono. Perdonare, perdonare perché l'anima non abbia peso e tormento di ricordi e possa essere in pace con tutti i fratelli viventi o penanti, prima di incontrarsi col Pacifico.
"Padre, perdona loro". Santa umiltà, dolce amore del perdono dato, che sottintende perdono chiesto a Dio per i debiti verso Dio e verso il prossimo che ha colui che chiede perdono per i fratelli. Atto d'amore. Morire in un atto d'amore è avere l'indulgenza dell'amore. Beati quelli che sanno perdonare in espiazione di tutte le loro durezze di cuore e delle colpe dell'ira.
III. "Ecco tuo figlio" [5].
Ecco tuo figlio! Cedere ciò che è caro, con previdente e santo pensiero. Cedere gli affetti, e cedersi a Dio senza resistenza. Non invidiare chi possiede ciò che lasciamo. Nella frase potete affidare a Dio tutto quanto vi sta a cuore e che abbandonate, e tutto quanto vi angustia, anche il vostro stesso spirito.
Ricordare al Padre che è Padre. Mettergli nelle mani lo spirito che torna alla Sorgente. Dire: "Ecco. Sono qui. Prendimi con Te perché mi dono. Non cedo per forza di cose. Mi dono perché ti amo come figlio che torna a suo Padre". E dire: "Ecco. Questi sono i miei cari. Te li dono. Questi sono i miei affari, quegli affari che qualche volta mi hanno fatto essere ingiusto, invidioso del prossimo, e che mi hanno fatto dimenticare Te perché mi parevano – lo erano, ma io lo credevo più che non fossero – mi parevano di una importanza capitale per il benessere dei miei, per il mio onore, per la stima che mi attiravano. Ho creduto anche che solo io fossi capace di tutelarli. Mi sono creduto necessario per compirli. Ora vedo… Non ero che un congegno infinitesimale nel perfetto organismo della tua Provvidenza, e molte volte un congegno imperfetto che guastava il lavoro dell'organismo perfetto. Ora che le luci e le voci del mondo cessano e tutto si allontana, vedo… sento… Come le mie opere erano insufficienti, logore, incomplete! Come erano dissonanti dal Bene! Ho presunto di essere io un grande 'che'. Tu eri – previdente, provvidente, santo – che correggevi i miei lavori e li rendevi utili ancora. Ho presunto. Talora ho anche detto che non mi amavi perché non mi riusciva, come agli altri che invidiavo, ciò che io volevo. Ora vedo. Miserere di me!".
Umile abbandono, riconoscente pensiero alla Provvidenza in riparazione delle vostre presunzioni, avidità, invidie e sostituzioni di Dio con povere cose umane, con le golosità delle ricchezze diverse.
IV. "Ricòrdati di me" [6].
Avete accettato il calice di morte, avete perdonato, avete ceduto ciò che era vostro, persino voi stessi. Avete molto mortificato l'iodell'uomo, molto liberato l'anima da ciò che spiace a Dio: dallo spirito di ribellione, dallo spirito di rancore, dallo spirito di avidità. Avete ceduto la vita, la giustizia, la proprietà, la povera vita, la più povera giustizia, le tre volte povere proprietà umane, al Signore. Novelli Giobbe, siete languenti e spogli davanti a Dio. Potete allora dire: "Ricòrdati di me".
Non siete più niente. Non salute, non fierezza, non ricchezza. Non possedete più neppure voi stessi. Siete bruco che può divenire farfalla o marcire nella carcere del corpo per un'ultima estrema ferita allo spirito. Siete fango che torna fango o fango che si muta in stella a seconda che preferite scendere nella cloaca dell'Avversario o ascendere nel vortice di Dio. L'ultima ora decide della vita eterna. Ricordatevelo. E gridate: "Ricòrdati di me!".
Dio attende quel grido del povero Giobbe per colmarlo di beni nel suo Regno. È dolce ad un Padre perdonare, intervenire, consolare. Non attende che questo grido per dirvi: "Sono con te, figlio. Non temere". Ditela questa parola per riparare a tutte le volte che vi dimenticaste del Padre o foste superbi.
