La purezza per il Regno dei Cieli

1 - Chi sono i puri di cuore
Un giorno Gesù,
visto che una grande moltitudine era venuta per ascoltare la sua
parola, salì su un’altura e alla folla che Io circondava
rivolse il celebre discorso della montagna o delle beatitudini,
compendio e proclama di tutta la vita cristiana.
Immaginate Gesù,
lassù, attorniato dagli apostoli e dalla folla. Tutti sono là,
in silenzio, e pendono dalle labbra del Divino Maestro, per non
perdere neppure una sillaba di quello che dirà.
Gesù
con la sua solita calma e serenità incomincia.
1. “Beati i poveri in spirito, perché di essi
è il regno dei cieli.
2. “Beati gli afflitti, perché
saranno consolati.
3. “Beati i miti, perché
erediteranno la terra.
4. “Beati quelli che hanno fame e
sete di giustizia, perché saranno saziati.
5. “Beati
i misericordiosi, perché troveranno misericordia.
6. “Beati
i puri di cuore, perché vedranno Dio.
7. “Beati gli
operatori di pace, perché saranno chiama ti figli di Dio.
8.
“Beati i perseguitati per causa della giustizia, per ché
di essi è il Regno dei Cieli” (Mt. 5, 3-10).
Abbiamo sentito: è Gesù che parla, dunque ogni
parola che esce dalla sua bocca è verità. Questa volta
ci ha detto tante cose. Consideriamo pertanto una beatitudine alla
volta, dando la precedenza alla sesta:
“ Beati i puri di
cuore, perché vedranno Dio” (Mt 5,8).
Ma perché
tale scelta di precedenza? Perché la purezza, specialmente ai
nostri giorni, è una virtù poco conosciuta, la più
trascurata, la più oltraggiata e, tal volta, addirittura anche
derisa.
È necessario che la purezza occupi in mezzo al
Popolo di Dio il posto che le spetta. La virtù regina della
vita cristiana è la carità: amare Dio per Se stesso e
il prossimo per amore di Dio. La purezza è quella virtù
che prepara e dispone il cuore dell’uomo ad amare Dio e il
prossimo come devono essere amati.
(Cfr. C.C.C. 1716 - 1729).
1)
Per capire questa beatitudine di Gesù, per capi re chi siano i
puri di cuore, prima di tutto è necessario comprendere il
significato di alcuni termini, relativi a questo argomento.
1 - La
purezza (o purità) è la virtù che regola la
condotta dell’uomo di fronte alla vita sessuale e di tutto ciò
che sta in rapporto con essa, secondo principi dettati dalla natura
umana stessa e, soprattutto, dall’insegnamento di Cristo e
della Chiesa. La purezza, per tanto, comprende la castità e la
pudicizia.
2 - La castità è quella virtù
morale che inclina l’uomo a moderare l’uso e l’appetito
della dilettazione venerea secondo le norme della retta ragione.
A questa norma naturale, che regola l’uso della facoltà
procreativa entro i limiti del suo fine, si aggiunge, nella fede
cristiana, la considerazione della dignità del corpo umano,
che, per il Battesimo, è stato elevato a membro di Cristo e
tempio dello Spirito Santo (cfr. lCor6, 15-20).
L’oggetto
materiale di questa virtù è l’atto ed il piacere
sessuale propriamente detto, mentre la pudicizia si riferisce agli
atti periferici.
Come ogni virtù, la castità
comporta una facilità nell’esercizio dei suoi atti;
l’astensione dunque di un uso illecito del piacere sessuale con
grandi sforzi, non è ancora la virtù della castità,
ma semplicemente continenza.
La castità si divide in
perfetta ed imperfetta:
- La castità perfetta è
quella nella quale ci si astiene non solo da un uso illegittimo del
piacere venereo, ma anche da quello legittimo nel passato e nel
presente con il proposito, con o senza voto, di mantenere questo
stato anche nel futuro.
- La castità imperfetta è
quella nella quale ci si astiene da un uso illegittimo del piacere
venereo, senza escludere un uso legittimo sia nel presente, nei
coniugi, sia futuro nei fidanzati, sia passato nei vedovi.
3 - La pudicizia è la virtù che inclina l’uomo
ad evitare tutte le azioni e cose che offendono il pudore sessuale
(viene scambiata anche con la modestia).
(Cfr. C.C.C. 2521 -
2527).
Essa ha come oggetto non l’atto sessuale in se stesso
— che è proprio della castità — ma tutte le
azioni che hanno con questo una certa affinità, ne formano il
complemento, in quanto, per loro natura, tendono ad eccitare
commozioni veneree, come sono gli sguardi morbosi (colui che conserva
la pudicizia nello sguardo si dice anche che conserva la modestia
degli occhi), i toccamenti, i baci e gli abbracci sensuali, i
discorsi osceni, ecc. Tutti questi atti entrano nella sfera
dell’impudicizia e portano facilmente alla lussuria, cioè
all’at to sessuale completo che è, come si è
detto sopra, oggetto della castità.
Per questa ragione la
pudicizia non è una virtù distinta dalla castità,
ma è la castità applicata a regola re quanto attiene
alla periferia del suo proprio oggetto, cioè l’atto
sessuale completo.
4 - La verginità, in genere, è l’immunità
da ogni peccato mortale contro la castità in passato, al
presente e con il proposito di conservare questo stato anche nel
futuro, escludendo anche il matrimonio e il suo uso.
Si distingue una triplice verginità:
I. La verginità
puramente fisica è quella della donna che ha conservato
l’integrità corporale. Questa ha una relazione soltanto
accidentale con la virtù in quanto da essa viene custodita,
ma, per sé, la virtù può esserci anche senza
verginità fisica (se è andata perduta per cause fuori
dell’atto sessuale o contro la volontà e può
mancare con essa se è rimasta intatta nonostante l’atto
sessuale completo volontario).
II. La verginità materiale o naturale, quella cioè
che fornisce la materia della virtù della verginità, è
l’immunità da ogni peccato mortale contro la castità,
escludendo anche il matrimonio e il suo uso.
III. La verginità formale è l’immunità
da qualsiasi peccato mortale esterno ed interno contro la castità
e cioè contro il 6° ed il 9° comandamento, in un
soggetto vergine, nel presente e nel futuro ed esclude anche
l’intenzione seria di sposarsi e di usare il matrimonio. Alla
verginità formale infatti non si oppone il matrimonio, ma il
suo uso; per es. Maria SSma fu sempre vergine anche se sposata.
Si può distinguere ancora un ‘altra triplice
verginità: la verginità davanti a Dio, davanti alla
Chiesa e davanti agli uomini.
I. La verginità davanti a Dio
si perde:
a) nella donna: esternamente, con un qualsiasi peccato mortale
contro il 6° comandamento con o senza rottura dell’imene e
con l’uso del matrimonio; interna mente, con un qualsiasi
peccato mortale contro il 9° comandamento e con l’intenzione
di sposarsi e di usare il matrimonio;
b) nell’uomo: esternamente, con un qualsiasi peccato mortale
contro il 6° comandamento e con l’uso del matrimonio;
internamente, con un qualsiasi peccato mortale contro il 9°
comandamento e con l’intenzione di sposarsi e di usare il
matrimonio.
Si dice che uno possiede 1’ “Innocenza
Battesimale”, quando nella sua vita non commise nessuna colpa
grave né con le opere né con i pensieri.
II. La verginità davanti alla Chiesa:
a) La donna rimane vergine finché non è stata
violata la sua integrità corporale (o l’imene) con un
atto coniugale volontario (o copula).
b) L’uomo rimane vergine finché non ha avuto un
rapporto intimo sessuale consumato volontario con una donna (o
copula).
III. La verginità davanti agli uomini (cioè quando
si può costatare):
a) La donna è vergine solo quando ha conservato l’integrità
corporale (o imene).
b) Nell’uomo non è possibile
costatare la sua verginità.
5 - La temperanza, è una virtù cardinale che
consiste nel moderare, entro i limiti del lecito e nella giusta
misura, i nostri istinti verso i piaceri che accompagna no il
mangiare e il bere (per la nostra conservazione) e gli atti sessuali
(per la conservazione della specie).
L’oggetto primario
della temperanza sono i piaceri del gusto e del tatto.
L’oggetto
secondario tutti gli atti che hanno qual che connessione con questi
piaceri.
2) Chiariti i termini principali relativi a questo tema, passiamo
a vedere chi sono i veri puri di cuore della beatitudine evangelica.
1 - Sono puri di cuore del Vangelo, in senso stretto e come viene
comunemente inteso, tutti coloro che — uomini e donne —
si astengono da qualsiasi specie di peccato sessuale proibito dal 6°
e dal 9° comandamento, per amore di Gesù Cristo, Figlio di
Dio, per la conquista del Regno dei Cieli.
I veri puri di cuore
esercitano la castità e la pudicizia nello stato in cui si
trovano (cfr. C.C.C. 1618 - 1620).
Coloro che hanno avuto da Dio
il dono di capire la preziosità e la bellezza della purezza,
hanno l’accorgi mento di evitare anche le occasioni remote, per
sé indifferenti, di trasgredire tale virtù, vivendo
nella santa temperanza; non solo, ma usano anche abbondantemente
tutti quei mezzi che Gesù ha messo a nostra disposizione:
preghiera, uso frequente dei sacra menti, meditazione,
mortificazione, vigilanza ecc., per conservare nel proprio essere
sempre incontaminata la bella virtù che, a ragione, è
stata simboleggiata con il candore del giglio.
Il più alto
grado di purezza si ha nella verginità formale davanti a Dio.
Ma non è necessario raggiungere il massimo grado per essere
puri di cuore. In tutti gli strati sociali lo si può essere:
Vescovi, sacerdoti, religiosi, fidanzati, sposati, vedovi, persone
non vincolate dal matrimonio; e in tutte le età.
Si deve
però qui ricordare quanto insegna, a questo proposito, il
Concilio di Trento, il quale afferma: “Lo stato di verginità
e di celibato è superiore a quello coniugale: è cosa
migliore, infatti, e più felice rimane re nella verginità
e nel celibato che unirsi in matrimonio” (Cfr. Conc. Trid.,
sess. XXIV, can. 10, DS. 980).
A questo riguardo è
opportuno tenere presente anche quanto dice Gesù: “I
discepoli gli dicono: ‘Se la condizione dell’uomo con la
donna è così, non conviene sposarsi’. Ed egli
rispose loro: ‘Non tutti comprendono questo linguaggio, ma
soltanto coloro ai quali è concesso. Infatti, ci sono degli
eunuchi che sono nati così dal seno della madre, e vi sono
eunuchi che sono stati evirati dagli uomini, e ci sono eunuchi che si
sono resi tali da sé per amore del Regno dei cieli. Chi può
comprendere, comprenda!” (Mt. 19, 10-12); è opportuno
considerare anche quanto dice S. Paolo (ICor. 7, 25-40).
Si devono
inoltre fare altri rilievi. Per appartenere alla categoria dei puri
di cuore della beatitudine evangelica, non basta solo la purezza, ma
bisogna tenere presente il fine per cui ci si conserva puri: l’amore
di Gesù Cristo, riconosciuto Figlio di Dio e la costante
tensione al Regno dei Cieli, da possedere, dopo la morte; la
contemplazione di Dio, Uno e Trino, per tutta l’eternità.
Non
si possono dire veri puri di cuore del Vangelo coloro che si
astengono da qualsiasi specie di impurità contro il sesto ed
il nono comandamento, perché, essendo anormali, non sentono
alcuna inclinazione alla sessualità o perché hanno
paura delle malattie o per qualsiasi altro motivo umano e
naturale.
Ciò che determina la purezza evangelica è
il fine per cui uno si conserva puro e cioè l’amore per
Gesù Cristo, Figlio di Dio, per ottenere il Regno dei Cieli,
il Paradiso, dopo la morte.
Sono puri di cuore in senso largo, e
in una maniera più completa, tutti coloro che si sforzano di
conservare la propria anima immune da qualsiasi specie di peccato,
cercando di essere fedeli ai propri doveri verso Dio, verso se stessi
e verso il prossimo, assumendo con diligenza gli impegni del proprio
stato, evitando qualsiasi forma di falsità e di ipocrisia,
mantenendo sempre la trasparenza della propria anima e avendo di mira
in tutto solo l’amore di Dio.
2 - Perché il Signore dice “beati i puri di cuore”
e non dice “beati i puri di corpo?”
E’ chiaro che con questa espressione Gesù intende una
purezza totale e completa di corpo e di spirito: in altre parole Egli
chiede la perfetta osservanza del sesto e del nono comandamento e
l’esercizio delle altre virtù.
La risposta a questo
interrogativo ce la dà Gesù stesso: “Dal di
dentro, infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono le
intenzioni cattive, fornicazioni, furti, omicidi, adulteri,
cupidigia, malvagità, inganno, impudicizia, invidia, calunnia,
superbia, stoltezza. Tutte queste cose vengono dal di dentro e
contaminano l’uomo” (Mc. 7,21).
Abbiamo imparato a
conoscere chi sono i puri di cuore del Vangelo: facciamo in modo di
essere anche noi tra questi; sforziamoci di raggiungere il grado di
purezza più alto possibile, disponendo il nostro spirito
all’incondizionato amore di Gesù Cristo, Figlio di Dio:
così Egli vuole essere amato.
Percorrendo questo cammino di
fede e di amore fattivo, meriteremo di possedere la beatitudine pro
messa da Gesù Cristo e di vedere Dio non solo nella
manifestazione del suo Creato ma anche e, soprattutto, faccia a
faccia, in cielo e per tutta l’eternità. (Cfr. C.C.C.
2517-2519).
2 - Il sesto comandamento (Non commettere atti impuri)
Il
sesto comandamento ci proibisce:
di commettere atti impuri di
qualsiasi specie; di metterci in occasione prossima di commetterli;
Il sesto comandamento, inoltre, ci ordina di essere santi nel corpo e
cioè di esercitare la virtù della castità.
Il
sesto comandamento ci proibisce di commettere atti impuri di
qualsiasi specie.
Prima di tutto cerchiamo di capire che cosa sia
l’atto impuro.
L’atto impuro (o di lussuria o venereo
o sessuale) è l’eccitazione degli organi sessuali,
prodotta, con piena Coscienza e volontà, in qualsiasi maniera,
in modo tale da provocare l’effusione del seme (polluzione)
nell’uomo o del liquido ghiandolare nella donna.
Chi, con
piena avvertenza della mente e deliberato consenso della volontà,
compie un atto impuro commette un peccato mortale, poiché
trasgredisce in maniera grave il sesto comandamento. Costui, infatti,
si serve delle forze della vita non per il fine previsto dal Creatore
— dare cioè la vita ad un’altra creatura —
ma per il piacere egoistico personale. Il commettere un atto impuro
significa anche compiere un furto al Creatore, il prendere per sé
qualche cosa che non appartiene alla creatura.
Il corpo, infatti,
(e tutta la persona) non è esclusiva proprietà
dell’uomo: Dio glielo ha dato in prestito, per ché lo
gestisca secondo determinate leggi delineate nei dieci comandamenti:
è un capitale che l’uomo deve amministrare bene in
questa vita, perché possa guadagnare la felicità eterna
nel Paradiso.
Il rapporto sessuale è lecito solo al marito
e alla moglie, validamente sposati, purché compiano l’atto
coniugale rettamente e in nessun modo impediscano la concezione della
prole. Non è lecito, pertanto, ad altre persone, compresi i
fidanzati, i quali acquistano tale diritto soltanto dopo aver
celebrato validamente il matrimonio.
Diverse sono le specie di
peccati impuri.
