Liturgia delle Ore - Letture
Lunedi della 32° settimana del tempo ordinario
Vangelo secondo Marco 14
1Mancavano intanto due giorni alla Pasqua e agli Azzimi e i sommi sacerdoti e gli scribi cercavano il modo di impadronirsi di lui con inganno, per ucciderlo.2Dicevano infatti: "Non durante la festa, perché non succeda un tumulto di popolo".
3Gesù si trovava a Betània nella casa di Simone il lebbroso. Mentre stava a mensa, giunse una donna con un vasetto di alabastro, pieno di olio profumato di nardo genuino di gran valore; ruppe il vasetto di alabastro e versò l'unguento sul suo capo.4Ci furono alcuni che si sdegnarono fra di loro: "Perché tutto questo spreco di olio profumato?5Si poteva benissimo vendere quest'olio a più di trecento denari e darli ai poveri!". Ed erano infuriati contro di lei.
6Allora Gesù disse: "Lasciatela stare; perché le date fastidio? Ella ha compiuto verso di me un'opera buona;7i poveri infatti li avete sempre con voi e potete beneficarli quando volete, me invece non mi avete sempre.8Essa ha fatto ciò ch'era in suo potere, ungendo in anticipo il mio corpo per la sepoltura.9In verità vi dico che dovunque, in tutto il mondo, sarà annunziato il vangelo, si racconterà pure in suo ricordo ciò che ella ha fatto".
10Allora Giuda Iscariota, uno dei Dodici, si recò dai sommi sacerdoti, per consegnare loro Gesù.11Quelli all'udirlo si rallegrarono e promisero di dargli denaro. Ed egli cercava l'occasione opportuna per consegnarlo.
12Il primo giorno degli Azzimi, quando si immolava la Pasqua, i suoi discepoli gli dissero: "Dove vuoi che andiamo a preparare perché tu possa mangiare la Pasqua?".13Allora mandò due dei suoi discepoli dicendo loro: "Andate in città e vi verrà incontro un uomo con una brocca d'acqua; seguitelo14e là dove entrerà dite al padrone di casa: Il Maestro dice: Dov'è la mia stanza, perché io vi possa mangiare la Pasqua con i miei discepoli?15Egli vi mostrerà al piano superiore una grande sala con i tappeti, già pronta; là preparate per noi".16I discepoli andarono e, entrati in città, trovarono come aveva detto loro e prepararono per la Pasqua.
17Venuta la sera, egli giunse con i Dodici.18Ora, mentre erano a mensa e mangiavano, Gesù disse: "In verità vi dico, uno di voi, 'colui che mangia con me', mi tradirà".19Allora cominciarono a rattristarsi e a dirgli uno dopo l'altro: "Sono forse io?".20Ed egli disse loro: "Uno dei Dodici, colui che intinge con me nel piatto.21Il Figlio dell'uomo se ne va, come sta scritto di lui, ma guai a quell'uomo dal quale il Figlio dell'uomo è tradito! Bene per quell'uomo se non fosse mai nato!".
22Mentre mangiavano prese il pane e, pronunziata la benedizione, lo spezzò e lo diede loro, dicendo: "Prendete, questo è il mio corpo".23Poi prese il calice e rese grazie, lo diede loro e ne bevvero tutti.24E disse: "Questo è il mio sangue, il sangue dell'alleanza versato per molti.25In verità vi dico che io non berrò più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo nel regno di Dio".
26E dopo aver cantato l'inno, uscirono verso il monte degli Ulivi.27Gesù disse loro: "Tutti rimarrete scandalizzati, poiché sta scritto:
'Percuoterò il pastore e le pecore saranno disperse'.
28Ma, dopo la mia risurrezione, vi precederò in Galilea".29Allora Pietro gli disse: "Anche se tutti saranno scandalizzati, io non lo sarò".30Gesù gli disse: "In verità ti dico: proprio tu oggi, in questa stessa notte, prima che il gallo canti due volte, mi rinnegherai tre volte".31Ma egli, con grande insistenza, diceva: "Se anche dovessi morire con te, non ti rinnegherò". Lo stesso dicevano anche tutti gli altri.
32Giunsero intanto a un podere chiamato Getsèmani, ed egli disse ai suoi discepoli: "Sedetevi qui, mentre io prego".33Prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e cominciò a sentire paura e angoscia.34Gesù disse loro: "La mia anima è triste fino alla morte. Restate qui e vegliate".35Poi, andato un po' innanzi, si gettò a terra e pregava che, se fosse possibile, passasse da lui quell'ora.36E diceva: "Abbà, Padre! Tutto è possibile a te, allontana da me questo calice! Però non ciò che io voglio, ma ciò che vuoi tu".37Tornato indietro, li trovò addormentati e disse a Pietro: "Simone, dormi? Non sei riuscito a vegliare un'ora sola?38Vegliate e pregate per non entrare in tentazione; lo spirito è pronto, ma la carne è debole".39Allontanatosi di nuovo, pregava dicendo le medesime parole.40Ritornato li trovò addormentati, perché i loro occhi si erano appesantiti, e non sapevano che cosa rispondergli.
41Venne la terza volta e disse loro: "Dormite ormai e riposatevi! Basta, è venuta l'ora: ecco, il Figlio dell'uomo viene consegnato nelle mani dei peccatori.42Alzatevi, andiamo! Ecco, colui che mi tradisce è vicino".
43E subito, mentre ancora parlava, arrivò Giuda, uno dei Dodici, e con lui una folla con spade e bastoni mandata dai sommi sacerdoti, dagli scribi e dagli anziani.44Chi lo tradiva aveva dato loro questo segno: "Quello che bacerò, è lui; arrestatelo e conducetelo via sotto buona scorta".45Allora gli si accostò dicendo: "Rabbì" e lo baciò.46Essi gli misero addosso le mani e lo arrestarono.47Uno dei presenti, estratta la spada, colpì il servo del sommo sacerdote e gli recise l'orecchio.48Allora Gesù disse loro: "Come contro un brigante, con spade e bastoni siete venuti a prendermi.49Ogni giorno ero in mezzo a voi a insegnare nel tempio, e non mi avete arrestato. Si adempiano dunque le Scritture!".
50Tutti allora, abbandonandolo, fuggirono.51Un giovanetto però lo seguiva, rivestito soltanto di un lenzuolo, e lo fermarono.52Ma egli, lasciato il lenzuolo, fuggì via nudo.
53Allora condussero Gesù dal sommo sacerdote, e là si riunirono tutti i capi dei sacerdoti, gli anziani e gli scribi.54Pietro lo aveva seguito da lontano, fin dentro il cortile del sommo sacerdote; e se ne stava seduto tra i servi, scaldandosi al fuoco.55Intanto i capi dei sacerdoti e tutto il sinedrio cercavano una testimonianza contro Gesù per metterlo a morte, ma non la trovavano.56Molti infatti attestavano il falso contro di lui e così le loro testimonianze non erano concordi.57Ma alcuni si alzarono per testimoniare il falso contro di lui, dicendo:58"Noi lo abbiamo udito mentre diceva: Io distruggerò questo tempio fatto da mani d'uomo e in tre giorni ne edificherò un altro non fatto da mani d'uomo".59Ma nemmeno su questo punto la loro testimonianza era concorde.60Allora il sommo sacerdote, levatosi in mezzo all'assemblea, interrogò Gesù dicendo: "Non rispondi nulla? Che cosa testimoniano costoro contro di te?".61Ma egli taceva e non rispondeva nulla. Di nuovo il sommo sacerdote lo interrogò dicendogli: "Sei tu il Cristo, il Figlio di Dio benedetto?".62Gesù rispose: "Io lo sono!
E vedrete 'il Figlio dell'uomo
seduto alla destra della Potenza
e venire con le nubi del cielo'".
63Allora il sommo sacerdote, stracciandosi le vesti, disse: "Che bisogno abbiamo ancora di testimoni?64Avete udito la bestemmia; che ve ne pare?". Tutti sentenziarono che era reo di morte.
65Allora alcuni cominciarono a sputargli addosso, a coprirgli il volto, a schiaffeggiarlo e a dirgli: "Indovina". I servi intanto lo percuotevano.
66Mentre Pietro era giù nel cortile, venne una serva del sommo sacerdote67e, vedendo Pietro che stava a scaldarsi, lo fissò e gli disse: "Anche tu eri con il Nazareno, con Gesù".68Ma egli negò: "Non so e non capisco quello che vuoi dire". Uscì quindi fuori del cortile e il gallo cantò.69E la serva, vedendolo, ricominciò a dire ai presenti: "Costui è di quelli".70Ma egli negò di nuovo. Dopo un poco i presenti dissero di nuovo a Pietro: "Tu sei certo di quelli, perché sei Galileo".71Ma egli cominciò a imprecare e a giurare: "Non conosco quell'uomo che voi dite".72Per la seconda volta un gallo cantò. Allora Pietro si ricordò di quella parola che Gesù gli aveva detto: "Prima che il gallo canti due volte, mi rinnegherai per tre volte". E scoppiò in pianto.
Secondo libro di Samuele 19
1Allora il re fu scosso da un tremito, salì al piano di sopra della porta e pianse; diceva in lacrime: "Figlio mio! Assalonne figlio mio, figlio mio Assalonne! Fossi morto io invece di te, Assalonne, figlio mio, figlio mio!".2Fu riferito a Ioab: "Ecco il re piange e fa lutto per Assalonne".3La vittoria in quel giorno si cambiò in lutto per tutto il popolo, perché il popolo sentì dire in quel giorno: "Il re è molto afflitto a causa del figlio".4Il popolo in quel giorno rientrò in città furtivamente, come avrebbe fatto gente vergognosa per essere fuggita in battaglia.5Il re si era coperta la faccia e gridava a gran voce: "Figlio mio Assalonne, Assalonne figlio mio, figlio mio!".6Allora Ioab entrò in casa del re e disse: "Tu copri oggi di rossore il volto di tutta la tua gente, che in questo giorno ha salvato la vita a te, ai tuoi figli e alle tue figlie, alle tue mogli e alle tue concubine,7perché mostri di amare quelli che ti odiano e di odiare quelli che ti amano. Infatti oggi tu mostri chiaramente che capi e ministri per te non contano nulla; ora io ho capito che, se Assalonne fosse vivo e noi fossimo quest'oggi tutti morti, allora sarebbe una cosa giusta ai tuoi occhi.8Ora dunque alzati, esci e parla al cuore della tua gente; perché io giuro per il Signore che, se non esci, neppure un uomo resterà con te questa notte; questa sarebbe per te la peggiore sventura di tutte quelle che ti sono cadute addosso dalla tua giovinezza fino ad oggi".9Allora il re si alzò e si sedette sulla porta; fu dato quest'annunzio a tutto il popolo: "Ecco il re sta seduto alla porta". E tutto il popolo venne alla presenza del re.
