Domande e risposte sull'aborto e sull'interruzione di gravidanza (FAQ)

In ogni civiltà degna di questo nome, e tanto più in una nazione che
ha conosciuto e abbracciato il Cristianesimo, il popolo dovrebbe
intervenire con vigore e tenacia sulle autorità, esigendo da loro che
proteggano, con la pienezza del loro potere, la vita di tutti i
cittadini innocenti: non solo quelli già nati ma anche i nascituri.
Invece, sul problema dell'aborto pesa una generale congiura del silenzio, ordita dai nemici della vita, che estingue sul nascere ogni reazione o perlomeno le impedisce di ottenere risultati considerevoli. Questo silenzio svolge il ruolo di un anestetico per assopire le coscienze, distogliendole dalla «strage degli innocenti» iniziata in Italia nel 1978 con l'approvazione della famigerata legge n. 194 che ha legalizzato l'aborto. Questo silenzio non viene rotto nemmeno quando bisognerebbe fare un bilancio e un vaglio critico dell'applicazione della legge abortista. Con il passare degli anni, le coscienze degli italiani, anche di tanti cattolici, si stanno abituando all'aborto, perlomeno considerandolo come una cosa «inevitabile»; e, come si sa, sulle cose inevitabili il giudizio morale tende ad astenersi e in fin dei conti a giustificarle.
Il nostro opuscolo intende contribuire a rompere la
congiura del silenzio e a risvegliare le coscienze, preparando una
necessaria riscossa pubblica che non sia più solo e genericamente «in
difesa della vita», ma anche e specificamente contro l'aborto.
Facendo
seguito ai ripetuti appelli di papa Giovanni Paolo II, ribaditi anche
da papa Benedetto XVI, proclamiamo la necessità di unire le forze ancora
vigili per organizzare una grande Crociata per la vita. In questa
battaglia epocale, la nostra arma più grande è la verità: quella verità
donataci dallo stesso Dio che ci ha donato la vita, quella «verità che
ci farà liberi» (Gv. 8, 32). Questo opuscolo ci arma con le verità che
ci permettono di vincere i sofismi degli abortisti, opponendo slogan a
slogan. La sua lettura è utile non solo a coloro che condividono
l'impegno in difesa della vita, ma anche a tutti quelli che cercano
sinceramente la verità.
Facciamo dunque nostra questa fiduciosa ed
ardente preghiera scritta dal beato Papa Pio IX: «Dolcissimo Gesù,
nostro divino Maestro! Voi che sempre vanificaste le infami astuzie con
le quali i farisei vi assalivano! Distruggete le trame degli empi e di
tutti quelli che, nella meschinità del loro animo, cercano di sedurre e
traviare il vostro popolo con le loro false sottigliezze. Illuminate
tutti noi, vostri discepoli, con la luce della vostra grazia, affinché
non ci accada di venir corrotti dall'astuzia dei sapienti di questo
mondo, che diffondono ovunque i loro funesti sofismi tentando di
trascinare anche noi nell'errore. Concedeteci una luce della fede così
forte da smascherare le insidie degli empi, credere fermamente ai dogmi
della vostra Chiesa e respingere con costanza le massime ingannevoli.
Così sia».
1 Le conseguenze dell'aborto
«Colui
che ha sparso il sangue dell'uomo, dall'uomo vedrà sparso il proprio
sangue, perchè è a propria immagine che Dio ha creato l'uomo» (Genesi,
9, 6)
D. 1: Che cosa è un aborto?
R. 1: L'aborto è il
procedimento volontario che interrompe lo sviluppo del bambino durante
la gravidanza nell'utero materno, fatto con lo scopo di sopprimerne la
vita. «Aborto significa l'espulsione di un feto o embrione vivo di una
donna allo scopo di sopprimerlo» (Legge francese del 1975 sull'aborto).
Benché
la morte involontaria di un nascituro sia definita, in termini medici,
come «aborto spontaneo», questa tragedia, chiamata con maggior
compassione «falso parto», non è l'argomento di questo libro; qui ci
occupiamo solo dell'aborto volontariamente provocato.
Quando il
nascituro viene ucciso nell'utero materno, si tratta di un vero e
proprio assassinio, tanto che si può parlare di omicidio prenatale.
Tuttavia, quando il bimbo, essendo nato vivo, viene ucciso dopo il
parto, si tratta di un infanticidio.
D. 2: Quali sono i metodi usati per uccidere il nascituro durante i primi tre mesi della sua vita uterina?
R.
2: I metodi per abortire i nascituri entro il termine fissato dalla
legge comprendono gli abortivi, l'espulsione per aspirazione e quella
per raschiamento.
D. 3: Che cos'è un abortivo?
R. 3: Un
abortivo è ogni prodotto farmaceutico, chimico, od ogni dispositivo che
provoca la morte del nascituro, talvolta intossicandolo direttamente.
In questa categoria sono compresi la «pillola del giorno dopo», la
«spirale» e la pillola RU 486.
D. 4: La pillola RU 486 è una facile soluzione alla controversia sull'aborto?
R.
4: In Francia e in Gran Bretagna, un potente steroide sintetico è stato
utilizzato per provocare l'aborto nelle madri incinte da 5 a 7
settimane. Negli Stati Uniti, l'Ufficio per il Controllo Farmaceutico e
Alimentare ha pubblicato una nota di allarme riguardo la pillola RU 486,
proibendone l'importazione ad uso personale, poiché essa comporta un
pericolo per la donna. Ancora poco tempo fa, prima di cedere il brevetto
della pillola, la casa farmaceutica che la produceva (la francese
Roussel Uclaf) raccomandava di usarla solo tenendo pronto l'occorrente
per una eventuale rianimazione d'urgenza.
«La RU 486 non è di facile
uso», ammetteva Edward Saking, ex P.D.G. della Roussel Uclaf, «una donna
che voglia porre fine alla propria gravidanza con questo metodo, deve
"vivere" col proprio feto abortito durante almeno una settimana. Si
tratta di una spaventosa prova psicologica».
D. 5: Come viene praticato l'aborto mediante aspirazione?
R.
5: Nel metodo mediante aspirazione, l'orifizio esterno del collo
uterino viene progressivamente allargato; una cannula vuota viene
introdotta all'interno dell'utero, allo scopo di estrarre il nascituro
mediante aspirazione, espellendolo all'esterno. Questa aspirazione è
prodotta da un apparecchio simile all'aspirapolvere domestico, ma molto
più potente.
La morte del nascituro viene provocata smembrandogli le
braccia e le gambe. I resti fetali vengono trasformati un una marmellata
sanguinolenta. Questo è il metodo più frequentemente usato.
D. 6: Come viene praticato l'aborto mediante raschiamento?
R.
6: Nel metodo di dilatazione e raschiamento, un lungo strumento, la cui
estremità forma un affilato cucchiaino, viene introdotto nell'utero per
raschiarne le pareti eliminandone così il contenuto. Questo metodo, a
volte aiutato dall'aspirazione, viene utilizzato per curare
chirurgicamente le emorragie delle donne non gravide. Esso quindi non è
di suo abortivo.
D. 7: Quali metodi vengono usati per uccidere
i nascituri dal terzo al nono mese di vita uterina, in alcuni Paesi che
lo autorizzano?
R. 7: I procuratori di aborti usano vari metodi
per uccidere i nascituri durante il secondo e il terzo trimestre di
gravidanza. Essi comprendono dilatazione ed espulsione, iniezione di una
soluzione ipertonica di sale, uso delle prostaglandine, isterotomia e
aborto mediante nascita parziale.
D. 8: Come funziona il metodo di aborto mediante dilatazione ed espulsione?
R.
