Liturgia delle Ore - Letture
Lunedi della 32° settimana del tempo ordinario
Vangelo secondo Marco 15
1Al mattino i sommi sacerdoti, con gli anziani, gli scribi e tutto il sinedrio, dopo aver tenuto consiglio, misero in catene Gesù, lo condussero e lo consegnarono a Pilato.2Allora Pilato prese a interrogarlo: "Sei tu il re dei Giudei?". Ed egli rispose: "Tu lo dici".3I sommi sacerdoti frattanto gli muovevano molte accuse.4Pilato lo interrogò di nuovo: "Non rispondi nulla? Vedi di quante cose ti accusano!".5Ma Gesù non rispose più nulla, sicché Pilato ne restò meravigliato.
6Per la festa egli era solito rilasciare un carcerato a loro richiesta.7Un tale chiamato Barabba si trovava in carcere insieme ai ribelli che nel tumulto avevano commesso un omicidio.8La folla, accorsa, cominciò a chiedere ciò che sempre egli le concedeva.9Allora Pilato rispose loro: "Volete che vi rilasci il re dei Giudei?".10Sapeva infatti che i sommi sacerdoti glielo avevano consegnato per invidia.11Ma i sommi sacerdoti sobillarono la folla perché egli rilasciasse loro piuttosto Barabba.12Pilato replicò: "Che farò dunque di quello che voi chiamate il re dei Giudei?".13Ed essi di nuovo gridarono: "Crocifiggilo!".14Ma Pilato diceva loro: "Che male ha fatto?". Allora essi gridarono più forte: "Crocifiggilo!".15E Pilato, volendo dar soddisfazione alla moltitudine, rilasciò loro Barabba e, dopo aver fatto flagellare Gesù, lo consegnò perché fosse crocifisso.
16Allora i soldati lo condussero dentro il cortile, cioè nel pretorio, e convocarono tutta la coorte.17Lo rivestirono di porpora e, dopo aver intrecciato una corona di spine, gliela misero sul capo.18Cominciarono poi a salutarlo: "Salve, re dei Giudei!".19E gli percuotevano il capo con una canna, gli sputavano addosso e, piegando le ginocchia, si prostravano a lui.20Dopo averlo schernito, lo spogliarono della porpora e gli rimisero le sue vesti, poi lo condussero fuori per crocifiggerlo.
21Allora costrinsero un tale che passava, un certo Simone di Cirene che veniva dalla campagna, padre di Alessandro e Rufo, a portare la croce.22Condussero dunque Gesù al luogo del Gòlgota, che significa luogo del cranio,23e gli offrirono vino mescolato con mirra, ma egli non ne prese.
24Poi lo crocifissero 'e si divisero le' sue 'vesti, tirando a sorte su di esse' quello che ciascuno dovesse prendere.25Erano le nove del mattino quando lo crocifissero.26E l'iscrizione con il motivo della condanna diceva: 'Il re dei Giudei'.27Con lui crocifissero anche due ladroni, uno alla sua destra e uno alla sinistra.28.
29I passanti lo insultavano e, 'scuotendo il capo', esclamavano: "Ehi, tu che distruggi il tempio e lo riedifichi in tre giorni,30salva te stesso scendendo dalla croce!".31Ugualmente anche i sommi sacerdoti con gli scribi, facendosi beffe di lui, dicevano: "Ha salvato altri, non può salvare se stesso!32Il Cristo, il re d'Israele, scenda ora dalla croce, perché vediamo e crediamo". E anche quelli che erano stati crocifissi con lui lo insultavano.
33Venuto mezzogiorno, si fece buio su tutta la terra, fino alle tre del pomeriggio.34Alle tre Gesù gridò con voce forte: 'Eloì, Eloì, lemà sabactàni?', che significa: 'Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?'35Alcuni dei presenti, udito ciò, dicevano: "Ecco, chiama Elia!".36Uno corse a inzuppare di 'aceto' una spugna e, postala su una canna, gli 'dava da bere', dicendo: "Aspettate, vediamo se viene Elia a toglierlo dalla croce".37Ma Gesù, dando un forte grido, spirò.
38Il velo del tempio si squarciò in due, dall'alto in basso.
39Allora il centurione che gli stava di fronte, vistolo spirare in quel modo, disse: "Veramente quest'uomo era Figlio di Dio!".