Gli Israeliti erano fuggiti ognuno alla sua tenda.10In tutte le tribù d'Israele tutto il popolo stava discutendo e diceva: "Il re ci ha liberati dalle mani dei nostri nemici e ci ha salvati dalle mani dei Filistei; ora è dovuto fuggire dal paese a causa di Assalonne.11Ma quanto ad Assalonne, che noi avevamo consacrato perché regnasse su di noi, è morto in battaglia. Ora perché non cercate di far tornare il re?".12Ciò che si diceva in tutto Israele era giunto a conoscenza del re. Il re Davide mandò a dire ai sacerdoti Zadòk ed Ebiatàr: "Riferite agli anziani di Giuda: Perché volete essere gli ultimi a far tornare il re alla sua casa?13Voi siete mio osso e mia carne e perché dunque sareste gli ultimi a far tornare il re?14Dite ad Amasà: Non sei forse mio osso e mia carne? Dio mi faccia questo e mi aggiunga quest'altro, se tu non diventerai davanti a me capo dell'esercito per sempre al posto di Ioab!".15Così piegò il cuore di tutti gli uomini di Giuda, come se fosse stato il cuore di un sol uomo; essi mandarono a dire al re: "Ritorna tu e tutti i tuoi ministri".
16Il re dunque tornò e giunse al Giordano; quelli di Giuda vennero a Gàlgala per andare incontro al re e per fargli passare il Giordano.
17Simeì, figlio di Ghera, Beniaminita, che era di Bacurìm, si affrettò a scendere con gli uomini di Giuda incontro al re Davide.18Aveva con sé mille uomini di Beniamino. Zibà, il servo della casa di Saul, i suoi quindici figli con lui e i suoi venti servi si erano precipitati al Giordano prima del re19e avevano servito per far passare la famiglia del re e per fare quanto a lui sarebbe piaciuto. Intanto Simeì, figlio di Ghera, si gettò ai piedi del re nel momento in cui passava il Giordano20e disse al re: "Il mio signore non tenga conto della mia colpa! Non ricordarti di quanto il tuo servo ha commesso quando il re mio signore è uscito da Gerusalemme; il re non lo conservi nella sua mente!21Perché il tuo servo riconosce di aver peccato ed ecco, oggi, primo di tutta la casa di Giuseppe, sono sceso incontro al re mio signore".22Ma Abisài figlio di Zeruià, disse: "Non dovrà forse essere messo a morte Simeì perché ha maledetto il consacrato del Signore?".23Davide disse: "Che ho io in comune con voi, o figli di Zeruià, che vi mostriate oggi miei avversari? Si può mettere a morte oggi qualcuno in Israele? Non so dunque che oggi divento re di Israele?".24Il re disse a Simeì: "Tu non morirai!". E il re glielo giurò.
25Anche Merib-Bàal nipote di Saul scese incontro al re. Non si era curato i piedi e le mani, né la barba intorno alle labbra e non aveva lavato le vesti dal giorno in cui il re era partito a quello in cui tornava in pace.26Quando giunse da Gerusalemme incontro al re, il re gli disse: "Perché non sei venuto con me, Merib-Bàal?".27Egli rispose: "Re, mio signore, il mio servo mi ha ingannato! Il tuo servo aveva detto: Io mi farò sellare l'asino, monterò e andrò con il re, perché il tuo servo è zoppo.28Ma egli ha calunniato il tuo servo presso il re mio signore. Però il re mio signore è come un angelo di Dio; fa' dunque ciò che sembrerà bene ai tuoi occhi.29Perché tutti quelli della casa di mio padre non avevano meritato dal re mio signore altro che la morte; ma tu avevi posto il tuo servo fra quelli che mangiano alla tua tavola. E che diritto avrei ancora di implorare presso il re?".30Il re gli disse: "Non occorre che tu aggiunga altre parole. Ho deciso: tu e Zibà vi dividerete i campi".31Merib-Bàal rispose al re: "Se li prenda pure tutti lui, dato che ormai il re mio signore è tornato in pace a casa!".
32Barzillài il Galaadita era sceso da Roghelìm e aveva passato il Giordano con il re, per congedarsi da lui presso il Giordano.33Barzillài era molto vecchio: aveva ottant'anni. Aveva fornito i viveri al re mentre questi si trovava a Macanàim, perché era un uomo molto facoltoso.34Il re disse a Barzillài: "Vieni con me; io provvederò al tuo sostentamento presso di me, a Gerusalemme".35Ma Barzillài rispose al re: "Quanti sono gli anni che mi restano da vivere, perché io salga con il re a Gerusalemme?36Io ho ora ottant'anni; posso forse ancora distinguere ciò che è buono da ciò che è cattivo? Può il tuo servo gustare ancora ciò che mangia e ciò che beve? Posso udire ancora la voce dei cantori e delle cantanti? E perché allora il tuo servo dovrebbe essere di peso al re mio signore?37Solo per poco tempo il tuo servo verrà con il re oltre il Giordano; perché il re dovrebbe darmi una tale ricompensa?38Lascia che il tuo servo torni indietro e che io possa morire nella mia città presso la tomba di mio padre e di mia madre. Ecco qui mio figlio, il tuo servo Chimàm; venga lui con il re mio signore; fa' per lui quello che ti piacerà".39Il re rispose: "Venga dunque con me Chimàm e io farò per lui quello che a te piacerà; farò per te quello che desidererai da me".40Poi tutto il popolo passò il Giordano; il re l'aveva già passato. Allora il re baciò Barzillài e lo benedisse; quegli tornò a casa.
41Così il re passò verso Gàlgala e Chimàm era venuto con lui. Tutta la gente di Giuda e anche metà della gente d'Israele aveva fatto passare il re.
42Allora tutti gli Israeliti vennero dal re e gli dissero: "Perché i nostri fratelli, gli uomini di Giuda, ti hanno portato via di nascosto e hanno fatto passare il Giordano al re, alla sua famiglia e a tutta la gente di Davide?".43Tutti gli uomini di Giuda risposero agli Israeliti: "Il re è un nostro parente stretto; perché vi adirate per questo? Abbiamo forse mangiato a spese del re o ci fu portata qualche porzione?".44Gli Israeliti replicarono agli uomini di Giuda: "Dieci parti mi spettano sul re; inoltre sono io il primogenito e non tu; perché mi hai disprezzato? Non sono forse stato il primo a proporre di far tornare il re?". Ma il parlare degli uomini di Giuda fu più violento di quello degli Israeliti.
Proverbi 6
1Figlio mio, se hai garantito per il tuo prossimo,
se hai dato la tua mano per un estraneo,
2se ti sei legato con le parole delle tue labbra
e ti sei lasciato prendere dalle parole della tua bocca,
3figlio mio, fa' così per liberartene:
poiché sei caduto nelle mani del tuo prossimo,
va', gèttati ai suoi piedi, importuna il tuo prossimo;
4non concedere sonno ai tuoi occhi
né riposo alle tue palpebre,
5lìberatene come la gazzella dal laccio,
come un uccello dalle mani del cacciatore.
6Va' dalla formica, o pigro,
guarda le sue abitudini e diventa saggio.
7Essa non ha né capo,
né sorvegliante, né padrone,
8eppure d'estate si provvede il vitto,
al tempo della mietitura accumula il cibo.
9Fino a quando, pigro, te ne starai a dormire?
Quando ti scuoterai dal sonno?
10Un po' dormire, un po' sonnecchiare,
un po' incrociare le braccia per riposare
11e intanto giunge a te la miseria, come un vagabondo,
e l'indigenza, come un mendicante.
12Il perverso, uomo iniquo,
va con la bocca distorta,
13ammicca con gli occhi, stropiccia i piedi
e fa cenni con le dita.
14Cova propositi malvagi nel cuore,
in ogni tempo suscita liti.
15Per questo improvvisa verrà la sua rovina,
in un attimo crollerà senza rimedio.
16Sei cose odia il Signore,
anzi sette gli sono in abominio:
17occhi alteri, lingua bugiarda,
mani che versano sangue innocente,
18cuore che trama iniqui progetti,
piedi che corrono rapidi verso il male,
19falso testimone che diffonde menzogne
e chi provoca litigi tra fratelli.
20Figlio mio, osserva il comando di tuo padre,
non disprezzare l'insegnamento di tua madre.
21Fissali sempre nel tuo cuore,
appendili al collo.
22Quando cammini ti guideranno,
quando riposi veglieranno su di te,
quando ti desti ti parleranno;
23poiché il comando è una lampada e l'insegnamento una luce
e un sentiero di vita le correzioni della disciplina,
24per preservarti dalla donna altrui,
dalle lusinghe di una straniera.
25Non desiderare in cuor tuo la sua bellezza;
non lasciarti adescare dai suoi sguardi,
26perché, se la prostituta cerca un pezzo di pane,
la maritata mira a una vita preziosa.
27Si può portare il fuoco sul petto
senza bruciarsi le vesti
28o camminare sulla brace
senza scottarsi i piedi?
29Così chi si accosta alla donna altrui,
chi la tocca, non resterà impunito.
30Non si disapprova un ladro, se ruba
per soddisfare l'appetito quando ha fame;
31eppure, se è preso, dovrà restituire sette volte,
consegnare tutti i beni della sua casa.
32Ma l'adultero è privo di senno;
solo chi vuole rovinare se stesso agisce così.
33Incontrerà percosse e disonore,
la sua vergogna non sarà cancellata,
34poiché la gelosia accende lo sdegno del marito,
che non avrà pietà nel giorno della vendetta;
35non vorrà accettare alcun compenso,
rifiuterà ogni dono, anche se grande.
Salmi 122
1'Canto delle ascensioni. Di Davide'.
Quale gioia, quando mi dissero:
"Andremo alla casa del Signore".
2E ora i nostri piedi si fermano
alle tue porte, Gerusalemme!
3Gerusalemme è costruita
come città salda e compatta.
4Là salgono insieme le tribù,
le tribù del Signore,
secondo la legge di Israele,
per lodare il nome del Signore.
5Là sono posti i seggi del giudizio,
i seggi della casa di Davide.
6Domandate pace per Gerusalemme:
sia pace a coloro che ti amano,
7sia pace sulle tue mura,
sicurezza nei tuoi baluardi.
8Per i miei fratelli e i miei amici
io dirò: "Su di te sia pace!".
9Per la casa del Signore nostro Dio,
chiederò per te il bene.
