Liturgia delle Ore - Letture
Sabato della 33° settimana del tempo ordinario (Santa Cecilia)
Vangelo secondo Giovanni 7
1Dopo questi fatti Gesù se ne andava per la Galilea; infatti non voleva più andare per la Giudea, perché i Giudei cercavano di ucciderlo.
2Si avvicinava intanto la festa dei Giudei, detta delle Capanne;3i suoi fratelli gli dissero: "Parti di qui e va' nella Giudea perché anche i tuoi discepoli vedano le opere che tu fai.4Nessuno infatti agisce di nascosto, se vuole venire riconosciuto pubblicamente. Se fai tali cose, manifèstati al mondo!".5Neppure i suoi fratelli infatti credevano in lui.6Gesù allora disse loro: "Il mio tempo non è ancora venuto, il vostro invece è sempre pronto.7Il mondo non può odiare voi, ma odia me, perché di lui io attesto che le sue opere sono cattive.8Andate voi a questa festa; io non ci vado, perché il mio tempo non è ancora compiuto".9Dette loro queste cose, restò nella Galilea.
10Ma andati i suoi fratelli alla festa, allora vi andò anche lui; non apertamente però: di nascosto.11I Giudei intanto lo cercavano durante la festa e dicevano: "Dov'è quel tale?".12E si faceva sommessamente un gran parlare di lui tra la folla; gli uni infatti dicevano: "È buono!". Altri invece: "No, inganna la gente!".13Nessuno però ne parlava in pubblico, per paura dei Giudei.
14Quando ormai si era a metà della festa, Gesù salì al tempio e vi insegnava.15I Giudei ne erano stupiti e dicevano: "Come mai costui conosce le Scritture, senza avere studiato?".16Gesù rispose: "La mia dottrina non è mia, ma di colui che mi ha mandato.17Chi vuol fare la sua volontà, conoscerà se questa dottrina viene da Dio, o se io parlo da me stesso.18Chi parla da se stesso, cerca la propria gloria; ma chi cerca la gloria di colui che l'ha mandato è veritiero, e in lui non c'è ingiustizia.19Non è stato forse Mosè a darvi la Legge? Eppure nessuno di voi osserva la Legge! Perché cercate di uccidermi?".20Rispose la folla: "Tu hai un demonio! Chi cerca di ucciderti?".21Rispose Gesù: "Un'opera sola ho compiuto, e tutti ne siete stupiti.22Mosè vi ha dato la circoncisione - non che essa venga da Mosè, ma dai patriarchi - e voi circoncidete un uomo anche di sabato.23Ora se un uomo riceve la circoncisione di sabato perché non sia trasgredita la Legge di Mosè, voi vi sdegnate contro di me perché ho guarito interamente un uomo di sabato?24Non giudicate secondo le apparenze, ma giudicate con giusto giudizio!".
25Intanto alcuni di Gerusalemme dicevano: "Non è costui quello che cercano di uccidere?26Ecco, egli parla liberamente, e non gli dicono niente. Che forse i capi abbiano riconosciuto davvero che egli è il Cristo?27Ma costui sappiamo di dov'è; il Cristo invece, quando verrà, nessuno saprà di dove sia".28Gesù allora, mentre insegnava nel tempio, esclamò: "Certo, voi mi conoscete e sapete di dove sono. Eppure io non sono venuto da me e chi mi ha mandato è veritiero, e voi non lo conoscete.29Io però lo conosco, perché vengo da lui ed egli mi ha mandato".30Allora cercarono di arrestarlo, ma nessuno riuscì a mettergli le mani addosso, perché non era ancora giunta la sua ora.
31Molti della folla invece credettero in lui, e dicevano: "Il Cristo, quando verrà, potrà fare segni più grandi di quelli che ha fatto costui?".
32I farisei intanto udirono che la gente sussurrava queste cose di lui e perciò i sommi sacerdoti e i farisei mandarono delle guardie per arrestarlo.33Gesù disse: "Per poco tempo ancora rimango con voi, poi vado da colui che mi ha mandato.34Voi mi cercherete, e non mi troverete; e dove sono io, voi non potrete venire".35Dissero dunque tra loro i Giudei: "Dove mai sta per andare costui, che noi non potremo trovarlo? Andrà forse da quelli che sono dispersi fra i Greci e ammaestrerà i Greci?36Che discorso è questo che ha fatto: Mi cercherete e non mi troverete e dove sono io voi non potrete venire?".
37Nell'ultimo giorno, il grande giorno della festa, Gesù levatosi in piedi esclamò ad alta voce: "Chi ha sete venga a me e beva38chi crede in me; come dice la Scrittura: fiumi di acqua viva sgorgheranno dal suo seno".39Questo egli disse riferendosi allo Spirito che avrebbero ricevuto i credenti in lui: infatti non c'era ancora lo Spirito, perché Gesù non era stato ancora glorificato.
40All'udire queste parole, alcuni fra la gente dicevano: "Questi è davvero il profeta!".41Altri dicevano: "Questi è il Cristo!". Altri invece dicevano: "Il Cristo viene forse dalla Galilea?42Non dice forse la Scrittura che il Cristo 'verrà dalla stirpe di Davide' e 'da Betlemme', il villaggio di Davide?".43E nacque dissenso tra la gente riguardo a lui.
44Alcuni di loro volevano arrestarlo, ma nessuno gli mise le mani addosso.45Le guardie tornarono quindi dai sommi sacerdoti e dai farisei e questi dissero loro: "Perché non lo avete condotto?".46Risposero le guardie: "Mai un uomo ha parlato come parla quest'uomo!".47Ma i farisei replicarono loro: "Forse vi siete lasciati ingannare anche voi?48Forse gli ha creduto qualcuno fra i capi, o fra i farisei?49Ma questa gente, che non conosce la Legge, è maledetta!".50Disse allora Nicodèmo, uno di loro, che era venuto precedentemente da Gesù:51"La nostra Legge giudica forse un uomo prima di averlo ascoltato e di sapere ciò che fa?".52Gli risposero: "Sei forse anche tu della Galilea? Studia e vedrai che non sorge profeta dalla Galilea".
53E tornarono ciascuno a casa sua.
Secondo libro di Samuele 5
1Vennero allora tutte le tribù d'Israele da Davide in Ebron e gli dissero: "Ecco noi ci consideriamo come tue ossa e tua carne.2Già prima, quando regnava Saul su di noi, tu conducevi e riconducevi Israele. Il Signore ti ha detto: Tu pascerai Israele mio popolo, tu sarai capo in Israele".3Vennero dunque tutti gli anziani d'Israele dal re in Ebron e il re Davide fece alleanza con loro in Ebron davanti al Signore ed essi unsero Davide re sopra Israele.4Davide aveva trent'anni quando fu fatto re e regnò quarant'anni.5Regnò in Ebron su Giuda sette anni e sei mesi e in Gerusalemme regnò quarantatré anni su tutto Israele e su Giuda.
6Il re e i suoi uomini mossero verso Gerusalemme contro i Gebusei che abitavano in quel paese. Costoro dissero a Davide: "Non entrerai qui: basteranno i ciechi e gli zoppi a respingerti", per dire: "Davide non potrà entrare qui".7Ma Davide prese la rocca di Sion, cioè la città di Davide.8Davide proclamò in quel giorno: "Chiunque colpirà i Gebusei e li raggiungerà attraverso il canale... Quanto ai ciechi e agli zoppi, sono in odio a Davide". Per questo dicono: "Il cieco e lo zoppo non entreranno nella casa".
9Davide abitò nella rocca e la chiamò Città di Davide. Egli vi fece intorno costruzioni, dal Millo verso l'interno.10Davide andava sempre crescendo in potenza e il Signore Dio degli eserciti era con lui.11Chiram re di Tiro inviò a Davide messaggeri con legno di cedro, carpentieri e muratori, i quali costruirono una casa a Davide.12Davide seppe allora che il Signore lo confermava re di Israele e innalzava il suo regno per amore di Israele suo popolo.
13Davide prese ancora concubine e mogli di Gerusalemme, dopo il suo arrivo da Ebron: queste generarono a Davide altri figli e figlie.14I figli che gli nacquero in Gerusalemme si chiamano Sammùa, Sobàb, Natan e Salomone;15Ibcàr, Elisùa, Nèfeg, Iafìa;16Elisamà, Eliadà ed Elifèlet.
17Quando i Filistei vennero a sapere che avevano consacrato Davide re d'Israele, salirono tutti per dargli la caccia, ma appena Davide ne fu informato, discese alla fortezza.18Vennero i Filistei e si sparsero nella valle di Rèfaim.19Davide consultò il Signore chiedendo: "Devo andare contro i Filistei? Li metterai nelle mie mani?". Il Signore rispose a Davide: "Va' pure, perché certo metterò i Filistei nelle tue mani".20Davide si recò a Baal-Perazìm e là Davide li sconfisse ed esclamò: "Il Signore ha aperto una breccia tra i nemici davanti a me, come una breccia aperta dalle acque". Per questo chiamò quel luogo Baal-Perazìm.21I Filistei abbandonarono là i loro dèi e Davide e la sua gente li portarono via.
22I Filistei salirono poi di nuovo e si sparsero nella valle di Rèfaim.23Davide consultò il Signore, il quale gli disse: "Non andare; gira alle loro spalle e piomba su di loro dalla parte dei Balsami.24Quando udrai un rumore di passi sulle cime dei Balsami, lanciati subito all'attacco, perché allora il Signore uscirà davanti a te per sconfiggere l'esercito dei Filistei".25Davide fece come il Signore gli aveva ordinato e sconfisse i Filistei da Gàbaa fino all'ingresso di Ghezer.
Salmi 37
1'Di Davide.'
Alef. Non adirarti contro gli empi
non invidiare i malfattori.
2Come fieno presto appassiranno,
cadranno come erba del prato.
3Bet. Confida nel Signore e fa' il bene;
abita la terra e vivi con fede.
4Cerca la gioia del Signore,
esaudirà i desideri del tuo cuore.
5Ghimel. Manifesta al Signore la tua via,
confida in lui: compirà la sua opera;
6farà brillare come luce la tua giustizia,
come il meriggio il tuo diritto.
7Dalet. Sta' in silenzio davanti al Signore e spera in lui;
non irritarti per chi ha successo,
per l'uomo che trama insidie.
8He. Desisti dall'ira e deponi lo sdegno,
non irritarti: faresti del male,
9poiché i malvagi saranno sterminati,
ma chi spera nel Signore possederà la terra.
10Vau. Ancora un poco e l'empio scompare,
cerchi il suo posto e più non lo trovi.
11I miti invece possederanno la terra
e godranno di una grande pace.
12Zain. L'empio trama contro il giusto,
contro di lui digrigna i denti.
13Ma il Signore ride dell'empio,
perché vede arrivare il suo giorno.
14Het. Gli empi sfoderano la spada
e tendono l'arco
per abbattere il misero e l'indigente,
per uccidere chi cammina sulla retta via.
15La loro spada raggiungerà il loro cuore
e i loro archi si spezzeranno.
16Tet. Il poco del giusto è cosa migliore
dell'abbondanza degli empi;
17perché le braccia degli empi saranno spezzate,
ma il Signore è il sostegno dei giusti.
18Iod. Conosce il Signore la vita dei buoni,
la loro eredità durerà per sempre.
19Non saranno confusi nel tempo della sventura
e nei giorni della fame saranno saziati.
20Caf. Poiché gli empi periranno,
i nemici del Signore appassiranno
come lo splendore dei prati,
tutti come fumo svaniranno.
21Lamed. L'empio prende in prestito e non restituisce,
ma il giusto ha compassione e dà in dono.
22Chi è benedetto da Dio possederà la terra,
ma chi è maledetto sarà sterminato.
23Mem. Il Signore fa sicuri i passi dell'uomo
e segue con amore il suo cammino.
24Se cade, non rimane a terra,
perché il Signore lo tiene per mano.
25Nun. Sono stato fanciullo e ora sono vecchio,
non ho mai visto il giusto abbandonato
né i suoi figli mendicare il pane.
26Egli ha sempre compassione e dà in prestito,
per questo la sua stirpe è benedetta.
27Samech. Sta' lontano dal male e fa' il bene,
e avrai sempre una casa.
28Perché il Signore ama la giustizia
e non abbandona i suoi fedeli;
Ain. gli empi saranno distrutti per sempre
e la loro stirpe sarà sterminata.
29I giusti possederanno la terra
e la abiteranno per sempre.
30Pe. La bocca del giusto proclama la sapienza,
e la sua lingua esprime la giustizia;
31la legge del suo Dio è nel suo cuore,
i suoi passi non vacilleranno.
32L'empio spia il giusto
e cerca di farlo morire.
33Il Signore non lo abbandona alla sua mano,
nel giudizio non lo lascia condannare.
34Kof. Spera nel Signore e segui la sua via:
ti esalterà e tu possederai la terra
e vedrai lo sterminio degli empi.
35Res. Ho visto l'empio trionfante
ergersi come cedro rigoglioso;
36sono passato e più non c'era,
l'ho cercato e più non si è trovato.
37Sin. Osserva il giusto e vedi l'uomo retto,
l'uomo di pace avrà una discendenza.
38Ma tutti i peccatori saranno distrutti,
la discendenza degli empi sarà sterminata.
39Tau. La salvezza dei giusti viene dal Signore,
nel tempo dell'angoscia è loro difesa;
40il Signore viene in loro aiuto e li scampa,
li libera dagli empi e dà loro salvezza,
perché in lui si sono rifugiati.
Salmi 33
1Esultate, giusti, nel Signore;
ai retti si addice la lode.
2Lodate il Signore con la cetra,
con l'arpa a dieci corde a lui cantate.
3Cantate al Signore un canto nuovo,
suonate la cetra con arte e acclamate.
4Poiché retta è la parola del Signore
e fedele ogni sua opera.
5Egli ama il diritto e la giustizia,
della sua grazia è piena la terra.
6Dalla parola del Signore furono fatti i cieli,
dal soffio della sua bocca ogni loro schiera.
7Come in un otre raccoglie le acque del mare,
chiude in riserve gli abissi.
8Tema il Signore tutta la terra,
tremino davanti a lui gli abitanti del mondo,
9perché egli parla e tutto è fatto,
comanda e tutto esiste.
10Il Signore annulla i disegni delle nazioni,
rende vani i progetti dei popoli.
11Ma il piano del Signore sussiste per sempre,
i pensieri del suo cuore per tutte le generazioni.
12Beata la nazione il cui Dio è il Signore,
il popolo che si è scelto come erede.
13Il Signore guarda dal cielo,
egli vede tutti gli uomini.
14Dal luogo della sua dimora
scruta tutti gli abitanti della terra,
15lui che, solo, ha plasmato il loro cuore
e comprende tutte le loro opere.
16Il re non si salva per un forte esercito
né il prode per il suo grande vigore.
17Il cavallo non giova per la vittoria,
con tutta la sua forza non potrà salvare.