1 - La masturbazione (o peccato solitario) è il peccato
impuro commesso da soli.
2 - L’onanismo è il peccato
impuro commesso dai coniugi che, nel rapporto coniugale, impediscono
in qualsiasi maniera la concezione della prole, oppure fra un uomo e
una donna, ma in forma contro natura.
3 - La fornicazione è
il rapporto sessuale tra un uomo e una donna non sposati e liberi dai
vincoli del l’Ordine Sacro o dei voti o della parentela.
4 -
L’adulterio è il rapporto sessuale fra una persona
sposata con un’altra, che non è il proprio coniuge sia
mentre i rispettivi coniugi rimangono nel matrimonio sia divisi dal
divorzio.
5 - L’incesto è il rapporto sessuale tra
consanguinei o affini entro i gradi nei quali il matrimonio è
proibito dalla Chiesa.
(Consanguinei = secondi cugini, cfr. can.
1091, par. 2. Affini = qualsiasi grado solo in linea retta, cfr. can.
1092.)
6 - Il sacrilegio è la profanazione di una persona
consacrata a Dio con i voti religiosi o con l’Ordine Sacro
mediante un peccato impuro.
7 - Lo stupro è il rapporto
sessuale violento con una donna vergine (in senso stretto) o con una
non vergine (in senso lato).
Per violenza si intende qui non solo
quella fisica, ma anche quella morale e cioè contro sua
volontà.
8 - Il ratto (o rapimento) è il trasportare
violento di una persona da un luogo ad un altro con l’intento
di commettere con essa un peccato impuro.
9 - La prostituzione è
il prestarsi abitualmente per commettere atti impuri con tutti
indistintamente e dietro pagamento.
10 - L’omosessualità
(lesbismo o saffismo) è il peccato impuro commesso fra due
uomini o due donne.
11 - La bestialità è il peccato
impuro commesso con una bestia.
Chi compie con piena avvertenza
della mente e deliberato consenso della volontà ciascuna delle
sud dette specie di impurità commette un peccato mortale
contro il 6° comandamento, ma il più delle volte, nello
stesso tempo, secondo i casi, commette anche un altro peccato grave o
contro la pietà (incesto) o contro la religione (sacrilegio) o
contro la natura (sodomia e bestialità). Per es. chi commette
un adulterio — commette un peccato mortale contro la giustizia
verso il proprio marito (o la propria moglie) e un altro verso il
marito (o la moglie) della persona, compagna di pecca to se questa è
sposata.
2) Il sesto comandamento proibisce di metterci in occasione
prossima di commettere atti impuri.
Abbiamo detto che commette un
peccato mortale chi, con piena avvertenza e deliberato consenso,
compie un atto impuro. Ora dobbiamo aggiungere che commette peccato
mortale non solo chi compie un atto impuro, ma anche chi si mette,
con grave temerarietà, in occasione prossima di
compierlo.
Mettersi in occasione prossima di peccato equivale a
porsi in situazioni e circostanze che, si prevede, con molte
probabilità, possano indurre a cadere nel peccato impuro.
Compiendo quindi determinate azioni, coscienti e volute, noi
commettiamo peccato mortale, anche se poi, in realtà, il
peccato impuro non ci sarà e commettiamo peccato mortale,
perché noi siamo tenuti ad evitare non solo il peccato impuro
direttamente, ma anche quelle azioni che indirettamente e
prossimamente portano al medesimo.
Per es. se io so che leggendo
un libro cattivo, mi eccito in modo tale che, con molta probabilità,
cadrò nel peccato impuro, sono tenuto a non leggere quel
libro, e se lo leggo, conoscendo il pericolo grave in cui mi metto,
commetto un peccato mortale, anche se poi il peccato impuro non ci
sarà.
Quello che si è detto per il libro cattivo
vale anche per gli spettacoli immorali, per le figure pornografiche,
per gli atteggiamenti poco corretti da soli o in compagnia, ecc.
Se
le suddette azioni non diventano occasione prossima di peccato, ma
solo remota, cioè si prevedo no solo scarse probabilità
di cadere nell’atto impuro, allora il peccato non sarà
più mortale, ma veniale o addirittura non sussisterà,
secondo i casi, a meno che non ci sia stata l’intenzione di
arrivare al peccato Impuro.
Le principali e più comuni
occasioni o cause di caduta nel peccato impuro sono: gli sguardi; i
toccamenti, i baci, gli abbracci; gli atteggiamenti scomposti, i
cattivi compagni, i discorsi osceni, le immagini pornografiche, le
letture e gli spettacoli immorali, l’ozio, l’intemperanza
nel mangiare e nel bere, ecc.
Tutte queste occasioni o cause hanno
una connotazione particolare in relazione alla sensibilità di
ciascuna persona: non tutte producono gli stessi effetti in ogni
individuo, per es. ciò che per uno potrebbe essere occasione
prossima di peccato impuro, per un altro potrebbe diventare solo
remota o addirittura non sussistere o quasi.
Ognuno conosce se
stesso, la propria sensibilità e le proprie tendenze, perciò
deve evitare le occasioni e le cause che, con maggior facilità,
possano indurlo al peccato impuro.
Infine bisogna tenere presente
che in tutte queste azioni, occasioni e cause deve sempre essere
evitato lo scandalo, ossia il cattivo esempio verso coloro che per
età o limiti intellettuali o morali potrebbero trarne
conclusioni o comportamenti distorti.
3) Il sesto comandamento ci ordina:
Di esercitare la virtù
della castità, che, anche se tal volta è difficile, è
sempre possibile con l’aiuto del Signore.
Ci ordina di
essere santi nel corpo, portando il massimo rispetto alla propria e
all’altrui persona, che è tempio di Dio, tempio della
SS. Trinità.
Rileggiamo i passi seguenti della Sacra
Scrittura così chiari al riguardo: “Non sapete voi che
siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi?” (1
Cor. 3,16).
“ Questa è la volontà di Dio, la
vostra santificazione: che vi asteniate dalla impudicizia, che
ciascuno sappia mantenere il proprio corpo con santità e
rispetto, non come oggetto di passione e libidine, come i pagani che
non conoscono Dio, che nessuno offenda e inganni in questa materia il
proprio fratello, perché il Signore è vindice di tutte
queste cose, come già vi abbiamo detto e attestato. Dio non ci
ha chiamato all’impurità, ma alla santificazione. Perciò
chi disprezza queste norme, non disprezza un uomo, ma Dio stesso, che
vi dona il suo Santo Spirito” (lTs. 4,3-8).
“ Gesù
gli rispose: ‘Se uno mi ama, osserverà la mia parola e
il padre mio lo amerà, e verremo a lui e dimoreremo in lui”
(Gv. 14,2).
3 - Il nono comandamento (Non desiderare la donna
d’altri)
Il nono comandamento
1- ci proibisce di
desiderare la donna d’altri;
2 - ci ordina la perfetta
purezza dell’anima.
1) Il nono comandamento ci proibisce di desidera re la donna
d’altri.
L’espressione “non desiderare la donna
d’altri” si deve intendere come la proibizione di
qualsiasi specie di pensieri e desideri impuri, che, comunemente,
vengono chiamati “pensieri cattivi”.
Il sesto
comandamento, come già abbiamo visto, ci proibisce ogni specie
di impurità nelle azioni e cioè nel corpo; il nono,
invece, ci proibisce ogni sorta di impurità nei pensieri e nei
desideri e cioè nello spirito, nell’anima.
Il
pensiero impuro è la deliberata compiacenza di quelle azioni,
che sono proibite nel sesto comandamento, rappresentate nella mente o
nell’immaginazione, senza che vi sia la volontà di
compierle.
Il pensiero impuro è peccato, perché ci
si diletta di cose proibite dalla legge di Dio, e il peccato è
della stessa gravità e della stessa specie dell’azione
che ci si rappresenta nel pensiero e di cui ci si compiace.
il
desiderio impuro acconsentito è la volontà di compiere
quelle azioni che sono proibite nel 6° comandamento.
il
desiderio impuro acconsentito è peccato della stessa gravità
e della stessa specie dell’azione che si desidera compiere.
Non
è in nostro potere impedire i cattivi pensieri:
essi sono
infatti una conseguenza del peccato origina le, ma è in nostro
potere ed è nostro dovere non accettarli. Altro è il
sentire e altro è l’acconsentire. Si commette peccato
solo quando si acconsente a questi cattivi pensieri, cioè
quando si accettano con la volontà.
Gli sguardi, i
toccamenti, i baci, gli abbracci, gli atteggiamenti scomposti, i
cattivi compagni, i discorsi osceni, le immagini pornografiche, le
letture e gli spettacoli immorali, l’ozio, l’intemperanza
nel mangiare e bere, ecc. sono peccato mortale o veniale solo se
rientrano negli atti impuri nell’indurre in occasione prossima
o remota di compierli oppure se portano a pensieri o desideri impuri.
Se non rientrano in questi non sono neppure peccato.
2) Il nono comandamento ci ordina la perfetta purezza
dell’anima.
Il sesto comandamento ci ordina la purezza del
corpo, imponendoci l’astensione da qualsiasi specie di atti
impuri.
Il nono comandamento va più avanti, allorché
impone di rigettare subito ogni pensiero e desiderio impuro.
Il
nostro corpo e la nostra anima, infatti, sono tempio di Dio, tempio
della SSma Trinità.
4 - Il sesso anormale
A questo punto sembra
opportuno fare una considerazione chiarificatrice circa il sesso
normale e quello anormale.
Si deve intendere per sesso normale
l’inclinazione sessuale comune che l’uomo sente verso la
donna e viceversa.
Il sesso anormale è di quelle persone,
uomini o donne, che, per natura (o perché l’hanno
acquisita), sentono un’inclinazione sessuale non comune ma ano
mala. Tali anomalie sessuali, molte volte, non dipendo no dai singoli
individui, ma dalla natura ricevuta in sorte e, specialmente nelle
forme più gravi, rivelano un fondo patologico e, talvolta,
conducono a perversioni sessuali.
Le anomalie (perversioni)
sessuali si sogliono distinguere in due categorie.
1) La prima categoria comprende i casi in cui il rapporto è
comune, normale, però lo scopo di esso non è tanto il
comune rapporto ma questo è subordinato ad altre esigenze.
Le
principali specie ditali perversioni sono le seguenti.
La
scopofilia è una perversione sessuale in cui il soggetto prova
una voluttà abnorme alla vista delle nudità di persone
di altro sesso o degli atti erotici altrui.
L’esibizionismo
è una perversione sessuale in cui il soggetto prova un’abnorme
voluttà nel mostrare agli altri le proprie nudità.
Il
sadismo (dal marchese De Sade, che lo ha descritto nei suoi romanzi)
è una perversione sessuale in cui il soggetto eccita la
dilettazione venerea con immagini e azioni che contengono una
crudeltà e veemenza attiva, per es. con il percuotere,
flagellare, soffocare, pungere la pelle altrui, trucidare, ecc.
Il
masochismo (dal poeta Sacher Masoch che difendeva questa perversità)
è una perversione sessuale in cui la libidine sorge dalla
crudeltà passiva e da violenze subite o immaginate, per es.
essere percossi, flagellati, torturati fino al sangue,ecc.
2) La seconda categoria comprende i casi in cui il rapporto è
diverso da quello normale e si ha quindi l’omosessualità
che è una perversione sessuale in cui il soggetto (uomo o
donna) sente una inclinazione erot ca verso individui dello stesso
sesso.
Le varie forme di omosessualità sono le seguenti:
I. La sodomia è il coito anale compiuto fra due uomini o
fra un uomo e una donna.
II La pederastia (pedofilia) è un
atto sodomitico effettuato su un fanciullo o fanciulla.
III. Il
lesbismo o saffismo è il peccato impuro compiuto fra due
donne.
Gli omosessuali vengono distinti in attivi e passivi ed il
grado di morbosità è maggiore nei maschi passivi e
nelle femmine attive.
In questi casi sembra che alla radice del
disturbo vi sia spesso un’insufficiente differenziazione
psicosessuale dei soggetti.
IV. Il travestitismo od eonismo (il
piacere di vestire gli abiti del sesso opposto) è il fenomeno
psicosessuale nel quale il soggetto (per lo più uomo) recita
il ruolo del sesso opposto pur essendo consapevole di appartenere ad
un sesso determinato. In questa dimensione il soggetto ricerca
l’identificazione sessuale nell’abbigliamento e
nell’assunzione dei gusti , delle abitudini e delle condotte
del sesso opposto.
V. il transessualismo è la sindrome
psicosessuale caratterizzata dal sentimento provato da un individuo
di sesso determinato di appartenere al sesso opposto; a tale
sentimento si accompagna il desiderio di cambiare la propria
configurazione somatosessuale con trattamenti chirurgici o
ormonali.
VI. Il feticismo è una perversione sessuale che
consiste nella soddisfazione ottenuta con il contatto solo di
determinate parti o di determinati orna menti di persona dell’altro
sesso; la tendenza al possesso dell’oggetto feticistico suole
essere di natura ossessiva e può scatenare impulsi
irrefrenabili a rubare quel determinato oggetto.
VII. La
bestialità è la perversione sessuale nella quale
l’individuo trova soddisfacimento nel rapporto con
animali.
VIII. La necrofilia, che è forse il massimo dei
perverti menti sessuali ed ha attinenza anche con il summenzionato
sadismo, è una perversione in cui il soggetto cerca la
soddisfazione sui cadaveri.
3) La sessualità secondo la forza dello stimolo si può
dividere anche nelle seguenti quattro categorie.
I. La paradossia
sessuale (dal latino paradoxum = che è contro la comune
opinione = strano) avvie ne quando si hanno stimoli sessuali nel
tempo nel quale, secondo la norma generale, non è ancora
iniziata la facoltà di generare oppure è già
finita,
come per es. nei fanciulli prima dei sette anni o nei
vecchi decrepiti.
II. L’anestesia sessuale (dal greco
di-’ataOi = insensibilità) si ha quando il piacere
sessuale non può essere eccitato da nessuna cosa.
Raramente
si trovano uomini di tal genere e per la loro impotenza di coito non
possono contrarre un matrimonio valido. Questi sono gli uomini
cosiddetti “frigidi”; altrettanto può dirsi delle
donne.
III. L’iperstesia sessuale si trova in quei soggetti,
che sentono uno stimolo sessuale del tutto straordinario. Questa
spinta di sessualità spesso è congiunta con qualche
forma di parestesia sessuale.
IV. La parestesia sessuale (dal
greco napd = prep. da, lontano da, e da a = sensazione; stato
anormale, alterazione della sensibilità) si ha quando la vita
sessuale non è stimolata dalle cose pertinenti ai piaceri
venerei, ma da altri elementi del tutto alieni dalla vita
sessuale.
Le forme principali relative a questa perversione sono
il sadismo, il masochismo, il feticismo e l’omosessualità.
Bisogna
distinguere, infine, l’omosessualità come tendenza, dai
peccati commessi con persone dello stesso sesso, da coloro che non
hanno occasione o possibilità di peccare con persone di sesso
diverso.
4) Responsabilità
Anche coloro che, per natura sono
portati ad una sessualità anormale sono tenuti ad esercitare
la virtù della purezza, se vogliono essere veri
cristiani.
L’anormalità sessuale, ereditata dalla
natura, non è motivo di segregazione, perché tutti gli
uomini e tutte le donne sono nati con il peccato originale e tutti
porta no nel loro essere l’effetto nefasto della concupiscenza
sessuale. Si tratta di forme diverse della stessa concupiscenza e
cioè concupiscenza sessuale normale o anormale.