Daniele 2
1Nel secondo anno del suo regno, Nabucodònosor fece un sogno e il suo animo ne fu tanto agitato da non poter più dormire.2Allora il re ordinò che fossero chiamati i maghi, gli astrologi, gli incantatori e i caldei a spiegargli i sogni. Questi vennero e si presentarono al re.3Egli disse loro: "Ho fatto un sogno e il mio animo si è tormentato per trovarne la spiegazione".4I caldei risposero al re: "Re, vivi per sempre. Racconta il sogno ai tuoi servi e noi te ne daremo la spiegazione".5Rispose il re ai caldei: "Questa è la mia decisione: se voi non mi rivelate il sogno e la sua spiegazione sarete fatti a pezzi e le vostre case saranno ridotte in letamai.6Se invece mi rivelerete il sogno e me ne darete la spiegazione, riceverete da me doni, regali e grandi onori. Ditemi dunque il sogno e la sua spiegazione".7Essi replicarono: "Esponga il re il sogno ai suoi servi e noi ne daremo la spiegazione".8Rispose il re: "Comprendo bene che voi volete guadagnar tempo, perché avete inteso la mia decisione.9Se non mi dite qual era il mio sogno, una sola sarà la vostra sorte. Vi siete messi d'accordo per darmi risposte astute e false in attesa che le circostanze si mutino. Perciò ditemi il sogno e io saprò che voi siete in grado di darmene anche la spiegazione".10I caldei risposero davanti al re: "Non c'è nessuno al mondo che possa soddisfare la richiesta del re: difatti nessun re, per quanto potente e grande, ha mai domandato una cosa simile ad un mago, indovino o caldeo.11La richiesta del re è tanto difficile, che nessuno ne può dare al re la risposta, se non gli dèi la cui dimora è lontano dagli uomini".
12Allora il re, acceso di furore, ordinò che tutti i saggi di Babilonia fossero messi a morte.13Il decreto fu pubblicato e già i saggi venivano uccisi; anche Daniele e i suoi compagni erano ricercati per essere messi a morte.
14Ma Daniele rivolse parole piene di saggezza e di prudenza ad Ariòch, capo delle guardie del re, che stava per uccidere i saggi di Babilonia,15e disse ad Ariòch, ufficiale del re: "Perché il re ha emanato un decreto così severo?". Ariòch ne spiegò il motivo a Daniele.16Egli allora entrò dal re e pregò che gli si concedesse tempo: egli avrebbe dato la spiegazione dei sogni al re.17Poi Daniele andò a casa e narrò la cosa ai suoi compagni, Anania, Misaele e Azaria,18ed essi implorarono misericordia dal Dio del cielo riguardo a questo mistero, perché Daniele e i suoi compagni non fossero messi a morte insieme con tutti gli altri saggi di Babilonia.
19Allora il mistero fu svelato a Daniele in una visione notturna; perciò Daniele benedisse il Dio del cielo:
20"Sia benedetto il nome di Dio di secolo in secolo,
perché a lui appartengono la sapienza e la potenza.
21Egli alterna tempi e stagioni, depone i re e li innalza,
concede la sapienza ai saggi,
agli intelligenti il sapere.
22Svela cose profonde e occulte
e sa quel che è celato nelle tenebre
e presso di lui è la luce.
23Gloria e lode a te, Dio dei miei padri,
che mi hai concesso la sapienza e la forza,
mi hai manifestato ciò che ti abbiamo domandato
e ci hai illustrato la richiesta del re".
24Allora Daniele si recò da Ariòch, al quale il re aveva affidato l'incarico di uccidere i saggi di Babilonia, e presentatosi gli disse: "Non uccidere i saggi di Babilonia, ma conducimi dal re e io gli farò conoscere la spiegazione del sogno".25Ariòch condusse in fretta Daniele alla presenza del re e gli disse: "Ho trovato un uomo fra i Giudei deportati, il quale farà conoscere al re la spiegazione del sogno".26Il re disse allora a Daniele, chiamato Baltazzàr: "Puoi tu davvero rivelarmi il sogno che ho fatto e darmene la spiegazione?".27Daniele, davanti al re, rispose: "Il mistero di cui il re chiede la spiegazione non può essere spiegato né da saggi, né da astrologi, né da maghi, né da indovini;28ma c'è un Dio nel cielo che svela i misteri ed egli ha rivelato al re Nabucodònosor quel che avverrà al finire dei giorni. Ecco dunque qual era il tuo sogno e le visioni che sono passate per la tua mente, mentre dormivi nel tuo letto.29O re, i pensieri che ti sono venuti mentre eri a letto riguardano il futuro; colui che svela i misteri ha voluto svelarti ciò che dovrà avvenire.30Se a me è stato svelato questo mistero, non è perché io possieda una sapienza superiore a tutti i viventi, ma perché ne sia data la spiegazione al re e tu possa conoscere i pensieri del tuo cuore.31Tu stavi osservando, o re, ed ecco una statua, una statua enorme, di straordinario splendore, si ergeva davanti a te con terribile aspetto.32Aveva la testa d'oro puro, il petto e le braccia d'argento, il ventre e le cosce di bronzo,33le gambe di ferro e i piedi in parte di ferro e in parte di creta.34Mentre stavi guardando, una pietra si staccò dal monte, ma non per mano di uomo, e andò a battere contro i piedi della statua, che erano di ferro e di argilla, e li frantumò.35Allora si frantumarono anche il ferro, l'argilla, il bronzo, l'argento e l'oro e divennero come la pula sulle aie d'estate; il vento li portò via senza lasciar traccia, mentre la pietra, che aveva colpito la statua, divenne una grande montagna che riempì tutta quella regione.
36Questo è il sogno: ora ne daremo la spiegazione al re.37Tu o re, sei il re dei re; a te il Dio del cielo ha concesso il regno, la potenza, la forza e la gloria.38A te ha concesso il dominio sui figli dell'uomo, sugli animali selvatici, sugli uccelli del cielo; tu li domini tutti: tu sei la testa d'oro.39Dopo di te sorgerà un altro regno, inferiore al tuo; poi un terzo regno, quello di bronzo, che dominerà su tutta la terra.40Vi sarà poi un quarto regno, duro come il ferro. Come il ferro spezza e frantuma tutto, così quel regno spezzerà e frantumerà tutto.41Come hai visto, i piedi e le dita erano in parte di argilla da vasaio e in parte di ferro: ciò significa che il regno sarà diviso, ma avrà la durezza del ferro unito all'argilla.42Se le dita dei piedi erano in parte di ferro e in parte di argilla, ciò significa che una parte del regno sarà forte e l'altra fragile.43Il fatto d'aver visto il ferro mescolato all'argilla significa che le due parti si uniranno per via di matrimoni, ma non potranno diventare una cosa sola, come il ferro non si amalgama con l'argilla.44Al tempo di questi re, il Dio del cielo farà sorgere un regno che non sarà mai distrutto e non sarà trasmesso ad altro popolo: stritolerà e annienterà tutti gli altri regni, mentre esso durerà per sempre.45Questo significa quella pietra che tu hai visto staccarsi dal monte, non per mano di uomo, e che ha stritolato il ferro, il bronzo, l'argilla, l'argento e l'oro. Il Dio grande ha rivelato al re quello che avverrà da questo tempo in poi. Il sogno è vero e degna di fede ne è la spiegazione".
46Allora il re Nabucodònosor piegò la faccia a terra, si prostrò davanti a Daniele e ordinò che gli si offrissero sacrifici e incensi.47Quindi rivolto a Daniele gli disse: "Certo, il vostro Dio è il Dio degli dèi, il Signore dei re e il rivelatore dei misteri, poiché tu hai potuto svelare questo mistero".48Il re esaltò Daniele e gli fece molti preziosi regali, lo costituì governatore di tutta la provincia di Babilonia e capo di tutti i saggi di Babilonia;49su richiesta di Daniele, il re fece amministratori della provincia di Babilonia, Sadràch, Mesàch e Abdènego. Daniele rimase alla corte del re.
Apocalisse 21
1Vidi poi un nuovo cielo e una nuova terra, perché il cielo e la terra di prima erano scomparsi e il mare non c'era più.2Vidi anche la città santa, la nuova Gerusalemme, scendere dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo.3Udii allora una voce potente che usciva dal trono:
"'Ecco la dimora' di Dio con gli uomini!
'Egli dimorerà tra di loro
ed essi saranno suo popolo
ed egli sarà il "Dio-con-loro"'.
4'E tergerà ogni lacrima dai loro occhi';
non ci sarà più la morte,
né lutto, né lamento, né affanno,
perché le cose di prima sono passate".
5E Colui che sedeva sul trono disse: "Ecco, io faccio nuove tutte le cose"; e soggiunse: "Scrivi, perché queste parole sono certe e veraci.
6Ecco sono compiute!
Io sono l'Alfa e l'Omega,
il Principio e la Fine.
'A colui che ha sete' darò 'gratuitamente'
acqua della fonte 'della vita'.
7Chi sarà vittorioso erediterà questi beni;
'io sarò il suo Dio ed egli sarà mio figlio'.
8Ma per i vili e gl'increduli, gli abietti e gli omicidi, gl'immorali, i fattucchieri, gli idolàtri e per tutti i mentitori è riservato lo stagno ardente di fuoco e di zolfo. È questa la seconda morte".
9Poi venne uno dei sette angeli che hanno le sette coppe piene degli ultimi sette flagelli e mi parlò: "Vieni, ti mostrerò la fidanzata, la sposa dell'Agnello".10L'angelo mi trasportò in spirito su di un monte grande e alto, e mi mostrò la città santa, Gerusalemme, che scendeva dal cielo, da Dio, risplendente della gloria di Dio.11Il suo splendore è simile a quello di una gemma preziosissima, come pietra di diaspro cristallino.12La città è cinta da un grande e alto muro con dodici 'porte': sopra queste porte stanno dodici angeli e 'nomi' scritti, i nomi delle dodici 'tribù dei figli d'Israele'.13'A oriente tre porte, a settentrione tre porte, a mezzogiorno tre porte e ad occidente tre porte'.14Le mura della città poggiano su dodici basamenti, sopra i quali sono i dodici nomi dei dodici apostoli dell'Agnello.
15Colui che mi parlava aveva come misura una canna d'oro, per misurare la città, le sue porte e le sue mura.16La città è a forma di quadrato, la sua lunghezza è uguale alla larghezza. L'angelo misurò la città con la canna: misura dodici mila stadi; la lunghezza, la larghezza e l'altezza sono eguali.17Ne misurò anche le mura: sono alte centoquarantaquattro braccia, secondo la misura in uso tra gli uomini adoperata dall'angelo.18Le mura sono costruite con diaspro e la città è di oro puro, simile a terso cristallo.19Le fondamenta delle mura della città sono adorne di ogni specie di pietre preziose. Il primo fondamento è di diaspro, il secondo di zaffìro, il terzo di calcedònio, il quarto di smeraldo,20il quinto di sardònice, il sesto di cornalina, il settimo di crisòlito, l'ottavo di berillo, il nono di topazio, il decimo di crisopazio, l'undecimo di giacinto, il dodicesimo di ametista.21E le dodici porte sono dodici perle; ciascuna porta è formata da una sola perla. E la piazza della città è di oro puro, come cristallo trasparente.
