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Messaggio del 2 gennaio 2019:Cari figli, purtroppo in mezzo a voi, figli miei, c’è tanta lotta, odio, propri interessi ed egoismo. Figli miei, così facilmente dimenticate mio Figlio, le Sue parole ed il Suo amore. La fede si spegne in molte anime ed il cuore è preso dalle cose materiali del mondo. Però il mio cuore materno sa che in mezzo a voi ci sono coloro che credono ed amano, coloro che cercano di avvicinarsi sempre più a mio Figlio, che Lo cercano instancabilmente e, in questo modo, cercano anche me. Questi sono gli umili e i miti i quali, con il dolore e la sofferenza che sopportano nel silenzio, con la loro speranza e soprattutto con la loro fede, sono gli apostoli del mio amore. Figli miei, apostoli del mio amore, vi insegno che mio Figlio non cerca preghiere con troppe parole, ma anche le opere ed i sentimenti, che preghiate, che con le preghiere personali cresciate nella fede e cresciate nell’amore. Amatevi gli uni e gli altri: questo è ciò che Lui chiede, questa è la via per la vita eterna. Figli miei, non dimenticate che mio Figlio ha portato la luce a questo mondo. L’ha portata a coloro che hanno voluto vederla e riceverla. Questi siate voi, perché questa è la luce della verità, della pace e dell’amore. Io vi guido maternamente ad adorare mio Figlio, ad amarLo con me. Che i vostri pensieri, parole ed opere siano rivolte a mio Figlio, che siano in Suo nome: solo allora il mio cuore sarà colmo. Vi ringrazio.

Venuti dall'aldilà: «Vicini a te, tutti e sette»

29/08/2005    2523     Venuti dall'aldilà    Aldilà 
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Nel dicembre del 1945 un sacerdote fu chiamato d'urgenza ad assistere una signora moribonda. Dopo averne ricevuta la confessione, ebbe da lei in consegna una lettera-diario di dodici fogli che avrebbe dovuto far conoscere alle madri dieci anni dopo. La protagonista si era sposata nel 1914 con un giovane buono e religioso. Quando nacque la prima bambina (l'unica a cui la madre permise di vedere la luce), la felicità degli sposi fu al colmo. Ma la madre si propose che nessun'altra maternità doveva per lei verificarsi. Dopo due anni, altra gravidanza. Con la complicità di un'amica perversa che già l'aveva iniziata alle pratiche illecite, finse una disgrazia e tutto fu a posto. Dopo pochi mesi altra maternità. Si ripeté il delitto, e così per altre cinque volte di seguito. Un giorno, in una conferenza riservata alle signore, ebbe a udire un severo monito per quelle madri snaturate che impediscono ai propri figli di nascere. Da allora la donna non ebbe più pace. Nel diario narra:
«Dormivo forse da circa due ore quando fui svegliata da uno che chiamava: - Mamma -. Mia figlia era andata dalla zia e poi quella voce non era la voce di mia figlia. Accesi la luce, balzai a sedere sul letto e stetti in ascolto. Pensai provenisse dall'appartamento degli inquilini di fronte, ma scartai subito l'ipotesi. La voce io l'avevo intesa distinta, vicinissima, nella mia camera, al mio fianco, addirittura dentro di me. In più osservai che non era una voce sola, ma parecchie insieme, fuse così bene da sembrare una sola. Stetti così non so quanto tempo. Poi pensai che si trattasse soltanto di un incubo, al quale stavo dando troppa importanza. Spensi la luce. Non era passato un quarto d'ora ed ecco di nuovo la voce di prima, anzi le voci di prima: - Mamma. Adesso ero sveglia e potei accertare che quelle voci provenivano proprio di lì, dalla mia stanza, a uno o due passi. Erano voci ovattate, soffocate, d'un tono triste». La notte seguente fu peggio. Durante il giorno aveva cercato di distrarsi il più possibile. Si era appena messa a letto quando quelle voci misteriose: - Mamma, mamma - si fecero ancora sentire. Questa volta erano più esplicite: - Siamo noi, mamma, i figli che non hai fatto nascere.
Il diario continua:
«Se non diedi un urlo di spavento fu perché non ne ebbi la forza.
- Guarda, siamo qui vicino a te, tutti e sette. Ed ecco sulla parete di fronte, tra la specchiera e la finestra, sette macchie di luci, molto distinte. Si muovevano non scivolando sulla parete, ma tra la parete e me, cambiando rapidamente consistenza quasi di continuo». Il giorno appresso la signora si ridusse in tale prostrazione che si temeva della vita.
Si riebbe; le voci si fecero riudire.
Ricorse al sacerdote e fece la sua non facile confessione dopo la quale scrisse: «...mi sentii risanata e piansi». Volle riparare. Adottò sette bambini pagani che fece battezzare ed educare in un istituto missionario. E per alcuni mesi riacquistò la pace e la serenità. Qualche tempo dopo, le voci di lamento durante la notte si rinnovarono. Le sopravvenne una forte depressione nervosa per cui fu ricoverata in una casa di salute, in cui rimase per tre anni. Invano cercò di ribellarsi a un provvedimento così inopportuno, e scrisse: «Posso giurare di non aver mai perduto un istante la coscienza di me stessa. Sono ancora oggi in grado di riferire quello che si diceva e che accadeva intorno a me». Guarì per le preghiere di un sacerdote in fama di santità. Andò a vivere con la figlia che intanto si era sposata e, sebbene le pene interiori non fossero cessate del tutto, non si ripeterono più quei misteriosi fenomeni.

Fonte: Riduzione dell'opuscolo Mamma, perché ci hai uccisi?, Edizioni Paoline, 1958.