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Messaggio del 25 gennaio 1994:Cari figli, voi tutti siete miei figlioli. Vi amo, perciò figlioli non dovete dimenticare che senza preghiera non potete essermi vicini. In questo tempo satana vuole creare disordine nei vostri cuori e nelle vostre famiglie. Figliuoli, non cedete, non dovete permettere che egli diriga voi stessi e la vostra vita. Io vi amo e intercedo per voi presso Dio. Figlioli, pregate. Grazie per aver risposto alla mia chiamata.

Il segreto di Wojtyla (Antonio Socci 14.05.2005)

14/04/2008    2621     Antonio Socci    Antonio Socci  Papa Giovanni Paolo II 
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Vogliamo tornare ai sacrifici umani? Vogliamo una società fondata sull’immolazione sacrificale di vittime umane innocenti? Bisogna porsi queste strane e conturbanti domande, di sapore etnoantropologico, se vogliamo capire davvero la decisione di Benedetto XVI di accelerare l’iter della beatificazione di Karol Wojtyla e di darne notizia proprio nel giorno di ieri. Infatti la Chiesa proclama dei santi per un motivo pedagogico. Vuole indicare donne o uomini di Cristo, umanamente affascinanti, come amici, compagni di viaggio, protettori ai cristiani ancora nella trincea della milizia terrena.

E perché allora l’urgenza di indicare l’esempio del grande Karol? Qual è l’impellenza drammatica dei tempi? E cosa è stato Wojtyla? Bisogna ricordare prima la natura del cristianesimo. Tutte le religioni pagane e tutte le forme di potere – prima del cristianesimo – si sono strutturalmente fondate sui sacrifici umani. Non solo le religioni (e il potere) degli antichi o degli Aztechi per cui venivano sgozzati 25 mila poveracci ogni anno (circa 70 al giorno: veniva loro strappato loro il cuore da vivi), ma tutte le forme di potere – sempre sacralizzate (come ha sottolineato Ratzinger in una memorabile lezione alla Sorbona) – esigevano immani olocausti di popoli: per il re, per l’impero, per le conquiste, per l’economia o per vari fanatismi… Tutte le società peraltro erano schiavistiche, cioè prosperavano sul fatto che un certo numero di esseri umani (tanti) venivano degradati a non-persone e non avevano alcun diritto. Erano cose da usare. Su cui si poteva esercitare ogni arbitrio.

Il cristianesimo è la fine di questa notte orrenda. E’ una storia che inizia con Abramo (cioè con Israele) a cui l’unico Dio, con l’episodio drammatico di Isacco, svela di aborrire tutti i sacrifici umani e di volervi metter fine. Dio rivelerà totalmente la sua natura (che è Amore) incarnandosi e facendosi Lui stesso, Gesù Cristo, vittima sacrificale: l’ultima della storia, per redimere tutti. Per questo il cristianesimo ha messo fine a tutti i sacrifici umani e ha vissuto i primi due secoli di martirio per rifiutare la divinità dell’Imperatore-Stato a cui “sacrificare”. Gli aztechi, ad esempio, seppero cos’era il cristianesimo quando gli spagnoli, come primo atto, proibirono da subito tutti i sacrifici umani e sugli altari dove venivano sgozzate le vittime posero un’icona della Madonna col bambino. Infatti poi la Vergine, apparendo all’indio Juan Diego, si definì Coatlaxopeuh, che significa “Colei che schiaccia il serpente” (Satana). Da qui il nome di quel santuario, Guadalupe, genesi della cristianità sudamericana.

Con i tempi moderni è tornato il paganesimo degli dèi sanguinari ed il cristianesimo è stato perseguitato e messo ai margini. Basta ascoltare il più acerrimo e lucido nemico della Chiesa, quel Nietzsche che, alla vigilia del Novecento, traccia questa perfetta diagnosi: “L’individuo è stato ritenuto dal cristianesimo così importante, posto in modo così assoluto, che non lo si poté più sacrificare; ma la specie sussiste solo grazie a sacrifici umani (…). La vera filantropia vuole il sacrificio per il bene della specie – è dura, è piena di auto superamento, perché abbisogna del sacrificio dell’uomo. E questo pseudo umanesimo che si chiama cristianesimo vuole giungere appunto a far sì che nessuno venga sacrificato”.