22Non vidi alcun tempio in essa perché il Signore Dio, l'Onnipotente, e l'Agnello sono il suo tempio.23La città non ha bisogno della luce del sole, né della luce della luna perché la gloria di Dio la illumina e la sua lampada è l'Agnello.
24'Le nazioni cammineranno alla sua luce
e i re della terra a lei porteranno la loro magnificenza'.
25'Le' sue 'porte non si chiuderanno mai durante il giorno',
poiché non vi sarà più notte.
26'E porteranno a lei la gloria' e l'onore 'delle nazioni'.
27'Non entrerà in essa nulla d'impuro',
né chi commette abominio o falsità,
ma solo quelli che sono scritti
nel libro della vita dell'Agnello.
Capitolo LIV: Gli opposti impulsi della natura e della grazia
Leggilo nella Biblioteca1. Figlio, considera attentamente gli impulsi della natura e quelli della grazia; come si muovono in modo nettamente contrario, ma così sottilmente che soltanto, e a fatica, li distingue uno che sia illuminato da interiore spiritualità. Tutti, invero, desiderano il bene e, con le loro parole e le loro azioni, tendono a qualcosa di buono; ma, appunto per una falsa apparenza del bene, molti sono ingannati. La natura è scaltra, trascina molta gente, seduce, inganna e mira sempre a se stessa. La grazia, invece, cammina schietta, evita il male, sotto qualunque aspetto esso appaia; non prepara intrighi; tutto fa soltanto per amore di Dio, nel quale, alla fine, trova la sua quiete. La natura non vuole morire, non vuole essere soffocata e vinta, non vuole essere schiacciata, sopraffatta o sottomessa, né mettersi da sé sotto il giogo. La grazia, invece, tende alla mortificazione di sé e resiste alla sensualità, desidera e cerca di essere sottomessa e vinta; non vuole avere una sua libertà, preferisce essere tenuta sotto disciplina; non vuole prevalere su alcuno, ma vuole sempre vivere restando sottoposta a Dio; è pronta a cedere umilmente a ogni creatura umana, per amore di Dio. La natura s'affanna per il suo vantaggio, e bada all'utile che le possa venire da altri. La grazia, invece, tiene conto di ciò che giova agli altri, non del profitto e dell'interesse propri. La natura gradisce onori e omaggi. La grazia, invece, ogni onore e ogni lode li attribuisce a Dio. La natura rifugge dalla vergogna e dal disprezzo. La grazia, invece, si rallegra "di patire oltraggi nel nome di Gesù" (At 5,41). La natura inclina all'ozio e alla tranquillità materiale. La grazia, invece, non può stare oziosa e accetta con piacere la fatica. La natura mira a possedere cose rare e belle, mentre detesta quelle spregevoli e grossolane. La grazia, invece, si compiace di ciò che è semplice e modesto; non disprezza le cose rozze, né rifugge dal vestire logori panni.
2. La natura guarda alle cose di questo tempo; gioisce dei guadagni e si rattrista delle perdite di quaggiù; si adira per una piccola parola offensiva. La grazia, invece, non sta attaccata all'oggi, ma guarda all'eternità; non si agita per la perdita di cose materiali; non si inasprisce per una parola un po' brusca, perché il suo tesoro e la sua gioia li pone nel cielo dove nulla perisce. La natura è avida, preferisce prendere che donare, ha caro ciò che è proprio e personale. La grazia, invece, è caritatevole e aperta agli altri; rifugge dalle cose personali, si contenta del poco, ritiene "più bello dare che ricevere" (At 20,35). La natura tende alle creature e al proprio corpo, alla vanità e alle chiacchiere. La grazia, invece, si volge a Dio e alle virtù; rinuncia alle creature, fugge il mondo, ha in orrore i desideri della carne, frena il desiderio di andare di qua e di là, si vergogna di comparire in pubblico. La natura gode volentieri di qualche svago esteriore, nel quale trovino piacere i sensi. La grazia, invece, cerca consolazione soltanto in Dio, e, al di sopra di ogni cosa di questo mondo, mira a godere del sommo bene. La natura tutto fa per il proprio guadagno e il proprio vantaggio; non può fare nulla senza ricevere nulla; per ogni favore spera di conseguirne uno uguale o più grande, oppure di riceverne lodi e approvazioni; desidera ardentemente che i suoi gesti e i suoi doni siano molto apprezzati. La grazia, invece, non cerca nulla che sia passeggero e non chiede, come ricompensa, altro premio che Dio soltanto; delle cose necessarie in questa vita non vuole avere più di quanto le possa essere utile a conseguire le cose eterne.
3. La natura si compiace di annoverare molte amicizie e parentele; si vanta della provenienza da un luogo celebre o della discendenza da nobile stirpe; sorride ai potenti, corteggia i ricchi ed applaude coloro che sono come lei. La grazia, invece, ama anche i nemici; non si esalta per la quantità degli amici; non dà importanza al luogo di origine o alla famiglia da cui discende, a meno che in essa vi sia una virtù superiore; è ben disposta verso il povero, più che verso il ricco; simpatizza maggiormente con la povera gente che con i potenti; sta volentieri con le persone sincere, non già con gli ipocriti; esorta sempre le anime buone ad ambire a "doni spirituali sempre più grandi" (1Cor 12,31), così da assomigliare, per le loro virtù, al Figlio di Dio. La natura, di qualcosa che manchi o che dia noia, subito si lamenta. La grazia sopporta con fermezza ogni privazione. La natura riferisce tutto a sé; lotta per sé, discute per sé. La grazia, invece, riconduce tutte le cose a Dio, da cui provengono come dalla loro origine; nulla di buono attribuisce a se stessa, non presume di sé con superbia; non contende, non pone l'opinione propria avanti alle altre; anzi si sottomette, in ogni suo sentimento e in ogni suo pensiero, all'eterna sapienza e al giudizio di Dio. La natura è avida di conoscere cose segrete e vuol sapere ogni novità; ama uscir fuori, per fare molte esperienze; desidera distinguersi e darsi da fare in modo che ad essa possa venirne lode e ammirazione. La grazia, invece, non si preoccupa di apprendere novità e curiosità, perché tutto il nuovo nasce da una trasformazione del vecchio, non essendoci mai, su questa terra, nulla che sia nuovo e duraturo. La grazia insegna, dunque, a tenere a freno i sensi, a evitare la vana compiacenza e l'ostentazione, a tener umilmente nascosto ciò che sarebbe degno di lode e di ammirazione, infine a tendere, in tutte le nostre azioni e i nostri studi, al vero profitto, alla lode e alla gloria di Dio. Non vuol far parlare di sé e delle cose sue, desiderando, invece, che, in tutti i suoi doni, sia lodato Iddio, che tutto elargisce per puro amore.
4. E', codesta grazia, una luce sovrannaturale, propriamente un dono particolare di Dio, un segno distintivo degli eletti, una garanzia della salvezza eterna. La grazia innalza l'uomo dalle cose terrestri all'amore del cielo e lo trasforma da carnale in spirituale. Adunque, quanto più si tiene in freno e si vince la natura, tanto maggior grazia viene infusa in noi; così, per mezzo di continue e nuove manifestazioni divine, l'uomo interiore si trasforma secondo l'immagine di Dio.
DISCORSO 280 NEL NATALE DELLE MARTIRI PERPETUA E FELICITA
Discorsi - Sant'Agostino
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Perpetua e Felicita hanno conseguito il premio di un glorioso martirio.
1. Questa data, quale ricorrenza annuale, ci fa ricordare e, in certo modo, ci pone davanti il giorno in cui le sante serve di Dio Perpetua e Felicita, ornate delle corone del martirio, raggiunsero gloriosamente la felicità eterna, costanti nella fedeltà al nome di Cristo nel combattimento e, nello stesso tempo, assumendo il proprio nome nel premio. Poiché ne veniva data lettura, abbiamo ascoltato come veniva loro infuso coraggio nelle divine rivelazioni e i trionfi della loro passione, abbiamo inteso, contemplato interiormente, onorato con devozione, lodato apertamente tutto il senso delle parole spiegato e commentato da chiarimenti. Tuttavia, anche noi siamo debitori del discorso consueto in una celebrazione tanto sacra; se parlerò in modo inadeguato ai loro meriti, rivelo tuttavia lo slancio del cuore con la gioia per una festa così grande. Che di più nobile di queste donne che gli uomini sono più disposti ad ammirare che ad imitare? Ma questo torna soprattutto a lode di Colui nel quale credettero e nel cui nome, con fedele zelo, mossero sollecite insieme e si rivelarono secondo l'uomo interiore non per il sesso maschile o femminile; al punto che, persino in coloro che fisicamente sono donne, la virtù dello spirito riesce a celare il sesso della carne e si ha ritegno a pensare nelle membra quel che non si è potuto notare nel comportamento. Perciò il dragone fu calpestato da un piede innocente e da un passo di vittoria mentre comparivano scale ascendenti per le quali la beata Perpetua potesse raggiungere Dio. In tal modo il capo dell'antico serpente, che fu abisso per la donna che si lasciava cadere, divenne gradino per quella che si volgeva alle altezze.
La gloria dei martiri.
2. Che più attraente di questo spettacolo? Che più intrepido di questa lotta? Che più glorioso di questa vittoria? Allora, mentre i santi corpi venivano esposti alle fiere, in tutto l'anfiteatro le genti tempestavano urlando e i popoli tramavano a vuoto. Ma Colui che dimora nei cieli si burlava di loro e il Signore li scherniva 1. Al presente e all'opposto, celebrano i meriti dei martiri i discendenti di coloro il cui vociare scomposto era un sacrilego infierire sul corpo dei martiri. Tanta affluenza di persone intenzionate a dar loro la morte non gremì allora la gradinata della crudeltà quanto, ora, è gremita la chiesa dell'amore che desidera celebrarli. Ogni anno la carità contempla con sentimenti religiosi quel che in un giorno solo l'odio fu capace di compiere a profanazione. Anche quelli stettero a contemplare ma con tutt'altre intenzioni. Essi attendevano a completare a furia di grida quel che sfuggiva al morso delle belve. Da parte nostra, però, deploriamo quello che fu l'operato degli empi e siamo presi da venerazione per quanto soffrirono i santi. Essi videro con gli occhi del corpo ciò che con cuore disumano riversavano, noi vediamo con gli occhi del cuore ciò che a loro è stato sottratto perché non lo vedessero. I corpi esanimi dei martiri furono motivo di gioia per quelli i quali, perché morti nello spirito, sono motivo di dolore per noi. Essi, privi del lume della fede, credettero i martiri definitivamente scomparsi e noi, con infallibile certezza, li vediamo in possesso del premio. Alla fine, il loro oltraggio è diventato in noi un esultare di gioia. Anzi, questa, veramente religiosa e perenne: ma quella che fu empia, ora, non esiste più addirittura.