18Ecco, l'occhio del Signore veglia su chi lo teme,
su chi spera nella sua grazia,
19per liberarlo dalla morte
e nutrirlo in tempo di fame.
20L'anima nostra attende il Signore,
egli è nostro aiuto e nostro scudo.
21In lui gioisce il nostro cuore
e confidiamo nel suo santo nome.
22Signore, sia su di noi la tua grazia,
perché in te speriamo.
Isaia 5
1Canterò per il mio diletto
il mio cantico d'amore per la sua vigna.
Il mio diletto possedeva una vigna
sopra un fertile colle.
2Egli l'aveva vangata e sgombrata dai sassi
e vi aveva piantato scelte viti;
vi aveva costruito in mezzo una torre
e scavato anche un tino.
Egli aspettò che producesse uva,
ma essa fece uva selvatica.
3Or dunque, abitanti di Gerusalemme
e uomini di Giuda,
siate voi giudici fra me e la mia vigna.
4Che cosa dovevo fare ancora alla mia vigna
che io non abbia fatto?
Perché, mentre attendevo che producesse uva,
essa ha fatto uva selvatica?
5Ora voglio farvi conoscere
ciò che sto per fare alla mia vigna:
toglierò la sua siepe
e si trasformerà in pascolo;
demolirò il suo muro di cinta
e verrà calpestata.
6La renderò un deserto,
non sarà potata né vangata
e vi cresceranno rovi e pruni;
alle nubi comanderò di non mandarvi la pioggia.
7Ebbene, la vigna del Signore degli eserciti
è la casa di Israele;
gli abitanti di Giuda
la sua piantagione preferita.
Egli si aspettava giustizia
ed ecco spargimento di sangue,
attendeva rettitudine
ed ecco grida di oppressi.
8Guai a voi, che aggiungete casa a casa
e unite campo a campo,
finché non vi sia più spazio,
e così restate soli ad abitare
nel paese.
9Ho udito con gli orecchi il Signore degli eserciti:
"Certo, molti palazzi
diventeranno una desolazione,
grandi e belli
saranno senza abitanti".
10Poiché dieci iugeri di vigna
produrranno solo un 'bat'
e un 'comer' di seme
produrrà un''efa'.
11Guai a coloro che si alzano presto al mattino
e vanno in cerca di bevande inebrianti
e si attardano alla sera
accesi in volto dal vino.
12Ci sono cetre e arpe,
timpani e flauti
e vino per i loro banchetti;
ma non badano all'azione del Signore,
non vedono l'opera delle sue mani.
13Perciò il mio popolo sarà deportato
senza che neppure lo sospetti.
I suoi grandi periranno di fame,
il suo popolo sarà arso dalla sete.
14Pertanto gli inferi dilatano le fauci,
spalancano senza misura la bocca.
Vi precipitano dentro la nobiltà e il popolo,
il frastuono e la gioia della città.
15L'uomo sarà umiliato, il mortale sarà abbassato,
gli occhi dei superbi si abbasseranno.
16Sarà esaltato il Signore degli eserciti nel giudizio
e il Dio santo si mostrerà santo nella giustizia.
17Allora vi pascoleranno gli agnelli come nei loro prati,
sulle rovine brucheranno i capretti.
18Guai a coloro che si tirano addosso il castigo
con corde da buoi
e il peccato con funi da carro,
19che dicono: "Faccia presto,
acceleri pure l'opera sua,
perché la vediamo;
si facciano più vicini e si compiano
i progetti del Santo di Israele,
perché li conosciamo".
20Guai a coloro che chiamano
bene il male e male il bene,
che cambiano le tenebre in luce e la luce in tenebre,
che cambiano l'amaro in dolce e il dolce in amaro.
21Guai a coloro che si credono sapienti
e si reputano intelligenti.
22Guai a coloro che sono gagliardi nel bere vino,
valorosi nel mescere bevande inebrianti,
23a coloro che assolvono per regali un colpevole
e privano del suo diritto l'innocente.
24Perciò, come una lingua di fuoco divora la stoppia
e una fiamma consuma la paglia,
così le loro radici diventeranno un marciume
e la loro fioritura volerà via come polvere,
perché hanno rigettato la legge del Signore degli eserciti,
hanno disprezzato la parola del Santo di Israele.
25Per questo è divampato
lo sdegno del Signore contro il suo popolo,
su di esso ha steso la sua mano per colpire;
hanno tremato i monti,
i loro cadaveri erano come lordura
in mezzo alle strade.
Con tutto ciò non si calma la sua ira
e la sua mano resta ancora tesa.
26Egli alzerà un segnale a un popolo lontano
e gli farà un fischio all'estremità della terra;
ed ecco verrà veloce e leggero.
27Nessuno fra essi è stanco o inciampa,
nessuno sonnecchia o dorme,
non si scioglie la cintura dei suoi fianchi
e non si slaccia il legaccio dei suoi sandali.
28Le sue frecce sono acuminate,
e ben tesi tutti i suoi archi;
gli zoccoli dei suoi cavalli sono come pietre
e le ruote dei suoi carri come un turbine.
29Il suo ruggito è come quello di una leonessa,
ruggisce come un leoncello;
freme e afferra la preda,
la pone al sicuro, nessuno gliela strappa.
30Fremerà su di lui in quel giorno
come freme il mare;
si guarderà la terra: ecco, saranno tenebre, angoscia
e la luce sarà oscurata dalla caligine.
Atti degli Apostoli 20
1Appena cessato il tumulto, Paolo mandò a chiamare i discepoli e, dopo averli incoraggiati, li salutò e si mise in viaggio per la Macedonia.2Dopo aver attraversato quelle regioni, esortando con molti discorsi i fedeli, arrivò in Grecia.
3Trascorsi tre mesi, poiché ci fu un complotto dei Giudei contro di lui, mentre si apprestava a salpare per la Siria, decise di far ritorno attraverso la Macedonia.4Lo accompagnarono Sòpatro di Berèa, figlio di Pirro, Aristarco e Secondo di Tessalonica, Gaio di Derbe e Timòteo, e gli asiatici Tìchico e Tròfimo.5Questi però, partiti prima di noi ci attendevano a Tròade;6noi invece salpammo da Filippi dopo i giorni degli Azzimi e li raggiungemmo in capo a cinque giorni a Tròade dove ci trattenemmo una settimana.
7Il primo giorno della settimana ci eravamo riuniti a spezzare il pane e Paolo conversava con loro; e poiché doveva partire il giorno dopo, prolungò la conversazione fino a mezzanotte.8C'era un buon numero di lampade nella stanza al piano superiore, dove eravamo riuniti;9un ragazzo chiamato Èutico, che stava seduto sulla finestra, fu preso da un sonno profondo mentre Paolo continuava a conversare e, sopraffatto dal sonno, cadde dal terzo piano e venne raccolto morto.10Paolo allora scese giù, si gettò su di lui, lo abbracciò e disse: "Non vi turbate; è ancora in vita!".11Poi risalì, spezzò il pane e ne mangiò e dopo aver parlato ancora molto fino all'alba, partì.12Intanto avevano ricondotto il ragazzo vivo, e si sentirono molto consolati.
13Noi poi, che eravamo partiti per nave, facemmo vela per Asso, dove dovevamo prendere a bordo Paolo; così infatti egli aveva deciso, intendendo di fare il viaggio a piedi.14Quando ci ebbe raggiunti ad Asso, lo prendemmo con noi e arrivammo a Mitilène.15Salpati da qui il giorno dopo, ci trovammo di fronte a Chio; l'indomani toccammo Samo e il giorno dopo giungemmo a Milèto.16Paolo aveva deciso di passare al largo di Èfeso per evitare di subire ritardi nella provincia d'Asia: gli premeva di essere a Gerusalemme, se possibile, per il giorno della Pentecoste.
17Da Milèto mandò a chiamare subito ad Èfeso gli anziani della Chiesa.18Quando essi giunsero disse loro: "Voi sapete come mi sono comportato con voi fin dal primo giorno in cui arrivai in Asia e per tutto questo tempo:19ho servito il Signore con tutta umiltà, tra le lacrime e tra le prove che mi hanno procurato le insidie dei Giudei.20Sapete come non mi sono mai sottratto a ciò che poteva essere utile, al fine di predicare a voi e di istruirvi in pubblico e nelle vostre case,21scongiurando Giudei e Greci di convertirsi a Dio e di credere nel Signore nostro Gesù.22Ed ecco ora, avvinto dallo Spirito, io vado a Gerusalemme senza sapere ciò che là mi accadrà.23So soltanto che lo Spirito Santo in ogni città mi attesta che mi attendono catene e tribolazioni.24Non ritengo tuttavia la mia vita meritevole di nulla, purché conduca a termine la mia corsa e il servizio che mi fu affidato dal Signore Gesù, di rendere testimonianza al messaggio della grazia di Dio.
25Ecco, ora so che non vedrete più il mio volto, voi tutti tra i quali sono passato annunziando il regno di Dio.26Per questo dichiaro solennemente oggi davanti a voi che io sono senza colpa riguardo a coloro che si perdessero,27perché non mi sono sottratto al compito di annunziarvi tutta la volontà di Dio.28Vegliate su voi stessi e su tutto il gregge, in mezzo al quale lo Spirito Santo vi ha posti come vescovi a pascere la Chiesa di Dio, che egli si è acquistata con il suo sangue.29Io so che dopo la mia partenza entreranno fra voi lupi rapaci, che non risparmieranno il gregge;30perfino di mezzo a voi sorgeranno alcuni a insegnare dottrine perverse per attirare discepoli dietro di sé.31Per questo vigilate, ricordando che per tre anni, notte e giorno, io non ho cessato di esortare fra le lacrime ciascuno di voi.
32Ed ora vi affido al Signore e alla parola della sua grazia che ha il potere di edificare e di concedere l'eredità con tutti i santificati.33Non ho desiderato né argento, né oro, né la veste di nessuno.34Voi sapete che alle necessità mie e di quelli che erano con me hanno provveduto queste mie mani.35In tutte le maniere vi ho dimostrato che lavorando così si devono soccorrere i deboli, ricordandoci delle parole del Signore Gesù, che disse: Vi è più gioia nel dare che nel ricevere!".
36Detto questo, si inginocchiò con tutti loro e pregò.37Tutti scoppiarono in un gran pianto e gettandosi al collo di Paolo lo baciavano,38addolorati soprattutto perché aveva detto che non avrebbero più rivisto il suo volto. E lo accompagnarono fino alla nave.
Capitolo XXV: Correggere fervorosamente tutta la nostra vita
Leggilo nella Biblioteca1. Che tu sia attento e preciso, nel servire Iddio; ripensa frequentemente alla ragione per la quale sei venuto qui, lasciando il mondo. Non è stato forse per vivere in Dio e farti tutto spirito? Che tu sia, dunque, fervoroso, giacché in breve tempo sarai ripagato dei tuoi sforzi; né avrai più, sul tuo orizzonte, alcun timore e dolore faticherai qui per un poco, e poi troverai una grande pace, anzi, una gioia perpetua. Se sarai costante nella fede e fervoroso nelle opere, Dio, senza dubbio, sarà giusto e generoso nella ricompensa. Che tu mantenga la santa speranza di giungere alla vittoria, anche se non è bene che tu ne abbia alcuna sicurezza, per non cadere in stato di torpore o di presunzione. Una volta, un tale, dibattuto interiormente tra il timore e la speranza, sfinito dal doloro, si prostrò in chiesa davanti ad un altare dicendo tra sé: "Oh! Se sapessi di poter perseverare!". E subito, di dentro, udì una risposta, che veniva da Dio: "Perché, se tu sapessi di poter perseverare, che cosa vorresti fare? Fallo adesso, quello che vorresti fare, e sarai del tutto tranquillo". Allora, rasserenato e confortato, egli si affidò alla volontà di Dio, e cessò in lui quella angosciosa incertezza; egli non volle più cercar di sapere quel che sarebbe stato di lui in futuro, e si diede piuttosto a cercare "quale fosse la volontà del Signore: volontà di bene e di perfezione", (Rm 12, 2) per intraprendere e portare a compimento ogni opera buona. Dice il profeta: "Spera nel Signore e fa il bene; abita la terra e nutriti delle sue ricchezze" (Sal 36,3).
2. Una sola cosa è quella che distoglie molta gente dal progresso spirituale e dal fervoroso sforzo di correzione: lo sgomento di fronte agli ostacoli e l'asprezza di questa lotta. Invero avanzano nelle virtù coloro che si sforzano di superare virilmente ciò che è per essi più gravoso, e che più li contrasta; giacché proprio là dove più si vince se stessi, mortificandosi nello spirito, più si guadagna, e maggior grazia si ottiene. Certo che non tutti gli uomini hanno pari forze per vincere se stessi e per mortificarsi. Tuttavia, uno che abbia tenacia e buon volere, anche se le sue passioni sono più violente, riuscirà a progredire più di un altro, pur buono, ma meno fervoroso nel tendere verso le virtù. Due cose giovano particolarmente al raggiungimento di una totale emendazione: il fare violenza a se stessi, distogliendosi dal male, a cui ciascuno è portato per natura; e il chiedere insistentemente il bene spirituale di cui ciascuno ha maggior bisogno. Inoltre tu devi fare in modo di evitare soprattutto ciò che più spesso trovi brutto in altri. Da ogni parte devi saper trarre motivo di profitto spirituale. Così, se ti capita di vedere o di ascoltare dei buoni esempi, devi ardere dal desiderio di imitarli; se, invece, ti pare che qualcosa sia degno di riprovazione, devi guardarti dal fare altrettanto; se talvolta l'hai fatto, procura di emendarti. Come il tuo occhio giudica gli altri, così, a tua volta, sarai giudicato tu dagli altri. Quale gioia e quale dolcezza, vedere dei frati pieni di fervore e di devozione, santi nella vita interiore e nella loro condotta; quale tristezza, invece, e quale dolore, vedere certi frati, che vanno di qua e di là, disordinatamente, tralasciando di praticare proprio ciò per cui sono stati chiamati! Gran danno procura, questo dimenticarsi delle promesse della propria vocazione, volgendo i desideri a cose diverse da quelle che ci vengono ordinate.