V. "Dio mio,[7] perché mi hai abbandonato?".
Talora sembra che il Padre abbandoni. Non si è che nascosto per aumentare l'espiazione e dare maggior perdono. Può l'uomo lamentarsi con ira di ciò, egli che infinite volte ha abbandonato Iddio? E deve disperare perché Dio lo prova?
Quante cose avete messo nel vostro cuore che non erano Dio! Quante volte foste inerti con Lui! Con quante cose lo avete respinto e scacciato. Avete empìto il cuore di tutto. Lo avete poi ferrato e ben chiavistellato perché vi temevate che Dio entrando potesse disturbare il vostro quietismo accidioso, purificare il suo tempio cacciandone gli usurpatori. Finché foste felici, che vi importava di avere Dio? Dicevate: "Ho già tutto perché me lo sono meritato". E quando felici non foste, non lo fuggiste mai Dio, facendolo causa di ogni vostro male?
Oh! figli ingiusti che bevete il veleno, che entrate nei labirinti, che precipitate nei burroni e nei covi di serpi e altre fiere, e poi dite: "È Dio il colpevole", se Dio non fosse Padre e Padre santo, che dovrebbe rispondere al vostro lamento delle ore dolorose quando nelle felici lo dimenticaste? Oh! figli ingiusti che pieni di colpe pretendereste di essere trattati come il Figlio di Dio non fu trattato nell'ora dell'olocausto, dite: chi fu il più abbandonato? Non è il Cristo, l'Innocente, Colui che per salvare accettò l'abbandono assoluto di Dio dopo averlo amato attivamente sempre? E non avete voi nome di "cristiani"? E non avete il dovere di salvare almeno voi stessi?
Nell'accidia torbida che di sé si compiace e teme disturbo dell'accogliere l'Attivo, non c'è salvezza. Imitate allora Cristo, gettando questo grido nel momento di angoscia più forte. Ma fate che la nota del grido sia nota di mansuetudine e di umiltà, non tono di bestemmia e rimprovero. "Perché mi hai Tu abbandonato, Tu che sai che senza di Te nulla io posso? Vieni, o Padre, vieni a salvarmi, a darmi forza di salvare me stesso perché orrende sono le strette di morte e l'Avversario me ne aumenta ad arte la potenza, mi fischia che Tu non mi ami più. Fàtti sentire, o Padre, non per i miei meriti ma proprio perché sono un nulla senza meriti che non sa vincere se è solo e che comprende, ora, che la vita era lavoro per il Cielo".
Guai ai soli, è detto [8]. Guai a chi è solo nell'ora della morte, solo con se stesso contro Satana e la carne! Ma non temete. Se chiamerete il Padre, Egli verrà. E questo umile invocarlo espierà i vostri colpevoli torpori verso Dio, le false pietà, gli amori sregolati dell'io, che fanno accidiosi.
VI."Ho sete" [9].
Sì, veramente, quando si è capito il vero valore della vita eterna rispetto al metallo falso della vita terrena, quando la purificazione del dolore e della morte è accettata come santa ubbidienza, quando si è cresciuti in sapienza e in grazia presso Dio in poche ore, in pochi minuti talora, più che non si sia cresciuti in molti anni di vita, viene una sete profonda di acque celesti, di celesti cose. Le lussurie di tutte le seti umane sono vinte. Ma viene la soprannaturale sete di possedere Iddio. La sete dell'amore. L'anima aspira di bere l'amore e di esserne bevuta. Come un'acqua che è piovuta al suolo e non vuole divenire fango ma tornare nuvola, l'anima ora ha sete di salire al luogo dal quale discese. Quasi rotte le muraglie carnali, la prigioniera sente le aure del Luogo d'origine e vi anela con tutta se stessa.