8: Nel caso della dilatazione ed espulsione, il collo uterino viene
dilatato a forza. L'apertura deve qui essere maggiore di quella
adoperata nel metodo per aspirazione usato nel primo trimestre di vita,
in quanto la vittima da smembrare ha già dalle 13 alle 24 settimane e
quindi è di maggiore taglia. Siccome le ossa del nascituro sono più
solide, si usano pinze per smembrarle (dapprima braccia e gambe, poi la
schiena). Infine viene frantumato il cranio, per poter estrarre la testa
mediante aspirazione. I resti fetali possono essere estratti con un
forcipe ad anello.
Durante questa procedura, nessuna anestesia viene
praticata sul nascituro, poiché l'agonia di questa vittima indifesa deve
ad ogni costo essere negata.
D. 9: Come può essere usata, per provocare un aborto, una soluzione ipertonica di sale?
R.
9: Questo metodo consiste nell'iniezione di una soluzione ipertonica di
sale (comunemente ma scorrettamente detta salina). Un ago lungo 8
centimetri fora la parete dell'addome e quella dell'utero, estraendo 60
cl. di liquido amniotico e poi iniettando 200 cl. di soluzione
ipertonica di sale nella cavità che racchiude il nascituro.
Abituato
al piacere di bere il liquido nel quale è immerso, il nascituro fa
l'esperienza del gusto amaro del fatale veleno. A poco a poco il sale
gli brucia la pelle, la gola e gli intestini; egli cerca invano di
fuggire, rivoltandosi da un lato all'altro dell'utero con violente
contorsioni. La sua atroce agonia può durare delle ore. Infine, il feto
viene espulso dalle viscere materne; il suo corpo appare rosso dalle
bruciature, per cui alcuni procuratori di aborto parlano di «effetto
caramello».
D. 10: Che cos'è un aborto mediante prostaglandine?
R.
10: Le prostaglandine sono ormoni che provocano le contrazioni del
parto. Esse possono essere iniettate nel liquido amniotico o
somministrate sotto forma di compresse vaginali.
Di conseguenza la
madre subisce un parto prematuro, generando un feto natomorto oppure
troppo piccolo per poter sopravvivere fuori dall'utero. A questo punto
il bimbo viene semplicemente lasciato senza cure e quindi muore.
D. 11: Come può una isterotomia diventare una pratica abortiva?
R.
11: Nel caso di una isterotomia, come per quello del parto cesareo,
l'addome e l'utero materni vengono aperti chirurgicamente. Ma mentre il
taglio cesareo viene praticato per salvare la vita del nascituro,
l'isterotomia viene invece praticata per sopprimerla. Alcuni medici
usano la placenta per soffocare il bimbo.
D. 12: Che cosa s'intende per «aborto mediante nascita parziale» ?
R.
12: L'aborto mediante nascita parziale comporta l'estrazione di un feto
dal collo dell'utero, prendendolo per i piedi tutto intero tranne la
testa. Il chirurgo poi affonda delle forbici alla base del cranio, le
apre al massimo per dilatare l'orifizio e mediante aspirazione estrae il
capo.
In forza della testimonianza di una infermiera che, avendo
assistito a vari aborti di questo tipo, aveva dichiarato che i
legislatori dovrebbero essere costretti ad assistervi prima di
legalizzarli, la Camera dei Deputati statunitense ha votato una legge
che vieta questo tipo di aborto, sotto pena della prigione e di una
multa.
D. 13: L'aborto è un atto chirurgico sicuro?
R.
13: I fautori dell'aborto mentono alle donne, quando fanno loro credere
che l'aborto legale è per ciò stesso sicuro. Le statistiche dimostrano
che la realtà è ben diversa. Molte donne, che pretendono di ottenere con
l'aborto «la libertà riproduttiva», possono compromettere o perdere del
tutto e definitivamente le loro facoltà riproduttive, restando sterili a
vita. Anche usando le migliori tecniche chirurgiche, nella fase
dell'aspirazione o del raschiamento, quando la plastica e il metallo
degli strumenti vengono messi a contatto con i tessuti delicati
dell'utero, può derivarne una lesione degli organi interni. Ma anche se
non avvengono lesioni, l'aborto può danneggiare il sistema immunitario.
D. 14: L'aborto è il solo danno che mette in pericolo il nascituro nel ventre materno?
R.
14: No: il bimbo può essere vittima di un infanticidio. L'innesto del
tessuto fetale, che necessita l'utilizzazione di un feto vivo per
recuperarne i tessuti viventi, viene talvolta fatto passare per un
aborto. Ma questi tessuti non vengono prelevati da un feto, poiché si
tratta in realtà di un bimbo vivo, per cui qui si tratta di un
infanticidio o di una eutanasia a fine utilitaristico.
D. 15: Non è più rischioso condurre a termine una gravidanza piuttosto che abortire?
R.
15: Tutt'altro. E' stato verificato che la gravidanza è più sicura
dell'aborto, sia nella prima che nella seconda metà della fase. Le
statistiche spesso citate per sostenere l'argomento contrario sono
ingannevoli.
Gli abortisti paragonano sistematicamente il tasso di
mortalità delle madri (nel caso di aborto provocato nelle prime 12
settimane di gravidanza) con il tasso di mortalità delle madri durante
l'intero periodo di gestazione, al momento del parto, come pure del
periodo che ne segue; inoltre, per sovrappiù, in quelle statistiche
viene conteggiato anche il tasso di mortalità in caso d'incidenti o di
malattia. Comparare i rischi dell'aborto praticato nelle prime due
settimane di gravidanza con i rischi del parto nei nove mesi, è
ingannevole e antiscientifico
D. 16: Quali complicazioni possono sorgere in una madre per causa dell'aborto?
R. 16: Una donna che si sottopone ad un aborto può sviluppare, fra le altre, le seguenti patologie:
Emorragia.
In un'epoca in cui il sangue può trasmettere il virus dell'AIDS,
l'emorragia uterina può mettere in pericolo la vita della madre; le
donne che abortiscono possono infatti aver bisogno di trasfusioni di
sangue, a causa di serie emorragie. Per questa ragione, anche la pillola
RU 486 richiede una stretta sorveglianza, perché comporta il rischio di
emorragia.
Infezione. Se dopo l'aborto nell'utero rimangono parti
del feto, o se gli strumenti chirurgici usati non erano ben
sterilizzati, la madre rischia la sterilità definitiva per colpa di una
infezione delle tube uterine.
Lesione del collo uterino. Gli
strumenti utilizzati per dilatare il collo uterino possono danneggiarlo,
provocando nelle future gravidanze l'insorgere di aborti spontanei
oppure nascite premature. Anche gli aborti chimici possono portare a
futuri aborti spontanei.
Perforazione dell'utero. Un aborto
mediante raschiamento può perforare la parete uterina provocando una
infiammazione (peritonite); questo può costringere ad un intervento
chirurgico che asporti l'intero utero, rendendo la donna definitivamente
sterile.
Perforazione dell'intestino. Durante un aborto mediante
aspirazione o raschiamento, una manovra errata può far sì che lo
strumento perfori non solo l'utero ma anche il colon; si rende allora
necessaria una operazione chirurgica (resezione) per asportare la parte
dell'intestino rimasta danneggiata.
D. 17: Quali ulteriori complicanze possono essere provocate da un aborto?
R. 17: Anche se non viene colpita da complicanze immediate, la madre che abortisce può subire conseguenze tardive, fra le quali:
Nascita
di bimbi morti o handicappati. Le donne il cui sangue ha il fattore RH
negativo e che non ricevono un antisiero (RHo (D) immunoglobulina),
possono reagire al sangue di tipo RH positivo del padre, facendo correre
ai nascituri il rischio di una eccessiva distruzione dei loro globuli
rossi (malattie emolitiche), conducendoli a morire prima del parto o a
nascere handicappati.