3. Ricordati della decisione che hai presa, e poni dinanzi ai tuoi occhi la figura del crocifisso. Riflettendo alla vita di Gesù Cristo, avrai veramente di che vergognarti, ché non hai ancora cercato di farti più simile a lui, pur essendo stato per molto tempo nella vita di Dio. Il monaco che si addestra con intensa devozione sulla vita santissima e sulla passione del Signore, vi troverà in abbondanza tutto ciò che gli può essere utile e necessario; e non dovrà cercare nulla di meglio, fuor di Gesù. Oh, come saremmo d'un colpo pienamente addottrinati se avessimo nel nostro cuore Gesù crocifisso! Il monaco pieno di fervore sopporta ogni cosa santamente e accetta ciò che gli viene imposto; invece quello negligente e tiepido trova una tribolazione sull'altra ed è angustiato per ogni verso, perché gli manca la consolazione interiore, e quella esterna gli viene preclusa. Il monaco che vive fuori della regola va incontro a piena rovina. Infatti chi tende ad una condizione piuttosto libera ed esente da disciplina sarà sempre nell'incertezza, poiché ora non gli andrà una cosa, ora un'altra. Come fanno gli altri monaci, così numerosi, che vivono ben disciplinati dalla regola del convento? Escono di rado e vivono liberi da ogni cosa; mangiano assai poveramente e vestono panni grossolani; lavorano molto e parlano poco; vegliano fino a tarda ora e si alzano per tempo; pregano a lungo, leggono spesso e si comportano strettamente secondo la regola. Guarda i Certosini, i Cistercensi, e i monaci e le monache di altri Ordini, come si alzano tutte le notti per cantare le lodi di Dio. Ora, sarebbe vergognoso che, in una cosa tanto meritoria, tu ti lasciassi prendere dalla pigrizia, mentre un grandissimo numero di monaci comincia i suoi canti di gioia, in unione con Dio. Oh!, se noi non avessimo altro da fare che lodare il Signore, nostro Dio, con tutto il cuore e con tutta la nostra voce. Oh!, se tu non avessi mai bisogno di mangiare, di bere, di dormire; e potessi invece, lodare di continuo il Signore, e occuparti soltanto delle cose dello spirito. Allora saresti più felice di adesso, che sei al servizio del tuo corpo per varie necessità. E volesse il Cielo che non ci fossero, queste necessità, e ci fossero soltanto i pasti spirituali dell'anima, che purtroppo gustiamo ben di rado.
4. Quando uno sarà giunto a non cercare il proprio conforto in alcuna creatura, allora egli comincerà a gustare perfettamente Dio; allora accetterà di buon grado ogni cosa che possa succedere; allora non si rallegrerà, o rattristerà, per il molto o il poco che possieda. Si rimetterà del tutto e con piena fiducia in Dio: in Dio, che per lui sarà tutto, in ogni circostanza; in Dio, agli occhi del quale nulla muove o va interamente perduto; in Dio, e per il quale ogni cosa vive, servendo senza esitazione al suo comando. Abbi sempre presente che tutto finisce e che il tempo perduto non ritorna. Non giungerai a possedere forza spirituale, se non avrai sollecitudine e diligenza. Se comincerai ad essere spiritualmente malato. Se invece ti darai tutto al fervore, troverai una grande pace, e sentirai più lieve la fatica, per la grazia di Dio e per la forza dell'amore. Tutto può, l'uomo fervido e diligente. Impresa più grande delle sudate fatiche corporali è quella di vincere i vizi e di resistere alle passioni. E colui che non sa evitare le piccole mancanze, cade, a poco a poco, in mancanze maggiori. Sarai sempre felice, la sera, se avrai spesa la giornata fruttuosamente. Vigila su te stesso, scuoti e ammonisci te stesso; checché facciano gli altri, non dimenticare te stesso. Il tuo progresso spirituale sarà pari alla violenza che avrai fatto a te stesso. Amen.
LETTERA 8* [278] PROMEMORIA. AGOSTINO A VITTORE, SUO SANTO FRATELLO
Lettere - Sant'Agostino
Leggilo nella BibliotecaVittore restituisca al giudeo Licinio i campi vendutigli dalla madre di lui.
1. Dégnati di considerare quanto mi sia cara non solo la vita ma anche la reputazione della Santità tua. Mi rattrista molto - se è vero - ciò di cui è venuto a lamentarsi con me il giudeo Licinio. Egli veramente, per mezzo di contratti registrati, che portava con sé, mi ha dimostrato d'aver comprato non so quali campicelli da persone a cui li aveva venduti sua madre, una parte dei quali l'aveva regalata a sua moglie quando l'aveva sposata; ma è assai incredibile ciò che ha aggiunto nella sua denunzia, che cioè la Santità tua avrebbe comprato tutti quei beni dalla medesima vecchietta di sua madre e ne avrebbe escluso lui che li possedeva con pieno diritto. Siccome poi egli si lamentava di te con te, tu gli avresti risposto: " Io li ho comprati; se tua madre me li ha venduti con l'inganno, litiga con lei! A me non devi chiedere nulla, perché non ti darò nulla! ". Se però mi ha detto una bugia, non ti dispiaccia di rispondermi; se invece t'è parso opportuno rispondergli a quel modo per ignoranza del diritto, la Carità tua deve sapere quanto segue: il possessore non poteva essere escluso in alcun modo e la vecchia non ha agito giustamente nel vendere ciò che il figlio possedeva come proprietà sua personale, anche se, forse, le competeva una parte. In tal caso essa avrebbe dovuto ottenerla prima con sentenza processuale e solo allora avrebbe potuto vendere ciò di cui sarebbe stata riconosciuta proprietaria dopo aver vinto la causa. A lui infatti compete di diritto un'azione giudiziaria per entrare in possesso dei suoi beni, tuttavia non risulta affatto che egli intenti una causa a sua madre, ma a colui che s'è appropriato della sua roba; non vorrei che in questa faccenda sia implicata la Santità tua. Questa è una cosa assai riprovevole e aliena dalla tua condotta. Se dunque egli mi ha detto la verità, dégnati di restituirgli la sua proprietà e fatti rimborsare il prezzo da sua madre, qualora le sia stato versato. Se per caso essa non vorrà rimborsarti, in questo caso non potrà perdere neppure lui la sua proprietà e sarà obbligato a ricuperarla con l'intervento della giustizia come reclamano le leggi. Ti prego di considerare ciò che dice l'Apostolo: Non siate di scandalo né ai Giudei, né ai Greci, né alla Chiesa di Dio 1. È però meglio che, ammonito da un tuo fratello carissimo, tu faccia ciò ch'è giusto, anziché la faccenda arrivi davanti al tribunale dei vescovi.
Sia punito con la fustigazione chi offese la madre di Licinio.
2. Ma avendogli io chiesto se per caso avesse fatto qualche offesa verso sua madre, e se per questo suo modo di fare tu avessi voluto difenderla pur senza alcuna brama di possedere i suoi beni, ma piuttosto facendo ciò per incutergli paura, mi ha risposto che sua madre, è vero, s'era lamentata d'essere stata offesa da sua moglie e dalla serva di lei, ma ch'egli non le aveva arrecato alcuna offesa. Per conseguenza - se la questione sta in questi termini - chiedo alla Santità tua di dargli il castigo della fustigazione alla presenza di sua madre, qualora tu riconoscessi ch'egli l'ha offesa, poiché ha affermato di subire volentieri questo castigo. Se invece è forse colpevole sua moglie, venga punita lei, poiché anch'essa può, se così giudica la Venerabilità tua, ricevere dalle mani dello stesso marito, alla presenza della suocera, il castigo che si merita. Quanto alla serva la cosa è facile poiché di essa la madre di lui può vendicarsi molto più facilmente [castigandola]. Se non ha inflitto questo castigo - dice Licinio - è stato perché non sapeva quale offesa avesse fatto la serva a sua madre. Egli infatti afferma che sua madre si lamentò solo dopo che aveva già venduto i suoi beni.
1 - 1 Cor 10, 32.
Capitolo II: L’immunità della Vergine dal triplice effetto della colpa attuale, dal triplice effetto della miseria originale, dal triplice effetto della pena infernale.
Lo specchio della Beata Vergine Maria - Beato Corrado di Sassonia
Leggilo nella BibliotecaAve Maria, ecc. Facciamo risuonare quell’Ave, dolce parola e buona con la quale si incominciò la nostra redenzione dall’eterna sventura. Facciamolo, dico, risuonare spesso singolarmente ed in coro devotamente, dicendo : Ave, Maria. Ave e Ave e nuovamente Ave e mille volte Ave. Ecco, infatti, o carissimi, come si è detto sopra, la SS. Vergine Maria per l’assoluta assenza di colpa e immunità, per l'assoluta innocenza è purità detta vita a ragione è salutata con l’Ave, a ragione a lei è rivolta in principio l’Ave del saluto, Ave dico perché senza “vae " cioè senza guai (Conf. Petr. Cellens. serm. 24, in Ann. B. M. V. "Quid est Ave? Sine vae".
), Si deve considerare , che è triplice il “vae " da cui fu immune Maria, a cui invece è detto : Ave. Vi è infatti il "vae" della colpa, il "vae" della miseria e il " vae " della geenna, il " vae " dico della colpa attuale, della miseria originale, e della pena infernale, Di questi tre " vae " non senza ragione intendiamo ciò che si dice nell’ottavo capo dell'Apocalisse (Vers. 13): "Ho udito, dice Giovanni, la voce di un'aquila volante nel mezzo del cielo e dicente con grande strepito : guai, guai, guai (cioè vae, vae, vae) agli abitanti della terra ". Ma ecco, ciascuno di questi tre “vae " si moltiplica per tre " vae " cosi che siano insieme nove “ vae ", contro cui meritamente fu detto a Maria Ave. Poiché vi sono tre “ vae " di colpa, tre di miseria, tre di geenna, per la cui assenza Ella a ragione è salutata con l'Ave.
In primo luogo dunque, o carissimi, dobbiamo considerare che è triplice il "vae " della colpa, cioè il “ vae " della colpa del cuore, della colpa della bocca, della colpa delle opere. Anche di questi tre " vae " si può dire : guai, guai, guai agli abitanti della terra. — Guai dunque ai peccatori per la colpa del cuore, come si dice nel ventesimo nono capo di Isaia (Vers. 15) : Guai a voi che vi nascondete nel vostro cuore per celare al Signore i vostri disegni etc. Guai in verità ai peccatori dal cuore ipocrita, poiché i nascosti cuori dei malvagi sono le profonde sentine dei demoni e gli ipocriti sepolcri pieni d'ogni fetore di vizi. Guai a loro dunque, come è detto nel ventesimo terzo di Matteo (Vers. 27 ) : " Guai a voi, scribi e farisei, ipocriti, perché siete simili a sepolcri imbiancati, che esteriormente appaiono agli uomini eleganti, dentro invece sono pieni di ossa di morti e di ogni sporcizia. — Oh ! quanto fu lungi da questo " vae " l’innoceutissimo cuore di Maria, testimoniandone S. Bernardo (Serm. 2 in ass. n. 8) che dice: "Maria non ebbe alcun proprio peccato e dall’innocentissimo suo cuore fu alieno anche il pentimento ". Perché infatti il cuor di Maria dovea pentirsi quando mai commise alcunché degno di pentimento ? Per questo il mondissimo suo cuore non fu la sentina del diavolo, non fu un sepolcro di vizi, anzi fu l'orto e il paradiso dello Spirito Santo, secondo ciò. che dicesi nel quarto della Cantica (Vers. 12): "orto tutto chiuso, sorella mia sposa, orto tutto chiuso "; “veramente orto di delizie, come dice Girolamo (Epist. cit. n. 9), in cui è piantato ogni genere di fiori e ogni profumo di virtù ". Perché dunque Maria fu sì lontana dal " vae " della colpa del cuore, meritamente a Lei e detto: Ave.
Parimente, guai ai peccatori per la colpa della bocca, come si dice nel quinto di Isaia (Vers. 20): " Guai a voi che chiamate il male bene e il bene male “. — Guai a loro e guai a tutti i peccatori poiché portano nella bocca il veleno, del diavolo, come dicesi nel salmo (Psalm. 13, 3) : veleno di serpenti sopra i loro labbri. O quanto lungi da questo " vae " fu la santissima bocca di Maria ! Onde ben dice, Ambrogio (II de Virgin. c. 2, n. 7) ; " Niente di orribile negli occhi di Maria, niente di procace nelle parole, niente negli atti vi fu di inverecondo ".
Nella bocca di Maria dunque non vi fu il fiele e il veleno del diavolo ma il miele e il latte dello Spirito santo, secondo il quarto della Cantica (Vers. 11). Un favo gocciolante i tuoi labbri, o sposa; miele e latte su la tua lingua. - Non ebbe Maria nella lingua un candidissimo latte quando proferì la castissima parola (Luc. 1, 34) : In qual modo avverrà questo, se io non conosco alcun uomo ? Non ebbe Maria sulla lingua anche un dolcissimo miele creando proferì quella melliflua parola (Luc. 1, 38) : Ecco la serva del Signore, si faccia di me secondo la tua parola ? Poiché dunque fu sì lontano da Maria il “ vae " della bocca, meritamente a lei fu detto: Ave.
Parimente, guai ai peccatori per la colpa delle opere, come si dice nel secondo dell’Ecclesiastico (Vers. 14): Guai al cuore doppio e ai labbri maligni e alle mani malfattrici. Qui si toccano tutti questi tre " vae ". Guai ai doppi di cuore, per la colpa del cuore ; guai ai labbri maligni, per la colpa della bocca ; guai alle mani malfattrici, per la colpa delle opere. O quanto lontana da tal "vae" fu ogni opera e l'intera vita di Maria ! Per cui ben dice S. Bernardo (Epist. 174, n. 5) : " Fu conveniente che la regina delle Vergini conducesse una vita senza alcun peccato per singolare privilegio di santità affinché, mentre dava alla luce il distruttore del peccato e della morte, ottenesse a tutti il dono della vita e della giustizia ". Osserva come dica " senza alcun peccato ". Maria condusse tutta la vita in modo da non contrarre alcuna macchia di peccato né col cuore, né col labbro né con le opere, talché con tutta verità il Signore poteva dirle (Cant. 4, 7): Tutta bella sei, o amica mia, e macchia non è in te. - Così dunque Maria SS. e innocentissima col cuore fu senza 'vae " e per questo a lei fu detto: Ave.
In secondo luogo, si deve considerare che Maria fu immune non solo dal triplice " vae " della colpa attuale, ma anche dal triplice " vae " della miseria originale, cioè dal " vae " della miseria dei nati, dal " vae " della miseria delle partorienti, dal " vae " della miseria dei morenti. II "vae” della miseria dei nati è il "vae” del fomite che rende infermi tutti i nati, e il "vae" della miseria delle partorienti è il “vae " del dolore che tormenta le partorienti, il “vae " della miseria dei morenti è il " vae " del dissolvimento che riduce in cenere i morenti. Anche di questi tre “ vae " si può dire : guai, guai, guai agli abitanti della terra. - II " vae " dunque della miseria dei nati è il " vae " del fomite innato in noi, per cui secondo l’originale corruzione siamo tanto deboli al bene e tanto proni al male che ogni nato col fomite, ogni infermo per il fomite e dal fomite piagato può dire col decimo capo di Geremia (vers. 19); "Guai a me per il mio dolore, mia pessima piaga. Io poi ho detto : questa in vero è la mia infermità ed io dovrò portarla. — Ma ohimè! non solo nei nascenti vi è il "vae" della miseria è della infermità che inclina al male gli adulti, ma vi è anche il "vae" della deformità e della colpa che incita all'ira i pargoli; di cui l'apostolo dice (Eph. 2, 3): tutti nasciamo figli dell’ira. — O quanto fu immune da questo "vae" dei nati la santissima nascita di Maria che non solo fu liberata dalla colpa originale, ma anche dalla miseria del fomite in quanto era incline al peccato, in modo che per la santificazione nell'utero materno mai fu prona al peccato, testimonio S. Bernardo che dice (Epist. cit. n. 5) : " Io credo che sia discesa, in Lei una più copiosa grazia di santificazione che abbia santificato non solo la sua nascita ma abbia anche custodito immune da ogni peccato tutta la vita ". Poiché dunque la nascita di Maria fu si lontana da questo " vae " meritamente a lei fu detto : Ave.