Non ha un
merito o un demerito chi ha ereditato l’una o l’altra
tendenza sessuale. Ambedue i soggetti devono lottare contro le
sregolate inclinazioni sessuali per conservarsi puri nel corpo e
nello spirito per amore di Gesù Cristo, per la conquista del
Regno dei Cieli.
Anche i cosiddetti anormali, pertanto, possono e
devono dominarsi, giacché tutte le azioni libere sono da
attribuire all’individuo, fintanto che non è perduta la
consapevolezza della responsabilità e gli atti vengo no
compiuti con piena cognizione e libera volontà.
Una
maggiore o minore veemenza di passione si ha tanto negli anormali
come nei normali.
Forme patologiche di impurità, inoltre,
si trovano sia negli uni come negli altri.
La responsabilità
dei singoli soggetti si giudica secondo i principi generali degli
atti umani.
E un grande atto di fede e di umiltà accettarsi
come si è e portare quelle croci e sofferenze che Dio, giorno
per giorno ci manda, lottando contro il male, contro le inclinazioni
cattive in qualsiasi forma si presentino.
Quello che interessa è
combattere con grande spirito di fede e di amore verso Gesù
Cristo, secondo l’insegnamento di S. Paolo:
“ Ora
quelli che sono di Cristo Gesù hanno crocifisso la loro carne
con le sue passioni e concupiscenze” (Gai. 5, 24).
(Cfr.
Lettera Congr. della Fede, “De pastorali per sonarum
homosexualium cura”, del 1-10-1986). Certe forme di
omosessualità non sono assolutamente irrisolubili. Spesso la
soluzione del problema si trova in una “ricostruzione”
della personalità del soggetto. Infatti la perversione
sessuale è il risultato di “vuoti” più o
meno pari del carattere (timidezza, insicurezza, ecc.). Risolti tali
aspetti il soggetto ha molte possibilità di ritornare ad
un’affettività normale, con normali tendenze.
5 - È peccato l’impurità?
Quante
volte si sente dire, specialmente da persone giovani: perché è
peccato l’impurità? chi l’ha detto? E si prosegue
con insistenza, che vorrebbe essere persuasiva, affermando che le
forze della vita, il sesso, l’a more e la bellezza del corpo
sono certamente elementi positivi nella nostra esistenza terrena,
sono doni che Dio ha dato all’uomo e alla donna, quindi non si
capisce come mai l’uso di questi beni possa essere
peccato.
Rispondere a questo quesito non sembra difficile. Va
subito detto che, non solo Dio non ha proibito l’uso di tali
beni, ma anzi l’ha comandato. Così, infatti, si legge
nella Scrittura: “Crescete, moltiplicatevi e riempite la terra”
(Gn. 1,28). E l’esplicito comando di Dio ai primi uomini.
Si
deve precisare, però, che Dio in tale uso ha messo dei limiti
ben distinti; chi oltrepassa questi con fini commette peccato.
La
nostra ricerca sta proprio in questo: arrivare a conoscere, con
chiarezza, la linea di demarcazione in materia tra il lecito e
l’illecito, tra la purezza e l’impurità.
1) Prima di sentire che cosa Dio vuole da noi a questo proposito,
ascoltiamo la ragione per sapere se ha qualche cosa da insegnarci.
La
sana ragione, non turbata dalle passioni, ci dà grandi
insegnamenti. La coscienza retta, infatti, suggerisce ad ogni
creatura umana ciò che è lecito e ciò che è
illecito, non solo in questo campo, ma in tutti i settori
dell’attività umana responsabile e ciò perché
la legge di Dio è impressa nel nostro essere.
La coscienza,
prima di compiere una azione, ci dice se ciò che stiamo per
fare è lecito o illecito (coscienza antecedente); ci
accompagna nel compi mento dell’azione (coscienza concomitante)
e, infine, ci loda o ci rimprovera dopo che abbiamo terminata
l’azione (coscienza conseguente).
Se abbiamo operato il
male, sentiamo dentro di noi il rimorso, cioè una voce
interiore, che ci dice che abbiamo trasgredito la legge di Dio.
Questa voce, però, è avvertita con chiarezza solo da
una sana ragione, non turbata dalle passioni; il depravato che ha
perduto ogni senso del pudore, diventa sordo ai richiami della
Coscienza.
Si deve, però, osservare che molto difficilmente
si riesce a far tacere del tutto la voce della coscienza, a meno che
il livello di sensibilità morale sia completa mente assente
per inveterata assuefazione al vizio e al peccato. (Cfr. “Gaudium
et Spes”, 16).
2) Ascoltiamo che cosa Dio, nel Vecchio Testamento, ci dice
dell’impurità.
Esaminiamo le più importanti
espressioni, che si trovano nel Vecchio Testamento, su questo
argomento. Le frasi sono così chiare e precise che non hanno
bisogno di spiegazione, per cui riporteremo il Testo Sacro senza
alcun commento.
“ Dio allora pronunciò tutte queste
parole:
non commettere adulterio.., non desiderare la donna
d’altri.., non desiderare la moglie del tuo prossimo...”
(Es. 20, 1.14.17).
Vengono ricordati i peccati contro il sesto e
il nono comandamento.
presa la pena di morte, riservate a coloro
che commettono tali peccati impuri.
“ Se uno ha rapporti con
un uomo come con una donna, tutti e due hanno commesso un abominio;
dovranno essere messi a morte; il loro sangue ricadrà su di
loro” (Lv. 20, 13).
Viene condannata l’omosessualità.
“
L’uomo che si abbrutisce con una bestia, dovrà essere
messo a morte; dovrete uccidere anche la bestia. Se una donna si
accosta ad una bestia per lordarsi con essa, ucciderai la donna e la
bestia; tutte e due dovranno essere messe a morte; il loro sangue
ricadrà su di loro” (Lv. 20, 15).
Viene condannata la
bestialità.
Il Signore disse allora a Mosè:
“
... nessuno si accosterà a una sua consanguinea, per avere
rapporti con lei. Io sono il Signore. Non recherai oltraggio a tuo
padre avendo rapporti con tua madre... tua matrigna.., tua sorella...
figlia di tuo figlio o della figlia di tua figlia.., figlia della tua
matrigna.., sorella di tuo padre... sorella di tua madre... moglie
del fratello di tuo padre... tua nuora... tua cognata...” (Lv.
18,1, 6-16).
Qui vengono proibiti i peccati di incesto, e in Lv.
20, 10-21, Dio stabilisce gravi pene, con
“ Se un uomo sarà
sorpreso in fragrante a giacere con una donna maritata, siano ambedue
messi a morte...” (Dt. 22, 22).
Dio stabilisce la pena per
l’adulterio.
“ Se una fanciulla vergine è
fidanzata, e un uomo, trovandola nella città, giacerà
con lei, siano con dotti ambedue fuori della porta della città
e siano lapidati, finché muoiano...” (Dt. 22, 23).
Dio
stabilisce la pena per la fornicazione.
“ Se un uomo trova
una giovane fidanzata per i campi e facendole violenza giace con lei,
muoia soltanto l’uomo che ha peccato con quella; ma non far
nulla alla giovane, essa non ha commesso colpa degna di morte...”
(Dt. 22, 25-26).
Dio stabilisce la pena per lo stupro.
“
Giuda poi dette in moglie ad Er, suo primogenito, una donna di nome
Tamar, ma Er, primogenito di Giuda, spiacque al Signore, che Io fece
morire. Perciò Giuda disse ad Onan: ‘Entra dalla moglie
di tuo fratello, compi il tuo dovere di cognato e suscita prole a tuo
fratello’. Ma Onan, sapendo che la prole non sarebbe stata sua,
quando si accostava alla moglie di suo fratello, emetteva (il seme)
in terra, per non dar prole a suo fratello. Ciò che egli
faceva dispiacque molto al Signore, che fece mori re anche lui”
(Gn. 38, 6-9).
Onan voleva per sé la successione del
fratello Er; perciò rendeva impossibile che, dal suo
matrimonio con Tamar, nascessero figli. Il suo peccato di usare il
matrimonio, impedendone la prole, è da Dio chiamato
abominevole e punito con la morte.
3) Ascoltiamo che cosa Gesù Cristo ci dice dell’impurità.
“
Avete udito che è stato detto: ‘Non commetterai
adulterio’. Io, invece, vi dico che chiunque guarda una donna
desiderandola, ha già commesso adulte rio con lei nel suo
cuore” (Mt. 5, 27-28).
Gesù condanna non solo
l’adulterio, proibito nel sesto comandamento, ma anche il solo
desiderio di adulterio, fornicazione ecc. proibito nel nono
comandamento.
“É stato detto: ‘Chi ripudia la
propria moglie, le dia un atto di divorzio’. Io, invece, vi
dico che chiunque ripudia la propria moglie, eccetto in caso di
fornicazione (concubinato), la rende essa adulte ra; e chi sposa una
ripudiata, commette adulterio” (Mt. 5, 3 1-32) e anche (Mt. 19,
3-9).
Gesù condanna il divorzio e il libero amore.
“
Gli dissero i discepoli: ‘Se questa è la condizione
dell’uomo rispetto alla donna, non conviene sposarsi ’.
Egli rispose loro: “Non tutti possono capirlo, ma solo a coloro
ai quali è stato concesso. Vi sono infatti eunuchi che sono
nati così dal ventre della madre; ve ne sono alcuni che sono
stati resi eunuchi dagli uomini e vi sono altri che si sono fatti
eunuchi per il Regno dei cieli. Chi può capire, capisca”
(Mt. 19, 10-12).
Gesù ci insegna che per poter condurre una
vita celibataria, bisogna avere una vocazione speciale.
“Dal
di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono le
intenzioni cattive: fornicazioni... adulteri... impudicizia... Tutte
queste cose cattive vengo no fuori dal di dentro e contaminano
l’uomo” (Mc. 7, 2 1-23).
Con queste espressioni Gesù
condanna la fornicazione, l’adulterio e ogni specie di atti
impuri non completi: li chiama, infatti, cattivi e dice che
contaminano l’uomo.
Consideriamo il caso dell’adultera.
“
Rimase solo Gesù con la donna là in mezzo. Alza tosi
allora Gesù le disse: ‘Donna, dove sono? Nessuno ti ha
condannata?’ Ed ella rispose: ‘Nessuno, Signore’. E
Gesù le disse: ‘Neanch’io ti condanno; va’ e
d’ora in poi non peccare più” (Gv. 8, 9-11).
Gesù,
pur avendo comprensione e misericordia, riconosce che è
peccato l’adulterio e dice alla donna di non ripeterlo più
in avvenire, appunto perché è una grave trasgressione
della legge di Dio.
“ Questa razza di demoni (impuri) non si
scaccia se non con la preghiera e il digiuno” (Mt. 17,
21).
Gesù ci indica i mezzi per vincere l’impurità:
la preghiera e il digiuno.
4) Ascoltiamo che cosa gli Apostoli ci
dicono del l’impurità.
S. Giacomo il Minore nel
discorso di Gerusalemme afferma:
“ Per questo io ritengo che
non si debba importuna re quelli che si convertono a Dio tra i
pagani, ma solo si ordini loro di astenersi dalle sozzure degli
idoli, dalla impudicizia,...” (At. 15, 19-20).
Gli Apostoli,
gli anziani e tutta la Chiesa di Gerusalemme inviarono una Lettera ai
fratelli di Antiochia e di Cilicia, nella quale dicono:
“
Abbiamo deciso, lo Spirito Santo e noi, di non imporvi nessun altro
obbligo al di fuori di queste cose necessarie: astenervi dalle carni
offerte agli idoli, dal sangue, dagli animali soffocati e dalla
impudicizia. farete cosa buona perciò a guardarvi da queste
cose. State bene” (At. 15, 28-29).
Sia il discorso di 5.
Giacomo il Minore che la Lettera Apostolica esortano i primi
cristiani ad astener si dall’impudicizia, il che significa da
ogni forma di impurità.
S. Paolo, nelle sue Lettere afferma
dell’impurità quanto segue:
“ Non regni più
dunque il peccato nel vostro corpo mortale sì da sottomettervi
ai suoi desideri;...” (Rm. 6, 12).
S. Paolo esorta a
rinunciare ai desideri peccaminosi del corpo.
“La donna sposata, infatti, è legata dalla legge al
marito finché egli vive; ma se il marito muore è libera
dalla legge che la lega al marito. Ella sarà dunque chiamata
adultera se, mentre vive il marito, passa ad un altro uomo, ma se il
marito muore essa è libera dalla legge e non è più
adultera se passa ad un altro uomo...” (Rm. 7, 2-3).
S.
Paolo insegna l’indissolubilità del matrimonio per tutta
la vita.
“ Quelli infatti che vivono secondo la carne, pensa
no alle cose della carne; quelli invece che vivono secondo lo
Spirito, alle cose dello Spirito. Ma i desideri della carne portano
alla morte, mentre i desideri dello Spirito portano alla vita e alla
pace. Infatti i desideri della carne sono in rivolta contro Dio,
perché non si sottomettono alla sua legge e neanche lo
potrebbero. Quelli che vivono secondo la carne non possono piacere a
Dio” (Rm. 8, 5-8).
S. Paolo ci dice che se seguiamo i
desideri peccaminosi della carne non possiamo piacere a Dio.
“
... se vivete secondo la carne, voi morirete...” (Rm. 8,13).
S.
Paolo ci avvisa che se vivremo secondo la carne, moriremo
spiritualmente.
“ Si sente da per tutto parlare di
immoralità tra voi, e di una immoralità tale che non si
riscontra neanche tra pagani, al punto che uno convive con la moglie
di suo padre. E voi vi gonfiate di orgoglio, piuttosto che esserne
afflitti, in modo che si tolga di mezzo a voi chi ha compiuto una
tale azione! Orbene, io, assente con il corpo ma presente con lo
spirito ho già giudicato come se fossi presente colui che ha
compiuto tale azione: nel nome del Signore nostro Gesù,
essendo radunati insieme voi e il mio spirito, con il potere del
Signore nostro Gesù, questo individuo sia dato in balia di
satana per la rovina della sua carne, affinché il suo spirito
possa ottenere la salvezza nel giorno del Signore” (1Cor. 5,
1-5).
S. Paolo parla dell’incestuoso di Corinto.
“
Non illudetevi: né immorali, né idolatri, né
adulteri, né effeminati, né sodomiti, né ladri,
né avari, né ubriaconi, né maldicenti, né
rapaci erediteranno il regno di Dio” (ICor. 6, 9-10).
S.
Paolo dice che gli impuri non potranno entrare nel Regno dei cieli.
“
... il corpo non è per l’impudicizia, ma per il Signore,
e il Signore è per il corpo. Dio poi, che ha risuscitato il
Signore, risusciterà anche noi con la sua potenza.
Non
sapete che i vostri corpi sono membra di Cri sto?
Prenderò
dunque le membra di Cristo e ne farò membra di una prostituta?
Non sia mai! O non
sapete voi che chi si unisce alla prostituta
forma con essa un corpo solo? ‘I due saranno, è detto,
un corpo solo’. Ma chi si unisce al Signore forma con lui un
solo spirito. Fuggite la fornicazione! Qualsiasi peccato l’uomo
commetta, è fuori dal suo corpo; ma chi si dà alla
fornicazione, pecca contro il proprio corpo. O non sapete che il
vostro corpo è tempio dello Spirito Santo che è in voi
e che avete da Dio, e che non appartenete a voi stessi? Infatti siete
stati comprati a caro prezzo. Glorificate dunque Dio nel vostro
corpo!” (iCor. 6, 13-20).
S. Paolo combatte il peccato
impuro.