Per quale motivo le ricompense dei martiri sono incomparabili. L'amore di questa vita piena di travagli.
3. Carissimi, noi crediamo che i premi dei martiri siano più eccelsi. E lo crediamo con piena ragione. Ma in nessun modo ci sorprenderà che siano così grandi se siamo attenti a considerare quelle che sono le lotte. Infatti, benché questa vita sia travagliata e destinata a finire, pure è di tanta dolcezza che non potendo gli uomini sfuggire alla morte, fanno molti e gravi sforzi per non affrettarla. Niente si può fare per evitare la morte e si fa tutto ciò che è possibile per differirla. Certamente è penoso per ogni anima trovarsi in angustie; nondimeno anche coloro che dopo questa vita nulla si attendono di bene o di male, si danno da fare a tutti i costi perché non abbia termine con la morte ogni fatica. Che dire di coloro che o suppongono, per errore, falsi e carnali piaceri dopo la morte o, nella retta fede, hanno la speranza di una certa qual pace di indicibile pienezza di tranquillità e beatitudine? Non si danno da fare anche a loro volta e con grande ansietà si preoccupano di evitare una morte prematura? Che vogliono dire infatti tante fatiche per il cibo necessario, tanto bisogno sia di rimedio che di altri servizi, per quanto lo esigono gli ammalati o vengono loro offerti, se non volere evitare di trovarsi subito in punto di morte? Al confronto, quanto è da valutare, nella vita futura, l'immunità da ogni conseguenza foriera di morte se è cosa tanto preziosa in questa vita solo differirla? In realtà, tanto è la non so quale dolcezza di questa vita piena di angustie e tanto l'orrore della morte nella natura di qualsiasi essere vivente che non sono disposti a morire neppure coloro che, attraverso la morte, passano alla vita nella quale non possono morire.
Per amore di Cristo i martiri disprezzarono la morte e i patimenti.
4. I martiri di Cristo, dalla virtù eminente, disprezzano un tale e così grande piacere del vivere e il timore della morte con carità sincera, ferma speranza e fede autentica. Per esse, lasciandosi alle spalle il mondo che lusinga e minaccia, si volgono a ciò che sta loro innanzi. Si elevano al di sopra di queste cose calpestando la testa del serpente dalle multiformi e sottili insinuazioni. In realtà, è vittorioso di tutte le passioni chi assoggetta l'amore di questa vita, i cui satelliti sono tutte le passioni. Chi non è preso dall'amore di questa vita, mentre vive, non si lasci assolutamente impedire dai loro legami. D'altra parte, al timore della morte si uniscono, abitualmente e in qualsiasi modo, i dolori fisici. Infatti, nell'uomo, si avvicendano nel prevalere. Chi è sotto la tortura mentisce per non morire; per evitare la tortura mentisce anche chi è in fin di vita. Non tollerando i tormenti, dichiara il vero per non subire la tortura col mentire a proprio favore. Ma è uno di essi ad avere il sopravvento su qualsiasi dei sensi interiori. Per il nome e la giustizia di Cristo, i suoi martiri furono vittoriosi di entrambi: non temettero né la morte né i patimenti. Vinse in loro Colui che visse in loro; di conseguenza, neppure defunti morirono quelli che non per sé ma per lui erano vissuti. Egli stesso offriva loro gioie spirituali perché non avvertissero i tormenti del corpo che nella misura valida per la prova, non per lo scoraggiamento. Dove si trovava infatti quella donna quando non avvertì di essere nella lotta presso una vacca estremamente inferocita e domandò quando si sarebbe verificato ciò che era già avvenuto? Dov'era? Che altro vedeva, questa, quando non aveva veduto? Di che godeva, questa, quando mancava di sensibilità? Per quale amore dimentica di sé, da quale spettacolo attirata, da quale bevanda inebriata? Eppure era ancora presente nel corpo, in fin di vita, ancora animava le membra, ancora era sotto il peso del corpo corruttibile. Che dire quando le anime dei martiri, sciolte da questi legami dopo le fatiche di un rischioso combattimento, furono accolte e ristorate dagli angeli trionfanti dove non si dice loro: Fate quello che ho comandato, ma: Ricevete quanto ho promesso? Con quale letizia partecipano ora al banchetto spirituale? Chi è capace di far comprendere con un paragone terreno quanto si trovino sicuri nel Signore e quale eccelso onore sia la loro gloria?
La felicità dei martiri non è la stessa prima e dopo la risurrezione.
5. E, in realtà, una tale vita che ora godono i beati martiri, benché non si possa appunto paragonare alle gioie ed ai piaceri di questa vita, consiste in una particella esigua della promessa, anzi, è un compenso della dilazione. Deve ancora venire il giorno della ricompensa, quando, per essere stati restituiti i corpi, sia l'uomo intero a ricevere ciò che merita. Allora le membra di quel ricco, che un tempo si fregiavano della porpora terrena, stiano a bruciare nel fuoco eterno e la carne del povero coperto di piaghe, trasfigurata, emani splendore in mezzo agli angeli; sebbene fin d'ora, quello, nell'inferno, abbia sete di una stilla d'acqua dal dito del povero, e questi trovi riposo con piacere in seno al giusto 2. Come, infatti, è grandissima la differenza tra le gioie o le sventure provate in sogno e quelle proprie di chi è sveglio, così differiscono molto i tormenti o le gioie delle anime separate dal corpo da quelle dei risorti. Non perché l'anima dei defunti s'inganni, come avviene di necessità in chi dorme, ma per il fatto che altro è il riposo delle anime prive di corpo e altra, con i corpi spirituali, la luce e la felicità degli angeli ai quali sarà resa uguale la moltitudine dei fedeli risorti. In essa i gloriosissimi martiri risplenderanno per la luce straordinaria della loro ricompensa e i propri corpi, nei quali patirono umilianti tormenti, sì convertiranno per loro in segni di magnificenza.
Con quali disposizioni di spirito si devono celebrare le solennità dei martiri. I martiri hanno pietà di noi e pregano per noi.
6. Perciò, come facciamo, si celebrino con la massima devozione le solennità dei martiri, in allegria moderata, in adunanza onesta, in riflessione pia, in coraggioso annunzio. Non costituisce una forma di imitazione di poco conto felicitarsi insieme delle virtù dei migliori. Questi grandeggiano, noi siamo piccoli: però il Signore ha benedetto i grandi insieme ai piccoli 3. Prima di noi, quelli, e più in alto di noi. Seguiamoli nella dilezione se siamo incapaci nella pratica, certo in letizia se non in gloria, certo nei desideri se non nei meriti, per la compassione se non nella passione, per vincolo di unione se non in preminenza. Non ci sembri poca cosa essere membra di quel corpo del quale sono membra anche coloro ai quali non ci possiamo paragonare. Per cui, se un solo membro soffre, tutte le membra soffrono con lui; così pure, quando un solo membro viene onorato, tutte le membra godono con lui 4. La gloria al capo, dal quale si provvede sia agli arti superiori che agli arti inferiori. E come quell'Uno ha dato la sua vita per noi così i martiri hanno seguito il suo esempio e hanno dato la loro vita per i fratelli; anche allo scopo di suscitare un'abbondantissima messe di popoli, quasi germogli, irrigarono la terra con il loro sangue. Pertanto anche noi siamo i frutti della loro fatica. Noi li ammiriamo, essi hanno compassione di noi. Noi ci rallegriamo con loro, essi pregano per noi. Stesero a terra, quasi mantelli, i loro corpi mentre il puledro che portava il Signore veniva condotto a Gerusalemme; da parte nostra, come staccando rami dagli alberi, almeno cogliamo dalle Sacre Scritture inni e cantici che innalziamo in festosità corale 5. Tuttavia, noi tutti siamo obbedienti allo stesso Signore, seguiamo lo stesso maestro, siamo al fianco dello stesso principe, uniti e sottoposti allo stesso capo, siamo diretti proprio a Gerusalemme, animati dalla stessa carità e tenendoci stretti a quella medesima unità.
1 - Cf. Sal 2, 1.4.
2 - Cf. Lc 16, 19-24.
3 - Cf. Sal 113, 13.
4 - 1 Cor 12, 26.
5 - Cf. Mt 21, 7-9.
18 - La riunione del consiglio per la conclusione del processo contro il salvatore Gesù.
La mistica Città di Dio - Libro sesto - Suor Maria d'Agreda
Leggilo nella Biblioteca1297. Gli evangelisti narrano che gli anziani, i sommi sacerdoti e gli
scribi - molto rispettati dal popolo per la conoscenza che avevano della
legge - si riunirono all'alba del venerdì mattina in casa di Caifa,
dove sua Maestà si trovava imprigionato. I membri del sinedrio di comune
accordo volevano concludere il processo di Gesù con la condanna a
morte, come tutti bramavano, pennellando a tal fine la causa del colore
della giustizia per soddisfare la gente. Ordinarono allora che egli
fosse condotto davanti a loro allo scopo di interrogarlo nuovamente. I
soldati subito scesero alla cella e, accostatisi a lui per scioglierlo
dalla roccia, con grandi risa e beffe dissero: «Ehi, Nazareno, quanto
poco ti sono giovati i miracoli per difenderti! Non ti tornerebbero ora a
vantaggio, per fuggire, quelle arti con le quali raccontavi che in tre
giorni avresti riedificato il tempio? Vieni, ti aspetta l'intero
consiglio per mettere fine ai tuoi inganni e darti in potere a Pilato,
in modo che la finisca con te in un solo colpo». Il Signore si lasciò
slegare e portare di fronte ai sommi sacerdoti senza aprire bocca e, pur
essendo sfigurato ed indebolito dai tormenti, dagli schiaffi e dagli
sputi, dai quali avendo le mani incatenate non si era potuto pulire, non
suscitò in loro compassione; tanta era l'ira che nutrivano contro di
lui!