Quale quel pellegrino esausto che vedendo, dopo anni, ormai prossimo il luogo natìo, non raduna le forze e prosegue, svelto, tenace, incurante di tutto che non sia arrivare là da dove partì un giorno e tutto il vero suo bene vi lasciò, ed è certo ora di trovarlo e di gustarlo più ancora, perché fatto esperto del povero bene, che non sazia, trovato nel luogo di esilio?
"Ho sete". Sete di Te, mio Dio. Sete di averti. Sete di possederti. Sete di darti. Perché sulle soglie fra la Terra e il Cielo già si sa capire l'amore di prossimo come va capito, e viene un desiderio di agire per dare Dio al prossimo che lasciamo. La santa operosità dei santi che, granelli morti che divengono spiga, si effondono in amore per dare amore e per fare amare Dio da chi ancora è nelle lotte della Terra. "Ho sete". Non c'è più che un'acqua che sazi, giunta l'anima alle soglie della Vita: l'Acqua viva, Dio stesso.
L'Amore vero: Dio stesso. Amore contrapposto ad egoismo. L'egoismo è morto prima della carne nei giusti, e regna l'amore. E l'amore grida: "Ho sete di Te e di anime. Salvare. Amare. Morire per essere libero di amare e di salvare. Morire per nascere. Lasciare per possedere. Rifiutare ogni dolcezza, ogni conforto perché tutto è vanità quaggiù, e l'anima vuole solo tuffarsi nel fiume, nell'oceano della Divinità, bere di Essa, essere in Essa, senza più sete, perché la Fonte d'Acqua della Vita l'avrà accolta".
Avere questa sete per riparare al disamore e alla lussuria.
VII. "Tutto è compiuto" [10].
Tutte le rinunce, tutte le sofferenze, tutte le prove, le lotte, le vittorie, le offerte: tutto. Ormai non c'è più che da presentarsi a Dio. Il tempo concesso alla creatura per divenire un dio, a Satana per tentarla, è compiuto. Cessa il dolore, cessa la prova, cessa la lotta. Restano soltanto il giudizio, l'amorosa purificazione, o viene, beatissima, la dimora immediata del Cielo. Ma quanto è Terra, quanto è volontà umana, ha fine.
Tutto è compiuto! La parola della completa rassegnazione o del gioioso riconoscimento di aver finito la prova e consumato l'olocausto. Non contemplo coloro che muoiono in peccato mortale, i quali non dicono, essi, "tutto è compiuto", ma con un urlo di vittoria e un pianto di dolore lo dicono, per loro, l'angelo delle tenebre, vittorioso, e l'angelo custode, vinto. Io parlo ai peccatori pentiti, ai buoni cristiani o agli eroi della virtù. Questi, sempre più vivi nello spirito man mano che la morte prende la carne, mormorano, o gridano, rassegnati o gioiosi: "Tutto è consumato. Il sacrificio ha termine. Prendilo per mia espiazione! Prendilo per mia offerta d'amore!". Così dicono gli spiriti, con la penultima parola, a seconda che subiscano la morte per legge comune o, anime vittime, la offrano per volontario sacrificio. Ma tanto le une che le altre, giunte ormai alla liberazione dalla materia, reclinano lo spirito sul seno di Dio dicendo [11]: "Padre, nelle tue mani raccomando lo spirito mio".
Maria, sai cosa è spirare con questa elevazione fatta viva nel cuore? È spirare nel bacio di Dio. Vi sono molte preparazioni alla morte. Ma credi che questa, sulle mie parole, è nella sua semplicità la più santa.»
Gesù ha dato questo dettato alle 12, quando, finita già la visione avuta [12] alle prime ore del mattino, credevo aver finito di scrivere e mi ero messa a cucire, faticosamente, ma necessariamente, per preparare biancherie necessarie alla casa. Ho gettato via ditale e ago e ho riafferrato la penna. E, gravissima come sono, ho ricevuto come un vero dono preziosissimo questa preparazione alla morte.
