MaM
Messaggio del 19 giugno 1986:Cari figli, in questi giorni il mio Signore mi ha permesso di ottenervi molte grazie. Per questo, cari figli, desidero invitarvi di nuovo a pregare. Pregate continuamente, così vi darò la gioia che il Signore dona a me. Con queste grazie, cari figli, desidero che le vostre sofferenze diventino gioia. Io sono vostra Mamma e desidero aiutarvi. Grazie per aver risposto alla mia chiamata!

Paradiso: Visione beatifica di Dio (1)

06/09/2004    2698     Paradiso    Aldilà  Paradiso 
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Lume di gloria

Finora abbiamo parlato della felicità secondaria del Paradiso consistente nel godimento dei bern sensi? bili che delizieranno il Beato col suo corpo risuscitato. In questa seconda parte ci sforzeremo di dire qua!che cosa sulla felicità primaria del Paradiso: la Visione beatifica di Dio.
Prima però di inoltrarci in essa facciamo un accenno del così detto «lume di gloria». E possibile a noi conoscere Dio come Egli è, amarLo, adorarLo, goderLo? Lo splendore e la perfezione di Dio è tanta che la nostra anima non può affatto sostenerli, come il nostro occhio non è capace di sostenere una luce vivissima, perché resterebbe abbagliato e potrebbe accecare. Ora se noi non siamo capaci di sostenere, per esempio; la luce del sole, creatura di Dio, come potremo sopportare il bagliore di Dio stesso? Ebbene quello che è impossibile all'uomo, lo fa Dio stesso: infonderà alla nostra anima una virtù soprannaturale permanente che ci farà capaci di v'edere, amare, godere Dio come Egli è. Questa virtù soprannaturale viene chiamata «lume di gloria». «Lume» perché dissipa le nostre tenebre;
cioè le nostre incapacità naturali, e ci rende Dio visibile; «di gloria» perché con esso noi raggiungeremo il vertice più alto possibile della nostra somiglianza con Dio nella partecipazione della sua stessa natura divina. Un esempio chiarificatore. Un vaso di terracotta può contenere solo un litro di acqua. Per poterne contenere cento litri cosa sarebbe necessario? Occorrerebbe che il vaso divenisse talmente dilatabile da contenere gli altri 99 litri d'acqua. Più aumenta la forza di dilatazione, più il vaso diventa capace di contenere altra acqua ancora. Così all'anima nostra è necessaria tale elasticità misteriosa e soprannaturale, chiamata «lume di gloria», per renderla capace di vedere, amare, godere e possedere Dio.
Questo lume di gloria, questa capacità soprannaturale è proporzionata al grado di grazia e ai meriti che ciascun Beato ha conseguito fino al momento della sua morte. Quindi tutti i Beati vedranno Dio, lo ameranno, lo godranno però con intensità, con penetrazione, con godimento differente, in proporzione dei meriti personali. Perciò la felicità del Paradiso non è uguale per tutti, ma sarà proporzionata ai meriti acquisiti durante la vita terrena.

Visione di Dio

Cosa è la visione di Dio? Il termine «vedere Dio» non significa un semplice atto visivo degli occhi del corpo o della mente, né una conoscenza qualunque di Dio, ma immensamente di più: significa conoscere, amare, possedere Dio, godere Dio. Il Beato vede Dio come Egli è, lo sente, lo possiede, lo ama, lo gode, cioè lo raggiunge con tutte le sue facoltà. Un esempio per chiarire l'idea. Un giovane sposo, emigrato all'estero per lavoro, sospira vedere la sua giovane sposa. Questo significa forse ch'egli vuole vederla soltanto con gli occhi? Anche questo certamente, infatti desidera posare su di lei il suo sguardo prolungato e affettuoso nel quale si concentra tutto il suo cuore che palpita e soffre per lei. Però quello che egli brama di più è state vicino alla persona che ama tanto, e, nel colloquio più affettuoso e nell'unione più intima, vivere con lei cuore a cuore condividendone la vita.
Così da parte del Beato «vedere Dio» significa che egli guarda Dio con sguardo estasiante d'amore; significa ch'egli si unisce a Dio con tutte le fibre del suo essere; significa ch'egli trascorre l'eternità con Lui nell'intimità più totale e deliziosa. Da parte di Dio significa che Egli versa nel Beato la sua pienezza inesauribile di bene e di felicità e lo riempire tutto di Sé. Quindi « vedere Dio» è l'immergersi del Beato in Dio, è una vera specie di fusione di tutto l'essere umano con quello divino, pur restandone sempre distinti come il ferro immerso nel fuoco ardono insieme pur restando sempre distinti.
Perciò lontano da noi la concezione puerile dei Beati come una moltitudine sbalordita che guarda a bocca aperta, come bimbi estasiati dietro la vetrina di un negozio, piena di tante belle cose, però da guardare senza toccare! Oppure la concezione errata di un assistere eterno, da annoiati e da inerti mummificati, alla proiezione dello stesso film, o dello stesso quadro. Invece l'essere permeati completamente dalla vita divina, che è attività dinamicissima, significa proprio l'opposto di simile concezione statica. Nelle pagine seguenti spiegheremo più ampiamente il significato di «Visione di Dio».