1298. Gli fu chiesto per la seconda volta se egli fosse il
Cristo, cioè l'Unto, con intenzione maliziosa, quindi non per sentire ed
accettare la sua affermazione, ma per denigrarla ed imputargliela come
accusa. Tuttavia, egli non volle negare la verità per la quale
desiderava morire, ma nemmeno confessarla, affinché non la
disprezzassero e la calunnia non apparisse realtà. Moderò, perciò, la
risposta offrendo la possibilità ai farisei, se avessero avuto ancora un
briciolo di pietà, d'investigare con zelo il mistero nascosto nelle sue
parole; se non l'avessero avuto si sarebbe capito che la colpa stava
nel loro malvagio intento e non già nella sua dichiarazione. Dunque
proferì: «Anche se ve lo dicessi, non mi credereste; se vi interrogassi
non mi rispondereste e non mi sleghereste. Vi dico, però, che da questo
momento il Figlio dell'uomo starà seduto alla destra della potenza di
Dio». Allora tutti esclamarono: «Tu dunque sei il Figlio di Dio?». Ed
egli disse loro: «Lo dite voi stessi: io lo sono». E ciò corrispose a
dir loro: è ben legittima la conseguenza da voi tirata, che io sono il
Figlio di Dio, perché le mie azioni e la mia dottrina, le vostre
Scritture e tutto ciò che adesso operate con me attestano che io sono il
Messia promesso.
1299. Ma siccome quell'assemblea di maligni non era
disposta ad accogliere la verità divina - benché, se avesse voluto
ragionare, avrebbe ben potuto ravvisarla e crederla - non la comprese né
le diede importanza, anzi la ritenne un'asserzione blasfema e degna di
condanna. Vedendo che l'Unigenito confermava ciò che prima aveva
rivelato, tutti urlarono: «Che bisogno abbiamo ancora di testimonianza?
L'abbiamo udito noi stessi dalla sua bocca». E subito, concordemente,
decretarono che fosse presentato a Ponzio Pilato, che governava la
provincia della Giudea in nome dell'imperatore romano come signore della
Palestina. In effetti, secondo le leggi che vigevano allora, le cause
di sangue o di morte erano riservate al senato o all'imperatore, oppure
ai suoi ministri, che reggevano le province lontane, senza essere
lasciate al giudizio degli stessi abitanti. Difatti, i romani avevano
stabilito che questioni così gravi, quali erano quelle di togliere la
vita, si discutessero con maggiore attenzione, affinché nessun reo fosse
punito senza essere stato prima ascoltato, e senza che gli fosse stato
concesso del tempo e un luogo per la sua difesa, giacché in quest'ordine
di giustizia essi si conformavano, molto più delle altre nazioni, alla
legge naturale della ragione. Nella causa del Redentore i sommi
sacerdoti e gli scribi vollero che un pagano come Pilato emettesse la
sentenza da loro agognata, al fine di poter proclamare che sua Maestà
era stato condannato dal governatore, il quale non lo avrebbe fatto se
l'accusato non lo avesse meritato. Sino a tal punto i membri del
sinedrio erano ottenebrati dal peccato e dall'ipocrisia, quasi non
fossero stati essi stessi più sacrileghi del giudice gentile ed autori
di tanta scelleratezza! Ma l'Altissimo dispose che ciò si manifestasse a
tutti mediante quello che operarono con Pilato, come ora vedremo.
1300. Quegli empi condussero il nostro Salvatore dal
palazzo di Caifa a quello del governatore, per presentarglielo come un
malfattore, legato con le catene e le corde con le quali lo avevano
catturato. Allora Gerusalemme era piena di gente proveniente da tutte le
parti della Palestina per celebrare la Pasqua dell'agnello e degli
azzimi. A causa del clamore che già si era sparso, e per la notizia che
tutti avevano del Maestro, una innumerevole moltitudine si precipitò a
vederlo flagellato e trascinato lungo le strade. Dinanzi ad uno
spettacolo così osceno e raggelante la folla si divise in varie
opinioni. Alcuni gridavano: «Muoia, muoia questo malvagio ed impostore,
che ha ingannato il mondo»; altri sostenevano che la sua dottrina e le
sue opere non sembravano tanto cattive, perché aveva fatto molto bene a
tutti; altri ancora, quelli che avevano creduto in lui, si affliggevano e
piangevano. L'intera città era pervasa dalla confusione e
dall'agitazione. Lucifero con i suoi demoni stava molto attento a quanto
succedeva e, scoprendosi misteriosamente sopraffatto e tormentato
dall'invincibile pazienza del mansuetissimo Agnello, con insaziabile
furore impazziva nella rabbia e nella sua stessa superbia: sospettava
che quelle virtù, tanto sublimi da sorprenderlo, non potessero
appartenere ad un semplice uomo. D'altra parte presumeva che il
lasciarsi maltrattare e disprezzare in maniera così eccessiva ed il
patire tanta debolezza nel corpo non potessero concordare con l'identità
di vero Dio. «Se lo fosse - pensava - la natura divina nel comunicarsi a
quella umana avrebbe trasmesso effetti così grandi e potenti da non
farla venir meno e da non permettere ciò che in essa si sta compiendo».
Il dragone congetturava in questo modo perché era all'oscuro del segreto
superno: Gesù aveva sospeso gli effetti che avrebbero potuto ridondare
dalla divinità all'umanità, affinché le sue sofferenze potessero
raggiungere il sommo grado. Con questi dubbi si inviperiva ancor più
contro il Messia e, vedendolo tollerare all'inverosimile quelle
atrocità, si ostinava a perseguitarlo volendo conoscere chi realmente
fosse.
1301. Era già spuntato il sole quando si verificarono tali
eventi. L’afflitta Madre, che osservava ogni cosa, decise di abbandonare
il luogo del suo ritiro per seguire direttamente le vicende del Figlio
ed accompagnarlo alla croce; ma mentre usciva dal cenacolo, san
Giovanni, ignorando la visione che ella aveva, sopraggiunse a riferirle
l'accaduto. Dopo il rinnegamento di Pietro, egli si era messo un po' da
parte interessandosi solo da lontano di ciò che avveniva. Ammetteva di
essere colpevole per essere fuggito dall'orto degli Ulivi e non appena
si trovò dinanzi alla Regina la venerò, chiedendole perdono tra le
lacrime; quindi le confessò il suo rammarico e tutto quello che aveva
fatto e sperimentato stando con Cristo. Gli parve opportuno prevenire
Maria affinché, alla vista del suo diletto, non restasse tanto trafitta e
addolorata dall'insolito e straziante spettacolo. E, per descriverlo al
più presto, le rivolse queste parole: «Oh, mia Signora, quanto è
tribolato il nostro Redentore! Non è possibile guardarlo senza che il
cuore si spezzi. Il suo bellissimo volto è tanto deturpato e sfigurato
dagli schiaffi, dai colpi, dagli sputi che a malapena lo
riconoscereste». La prudentissima sovrana, dopo aver ascoltato con tanta
premura quanto le era stato riferito - come se non fosse stata al
corrente di quelle vicende -, si angustiò sciogliendosi in un amarissimo
pianto. Le sante discepole che erano con lei la udirono gemere ed
anch'esse rimasero con l'intimo trapassato dal cordoglio e dallo stupore
nell'apprendere la triste notizia. La Principessa impose all'Apostolo
di seguirla con le devote donne, alle quali suggerì: «Affrettiamo il
passo, perché gli occhi miei vedano il Verbo del Padre che nel mio seno
prese sembianze umane. E voi vi accorgerete, o carissime, di quanto
possa sul mio Dio l'amore che porta ai discendenti di Adamo e di quanto
gli costi redimerli dal peccato e dalla morte e aprir loro le porte del
cielo».
1302. La Vergine si incamminò per le strade di Gerusalemme,
insieme a Giovanni e ad alcune sante compagne, tra cui le tre Marie ed
altre fedelissime che l'assistevano sempre. Pregò i divini messaggeri
addetti alla sua custodia di fare in modo che la calca non le impedisse
di raggiungere il suo Unigenito ed essi ubbidirono subito, vigilando su
di lei con somma diligenza. Lungo le vie per le quali passava,
l'Addolorata sentiva i vari discorsi che la folla faceva e le opinioni
che ciascuno esternava nel raccontare quanto era accaduto al Nazareno. I
pochi uomini pii presenti si rammaricavano, alcuni asserivano che lo
volevano crocifiggere, altri riferivano in quale luogo lo stessero
portando e con quale brutale legatura lo conducessero, come un
facinoroso, ricoprendolo d'infamia. C'era anche chi domandava quali
delitti avesse commesso perché gli fosse inflitto un castigo tanto
crudele. Infine molti, con ammirazione, ma con poca fede, si chiedevano:
«A questo sono valsi i suoi miracoli? Senza dubbio i prodigi compiuti
erano furberie, perché non si è saputo né difendere né liberare». Ogni
parte della città si riempiva di piccoli assembramenti e mormorazioni,
ma l'invincibile Signora in mezzo a tanta agitazione - benché colma
d'incomparabile amarezza - non si turbava, mantenendo l'equilibrio e
intercedendo per i non credenti e i malfattori, come se non avesse avuto
altra preoccupazione che quella di sollecitare in loro favore la grazia
ed il perdono. Ella amava quegli iniqui con una carità talmente
longanime che sembrava aver ricevuto da questi innumerevoli benefici.
Non si sdegnò né si adirò contro i sacrileghi esecutori della passione
del Salvatore, né mostrò indizio di avversione, ma anzi li guardava con
dolcezza, facendo a tutti del bene.
1303. Alcuni di quelli che la incontravano la riconoscevano
e mossi a compassione le dicevano: «Oh, afflitta Madre! Quale sventura
ti è sopraggiunta! Quanto deve essere ferito il tuo cuore!». Altri con
arroganza le rinfacciavano: «Come hai cresciuto male tuo Figlio! Perché
gli permettevi di insinuare nel popolo tante novità? Sarebbe stato
meglio se l'avessi rinchiuso e tenuto a freno, comunque un simile
avvenimento servirà d'esempio alle altre donne, perché apprendano dalla
tua sventura come educare i propri figli». La candidissima colomba udiva
anche discorsi ancor più terribili di questi e nel suo ardente amore
dava il giusto posto ad ogni cosa: accettava la comprensione dei
pietosi, soffriva l'empietà degli increduli, non si meravigliava degli
ingrati e degli insipienti, e implorava l'Altissimo per ciascuno.
1304. In mezzo a questa gran confusione, l'Imperatrice
dell'universo fu guidata dagli spiriti celesti verso il posto in cui
incontrò il Maestro, dinanzi al quale si prostrò con profonda riverenza,
rendendogli culto di fervida adorazione qual mai gli diedero né gli
daranno le creature. Il Figlio e la Madre, che nel frattempo si era
alzata in piedi, si guardarono con incomparabile tenerezza e, trapassati
da ineffabile dolore, si parlarono. Ella si fece poi da parte per
andargli dietro, e mentre camminava si rivolgeva a lui ed
all'Onnipotente pronunciando nel suo intimo parole così sublimi che non
possono essere articolate da lingua mortale. Oppressa dalle pene
esclamava: «Dio immenso, mio Gesù, ben conosco il fuoco della vostra
carità verso il genere umano, che vi obbliga a celare l'infinita potenza
della divinità nella carne corruttibile, ricevuta nel mio seno.