Infiammazione pelvica. La malattia
infiammatoria del bacino è «una malattia grave, abituale conseguenza
dell'aborto, nel 30% dei casi del quale viene segnalata». Questa
infiammazione può condurre ad aborti spontanei, alla sterilità e a
dolori pelvici cronici.
Aborto spontaneo. Le donne che hanno abortito
sono soggette agli aborti spontanei, con un tasso più elevato del 35%
in rapporto alle donne che non hanno abortito.
Parto difficile. Le donne che hanno abortito sono soggette a complicanze nei futuri parti e/o nelle future gravidanze.
Nascita
prematura. Le nascite premature sono da 2 a 3 volte superiori nelle
donne che hanno abortito, in rapporto a quelle che non hanno mai
abortito.
Cancro al seno. Vi sono gravi timori che l'aborto
possa aumentare il rischio del cancro al seno, in particolare se ad
essere abortito è il primo figlio. «Le donne che abortiscono al primo
trimestre di gravidanza raddoppiano il rischio di contrarre un cancro al
seno, in rapporto alle donne che portano a termine la loro gravidanza».
Gravidanza
extrauterina. Nella gravidanza extrauterina il feto si sviluppa nelle
tube di Falloppio, piuttosto che nell'utero, mettendo quindi la madre in
pericolo di morte in caso di esplosione di una tuba. Un rilevante tasso
di crescita delle gravidanze extrauterine è stato constatato nelle
donne che hanno abortito. Gli studi dimostrano che il rischio di una
gravidanza extrauterina raddoppia dopo un primo aborto e si quadruplica
dopo un secondo. Il pericolo aumenta con la pillola RU 486, che è
inefficace sulle gravidanze extrauterine, creando una falsa impressione
(inducendo all'emorragia) che la madre non è più incinta.
D. 18: Un aborto può condurre la madre a problemi di tipo psicologico?
R. 18: Sì, l'aborto può produrre gravi problemi di tipo emotivo, psicologico o psichiatrico:
Perdita
di autostima. La donna che ha abortito sente di avere violato la
propria missione di madre e di difensore della vita; ne deriva un
sentimento di disistima che può arrivare fino al disprezzo di sè.
Sentimento
di colpa. In molte donne, si constatano profondi sentimenti di colpa ed
anche di amore per il figlio «che avrebbe dovuto nascere». Se poi la
donna cerca di negare o di rimuovere la propria colpevolezza, le
conseguenze diventano più gravi per lo sforzo fatto di soffocare la
coscienza turbata.
Rimpianto, ansia e depressione. In rapporto
alle donne adulte, le giovani sono più portate a soffrire di postumi
psicologici a breve termine. Anche se la prima reazione di una donna che
ha abortito è quella di sollievo, ben presto sopravvengono sentimenti
di rimpianto, di ansia e di depressione.
Sindromi
postabortive. Non di rado la donna reagisce all'aborto in modo simile al
turbamento da stress posttraumatico che si riscontra nei reduci di
guerra. Spesso i primi sintomi si manifestano vari anni dopo l'aborto,
quando la donna comincia a segnalare problemi mai verificatisi prima,
come disistima di sè, intorpidimento della sensibilità, flashback,
difficoltà di concentrazione, insonnia. Il dr. Vincent Rue, uno
psichiatra americano che da un ventennio studia le sindromi
postabortive, aggiunge altre conseguenze: «depressione, inclinazione al
suicidio, rottura delle relazioni sociali, uso di droga, abuso di
alcool, problemi sessuali, fobie, gravidanze isteriche, sterilità,
anoressia».
D. 19: La madre che ha abortito è la sola a soffrire di turbamenti da stress posttraumatico dovuti all'aborto?
R.
19: No. La ricerca dimostra che spesso anche il padre subisce gravi
reazioni negative, quando si rende conto che suo figlio è stato ucciso.
La sofferenza del padre è ancor più grave, quando egli è contrario
all'aborto e peggio ancora quando la legge che stabilisce la madre come
unico arbitro della gravidanza gli vieta di proteggere la vita del
proprio figlio in arrivo.
Un padre in questa situazione ha espresso
il proprio sconvolgimento emotivo con queste parole: «Probabilmente
avete letto una cosa simile riguardo i sentimenti di colpa irrisolti e
le emozioni represse provati dai reduci della guerra del Vietnam. Questo
si chiama "turbamento da stress posttraumatico". Insomma, è il
risultato dello sforzo fatto per cancellare o reprimere l'intensa
reazione alla morte ed alla violenza che li circondava. Questa reazione è
della stessa natura della mia, in seguito all'aborto praticato sulla
mia donna. Quando siamo usciti dalla clinica dopo l'aborto, non era
tutto finito per me».
2 La vittima dell'aborto
«Sei tu che hai creato le mie viscere e mi hai intessuto nel seno di mia madre. Io ti lodo perché mi hai fatto in modo meraviglioso; sono stupende le tue opere. Tu conosci a fondo la mia vita; non ti fu ignota la mia natura, quando venni creato nel profondo e venni formato nell'occulto» (Sal 138, 1314)
D. 20: In quale momento inizia la vita?
R.
20: Ecco una domandatrappola, se non definiamo i termini usati.
Propriamente parlando, la vita (in astratto) non inizia: essa viene
trasmessa da cellule viventi derivate da altre cellule viventi; questa
continuità della vita è il postulato fondamentale della biologia.
Tuttavia, la vita (in concreto) ha effettivamente un inizio. La
questione che determina la natura dell'aborto è dunque la seguente:
«Quando inizia la vita umana?» Vale a dire: «Quando inizia la vita di un
uomo?»
La biologia dimostra che la vita di un nuovo essere umano
inizia nel momento della fecondazione, ossia nella fusione tra lo
spermatozoo del maschio e l'ovulo della femmina. L'unione di 23
cromosomi del gamete maschile con 23 cromosomi del gamete femminile
produce una nuova cellula di 46 cromosomi. «Questa cellula viene
chiamata zigote; essa contiene un nuovo codice genetico, che produce un
individuo differente dal padre e dalla madre e da ogni altra persona nel
mondo». Ciò avviene dalle 12 alle 18 ore dopo il rapporto sessuale.
D. 21: Volete dire che una sola cellula costituisce già un essere umano?
R. 21: Sì. L'embriologo Keith Moore dichiara: «Ognuno di noi ha iniziato la propria vita in un unico zigote monocellulare».
Come
afferma il già citato manuale di ostetricia, il bimbo appena concepito
ha il proprio patrimonio genetico, distinto da quello del padre e della
madre. Sul piano biologico, lo zigote non è affatto un essere
impersonale, ma è lui o lei in miniatura, poiché la sua monocellula è
maschile o femminile. Lui o lei è già un essere umano nuovo, unico e
completo.
Unico, perché non è mai esistito in passato e non esisterà
mai più in futuro un essere identico a lui. Come affermano i medici
Landrum Shittles e David Rorvik, «il concepimento conferisce la vita
rendendola una vita unica nel suo genere».
Completo, perché il codice
genetico (genotipo) dello zigote contiene l'informazione su tutte le
caratteristiche del nuovo essere umano: statura, colore degli occhi, dei
capelli e della pelle, eccetera. «Il genotipo ossia le caratteristiche
ereditarie di un essere umano unico è stabilito al momento del
concepimento e resterà in vigore durante tutta la vita del nuovo
individuo»".
Se dunque la cellula fecondata è già un individuo umano,
essa è già anche una persona umana, sebbene le sue facoltà spirituali
non siano ancora sorte, forse per il fatto che l'anima non è ancora
giunta a costituire la spiritualità umana. In una visione corretta della
persona, infatti, l'anima non può essere contrapposta dualisticamente
al corpo, ma i due elementi dell'essere umano devono essere considerati
come indissolubili. Non è quindi possibile distinguere l'individuo dalla
persona, immaginando uno zigote che non sia ancora essere umano;
l'inizio della persona umana deve coincidere con quello della vita
biologica.
