MaM
Messaggio del 31 ottobre 1985:Cari figli, oggi vi invito a lavorare nella Chiesa. Io vi amo tutti in modo uguale, e desidero che tutti lavoriate, ciascuno secondo le sue capacità. Io so, cari figli, che potete ma non lo fate, perché non ve la sentite. Dovete essere coraggiosi e offrire piccoli sacrifici per la Chiesa e per Gesù, affinché entrambi siano contenti. Grazie per aver risposto alla mia chiamata!

La Comunità Cenacolo di suor Elvira a Medjugorie

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Una delle tante realtà fiorite dai messaggi della Gospa sulle colline dell’ex Jugoslavia: una realtà comunitaria che ha ridato speranza a migliaia di giovani che si erano perduti nella palude della droga.

Sono numerosi i frutti che ha prodotto la Gospa in oltre trenta anni di apparizioni a Medjugorje. Basta ricordare i milioni di pellegrini provenienti da tutti i continenti, le numerosissime conversioni di cuore. Inoltre, le migliaia di gruppi di preghiera attivi e sparsi in tutti i continenti, tutti in comunione con la parrocchia di Medjugorje. Poi ci sono le migliaia di sacerdoti che grazie alla Madonna, sono ritornati a quel fervore di Fede che avevano visto affievolirsi o svanire. Non bisogna dimenticare poi, i molti pellegrini che hanno sentito crescere nel proprio cuore l’amore per Cristo, al punto da iniziare un cammino vocazionale che li ha portati al seminario, oppure in convento. Un fenomeno di Medjugorje non meno importante, è la nascita e lo sviluppo di molti istituti, comunità e associazione che operano con lo spirito dei messaggi della Gospa. A Medjugorje, e nel suo territorio, sono presenti circa 40 fra associazioni e comunità, anche se l’unica collegata alla Parrocchia e riconosciuta dal Vescovo di Mostar è Il Villaggio della Madre.
Una delle strutture presenti a Medjugorje, anche se non è nata in quel luogo, è la Comunità Cenacolo di Suor Elvira, una realtà comunitaria che ha ridato speranza a migliaia di giovani che si erano perduti nel mondo della droga. Tutto ebbe inizio nel 1983, da suor Elvira Petrozzin, in una casa abbandonata e ormai diroccata, che le era stata messa a disposizione dal Comune di Saluzzo (CN), dove fonda la Comunità Cenacolo.

Suor Elvira ha voluto che la sua comunità, divenisse un luogo di accoglienza, di speranza e di rinascita, per i molti giovani che si erano persi nel mondo dell’emarginazione, della droga e della solitudine.
All’inizio fu solo una casa, quella di Saluzzo, ristrutturata con il lavoro dei ragazzi accolti, ma le richieste erano molte, troppe e lo spazio di una sola casa non bastava più. Molti erano i giovani che chiedevano di essere accolti, per ritrovare il senso della loro vita. Così le case della Comunità si moltiplicarono prima in Italia, poi in Europa e in altri continenti: attualmente le fraternità sono oltre 60, presenti in circa 20 paesi del mondo. Un vero miracolo, quello della “moltiplicazione” delle Comunità, ma Madre Elvira ama ripete:” Siamo noi i primi testimoni di un miracolo di Dio, mai pensato né programmato a tavolino, che ci supera e ci sorprende.” Nelle comunità presenti nei paesi europei, sono accolti migliaia di giovani, che hanno spesso alle spalle un profondo disagio esistenziale, anche a causa della droga o dell’alcolismo; negli ultimi tempi trovano accoglienza anche giovani schiavi del gioco d’azzardo.