1 Ora Santa, riportata in data 14 giugno 1944. Ora di Agonia, scritta il 6 luglio 1944 ma non sui quaderni e rimasta a lungo inedita: rinvenuta infine tra i manoscritti, è pubblicata nel volumetto delle "Preghiere". Sopra il presente titolo Gesù ci insegna a morire la scrittrice ha inserito in piccolo e con inchiostro diverso: Sarei gratissima al R.P. Migliorini se mi mandasse una copia di questa Ora di preparazione alla morte. Se no ne resto priva.
2 "Padre mio…", in Matteo 26, 39.42.44; Marco 14, 36.39; Luca 22, 41-42.
3 vi conforta, come in Luca 22, 43.
4 "Padre, perdona loro", in Luca 23, 34.
5 "Ecco tuo figlio", in Giovanni 19, 26.
6 "Ricòrdati di me", in Luca 23, 42. Il successivo e generico riferimento a Giobbe può avere un riscontro in Giobbe 1, 20-22.
7 "Dio mio…", in Matteo 27, 46; Marco 15, 34.
8 è detto in Qoèlet 4, 10.
9 "Ho sete", in Giovanni 19, 28.
10 "Tutto è compiuto", in Giovanni 19, 30.
11 dicendo, come Gesù in Luca 23, 46.
12 la visione avuta… Non ci risulta che abbia scritto una "visione" avuta in quello stesso giorno. Dobbiamo però precisare che il presente scritto sulla preparazione alla morte è senza data nel quaderno autografo, e che la data da noi messa, del 14 luglio 1946, è quella dello scritto che immediatamente lo precede sullo stesso quaderno.
Ore 5,20 antimeridiane
Mi sveglio. Trovo la mia afflizione al mio capezzale e me la carico come una croce. Ma contemporaneamente ecco la cara, divina Voce: "Viene Gesù a dare il suo bacio (l'Eucarestia) alla sua piccola sposa". Rispondo: "Oh! mio Signore, dammi una luce. Dimmi se proprio sei Tu! Tutto quanto mi fanno soffrire i Padri Servi di Maria in generale, e Padre Migliorini in particolare, mi inducono a credere che io sia una illusa, una malata di mente e un'ossessa. Sei Tu che parli o è il mio cervello che si è ammalato e che delira? Sei Tu
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Ore 5,20 antimeridiane
Mi sveglio. Trovo la mia afflizione al mio capezzale e me la carico come una croce. Ma contemporaneamente ecco la cara, divina Voce: "Viene Gesù a dare il suo bacio (l'Eucarestia) alla sua piccola sposa". Rispondo: "Oh! mio Signore, dammi una luce. Dimmi se proprio sei Tu! Tutto quanto mi fanno soffrire i Padri Servi di Maria in generale, e Padre Migliorini in particolare, mi inducono a credere che io sia una illusa, una malata di mente e un'ossessa. Sei Tu che parli o è il mio cervello che si è ammalato e che delira? Sei Tu o è Satana? Il mio maggior dolore è questo, e Tu lo sai. La tema di ascoltare voci che non sono le tue e dei tuoi santi, o di sbagliare dicendo 'parola tua' ciò che invece è soltanto pensiero mio".