Tutto il Novecento sta in questo scontro apocalittico. Nietzsche ha proclamato senza ipocrisia la necessità di abbattere il cristianesimo per tornare al paganesimo dei sacrifici umani. E purtroppo il nazismo – come spiega René Girard - ha orrendamente praticato il ritorno agli dèi della Razza e all’immane olocausto di esseri umani. Ma – sotto forme ideologiche o sociali diverse – questa è la notte in cui è sprofondato tutto il Novecento: iniziato, non a caso, con l’immane olocausto della Grande guerra (“l’inutile strage”, la definì Benedetto XV). Poi con l’oceano di vittime sacrificali della rivoluzione d’ottobre e del comunismo: intere classi sociali e interi popoli, a milioni, trasformati – a tavolino – in vittime sacrificali da immolare per il raggiungimento di certi scopi. Immolati ai nuovi dèi del Partito, della Classe, dello Stato, del Socialismo. Karol Wojtyla nasce proprio dentro questo inferno, nasce da quel popolo polacco che era stato dichiarato vittima sacrificale da sopprimere dai due demoni alleati, Hitler e Stalin. E infatti proprio con l’attacco concordato, rossobruno, alla Polonia, inizia il secondo immane Macello mondiale. E dentro di esso quell’Olocausto unico nel suo genere che è stato la Shoah. Tutti gli antichi demoni sono tornati nel Novecento e si sono scatenati innanzitutto contro i due popoli testimoni del Dio di Abramo e di Gesù (il popolo ebraico e il popolo cristiano) e poi contro tutti gli esseri umani deboli, indifesi, considerati “parassiti” e “inferiori” o sub-umani, contro le vittime predestinate.

Karol Wojtyla diventa papa venendo da questo inferno e subito implora di aprire le porte all’unico difensore della causa dell’uomo: Gesù Cristo. E della dignità dell’uomo – in Cristo – fa il tratto di tutto il suo pontificato. Si è consumato per mettere in guardia dalle forme nuove e più insidiose di barbarie neopagana. Il suo ultimo libro, “Memoria e identità”, uscito pochi giorni prima della morte, grandioso affresco del nostro tempo, è drammatico proprio perché indica le minacce presenti anche nelle società democratiche.

All’opposto della dottrina-Zapatero, il papa afferma che i diritti fondamentali dell’essere umano non sono a disposizione nemmeno dei parlamenti democraticamente eletti, né di eventuali maggioranze elettorali: non si vota sulla vita o sulla libertà. Neanche queste eventuali maggioranze hanno il diritto – denuncia il papa – di decidere sulla vita e la morte di altri esseri umani, né hanno il diritto di trasformarli in “cose”, solo perché certe creature innocenti (come i nascituri) sono indifese e senza voce. Nessun essere umano può essere sacrificato, mai, su nessun altare, neanche quello (presunto e ipocrita) del bene comune o della scienza. Come capì Nietzsche, Cristo è venuto affinché “nessun essere umano venga più sacrificato”.

Wojtyla lo ha gridato con il suo amore appassionato al Redentore, l’ha gridato a ogni angolo del pianeta, dovunque la dignità dell’uomo è calpestata, dovunque ci sono creature umane che soffrono, private dei loro fondamentali diritti, dovunque l’umanità è offesa e umiliata, o schiavizzata, degradata, affamata, straziata. E dovunque – il papa “Totus tuus” - ha chiesto su queste povere creature la protezione di Colei che arde di compassione per tutti gli esseri umani e che per la loro salvezza schiaccia il Serpente del Male.

Per questo Benedetto XVI ha scelto il giorno di ieri per dare l’annuncio della beatificazione di Wojtyla: era infatti il 13 maggio, festa della Madonna di Fatima. E’ a Fatima che è iniziato quel “particolare intervento di Dio”, e quindi di Maria, che Wojtyla coglieva in “tutto il XX secolo”. E’ a Fatima infatti che la Madonna ha supplicato l’umanità – con segni e profezie grandiose – di tornare a Dio, di non darsi in pasto agli dèi sanguinari.

Ed il 13 maggio è anche l’anniversario del tentato omicidio di Giovanni Paolo II in piazza san Pietro, quel crimine che proprio il terzo segreto di Fatima aveva preannunciato. Perché le ideologie del Male, gli dèi sanguinari, puntavano al bersaglio massimo, al Vicario di Cristo, al difensore di tutte le vittime. E la Madonna di Fatima lo ha salvato. C’è tutto questo nell’annuncio di ieri. Papa Ratzinger ha urgenza di indicare al mondo la gravità dei tempi e la speranza.

Fonte: Giornale - 14 maggio 2005