“ Quanto poi alle cose di cui mi avete scritto, è
cosa buona per l’uomo non toccare donna; tuttavia, per il
pericolo dell’incontinenza, ciascuno abbia la pro pria moglie e
ogni donna il proprio marito.
Il marito compia il suo dovere verso
la moglie; ugualmente la moglie verso il marito. La moglie non è
arbitra del proprio corpo, ma lo è il marito, allo stesso modo
anche il marito non è arbitro del proprio corpo, ma lo è
la moglie. Non astenetevi tra voi se non di comune accordo e
temporanea mente, per dedicarvi alla preghiera, e poi ritornate a
stare insieme, perché satana non vi tenti nei momenti di
passione. Questo però dico per concessione, non per comando.
Vorrei che tutti fossero come me; ma ciascuno ha il proprio dono da
Dio, chi in un modo, chi in un altro.
Ai non sposati e alle vedove
dico: è cosa buona per loro rimanere come sono io; ma se non
sanno vive re in continenza, si sposino; è meglio sposarsi che
ardere.
Agli sposati poi ordino, non io, ma il Signore: la moglie
non si separi dal marito — e qualora si separi, rimanga senza
sposarsi o si riconcili con il marito — e il marito non ripudi
la moglie. Agli altri dico io, non il Signore: se un nostro fratello
ha la moglie non credente e questa consente a rimane re con lui, non
la ripudi; e una donna che abbia il marito non credente, se questi
consente a rimanere con lei, non lo ripudi: perché il marito
non credente viene reso santo dalla moglie credente e la moglie non
credente viene resa santa dal marito credente; altrimenti i vostri
figli sarebbero impuri, mentre invece sono santi. Ma se il non
credente vuoi separarsi, si separi; in queste circostanze il fratello
o la sorella non sono soggetti a servitù; Dio vi ha chiamati
alla pace! E che sai tu, donna, se salverai il marito? O che sai tu,
uomo, se salverai la moglie?” (ICor. 7, 1-16).
S. Paolo
detta le norme di un sano matrimonio cristiano.
“ Quanto
alle vergini, non ho alcun comando dal Signore, ma do un consiglio.
Penso dunque che sia bene per l’uomo, a causa della presente
necessità, di rimanere così. Ti trovi legato ad una
donna? Non cercare di scioglierti. Sei sciolto da donna? non andare a
cercarla, però se ti sposi non fai peccato e se la giovane
prende marito, non fa peccato. Tutta via costoro avranno tribolazioni
nella carne, e io vorrei risparmiarvele” (1 Cor. 7,25-28).
“
La moglie è vincolata per tutto il tempo in cui vive il
marito; se il marito muore è libera di sposa re chi vuole,
purché ciò avvenga nel Signore. Ma se rimane così,
a mio parere è meglio; credo infatti di avere anch’io lo
Spirito di Dio” (1 Cor. 7, 39-40).
S. Paolo dà alcuni
consigli circa lo stato di verginità:
“ Del resto le
opere della carne sono ben note: fornicazione, impurità,
libertinaggio, idolatria, stregoneria, inimicizie, discordia,
gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, invidie, ubriachezze, orge e
cose del genere; circa queste cose vi preavviso, come già ho
detto, che chi le compie non erediterà il Regno di Dio”
(Gai. 5, 19-2 1).
S. Paolo avvisa che chi compie ogni forma di
impurità grave non potrà entrare nel Regno di Dio e
cioè nel Paradiso.
“ Quanto alla fornicazione e ad
ogni specie di impurità o cupidigia, neppure se ne parli tra
voi, come si addice a santi; lo stesso si dica per le volgarità,
insulsaggini, trivialità: cose tutte sconvenienti. Si rendano
invece azioni di grazie! Perché, sappiatelo bene, nessun
fornicatore, o impuro, o avaro — che è roba da idolatri
— avrà accesso al Regno di Cristo e di Dio” (Ef.
5,3 - 5).
S. Paolo ripete anche agli Efesini la minaccia di
esclusione dal Regno dei Cieli per coloro che compiono ogni specie
grave di impurità e condanna anche la sconvenienza del parlare
volgare e triviale.
“ Mortificate dunque quella parte di voi
che appartiene alla terra: fornicazione, impurità, passioni,
desideri cattivi e quella avarizia insaziabile che è
idolatria, cose tutte che attirano l’ira di Dio su coloro che
disobbediscono. Anche voi un tempo eravate così, quando la
vostra vita era immersa in questi vizi. Ora invece deponete anche voi
tutte queste cose: ira, passione, malizia, maldicenze e parole oscene
dalla vostra bocca” (Col. 3, 5-8).
S. Paolo dice che i
peccati impuri attirano l’ira di Dio su coloro che li compiono
ed esorta a togliere le parole oscene dalla bocca di ognuno.
“
Perché questa è la volontà di Dio, la vostra
santificazione: che vi asteniate dalla impudicizia, che ciascuno
sappia mantenere il proprio corpo con santità e rispetto, non
come oggetto di passioni e libidine, come i pagani che non conoscono
Dio; che nessuno offenda e inganni in questa materia il proprio
fratello, perché il Signore è vindice di tutte queste
cose, come già vi abbiamo detto ed attestato. Dio non ci ha
chiamati all’impurità, ma alla santificazione. Perciò
chi disprezza queste norme non disprezza un uomo, ma Dio stesso, che
vi dona il suo Santo Spirito” (lTs. 4,3-8).
S. Paolo ci
spinge ad astenerci da ogni forma di impurità per tendere alla
santità con tutte le nostre forze.
S. Giacomo il Minore
dell’impurità afferma:
“ Nessuno, quando è
tentato, dica: ‘Sono tentato da Dio’; perché Dio
non può essere tentato dal male e non tenta nessuno al male.
Ciascuno piuttosto è tentato dalla propria concupiscenza che
lo attrae e lo seduce; poi la concupiscenza concepisce e genera il
peccato, e il peccato quand’è consumato, pro duce la
morte” (Gc. 1, 13-15).
S. Giacomo il Minore nella sua
lettera cattolica ci insegna che le tentazioni non provengono da Dio,
ma dalla concupiscenza di ciascuno, e il peccato, una volta
consumato, produce la morte spirituale dell’anima.
S. Pietro
a proposito dell’impurità dice:
“ Il Signore sa
liberare i pii dalla prova e serbare gli empi per il castigo nel
giorno del giudizio, soprattutto coloro che nelle loro impure
passioni vanno dietro alla carne e disprezzano il Signore... Essi
stimano felicità il piacere d’un giorno; sono tutta
sporcizia e vergogna; si dilettano dei loro inganni mentre fanno
festa con voi; hanno gli occhi pieni di disonesti desideri e sono
insaziabili di peccato, adescano le anime instabili, hanno il cuore
rotto alla cupidigia, figli di maledizione! ... Costoro sono come
fonti senz’acqua e come nuvole sospinte dal vento: a loro è
riserbata l’oscurità delle tenebre. Con discorsi
gonfiati e vani adescano mediante le licenziose passioni della carne
coloro che si erano appena allontanati da quelli che vivono
nell’errore. Promettono loro libertà, ma essi stessi
sono schiavi della corruzione” (2Pt. 2, 9-19).
S. Pietro
parla del castigo riservato a coloro che vanno dietro alle loro
impure passioni, trascinando con sé i deboli, illudendoli con
una falsa scienza.
S. Giuda così parla dell’impurità:
“
Così Sodoma e Gomorra e le città vicine, che si sono
abbandonate all’impudicizia allo stesso modo, e sono andate
dietro a vizi contro natura, stanno come esempio subendo le pene di
un fuoco eterno” (Gd. 7).
S. Giuda, nella sua lettera,
ricorda i castighi che stanno subendo nell’inferno — e
sono di esempio — coloro che si sono abbandonati ad ogni specie
di impurità.
5) Ascoltiamo che cosa la Chiesa ci dice
dell’impurità.
Esaminando la dottrina della Chiesa
sull’impurità lungo la sua storia di venti secoli,
dobbiamo costatare che essa è sempre stata conforme
all’insegnamento che Dio, Gesù Cristo e gli Apostoli
hanno rivelato.
Tale dottrina è riassunta in quello che è
stato già ricordato circa il sesto, il nono comandamento e il
sesso anormale.
E opportuno, tuttavia, ricordare gli ultimi
documenti della Sede Apostolica su questo argomento che riassumono
tale dottrina insegnata lungo il corso dei secoli.
1 - Circa la masturbazione sia il Magistero della Chiesa —
nella linea di una tradizione costante — sia il senso morale
dei fedeli, hanno sempre affermato, senza esitazione, che la
masturbazione è un atto intrinsecamente e gravemente
disordinato, che costituisce oggettivamente una colpa grave. Per la
responsabilità personale poi si devono tener presenti tutte le
circo stanze attenuanti o aggravanti che accompagnano soggettivamente
i singoli casi.
Bisogna ricordare che ogni atto genitale umano
deve svolgersi solo nel quadro del matrimonio, realizzando “in
un contesto di vero amore, l’integro senso della mutua
donazione e della procreazione umana” (Cfr. Conc. Vat. I!,
“Gaudium et Spes”, 51; Dich. della Congr. per la Dottrina
della Fede, “Persona humana”, 1975; C.C.C. 2352; Leone
IX, Ep. “Ad spendidum nitetis”, ad S. Petrum Damiani, a.
1054, DS. 687-688; prop. 49 condannata da Innocenzo XI, Decreto del
S. ufficio, 2marzo 1679, DS. 1269).
2 - Circa l’atto coniugale (o rapporto intimo o relazione
sessuale) la Chiesa ha sempre insegnato che l’atto coniugale (o
rapporto intimo o relazione sessuale) può essere compiuto solo
dal vero marito e dalla vera moglie nell’ambito del matrimonio
legittimamente celebrato, come giustamente dice l’aggettivo
“coniugale” che l’accompagna e cioè dai veri
coniugi.
La Chiesa insegna inoltre che tale atto può essere
compiuto dai coniugi non in qualsiasi maniera ma in un modo ben
determinato e cioè deve essere sempre aperto alla vita.
Tale
dottrina, ribadita sempre nel corso dei secoli, è stata
riassunta recentemente in alcuni documenti della Sede Apostolica.
Pio
XI, nella Enciclica “Casti Connubi” del 31 Dic. 1930,
dichiara solennemente: “... qualsiasi uso del matrimonio in cui
per la umana malizia l’atto sia destituito della sua naturale
virtù procreatrice, va contro la legge di Dio e della natura,
e coloro che osano commettere tali azioni, si rendono rei di colpa
grave...”.
La stessa dottrina è ripetuta anche
da:
Pio XII, nel “Discorso alle ostetriche” del 29
Ott. 1951 e dal Conc. Vat. Il, “Gaudium et Spes” nn. 48,
50 e51;
Paolo VI, nell’Enciclica “Humaae Vitae”
del 25 Luglio 1968, nn. 11 e 14;
Giovanni Paolo Il, nell’Esort.
Apost. “Familiaris Consortio” del 22 Nov. 1981, p. III,
n. 29; nella Dich. della Congregazione per la Dottrina della Fede,
“Per sona Humana” del 29 Dic. 1975; C.C.C. 2360-239 1.
La
Chiesa, infine, insegna che tale atto è grave mente proibito
ai fidanzati, ai conviventi, ai vedovi e a tutti gli altri uomini e
donne che non siano uniti da un valido vincolo matrimoniale.
3 - Circa l’omosessualità o qualsiasi anormalità
sessuale (“contra naturam” o “crimen pessimum”).
La Chiesa lungo il corso dei secoli ha sempre considerato molto gravi
i peccati di omosessualità o di qualsiasi altra specie di
anormalità sessuale chiamandoli “contra naturam” o
anche, talvolta, “crimen pessimum”. Basandosi sulla Sacra
Scrittura, che presenta le relazioni omosessuali come gravi
depravazioni (Cfr. Gn. 19, 1-29; Rm. 1, 18-32; lCor. 6-10; lTm. 1,
10). La Sacra Tradizione ha sempre ribadito che gli atti di
omosessualità sono “intrinsecamente disordinati”
(cfr. Dich. della Congregazione della Dottrina della Fede, “Persona
humana”, n. 8).
Sono contrari alla legge naturale (“contra
natu ram”), precludono all’atto sessuale il dono della
vita, e quindi non sono il frutto di una vera complementarietà
affettiva e sessuale.
Quindi in nessun caso possono essere
approvati e giustificati.
Gli anormali sessuali — insegna
ancora la Chiesa — devono essere accolti con rispetto,
comprensione e delicatezza.
A loro riguardo si eviterà ogni
marchio di ingiusta discriminazione. Anch’essi, come gli altri
cristiani, sono chiamati alla castità e alla beatitudine:
“Beati i puri di cuore...” (Cfr. Dich. Congreg. per la
Dottrina della Fede, “Persona humana” del 29-12-1975;
Lettera, Congr. per la Dottr. della Fede “De Pastorali persona
rum homosexualium cura” del 1-10-1986; C.C.C. nn. 2357-2359).
6 - La purezza nei fidanzati e negli sposati
Non tutti gli uomini sono tenuti ad esercitare la purezza nella
stessa maniera, perché diversi sono gli impegni assunti nella
scelta dello stato di vita. E necessario, pertanto, esaminare come
deve essere la purezza nei vari stati di vita, rappresentati dalle
singole perso ne. Queste sono:
1) I Sacerdoti
2) I religiosi
3)
I fidanzati
4) Gli sposati
5) I vedovi
6) I non
sposati
Ritengo opportuno fare una distinzione fra i suddetti vari
stati di vita: fra quelli cioè che avranno (fidanzati) o hanno
(sposati) la possibilità di compiere lecitamente l’atto
coniugale e tutti gli altri per i quali è vietato. Tratterò
pertanto, la purezza nei fidanzati e negli sposati e poi, in altro
capitolo, la purezza negli altri stati di vita.
1) I fidanzati
1 - I fidanzati sono due persone, un uomo e una donna che, spinti
da mutua simpatia hanno iniziato una serie di incontri e
conversazioni, durante le quali sono pervenuti alla promessa di un
futuro matrimonio e si accingono a prepararsi alle nozze.
2 - È molto opportuno che i due fidanzati, prima di
compiere il primo passo della promessa, chiedano consiglio a chi è
competente in questo campo: ad un sacerdote saggio e di intensa vita
spirituale, meglio se specializzato anche in materia e dottrina
matrimoniale.
I genitori, il parroco e il confessore hanno “il
dove re di aiutare i fidanzati a prepararsi meglio al matrimonio”
(Cfr. Conc. Vat. II, “Apostolicam actuositatem”, n. II e
Can. 1063).
“ I fidanzati sono ripetutamente invitati dalla
parola di Dio a nutrire e potenziare il loro fidanzamento con un
amore casto...” (Conc. Vat. Il, “Gaudium et Spes”,
n.49).
3 - Per quanto riguarda la purezza, ai fidanzati per sé non
è lecito più di quanto è lecito anche alle altre
persone non sposate fra loro, legate solo da vincoli di amicizia.
Ai
fidanzati, tuttavia, è lecito baciarsi e abbracciar si
reciprocamente in modo onesto per manifestarsi il vicendevole amore.
Tuttavia non è loro lecito acconsentire a sensazioni sessuali
che, eventualmente e naturalmente, ne derivassero: a questo punto
devono astenersi da tali manifestazioni di affetto.