Gesù mi risponde:
«E anche se fosse? Non ho Io detto [1] che dal cuore escono i pensieri degli uomini e che dal frutto si conosce se la pianta è buona? Non è detto nella Scrittura e nella Sapienza che chi illustra Me avrà la vita eterna e chi per Me lavora non peccherà? Quante volte è detto apertamente o velatamente che chi è saturo di Sapienza è saturo di Me, che chi parla parole soprannaturali è voce dello Spirito di Dio che abita nel suo cuore? Perché è lo Spirito di Dio, anima mia diletta, che compie queste operazioni nel cuore degli uomini in cui fa dimora trovandoli meritevoli di essere da Lui abitati. E lo Spirito Paraclito è l'Amore del Padre e del Figlio. Dunque se tu nel tuo cuore senti suonare queste parole, segno è che tu ascolti i divini colloqui della Trinità Ss. Dunque se tu mi senti parlare, segno è che Io sono in te col mio amore. Dunque, anche fosse proprio il tuo cuore che suggerisce questi pensieri che poi tu scrivi, segno è che il tuo cuore è pieno di Dioperché "è dal cuore dell'uomo che viene quello che esce dalla bocca". Or dunque, se il tuo cuore spinge alla bocca e alla mente pensieri, viste e parole divine o soprannaturali, segno è che il tuo cuore è santo, che il tuo cuore ospita unicamente amore, giustizia, cose celesti; segno è che la tua conversazione è in Cielo e tu abiti col tuo spirito in Cielo avendo il Cielo chiuso dentro di te. Beati quelli che come te sono! E di che ti affliggi, o mio bell'albero, dolce pomo, soave ulivo, se tu dài frutti celesti, dolci della Sapienza che Noi siamo, luminosi come puro olio acceso della Luce che Noi siamo?
Sta' in pace! Sta' in pace, mia diletta, mia fedele, mia innamorata e mia amata piccola sposa. Sta' in pace. E procedi con pace. Tu fai ciò che Io voglio. Chi ti osteggia non ferisce te, ma Me ferisce, perché Me osteggia, Me solo, tanto Io, e nessun altro che Io, possiedo e grandeggio e splendo e ammaestro e vivo in te. Procedi. Tu fai amare il Signore, Maria e la celeste popolazione dei Santi. Soltanto per questo, soltanto per questo avresti la vita eterna! E poi c'è tutto il tuo lungo e sempre crescente amore. C'è la tua sofferenza. C'è la tua immolazione. Tutto te c'è. Oh! non temere. Tu non puoi errare perché tu sei immersa nell'amore eroico. Non temere. Ciò che è colmo o ciò che è immerso non può ricevere alcuna cosa più, o essere più bagnato e sommerso da altro che non sia quello in cui già si trova. Non temere. Procedi e perdona.
I miopi e quelli che per la sensualità triplice, o anche solo per l'orgoglio, vivono nella piatta pianura, hanno cataratte sulle pupille dell'intelletto e non possono vedere il sole che splende sulle cime dei monti che si tendono al cielo perché amano il cielo, le altezze, le purezze, non vedono le piante che il sole fa crescere sulle cime. Ugualmente essi non vedono i divini contatti del Sole Dio con la vetta del tuo spirito e le piante che il tuo volere di amarmi ha fatto nascere là, sulla vetta dello spirito tuo, e che il Sole Dio fa crescere sempre più rigogliose e nessuna tempesta le potrà sradicare.
Ad ogni anima che si dona tutta alla Sapienza si possono applicare le parole del libro sapienziale [2]: "Mi sono elevata come cedro sul Libano e qual cipresso sul monte Sion. Mi sono innalzata come palma di Cades e rosa di Gerico. Come un bell'ulivo nei campi e un platano nelle piazze presso le fonti. Come pianta d'aromi o resine soavi io esalo i miei profumi ed empio di essi la mia casa". Perché chi si dona alla Sapienza esala la Sapienza. E la Sapienza è ubertosa; è utile e bella selva di piante d'ogni specie, dai fiori, frutti, profumi soavi, nutrita dalle fonti eterne della sua stessa natura: la Divinità. Non è solo di Maria Ss. questo elogio. In Lei la Sapienza fu completa e ogni perfezione di creatura fu da Lei raggiunta. Ma, Io te lo dico, è anche di tutte le anime che si donano alla Sapienza, e la Liturgia lo applica a molte di esse che hanno saputo possedere la Sapienza.