D. 22: Lo zigote non è solo una potenzialità di essere umano?
R.
22: No. Lo zigote non è una potenzialità di essere umano, ma semmai è
un essere umano in potenza di diventare adulto. Si può dire che lo
sperma e l'ovulo, prima della loro fusione, costituiscono una
potenzialità di essere umano; ma una volta che la loro fusione è
avvenuta, esso costituisce già un vero essere umano, anche se con molte
potenzialità ancora inattuate.
D. 23: Questa nuova cellula non è solo un abbozzo di uomo?
R.
23: Questo paragone è diffuso fra gli abortisti ma è evidentemente
assurdo. Un abbozzo è solo un progetto architettonico, fatto su cartone,
che da solo non si trasformerà mai in una casa o in un'altra struttura,
per quanto lo si possa perfezionare. Per contro, il feto si svilupperà
autonomamente fino a nascere e a diventare un uomo adulto, se non viene
abortito. Dunque, distruggere un abbozzo non è la stessa cosa che
distruggere un edificio; invece, distruggere uno zigote equivale ad
uccidere un essere umano già esistente.
D. 24: In quale momento avviene l'annidamento dello zigote?
R.
24: Dopo il concepimento, lo zigote inizia a muoversi per raggiungere
l'utero e insediarvisi. Circa 16 giorni dopo la fecondazione, il
processo di divisione cellulare e già cominciato e lo zigote si annida
nel nido nutritivo dell'utero (endometrio). «A partire dal settimo
giorno, comincia un autentico rapporto tra la madre e il figlio», scrive
il dr. E. Blecheshmidt. L'annidamento si compie attorno al dodicesimo
giorno dopo la fecondazione.
D.25: Si può dire che, prima
dell'annidamento nell'utero, esiste solo un «preembrione» privo di
natura umana, per cui si può parlare di essere umano solo dopo questo
annidamento?
R. 25: Niente affatto. Questa tesi è antiscientifica
e serve solo a giustificare cinicamente la manipolazione dell'embrione
nelle sue prime settimane di vita, negandogli la dignità umana. In
realtà, nulla è cambiato nell'embrione una volta che si è annidato
nell'utero: ha solo occupato la sua prima casa; potremmo forse dire che
un uomo è tale solo dopo che alloggia in un'abitazione, emarginando così
i senzatetto in una categoria preumana?
Si pretende anche che
l'annidamento segni l'inizio della vita umana, in quanto con esso si
stabilisce un rapporto biologico tra l'embrione e sua madre. Ma non è il
rapporto con qualcuno a costituire l'essenza di un uomo, bensì al
contrario è l'esistenza di una vita umana a rendere possibile un
rapporto bilaterale; per avere rapporti con qualcuno bisogna prima
essere qualcuno.
Nella natura dell'embrione nulla è cambiato nel
passaggio dalla fase precedente a quella successiva all'annidamento;
dunque si tratta dello stesso essere umano; e del resto, se così non
fosse, quella madre non avrebbe rapporti con qualcuno ma con qualcosa.
D. 26: Le cellule del figlio non provengono dalle cellule della madre?
R.
26: No. Secondo la biologia e la genetica, è l'embrione che, con una
vera esplosione di vitalità, intraprende il proprio autonomo sviluppo
nelle viscere della madre. Il dr. Bart Heffernan descrive questa fase
dinamica dello sviluppo: «Fin dal concepimento, il figlio è un individuo
complesso, dinamico, dalla crescita rapida. Mediante un processo
naturale e continuo, un solo ovulo fecondato si sviluppa in molti
miliardi di cellule nel corso dei nove mesi». «Dopo l'ottava settimana,
non rimane più nessun abbozzo (rudimento di organo embrionale); tutto è
al suo posto e lo si ritroverà nel neonato».
D. 27: Quand'è che l'embrione è «vitale»?
R. 27: Come pure molti termini lanciati dagli abortisti, anche quello della «vitalità» è ambiguo e quindi pericoloso.
Se,
per «vitalità», s'intende la capacità del concepito di svilupparsi
indipendentemente dalla madre, il buon senso ci porta a dire che allora
non solo i nascituri, ma anche i neonati, per quanto possano essere sani
e di grandezza giusta, non sono «vitali». Senza la costante cura da
parte della madre o di altre persone che lo assistono, il neonato non
sopravvive e muore ben presto.
Ancora nel XX secolo, i bambini nati
prematuramente prima del settimo mese di gravidanza morivano, perché le
tecniche dell'epoca non avevano i mezzi adeguati per salvarli. Oggi noi
siamo in grado di salvare un bebè nato al termine di sole 20 settimane
di gravidanza, e gli scienziati stanno lavorando per costruire una
placenta artificiale che renderebbe «vitali» gli embrioni di appena
dieci settimane.
Come si vede, la categoria di «vitalità» non è in
grado di identificare la natura umana di un essere vivente, ma solo di
valutare la sua capacità di vita indipendente. Applicare questo concetto
discriminatorio agli esseri umani nelle varie fasi della loro vita,
conduce all'assurdo di condannare a morte mediante eutanasia, in quanto
«non vitali», non solo i nascituri, ma anche le persone incapaci di vita
indipendente come gli anencefali, i pazienti in coma, eccetera.
D. 28: In quale momento il cuore del nascituro comincia a battere?
R.
28: Al termine della terza settimana dopo la fecondazione, il cuore del
nascituro comincia a battere, facendo circolare il proprio sangue, che
può essere di un gruppo sanguigno diverso da quello materno.
D. 29: Quand'è che il nascituro sviluppa il primo abbozzo del sistema nervoso?
R.
29: Lo sviluppo del sistema nervoso centrale ha inizio alla terza
settimana dal concepimento; già alla quarta settimana, il nascituro
manifesta attività riflesse complesse, come le reazioni motorie. Dopo la
sesta settimana, il nascituro è già provvisto del cervello, tanto che
l'elettroencefalogramma (EEG) può registrarne le onde cerebrali.
D.30:
Alcuni dicono che si può parlare di vita umana solo quando, essendosi
formato nel feto un abbozzo di sistema nervoso, il suo cervello emette
le prime onde cerebrali, rilevabili dall' EEG. E' questa una tesi
accettabile?
R. 30: Niente affatto. L'umanità del feto non
consiste nella sua capacità di emettere onde cerebrali, come l'adulto
non è uomo solo se è capace di pensare; altrimenti dovremmo negare la
dignità umana ai cittadini anencefalici (ossia privi di cervello) o ai
pazienti in coma che non danno segni elettrici all'EEG, condannandoli
quindi all'eutanasia. Più in genere, non bisogna scambiare l'esistenza
della vita con la mera capacità di dar segni di vita, né la razionalità
umana con la mera vitalità cerebrale. Come il feto è uomo anche prima di
annidarsi nell'utero o di palpitare, così lo è anche prima di emettere
onde cerebrali, anche se le sue facoltà vitali possono attuarsi solo
progressivamente, manifestandosi con crescenti segni esterni rilevabili
dagli apparecchi clinici.
D. 31: Potete descrivere la vita intrauterina del nascituro?
R.
31: La vita intrauterina è stata ben descritta dal dr. William Liley,
il «padre della fetologia». Il nascituro, capace di ambientarsi e di
tendere al proprio fine, s'impianta nella cavità spugnosa dell'utero e,
imponendo la propria presenza, interrompe il ciclo mestruale della
madre. Nei successivi 270 giorni, l'utero diviene la casa dell'embrione;
per renderla abitabile, egli si produce una placenta e una capsula
protettrice di fluido (liquido amniotico).