4 - I fidanzati, per la loro situazione, si trovano in occasione
prossima necessaria di peccato, ma essi devono fare in modo che tale
occasione prossima diventi remota, evitando le solite e comuni
occasioni prossime di peccato, astenendosi in modo particolare dal
trovarsi da soli in ambienti, situazioni e circostanze tali che
potrebbero indurre al peccato impuro; usando, inoltre, i mezzi
spirituali che il Signore ha messo a nostra disposizione: la
preghiera, l’uso frequente dei sacramenti, la meditazione delle
verità eterne, la mortificazione, ecc., mezzi che esamineremo
più avanti nel capitolo ottavo.
5 - Ai fidanzati sono proibiti i rapporti intimi coniugali, che,
come dice la parola stessa, sono leciti solo ai coniugi.
“
Molti oggi rivendicano il diritto all’unione sessuale prima del
matrimonio, almeno quando esiste una ferma volontà di sposarsi
e un affetto in qualche modo già coniugale nella psicologia
dei soggetti, e richiedo no questo completamento, che essi stimano
connatura le. Tale richiesta è avanzata, soprattutto, quando
la celebrazione del matrimonio è impedita da circostanze
esterne, e quindi tale intima relazione sembra necessaria, perché
l’amore sia conservato intatto nella sua profondità.
Questa
opinione è in contrasto con la dottrina cristiana, secondo la
quale ogni atto genitale umano deve svolgersi nel quadro del
matrimonio.. - San Paolo è ancora più esplicito quando
insegna che, se celibi e vedovi non possono vivere in continenza, non
hanno altra scelta che la stabile unione del matrimonio. “E
meglio sposarsi che ardere” (1Cor. 7,9).
Con il matrimonio,
infatti, l’amore dei coniugi è paragonato all’amore
irrevocabile che Cristo ha per la Chiesa (Cfr. Ef. 5,25-32), mentre
l’unione dei corpi nell’impudicizia (l’unione
sessuale fuori del matrimo nio) è esplicitamente condannata:
1Cor. 5,1-6; 7, 2; 10, 8; Ef. 5,4; lTm. 1, 10; Ebr. 13, 4; e con
ragioni esplicite: (iCor. 6, 12-20) contamina il tempio dello Spirito
Santo, quale è divenuto il cristiano. L’unione carnale,
dunque, non è legittima se tra l’uomo e la donna non si
è instaurata una definitiva comunità di vita.
Ecco
ciò che ha sempre inteso e insegnato la Chiesa (Cfr. Innocenzo
IV, Ep. “Sub catholicae professione”, 6 marzo 1254: DS.
835; Pio TI, Propos. condanna te nell’Ep. “Cum sicut
accepimus”, 14 Nov. 1459: DS. 1367; Decreti del 5. Officio, 24
Sett. 1665: DS. 2045;
2 Marzo 1679: DS. 2148; Pio XI, Enc. “Casti
connubi” AAS. 22 (1930) pp. 558-559), trovando, peraltro, nella
riflessione degli uomini e nelle lezioni della storia un accordo
profondo con la sua dottrina” (Dichiarazione della Sacra
Congregazione per la Dottrina della Fede, “Persona humana”,
n. 7, del 19 Dic. 1975).
6 - “Parecchi attualmente reclamano una specie di “Diritto
alla prova” quando c’è intenzione di sposarsi.
Qualunque sia la fermezza del proposito di coloro che si impegnano in
rapporti sessuali prematuri, tali rapporti “non consentono di
assicurare, nella sua sincerità e fedeltà, la relazione
interpersonale di un uomo e di una donna e specialmente di
proteggerla dalle fantasie e dai capricci”
L’unione
carnale è moralmente legittima solo quando tra l’uomo e
la donna si sia instaurata una comunità di vita definitiva.
L’amore umano non ammette la “prova”. Esige un dono
totale e definitivo delle persone tra loro” (C.C.C. 2391).
7 - Se due persone, fidanzati o meno, violando la legge di Dio,
avessero dei rapporti intimi e in seguito ai quali si determinasse
una gravidanza, a loro non è mai lecito, per nessuna ragione,
sia pure di grave por tata, procurare un aborto, che è peccato
gravissimo, essendo, un vero omicidio di un innocente, peccato cui è
annessa anche la scomunica, prevista nel can. 1398 del Codice di
Diritto Canonico. (Cfr. Giovanni Paolo 11, “Evangelìum
vitae”, nn. 58-63).
Si può concludere tale
riflessione sui fidanzati con le parole del Catechismo della Chiesa
Cattolica: “I fidanzati sono chiamati a vivere la castità
nella continenza. Messi così alla prova, scopriranno il
reciproco rispetto, si alleneranno alla fedeltà e alla
speranza di riceversi l’un l’altro da Dio. Riserveranno
al tempo del matrimonio le manifestazioni di tenerezza proprie del
l’amore coniugale. Si aiuteranno vicendevolmente a crescere
nella castità” (C.C.C. n. 2350). Vivendo davvero così
gusteranno le gioie della beatitudine di Cri sto: “Beati i puri
di cuore...” (Mc. 5,8); (C.C.C. 2350).
L’atto
coniugale è aperto alla vita, quando non si evita
positivamente la prole con metodi artificiali, come per es. usando
metodi anticoncezionali o compiendo l’atto coniugale in maniera
onanistica, versando cioè il seme fuori dalla vagina. (Cfr.
Giovanni Paolo 11, “Evangelium Vitae”, nn. 13-14).
2) Gli sposati
1 - Un uomo e una donna, battezzati ambedue (o
uno battezzato e uno no) con la debita dispensa (can. 1086), che
celebrano un valido matrimonio religioso secondo le norme canoniche,
sono sposati (coniugi), uniti da un vincolo perpetuo ed esclusivo con
il fine del mutuo aiuto e della procreazione ed educazione della
prole (cfr. Cann. 1055 e 1056).
2 - Un uomo e una donna
battezzati, che celebrano il matrimonio solo civile, compiono un atto
solo civile, davanti alla Chiesa però non sono sposati
(coniugi), ma concubini e, pertanto, non ricevono nessun sacra mento,
essi sono uniti solo da un vincolo civile. Potranno essere veramente
sposati (coniugi) solo quando celebreranno il matrimonio religioso
canonico.
3 - Un uomo e una donna, non battezzati, che celebrano
un valido matrimonio civile, secondo le norme dello Stato, pur non
ricevendo il sacramento, sono sposati (coniugi) legittimamente e cioè
sono uniti da un vincolo perpetuo ed esclusivo con il fine del mutuo
aiuto e della procreazione ed educazione della prole e ciò in
forza ed esigenza del diritto naturale.
4 - Agli sposati, per
quanto riguarda la purezza, è lecito l’atto coniugale,
purché sia compiuto in modo umano (Conc. Vat. II, Gaudium et
Spes, 49; can. 1091 par. 1) e sia sempre aperto alla vita.
L’atto
coniugale è compiuto in modo umano quando i due coniugi godono
attualmente dell’uso di ragione e quando il seme viene versato
dentro la vagina oltre l’imene.
5 - Agli sposati è
lecito l’atto coniugale anche quando è certo che non
potrà avvenire, in alcun modo, la concezione.
6 - Agli
sposati, in unione con l’atto coniugale come preparazione e
come complemento, sono sempre lecite anche tutte le altre qualsiasi
manifestazioni amo rose e sensuali, purché il seme sia versato
dentro la vagina. Non è peccato, però, se,
improvvisamente, senza intenzione, arrivasse la polluzione, ma rimane
l’obbligo di evitare di mettersi in occasione prossima di
pervenire a questo punto. E colpa grave invece se è voluta
liberamente.
7 - Agli sposati, anche quando essi non vogliono o
non possono compiere l’atto coniugale, sono lecite certe
manifestazioni di amore e certe sensualità, pur ché sia
sempre evitato di mettersi in occasione prossima di arrivare alla
polluzione.
8 - Se la moglie nell’atto coniugale non riesce
ad avere la piena soddisfazione, essa stessa (o con l’aiuto del
marito) può procurarsela con toccamenti, immediatamente prima
o dopo la copula come preliminari o complemento dell’atto
coniugale.
La stessa cosa invece non è lecita al marito,
perché il fare questo sarebbe una vera e propria
masturbazione; si determina una dispersione del seme fuori dalla
vagina, frustrando così un’eventuale concezione e per
ché in questo caso non si verifica nessun completamento del
coito, poiché precedentemente non c’è stato
nessun vero atto coniugale.
9 - I coniugi, che per valide ragioni:
familiari, economiche, sociali, ambientali, ecc., ritengono di non
procreare, devono astenersi dall’ atto coniugale oppure
servirsi dei metodi anticoncezionali naturali. Non sono mai leciti i
metodi anticoncezionali artificiali: meccanici, chimici, ecc. Se poi,
inaspettatamente, pur usando i metodi naturali o quelli artificiali,
avvenisse lo stesso la gravidanza, allora non è mai lecito,
per nessuna ragione, anche grave, procurare l’aborto, perché
questo è un autentico omicidio di un innocente ed è un
peccato gravissimo a cui è annessa anche la scomunica (can.
1398), come è stato già detto. (Cfr. Giovanni Paolo Il,
“Evangelium vitae”, nn. 58-63).
E lecito procurare
l’aborto solo indirettamente quando, per salvare la madre
gravemente ammalata, le si amministra una medicina o si effettua in
lei un inter vento chirurgico, che produce, da una parte, la
guarigione della paziente e dall’altra, la perdita del feto.
Tale modo di agire è giustificato perché si fonda sul
principio morale dell’azione con doppio effetto, uno buono e
uno cattivo.
10 - Il debito coniugale, cioè il dovere di
prestarsi La circostanza che i figli nati da un matrimonio, per
compiere l’atto coniugale (coito - copula), è per sé
per es. per causa di malattia dei genitori, reste un obbligo grave
per ciascuno dei due coniugi. ranno deboli o minorati o moriranno già
prima di
Esistono tuttavia delle cause che possono scusare
nascere, non rende illecito l’atto coniugale;
dal prestare
il debito coniugale: vengono citate qui di seguito:
I. nel caso di
adulterio dell’altra parte;
II. nel caso che il marito
trascuri, in forma grave, il proprio matrimonio, è urgente
l’avvio di accurati accertamenti e, solo dopo aver sciolto il
dubbio, dovere del mantenimento della moglie e dei figli;
III. nel
caso che chi lo chiede sia privo dell’uso di ragione: per es.
un demente o uno molto ubriaco, ecc.
IV. nel caso di richieste
esagerate;
V. nel caso di grave pericolo per la salute o di grave
incomodo per motivi, non ordinari o comuni, ma straordinari;
VI.
nel caso che una delle due parti chieda di compiere l’atto
coniugale in modo illecito. In tale circostanza esiste l’obbligo
grave di negarlo.
11 - Agli sposati è proibito l’atto
coniugale nelle seguenti circostanze:
I. quando l’atto
coniugale è compiuto in modo tale per cui la procreazione è
resa più difficile in forma grave;
II. quando esiste un
grave pericolo per la salute di uno dei due coniugi o di
entrambi.
III. quando si viene a conoscere, con certezza, che il
proprio matrimonio è invalido;
IV. quando si dubita
seriamente della validità del proprio matrimonio, è
urgente l’avvio di accurati accertamenti e, solo dopo aver
sciolto il dubbio, potrà essere lecito l’atto
coniugale.
I coniugi devono tenere sempre presente che sposandosi
non hanno sciolto il problema della castità nella vita
cristiana, perché a loro è lecito l’atto
coniugale, il “remedium concupiscentiae”, ma lo hanno
piuttosto reso più complesso. La sensualità, infatti,
più viene esercitata più forte fa sentire il suo
stimolo. I coniugi, pertanto, devono fortificarsi contro le
tentazioni impure ed usare quei mezzi che il Signore ha messo a
nostra disposizione, e che più avanti, nel capitolo ottavo,
prenderemo in considerazione.
7 -La purezza negli altri stati di vita
Abbiamo
considerato la purezza nei fidanzati e negli sposati per i quali, nel
futuro o nel presente, è lecito l’atto
coniugale.
Prendiamo ora in esame la purezza che è inerente
anche ad altri stati di vita e cioè: 1) nei sacerdoti, 2) nei
religiosi, 3) nei vedovi, 4) ne non sposati per i quali, finché
rimangono in tale stato di vita, l’atto coniugale è
sempre proibito.
1) I sacerdoti
I fedeli cristiani, accettando liberamente di
essere al servizio di Gesù Cristo e dei fratelli, diventando
chierici, ministri sacri, con l’Ordinazione diventano persone
sacre (can. 266, par. I).
I sacerdoti, per libera scelta del loro
stato, sono vincolati al celibato, che è un dono particolare
di Dio mediante il quale i ministri sacri possono aderire più
facilmente a Cristo con un cuore indiviso e sono messi in grado di
dedicarsi più liberamente al servizio di Dio e degli uomini
(Can. 277, par. I).
I sacerdoti, pertanto, sono tenuti ad
osservare la castità perfetta, il che significa che essi
devono astenersi non solo da un uso illegittimo del piacere vene reo,
ma anche da quello legittimo nel matrimonio, per la promessa fatta di
conservare questo stato fino alla morte.
Il sacro celibato
ecclesiastico è una libera scelta annessa all’Ordine
Sacro. Chi, pertanto, desidera accedere al sacerdozio deve assumersi
anche l’obbligo del celibato.
I sacerdoti, dunque, devono
evitare i peccati impuri contro il sesto e nono comandamento,
rispettando anche la pudicizia e la temperanza, per premunirsi contro
le tentazioni.
Ogni peccato grave contro il sesto o nono
comandamento, compiuto da un sacerdote, è anche un sacrilegio,
perché viene profanata la sua persona, che, come abbiamo detto
sopra, è sacra.
Il peccato impuro commesso da un sacerdote,
inoltre, assume anche le altre malizie contenute nelle varie specie
di impurità compiute. Così per es., un sacerdote, che
pecca gravemente con una donna sposata, commette i seguenti peccati
mortali:
1 - peccato contro il sesto comandamento: contro la
castità in opere;
2 - peccato contro il nono comandamento:
contro la castità in pensieri;
3 - peccato contro il primo
comandamento: sacrilegio, profanazione di una persona sacra;
4 -
peccato contro il settimo comandamento: contro la giustizia nei
riguardi del marito della donna sposata;
5 - peccato contro il
quinto comandamento: peccato di scandalo, inducendo altri a compiere
il male.
“ Lo scandalo è grave (considerando
l’oggetto) quando a provocano sono coloro che, per natura o per
funzione, sono tenuti ad insegnare e ad educare gli altri”
(C.C.C. 2285).
Ai sacerdoti (e ai vescovi evidentemente) si devo
no unire anche i diaconi transeunti e permanenti celibi.
I diaconi
permanenti coniugati, invece, devono osservare la purezza degli
sposati — ricordando sempre che, con l’Ordinazione, sono
diventati persone sacre — o dei vedovi, tenendo presente che ad
essi sono proibite le seconde nozze.
2) I Religiosi
I fedeli cristiani, desiderosi di una maggiore
perfezione, emettendo pubblicamente i voti di obbedienza, povertà
e castità si obbligano all’osservanza dei tre consigli
evangelici e così diventano religiosi, abbracciando un nuovo
stato di vita.
Lo stato religioso, pur non appartenendo alla
struttura gerarchica della Chiesa, è uno dei modi per segui re
più da vicino Gesù Cristo e si radica nel battesimo.
Non è uno stato intermedio tra lo stato clericale e quel lo
laicale, ma da entrambe le parti alcuni fedeli sono
chiamati da
Dio ad uno sviluppo della consacrazione battesimale (Conc. Vat. II,
Lumen Gentium, n. 44; Per fectae Caritatis, n. i e 5 e C.C.C., 913 -
916).