In America Latina, la Comunità accoglie i bambini di strada, gli orfani e i fanciulli abbandonati, oltre che i giovani in disagio. In Africa è presente una sola comunità, in Liberia, che accoglie bambini orfani.
Nelle comunità collaborano centinaia di persone, che spesso si dedicano totalmente a questa opera di carità. Ci sono giovani volontari, laici missionari, famiglie, alcuni sacerdoti e sorelle consacrate, che condividono la loro vita insieme alle persone accolte nelle diverse realtà. La vita nella comunità si alterna tra momenti di preghiera, momenti di lavoro, in un vero “ora et labora”. Una vita vissuta alla riscoperta dei valori dell’amicizia, dell’impegno e del sacrificio personale, in un clima di rapporti familiari. All’interno della comunità si vuole ricreare lo spirito della famiglia, che molto spesso alle persone accolte è mancata. Quindi non solo un luogo di recupero sociale, o di semplice assistenza, ma comunità come scuola di vita, dove poter ritrovare la propria dignità, la vera pace, l’amore, la gioia di vivere. I giovani e coloro che chiedono aiuto alla Comunità, vengono accolti nella totale gratuità; ogni fraternità vive di carità e di Provvidenza, oltre che di lavoro degli ospiti.
La Comunità è stata riconosciuta presso il Pontificio Consiglio per i Laici nel 2009; all’interno della Comunità Cenacolo, è nata un’Associazione orientata alla vita religiosa femminile, denominata Suore Missionarie della Risurrezione.
In Estate di ogni anno, presso la Casa Madre di Saluzzo, si svolge la “Festa della Vita”, una “quattro giorni”, con momenti di preghiera, testimonianze, catechesi, canti, danze e musical, alla quale partecipano migliaia di persone.

A Medjugorje ci sono due comunità, una per ragazzi e una per ragazze; nell’edificio che accoglie la comunità maschile, c’è un anfiteatro coperto, dove quotidianamente si tengono le testimonianze dei giovani della comunità. Andare alle testimonianze della Comunità Cenacolo, per i gruppi di pellegrini che si recano a Medjugorje, è divenuta una sorta di tappa fissa; ma ciò che si ascolta, le esperienze, le vite strappate alla morte, alla droga, lasciano raramente gli occhi asciutti, la commozione tra gli ascoltatori è evidente. Così, l’indimenticabile fra Slavko Barbaric, presentava la Comunità nel suo libro “Seguimi col cuore”: “La Comunità fu fondata da suor Elvira Petrozzi nel 1982 per l’aiuto ai tossicodipendenti, sebbene l’obiettivo principale sia quello della scoperta e dell’esperienza dei veri valori della vita cristiana. ... Suor Elvira decise di aprire la casa di Medjugorje per la particolare grazia che essa dona ai giovani in cammino alla ricerca della verità. La casa è stata aperta il 1 Giugno 1991 e vive esclusivamente grazie ai doni dei benefattori”.

Madre Elvira, conosciuta da tutti come “la suora dei drogati”, nasce a Sora il 21 gennaio 1937. Durante la seconda guerra mondiale, insieme alla sua povera famiglia, emigra ad Alessandria, dove vive la miseria del dopoguerra. Nel suo libro “L’abbraccio” (Ed. San Paolo) scrive:” Che bella la povertà, perché “la povertà è libertà! Ci siamo noi prima delle cose, prima della ricchezza, prima delle ambizioni”.