Confesso la vostra sapienza incomprensibile nell'accettare tali
ignominie e tormenti, e nel consegnare voi stesso, Signore di tutto ciò
che esiste, per il riscatto dell'uomo, servo, polvere e cenere. Voi
siete degno che ogni essere vi lodi, vi benedica e vi esalti per la
vostra sconfinata bontà; ma io come potrò mettere in atto il desiderio
che queste obbrobriose azioni si eseguano solo in me invece che nella
vostra divina persona, gioia degli angeli e splendore della gloria
dell'Eterno? Come non aspirare al vostro sollievo in tali atrocità? Come
potrò sopportare di vedere il vostro bellissimo volto afflitto e
sfigurato, e di rendermi conto che soltanto per il Creatore e redentore
del mondo non c'è pietà in una passione così violenta ed amara? Ma se
non è possibile che io vi conforti come madre, accettate almeno la mia
angoscia ed il dispiacere di non poter fare di più».
1305. Nella Regina restò talmente impressa l'immagine del
suo diletto, maltrattato, deturpato e incatenato, che durante la vita
non si cancellò mai più dalla sua mente e sempre lo rimirò in quella
forma. Cristo nostro bene giunse, frattanto, alla casa del governatore,
seguito da diversa gente, tra cui molti del consiglio dei giudei, che
rimasero fuori del pretorio fingendosi fervidi religiosi, pieni del
timore di contaminarsi e di non poter mangiare la Pasqua degli azzimi.
E, come stoltissimi ipocriti, questi non riflettevano sull'immondo
sacrilegio che macchiava le loro anime, assassine dell'innocente
Agnello. Pilato, benché fosse un gentile, condiscese al cerimoniale
degli ebrei e, accorgendosi che essi avevano difficoltà ad entrare, uscì
fuori. Conformemente allo stile dei romani domandò: «Che accusa
presentate contro costui?». Gli risposero: «Se non fosse un malfattore,
non l'avremmo condotto legato nel modo in cui lo rimettiamo nelle tue
mani». E ciò fu come dirgli: noi abbiamo verificato le sue malvagità e
siamo così attenti al senso della giustizia ed ai nostri doveri che se
non fosse un facinoroso non avremmo proceduto contro di lui. Il
governatore riprese: «Quali delitti sono dunque quelli che egli ha
commesso?». «Si ostina - ribatterono i giudei - a sobillare il nostro
popolo, vuol farsi re, proibisce che si paghino a Cesare i tributi, si
dichiara Figlio di Dio e ha predicato una nuova dottrina incominciando
dalla Galilea e proseguendo per tutta la Giudea sino a Gerusalemme».
«Dunque, prendetelo voi - disse Pilato - e giudicatelo secondo le vostre
leggi, perché io non trovo in lui nessuna colpa». Essi replicarono: «A
noi non è consentito di infliggere a nessuno la pena di morte, e tanto
meno di uccidere».
1306. Gli angeli avevano fatto in modo che la beata
Vergine, con san Giovanni e le donne, si avvicinasse al luogo
dell'interrogatorio per poter osservare ed udire tutto. Ella stava
coperta con il manto per lo strazio del dolore che trafiggeva il suo
purissimo cuore; piangeva versando lacrime di sangue e negli atti di
virtù era un limpidissimo specchio che riproduceva l'anima santissima
dell'Unigenito, le cui pene riviveva nelle proprie membra. Pregò allora
il Padre perché le concedesse di non perdere di vista Gesù fino alla
crocifissione, per quanto fosse possibile, e ciò le fu accordato durante
il tempo in cui egli non stette rinchiuso in prigione. Inoltre, poiché
riteneva opportuno che tra le false accuse e le diffamazioni si
conoscesse l'innocenza del Salvatore e si venisse a sapere che lo
condannavano a morte senza alcun reato, elevò una fervorosa orazione.
Supplicò l'Onnipotente che il giudice non rimanesse ingannato e
prendesse coscienza che il Messia gli era stato portato per il rancore
dei sacerdoti e degli scribi. E difatti, grazie alle sante parole di
Maria, egli ebbe chiara cognizione della realtà e comprese che il
Maestro non era colpevole, ma gli era stato consegnato solo per invidia,
come narra l'evangelista Matteo. Per tale ragione sua Maestà si aprì di
più con Pilato, benché non cooperasse con la verità ammessa; e così
questa non fu di profitto per lui bensì per noi, e servì anche per
mettere in luce la perfidia dei sommi sacerdoti e dei farisei.
1307. La folla, talmente presa dalla rabbia, bramava di
trovare il governatore propizio a pronunziare subito la sentenza
capitale e, allorché si accorse che egli titubava, incominciò ad alzare
con furore la voce, ribadendo che il Nazareno si voleva impadronire del
regno della Giudea e si ostinava ad ingannare ed a convincere tutti,
sostenendo di essere il Cristo, il re unto. Questa maliziosa
incriminazione fu proposta a Pilato affinché egli, mosso dallo zelo per
il potere temporale esercitato sotto l'impero romano, si determinasse ad
emettere al più presto il verdetto. Gli ebrei, i cui re venivano unti,
soggiunsero allora che costui asseriva di essere il Cristo, perché
volevano indurre il governatore, appartenente alla classe dei gentili
che non avevano questa usanza, a capire che farsi chiamare con
quell'appellativo corrispondeva ad affermare di essere re. Il giudice
interpellò nuovamente l'imputato: «Che cosa rispondi alle accuse che ti
muovono contro?». Ma il Verbo di Dio in presenza dei suoi calunniatori
non aprì bocca, sicché Pilato, meravigliato di tale silenzio e pazienza,
desiderando esaminare meglio se fosse veramente re, si ritirò con lui
dentro il pretorio per allontanarsi dalle grida della calca. Quando
furono soli gli domandò: «Tu sei il re dei giudei?». Non poteva pensare
che egli fosse re di fatto, perché sapeva bene che non regnava, e così
lo interrogava per conoscere se lo fosse di diritto e se avesse un
regno. Il mansuetissimo Agnello replicò: «Questo che mi chiedi procede
da te stesso o te lo ha detto qualcuno parlandoti di me?». Gli fu
obiettato: «Sono io forse giudeo, per cui debba esserne al corrente? La
tua gente e i sommi sacerdoti ti hanno condotto al mio tribunale;
spiegami allora che cosa tu abbia fatto e che cosa significhi questo
titolo». Riprese: «Il mio regno non è di quaggiù, ma se lo fosse è certo
che i miei servitori mi avrebbero difeso, affinché non venissi dato in
potere ai giudei». Il governatore credette in parte a questa
attestazione e perciò proseguì: «Dunque tu sei re mentre garantisci di
avere il regno?». Ed egli non lo negò: «Tu dici che sono re e per
rendere testimonianza alla verità sono venuto nel mondo; e tutti coloro
che sono nati dalla verità mi ascoltano». Pilato si stupì e tornò a
domandargli: «Che cos'è la verità?»; e senza attendere ulteriore
risposta, uscì un'altra volta dal pretorio e dichiarò: «Io non trovo in
lui nessuna colpa per farlo uccidere. Tuttavia, vi è già nota la
tradizione che vi è tra voi di donare la libertà ad un detenuto per la
festività della Pasqua. Chi volete dunque che sia costui, Gesù o
Barabba?». Quest'ultimo era un ladro ed omicida, che in quel tempo si
trovava in carcere per aver ucciso un uomo durante una rissa. Allora
tutti gridarono: «Vogliamo che rilasci Barabba e crocifigga Gesù». I
membri di quella malvagia schiera rimasero saldi in tale petizione fin
quando videro esaudito il loro proposito.
1308. Per il dialogo con il Redentore e l'ostinazione del
popolo, il giudice restò molto turbato. Difatti, da una parte non voleva
deludere i giudei - anche se difficilmente avrebbe potuto farlo,
ravvisandoli tanto determinati a far perire il Maestro, qualora non vi
avesse accondisceso -, dall'altra però aveva ben chiaro che lo
perseguitavano per l'invidia mortale nutrita contro di lui, e che
l'accusa di sovvertitore era falsa e ridicola. Quanto all'imputazione
che il Signore ribadiva di essere re, era rimasto soddisfatto della
risposta ricevuta e sbalordito nel trovarlo tanto povero, umile e
sofferente di fronte alle calunnie lanciategli. Illuminato dall'alto
comprese la sua innocenza, anche se confusamente, perché ignorava il
mistero e la dignità della persona divina. E benché fosse mosso dalla
forza delle sue parole ad avere un'elevata opinione di lui e a pensare
che in lui si racchiudesse un segreto particolare - perciò desiderava
liberarlo e a tal fine lo inviò da Erode, come dirò nel capitolo
seguente -, non si aprì al flusso della grazia celeste. A causa del
peccato non meritò di essere penetrato dall'eccelsa sapienza e fu
indotto a ponderare i fini temporali, invece che ad agire secondo
giustizia: procedette da malvagio giudice, consultando ancora coloro che
incriminavano ingiustamente il candidissimo Agnello essendo suoi
nemici. Operò allora contro la propria coscienza e accrebbe il suo
delitto perché lo fece condannare e, ancor prima, flagellare
disumanamente, senza nessun altro motivo che quello di accontentare la
folla.
1309. Quantunque il governatore fosse tanto iniquo da
infliggere la pena capitale a sua Maestà, che riteneva un semplice uomo,
innocente e buono, la sua colpa fu minore a paragone di quella dei
sacerdoti e dei farisei. Difatti, questi non solo agivano con gelosia,
crudeltà ed altri esecrabili fini, ma anche con l'accanimento a non
riconoscere il Nazareno come il vero Messia promesso nella legge che
professavano. E per loro castigo l'Eterno permise che, quando lo
incriminavano, lo chiamassero Cristo, ossia re unto, confessando così la
stessa verità che negavano. Quanto nominavano invece avrebbero dovuto
crederlo, intendendo che egli era unto non con la consacrazione
figurativa dei re e dei sacerdoti antichi, ma con quella di cui parlò
Davide, diversa da tutte le altre, quale era l'unzione della divinità
unita all'umanità innalzata dal Salvatore nell'essere vero Dio e vero
uomo. La sua anima santissima era perciò unta con i doni di grazia e di
gloria, conseguenti all'unione ipostatica. L'accusa dei presenti
esprimeva tutta questa misteriosa verità, che essi per la loro perfidia
rigettavano e per invidia interpretavano falsamente, incolpandolo di
proclamarsi re senza esserlo. Era invece vero l'opposto, sebbene egli
non volesse dimostrarlo: non aveva intenzione di usare il potere di un
sovrano temporale, pur essendo Signore di ogni cosa, poiché non era
venuto nel mondo per comandare, ma per ubbidire. La cecità giudaica era
però molto grande, perché la gente aspettava il Messia come un
liberatore e un guerriero tanto potente da doverlo accettare per forza e
non con la pia volontà che l'Altissimo ricercava. Arroccati su questa
attesa gli ebrei lo calunniavano di farsi re, mentre non lo era.