I Religiosi, emettendo pubblicamente i voti in un Istituto
Religioso, si consacrano completamente a Dio e diventano così
persone sacre, acquistando diritti e doveri definiti giuridicamente
(can. 654). Essi sono tenuti, fra l’altro, all’obbligo
del celibato, di osservare cioè la castità perfetta e
anche perpetua — quando verrà emessa tale professione —
per il Regno dei Cieli. Essi, pertanto, devono astenersi non solo da
un uso illegittimo del piacere venereo, ma anche da quello legittimo
nel matrimonio, in ottemperanza al voto di castità.
I
Religiosi, dunque, devono evitare i peccati impuri contro il sesto e
nono comandamento, rispettando anche la pudicizia e la temperanza,
per premunirsi contro le tentazioni.
Ogni peccato grave contro il
sesto o nono comandamento compiuto da un Religioso, è anche un
sacrilegio, perché con tale peccato viene profanata la sua per
sona, che, come si è detto, è sacra.
Il peccato
impuro commesso da un Religioso, riveste anche le altre malizie, a
seconda della specie del peccato impuro compiuto.
Così per
es., un religioso, che pecca gravemente con una donna sposata,
commette i seguenti peccati mortali:
1 - peccato contro il sesto
comandamento: contro la castità in opere;
2 - peccato
contro il nono comandamento: contro la castità in pensieri;
3
- peccato contro il primo comandamento: sacrilegio, profanazione
della sua persona sacra;
4 - peccato contro il secondo
comandamento: violazione del voto di castità;
5 - peccato
contro il settimo comandamento: violazione della giustizia nei
riguardi del marito della donna sposata;
6 - peccato contro il
quinto comandamento: peccato di scandalo inducendo una persona a
compiere il male.
3) I vedovi
Ai vedovi, a coloro cioè che hanno perduto
per la morte il proprio coniuge, per quanto riguarda la purezza nulla
è lecito di tutto ciò che è permesso agli
sposati.
I vedovi, pertanto, devono osservare la castità,
evitando qualsiasi specie di peccato impuro contro il sesto e il nono
comandamento, rispettando anche la pudicizia e la temperanza, per
premunirsi contro le eventuali tentazioni.
Ai vedovi può
essere lecito — evitato il pericolo di mettersi in occasione
prossima di peccato — pensare all’atto coniugale avuto
con il proprio coniuge, perché l’oggetto del pensiero è
una cosa lecita nel passato.
Ai vedovi, secondo la dottrina
cristiana, è proibito ogni atto genitale umano, che deve
svolgersi solo nel quadro del matrimonio. S. Paolo, in proposito,
insegna che se i vedovi non possono vivere in continenza, non hanno
altra scelta che le nuove nozze. Egli infatti dice:
“È
meglio sposarsi che ardere” (ICor. 7,9).
“ Con il
matrimonio, infatti, l’amore dei coniugi è assunto
nell’amore irrevocabile che Cristo ha per la Chiesa (cfr. Ef.
5,25-32), mentre l’unione dei corpi nell’impudicizia
contamina il tempio dello Spirito Santo, quale è divenuto il
cristiano. L’unione carnale, dunque, non è legittima se
tra l’uomo e la donna non si è instaurata una definitiva
comunità di vita’ (Dich. della S. Congr. per la Dottrina
della Fede, “Persona humana”, n. 7).
4) I non sposati
I non sposati, coloro cioè che non sono
legati da alcun vincolo né sacerdotale o religioso né
matrimoniale (celibi o nubili), se vogliono essere buoni cristiani e
fedeli seguaci di N.S.G.C. devono osservare la castità,
evitando qualsiasi specie di peccato impuro contro il sesto e il nono
comandamento, rispettando anche la pudicizia e la temperanza, per
premunirsi contro eventuali tentazioni.
Ai non sposati, come ai
vedovi, nulla è lecito di quanto è permesso agli
sposati; ad essi, pertanto, è proibito ogni atto genitale
umano che deve svolgersi solo nel quadro del matrimonio (cfr.
“Persona humana”, n. 7).
Anche per i non sposati vale
l’insegnamento di S. Paolo, dato ai vedovi, che non possono
vivere in continenza, che cioè scelgano le nozze: “E
meglio sposarsi che ardere” (1Cor. 7,9).
5) In conclusione si deve dire qualche parola chiarificatrice
riguardo ai separati e ai divorziati.
Circa la castità essi
si trovano nella situazione dei vedovi o dei non sposati e perciò
devono osservare la castità al pari di costoro.
Ai separati
o divorziati potrebbe essere lecito l’atto coniugale, ma solo
con il proprio vero coniuge ed è gravemente proibito con
qualsiasi altro: amico o convivente o coniuge civile.
E chiaro che
ai battezzati è vietato il solo matrimonio civile, perché
la Chiesa per loro, richiede la “forma canonica” per una
valida celebrazione del matrimonio.
I separati o divorziati
possono passare a nuove nozze religiose solo quando il loro
matrimonio prece dente (religioso) è stato dichiarato nullo
dal competente Tribunale Ecclesiastico.
Si deve ricordare, infine,
che la Chiesa non può sanare le unioni irregolari, perché
non è di sua competenza, essendo l’indissolubilità
del matrimonio una norma di diritto divino (Mt. 5,31-32 e 19, 3-9).
La Chiesa può intervenire solo quando si verificano casi
contemplati 1) nel Privilegio Paolino, 2) nel Privilegio Petrino (o
della fede) 3) nel matrimonio rato e non consumato.
I - Il
Privilegio Paolino (lCor. 7, 12-15)
Un matrimonio contratto tra
non battezzati, anche se consumato, può essere sciolto quanto
al vincolo, quando una delle due parti si fa battezzare e l’altra
rifiuta di continuare pacificamente la vita coniugale. La parte
cristiana allora può separarsi da quella infedele e contrarre
un nuovo matrimonio (Cfr. Cann. 1143- 1150).
2 - Il Privilegio
Petrino (o della fede)
Il Papa per una giusta causa può
sciogliere un matrimonio, anche se consumato, tra un battezzato
(entro o fuori della Chiesa cattolica) e un infedele, cioè uno
non battezzato. Il Papa può sciogliere il battezzato dal
vincolo matrimoniale in favore della fede da acquistarsi o da
conservarsi.
3 - Il matrimonio rato e non consumato
Il
matrimonio rato (= matrimonio valido) di due battezzati o tra una
parte battezzata e una non battezzata a cui non abbia fatto seguito
l’atto coniugale (non consumato) può essere sciolto dal
Romano Pontefice per una giusta causa (Cfr. Can. 1142 e Cann. 1697-
1706).
8 -I mezzi per conservare la purezza
La
purezza, detta anche “la bella virtù”, non è
difficile da osservarsi, specialmente per “i puri di cuore”,
per coloro cioè che, nella loro vita, si sono sempre sforzati
di osservarla; la virtù “acquisita”, infatti,
rende più facili quelle azioni che la costituiscono; talvolta
però diventa difficile, anzi molto difficile e forti sono le
tentazioni che si devono combattere e vincere.
“ Il
battezzato deve continuare a lottare contro la concupiscenza della
carne e i desideri disordinati”
(C.C.C. 2520).
E
necessario, pertanto, premunirsi contro gli attacchi del maligno per
non lasciarsi cogliere d’improvviso e cadere miseramente nel
peccato. Gesù ci ammonisce: “Vegliate e pregate, per non
cadere in tentazione. Lo spirito è pronto, ma la carne è
debole” (Mt. 26,41).
Per esercitare la virtù della
purezza è dunque indispensabile usare quei mezzi che il
Signore ha messo a nostra disposizione.
Esistono due specie di
mezzi: naturali e soprannaturali.
I mezzi naturali sono quei
piccoli accorgimenti umani che ci aiutano a superare le difficoltà
che incontriamo per conservare la purezza.
I mezzi soprannaturali
sono quegli elementi spirituali, che il Signore ci dona, perché,
usandoli con spirito di fede, noi possiamo ottenere le grazie attuali
necessarie per vincere le seduzioni dei sensi.
1) I mezzi naturali
1 - Cercare di capire il valore prezioso della purezza nella
nostra vita presente e, soprattutto, in rapporto con la futura,
ricordando che tale virtù, secondo l’insegnamento di
Gesù (Mt. 5, 8), porta con sé la beatitudine, la pace
interiore e la visione di Dio: attraverso le creature, qui in terra,
e, faccia a faccia, in Paradiso (cfr. C.C.C. 2519).
E stato
costatato che un’ anima veramente pura per amore di Gesù
Cristo si distingue sempre e subito dalle altre; la sa scoprire con
chiarezza solo chi è esperto in campo spirituale e possiede
una sensibilità particolare. Da tali persone pure emana un
qualche cosa indescrivibile di serenità interiore, che
traspare anche all’esterno. E noto, invece, lo sconvolgimento
che produce nella persona il terremoto del peccato impuro.
Conosciuto
il valore inestimabile della perla preziosa della purezza, la si
apprezza e si cerca di possederla.
2 - Fuggire le occasioni di peccato. Si devono evi tare le
occasioni prossime e remote di peccato. Metter si in occasione
prossima di peccato significa porre delle azioni di qualsiasi specie,
compiendo le quali noi prevediamo che, con molta probabilità,
cadremo nel peccato impuro.
Si devono, pertanto, evitare tali
occasioni, perché il mettersi in condizione prossima di
peccato con consapevolezza e piena volontà si commette già
peccato mortale e poi perché è molto difficile
trattenersi dal peccato impuro quando già è iniziata la
via della discesa, come è molto difficile fermare,
improvvisamente, un oggetto in caduta.
Ricordiamo, inoltre, che
nell’atto di dolore noi promettiamo non solo di evitare il
peccato, ma anche le occasioni prossime di peccato.
Si devono
anche evitare le occasioni remote, per ché queste, pian piano,
conducono alle occasioni prossime e, quindi, al peccato.
In queste
occasioni bisogna tener sempre presente le proprie inclinazioni e il
soggettivo grado di sensibilità: ciò che per alcuni
diventa occasione prossima di peccato, per altri è invece
remota o addirittura inesistente.
Infine, concludendo, ricordiamo,
con autentica e vera semplicità, che nella lotta contro le
tentazioni impure vince chi fugge!
3 - Essere decisi, in maniera assoluta, nel respingere le
tentazioni impure fin dal loro primo insorgere.
Ogni titubanza
anche minima potrebbe essere fatale. Alle tentazioni impure non si
può cedere nemmeno un millimetro: attesa la fragilità
della natura umana, si finirà per cedere, in seguito, un metro
e più.
4 - Distrarsi nel momento della tentazione. Se è possibile
ci si impegni in qualche attività di gradimento, capace di
captare la nostra attenzione oppure si pensi a qualche problema che
ci attrae ed affascina; può essere utile anche un sano e
moderato sport.
Devono essere valorizzate, infine, anche le cure
igieniche.
5 - Considerare vanità tutto ciò che è
oggetto della tentazione impura. Il peccato impuro si riduce ad un
piacere di breve durata che, invece, lascia l’amarezza nel
cuore e il rimorso nello spirito.
6 - Mortificazione dei sensi, specialmente degli occhi e del
tatto. Una conseguenza del peccato originale è la
concupiscenza, che è un veleno, che si insinua attraverso
tutto il nostro essere; è necessario, pertanto, saper
mortificare i sensi esterni, quelli interni e gli affetti del cuore,
per conservare la purezza. I due più vulnerabili, in tale
settore, sono la vista e il tatto.
Il santo Giobbe, consapevole
ditale verità, aveva fatto un patto con gli occhi: di non
guardare cioè le giovani donne per non essere indotto in
tentazione impura. “Ho stretto un patto con gli occhi di non
guardare neppure una vergine” (Gb. 3 1.1).
Il Siracide,
premurosamente, raccomanda: “Non fissare il tuo sguardo su una
vergine, per non essere coinvolto nei suoi castighi... Distogli gli
occhi da una donna bella, non fissare una bellezza che non ti
appartiene. Per la bellezza di una donna molti sono periti; e la
passione vi si infiamma come il fuoco” (Sir. 9,5, 8-9).
E la
Sapienza insegna: “La vista provoca negli stolti il desiderio”
(Sap. 15,5).
Secondo la psicologia lo sguardo eccita la fantasia e
accende il desiderio, il desiderio poi sollecita la volontà,
e, se questa acconsente, il peccato entra nel l’anima (cfr.
C.C.C. 2520).
Il senso del tatto è ancora più
pericoloso, perché eccita impressioni sensuali che tendono
facilmente alla ricerca del piacere impuro. Si usi, pertanto, grande
riserbo verso se stessi; verso gli altri siano permesse le ordinarie
cortesie, ma si badi a non porvi alcun senti mento appassionato che
sia manifestazione di un affetto disordinato.
7 - Essere temperanti nel mangiare e nel bere e soprattutto non
esagerare nell’alcool - La Chiesa, fin dai suoi inizi, ha
sempre raccomandato la mortificazione nel cibo e nelle bevande, anzi,
lungo il corso del l’anno liturgico, ha imposto vari digiuni e
astinenze dalle carni, come segno di penitenza e anche per suggerire
ai fedeli un aiuto a vincere le tentazioni impure.
Per quanto
riguarda l’alcool dobbiamo usare parti colare accortezza,
tenendo presente quanto ci insegna
S. Paolo: “Non
ubriacatevi di vino, che porta alla lussuria” (Ef. 5, 18).
8 - La lettura spirituale - Un mezzo validissimo per vincere le
tentazioni impure è la lettura spirituale. Bisogna però
stare attenti a saper scegliere i libri più adatti per tale
scopo. Essi sono specialmente quelli che contengono la dottrina della
Chiesa o che la spiegano, quelli di alta spiritualità o quelli
che raccontano esempi eroici di vita cristiana intensamente vissuta.
Si consigliano pertanto: i quattro Vangeli, gli Atti degli Apostoli,
le lettere di 5. Paolo e degli altri Apostoli; il Catechismo della
Chiesa Cattolica o altri Catechismi, l’Imitazione di Cristo, il
racconto della vita dei Santi o dei Martiri antichi o recenti, o
altri libri del genere.
9 - Evitare l’ozio - L’ozio, cioè quello stato
di inoperosità delle facoltà sia fisiche che mentali, è
un cattivo consigliere per la custodia della purezza. Il tempo di
voluta inattività è il più adatto ad essere
assalito da tentazioni impure. A questo proposito è opportuno
ricordare il noto proverbio: “L’ozio è il padre di
tutti i vizi’,.
10 - Evitare “certe” familiarità con persone
dell’altro sesso (o dello stesso sesso, se si hanno tendenze
omosessuali) - E prudente non manifestare a queste persone la nostra
simpatia per loro (a meno che non si tratti di fidanzamento in vista
del matrimonio); ogni manifestazione di marcata affettuosità
potrebbe generare un’atmosfera favorevole all’insorgere
di tentazioni impure. I fidanzati nelle loro manifestazioni di
affetto dovranno agire sempre con grande prudenza e cautela, tenendo
presente la grande debolezza e fragilità della natura umana.
11 - Massima vigilanza - Per conservare la purezza è
necessario essere costantemente vigilanti, perché i nemici,
cioè la nostra concupiscenza, il mondo esteriore e il demonio
sono sempre in agguato.
Non dobbiamo dire: “Ciò
neppure mi scalfisce; esercito la virtù da tanti anni; sono
ormai anziano” ed altre simili espressioni; potremmo avere
delle sorprese assai amare.
Ascoltiamo la voce dei Santi e,
soprattutto, seguiamo il loro esempio, basato sul radicato
convincimento che la vita umana, fino all’ultimo istante, non è
mai affrancata dal pericolo di cadere in peccato: quindi dobbiamo
essere sempre vigilanti ed usare i mezzi che abbiamo a nostra
disposizione per conservare il tesoro prezioso della purezza.