Chi sei tu? Chiedono e ti chiedi chi sei? Io te lo dico con le parole di Isaia [3] quale è il nome tuo: "Io, il Signore, do e darò ad essi un nome migliore di quello di figli e figlie: darò loro un nome eterno che non perirà giammai". Io te lo dico con le parole di Giovanni [4] il prediletto: "Al vincitore darò nascosta manna, e gli darò un sassolino bianco nel quale sarà scritto un nome nuovo, che nessuno conosce se non colui che lo riceve". E già te l'ho dato, e non te lo leverò se tu mi resti fedele. Non te lo leverò, e tu lo porterai con molti altri, con tutti "quelli che vengono dalla gran tribolazione" a dove non è più dolore "perché Dio asciugherà ogni lacrima dai loro occhi".
Sei in pace, piccola sposa? Sono venuto a baciarti come ti ho detto all'inizio? Il mio eucaristico miele è in te? Lo senti come è soave? Non battono i nostri due cuori con un sol palpito? Ti inebbria il mio Sangue? Splende in te il mio Sole? Ti scalda, ti consola? Oh! Maria mia! Ma vieni! Ma abbandonati! È così bello amarsi e dimenticare le quadrighe di Aminadab5, feroci, dure, scure, gelide, materiali. Vieni all'amore. Dàmmi l'amore. Ho tante poche anime che mi amino senza riserva come tu fai. Perché vorresti ritirarti spaurita dalle voci di chi sta fra l'erba e il pantano, simile ai ranocchi che vorrebbero far tacere l'usignolo e volare nel sole come la colomba e sono irritati di non poterlo fare? Vieni. Son proprio Io. Vieni. Non puoi dubitare, non dubiti più quando Io ti tengo così. Ma l'estasi non è di tutte l'ore. E tu devi saper rimanere beata, sicura come ora sei, anche quando l'estasi si ritira e ti fasciano l'incomprensione e la diffidenza, volute, degli uomini. Tutto passerà, anima mia. Ma Io ti resterò sempre, e per sempre. Dopo il Calvario viene la Risurrezione. Dopo la Passione l'Ascensione. Per il Cristo e per le spose di Cristo.
La mia pace, la mia carità in te, a te, con te sempre.»
1 detto, in Matteo 12, 33; 15, 18-20; Marco 7, 20-23; Luca 6, 43-45.
2 parole del libro sapienziale, cioè Siracide 24, 13-15.
3 parole di Isaia, in Isaia 56, 5.
4 parole di Giovanni, in Apocalisse 2, 17; 7, 13-14.17 (rinviando ad Isaia 25, 8).
5 le quadrighe di Aminadab, nominate in Cantico dei cantici 6, 12.
Sento la notizia che hanno ritrovato in una caverna scheletri di uomo-scimmia. Resto pensierosa dicendo: "Come possono asserire ciò? Saranno stati brutti uomini. Volti scimmieschi e corpi scimmieschi ce ne sono anche ora. Forse i primitivi erano diversi da noi nello scheletro". Mi viene un altro pensiero: "Ma diversi in bellezza. Non posso pensare che i primi uomini fossero più brutti di noi essendo più vicini all'esemplare perfetto che Dio aveva creato e che certo era bellissimo oltre che fortissimo". Penso a come la bellezza dell'opera creativa più perfetta si sia potuta avvilire tanto da permettere agli scienziati di negare ... (CLICCA QUI PER LEGGERE IL RESTO)
Sento la notizia che hanno ritrovato in una caverna scheletri di uomo-scimmia. Resto pensierosa dicendo: "Come possono asserire ciò? Saranno stati brutti uomini. Volti scimmieschi e corpi scimmieschi ce ne sono anche ora. Forse i primitivi erano diversi da noi nello scheletro". Mi viene un altro pensiero: "Ma diversi in bellezza. Non posso pensare che i primi uomini fossero più brutti di noi essendo più vicini all'esemplare perfetto che Dio aveva creato e che certo era bellissimo oltre che fortissimo". Penso a come la bellezza dell'opera creativa più perfetta si sia potuta avvilire tanto da permettere agli scienziati di negare che l'uomo sia stato creato uomo da Dio e non sia l'evoluzione dalla scimmia.
Gesù mi parla e dice: "Cerca la chiave nel capo 6° della Genesi. Leggilo". Lo leggo. Gesù mi chiede: "Capisci?".