Egli si muove con agilità e
grazia nel suo mondo fluttuante. E' sensibile al tatto, al gusto, alla
temperatura, al suono e alla luce. Veglia o dorme; beve il suo liquido
amniotico, con piacere se viene addolcito artificialmente, con
dispiacere se gli si dà un sapore sgradevole; può avere il singhiozzo.
Talvolta gesticola e si succhia il pollice. Si annoia perfino; ma si può
sollecitarlo a rispondere ad un primo segnale e poi anche ad un secondo
diverso. Infine, è lui a determinare il suo compleanno, perché l'inizio
delle contrazioni del parto risulta da una iniziativa unilaterale del
feto.
E' questo stesso feto che, come un paziente qualsiasi, può ammalarsi e necessitare di diagnosi e cure.
D. 32: Il nascituro avverte il dolore?
R.
32: Certo: avendo il senso del tatto, il nascituro è sensibile al
dolore. La nostra capacità di avvertire e reagire al dolore non comincia
dopo né durante la nascita. Nel corso degli ultimi decenni, i progressi
nella rilevazione in tempo reale mediante gli ultrasuoni, la
fetoscopia, l'EEG fetale, hanno dimostrato la considerevole recettività
del nascituro: sensibilità al tatto, e dunque al dolore.
Ha scritto
l'ex presidente americano Ronald Reagan: «Dobbiamo renderci conto della
realtà degli orrori che si verificano. I medici di oggi sanno che un
nascituro, dentro le viscere della madre, può sentire una carezza, come
può reagire al dolore. Ma quanti sono al corrente delle tecniche
abortive che bruciano la pelle del feto con una soluzione salina,
provocandogli una mortale agonia che può durare ore?».
D. 33: Che cos'è la nascita?
R.
33: Ha scritto il dr. Jack Willke: «La nascita consiste nell'uscita del
bebè dal ventre della madre, tagliando il cordone ombelicale, e quindi
nell'inizio di una vita fisicamente staccata dalle viscere materne. Alla
nascita, la sola cosa che muta radicalmente è il sistema di supporto
della vita del bebè. Il figlio non è diverso prima o dopo la nascita,
eccetto il fatto che ha cambiato il proprio metodo di respirazione e di
nutrizione. Prima di nascere, l'ossigeno e il nutrimento gli arrivavano
dalla madre mediante il cordone ombelicale; dopo la nascita, l'ossigeno
gli arriva dai propri polmoni e il nutrimento dal proprio stomaco, se è
abbastanza maturo per essere così saziato».
3 La Legge sull’aborto
«Con
l'autorità che Cristo ha conferito a Pietro e ai suoi Successori, in
comunione con i Vescovi, dichiaro che l'aborto diretto, cioè voluto come
fine o come mezzo, costituisce sempre un disordine morale grave, in
quanto uccisione deliberata di un essere umano innocente. Tale dottrina è
fondata sulla legge naturale e sulla Parola di Dio scritta, è trasmessa
dalla Tradizione della Chiesa ed insegnata dal Magistero ordinario e
universale. «Nessuna circostanza, nessuna finalità, nessuna legge al
mondo potrà mai rendere lecito un atto che è intrinsecamente illecito,
perché contrario alla Legge di Dio, scritta nel cuore di ogni uomo,
riconoscibile dalla ragione stessa, e proclamata dalla Chiesa» Papa
Giovanni Paolo II, Enciclica Evangelium Vitae, 1995
D. 34: Perché mai la legge dovrebbe intromettersi nel privato dominio della vita sessuale di una donna?
R.
34: Nella sentenza del cruciale processo Roe contro Wade, che nel 1973
ha legalizzato l'aborto negli Stati Uniti, la Corte Suprema americana si
basò sul cosiddetto diritto alla protezione della vita privata, sancito
e tutelato dalla Costituzione.
Ma quello che avviene nell'intimità
dell'utero materno non è una faccenda privata della donna; è la
formazione e lo sviluppo di un essere umano che ha pieno diritto alla
protezione legale. Quando questo viene minacciato di morte, si ha non
solo il diritto ma anche il dovere d'interferire nella vita della madre
per evitare l'omicidio del nascituro.
L'intimità dell'utero non può
dare alla madre una licenza di uccidere all'interno delle sue pareti,
così come l'intimità di una casa non può dare al padrone un diritto di
eseguire un omicidio dentro le sue mura. I pompieri e la polizia violano
a pieno diritto la proprietà privata, per salvare la vita di persone
che vi si trovano dentro, ad esempio abbattendo le porte delle case in
fiamme per soccorrere coloro che vi sono rimasti imprigionati.
D.
35: Se l'aborto viola le vostre convinzioni morali e religiose, potete
rifiutarlo. Ma non potete impedire ad altri di ricorrervi. Perché mai la
legge dovrebbe imporre una certa moralità pubblica, violando
l'autonomia delle coscienze e facendo decidere altri per loro?
R.
3 5: Una decisione resta personale solo nei limiti in cui si riferisce
esclusivamente agli interessi e ai diritti della persona che decide. Ma
se coinvolge gli interessi e i diritti esclusivi di altri, tale
decisione non è più personale ma delegata. Tuttavia nessuno può delegare
un diritto che non gli appartiene, tanto più se è primario come quello
alla vita. La vita infatti appartiene esclusivamente al suo Creatore e
spetta a Lui, come il darla, così il riprendersela; per cui nessuno può
sopprimere un essere umano innocente, nemmeno la madre.
Sopprimere
qualcuno in nome della libertà di gestire la propria vita privata,
significa annientare la stessa ragion d'essere di ogni vita privata:
ossia la dignità dell'uomo creato ad immagine di Dio. L'aborto, il
massacro dei nascituri, non è una scelta privata ma un crimine privato
che grida vendetta davanti a Dio e agli uomini, reclamando giustizia.
Come
sarebbe assurdo tollerare che certi genitori commettano abusi sessuali
sui loro figli, col pretesto che si tratta di una faccenda privata che
avviene all'interno della famiglia, così è assurdo tollerare che una
donna sopprima il figlio che porta in seno, col pretesto che si tratta
di una faccenda privata che avviene all'interno del suo utero. Dopo
tutto, l'aborto è l'abuso per eccellenza che una madre possa commettere
verso suo figlio.
D. 36: Perché i diritti di un feto in gestazione dovrebbero prevalere su quelli di una donna adulta?
R.
36: Vi sono diverse categorie di diritti, che sono disuguali moralmente
e giuridicamente; i diritti primari o originari devono prevalere su
quelli secondari o derivati. Quello alla vita è il diritto primario e
originario per eccellenza, senza il quale non è possibile esercitare
tutti gli altri; esso va dunque difeso più e prima degli altri, che
possono essergli sacrificati, se necessario, anche se teoricamente
legittimi.
Una madre che vuole abortire pretende di esercitare un
proprio diritto secondario e derivato quello di «gestire il proprio
corpo» o di liberarsi da un «problema» sacrificandogli il diritto
primario e originario quello di vivere non proprio, ma altrui: cioè
del figlio. Dunque ella pretende di ottenere un proprio (discutibile)
vantaggio facendolo però pagare al figlio, e al carissimo prezzo della
vita, realizzando così l'esatto rovescio del sacrificio materno. Per
questo la legge ha il dovere di vietare l'aborto: perché rovescia la
gerarchia dei diritti/doveri.
D. 37: Ma la legge non dovrebbe
almeno autorizzare una eccezione: quella dell'aborto terapeutico, nel
caso in cui la vita della madre sia in pericolo?