2) I mezzi soprannaturali
1 - La fede, la speranza e la carità
Una fede forte, una
speranza certa e una carità ardente sono le tre virtù
teologali che difendono la purezza da ogni assalto.
Quando
un’anima è convinta che Gesù Cristo è il
vero Dio, il solo Dio e l’unico Dio e crede a quanto
egli ha
insegnato; è certa che, dopo questa vita, ce ne sarà
un’altra, eternamente felice per i buoni ed eterna mente
infelice per i cattivi; quando questa anima ama ardentemente Cristo
Dio, perché sa che è il suo Dio, il suo Tutto, ha in sé
tutta la forza sufficiente per combattere contro le tentazioni
sensuali e per conservare quindi la purezza.
In una persona
normale, quando mancano queste tre virtù, è molto
difficile che esista la purezza, perché, per vincere le
passioni dei sensi, tali virtù sono elementi indispensabili.
Esse formano i tre pilastri che sostengono l’edificio della
nostra cristiana spiritualità e rappresentano il fine di ogni
umana aspirazione: Dio, che, insieme ai dono della libertà, a
tutti elargisce la sua grazia per conoscerlo, possederlo e amarlo nel
tempo e nell’eternità.
2 - La preghiera
Una preghiera umile, fiduciosa e costante è
il mezzo più efficace e necessario per ottenere da Dio il dono
della purezza (cfr. C.C.C. 2520).
Qui si parla di preghiera intesa
nel suo senso più ampio e cioè: preghiera vocale:
recita di formule che escono dalle labbra e partono dal cuore;
preghiera mentale, fatta di riflessioni e di colloqui con Dio;
preghiera abituale: quel costante sentimento di amore, che l’anima
nutre verso il suo Dio, il suo Tutto.
Quando si parla di preghiera
si vuole intendere, anche, il coltivare con la massima diligenza la
pietà, la vita interiore e la costante presenza di Dio.
Tale
lavoro interiore e personale facilita molto l’esercizio della
virtù della purezza. L’anima, in questo stato, sente
quasi una istintiva attrazione verso la bella virtù anche se,
ricordiamolo, la concupiscenza e le relative tentazioni rimarranno
sempre.
3 - L’uso frequente dei Sacramenti
L’uso frequente
dei sacramenti della Penitenza e della Comunione sono mezzi molto
utili per conserva re la virtù della purezza.
Diciamo
subito che questi sacramenti, per produrre i loro effetti, devono
essere ricevuti con le debite disposizioni.
E bene accostarsi
spesso alla confessione: come norma non si lasci passare il mese;
allorché, però, si ha la certezza o anche il dubbio di
avere commesso un peccato mortale, è necessario pentirsi
subito e accostarsi, quanto prima, al confessionale.
E utile tener
presente che, allorché si avverte l’insistente assalto
della tentazione, non si deve aspettare la rovinosa caduta nel
peccato per accostarsi alla confessione, perché l’acqua
salutare della grazia del Sacra mento spegnerà il fuoco delle
passioni sensuali.
Anche la S. Comunione, se si riceve con le
dovute disposizioni, porta abbondanti frutti di grazia e di purezza.
E necessario, però, una diligente preparazione e non si deve
omettere un devoto ringraziamento, che si ripeta frequentemente
nell’intera giornata, special mente nei momenti di difficoltà
e delle tentazioni impure.
4 - Partecipare alla vita liturgica della Chiesa
La preghiera,
la pietà, la vita interiore e la viva partecipazione alla
liturgia della Chiesa sono validi aiuti per conservare la
purezza.
Per liturgia si intende quel complesso di atti di culto
pubblico o ufficiale della Chiesa.
La parola “pubblico”
significa che è compiuto a nome della Chiesa da un ministro a
ciò legittimamente destinato, secondo le leggi e le
prescrizioni della Chiesa stessa. Un atto di culto è pubblico
anche se viene compiuto in privato e nel massimo segreto, come per
es. il conferimento dell’assoluzione sacramentale o la recita
privata del divino ufficio di un sacerdote.
Gli atti di culto
pubblico sono:
I. La celebrazione della S. Messa
II.
L’amministrazione dei Sacramenti e dei Sacramentali
(benedizioni, consacrazioni, ecc.)
III. La recita del divino
ufficio: in privato, in pubblico o solenne.
Anche se non sono
strettamente attinenti alla liturgia, esistono delle funzioni
extraliturgiche, cioè alcuni altri atti di culto che, pur non
essendo liturgici, fanno parte della devozione popolare e vengono
regolati, approvati e favoriti dalla Chiesa stessa. Tali sono per es.
la “Via Crucis”, il Santo Rosario, Tridui, Novene o Mesi
in onore del Signore, della Madonna e dei Santi, l’adorazione
del SS. Sacramento e altre simili funzioni paraliturgiche
penitenziali o devozionali.
Il seguire l’anno liturgico con
i suoi vari tempi (Avvento, Quaresima, Tempo ordinario, ecc.) e le
sue feste (Natale, Pasqua, Pentecoste, SS. Trinità) porta
all’anima un ardente fervore religioso e spirituale che serve a
tenerci lontani dalle concupiscenze della carne e ad avvicinarci di
più a Gesù, che è la beatitudine dei puri di
cuore.
5 - La frequente meditazione dei novissimi: morte, giudizio,
inferno e paradiso
Lo Spirito Santo, nel libro del Siracide
(Ecclesiastico), ci esorta con le parole: “In tutte le tue
opere ricordati della tua fine e non cadrai mai nel peccato”
(Sir. 7,40).
Se noi molto spesso ci concentreremo nella
meditazione delle ultime grandi realtà (novissimi) della
nostra vita: morte, giudizio, inferno e paradiso, certa mente avremo
uno stimolo per astenerci dal peccato impuro, che, come già
specificato, può condurre alla dannazione eterna.
Meditiamo,
pertanto, frequentemente sui novissimi.
La morte! Essa potrebbe
essere lontana o vicina e improvvisa. Che sarebbe di noi se questa ci
trovasse impreparati? Il Signore ci esorta: “Vegliate, perché
non conoscete né il giorno né l’ora” (Mt.
25, 13).
Il giudizio! Da questo dipenderà il nostro destino
eternamente felice o eternamente infelice. Ricordiamo che l’esito,
consolante o triste, del giudizio dipende dal nostro comportamento in
questa terra.
L’inferno! Con tutte le forze dobbiamo
evitarlo. Gesù dell’inferno dice:
“ Andate via
da me, maledetti, nel fuoco eterno...”(Mt. 25, 41).
“
... dove il loro verme non muore e il fuoco non si estingue”
(Mc. 9, 48).
“ ... brucerà la pula con un fuoco
inestinguibile” (Mt. 3, 12).
“ ... nella fornace
ardente dove sarà pianto e stridor di denti” (Mt. 13,
42).
Non una, ma più volte il Signore ripete tale
espressione: “pianto e stridor di denti”. Chi piange e
stride i denti dal dolore non si trova certamente in una situazione
piacevole! Ebbene: con tutte le nostre forze dobbiamo evitare
l’inferno!
Il paradiso! Il fine ultimo della nostra vita
terrena è raggiungere il paradiso, dove vedremo Dio faccia a
faccia ed Egli sarà la nostra felicità per
sempre.
Infelici noi se, alla fine dei nostri giorni, non potremo
raggiungerlo: avremo sbagliato tutto nella nostra vita e per sempre.
6 - Coltivare una tenera devozione a Maria Santissima
Un mezzo
efficacissimo per conservare la purezza si ha nel coltivare una
tenera devozione a Maria Santissima.
La nostra devozione a Lei non
deve consistere solo nell’esercizio di pie pratiche, ma,
soprattutto, nell’imitazione delle sue virtù,
specialmente della purezza, nella sua elezione a modello di santità,
e nel pregarLa spesso, invocandoLa, in modo particolare, nel momento
delle tentazioni impure.
Maria Santissima, la madre purissima, la
madre castissima, la sempre vergine, la vergine delle vergini, la
mediatrice di tutte le grazie ci otterrà, certamente, dal suo
diletto figlio di conservare nel nostro corpo e nel nostro spirito la
virtù della purezza, donandoci di gustare, nello stesso tempo,
la beatitudine proclamata da Gesù: “Beati i puri di
cuore” (Mt. 5 - 8).
Giova anche molto compiere, in una
determinata circostanza, una totale e solenne consacrazione a Maria
di tutto noi stessi, anima e corpo. E opportuno poi che tale atto
venga rinnovato ogni giorno nelle nostre quotidiane preghiere.
9 - La beatitudine dei puri di cuore
Dopo
aver considerato chi sono i puri di cuore del Vangelo, la purezza nei
vari stati di vita cristiana e i mezzi per conservarla, dobbiamo ora
esaminare la beatitudine promessa da Gesù Cristo:
“
Beati i puri di cuore...” (Mt. 5, 8).
1) La beatitudine
Innanzi tutto si deve capire bene il senso
esatto della parola “beatitudine”
E opportuno,
pertanto, conoscere il significato di alcuni termini: gioia, piacere,
felicità, che hanno un rapporto stretto con la suddetta
locuzione.
La gioia è lo stato piacevole dell’uomo,
anima e corpo, causato da un qualche cosa che è secondo la sua
natura. Questo qualche cosa può essere passato, presente o
futuro; esso causa tale stato piacevole, perché serve a
completare, a perfezionare il nostro essere limitato, che per natura
sua tende alla perfezione.
La gioia si dice soprattutto dello
spirito, ma si riferisce anche a tutto l’uomo, anima e
corpo.
Dalla gioia si distingue il piacere, che è una
soddisfazione dei sensi e riguarda più il corpo che lo
spirito, senza escluderlo, evidentemente.
La felicità è
lo stato piacevole di colui che è in possesso di tutto ciò
che conviene al suo essere, secondo la sua capacità
recettiva.
E chiaro che la felicità, in senso stretto, non
sarà mai raggiunta in questa terra, ma solo in cielo.
Dire
felicità o beatitudine è la stessa cosa, con la sola
differenza che il primo termine viene usato, ordinariamente, in senso
largo, per la vita terrena, il secondo invece per quella celeste.
La
beatitudine, pertanto, è quello stato di felicità che
godono i Santi in paradiso e che consiste nella visione immediata,
intuitiva e facciale di Dio e nel suo godimento. Uno degli elementi
che causerà questa felicità è, senza dubbio, la
certezza che tale stato durerà senza interruzione e per tutta
l’eternità.
Gesù quando dice: “Beati i
puri di cuore...” (Mt. 5, 8), usa il termine beatitudine, non
in senso stretto, per ché siamo ancora sulla terra, ma per
analogia, per partecipazione a quella del cielo.
Nella parola
beatitudine è compresa anche quella pace, serenità e
tranquillità dello spirito, che riguarda tutta la persona
dell’uomo, e vengono esclusi tutti i turbamenti di un’anima,
che vive in peccato mortale, agitata dal rimorso di essere nemica di
Dio.
La beatitudine è anche quella sicurezza interiore
dell’anima in Dio, come quella del bambino nei riguardi della
madre: quando il bambino è con la madre non ha paura di nulla.
2) La causa efficiente della beatitudine dei puri di cuore
Ciò
che causa la beatitudine nei puri di cuore è l’amicizia
dell’uomo con Dio, della creatura con il suo Creatore. Tale
stretto legame è cementato dalla grazia santificante o
abituale, che è la vita di Dio trapiantata nel nostro spirito:
è l’inabitazione della SS. Trinità
nell’anima.
Per conquistare la perla preziosa della grazia
si richiede, oltre alla fede e al battesimo, l’osservanza
esatta dei dieci comandamenti e, in particolare, l’esercizio
della virtù della purezza, codificato da Dio nel sesto e nel
nono comandamento.
Ogni osservanza della legge di Dio produce
l’effetto della grazia, ma la purezza (e la santità
completa dell’anima), è stata elevata alla dignità
di beatitudine, proclamata da N.S. Gesù Cristo. Egli ha una
predilezione speciale per tale virtù.
“ Beati i puri
di cuore...” (Mt. 5, 8).
“ Quanto è buono Dio
con i giusti,
con gli uomini dal cuore puro” (SaI. 72, 8).
“
Chi salirà il monte del Signore, Chi starà nel suo
luogo santo? Chi ha mani innocenti e cuore puro” (Sai. 23,
3-4)
“ Il mio diletto si pasce fra i gigli” (Ct. 6,
3).
“ Questi non si sono contaminati con donne, sono infatti
vergini e seguono
l’Agnello dovunque va” (Ap. 14,
4).
Gesù ci dice che la beatitudine dei puri di cuore
consiste nel vedere Dio:
“ Beati i puri di cuore, perché
vedranno Dio”(Mt. 5, 8).
Certamente, perché chi
riesce a vedere Dio, è pieno di Dio con la sua grazia, è
posseduto da Dio e chi ha Dio, ha tutto, non gli manca nulla: ha la
beatitudine.
Qui viene spontanea una domanda: i puri di cuore
vedranno dio in cielo, dopo la morte, o anche sulla
terra?
Sicuramente in cielo, i puri di cuore vedranno Dio faccia a
faccia, come anche tutti quelli che si salveranno, secondo
l’insegnamento di 5. Giovanni: “Saremo simili a lui
poiché noi lo vedremo come Egli è” (lGv. 3,2); e
di S. Paolo: “Noi ora vediamo come per mezzo di uno specchio,
in immagine; allora invece vedremo faccia a faccia” (ICor. 13,
12) e Cfr. anche C.C.C. 2519.
Possiamo rispondere che i puri di
cuore vedranno Dio anche in questa terra, secondo la capacità
della natura umana per mezzo di una fede grande, limpida e semplice,
attraverso il cristallo dei sensi. Si potrà vede re Dio nella
fede, e, con gli occhi del corpo e dell’intelligenza, nelle
opere del creato.
3) Riflessioni sulla beatitudine dei puri di cuore
S. Giovanni
nel discorso di Gesù con Nicodemo chiama il Figlio di Dio con
la parola “luce” e poi aggiunge: “Chi opera la
verità viene alla luce” (Gv. 3, 21). In altre parole:
Chi agisce lealmente, con retta intenzione, con purezza e santità
di vita viene alla luce, non rimane nelle tenebre, vede la luce, che
è Dio.
Qui non si tratta tanto di vedere solo la luce
natura le, che vedono anche i malvagi, quanto piuttosto della luce
spirituale, che è un insieme di naturale e soprannaturale, che
influisce negli occhi del corpo, dell’intelligenza e della fede
e ci dà così la possibilità di vedere la vera
luce, Dio.
Abbiamo detto che in questa terra vediamo Dio,
attraverso il cristallo dei sensi e, se questo è terso,
limpido e trasparente, con l’aiuto della fede potremo vedere
Dio come Egli è, Uno e Trino. Se invece tale cristallo è
annebbiato, appannato, offuscato o, peggio macchiato o spezzato non
potremo vedere nulla.
Quello che rende inservibile il cristallo
dei sensi per vedere Dio in questa terra è il peccato,
specialmente il peccato dell’impurità. Tale colpa,
infatti, è quella che più di ogni altra lascia un segno
nello spirito e col pisce più le anime che, ordinariamente, si
conservano pure che non coloro che sono inveterati nel vizio. Più
forte e marcato, infatti, è il rimorso negli uni che non negli
altri; senza considerare quelli che, ormai, hanno fatto tacere la
voce della coscienza, o quasi, perché è impossibile
spegnere del tutto la voce della coscienza, per l’abitudine
radicata dell’impurità.