Visione contemplativa
Ai nostri giorni, per essere troppo indaffarati e frettolosi, non sappiamo più cosa sia «contemplare».
Non abbiamo più il tempo e la pazienza di fermarci a guardare con attenzione e raccoglimento anche la sola realtà sensibile che l'universo mutevole rinnova senza posa davanti ai nostri occhi. La fretta moderna favorisce lo scorrere frettoloso di riviste e giornali per sapere quanto concitatamente accade nel mondo. Tutto questo si oppone all'osservazione pensosa e alla saggia contemplazione del mondo, cara agli antichi. Sant'Agostino, parlando dei golosi, dice che sono avidi di gustare, ma non di saziarsi. Altrettanto può dirsi di noi che abbiamo solo la passione di apprendere quante più cose è possibile, ma non di possedere la verità il meglio possibile. Infatuati dalle immagini che si rincorrono sullo schermo o sul video, non sappiamo più sostare ad ammirare neppure le più splendide proiezioni fisse.
Tutte le creature portano in sé qualche impronta delle perfezioni divine, di modo che l'universo è come un libro aperto dove l'uomo può agevolmente legge rle e apprenderle. Ma noi, privi di amore per le cose belle, siamo diventati come i ragazzi di oggi, i quali, formati alla scuola dei fumetti, non riescono più, anche di libri molto belli, se non a scorrerne le illustrazioni. L'ape potrebbe forse fare il miele se, invece di raccogliere il dolce nettare nel profondo dei singoli fiori, si contentasse di svolazzare da un fiore all'altro?
Le anime invece che hanno imparato nella loro meditazione a unirsi cuore a cuore con Dio, di fronte agli spettacoli della natura rimangono come incantate a contemplare Dio nelle sue opere. Senza stancarsi né annoiarsi, senza esaurire mai la fonte creata della loro contemplazione, ogni giorno ritornano a immergersi in essa. Ebbene in Paradiso il Beato contemplerà, senza stancarsi mai, la Divinità infinitamente bella e sempre nuova, infinitamente perfetta e sempre nuova. Inoltre lo sguardo del Beato su Dio non è lo sguardo di un semplice curioso, ma di un innamorato che fissa, ebbro di gioia e senza stancarsi mai, l'infinito Amore.
Noi su questa terra non possiamo comprendere questo, sia perché conosciamo solo beni limitati, mentre noi siamo affamati del Bene Assoluto; sia perché la nostra capacità di stare attenti, anche se la cosa è molto seducente, ha dei limiti: ci stanchiamo presto e ci annoiamo di tutto. Invece in Paradiso le nostre facoltà sopraelevate non si stanche ranno mai e quindi la contemplazione della Bellezza infinita, anziché stancarci, ci somministrerà continuamente nuovo alimento d'uno stupore senza fine.