Parimente il " vae " della miseria delle partorienti è quel " vae ” dell'originale maledizione di cui ad Eva fu detto : Tu partorirai i figli nel dolore. Di questo " vae " a molte incinte si può dire generalmente ciò che in special modo di alcune dice il Signore nel ventesimo quarto di Matteo : Guai alle incinte e alle allattante in quei giorni! O quanto da questo “ vae “ fu immune l’utero pregnante e partoriente di Maria, testimonio Agostino che dice (Homil. 3 de Nat. B. M. V. post initium): " O quanto è beata questa Madre che senza contaminarsi concepì e senza dolore partorì la nostra medicina ! " Poiché dunque Maria fu sì lontana da questo " vae " delle partorienti, meritamente a Lei fu detto: Ave.
Parimente, il “ vae " della miseria dei morenti è il “ vae " della incinerazione che fu inflitta all'uomo quando al peccatore fu detto (Gen. 3. 19) : Tu sci polvere, e in polvere tornerai. Onde tanto del " vae ” dei morenti quanto del “ vae " dei nascenti ben si può intendere ciò che è detto nel quarantesimo primo dell'Ecclesiastico (Vers. 11. Seg) : Guai a voi, o empi, che avete abbandonato la legge del Signore altissimo. Anche se sarete per nascere, nascerete nella maledizione; e se sarete per morire, la vostra parte sarà nella maledizione. Certamente tanto i pii che gli empi nascono nella maledizione del fomite e moriranno nella maledizione della polvere, ma pure non senza una conveniente ragione qui si inculca ai soli empi il " vae " dell'una e dell'altra maledizione, poiché a costoro sarà più pericoloso il fomite e l'incinerazione più odiosa. Finalmente agli ingiusti la miseria del fomite sarà più nociva e il ricordo dell'incinerazione più amaro che ai giusti. O quanto lontano da questo " vae " dell’incinerazione fu, come crediamo, il SS. corpo di Maria ! Questo corpo infatti è l’arca SS. di Dio, a cui fu conveniente non esser putrefatto, ma a somiglianza del suo Figlio, esser risuscitato prima di ogni putrefazione. Onde tanto del Figlio quanto della Madre segnalatamente dice il profeta (Psalmi 131, 8) : Risorgi, o Signore, nella tua pace, tu e l’arca della tua santificazione.
Quest’arca fu fatta con legni incorruttibili (Cfr. Exod. 25. 10), perché la carne di Maria per niente fu, come crediamo, putrefatta. E per questo ben dice S. Agostino (De Assunt. B. M. V. n. 6) : " Più degno è il cielo che la terra, di conservare sì prezioso tesoro, e a ragione a tanta integrità tiene dietro l’incorruttibilità e non il dissolvimento della putredine ". Così dunque Maria in quel modo che è stato detto, fu lontana dal " vae “ delle partorienti, lontana dal " vae " dei morenti, e per ciò a lei fu detto : Ave.
In terzo luogo, o carissimi, dobbiamo considerare che Maria non solo fu immune dal triplice " vae " della colpa attuale; non solo dal triplice “ vae " della miseria originale, ma anche dal triplice " vae " della colpa infernale. Questo triplice " vae " consiste nella grandezza, nella moltitudine, nella lunghezza delle pene. Guai dunque tanto ai dannati che ai dannandi, guai, dico, per la grandezza, guai per la moltitudine, guai per la lunghezza dei tormenti. Di questi tre “ vae " si può dire : guai, guai, guai agli abitanti della terra.
Il " vae " dunque della geenna consiste nella grandezza delle pene ; di questo " vae " ben si dice nel ventesimo quarto di Ezechiele (Vers. 9) : guai alla città sanguinaria, della quale io farò un gran fuoco. — La città sanguinaria è la riunione di tutti gli empi, di cui grande sarà il fuoco nel grande incendio dei dannati. O quanto lontana da questo grande " vae " della grandezza della pena fu la immensa grandezza della grazia e della gloria di Maria, alla quale, contro il grande fuoco dei dannati nell'inferno, già Dio aveva preparato un'immensa gloria in cielo, affinché come fu grande nel merito, così pure fosse grande nel premio. Onde Ella è quel gran trono di cui si parla nel decimo capo del terzo libro dei Re (Vers. 18) : Il re Salomone fece un gran trono di avorio. Il trono di Salomone per verità è Maria, grande assolutamente nella grazia e nella gloria. Per questo ben dice S. Bernardo (Serm. I. in Assuns. B. M. V. n. 4) : " Quanto di grazia acquistò in terra Maria sopra tutti, tanto di gloria singolare ottenne in cielo". Poiché dunque Maria fu tanto lontanissima da questo " vae " meritamente a Lei fu detto : Ave.
Parimente, il "vae" della geenna consiste non solo nella grandezza delle pene, ma anche nella loro moltitudine : onde è detto nel terzo di Isaia (Vers. 9) : Guai alle loro anime, perché saranno loro resi mali per mali. Dice mali al plurale, perché molti anzi moltissimi mali per mali saranno resi nella geenna. O quanto lontano da questo “vae" della moltitudine dei tormenti fa in Maria la moltitudine dei meriti e dei premi, alla quale contro i molti mali dei dannati nell'inferno già Dio aveva preparato molti beni in cielo, talché nessun angelo e nessun santo può a lei somigliarsi per la moltitudine e la riunione dei beni celesti, secondo il detto del trentesimo primo dei Proverbi (Vers. 29) : Molte figlie hanno riunite grandi ricchezze, ma tu tutte le hai superate. Se per tali figlie intendiamo le anime sante o le intelligenze angeliche, Maria non ha superato forse tutte , le loro speciali ricchezze ? Non ha superalo Ella tutte le ricchezze delle vergini, dei confessori, dei martiri, degli apostoli, dei profeti, dei patriarchi, degli angeli ? essendo Ella sola la primizia delle vergini, lo specchio dei confessori, la rosa dei martiri, il registro degli apostoli, l'oracolo dei profeti, la figlia dei patriarchi, la regina degli angeli. Che cosa infatti le mancò delle ricchezze di tutti costoro ? Ascolta. Girolamo infatti dice (Epist cit. n. 15); "Se tu osservi con più diligenza Maria, tu troverai che non vi è virtù, bellezza, candore e gloria che in Lei non risplenda ". Poiché dunque Maria fa tanto lontanissima da questo " vae " della geenna, a ragione a Lei fu detto : Ave.
Parimente, il " vae " della geenna non solo nella grandezza, non solo nella moltitudine, ma anche nella lunghezza ossia nella eternità delle pene consiste, onde nella Epistola canonica di Giuda si dice (Vers. 11. et 13) : Guai a coloro che si incamminarono nella via di Caino, e per mercede si smarrirono nell'errore di Balaam e perirono nella ribellione di Core. E dopo poco segue : ai quali è riservata in eterno la tenebrosa caligine. Osserva che dice in eterno e considera quanta sia quella perpetuità delle pene che non ha mai fine in eterno, quanto lontanissima da questo lunghissimo " vae " della geenna fu la perpetuità della gloria di Maria alla quale, contro le eterne tenebre dell'inferno, già il Signore aveva preparato l'eterna luce del cielo, affinché come l'anima peccatrice, sede del diavolo, è in eterno miserevolmente tenebrosa, così Maria mediatrice, sede di Cristo, è in eterno mirabilmente luminosa, secondo il detto del salmo (Psalm. 88, 38) "Il suo trono come un sole al mio cospetto, e luna perfetta in eterno “.
Così dunque la beatissima Vergine Maria fa lontana dal triplice “vae " della geenna, anzi fu lontana dai suddetti nove " vae " e per questo a ragione a Lei fu detto: Ave. Noi dunque, o carissimi, tutti a Lei diciamo Ave, e tutti preghiamola onde Ella ci ottenga dal suo dolcissimo Figlio di esser liberati da ogni " vae " per il Signor nostro Gesù Cristo, Figlio suo, che col Padre e lo Spirito Santo vive e regna.
(31) marzo 1949 Il parallelo tra le due Passioni
Maria Valtorta
Dice Gesù:
«Io e te. Io in te. Tu in Me. Il Cristo e il piccolo cristo. La grande Vittima e la piccola vittima. Il grande Calunniato, Tradito, Vilipeso, Condannato, senza avere diritto di farlo, e la piccola calunniata, tradita, vilipesa, condannata, senza avere diritto di farlo.
I personaggi: gli stessi, per azioni, sebbene diversi per personalità. Il giudizio di Dio severo per quelli di allora e quelli di ora, su tutti i protagonisti del dramma ingiusto o santissimo, a seconda che lo si guardi dal lato degli uomini o dei cristi.
Vieni, ché lo riviviamo insieme. E vedrai che tu sei lo specchio fedele del tuo Gesù.
Quando è incominciata la Passione? Quando il processo? Forse nella notte fra il giovedì e il venerdì? Forse davanti a Caifa nell'aula del Sinedrio? No. Molto avanti. Da quando venni alla luce.
Intorno a Me sempre contrasto di amore perfetto da parte di pochi e di odio perfetto da parte di molti. Intorno a Me sempre perfetta comprensione di pochissimi e incomprensione perfetta di moltissimi. Anche a te così. Da quando nascesti. E ne soffristi come Io ne soffrii, benché, molto più fortunato di te, ebbi per madre quella Madre. E quella Madre consolava da ogni dolore. Il suo amore, secondo in potenza e perfezione a quello del Padre mio divino, mi ripagava da ogni odio.
Mi perseguitarono gli uomini dall'infanzia. Tu pure conoscesti le ingiuste gelosie, le invidie stolte che degenerano in odio verso il perseguitato, in paura dello stesso per l'oscuro pericolo che sovrasta e preme, quando, ancor piccoletto, l'uomo non sa capacitarsi del vero valore delle cose a lui favorevoli o a lui avverse, e lo stormir d'una fronda, l'oscurità, il grido corrucciato di un uomo preso dall'ira, le incognite di una fuga assumono aspetto di grande pericolo.
Io ebbi l'esilio, ma mai era esilio perché quella Madre era meco. Tu avesti un esilio più duro, pur non essendo costretta a dimora in terra straniera, perché ti fu straniero il cuore di quella che così poco servì la carità.
Io ebbi fame. Anche tu.
Io ebbi freddo. Anche tu.
Io ebbi perdite di amicizie sin dall'infanzia. Anche tu.
Poi ebbi il lavoro precoce, superiore talora alle mie piccole forze, perché si era poveri. Anche tu avesti il lavoro precoce, superiore talora alle tue piccole forze, perché la tua casa era povera d'affetti. Non bastava al tuo gran cuore l'amor di tuo padre, l'unico, vero, grande amore che avesti dagli uomini. Servì, questa tua fame d'amore, mai saziata, a farti venire a Me in modo non comune nelle creature. Buono, quindi, il frutto del poco amore che ti dettero; ma doloroso tanto il dover gustare questa mancanza d'amore.
Non serbi rancore, in verità, per i molti che, nella parentela, o nella scuola, o nella società, non ti amarono; come Io non serbai rancore ai parenti che non mi amarono mai come avrebbero dovuto e il cui disamore, la cui incomprensione, anzi, si accrebbero più Io divenivo, da adolescente, uomo, e da uomo, il Maestro; come non serbai rancore ai nazareni concittadini, così ostili al Maestro come pochi cittadini d'altre città lo furono.
Ho pianto la morte di un padre putativo amabilissimo e giusto. Tu pure piangesti la morte di un padre amabilissimo e giusto, avvenuta quando più ti sarebbe stato necessario e dolce averlo vicino. Anche per Me sarebbe stato dolce saperlo presso alla Madre, valido difensore contro le accuse di parenti e nazareni quando il falegname Gesù fosse divenuto il rabbi Gesù. E dolce averlo presso durante la missione, nei momenti più duri di essa. E dolce averlo a sostenermi col suo amore durante le amarissime giornate del subire tradimento e del patire.
L'amore fedele di Giuseppe mi avrebbe ben consolato del tradire di Giuda! E la presenza di Giuseppe presso la Madre, sul Calvario, mi avrebbe dato una pace nel morire. Anche tu, se ora avessi qui il padre tuo, dal nome uguale a quello del Giusto, e dalla giustizia e carità così vive e paterne, soffriresti meno dell'amarezza che ti dà il tradire di molti e dell'essere sola, indifesa in tanta guerra, come Maria…
Ma queste sono le premesse remote alla vera nostra Passione, al vero nostro processo ingiusto. Andiamo più oltre, alle premesse vicine.
Io e te abbiamo sempre amato la volontà di Dio più della nostra, e sempre l'abbiamo voluta servire e compiere anteponendola ad ogni interesse e volontà nostra, non è forse vero?
Ecco allora che Io lascio la casa di Nazaret, dove molta era la pace e relativa era l'incomprensione che vi penetrava, portata da parenti e concittadini; lascio l'ancor facile e dolce Volontà del Padre a mio riguardo — essere uomo, Io che ero Dio, e dell'uomo abbracciare le diverse condizioni della carne che ha fame, sete, sonno, che sente la fatica e il disagio delle intemperie e del calore solare ed estivo, e le condizioni del morale che soffre per i lutti, o gli asti, o del non poter dare maggior agio alla Soave che mi aveva dato al mondo; e come uomo essere sottomesso agli uomini dalla temporanea potestà, Io che ero il Signore, il Re, dall'eterna, infinita potestà — e abbraccio la più difficile Volontà del Padre mio, quella messa come tratto che unisce i due estremi del primo tempo della mia vita, la familiare, con l'ultimo tempo, quello della Passione vera e propria, e intraprendo la vita pubblica.
Anche tu. Io ti ho chiamata, Io la cui volontà è una con quella del Padre mio, alla seconda parte della tua vita, la parte del mio portavoce. Come Io non ignoravo quanto mi attendeva nella vita pubblica, così tu non t'ingannasti su quanto avresti trovato nel servirmi in modo straordinario.
Più uniti a Dio, sì, perché il Padre tanto più a Lui ci stringe quanto più compiamo la sua Volontà, e a Sé ci unisce se compiamo la Volontà dolorosa che Egli ci chiede per il bene di chi non sa amare Dio e prossimo e che, già non grato nella gioia a Dio, diviene suo nemico se il dolore lo preme. Più uniti, sì, ma anche, oh! quanto! quanto più tormentati dagli uomini per essere i portatori della Parola di Dio!