I peccati impuri, infatti,
sono quelli che più si ricordano, anche nei particolari,
perché più degli altri lasciano nella persona
un’impronta speciale intaccando, direttamente, la natura
dell’uomo, la natura della sua vita fisica.
Se l’impurità
è quel peccato che, più di ogni altro, lascia un segno
più marcato nel rimorso atroce che porta nella coscienza, al
contrario, la virtù opposta, la purezza produce nell’anima
un segno più accentuato, quasi un anticipo della beatitudine
del cielo che il giusto avrà nella visione di Dio, promessa
nella vita eterna, ma già iniziata, nella fede, in questo
mondo.
Non è la purezza che ci fa vedere e gustare Dio in
questo mondo, ma la fede; la purezza è il mezzo per rendere
più limpidi gli occhi della fede, per avvicinarci alla visione
di Dio e al Suo godimento.
Perché la purezza sia completa,
tale da meritare la beatitudine promessa da Gesù, è
necessario che l’anima sia veramente pura e santa, cioè
immune da qualsiasi peccato, che abbia sempre la rettitudine di
intenzione e il distacco dai beni di questo mondo: dal nostro
spirito, dall’intelligenza e dalla volontà; dal nostro
corpo e dai beni che sono al di fuori di noi: dalle ricchezze e dalle
comodità della vita; che impari ad usare tutti questi beni
come mezzi e non come fine, che è e deve essere, sempre e
solo, Gesù, Dio.
Una pallida idea della beatitudine dei
puri di cuore è offerta dall’amore di due persone, che
veramente si amano, di due innamorati. Di essi si dice che sono
felici.
La purezza evangelica, infatti, perché sia tale, si
richiede che sia conservata per amore di Gesù Cristo, per la
conquista del Regno dei Cieli, di Dio.
Esiste, però, una
differenza tra due creature innamorate e l’anima pura
innamorata di Dio. Nei primi rimane il dubbio atroce che la creatura
possa cedere al tradimento, nella seconda si ha la certezza assoluta
che Dio non tradirà mai, c’è solo la possibilità
che sia tra dito Dio da parte dell’uomo.
Nel Regno dei
cieli, invece, sarà esclusa del tutto la possibilità di
un qualsiasi tradimento: e sarà quindi beatitudine piena.
La
beatitudine dei puri di cuore consiste anche nella certezza di
contemplare con gli occhi della fede Dio, Uno e Trino, senza avere di
Lui il timore di ricevere un rimprovero, ma uno sguardo di profonda
simpatia e di immenso amore. Noi, estasiati in Lui, nel vedere di
essere oggetto dell’amore del Padre dell’Universo, di
essere i suoi prediletti, di essere da Lui posseduti, di essere
trasformati in Lui, ci addormenteremo nel suo amore e guarderemo alla
morte come alla grande liberatrice. L’anima completamente pura
e santa, sciolta da qualsiasi vincolo terreno, vola liberamente verso
il sole della SS. Trinità, perché quello è il
suo tesoro (cfr. Mt. 6,21), quello è il suo tutto, come
ripeteva spesso 5. Francesco d’Assisi: “Mio Dio e mio
Tutto”
10 - La purezza, virtù ancella della
carità
Talvolta si sente dire che la Chiesa
Cattolica ha dato preminenza alla purezza, specialmente in passato, a
confronto della carità, che è la regina di tutte le
virtù. Tale affermazione indica una mancanza di chiarezza sia
del concetto di carità cristiana sia di quello della purezza.
Se la Chiesa ha sempre insistito molto sulla purezza, l’ha
fatto proprio in funzione della carità.
Compresa bene la
vera natura della carità cristiana e della purezza
comprenderemo anche l’infondatezza della suddetta affermazione
critica.
La purezza, infatti, è quella virtù che ci
insegna a distaccarci da noi stessi e, in tale maniera, dispone il
nostro animo alla carità cristiana.
Non può esistere
nel fedele vera carità cristiana e cioè vero amore
verso Dio per Se stesso e amore del prossimo per amore di Dio, se
prima egli non ha imparato a distaccarsi da se stesso, dal proprio
io, dal proprio corpo e dalle ricchezze che sono fuori di lui. (Cfr.
Conc. Vat. 11, “Perfectae caritatis”, 12).
Cerchiamo,
pertanto, di comprendere bene la vera natura della carità
cristiana. Essa è la terza delle virtù teologali, dopo
la fede e la speranza e tutte e tre hanno come oggetto Dio: nella
fede, Dio da conoscersi per mezzo della rivelazione operata da N.S.
Gesù Cristo; nella speranza, Dio da possedersi, dopo la morte,
nella vita eterna, in Paradiso; nella carità, Dio, conosciuto
con la fede, da amarsi sopra ogni cosa, con tutta la mente, con tutto
il cuore e con tutte le forze in questo mondo, e, soprattutto,
nell’altro, per l’eternità, in Paradiso.
Quale
meta altissima è la virtù della carità e quanto
è difficile da raggiungersi! Potremmo dire che la carità
è l’unica vera virtù e che le altre sono
manifestazioni di essa.
Le altre virtù, infatti, non sono
tali se non sono informate dalla carità, che ne è la
regina; esse sono come le ancelle, ma ancelle senza le quali la
carità stessa non può sussistere.
Ecco infatti
quanto insegna S. Paolo in proposito.
“ Se anche parlassi le
lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità,
sono come un bronzo che risuona o un cembalo che tintinna.
E se
avessi il dono della profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la
scienza, e possedessi la sicurezza della fede così da
trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sono
nulla.
E se anche distribuissi tutte le mie sostanze e dessi il
mio corpo per essere bruciato, ma non avessi la carità, niente
mi giova.
La carità è paziente, è benigna la
carità; non è invidiosa la carità, non si vanta,
non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non
si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiusti
zia, ma si compiace della verità. Tutto copre, tutto crede,
tutto spera, tutto sopporta” (1Cor. 13,1-7).
Dalla
descrizione di 5. Paolo, quindi, scaturiscono due insegnamenti:
primo, la carità è la regina di tutte le virtù
ed essa tutte le informa; secondo, le altre virtù sono
elementi indispensabili per la sussistenza della carità
stessa.
La pazienza, l’umiltà, la purezza, ecc. sono
varie manifestazioni della carità; non può esistere
vera carità senza la pazienza, l’umiltà, la
purezza, e tutte le altre virtù; e non possono esistere la
vera pazienza, l’umiltà, la purezza e le altre virtù
senza la carità, cioè prescindendo dall’amore di
Dio.
Dobbiamo dunque concludere che la purezza (come ogni altra
virtù) è una virtù necessaria per possedere la
vera carità cristiana.
Da quanto sopra esposto, appare
chiaro che non si può identificare la carità con
l’elemosina, che è gesto profondamente cristiano, ma non
è virtù, e neppure confonderla con la filantropia, il
solidarismo, la beneficenza, l’altruismo, l’umanitarismo
che, per lo più, si fondano su di un lodevole senso di amore
verso il prossimo, ma, disgiunta dall’amore di Dio, non posso
no identificarsi con la carità cristiana.
Essa è
amore, volontà di bene, ma quale amore?
Non qualsiasi
amore, ma quello soprannaturale per Iddio: ma non per qualsiasi Dio
(conosciuto solo con la ragione o creato con la fantasia), ma Dio,
conosciuto per mezzo della rivelazione, della fede, tramite
l’annunzio di Gesù Cristo, Figlio di Dio e Dio lui
stesso insieme con il padre e lo Spirito Santo.
Questo amore —
insieme con la fede e la speranza — ci è stato infuso
nell’anima nel santo battesimo (cfr. Rm. 5, 5).
L’oggetto
della carità cristiana è duplice: primo, Dio,
conosciuto per mezzo della fede, e questo deve essere amato per Se
stesso; secondo, noi stessi e il prossimo, che devono essere amati
non per se stessi, ma per amore di Dio.
Due comandamenti che si
possono riassumere in uno solo: amore di Dio. Perché l’amore
verso noi stessi e il prossimo non sono altro che l’espressione
e la prova del nostro amore per Dio, secondo l’insegna mento di
Gesù: “Se mi amate, osservate i miei comandamenti”
(Gv. 14, 15) e “In questo consiste l’amore di Dio,
nell’osservare i suoi comandamenti” (lGv. 5, 3 e cfr.
anche Conc. Vat. Il, “Lumen Gentium”, 42).
Da qui
risulta che il vero amore di Dio (la carità cristiana) non si
può esaurire in sole espressioni di affetto per Iddio, anche
sincere, in preghiere, anche ardenti, ma trova il suo compimento
nelle opere, che sono la manifestazione concreta dei nostri
sentimenti per Dio, secondo l’insegnamento di Gesù: “Non
chiunque mi dirà: Signore, Signore, entrerà nel Regno
dei Cieli, ma chi fa la volontà del Padre mio, che è in
cielo, questi entrerà nel Regno dei Cieli” (Mt. 7,
21).
Il Signore ci insegna anche con quale intensità
dobbiamo amarlo: “Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore,
con tutta la tua anima e con tutta la mente. Questo è il
massimo e primo comandamento” (Mt. 22, 37-38).
In altre
parole, tutta la nostra vita presente deve essere un olocausto a
Dio.
Dobbiamo convincerci che Dio è molto esigente e geloso
— anche se buono, misericordioso e comprensivo — e ci
vuole tutti per Sé. Egli infatti ci dice: “Nessuno può
servire a due padroni: o odierà l’uno e amerà
l’altro, o preferirà l’uno e disprezzerà
l’altro; non potete servire a Dio e al denaro” (Mt. 6,
24).
La vera carità cristiana dunque consiste nell’amore
di Dio per Se stesso con tutte le nostre forze, e quando si dice
tutte, si intende, che neppure una sola delle nostre facoltà
deve essere impiegata per un fine di verso.
L’espressione di
Gesù si può tradurre anche:
“ Amare Dio sopra
ogni cosa” e ciò significa ritenere Dio il bene più
grande di tutti i beni che esistono sulla terra; ne consegue che
tutti gli altri beni di questo mondo si devono stimare come
inferiori, e, fra questi, anche il bene di se stesso, del proprio io
e del proprio corpo.
L’amore per Iddio pertanto deve essere
sommo.
Bisogna fare attenzione a non confondere l’amore
soprannaturale per Iddio, che risiede unicamente nel l’intelletto
e nella volontà e nella stima supera qualsiasi altro amore,
con quello per le persone care, che si distingue per la forza
dell’affetto e che, per l’intensità, non è
superato da nessun altro e che per lo più risiede nei
sensi.
Si può pertanto conciliare l’amore
soprannaturale sommo per Iddio e l’amore sensibile, non
superato da nessun altro, per una persona cara.
Come si vede,
altissima è la meta della vera carità cristiana.
Ecco
quanto dice S. Bonaventura su questo argo mento.
“ La carità
ha tanta forza che essa sola serra l’inferno, apre il paradiso,
sola dà la speranza della salute, sola rende grati a Dio. E di
tanto valore che essa tra le altre è detta la virtù per
antonomasia: chi l’ha è ricco, dovizioso e beato; chi
non l’ha è povero, accattone ed infelice”.
Se
dunque la carità ha tanto valore, bisogna prendersi cura di
possederla a preferenza di tutte le altre virtù; e non una
carità qualunque, ma quella sola per la quale si ama Dio sopra
ogni cosa e il prossimo per amore di Dio.
In qual modo poi, tu
debba amare il tuo Creatore, il medesimo tuo Sposo te lo dice nel
Vangelo: ‘Amerai il Signore Iddio tuo con tutto il tuo cuore e
con tutta l’anima tua e con tutta la tua mente’.
Intendi
bene, quale amore voglia da te il tuo diletto Gesù Egli vuole
che all’amor suo tu dia tutto il tuo cuore, tutta la tua anima
e tutta la mente tua, in modo che in tutto il tuo cuore, in tutta
l’anima tua e in tutta la tua mente nessun altro possegga con
lui nemmeno una piccola parte.
Certamente allora ami Dio con tutta
l’anima, quando fai volentieri e senza nessuna opposizione non
ciò che tu vuoi, non ciò che consiglia il mondo, non
ciò che suggeriscono i sensi, ma ciò che sai tu che Dio
vuole. Certissimamente poi, allora ami Dio con tutta l’anima,
quando per amor suo ti esponi anche alla morte, se occorre.
Ma se,
al contrario, sarai stato negligente in qual cuna di queste cose,
allora no, non ami con tutta l’ani ma. Via dunque, ama il
Signore Dio con tutta l’anima, vale a dire, conforma in ogni
cosa la volontà tua alla volontà divina” (Dagli
“Opuscoli mistici” di San Bonaventura Vescovo — “De
perfectione vitae ad sorores” ed. Vita e Pensiero, Milano 1926,
pp. 307; 349-351).
La meta della carità cristiana è
difficile a raggiungersi; per poterla conquistare si richiede che
l’animo sia distaccato da tutti i beni di questo mondo e che
sia aiutato dall’esercizio di tutte le virtù e
specialmente della purezza, che, più di ogni altra, dispone il
fedele cristiano al vero amore per Iddio.
Di qui appare chiaro che
la purezza (e tutte le altre virtù) è ancella della
carità e grande è il sostegno che le assicura.
La
purezza è una virtù indispensabile per la carità
fino al punto che non vi può esser carità senza
purezza.
Il peccato dell’impurità, infatti, distrugge
il tessuto osseo del fedele cristiano; gli sconvolge, come un
terremoto, la mente e il cuore, e lo rende incapace di amare Dio per
se stesso sopra ogni cosa.
Dopo tali considerazioni, dunque, si
deve ritenere infondata la critica alla Chiesa, ricordata all’inizio
del capitolo.
0ra è facile comprendere perché la
chiesa, maestra saggia, lungo il corso dei secoli, ha sempre
inculcato con insistenza ai suoi fedeli l’esercizio della
purezza, che è facile perdere per la fragilità e
debolezza umana; perdendo la purezza si perde anche la carità,
che è la virtù regina, che ci fa entrare nel Regno dei
Cieli. (Cfr. C.C.C. nn. 1822 - 1829).
Conclusione
Nella
considerazione della bella virtù della purezza, siamo riusciti
a capire chi sono i veri puri di cuore, proclamati dalla beatitudine
di Gesù, attraverso l’esame del sesto e nono
comandamento e degli altri insegnamenti evangelici.
Consapevoli
delle difficoltà che si trovano nell’esercizio ditale
virtù, abbiamo individuato con semplicità e chiarezza i
mezzi naturali e soprannaturali per conservarla.
I fedeli del
popolo di Dio, ai nostri giorni, non chiedono ai loro pastori e
maestri parole o paroloni, ma desiderano di avere nella dottrina
della fede certezze e idee chiare e precise.
Nel presente
lavoretto mi sembra di aver soddisfatto tale esigenza.
Voglia il
cielo che, attraverso queste pagine, lo Spirito Santo per
intercessione di Maria Santissima ci abbia reso chiara l’importanza
della virtù della purezza, al fine del dinamismo e
dell’arricchimento della nostra vita spirituale.
Se fossimo
riusciti a tanto, avremmo trovato un mezzo sicuramente efficace per
introdurci sulla strada maestra della carità cristiana, che ci
largisce la robustezza per entrare attraverso “la porta
stretta” e poter raggiungere così la beatitudine eterna
della salvezza, promessa da N.S. Gesù Cristo, morto e risorto.
Fonte: La purezza per il regno dei cieli di Padre Raimondo Marchioro Francescano conventuale
Fonte: La purezza per il regno dei cieli di Padre Raimondo Marchioro Francescano conventuale