Visione di possesso
Noi siamo stati creati per Dio, Bene assoluto e Felicità infinita. Per questo tutti i beni terreni e tutte le creature umane non possono soddisfare mai la nostra fame di felicità, ma ci lasciamo sempre delusi.
Su questa terra le creature umane belle e amabili hanno il compito di farci intravedere la realtà estasiante dell'infinita Bellezza e dell'infinito Amore: Dio. Noi però, ingannati dai nostri sensi che ci impediscono per ora di vedere Dio, ci attacchiamo disordinatamente a queste amabili creature e dimentichiamo il Creatore. Facendo così commettiamo la vergognosa sciocchezza della principessa che, nel ricevere pressanti messaggi di amore da parte di un re che vuole sposarla, s'innamora del servo, latore dei messaggi, e disprezza il re. Ma quando, caduta intorno a noi ogni seduzione e ogni illusione delle cose effimere, Dio si manifesterà a noi come l'unico e infinito Bene con tutte le sue infinite perfezioni, chi potrà frenare l'impetuosità del nostro slancio verso di Lui.
Dio si darà a noi completamente. L'ebbrezza che ci darà il suo possesso sarà tale e tanta da farci passare quasi inosservate tutte le altre delizie del Cielo, ma che noi assaporeremo lo stesso perché Dio è tutto anche in esse. In Paradiso ameremo Dio con tutte le nostre forze, tanto da non potercene distaccare mai più. Non saremo più padroni del nostro cuore, perché la bontà e la bellezza di Lui sono sconfinate e troppo travolgenti.
I beni terreni ci sorridono con l'apparente illusione di farci felici, ma in realtà ci rendono infelici. La nostra gioia nel possederli è, come dice il profeta Isaia (Is. 29,8) «come quando un affamato sogna di mangiare, ma si sveglia con lo stomaco vuoto; come quando un assetato sogna di bere, ma si sveglia stanco e con la gola riarsa». Anche se possedessimo tutti i beni di questa terra, anche se godessimo tutti i piaceri di questa vita, noi resteremmo sempre delusi e con un gran vuoto interiore, sempre inquieti e mai contenti. In Paradiso, invece, ripieni del sommo Bene così vasto che nulla può contenerlo, saziati di una gioia che oltrepassa ogni nostro desiderio reale e possibile, noi abbiamo ormai un'unica possibilità: essere completamente e perpetuamente felici del possesso di Dio.
Noi sappiamo che Dio, con la sua potenza di Creatore e con la sua attività di Conservatore di tutte le cose, è presente in ciascuna di esse, quindi anche in noi, facendoci sussistere e operare secondo le doti naturali che ci ha dati. Sappiamo che il Battesimo ci ha fatto diventare tabernacoli della Santissima Trinità; sappiamo che, vivendo in grazia di Dio, la sua presenza in noi ci rende partecipi della sua natura divina; crediamo fermamente che nella 5. Comunione noi ci uniamo, anche fisicamente, con l'umanità divinizzata di Gesù Cristo. Però, non avendo la minima percezione sensibile di queste sublimi realizzazioni della divina bontà in noi, difficilmente riusciamo a sentire appagamento e gioia. Ma quando andremo in Paradiso e saremo alla presenza di Dio, quando noi lo vedremo faccia a faccia, allora il nostro incontro con Lui sarà di amore estasiante. Immaginiamo un po' Dio che mi prende fra le sue braccia; mi vezzeggia come fa la mamma più affettuosa col suo bimbo; mi sorride e mi fissa pieno di amore con uno sguardo nel quale mi pare di leggere il suo tacito e tenero rimprovero di non aver mai creduto abbastanza alla grandezza del suo amore per me, di non essermi mai fidato abbastanza della sua misericordia, di non averlo mai corrisposto con abbastanza generosità.
Immaginiamo che io leggo nei suoi occhi divini la generosità con cui mi ha colmato dei suoi doni più preziosi; la misericordia immensa con cui mi ha perdonato tutti i miei numerosi peccati; la tenerezza del suo cuore instancabile nel darmi la caccia fino a farmi cadere nelle reti del suo amore, che farò allora io? Mi sprofondo nella confusione più viva e più sentita della mia indegnità, mi sciolgo nel pentimento più cocente della mia ingratitudine, però subito passo alla rivincita: una vera tempesta di abbracci insistenti e di baci ardenti, che l'eternità non dovrebbe esaurire mai, perché essi devono servire a fare dimenticare all'Amore infinito chi sono stato io sulla terra nei suoi riguardi!
Quale delizia inconcepibile dovrà provare questa misera e indegna creatura in quell'effondersi scambievole di Lui in me e di me in Lui, in quell'abbandono definitivo dell'uno nelle braccia e sul cuore dell'altro. Contento Dio di lasciarsi contemplare, assaporare, scrutare fino in fondo! Felice io che il mio Signore trovi in me qualche cosa capace di sedurre i suoi sguardi! E che cosa? La sua immagine e somiglianza; tutti i doni di cui ha intessuto la mia vita terrena dall'inizio alla fine; la figliolanza divina e tutte le bellezze celestiali di cui adorna le sue creature prima di introdurle al banchetto eterno, cioè l'abbigliamento di nozze, la veste nuziale, come Lui stesso l'ha chiamata.
Saremo come due novelli sposi traboccanti del più puro e del più ardente affetto, che non si stancano mai di guardarsi, di stringersi e accarezzarsi. Ecco il nostro incontro eterno con Dio faccia a faccia, cuore a cuore, in un'estasi eterna d'amore.