Eccoci ambedue sulla strada, ad evangelizzare, a portare la Buona Novella, a raccogliere critiche, calunnie, contumelie, biasimi, accuse, a conoscere volti che sono scenari dipinti dietro i quali è nascosto un cuore di serpe, a misurare quanto è labile l'amicizia, la gratitudine, la fedeltà umana, quanto è mutevole il cuor dell'uomo e come un luccichio d'oro lo travii sino a farlo nemico dell'Amico, e come ami più il bagliore freddo e smorto di un pugno di monete, che seco non può portare sicuramente durante la vita e che inevitabilmente lascia quando viene la morte, al vivo splendere dell'amore caldo e intelligente dell'Amico vero delle anime.
Vieni, vieni, vieni, Maria, mia Maria. Metti la tua piccola mano stanca nella mia forte, salda, e vieni con Me senza paura. Così! Come Io fossi più tuo padre che tuo Sposo e Dio, o un tuo fratello buono che capisce perché già tutto ha conosciuto di quello che è il dolore dei messi di Dio, e ti ama perché tu lo ami senza accusarlo di essere cagione del tuo soffrire.
Il giusto non confonde mai le cause del suo soffrire. Perdona sempre, a tutti, ma conosce il volto e il cuore dei suoi carnefici. E soprattutto conosce il volto e l'amore di Dio, e sa che se Egli permette che gli uomini servano Satana per torturare i loro simili, è per fare risplendere lavera grandezza dei suoi veri figli. Risplendere e premiare.
Andiamo dunque, ilari, la mano nella mano. Sono venuto a prenderti per trascorrere insieme per paesi e città della Palestina. È bella la Terra del tuo Gesù a primavera, e a te piace tanto. Bella! Bella anche se fra la sua opulenta natura, presso le chiare acque e in cima alle boscose alture, ovunque, sono celati aspidi e sciacalli. Non sfuggiamoli. Anzi andiamo loro incontro. Per riconoscere i tuoi torturatori neimiei nemici.
Queste sono pagine per te sola. Soltanto alla Buona che tu sai, una delle Marie del tuo Calvario, le puoi dare, a confortarla della nonpotuta mantenere promessa. Devo pur castigare, qualche volta, chi mi irride! Ma voglia accettare dallo Sposo questa riparazione, acciò comprenda che l'ho cara, né è per mia mutata volontà che non mantengo la promessa. Anche questo le sarà dolce. Ma dille che non ne faccia parola ad alcuno. Ad alcuno, dico. Neppure ai più cari…
"Un giorno [1] Gesù, presi in disparte Pietro, Giacomo e Giovanni, salì sul monte e si trasfigurò…". Ecco, Io prendo in disparte il mio piccolo Giovanni e la sorella sua, che sarà Giacomo in questo caso, e a loro sole mostrerò come tu sia in Me ed Io in te sino ad essere tu un piccolo Me.
Andiamo dunque. Ecco il luogo della Tentazione, l'incontro col Nemico, principe e principio d'ogni altro nemico dei giusti; principio perché movente di ogni ingiusto atto umano. Gli altri nemici del servo di Dio non sono che fantocci mossi da lui, strumenti suoi, talora inconsciamente suoi strumenti, e inorridirebbero e reagirebbero offesi se alcuno dicesse loro che tali sono, perché essi… oh! essi credono di essere nel giusto, di essere indipendenti da ogni pressione esterna, e sono convinti di servire Iddio con l'opprimere il servo di Dio che, nella loro autodefinizione di "santi", giudicano peccatore.
E che di diverso era in quelli che per tre anni ingiustamente mi criticarono accusandomi di peccato per ogni mia azione di Verbo incarnato e che, in men di una notte, mi condannarono reo di morte?
Essi pure si dicevano "i giusti" in Israele, gli unici giusti, i depositari della Legge e della Sapienza, i difensori di Dio che, in verità, tanto poco difendevano ed amavano sino a giungere ad uccidergli il Figlio.
Essi pure si credevano indipendenti da pressioni esterne, liberi perciò nel loro giudicare, mentre, in verità, era scatenata in loro da Satana, loro movente, la triplice concupiscenza, e libidine di gloria, di potere, di ricchezza, li pungeva e premeva sino a farne dei deicidi.
Essi pure dicevano di agire per dare onore e servizio a Jeové levando di mezzo il sacrilego nazareno.
Ma come onoravano e servivano il Dio dei loro padri — Colui che con diretta istruzione aveva istruito i Progenitori sul futuro Messia, Colui che aveva posto le profezie sulle labbra dei Profeti del loro Popolo, Colui che splendeva in Me, Uno con Lui nella divina Natura, in ogni mia azione di Uomo perfettamente santo che nessuno poté mai trovare in peccato — se mi perseguitavano sino a darmi la morte di croce?
Ma essi erano gli uomini nemici mossi dal Nemico principe, da colui che mi attese presso il masso desertico per tentarmi e distruggere, così, Chi avrebbe vinto e distrutto il suo lavoro di omicida del figlio adottivo di Dio. E il Nemico di Dio — sempre di Dio, anche se tenta gli uomini, perché, in verità, a chi muove guerra muovendo guerra all'uomo? a Dio muove guerra, perché, se vince l'uomo che assale, strappa un figlio al Padre dei Cieli — e il Nemico di Dio, dicevo, mi tentò.
Astutamente. Oh! egli sa come vinse la prima volta, e sa che un solo uomo, fra tutti i nati di donna, uno solo, dico, non avrebbe fremuto in alcun modo davanti al carnale frutto porto e magnificato dal lussurioso Demone. Perché molti eroi della purezza ebbe la Terra — i vergini, i casti, che sono le bianche schiere dei Cieli — ma sotto il candore della loro stola stanno, come accesi rubini, le lotte sostenute coi fomiti della carne per essere fedeli alla candida virtù che li fe' angeli in veste d'uomo. Io non ho conosciuto quel fremito. Come potevo conoscerlo se immacolato Figlio dell'Immacolata e di Dio? E se non apersi la mente alle parole di Satana?
E cercando questi, fra i nati di donna — il Messia — con quel mezzo saggiò gli uomini, instancabile, e quando trovò chi restò senza fremiti e senza curiosità alla sua carnale seduzione, fu certo di aver trovato il cercato Messia, il suo Vincitore futuro se egli non fosse riuscito a vincerlo. E allora tentò l'Uomo per far perire il Salvatore, Redentore, Vincitore, prima che Egli salvasse, redimesse, vincesse il peccato e la morte. Ma in luogo di vincere fu vinto.
Maria, ricordi le tue tentazioni? Non seguì lo stesso sistema per tentare di fare perire te, per farti odiosa al mio sguardo, onde Io non ti chiamassi a ricevere la mia Parola per gli uomini, indi poi — seconda parte della tentazione — già mio portavoce, a tentare di farti peccare in superbia, disubbidienza, menzogna, perché perisse non solo la tua anima ma la mia opera?
Tu pensi: "Ma la tua opera è perita benché io ti sia stata fedele nell'ubbidienza, umile nonostante l'onore che mi desti, sincera sino allo scrupolo nel dire solo e sempre la verità dell'udito e visto".
No. L'opera non è perita benché gli uomini abbiano servito perfettamente le mire di Satana per farla perire. Io te lo dico: non è perita. Non può perire. Io e mia Madre vegliamo su essa. Periranno coloro che male tutelarono e male giudicarono, ma l'opera non perisce. Gli uomini possono prevalere coi loro sentimenti impuri, ma non distruggere l'opera di Dio. Il castigo andrà a chi ha peccato e pecca. Ma l'opera non pecca e tu non hai peccato. Quindi non perirà.
Credi di aver finito di essere tentata? Non te lo credere. E per questo ti ho chiamata oggi in quel modo (il 30 marzo ore 15,30) dicendoti di dare a Me le tue mani, per trasfonderti la mia Forza. Perché Io sapevo e so ciò che si scatena ora di odio contro te, ora che per essere fedele alle quattro virtù cardinali, oltre che alle tre teologali, hai deluso gli uomini e vinto una nuova tentazione.
Dovrebbero ringraziarti perché tu impedisci loro di peccare e di incorrere in castighi. Ma quando mai quell'Ordine ti amò di amore giusto? Quando con giustizia? Quale membro ti fu santamente tutore? Interesse, boria, diffidenza, calunnia, menzogna, ecco quanto si agita nei diversi cuori sotto la veste nera che li copre. Ma Colui che smascherò scribi e farisei, Colui che è stanco — sono due anni che ho nausea delle loro azioni — li scopre, te li mostra. Eccoli gli uomini, gli uomini che ti hanno già danneggiata tanto, che hanno rovinato l'opera, che ti hanno dato tanto dolore, eccoli col loro vero volto di astiosi perché delusi nei loro disegni.
Ricorda! Ricorda! Era il marzo 1947, e ti dissi: "Colui, il sacerdote, che mette la mano nel tuo piatto e mangia del pane che Io ti ho dato – la mia Parola – alza contro te il suo calcagno e stabilisce in cuor suo una cosa iniqua dicendo: 'Dopo questa non si rialzerà'". Lo vedi? Non importa. Te lo dissi e lo ripeto: in verità l'essere portavoce è l'accidente, ma l'esser fedele nella giustizia è la cosa che dura eterna. Quindi di questo solo ti devi preoccupare.
Andiamo avanti. Riconosciamo altri nemici miei.
Ecco, sulle sponde del mio mare di Galilea, coloro che si preoccupano dei morti [2] per lasciare la Vita. Sono quelli tutti presi dalle sollecitudini terrene, i quali perdono di vista il fine giusto, che darà premio eterno, per seguire un fine che finisce qui, sulla Terra. Seppellire i morti, e specie se questi sono i genitori, è opera buona; ma più buona opera è seguire Iddio che dà vita all'anima.
Anche pubblicare l'opera è cosa buona, perché le anime troveranno vita in essa; ma ubbidire a Dio, alla giustizia, essere umili, prudenti, rispettosi verso il Corpo Mistico, è cosa più buona, perché dà premio di vita eterna. Premio puro da ogni fomite umano.
In verità, se la fretta attuale di stampare venisse da un unico movente — lo zelo per dar cibo alle anime — sarebbe ancora assolta in parte, dalla divina e infinita Misericordia, la loro disubbidienza. Ma molte impurità umanissime sono in questa fretta attuale, molte! Ed Io, giusto oltre che misericorde, non posso in verità assolverli, tanto più che essi, che dovrebbero esser lume alla tua anima, sale, sostegno, esempio alla tua e a quella dei tuoi testimoni, divengono sorgenti di fumo, peso, sapore che travia il gusto sano, male esempio: scandalo in una sola parola. È noto come Io ho giudicato [3] coloro che scandalizzano i "piccoli".
Eppure, ecco che anche tu trovi coloro che si occupano di cose morte, e vorrebbero che tu te ne occupassi, e che, meno eroici di quello del lago, non sanno seguire i passi miei che tracciano il giusto cammino, ma si attardano con impuro affetto a carezzare cose morte. Non è in tal modo che si ottiene dal Cielo il miracolo della risurrezione delle stesse. Maria di Magdala, la grande peccatrice e la grande convertita, l'umile madre del morto di Naim, Giairo il sinagogo, credettero ciecamente alle mie parole, non vollero fare da loro, ma mi lasciarono fare, mi seguirono con fiducia negli ordini che davo, e ottennero la risurrezione dei loro morti. Sono forse costoro, che ti vogliono far compiere azioni che Io ti consiglio di non compiere, più sapienti di Dio? Più potenti di Me?
Passiamo oltre senza curarci del mormorio che la mia risposta al figlio del padre morto suscita fra i presenti all'episodio. Mormorio di voce umana. Trascurabile quindi.
Eccoci nella mia città di Nazaret. Anche in essa sono Maestro e autore di miracoli. Ma essa non mi ama e "a cagione [4] della incredulità dei nazareni il Cristo non fece in Nazaret molti miracoli". Essa non mi ama, e quando Io dico ad essa la verità per amore verso la mia città che vorrei santa — la verità detta a chi pecca per trarlo dal suo errore è sempre carità e della più eletta — essa prende pietre per lapidarmi e, trascinatomi in cima al monte, cercarono di farmi perire.
Anche tu, in quella che dovrebbe essere la tua città (l'Ordine dei Servi di Maria) non sei amata, e per questa loro incredulità non puoi dare l'altro miracolo delle spiegazioni delle Epistole Paoline, che solo Io posso rendere chiare, in piena verità e rispondenza col pensiero di Paolo. E perché dici la verità ti lapidano e vorrebbero precipitarti. Le pietre, sì, ti feriscono, ma farti decadere non riescono, perché tu passi con Me in mezzo a loro. E se non muteranno, non solo passerai con Me, ma con Me te ne andrai lungi da loro. Mancano soltanto ancora poche gocce del loro mal liquido a far piena la misura del calice della loro incredulità, del loro disamore, e della mia sopportazione. Colmo che sia, Io ti trarrò meco lungi da loro, per darti almeno un trapasso pacifico fra le braccia dell'Amore, senza che gli uomini ti turbino l'estrema ora con le loro grida e azioni non buone.
Andiamo oltre ancora. Incontro ai falsi amici.
Chi sono? Sono gli Scribi, i Farisei, i Sadducei, gli Erodiani, che mi invitano ai loro banchetti per poi criticare Me ed i miei discepoli, perché questi non hanno compiuto purificazioni esteriori; o mormorano perché Io perdono la peccatrice che li ha superati col darmi quei conforti, in uso fra gli Ebrei, che essi non mi avevano dato; o mi interrogano su questioni legali o spirituali, mostrandosi desiderosi di apprendere ma, in verità, covando in cuor loro la speranza di potermi cogliere in fallo; né valsero le mie risposte di incarnata Sapienza e di vero Figlio della Torà a farli persuasi che Io ero il Messia profetizzato. Ma anzi servirono a creare i capi d'accusa per Me, nella notte fra il Giovedì ed il Venerdì.
Eccoli! Quelli che mi chiedono perché i miei discepoli non si lavarono prima di assidersi a mensa, dimentichi che un di loro, Simone il fariseo, non mi aveva, volutamente, dato di che lavarmi e profumarmi, secondo gli usi di Palestina, quando mi aveva voluto suo ospite, ma anzi aveva mormorato in cuor suo sull'azione riparatrice della pentita; riparatrice, dico, delle colpe di lei, ma anche della colpa di lui: Simon fariseo.
Eccoli! Quelli che mi interrogano sul divorzio, quelli che mi tentano sul tributo a Cesare per avere un capo d'accusa da portare contro Me a Pilato… Oh! gli astuti accusatori che mi vogliono morto, ma non vorrebbero che illegale fosse il martirio!
Eccoli! Quelli che mi trascinano ai piedi l'adultera con duplice scopo…
Quelli che si scandalizzano quando Io ripulisco la Casa del Padre mio divenuta luogo di baratto, usura e mercato.
Quelli che fingono di fraintendere la seconda vita della carne dopo il Giudizio finale, la risurrezione, per vedere se dico eresia.
Quelli che mi fan chiedere capziosamente quale sia il più grande dei precetti.