"No, Signore. Capisco che gli uomini divennero subito corrotti e nulla più. Non so che attinenza abbia il capitolo con l'uomo-scimmia".
Gesù sorride e risponde:
«Non sei sola a non capire. Non capiscono i sapienti e non gli scienziati, non i credenti e non gli atei. Stammi attenta. E comincia a recitare [1]: "E avendo cominciato gli uomini a moltiplicarsi sulla Terra e avendo avuto delle figliole, i figli di Dio (o figli di Set) videro che le figliole degli uomini (figlie di Caino) erano belle e sposarono quelle che fra tutte a loro piacquero… Ora dunque, dopo che i figli di Dio si congiunsero colle figlie degli uomini e queste partorirono, ne vennero fuori quegli uomini potenti, famosi nei secoli". Gli uomini che per potenza del loro scheletro colpiscono i vostri scienziati, che ne deducono che al principio dei tempi l'uomo era molto più alto e forte di quanto è attualmente, e dalla struttura del loro cranio deducono che l'uomo derivi dalla scimmia. I soliti errori degli uomini davanti ai misteri del creato.
Non hai ancora capito. Ti spiego meglio. Se la disubbidienza all'ordine di Dio e le conseguenze della stessa avevano potuto inoculare negli innocenti il Male con tutte le sue diverse manifestazioni di lussuria, gola, ira, invidia, superbia e avarizia, e presto l'inoculazione fiorì in fratricidio provocato da superbia, ira, invidia e avarizia, quale più profonda decadenza e quale più profondo dominio di Satana avrà provocato questo peccato secondo?
Adamo ed Eva avevano mancato al primo dei comandi [2] di Dio all'uomo. Comando sottinteso nell'altro di ubbidienza dato ai due: "Mangiate di tutto ma non di quest'albero". L'ubbidienza è amore. Se essi avessero ubbidito senza cedere a nessuna pressione del Male fatta al loro spirito, al loro intelletto, al loro cuore, alla loro carne, essi avrebbero amato Dio "con tutto il loro cuore, con tutta la loro anima, con tutte le loro forze", come molto tempo dopo fu esplicitamente ordinato dal Signore. Non lo fecero e furono puniti. Ma non peccarono nell'altro ramo dell'amore: quello verso il proprio prossimo. Non maledissero neppure Caino, ma piansero sul morto nella carne e sul morto nello spirito in uguale misura, riconoscendo che giusto era il dolore da Dio permesso, perché essi avevano creato il Dolore col loro peccato e per primi dovevano sperimentarlo in tutti i suoi rami. Rimasero perciò figli di Dio e con loro i discendenti venuti dopo questo dolore. Caino peccò contro l'amore di Dio e contro l'amore di prossimo. Infranse l'amore totalmente e Dio lo maledisse, e Caino non si pentì. Perciò egli e i propri figli non furono che figli dell'animale detto uomo.
Se il primo peccato di Adamo ha fatto di tanto decadere l'uomo, che avrà prodotto di decadenza il secondo al quale si univa la maledizione di Dio? Quali fomiti di peccato nel cuore dell'uomo-animale perché privo di Dio, e a quale potenza saranno giunti, dopo che Caino ebbe non soltanto ascoltato il consiglio del Maledetto, ma lo ebbe abbracciato come suo padrone diletto, uccidendo per ordine suo? La discesa di un ramo, di quello avvelenato dal possesso di Satana, non ebbe sosta ed ebbe mille volti.
Quando Satana prende, corrompe in tutti i rami. Quando Satana è re, il suddito diviene un satana. Un satana con tutte le sfrenatezze di Satana. Un satana che va contro la legge divina e umana. Un satana che viola anche le più elementari e istintive norme di vivere da uomini dotati di anima, e si abbrutisce nei più laidi peccati dell'uomo bruto.