R. 37: Un medico
che cura una donna incinta non ha un solo paziente ma ne ha due: la
madre e il figlio. Non c'è nulla di «terapeutico» nel sopprimere
volontariamente il secondo col pretesto di salvare la prima; uccidere
non può costituire una terapia. Il prof. Charles Rice, docente alla
facoltà di Diritto dell'Università di NotreDame, sostiene che «non
esiste situazione in cui l'aborto sia medicalmente necessario per
salvare la vita della madre». Il dr. Roy Hefferman, della Tufts
University, ha dichiarato al Congresso dei Chirurghi Americani:
«Chiunque pratichi un aborto "terapeutico" o ignora i moderni metodi di
trattamento nei casi di complicanze nella gravidanza, oppure non ha
volontà di usarsene».
Del resto, il fine buono non giustifica l'uso
di un mezzo cattivo: il sacrificio diretto del nascituro non è mai
giustificato, anche se viene fatto nella presunzione di ottenerne un
buon risultato. Non si può parlare invece di omicidio quando, pur
tentando il medico di salvare sia la madre che il figlio, quest'ultimo
muore per il semplice fatto di essere il più debole.
D. 38: Perché mai la legge dovrebbe favorire la vita del nascituro discriminando quella della madre già nata?
R.
38: La legge non può fare favoritismi discriminando una vita innocente
rispetto ad un'altra ugualmente innocente. Ma proprio per questo essa
deve proibire l'aborto, riflettendo il principio così saggiamente
espresso da Papa Pio XII: «La vita umana innocente, quale che sia la sua
situazione, dev'essere tutelata, fin dal primo momento della sua
nascita, da ogni attacco volontariamente diretto. Questo principio si
applica alla vita del nascituro come a quella della madre. La Chiesa non
ha mai insegnato che la vita di un figlio dev'essere preferita a quella
di sua madre. E' un errore formulare la questione in questa
alternativa: "o la vita del figlio o quella della madre". No: né la vita
del figlio né quella della madre possono essere sottoposti all'atto di
soppressione. Per l'uno come per l'altra, la sola esigenza necessaria
può essere la seguente: mettere in opera tutti gli sforzi per salvare le
due vite, tanto quella della madre che quella del figlio»".
D. 39: La legge non dovrebbe permettere l'aborto almeno in caso di violenza sessuale o d'incesto?
R.
39: Una donna che è vittima di violenza sessuale ha diritto di
resistere al suo aggressore. Ma il figlio che nascerà non è un
aggressore, bensì la seconda vittima innocente; egli quindi non può
essere ucciso per rimediare alla colpa commessa da suo padre. «Punire
l'aggressore, non suo figlio!», osserva giustamente Miriam Cain. «Lo
Stato dovrebbe semmai imporre la pena di morte ad ogni violentatore che
ha commesso quel crimine, ma non all'innocente bebè che ne è la
conseguenza. Aggiungere un secondo male al primo non produce un bene. Il
figlio non deve pagare per il crimine commesso dal padre».
D.
40: La legge non dovrebbe permettere l'aborto almeno nel caso di un
feto minorato, per evitargli l'infelicità di nascere handicappato e per
risparmiare alla madre il problema di un figlio privo della «qualità
della vita»?
R. 40: Come abbiamo detto, la dignità dell'uomo non
dipende dalla perfezione delle funzioni vitali; ne deriva che la
«qualità della vita» non dipende dalla sanità o integrità delle funzioni
fisiche o psicologiche della persona. Un handicappato, anche se grave,
non cessa per questo di essere uomo e quindi di avere diritto alla vita;
egli merita sia prima che dopo la nascita la stessa protezione legale
garantita a tutti gli altri cittadini. Chi gli nega questa protezione
fomenta una odiosa discriminazione che mina le basi della convivenza
civile. Non esiste alcuna distinzione ragionevole tra il massacro dei
nascituri e quello dei nati handicappati. Sopprimere un nascituro per
via dei suoi handicap costituisce un autentico caso di eutanasia
prenatale.
Giustamente Papa Giovanni Paolo II denuncia quella «guerra
dei potenti contro i deboli nella quale una vita, che dovrebbe
richiedere una maggiore accoglienza, viene considerata come inutile,
attribuendole un peso insopportabile, e pertanto viene rifiutata». Il
dr. Eugene Diamond dichiara: «La constatazione di anomalie genetiche
durante la vita prenatale ha prodotto lo stesso effetto della creazione
di una zona franca in cui si può liberamente tirare al bersaglio».
L'argomento
che pretende giustificare l'aborto per garantire la «qualità della
vita» non è caritatevole bensì criminale: in nome della qualità, esso
pretende di sopprimere la vita per garantirne la «qualità». Inoltre esso
costituisce una grave illusione sulla possibilità di garantirsi tale
«qualità». Il prof. Jerome Lejeune, noto genetista francese, riferisce
questa significativa confidenza fattagli da un suo collega americano:
«Tanti anni fa, mio padre era un medico ebreo che esercitava la
professione a Brenau, in Austria. Un giorno nacquero nella sua clinica
due bebè. Uno era un maschio forte e di buona salute, che emetteva
potenti vagiti. L'altra era una femmina mongoloide, e i suoi genitori
erano tristi. Ho seguito la vita di questi due bebè per quasi 50 anni.
La bambina handicappata crebbe nella casa paterna e da adulta fu in
grado di prendersi cura della madre, colpita da un attacco cardiaco,
durante la sua lunga malattia. Non mi ricordo il nome di quella bambina.
Invece mi ricordo bene il nome del bambino sano, perché egli da grande
fece massacrare milioni di persone e morì in un bunker a Berlino. Il suo
nome era Adolf Hitler».
D. 41: L'embrione sembra mancare di
tutto quello che si attribuisce ad una persona umana: ragione,
sentimenti, libertà, indipendenza. Dato che la personalità si sviluppa
progressivamente, la legge non dovrebbe considerare il nascituro come
una persona solo in potenza?
R. 41: Come l'esistenza della natura
umana non dipende dallo sviluppo delle proprie potenzialità fisiche,
così essa non dipende dallo sviluppo delle proprie potenzialità
psicologiche (come la «personalità»); tutte queste potenzialità
presuppongono l'esistenza della natura umana, ma non la costituiscono.
Un uomo è persona ben prima di svilupparsi una propria «personalità».
Dunque non possiamo discriminare i nati o i nascituri in base al loro
grado di sviluppo personale.
Se così non fosse, dato che la
personalità viene conseguita solo gradualmente, in un processo che
continua anche dopo il parto e arriva fino all'adolescenza, allora
sarebbe lecito sopprimere non solo i nascituri ma anche i bambini e i
fanciulli che risultassero «immaturi». La gravità dell'omicidio
dipenderebbe dall'età della vittima: uccidere un bimbo di 3 anni, che
non ha ancora raggiunto l'uso della ragione, non sarebbe un crimine
paragonabile a quello di uccidere un fanciullo di 13 anni. Oppure la
gravità dell'omicidio dipenderebbe dalla maturità e consapevolezza della
vittima: i nascituri, le persone mentalmente o psicologicamente
handicappate, i malati in coma e tutte le altre categorie di persone in
qualche modo minorate, verrebbero arbitrariamente private del
riconoscimento di personalità e quindi del diritto a vivere;
diventerebbe allora lecito ucciderle, non appena risultassero di peso
per i parenti o per la comunità. L'iniziale sofisma sulla «personalità»
finirebbe così col giustificare non solo l'aborto ma anche
l'infanticidio e l'eutanasia.
Del resto, si potrebbe anche dire che
la formazione della personalità non termina mai, per cui nessun essere
umano riuscirà a sviluppare completamente la propria personalità,
diventando perfetto. Resterà sempre una persona incompiuta, mancando
sempre di qualche elemento necessario per raggiungere questa pienezza.