Quelli che dicono che per credere in Me hanno bisogno di un segno. Hanno forse creduto dopo che lo ebbero? No. Come non credono a te, come non ti hanno creduto e non ti crederanno mai veramente, anche se dicono di credere che tu sia il mio portavoce e che le lezioni dell'opera vengono dalla Sapienza, e lo dicono per ingannarti sui loro veri disegni; o credono e credettero e crederanno instabilmente, e solo quando la forza di certe testimonianze li piegheranno a terra come superbi alberi che un uragano piega, pronti a rialzarsi e a negare quella loro transitoria fede non appena il potere di Dio non li preme più e il suo splendore non fiammeggia paurosamente loro dinanzi.
Amici? No. Gli amici non tormentano con domande capziose per vedere se riescono a far cadere in errore, posto che errore non v'è nello scritto.
Gli amici non rimproverano di colpe non vere mentre sanno che essi andrebbero rimproverati di loro azioni non buone, che hanno fatte e fanno, sapendo di farle.
Gli amici non mettono in condizione di criticare le azioni delle Autorità e ribellarsi ad esse, alterando la verità sulle azioni delle Autorità per poi denunciare alle stesse le ribellioni o le critiche aizzate e suscitate dalle loro tendenziose parole.
Gli amici non si ribellano quando un giusto zelo spazza come lordura e mercimonio indegno quanto occupa la loro anima profanata da sensualità della mente.
Gli amici non fingono di fraintendere le chiare spiegazioni per muovere obbiezioni sperando di farti cadere in eresia.
Gli amici non fanno tradimento di azioni illecite per poi dire che l'amico è complice loro.
Gli amici non dipingono l'amico come folle o indemoniato, mentitore o subdolo.
Tutte queste cose gli amici veri non le fanno. Sono dunque costoro, i tuoi falsi amici, amici? No. Tentatori sono. Calunniatori sono. Negatori sono. Astuti sono. Ladri e bugiardi sono. Attentatori della tua vita che consumano con le loro azioni, e dell'opera che danneggiano con le loro azioni, quindi omicidi e distruttori impuniti… No. Non impuniti. Potevano esserlo sinché la mia pazienza durava… non dopo che essa è esaurita.
Senza carità sono, quindi senza Dio. Attenti, come e più degli antichi strategoi del Tempio, ma non per reverenziale amore alla Santità del Signore, vero Capo del Tempio, ma per cercare un motivo con cui convincere di peccato i semplici. Sempre pronti ad asserire il non vero, ad alterare le cose, ad aggiungere o a levare, covando in cuor loro un disegno impuro.
Io li chiamo "concupiscenti". E tali sono in due dei tre rami del maledetto albero nato nell'uomo dal seme del vietato pomo. Lo sono nella concupiscenza degli occhi, perché curiosità malsana ed avarizia li mossero ad occuparsi di te, e la concupiscenza degli occhi è curiosità ed avarizia. E lo sono nella concupiscenza della mente, od orgoglio della vita, per renderti più chiara questa faccia della concupiscenza umana. Esso è dato dall'egoismo che l'amor proprio sfrenato ha suscitato in loro al punto di credersi simili a Dio, anzi al punto da poter imporre a Dio di fare ciò che essi vogliono, così come con ogni loro potere cercano premere e piegare il prossimo loro per farne il loro schiavo che li serve e teme non osando reagire alla loro mal larvata violenza. Dal maledetto ramo della concupiscenza mentale pendono gli attossicati frutti della vanagloria che, disordinatamente stimandosi, esige lodi e ringraziamenti da ognuno, al quale i vanagloriosi si impongono con un ipocrito aspetto di santi, steso a coprire la verità oscura della loro anima concupiscente. L'orgoglio della vita spegne in loro la Vita che è gloria vera e senza fine, pospone Dio all'io, fa dell'uomo, che dovrebbe essere servo di Dio, un ribelle alla legge divina e un servo alla legge del peccato.
Io li abborro più degli aperti nemici che hanno l'ardire di mostrare ciò che sono, sapendo che per questo vengono giudicati severamente dai buoni. Non amo le serpi che si avvolgono fra rami fioriti per nascondere il loro vero aspetto e mordere senza che l'assalito abbia tempo di difendersi. Odio l'ipocrisia più ancora dell'omicida violenza. Perché la prima uccide non solo una carne e una vita umana sfidando il rigore delle leggi, ma uccide, o tenta di farlo, il buon nome, la stima, la fama di un giusto, e per sempre talora sulla Terra; assassina impunita che non versa sangue, ma in verità è più carnefice di un carnefice, assassina che solo Dio colpirà delle sue punizioni. Ma quanto male, prima di essere punita da Dio, essa compie! Quanto bene distrugge! Quanto dolore crea!
Guardati intorno. Li vedi i tuoi falsi amici. E li conosci ormai senza possibile dubbio. Sii ferma, come Io lo fui, nel resistere senza applicare il taglione [5], ma anche senza scendere a patteggiare con essi, per avere pace terrena. Sarebbe duplice errore. Perché la tua condiscendenza ribadirebbe nei loro animi le loro malvagie conclusioni a tuo carico. E perché, non avendoli ugualmente amici sulla Terra, perderesti l'amicizia eterna dell'eterno Amico tuo: il tuo Gesù. Io te lo dico: sii ferma, non vendicarti, anzi perdona senza cedere, per quanto è grosso un capello del tuo capo, ai loro disegni. E perdona. Tu perdona. Iddio farà poi la sua parte.
E procediamo per altre regioni, e incontro ad una altra classe di nemici nascosti. Quelli che Io chiamerò "gli amici instabili". Quelli che sono sedotti dal miracolo, dal fiammeggiare della verità e potenza, da un sogno di speranza e da speranze di trionfo. Quelli che seguono sinché non c'è pericolo a seguire, pronti domani ad andarsene se pensano che il seguire non dà utile, anzi che può dare dei fastidi.
Il primo chi è, non in ordine di tempo, ma di gravità nel suo peccato? È Pietro. Il primo degli Apostoli, la Pietra su cui fondavo la mia Chiesa. Così pronto nel venire a Me, così audace nel difendermi, nel professare la verità su Me! E poi? E poi eccolo, vile, menzognero, traditore, nello spirito, del suo Gesù. "Io non conosco quest'Uomo. Non sono un suo discepolo".
In verità, in verità ti dico che in quel momento Pietro fu più vile di Giuda. Perché Giuda ebbe l'audacia del suo delitto e, pur sapendo di disvelarsi in tutto il suo orrore e di marchiarsi per sempre dello sprezzo del mondo sinché il mondo sarà, sfidò tutto e venne, alla presenza di un popolo, di cui ignorava le reazioni, ad indicarmi ai carnefici. Si professò mio discepolo con quell'atto, non negò di esserlo, fu e volle essere noto come il "traditore"e il "deicida".
Pietro, invece, non ebbe il coraggio di dire: "Sono suo discepolo, lo conosco". Avrebbe dovuto aggiungere: "E professo che Egli è il Giusto come si conviene al Figlio vero di Dio vero". Non avrebbe fatto che rendere onore alla verità, a quella verità nella quale aveva sempre creduto sinché era non pericoloso il crederle, a quella verità che era gloria anche per lui, perché è onore seguire e amare i giusti, e sommo onore essere discepoli di Dio. Ma egli rinnega…
Ora il suo Maestro viene trascinato davanti al Sinedrio come malfattore, sacrilego, demonio; e andare contro al Sinedrio è pericoloso, e andare contro una plebe che si rivolta contro al fino ad ieri acclamato è pure pericoloso. Ci vuole eroismo a difendere uno caduto in disgrazia. E l'eroismo viene da vita interiore fortemente nutrita di carità, ossia sostenuta dall'unione con Dio, e da fede amorosa e certa nell'Amico.
Pietro non è ancora confermato nella carità e nella grazia. Pietro è ancora "l'uomo", e dell'uomo ha l'egoismo e la viltà, la fede instabile, l'amicizia labile. Pensa a difendersi da possibili pericoli, e non a difendere, almeno con la parola, l'Amico. Lascia che di Lui parlino solo i nemici ed i comperati testimoni. Contro le loro menzogne non alza la sua parola franca e giusta. E così anche Pietro, che solo poche ore prima aveva intinto il suo pane nel mio piatto, s'era nutrito di Me, e m'aveva professato d'esser pronto a dar per mio amore la vita, alza contro Me il calcagno col rinnegarmi dicendo: "Non lo conosco".
Perché Pietro ha fatto quel peccato, lui, il già designato Pontefice della Chiesa che già era all'alba della sua fondazione? Perché era "l'uomo carnale" che la prova e il pentimento non avevano ancora potuto convertire ad "uomo interiore". Perché Dio permise quel peccato nel primo Pontefice della Chiesa di Cristo? Perché, "ravveduto [6] che fosse, confermasse i suoi fratelli", ossia, ricordando la sua debolezza, la sua, di lui che per tre anni s'era nutrito della mia carità e sapienza, sapesse giudicare con giustizia vera, senza intransigenze di antico israelita e senza debolezze di imperfetto sacerdote, le colpe dei suoi agnelli, sempre meno colpevoli di lui sol per non essersi direttamente nutriti della mia Parola. E anche perché, ad esempio di lui che peccò e fu perdonato e poscia, umiliato e ravveduto, fatto "uomo interiore e sacerdote santo", vero Padre e Pastore dei figli di Dio e degli agnelli del mio Gregge, ogni Pontefice sia, come il Pietro primo, giudice e padre, senza intransigenze e senza debolezze, Pastore buono, altro Me, perché il mio Gregge non perisca e non sia calpestata la mia Dottrina.
Altri amici instabili: i discepoli che abbandonano il Maestro dopo il discorso del Pane del Cielo. Perché questi hanno abbandonato? Perché Gesù li richiama a seguire il Cristo non secondo gli stimoli della carne, ma per gli impulsi dello spirito, ossia con rigenerazione dell'uomo vecchio, rinato figlio di Dio per aver creduto in Me e accolto Me.
Non avevo forse detto alla Samaritana [7]: "L'ora viene in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità"? E a Nicodemo non avevo detto: "Chi non rinascerà nello spirito non avrà il Regno del Cielo"? E la donna dalla vita impura, scismatica per religione, accolse la mia parola e da allora adorò Iddio in spirito e verità. E il grande Nicodemo, luce del Sinedrio, accolse il mio invito e rinacque, tanto da essere apertamente mio amico allorquando un Pietro mi rinnegava. Perché non avrei dunque dovuto richiamare i discepoli che mi seguivano per troppe cose che erano vanità e non spirito e verità?
Ma in loro era la superbia di essere "i discepoli" e, presumendo di essere per questo già fondati nel Regno, ecco che si rivoltano al Maestro e vogliono fare da maestri a Lui, in un contraddittorio dal quale appare la loro non certa fede in Me, la loro imperfetta formazione e, ciò che più è grave, la loro volontà di non essere perfezionati da Me. È l'antico peccato che risorge. Sempre quello. Lo Spirito del Male fischia ai loro orecchi la sua canzone ed essi la accolgono, si sentono dèi, giudicano di saper fare a meno di maestri, e se ne vanno. E se ne vanno! Dove? Là dove vanno tutti coloro che superbia trascina, che legge di carne fa ebbri: lungi dalla via e vicinanza di Dio.
Molto meno grave nella sua instabilità è il giovane ricco [8] che, benché attratto dal Maestro, è ugualmente attratto dalle ricchezze e, preso fra le due correnti opposte, preferisce abbandonarsi alla più comoda: godere delle ricchezze.
Altro esempio, ma più grave perché l'instabile è qui uno che ottenne da Me grande miracolo e che mi aveva avvicinato più volte, è quello di Cusa. Anche egli è per Me sinché gli dura il ricordo delle sue ansie per la moglie malata e sinché l'essermi vero amico non poteva mettere in pericolo il suo posto a Corte. Ma quando Erode non mi temé più, perché ero, ai suoi occhi umani, il vinto, il lebbroso, il folle, il maledetto, il rinnegato dal Tempio e dalla Nazione, e anzi, non temendomi più e sentendosi offeso del mio silenzio, mi odiò fortemente, ecco che Cusa, che già s'era prestato al tranello dei miei nemici attirandomi nella sua casa per il convito in cui subdolamente mi si offerse il regno – l'umanissimo e spregevole regno – mi si schiera contro sino a punire la moglie d'essermi fedele, né lo converte la mia resurrezione e nessun altro miracolo. L'uomo accecato dai falsi valori, che abbandona le cose sicure ed eterne, per il precario favore di un re e la fuggevole potenza di una carica a Corte!
Quanti di questi seguaci di ciò che dà onore effimero, di ciò che è catena anche al libero volere e giudicare dell'anima e della mente, quanti servi, anzi schiavi del loro orgoglio, non ho Io fra i miei stessi ministri!
Questi i miei amici instabili. Riconosci in essi le figure dei tuoi?
Eccoli quelli che, dopo essersi sentiti aumentati in prestigio perché tuoi amici, sono pronti a dire: "Io di questa creatura non mi curo. Non la conosco e non la voglio conoscere".
Eccoli quelli che ti hanno mostrato amore sinché hanno sperato che la tua luce li innimbasse di gloria e la tua fatica fruttasse loro utile, ma il cui vero sentimento è apparso quando è apparsa velata la tua luce da un giudizio provocato più da essi e dalle loro azioni, sempre opposte ai miei consigli, che non da alcun altro motivo, e che ora non ti mostrano amore, in verità no, che non ti mostrano amore.
Eccoli quelli che a pronunciarsi hanno atteso… per non avere il caritativo coraggio di sostenere te, sinché è incerto il tuo trionfo.
Eccoli quelli che, tra le ricchezze ingiuste e la vera ricchezza di servire Dio nel suo strumento, hanno preferito i comodi delle prime, scansare le noie…
Eccoli quelli che, richiamati al dovere di essere "spirituali" mentre carnali sono, preferiscono andarsene da soli, per il loro sentiero che non è più quello che Io ho indicato.
Eccoli quelli che, dopo aver tanto avuto da Me e da te, lasciano l'amicizia del Re dei re e della sua fedele per piacere al loro intimo re, e dopo averti offerto un'aureola di paglia e di fiori, che oggi sono tali ma domani sono strame e poi nulla più sono, ti si schierano contro perché tu la rifiuti, preferendo ad essa la spinosa corona della perfezione e della gloria eterna, e ti cingono di una corona di scherni…
Oh! lasciali fare! E lasciali andare! È detto [9]: "Guai ai soli". Ma è meglio essere soli all'avere amici che tentano al male. È meglio essere coronata di scherni, che cadranno come foglie morte, anzi già cadono, quando Io vorrò fare risplendere la verità, al portare una falsa corona che può ingannare solo gli stolti e i carnali. Quest'ora oscura sarà quella che ti darà la luce perfetta qui e oltre. Io te lo dico.