1310. La Principessa del cielo capiva profondamente tali
arcani, meditandoli nel suo purissimo e sapientissimo cuore ed
esercitando eroici atti di tutte le virtù. E mentre gli altri
discendenti di Adamo, concepiti nel peccato e macchiati da esso, quanto
più vedono crescere le tribolazioni tanto più sono soliti turbarsi e
restarne oppressi, risvegliando in sé l'ira con altre disordinate
passioni, Maria era soggetta a tutto il contrario: né il peccato né i
suoi effetti la sfioravano, né la natura operava come poteva fare la
grazia. Le persecuzioni e le molte acque dei dolori e delle angosce non
estinguevano in lei la fiamma ardente del divino amore, ma come fomenti
l'alimentavano ulteriormente, spronandola a pregare per i rei, quando la
necessità era suprema poiché la malizia degli uomini era arrivata al
sommo grado. Oh, Regina delle virtù, signora delle creature, dolcissima
madre di misericordia! Tardo ed insensibile è il mio intimo: non lo
spezza e non lo strazia ciò che il mio intelletto conosce delle vostre
pene e di quelle del vostro amantissimo Unigenito! Se dinanzi a quanto
mi è stato rivelato rimango in vita, è ben a ragione che io mi umilii
sino alla morte. È delitto contro la carità e la pietà vedere
l'Innocente patire tormenti e nel contempo chiedergli grazia senza
essere partecipe delle sue sofferenze. In che modo noi possiamo
affermare che abbiamo affetto per Dio, per il Verbo incarnato e per voi,
se davanti al calice amarissimo dell'acerba passione ci ricreiamo
bevendo a quello dei diletti di Babilonia? Oh, potessi io comprendere
questa verità! Oh, potessi sentirla e approfondirla, ed essa potesse
raggiungere la parte più nascosta di me stessa vedendo Gesù e la Vergine
che stanno subendo tante disumane atrocità! Come potrò mai pensare che
mi facciano ingiustizia nel perseguitarmi, che mi sovraccarichino nel
disprezzarmi, che mi offendano nell'aborrirmi? Come potrò mai lamentarmi
di ciò che sopporto, anche se sono insultata dal mondo? O Madre dei
martiri, regina dei coraggiosi, maestra di coloro che si mettono alla
sequela di vostro Figlio! Se io sono vostra figlia e discepola, secondo
quanto la vostra benignità mi assicura e il mio sposo mi volle meritare,
non disdegnate il mio desiderio di ricalcare le vostre orme sul cammino
della croce. E se per fragilità sono venuta meno, ottenetemi voi lo
spirito di fortezza, ed un cuore contrito e umiliato per la mia
ingratitudine. Guadagnatemi dal Padre l'amore, dono tanto prezioso, che
solo la vostra potente intercessione mi può acquistare ed il mio
Salvatore elargire.
Insegnamento della Regina del cielo
1311. Carissima, grande è la negligenza degli uomini nel
considerare le opere di Cristo e nel penetrare con umile riverenza i
misteri che egli racchiuse in esse, per il riscatto di tutti. A questo
riguardo molti non sanno, ed altri si meravigliano, che sua Maestà abbia
permesso di essere condotto come reo dinanzi a giudici iniqui, di farsi
esaminare da loro come malfattore, e di farsi trattare e reputare come
persona ignorante, del tutto disinteressata a rispondere con somma
sapienza per dimostrare la sua innocenza, e a persuadere i maliziosi
giudei e tutti i suoi avversari. In questa straordinarietà,
primariamente, si devono venerare i suoi altissimi giudizi giacché
dispose la redenzione umana con equità, bontà e rettitudine. Egli non
negò a ciascuno dei suoi nemici gli aiuti sufficienti per agire
giustamente - se avessero voluto collaborare - usando del privilegio
della loro libertà al fine di conseguire il proprio bene. Difatti, è
volontà dell'Onnipotente che tutti siano salvi, se ciò non viene
ostacolato da noi stessi; e quindi nessuno ha motivo di lamentarsi della
divina pietà, che è sempre sovrabbondante.
1312. Inoltre, anelo che tu apprenda l'insegnamento
contenuto in queste opere, perché nessuna fu messa in atto dal mio
diletto se non come redentore. Nel silenzio e nella pazienza che
conservò durante la passione, tollerando di essere ritenuto empio ed
insensato, diede ai mortali un esempio tanto sublime quanto poco
considerato e messo in pratica. Essi, poiché non riflettono sul contagio
che Lucifero trasmette loro per mezzo del peccato e sempre continua a
spargere nel mondo, non cercano nel Medico il farmaco che curi la loro
malattia, ma sua Maestà, per la sua immensa carità, ha lasciato il
rimedio nelle sue parole e nelle sue azioni; ciascuno, dunque, si
consideri concepito nella colpa, e veda quanto sia piantata nel proprio
cuore la semente, gettata dal dragone, della superbia, della
presunzione, della vanità, dell'autostima, dell'avidità, dell'ipocrisia,
della menzogna e di altri vizi. Tutti, solitamente, vogliono avanzare
nell'onore e nella vanagloria, desiderando essere apprezzati; i dotti e
coloro che si reputano saggi, pavoneggiandosi della scienza, bramano di
essere applauditi ed elogiati; quelli che sono ignoranti, invece,
tentano di mostrarsi sapienti; i facoltosi si gloriano dei loro averi,
per i quali amano essere ossequiati; i poveri vogliono essere ricchi,
comparire tali e guadagnarsi la stima; i potenti vogliono essere temuti,
adorati ed obbediti. Tutti si affannano a correre attratti da un
abbaglio e cercano di apparire come non sono, e non sono ciò che cercano
di apparire; giustificano facilmente i loro errori, si sforzano di
ingrandire le loro qualità, si attribuiscono beni e favori come se non
li avessero ricevuti, e li ricevono come se fossero loro dovuti e non
fossero stati dispensati per grazia. E così di questi doni ognuno non
solo non è riconoscente, ma ne fa armi contro Dio e contro se stesso; e
generalmente si ritrova pieno del veleno letale dell'antico serpente, e
tanto più assetato di berlo quanto più viene ferito e indebolito dal
deplorevole malore. La via della croce, che porta all'imitazione di Gesù
per mezzo dell'umiltà e della sincerità cristiana, è deserta, perché
pochi sono quelli che camminano su di essa.
1313. A schiacciare il capo di satana ed a vincere la sua
tracotante arroganza servì la mitezza che il mio Unigenito ebbe anche
nel suo supplizio, permettendo che lo trattassero da stolto e
delinquente. Come maestro di questa divina filosofia e medico che veniva
a curare l'infermità del peccato, egli non volle discolparsi, né
difendersi, né giustificarsi, né smentire coloro che lo accusavano,
lasciando un vivo modello per procedere contro gli intenti del demonio.
Mise allora in pratica l'insegnamento del Saggio: «Più preziosa è a suo
tempo la piccola ignoranza che la scienza e la gloria». Difatti, per la
fragilità umana, in determinati momenti è più conveniente apparire
semplici e inesperti, piuttosto che fare vano sfoggio di virtù e di
saggezza. Tu conserva nell'intimo i precetti del Salvatore e miei, ed
aborrisci ogni ostentazione: soffri, taci, e fa' che il mondo ti reputi
ignorante, perché esso non conosce in quale luogo dimori la vera
sapienza.
11-6 Febbraio 24, 1912 L’anima che fa la Divina Volontà perde il suo temperamento, e acquista il temperamento di Gesù. Sorriso di Gesù.
Luisa Piccarreta (Libro di Cielo)
(1) Avendo visto varie anime intorno a Gesù, specie una più sensibile, Gesù mi ha detto:
(2) “Figlia mia, le anime di temperamento sensibile, se si mettono al bene fanno più progresso delle altre, perché la loro sensibilità le porta ad imprese ardue e grandi”.
(3) Io l’ho pregato che le togliesse quel resto di sensibilità umana che le restava, che la stringesse più a Sé, che le dicesse che l’amava, ché al sentirsi dire che l’amava la conquiderebbe del tutto; vedrai che riuscirete, non hai vinto a me così, dicendomi che mi amavi tanto, tanto? ”
(4) E Gesù: “Sì, sì, lo farò, ma ci voglio la sua cooperazione, che sfugga quanto più possa dalle persone che le eccitano la sensibilità”.
(5) Onde io ho soggiunto: “Mio amore, dimmi, ed il mio temperamento qual’è? ”
(6) E Gesù: “Chi vive nella mia Volontà perde il suo temperamento ed acquista il mio. Sicché nell’anima che fa la mia Volontà si scorge un temperamento piacevole, attraente, penetrante, dignitoso ed insieme semplice, d’una semplicità infantile, insomma, mi rassomiglia in tutto. Anzi, di più ancora, tiene in suo potere il temperamento come lo vuole e come ci vuole, siccome vive nella mia Volontà prende parte alla mia Potenza, quindi tiene le cose e sé stesso a sua disposizione, quindi, a seconda le circostanze e le persone che tratta, prende il mio temperamento e lo svolge”.
(7) Ed io: “Dimmi, mi dai un primo posto nel tuo Volere? ”
(8) Gesù ha sorriso: “Sì, sì, te lo prometto, dalla mia Volontà non ti farò uscire giammai, e prenderai e farai ciò che vuoi”.
(9) Ed io: “Gesù, voglio essere povera, povera e piccola, piccola; delle stesse cose tue non voglio niente, meglio che le tieni Tu stesso, solo Te voglio, e come bisogne le cose Tu me le darai, non è vero, oh! Gesù? ”
(10) E Gesù: “Bravo, bravo alla figlia mia, finalmente ho trovato una che non vuole niente. Tutti vogliono qualche cosa da Me, ma non il tutto, cioè Me solo; mentre tu, col non voler niente hai voluto tutto, e qui sta tutta la finezza e l’astuzia del vero amore”.
(11) Io ho sorriso e Gesù ha scomparso.