Dove non è Dio è Satana. Dove l'uomo non ha più anima viva è l'uomo-bruto. Il bruto ama i bruti. La lussuria carnale, più che carnale perché afferrata ed esasperata da Satana, lo fa avido di tutti i connubi. Bello e seducente gli pare ciò che è orrido e sconvolgente come un incubo. Il lecito non lo appaga. È troppo poco e troppo onesto. E pazzo di libidine cerca l'illecito, il degradante, il bestiale.
Quelli che non erano più figli di Dio, perché col padre e come il padre avevano fuggito Dio per accogliere Satana, si spinsero a questo illecito, degradante, bestiale. Ed ebbero mostri per figli e figlie. Quei mostri che ora colpiscono i vostri scienziati e li traggono in errore. Quei mostri che, per la potenza delle forme e per una selvaggia bellezza e un'ardenza belluina, frutti del connubio fra Caino e i bruti, fra i brutissimi [3] figli di Caino e le fiere, sedussero i figli di Dio, ossia i discendenti di Set per Enos, Cainan, Malaleel, Jared, Enoc di Jared — da non confondersi coll'Enoc di Caino — Matusala, Lamec e Noè padre di Sem, Cam e Jafet. Fu allora che Dio, ad impedire che il ramo dei figli di Dio si corrompesse tutto con il ramo dei figli degli uomini, mandò il generale diluvio a spegnere sotto il peso delle acque la libidine degli uomini e a distruggere i mostri generati dalla libidine dei senza Dio, insaziabili nel senso perché arsi dai fuochi di Satana.
E l'uomo, l'uomo attuale, farnetica sulle linee somatiche e sugli angoli zigomatici, e non volendo ammettere un Creatore, perché troppo superbo per poter riconoscere di essere stato fatto, ammette la discendenza dai bruti! Per potersi dire: "Noi, da soli, ci siamo evoluti da animali a uomini". Si degrada, si autodegrada, per non volersi umiliare davanti a Dio. E discende. Oh! se discende! Ai tempi della prima corruzione ebbe di animale l'aspetto. Ora ne ha il pensiero ed il cuore, e la sua anima, per sempre più profondo connubio col male, ha preso il volto di Satana in troppi.
Scrivilo questo dettato nel libro. Più ampiamente avrei trattato l'argomento, come ti avevo detto [4] nel luogo del tuo esilio, a controbattere le teorie colpevoli di troppi pseudo-sapienti. Ma deve bene esservi un castigo per coloro che non mi vogliono sentire nelle parole che scrivi sotto dettatura mia. Avrei svelato grandi misteri. Perché l'uomo sapesse, ora che i tempi sono maturi. Non è più il tempo da contentare le folle con le favolette. Sotto la metafora delle antiche storie sono le verità chiave a tutti i misteri dell'universo, ed Io li avrei spiegati attraverso il mio piccolo, paziente Giovanni. Perché l'uomo dal sapere la verità traesse forza a risalire l'abisso per essere sullo stesso piano del nemico nell'ultima lotta che precederà la fine di un mondo che, nonostante tutti gli aiuti di Dio, non volle diventare un pre-paradiso, ma preferì divenire un pre-inferno.
E questa pagina mostrala, senza darla, a quelli che tu sai. A uno sarà aiuto contro i resti di una pseudo scienza che atrofizza il cuore, agli altri aiuto alla già forte spiritualità per la quale in tutto vedano il segno inconfondibile di Dio.»
1 recitare, da Genesi 6, 1-2.4. La scrittrice ha inserito successivamente, nella citazione, le parole che abbiamo messo tra parentesi.
2 primo dei comandi, quello di Deuteronomio 6, 5, che rinvia all'altro comando di Genesi 2, 16-17. L'esposizione che segue rimanda a Genesi 3-4.
3 brutissimi è nostra libera interpretazione di una parola riscritta e resa quasi illeggibile. Per le discendenze vedere Genesi 4-5.
4 avevo detto, il 30 maggio e il 14 luglio 1944, a Sant'Andrea di Còmpito, luogo in cui la scrittrice era sfollata per la guerra.