Una vita spesa per i poveri e gli emarginati, in una vecchia intervista cosi si raccontava: “Avevo diciannove anni quando ho lasciato la famiglia, con tanta sofferenza da parte soprattutto di mia madre, perché avevo altri fratelli, più piccoli e più grandi, da accudire. Però questa chiamata è stata forte, più forte degli affetti, più forte del sangue, più forte della carne, più forte anche della realizzazione. Sono partita per un convento che ancora oggi è fiorente, a Borgaro Torinese, delle suore della Carità di Santa Giovanna Antida Thouret, una grande fondatrice francese che ha avuto il cuore aperto al servizio dei poveri senza distinzione. Così, in questa comunità sono rimasta circa ventotto anni. Dopo, dentro di me, si è sviluppato il desiderio forte di impegnarmi per i giovani, in modo particolare per i giovani che erano alla ricerca. Lo gridavano così forte, che a me sembrava che lo urlassero con la droga, addormentandosi, disperandosi, lasciandosi morire giorno dopo giorno. Volevano sapere se l’amore esiste, se la speranza c’è, se è possibile vivere la pace dentro di noi, più che fuori, se la loro storia può essere ricostruita, rifatta. Leggevo questo nei volti e nelle scelte sbagliate dei giovani. Ho chiesto e richiesto tante volte ai miei superiori, i quali comunque avevano ragione quando mi dicevano che andavo nell’incognita, che non ero preparata, che non avrei potuto farlo: tutte cose che mi facevano solo attendere, soffrire e pregare. Per me è stato come un fuoco dentro, un’agonia nell’attesa di come avrebbe sviluppato lo Spirito Santo quello che dentro di me si muoveva. Ho sofferto molto perché mi sembrava di perdere tempo, il tempo per Dio e il tempo per i giovani, per proteggerli, custodirli, educarli, amarli. Qualcuno mi diceva anche: “Ma Elvira, perché non esci dalla Congregazione, così puoi fare quello che vuoi?”. Ma io non intendevo fare quello che volevo, tutt’altro. Quindi ho aspettato con tanta fiducia e speranza, ho pregato, sofferto, amato, finché i superiori un giorno hanno avuto fiducia e mi hanno detto: “Va bene!”. Abbiamo, così, iniziato in una casa dataci dal Comune di Saluzzo, su una collina, in comodato. Questa casa era abbandonata da un po’ di anni e abbiamo trovato quello che si trova quando una casa è abbandonata: sterpi, rovi, porte rotte, finestre senza vetri. Però abbiamo iniziato con l’ardore, la forza e la bellezza dell’amore. L’amore era anche lì, ancora una volta più forte dei disagi, della paura, del fallimento. Poteva anche essere un fallimento, ma in quel momento non ho mai pensato che potesse esserlo, perché dentro di me c’era una forza di amore che non era solo un amore umano, ma il mio amore. Non sapevo neanche se ero capace ad amare, però dentro di me c’era questo coraggio, questa capacità di rischiare, di vedere al di là, di credere contro ogni fallimento. Questo, adesso lo posso dire, era l’amore di Dio che aveva invaso la mia volontà, la mia libertà, la mia forza, in una debolezza estrema. Questo per me è stato tutto un riscoprire la mia fede. Ho trovato una fede concreta, incarnata, operosa, una fede rischiosa. Quando ho visto quel cancello aperto ho tirato un grande sospiro di gioia. Mi ricordo che le viscere si sono mosse, hanno danzato. Era arrivato il momento e dentro di me c’era una pienezza di vita.

Così, giorno dopo giorno, sono incominciati ad arrivare i ragazzi. Noi sinceramente avevamo stabilito un mese per fare comunione tra di noi, per pregare di più, per vivere la vita comunitaria. Invece, qualche giorno dopo, al cancello si sono affacciati tre ragazzi che ci hanno chiesto: “È questa la comunità per drogati?”. Noi non avevamo definito la comunità dei drogati, ma la comunità dei giovani persi nel non senso, nella noia, nell’insicurezza, incapaci di iniziare e concludere una storia. Noi ci siamo guardate e abbiamo detto: “Drogati o non drogati, sono giovani”. E allora gli abbiamo detto di sì.”

Tante comunità sparse per il mondo, che accolgono giovani senza speranza, in un abbraccio d’amore, ma come è potuto accadere tutto questo? Lo spiega la stessa Madre Elvira: “Come avrei potuto io inventare una storia così? Tutto è avvenuto senza che io me ne accorgessi: mi sono tuffata nella Misericordia di Dio e mi sono rimboccata le maniche per amare, amare, amare.. e servire! Sono io la prima a sorprendermi continuamente di quello che è avvenuto e che sta avvenendo nella vita della Comunità Cenacolo, che è opera di Dio, dello Spirito Santo, di Maria”.

Fonte: La Croce Quotidiano    


Fonte: R. Lauri