In ogni fase della vita l'uomo ha bisogno di svilupparsi, che si tratti
dello sviluppo intellettuale, di quello educativo, di quello affettivo,
di quello comunicativo, eccetera. Se la personalità dipendesse dalla
perfezione, si tratterebbe di un risultato mai conseguibile, di
un'autentica utopia.
D. 42: Perché mai una legge «proibizionista» dovrebbe obbligare la donna ad una maternità che non accetta?
R.
42: Una legge che proibisce l'aborto non pretende certo di costringere
la madre ad «accettare» un figlio indesiderato, ma vuole solo impedire
che questo rifiuto si traduca in un omicidio. Una volta partorito, la
donna può rifiutare il figlio facendolo adottare da qualcuno.
Comunque,
una donna incinta è già madre; il suo figlio già esiste. Come il corpo
materno provvede organicamente al bambino che ha in seno, così la
psicologia della donna deve adeguarsi alla realtà della maternità,
accettando la responsabilità della nuova vita che ha fatto sorgere.
D.
43. Ma se la legge non permettesse l'aborto, le donne non verrebbero
costrette ad abortire clandestinamente, rischiando così la vita?
R.
43: Le statistiche provano in maniera certa che, nei Paesi in cui
l'aborto è stato legalizzato con l'illusione di prevenire gli aborti
clandestini, non solo il numero di aborti ottenuti legalmente è
aumentato in modo progressivo, ma il numero di quelli clandestini non è
diminuito.
Il dr. Christophe Tieze, un abortista, ammette: «Benché lo
scopo principale delle leggi sull'aborto sia stato quello di ridurre
l'incidenza degli aborti clandestini, questo risultato non è stato
raggiunto. Al contrario, apprendiamo da varie fonti che gli aborti, sia
legali che illegali, sono aumentati» .
Questo non deve meravigliare.
Le donne che desiderano nascondere la loro gravidanza, ad esempio quando
è frutto di un adulterio, preferiscono ricorrere alla clandestinità,
perché né un pubblico ospedale né una clinica privata garantiscono
quell'anonimato necessario per nascondere la loro colpa. Inoltre le
donne che desiderano abortire dopo il termine massimo concesso dalla
legge, per quanto permissiva, non possono farlo apertamente e quindi
ricorrono anch'esse alla clandestinità.
D.44: I ricchi
potranno sempre permettersi di abortire illegalmente senza rischi,
mentre i poveri restano costretti a ricorrere ad una pericolosa e
umiliante clandestinità. Non bisognerebbe quindi evitare questa
discriminazione, concedendo ai poveri la «pari opportunità» di abortire
con l'assistenza dello Stato, sia medica che economica?
R. 44:
Permettere ai poveri di sopprimere i loro figli non significa concedere
loro una «pari opportunità», ma semmai una «parità di crimine». Inoltre,
il pubblico denaro dovrebbe favorire la vita, non la morte; dovrebbe
essere speso per aiutare i figli dei poveri, non per sopprimerli. Come
raccomanda il prof. Rice, «le sovvenzioni pubbliche dovrebbero cessare
non solo per gli aborti, ma anche per ogni attività organizzativa che
propaganda e favorisce l'aborto. Nessuna di queste organizzazioni
dovrebbe beneficiare di vantaggi fiscali».
D. 45: Voi
ammettete che certi aborti verrebbero praticati anche se la legge
tornasse a proibirli. Ma allora lo Stato non dovrebbe rinunciare a
promulgare divieti che non vengono rispettati?
R. 45: Da quando è
possibile eliminare un male legalizzandolo? Vi sono leggi che
proibiscono di saccheggiare le banche, eppure queste non cessano di
essere prese di mira da bande armate. La rapina a una banca è
un'attività traumatica e pericolosa: clienti, personale e rapinatori
possono morire durante l'assalto. Allora lo Stato dovrebbe forse
legalizzare il saccheggio delle banche, assicurando una pacifica e
incruenta «distribuzione» dei risparmi bancari a beneficio dei
rapinatori, illudendosi che costoro, accontentandosene, rientrino nella
«legalità»?
L'aborto è un crimine ben più grave dell'assalto alle
banche, perché quello che ruba la vita è un bene ben più prezioso del
denaro e inoltre non potrà mai più essere restituito né compensato.
Dovremmo allora legalizzare questo crimine atroce?
4 La società e l'aborto
«La civiltà di un popolo si misura dalla sua capacità di servire la vita. Ognuno, secondo le proprie possibilità, professionalità e competenze, si senta sempre spinto ad amare e servire la vita, dal suo inizio al suo naturale tramonto. È infatti impegno di tutti accogliere la vita umana come dono da rispettare, tutelare e promuovere, ancor più quando essa è fragile e bisognosa di attenzioni e di cure, sia prima della nascita che nella sua fase terminale» Papa Benedetto XVI, Angelus del 3 febbraio 2008
D. 46: E' vero che ogni figlio ha diritto a nascere accettato ed amato dai genitori?
R.
46: Ogni figlio ha innanzitutto diritto a nascere, altrimenti non verrà
accettato o amato da nessuno. Dovrebbe anche nascere in una famiglia in
cui sia accettato ed amato; ma a questo ideale non si giunge
permettendo di sopprimere i figli indesiderati, ma togliendo le cause
che contribuiscono al loro rifiuto.
Il dr. Diamond, noto pediatra
della Scuola Medica Stricht dell'Università di Loyola (USA), osserva:
«Molto viene fatto allo scopo di prevenire la nascita dei figli
indesiderati. Ma mi sembra che qui c'è una confusione. Essa consiste nel
non riuscire a distinguere tra il figlio indesiderato e la gravidanza
indesiderata. In 15 anni di esperienza nel campo del rapporto
genitorifigli, ho solo rarissimamente incontrato una madre che
domandasse di sbarazzarla del figlio una volta che l'aveva condotto
dalla clinica a casa».
Se una madre non desidera o non è capace di
allevare il figlio che ha messo al mondo, l'alternativa moralmente
accettabile non è quella dell'aborto bensì quella dell'adozione. Lo
slogan «ogni figlio è un figlio desiderato» è uno slogan che significa
che «ogni figlio non desiderato è un figlio soppresso». Una società
civile deve rifiutare un tale barbaro slogan.
D. 47: Ma che
fare della povera donna del «terzo mondo» che ha già tanti figli? Non ha
forse ella un gran bisogno di ricorrere all'aborto?
R. 47:
Questa domanda nasconde il sofisma materialistico che possiamo chiamare
«aborto socioeconomico». Proteggere le cosiddette «donne del terzo
mondo», i poveri, gli emarginati, i discriminati, spingendoli o (peggio
ancora) costringendoli all'aborto, come pretende di fare l'ONU,
costituisce una flagrante contraddizione. Non è possibile migliorare le
condizioni di vita puntando sulla promozione della morte. Incitare le
povere donne del «terzo mondo» ad uccidere i loro figli non è un esempio
di filantropia bensì promozione del genocidio.
La stessa scienza
economica ci assicura che non sono i nascituri i responsabili della
fame, dell'emarginazione, della discriminazione. Al contrario, la
fertilità di un popolo può costituire uno dei fattori della sua
ricchezza. E' quindi del tutto ingiusto punire con la morte un bebè
accampando pretesti socioeconomici. Piuttosto, la società internazionale
è obbligata a trovare una vera soluzione ai reali problemi del «terzo
mondo». Essa deve proteggere la vita nascente, senza ricorrere
all'ipocrita espediente di lavarsene le mani proponendo la falsa
soluzione dell'aborto.
D. 48: Perché i difensori della vita
non promuovono quella «educazione sessuale» che, puntando sulla
contraccezione, permetterebbe di evitare il ricorso all'aborto?