Ed ora gli amici traditori. Giuda ne è l'esemplare perfetto. Ma tutti quelli che, dopo aver ricevuto benefici, si volgono ad accusare con accuse non vere, ne sono i seguaci. Io li ebbi. Tu li hai.
Io ebbi l'esemplare perfetto nell'avido di denaro e nel deluso nei suoi disegni di orgoglio. Tu pure, in questi.
Io in colui che m'era caro come un fratello. Tu pure. Mi tradì con un segno d'amore. Con falsi segni d'amore tradirono te.
Si diceva mio credente, e mi designò come un satana. A te pure dissero di crederti strumento di Dio, ma quando, per esserlo realmente, ti opponesti ad un loro disegno, ecco che ti dissero, e dicono, essere strumento di Satana.
Si diceva sedotto dalla mia Sapienza, ma apertamente mi chiamò folle quando la delusione e l'ira, circa i disegni che aveva nel cuore e per la scoperta di essi, lo fece nemico dell'Amico divino. A te pure dissero essere sedotti dalla Sapienza che parlava in te facendoti suo portavoce; ora, delusi e scoperti, dicono che sei una demente, anormale e per vizio di nascita e per le infermità che hanno aggravato la tua imperfezione mentale.
Mi tentò al peccare perché non poteva ammettere che Io fossi superiore al peccare per essere Dio e per essere l'Uomo giusto, perfettamente giusto, volontariamente giusto. Ti tentarono a peccare, non nello stesso mezzo tentato da Giuda, ma in quello che a loro premeva, e col duplice scopo di raggiungere il loro scopo utilitario e orgoglioso e di avere una prova valida a farti giudicare colpevole, nel folle sogno che, tu eliminata, maggiore e più libero utile e orgoglio venisse a loro.
In verità che i trenta denari furono il macigno che Giuda si mise al collo per precipitare nell'abisso, e la folle speranza di trionfare in un qualsiasi modo, poi che non aveva potuto essere il "grande" di Cristo Re d'Israele, fu la fune che lo fece suicida, privo della Vita e della vita, morto, morto, morto in eterno, satana, satana, satana in eterno, Lucifero secondo del Dio Figlio come Lucifero primo lo fu di Dio Padre-Figlio-Spirito Santo, ribelli ambedue, superbi, avidi, e ambedue fulminati, Arcangelo ed Apostolo, dalla Giustizia divina.
Ma che di diverso ora? E in verità se il tuo pregare non avesse interceduto per dare loro tempo a convertirsi, la punizione sarebbe già scesa dal Cielo. Come Giuda, per avere una giustificazione al suo iniquo operare, con ogni mezzo cercò di darmi aspetto di peccatore, atto a farlo apparire, lui, un giusto che con strazio agisce contro l'amico per dare onore a Dio, per persuadere gli incerti che Io ero un falso Cristo, e a fortificare gli avversari, a coronare il suo folle sogno, altrettanto altri con te.
È venuta l'ora che ti profetizzai due anni prima d'ora. E sufficiente che tu rilegga quelle mie parole per sapere dove sono giunti, senza che Io continui il parallelo che angoscia te e nausea Me.
Altra arma di chi non è giusto e non ha l'ardire di subire le conseguenze delle sue ingiustizie: allora con lacrime e speciosi richiami agli affetti cerca far tacere o fermare parola e atti di chi giustamente compie la sua missione, che agli imperfetti non piace.
Il tranello degli affetti! Mi si tentava a non essere il Cristo agitandomi le ansie di mia Madre e il mio dovere di esserle figlio secondo la carne. È nota la mia risposta [10]: "Mia madre ed i miei fratelli sono quelli che fanno la Volontà di Dio". Più della Madre m'era questa Volontà. Per tutti i veri figli di Dio più d'ogni altra cosa deve essere questa Volontà, sia essa dolce o amara come il calice del Getsemani e la spugna col fiele della Croce.
Anche tu, vorrebbero farti tacere o recedere dalla via che hai presa invocando l'amore avuto e le fatiche compiute [11] per te e per l'opera. No. Non è amore, né sono fatiche compiute per amor tuo. L'amore è rispetto e condiscendenza, è desiderio di non dare danno o dolore a chi si ama. Tu li ami, tu che, benché appassionata in mille modi dai loro atti, li vuoi salvare, far che non soffrano, e come ti fossero figli li difendi… Oh! povera che ancora non hai conosciuto l'abisso del loro cuore! Dicono di amarti, dicono di ricordarti il loro amore, ma ad esso fanno appello per paralizzarti azioni e parole che potrebbero essere causa di loro punizione e bavaglio e catena che strozza le loro parole e impedisce loro nuove azioni.
Non impressionarti di nulla, e nulla ti pieghi su compromessi di cui poi non ti sentiresti felice. Non godere delle loro lacrime più o meno sincere, non delle loro testimonianze d'affetto più o meno sincero, ma ugualmente non ti trattenga quel pianto, o quelle testimonianze, da agire secondo giustizia. Neppure una paura illogica di mancare alla carità ti trattenga, quando ogni pazienza e persuasione saranno esaurite invano.
Ho insegnato [12]: "Se tuo fratello ha peccato contro te, va' e correggilo fra te e lui solo; se ti ascolta hai guadagnato il tuo fratello. Se non ti ascolta prendi teco dei testimoni affinché per bocca di essi si stabilisca ogni cosa. Se non cede e [non] si ravvede, fàllo sapere alla Chiesa; se poi non cede e non ascolta neppur la Chiesa, tienlo in conto di gentile e pubblicano".
Ecco perché ti ho eletto dei testimoni, da anni. Ed ora ti dico: entrino essi in attiva azione, essendo presenti e parlando anche per te, perché coloro che abusano della tua pazienza, educazione e rispetto alla veste sacerdotale, si sentano a disagio con altri che non sono te…
Non è mancanza di carità essere giusti verso i colpevoli, e giusti esercitando la giustizia in ogni azione. Mancai forse di carità verso mia Madre coll'esercitare l'eroica giustizia di fare tutta la Volontà del Padre mio? No, in verità. Anzi, col fare questo, di Lei, Immacolata, ho fatto Lei Corredentrice. L'ho incoronata di questo secondo glorioso serto che altrimenti non avrebbe avuto. Né Lei si rifiutò a cingerlo benché fosse serto di smisurato dolore. Guarda Noi. Io: il Figlio che non rinnega la Madre amatissima ma le antepone la Volontà di Dio perché essa volontà deve avere la precedenza su amori, voleri, diritti umani, anche i più santi. E guarda Lei: la Madre che non trattiene il Figlio dal compiere la Volontà per cui vestì carne. Vestiti il cuore del nostro eroismo e con carità vera agisci.
La pazienza diviene stoltezza e stoltezza la stessa carità, quando non sono unite a giustizia. Io, il Paziente perfetto, quando vedevo toccato il limite oltre il quale pazienza e carità si sarebbero mutate in complicità e ingiustizia, mi separai dai colpevoli dopo parole severe. Non c'è amore, per grande che sia, che possa permettere il delitto dell'amato. Ricordalo. Si agisce. Poi si prega per la redenzione dei colpevoli. Ma si agisce. Sempre. Perché il non farlo vorrebbe dire che si vuole essere complici loro.
E superate ormai le premesse lontane e vicine della nostra passione, conosciuto il volto, specie quello spirituale, dei nostri nemici, prima di immergerci nella vera e propria Passione, sostiamo a contemplare i pochi amici nostri.
Pochi, e di questi pochi, pochissimi fra i sacerdoti e dottori, Io ebbi. Ma quei pochissimi, buoni. Ecco fra i pochissimi Giairo e Giuseppe e Nicodemo, e pochissimi altri fra i quali lo Scriba buono.
E poiché sono giusto, metto fra questi anche il grande Gamaliele, benché possa parere strano ai superficiali. La sua reale giustizia lo fece essere assente alla mia condanna. Un atto grande e grave in quel momento e davanti a quel consesso. Ed Io l'ho ricordato nel mio Cuore angosciato da tanto odio, tradimento, colpa di tutto un popolo, del mio Popolo, da Me ammaestrato, miracolato, amato, dei miei seguaci e, più che seguaci, dei miei eletti, ora dispersi perché il Pastore era preso… Tutti meno pochi a Me contro! Il mio Popolo! La mia Gerusalemme! Io l'ho ricordato il gesto di Gamaliele, del più grande dei rabbi d'Israele, ebreo sino al midollo più interno delle ossa, incrostato alle tradizioni, anzi chiuso nel diaspro inattaccabile della vecchia dottrina, ma un giusto sempre.
Non m'era stato amico e non nemico quando ero libero e forte. Attendeva il segno per credere che Io fossi il Messia. Ma quando mi vide in un'ingiusta veste di malfattore, non credendomi ancora il Cristo, uscì però dal suo riserbo per richiamare alla legalità i giudici ebbri di odio. Se avesse saputo far giusto il suo fermo credere alle luminose parole di un Fanciullo sapiente in una Pasqua lontana, sarebbe stato sul Golgota con Giuseppe e Nicodemo. Ma era troppo legato il suo credere, e quindi di ostacolo a vedere la verità.
Anche tu hai alcuni che, per rigidezza di fede, creano a se stessi degli ostacoli al vedere la verità. E su te e sull'opera. Attendono un segno. Come lo attendeva Gamaliele. Mettili però sempre nella schiera degli amici, anche se non paiono essere tali perché un eccesso di giustizia li fa lenti a riconoscere il vero. E prega che anche a loro un celeste scuotìo di terremoto laceri il velo triplice steso sul santo dei santi del loro spirito giusto e serrato, ed esso veda la verità di quest'opera e di te, mio portavoce, e non inutile sia la nostra fatica di Dettante e di scrivente.
Ed ora ecco gli amici laici, più numerosi benché in apparenza meno santi perché laici, e anche di regioni considerate "anatema" dai "santi" d'Israele.
Lazzaro amico di tutte le ore e in tutte le vicende, e le sorelle sue; e gli abitanti dei paesi della costa, dei monti e del lago, e quelli di Samaria, migliori, nella più parte dei casi, degli stessi miei concittadini; quelli di Efraim ospitali al Perseguitato, nel quale credettero senza esigere un segno per credere.
Anche tu fra i laici hai trovato chi seppe credere senza esigere un segno, quel segno che chiedono, senza malanimo ma per eccesso di prudenza, altri non laici. Ma a questi, se sanno vedere, il segno lo hai dato. Sia a quelli, fra questi, che sono giusti, come a quelli, fra questi, che tanto male ti fanno perché giusti non sono.
Il segno è questo: il tuo ossequio alla Chiesa, che è prova certa che Io ti sono Maestro; ché se uno spirito d'inganno t'avesse istruita, diverse sarebbero state le tue azioni di ora, perché, in verità, le Tenebre non possono insegnare rispetto alla Luce, e il demonio non sarebbe più tale se istruisse le anime al Bene.
E questo ancora: l'avverarsi di mie lontane parole, a te persino incomprensibili tanto ti parevano impossibili le cose dette. Ma erano verità, amaramente lo constati. Solo Dio predice la verità. Satana sempre la menzogna. Egli inganna per rovinare. Dio non inganna ma istruisce i suoi diletti perché siano preparati a sostenere l'amarezza della delusione e a sapersi regolare.
E questo ancora: il tuo saper conciliare carità e giustizia, non odiando, anzi perdonando, ma non cedendo anche sotto il peso di insulti e accuse, e nel turbine di astuzie che ti raggiungono e circuiscono da ogni parte.
E questo ancora: il tuo aver saputo resistere ad ogni tentazione…
Oh! la triplice tentazione [13] nuovamente presentata, e non da Satana questa volta, ma dagli uomini, da quelli che vorrebbero dirti satana, ma servi suoi sono perché tentano te, perché sono ribelli, perché avidi, superbi, menzogneri. La triplice tentazione ripresentata verso la fine come all'inizio, e sempre per farti decadere dall'amore di Dio e dal giudizio degli uomini. E tanto folli li fa la legge che li domina, e che non è legge di uomo spirituale, che non riflettono che il tuo decadere sarebbe "fine" di ogni loro sogno di guadagno, di onore, di presunzione, sogno che avrebbero voluto in te realtà per giungere essi alla realtà del loro sogno. Guadagno-gloria-presunzione di piegare Dio e la Chiesa ai loro voleri, pari al pane offerto alla mia forte fame, dopo il digiuno, pari ai reami offertimi dal seduttore eterno, pari al pensare che il Padre dovesse salvare il Figlio imprudente che per presunzione si fosse gettato dal pinnacolo più alto del Tempio.
Mai, Maria, mai, mai, mai presumere. Dio è Padre provvido. Ma non seconda le stoltezze e le presunzioni. Dio ti ama, tanto. Ma questo non deve indurti a presumere di poter tutto osare. Dio ti aiuta e ti aiuterà, sempre, ma se tu gli resti figlia e suddita amorosamente fedele.
Se domani tu alzassi la fronte contro al tuo Dio, tratta all'orgoglio dal sentirti tanto amata, ti accadrebbe come a Lucifero, ad Adamo, a Giuda, e, avendo dietro la fulminata fronte pensieri privi di grazia, te ne andresti per vie non più luminose di carità, verità, giustizia, ma per sentieri oscuri, colmi di voci e di lezzi di carne e sangue, e di voci e di lezzi di Satana, l'insidiatore perpetuo dell'uomo, che, se non si vigila assiduamente, diviene sua preda, poscia un morto alla grazia, un certo abitante del regno non del Cielo.
E con questa rinnovata triplice tentazione tu hai avuto, ed hai, la tua più dolorosa ora di Getsemani; e, se non le tue membra, il tuo cuore ha sudato sangue. Perché il Getsemani è questo: la lotta che l'io sostiene fra la volontà proposta da Dio e quella che Satana, o gli uomini, o la parte inferiore dello stesso io [propongono], i quali tre ultimi spingono l'uomo a preferire l'amor carnale e ad esser solleciti del godere e del dare godimento al proprio essere, in luogo di preferire le cose che dànno godimento soprannaturale e imperituro, il qual godimento soprannaturale ed eterno non col secondamento dell'io carnale né col consentimento alle voci del mondo e di satana si conquista, ma con una vita di sacrificio e di virtù, ché virtù e sacrificio sono sempre congiunti e sempre sono là dove è ubbidienza alla Volontà di Dio. Qualunque essa sia.
Questa lotta, fra la Volontà divina e le volontà del basso, ci torchiano come grappoli nel torchio, ci frangono come ulive nel frantoio, ci stritolano come grano preso fra le pietre della mola. Ma come l'uva si perpetua divenendo vino, e così l'uliva divenendo olio, e utile diviene il grano se divien farina, mentre preda delle muffe o dei tarli perirebbero, senza aver servito, l'uliva, l'uva e il grano, altrettanto dal sacrificio e per il sacrificio l'uomo diviene cittadino del Regno eterno dopo essere stato utile, col suo esempio eroico, ai fratelli.