R.
48: Spesso si sente dire che la contraccezione porrebbe fine al dramma
dell'aborto, e che quindi lo Stato dovrebbe promuovere la pianificazione
delle nascite; una «educazione sessuale» dovrebbe insegnare agli
adolescenti ad usare in modo efficace i vari tipi di contraccezione,
risolvendo così il problema delle gravidanze indesiderate o eccedenti.
In
realtà, la contraccezione non costituisce un'alternativa all'aborto ma
anzi ne promuove l'accettazione e la diffusione. Essa infatti favorisce
una mentalità che ricerca il piacere e rifiuta il sacrificio, a
qualunque costo; il figlio viene visto come un peso, un problema, un
ostacolo alla propria «libertà» ed «autorealizzazione». La
contraccezione estingue nelle coppie il desiderio di avere figli e la
volontà di accoglierli. Pertanto, quando la contraccezione fallisce od
ostacola il piacere, le donne abortiscono senza scrupoli. La mentalità
contraccettista spinge dunque a moltiplicare gli aborti invece di
eliminarli. Al contrario, le coppie che rifiutano la contraccezione sono
molto meno facili a ricorrere all'aborto.
Ha scritto Pedro Juan
Viladrich: «La vita umana e le sue origini sono naturalmente legate al
comportamento sessuale della coppia umana. Quando la coppia, per una
qualunque ragione, disprezza la vita, essa banalizza il rapporto
sessuale; e quando questo è banalizzato, esso colpisce la vita umana».
D. 49: Uno Stato può legalizzare l'aborto, almeno a precise condizioni?
R.
49: Lo Stato non ha diritto di legalizzare l'aborto, con nessun
pretesto e a nessuna condizione; non essendo padrone della vita umana
innocente, esso non può sacrificarla a beneficio di pretesi interessi
sociali o politici. Se legalizza l'aborto, lo Stato legalizza l'omicidio
e commette un peccato sociale, minando quelle stesse basi della
convivenza civile che dovrebbe tutelare. Il cittadino deve valutare una
legge abortista come moralmente illecita e legalmente invalida, alla
quale ha tutto il diritto di obiettare in coscienza, di opporsi
civilmente e di chiederne l'abrogazione.
Non cambia nulla il fatto
che uno Stato legalizzi l'aborto per decisione democratica di una
qualche maggioranza, sia parlamentare che elettorale. La volontà
popolare, anche se autentica, non ha diritto di stabilire ciò che è
buono e giusto, né può trasformare il male in bene; essa può solo
tollerare un male inevitabile ma non può legalizzare un male, nemmeno
col pretesto di evitarne uno maggiore.
Afferma Giovanni Paolo II: «Il
valore della democrazia sta o cade con i valori ch'essa incarna e
promuove. Alla base di questi valori non possono esservi provvisorie e
mutevoli maggioranze di opinione, ma solo il riconoscimento di una legge
morale obiettiva che, in quanto legge naturale, è iscritta nel cuore
dell'uomo ed è punto di riferimento normativo della stessa legge civile.
(...) Quando una maggioranza parlamentare o elettorale decreta la
legittimità della soppressione della vita umana non ancora nata, non
assume forse una decisione tirannica nei confronti dell'essere umano più
debole e indifeso? (...) Leggi di questo tipo non solo non creano
nessun obbligo di coscienza, ma sollevano piuttosto un grave e preciso
obbligo di opporsi ad esse». (Enciclica Evangelium vitae, nn. 70 e 73).
D. 50: Ma se l'aborto è davvero un omicidio, come può la società tollerare un tale genocidio di milioni di persone all'anno?
R.
50: L'aborto esiste fin dai primordi della storia umana. Come il
peccato, esso ha radice nella ribellione dell'uomo a Dio: dal Peccato
originale commesso nell'Eden fino alle miriadi di peccati commessi oggi
in tutto il mondo. Ma se i nostri antenati praticavano l'aborto o
addirittura sacrificavano i loro figli a Moloch, le società civili
cristiane dei secoli passati hanno condannato l'aborto come un crimine
commesso contro Dio e contro l'uomo.
La nostra epoca atea e
materialistica abbassa il nostro livello di civiltà al di sotto di
quello dei pagani, quando rifiuta l'eredità cristiana per inebriarsi
nella ricerca assoluta del piacere. L'idolo del piacere, come il Moloch
dei tempi antichi, reclama sacrifici umani; e l'aborto è un tipico
esempio di come l'eros disordinato conduce a tanathos, alla morte e a
quella forma di schiavitù che è il peccato.
Afferma Papa Giovanni
Paolo II: «Reclamare il diritto all'aborto, all'infanticidio,
all'eutanasia, e inscrivere questi diritti nella legge, significa
attribuire alla libertà umana un significato malvagio e perverso: quello
del potere assoluto sugli altri e contro gli altri. Ma questo è la
morte della vera libertà: "In verità, in verità vi dico: chiunque
commette peccato ne diventa schiavo" (Gv. 8, 34)» . Tuttavia, «cercando
le radici più profonde della lotta tra la cultura della vita e la
cultura della morte, non possiamo restringerle all'idea perversa di
libertà. Dobbiamo giungere al cuore della tragedia che l'uomo moderno
sta vivendo: la perdita del senso di Dio e quindi dell'uomo, tipica di
un clima sociale e culturale dominato dal secolarismo che, con i suoi
tentacoli onnipresenti, riesce talvolta a mettere alla prova le comunità
cristiane. (...) Quando il senso di Dio è perso, si tende a perdere
anche il senso dell'uomo, della sua dignità e della sua vita».
Conclusione
E
sia, io condanno e rifiuto l'aborto; preserverò la mia famiglia da
questo inganno e da questa piaga. Avrò così fatto tutto quanto e in mio
dovere?
R.: No: preservare la propria famiglia non basta.
Barricarsi nelle mura di casa non servirà a nulla, se non forse a
ritardare un poco la nostra rovina, perché la cultura di morte penetra
nelle nostre case, seduce le nostre anime e manipola le nostre
coscienze, specie quelle dei giovani, con le arti sopraffine impiegate
dai massmedia e dalla loro propaganda.
L'offensiva della cultura di morte è sociale e quindi richiede una controffensiva sociale; è il bene comune della società, ed anche quello della Chiesa, che sono minacciati, per cui abbiamo il dovere d'impegnarci nel campo civile e religioso in difesa della famiglia, della patria e della Chiesa. Bisogna affrontare il problema alla radice e svellerne le cause. Queste cause sono innanzitutto culturali, morali e spirituali. Bisogna innanzitutto denunciare la «cultura di morte» nei suoi slogan, nei suoi sofismi, nelle sue seduzioni; poi bisogna lottare contro i suoi promotori, i propagandisti, i complici. Bisogna anche promuovere come alternativa la cultura della vita, che è in realtà la cultura della verità, quella che si basa sul dogma cristiano e che si esprime nei più nobili sentimenti morali e che si nutre delle virtù religiose e civili, specie quelle che rendono possibile e amabile il sacrificio. Ad eros bisogna sostituire l'autentico amore cristiano, a tanathos lo spirito di sacrificio. Così facendo, potremo restaurare, con l'aiuto di Dio, le basi della società cristiana, sconfiggendo i mostri del XX secolo che vorrebbero dominare anche il XXI.
L'ora della nostra prova è giunta. Nell'opporci all'aborto e difendere la vita, dobbiamo usare l'eterno rimedio: ora et labora, prega e lotta. Noi dobbiamo pregare perché in definitiva tutto dipende da Dio, ma anche lottare come se tutto dipendesse da noi.
Fonte: Voglio Vivere Anno VIII, n° 2 - Associazione per la Difesa dei Valori Cristiani