È dolorosa l'immolazione continua per un fine soprannaturale. Lo so. L'ho conosciuta, ed in una misura che solo Io ho consumata, prima di te. E a farcela più dolorosa contribuisce l'inerzia opaca degli uomini che, in luogo di sostenerci con la loro amicizia nelle ore di lotta più fiera, o dormono, o ci abbandonano, o – pena nella pena, tortura nella tortura – o ci tradiscono dopo essersi sfamati di noi, delle nostre preghiere, delle nostre parole, del nostro amore, e in risposta alle nostre carità ci dànno l'ingrato morso del serpente che si vendica di chi lo ha raccolto e scaldato sul cuore, impedendogli di nuocere, sì, ma anche di morire. Morire nello spirito, nel caso nostro…
Oh! che l'amore più grande, quando vien dato, pensando al precetto santissimo dell'amore duplice, a chi non è aperto all'amore, si muta in astio che ferisce il donatore. Oh! che la fedeltà a Dio ci fa infedeli agli amici sino a farne nostri carnefici. Ma sopporta. Tutto serve a far più ornata la veste nuziale. Tutto: le tentazioni subite e non ascoltate, le calunnie patite, i tradimenti atroci, le vendette dei delusi. Tutto.
Oh! Maria, mia violetta che volevano strappare dalla mia terra per gettarti su un sentiero sul quale non passa il tuo Gesù, e che, per vendicarsi del tuo esserti così strettamente radicata alla mia Pietra (la Chiesa), hanno coperta degli sputi delle loro calunnie e premuta sotto i loro piedi storpi, sperando che dopo tu non avresti più potuto fiorire, violetta mia, guarda a che è giovato il loro atto. A farti più bella e più ricca di fiori.
La tua pianta s'è nutrita di questa sofferenza e fedeltà, il tuo pianto ne ha imperlato gli steli, il sangue del tuo cuore ferito da tanto tradimento ne ha nutrito le radici, il calore della tua carità per amici e nemici, per il mio mistico Corpo e per il tuo Dio, ne ha fatto aprire i bocci. Sei tutta fiorita, e sei nella pace delle creature che hanno seguito la via della giustizia, venendo perciò perseguitate. E in questa tua gioiosa pace ti tendi verso il Regno che è già tuo e dal quale il tuo Sole ti bacia della sua Carità.
Ma torniamo agli amici laici che non chiedono segno per crederti, come a Me non lo chiesero, ai veri amici fra i laici. Fra costoro, che non sono Tempio e Gerusalemme, ma i giusti sparsi per ogni dove, o gli ansiosi di giustizia — ed Io li trovai in verità più numerosi in Samaria e in Siro-Fenicia, o presso i romani, che non fra i giudei — tu trovi quello che Io trovai: rispetto, sincerità nell'amore, o nel non amore che però non si fa odio, desiderio di nutrirsi della Parola per averne luce e convertirsi al Signore, agnelli smarriti che tornano al Pastore, lupi che si fanno agnelli, ciechi che rivedono la Luce perduta, lampade spente che più forte fiammeggiano illuminando. Questi gli amici laici, per tuo conforto.
Il tuo pensiero pensa: "E perché allora non affidarmi a loro? Perché farmi conoscere queste ultime dolorose esperienze?".
Ascolta: delle anime mi sfidarono più di una volta dicendo in cuor loro: "Dio vuole questo e minaccia cose penose se non si fa ciò che Egli ci chiede? Ebbene, io faccio ciò che più mi piace. Non credo e non cedo", e schernirono Dio.
Altre anime dissero: "Da questo fatto straordinario, venuto in mia mano, a me verrà lustro", e insuperbirono.
Altre ancora, che Io, con questo mezzo, ho cercato di guarire dal loro razionalismo che sterilisce nel loro spirito le virtù infuse ed i doni paracliti e la grazia di stato, tanto grande, fecero di ogni mia luce oggetto di analisi, scrutarono non alla luce delle fiamme della carità, ma con lo smorto e freddo raggio della loro scienza umana; e del loro razionalismo, della loro scienza, fecero baluardo alla mia Sapienza che voleva entrare in loro a rivivificarli, e del mezzo salutare fecero un male… Ma non potranno rimproverarmi di non aver tutto compiuto per il loro bene…
Come feci con Giuda (e altri ancora a Me infedeli) per tre anni meno pochi mesi Io ho cercato di ricondurli alla giustizia e soprattutto alla carità, allo scopo di perdonarli delle loro antiche e ripetute presunzioni i primi, delle loro stolte superbie i secondi, delle loro ribellioni i terzi, perché è ribellione ancor più grave questa di non voler accettare i consigli del Verbo perché, analizzandoli con la lente opaca del loro razionalismo, li hanno trovati stolti e da non tenersi in conto, così come poi hanno giudicato altri consigli e ordini ai quali dovevano piegare per non dare scandalo ai piccoli del gregge. Tanta ribellione li trasse a mancare gravemente in quattro su dieci comandamenti di Dio, a mancare verso la Chiesa e la Regola, a mancare verso la duplice carità: quella verso Me, chiamato "Satana che ti istiga", e verso te chiamata "insatanassata"; Io perché denuncio le loro male azioni, tu perché non pieghi alle loro voglie.
Sapevo che la mia misericordia non avrebbe dato frutto. Il terreno loro era ingombro di troppe cose perché la mia bontà potesse attecchirvi santificandoli. Ma come ebbi pietà, sino all'estremo, per Giuda, così la ebbi di loro perché non dicessero: "Se Dio ci avesse aiutato…". Inutile l'aiuto di Dio se l'uomo non lo accoglie. E questo mio aiuto, a loro, a che è valso? A nulla, perché non fu accolto. Anzi, la loro anima, in luogo di uscire da se stessa per unirsi e trasformarsi in Me che così potentemente li aiutavo, si è sempre più chiusa e inabissata, separata da Me. Sempre più uomini e sempre meno cristi sono divenuti, più la mia paziente bontà si manifestava loro.
Potevo impedirlo? Io lascio l'uomo libero di agire, pronto ad aiutarlo se volge al bene. E ho lasciato essi pure liberi di agire. E per impedire che le loro accuse e quelle di tutto l'Ordine verso te — volubile, insincera, demente, sfruttatrice, impulsiva e altro ancora — abbiano parvenza di verità, ho giudicato cosa necessaria lasciarli scendere sino in fondo. In tal modo s'è separato l'oro dall'orpello, e la verità su te e su loro si fa netta. E nessuno, che giusto sia, potrà credere che tu abbia tradito loro e l'Ordine perché malata di mente, di morale, di spirito, come viene detto; ma si dirà, dai giusti, che hai dovuto agire per difendere Dio, la Chiesa e la tua anima, e l'opera con essa, ora che la loro discesa in un abisso, che sarebbe illecito a chicchessia per le azioni che da esso si compiono, ha dato la misura della loromorale.
In verità la bassezza alla quale sono pervenuti supera la bassezza umana, è già fusa a bassezza extraumana, perché se ciò che essi hanno fatto è disonorevole per ogni uomo, in verità, compiuto da essi, più che disonorevole, diviene sacrilego, e per l'autore e per la materia.
E che avevo detto il 21 di novembre (1948)? "Sarà tolto sacca e bordone. Lasceremo Gerusalemme per Efraim". Era chiaro avviso, e avrebbero dovuto capire se si fossero esaminati umilmente. Ma, ad udito mosso solo da umanità, quelle parole ammonitrici ebbero valore di spinta ad accelerare le loro azioni non buone. E come compresero le altre per dopo una inderogabile sentenza della Chiesa? Come utile appiglio a portare a compimento il loro disegno, che rivela come non compresero mai la vera natura dell'opera. E tanto li fece folli questa bramosia di fare che, per convincerti al loro disegno, senza pietà per la ferita che ti davano, giurarono essere condanna per te e l'opera ciò che tale non è per te e l'opera.
Tu, disorientata dal mio e dal loro parlare, guardasti al tuo Maestro e ne accogliesti la Parola benché incomprensibile ancora al tuo spirito tramortito di dolore e stupore. Quasi cieca la tua mente per il dolore e per le loro sottili parole; ma, per lo spirito che carità mantiene veggente e fidente, non errasti nel seguire l'Amico vero, che ora sai dove ti conduceva: alla conoscenza più amara, alla prova più forte, ma necessarie ambedue.
Quasi cieca te, al punto da vedere soltanto il bagliore intenso del Vero, senza poterlo decifrare, ma sufficiente però a mantenerti nella giusta via durante la temporanea cecità. Essi, i volutamente ciechi, ciechi totali al punto da aver cieco anche il pensiero sino a dire buono ciò che è non buono e da ricusare, come nemiche, la mia e la tua carità che volevano riportarli alla Luce. Le mie e le tue parole, eco alle mie, il tuo sempre più sostenuto resistere, le parole d'altri, tutto quanto doveva essere luce e ordine fra la loro tenebra e il loro caos, si fece scaglia spessa che aumentò la tenebra, e disordine aggiunto al caos sino a portarli alle ultime azioni disordinatissime contro la legge divina e umana, contro l'amore soprannaturale e anche umano.
È la sorte che avviene per tutti coloro che hanno lasciato le vie del Signore. Sono giunti alla simonia di Simon Mago [14], e ambedue meritano le risposte di Pietro. Ma essi non sanno dire, con sincerità di pensiero, la risposta di Simon Mago a Pietro, anzi si dicono autor di miracoli.
Un solo miracolo ha fatto Dio, per loro. Quello di aver tratto la loro ben celata putredine fuor dal sepolcro imbiancato in cui s'era chiusa per dare morte a te e all'opera, averla tratta fuori, mettendo a nudo le nascoste e venefiche piaghe perché fossero note, e più nessuno, te meno d'ogni altro, cadesse in errore o rimanesse in errore su loro. Sono dei "morti" che non vogliono essere risorti. Sono morti che cercano, dalla loro morte, di sprigionare ancora maleficio. Per questo Io veglio sulla soglia del loro sepolcro, per impedire che vengano oltre a nuocere a te.
Comprendi, ora, perché da tanto Io veglio sulla soglia di quell'oscura entrata ad un sepolcro, che non è ancor sigillato, perché Io-Vita e Misericordia lascio ancora che ne resti aperta la porta perché vengano alla Vita e chiedano la mia Misericordia…? Comprendi [15] ora perché Io veglio là, già nei pressi del Moria e in quella penombra di crepuscolo che tu temi sia "notte che scende" mentre Io ti ricordo che è penombra crepuscolare anche l'ora che precede la purissima alba che sorge?
Ogni figurazione soprannaturale ha valore di parola. E il mio correrti incontro perché tu, a tradimento, non fossi attratta in quel sepolcro; e la mia candida veste perché anche in quel crepuscolo tu mi vedessi bene, sempre, come un faro, il tuo faro durante la tempesta; e il mio vegliare sulle soglie del trabocchetto a te teso, trabocchetto che non era in Samaria e neppure fra i laici di Gerusalemme (i buoni cristiani) ma nei pressi del Moria, la montagna del Tempio (leggi: fra il clero che è già tempio, ma non del grande Tempio: le supreme Gerarchie della Chiesa). Anche lì non tutti perfetti. Solo Dio è perfettissimo. Ma nessuno di essi è ancora pervenuto verso te alle azioni di cui sono colpevoli quelli che sono causa del mio e tuo dolore attuale.
E li avevo avvertiti che questa era l'ultima prova! Lo dissi che poi avrei provveduto, perché permettere altre imprudenze sarebbe stato imprudenza da parte di Dio verso la tua anima, ossia impossibile azione divina perché Dio non è mai imprudente.
Ecco, ora conosci tutto: amici e nemici dei tempi antecedenti la grande Passione.
Entriamo nella vera, grande Passione. Quella che viene dopo il sudore sanguigno del Getsemani. E viene perché, anche dopo aver avuto l'intuizione di quello che ci costerà l'essere fedeli alla volontà di Dio, all'amore, alla giustizia, si resta fedeli.
Ecco la venuta di Giuda, che chiama "amico" la sua vittima. Per te non un Giuda, ma più Giuda, perché riuscisse perfetto il tradimento, astuta e completa l'azione, composta di mente organizzante, di mano che prepara, di veste che presenta, certa di non destare sospetto di tranello perché quella veste dovrebbe sempre essere pura da infamie. Dovrebbe…
Piango, Maria. Io piango. Perché tutto sopporto dei peccati degli uomini, ancora e sempre deboli di fronte al fortissimo Serpente. Ma le colpe del Sacerdozio mi straziano. Sono il fango gettato sul Capo della mistica Sposa mia. Quindi ancora sul mio capo. Perché Io sono il Capo di Essa. E se il fango non dovrebbe essere sulla veste della Sposa mia, meno ancora dovrebbe essere sulla corona dello Sposo. Ma proprio le colpe del Sacerdozio sono le manate di fango, i ceffoni, gli sputi che vengono dati al Pontefice eterno, a Colui che voca al suo servizio santo tanti che poi volgono indietro il capo, alzano contro Me il loro calcagno, tradiscono la loro missione e il loro Signore: i Giuda dei secoli.
Sì, le colpe del Sacerdozio, causa di infinite colpe dei laici e d'infinite rovine d'anime, tarli che intaccano pericolosamente tante cose sante, e specie le tre più sante — la Chiesa, la religione, la carità — mi straziano il Cuore. Perché il Sacerdozio ha continui speciali aiuti, oltre alla grazia di stato, per essere santo, ed esso molte volte non li apprezza e fa fruttare; e altre volte si serve, per danneggiare, della sua veste; alcune, infine, calpesta doni e doveri sacerdotali sino al delitto. È delitto ogni azione immorale verso la Chiesa, la religione, le anime. E le colpe della volontà cattiva, della mente ribelle, sono ancora più gravi delle improvvise, forse uniche, colpe della carne…
Oh! consolami, ché sei Maria, ed è missione delle Marie il consolarmi delle colpe dei prediletti e degli eletti al servizio di Dio e che non m'amano, no, con tutte le loro forze, con il cuore, l'anima e la mente, come è dovere per tutti coloro che credono nel vero Dio e specie di quelli ai quali più ho dato facendoli miei ministri, ma se stessi amano, e il denaro, e gli onori. Come Giuda! Come Giuda! I perpetuatori di Giuda.
Ecco il Cristo preso, legato, abbandonato dagli amici, insultato, malmenato dai nemici, che viene trascinato davanti ai giudici. No. Non ai giudici: ai carnefici. Perché giudice è colui che serenamente conduce un processo, ascolta l'accusato, interroga i testimoni delle due parti, e infine dà giusta sentenza. Che, nel mio caso, doveva essere assolutoria, essendo Io incolpevole delle colpe che mi addebitavano. Ma quei giudici avevano già precedentemente deciso la mia morte. Quindi non erano giudici, ma carnefici.
Anche a te così, piccolo cristo. Ti legarono alcuni. Ti abbandonarono altri. Ti insultarono altri ancora. Con falsa veste ti presentarono ai giudici. Là testimoniarono falsamente contro di te. Ti coprirono il volto perché tu non vedessi la Luce e le loro serpentine facce. Ti schiaffeg