40C'erano anche alcune donne, che stavano ad osservare da lontano, tra le quali Maria di Màgdala, Maria madre di Giacomo il minore e di ioses, e Salome,41che lo seguivano e servivano quando era ancora in Galilea, e molte altre che erano salite con lui a Gerusalemme.
42Sopraggiunta ormai la sera, poiché era la Parascève, cioè la vigilia del sabato,43Giuseppe d'Arimatéa, membro autorevole del sinedrio, che aspettava anche lui il regno di Dio, andò coraggiosamente da Pilato per chiedere il corpo di Gesù.44Pilato si meravigliò che fosse già morto e, chiamato il centurione, lo interrogò se fosse morto da tempo.45Informato dal centurione, concesse la salma a Giuseppe.46Egli allora, comprato un lenzuolo, lo calò giù dalla croce e, avvoltolo nel lenzuolo, lo depose in un sepolcro scavato nella roccia. Poi fece rotolare un masso contro l'entrata del sepolcro.47Intanto Maria di Màgdala e Maria madre di Ioses stavano ad osservare dove veniva deposto.
Deuteronomio 29
1Mosè convocò tutto Israele e disse loro: "Voi avete visto quanto il Signore ha fatto sotto i vostri occhi, nel paese d'Egitto, al faraone, a tutti i suoi ministri e a tutto il suo paese;2le prove grandiose che i tuoi occhi hanno visto, i segni e i grandi prodigi.3Ma fino ad oggi il Signore non vi ha dato una mente per comprendere, né occhi per vedere, né orecchi per udire.4Io vi ho condotti per quarant'anni nel deserto; i vostri mantelli non vi si sono logorati addosso e i vostri sandali non vi si sono logorati ai piedi.5Non avete mangiato pane, non avete bevuto vino, né bevanda inebriante, perché sapevate che io sono il Signore vostro Dio.6Quando foste arrivati in questo luogo e Sicon re di Chesbon e Og re di Basan uscirono contro di noi per combattere, noi li abbiamo sconfitti,7abbiamo preso il loro paese e l'abbiamo dato in possesso ai Rubeniti, ai Gaditi e a metà della tribù di Manàsse.
8Osservate dunque le parole di questa alleanza e mettetela in pratica, perché abbiate successo in quanto farete.
9Oggi voi state tutti davanti al Signore vostro Dio, i vostri capi, le vostre tribù, i vostri anziani, i vostri scribi, tutti gli Israeliti,10i vostri bambini, le vostre mogli, il forestiero che sta in mezzo al tuo accampamento, da chi ti spacca la legna a chi ti attinge l'acqua,11per entrare nell'alleanza del Signore tuo Dio e nell'imprecazione che il Signore tuo Dio sancisce oggi con te,12per costituirti oggi suo popolo e per essere Egli il tuo Dio, come ti ha detto e come ha giurato ai tuoi padri, ad Abramo, ad Isacco e a Giacobbe.13Non soltanto con voi io sancisco questa alleanza e pronunzio questa imprecazione,14ma con chi oggi sta qui con noi davanti al Signore nostro Dio e con chi non è oggi qui con noi.
15Poiché voi sapete come abbiamo abitato nel paese d'Egitto e come siamo passati in mezzo alle nazioni, che avete attraversate;16avete visto i loro abomini e gli idoli di legno, di pietra, d'argento e d'oro, che sono presso di loro.17Non vi sia tra voi uomo o donna o famiglia o tribù che volga oggi il cuore lungi dal Signore nostro Dio, per andare a servire gli dèi di quelle nazioni. Non vi sia tra di voi radice alcuna che produca veleno e assenzio.18Se qualcuno, udendo le parole di questa imprecazione, si lusinga in cuor suo dicendo: Avrò benessere, anche se mi regolerò secondo l'ostinazione del mio cuore, con il pensiero che il terreno irrigato faccia sparire quello arido,19il Signore non consentirà a perdonarlo; anzi in tal caso la collera del Signore e la sua gelosia si accenderanno contro quell'uomo e si poserà sopra di lui ogni imprecazione scritta in questo libro e il Signore cancellerà il suo nome sotto il cielo.20Il Signore lo segregherà, per sua sventura, da tutte le tribù d'Israele, secondo tutte le imprecazioni dell'alleanza scritta in questo libro della legge.
21Allora la generazione futura, i vostri figli che sorgeranno dopo di voi e lo straniero che verrà da una terra lontana, quando vedranno i flagelli di quel paese e le malattie che il Signore gli avrà inflitte:22tutto il suo suolo sarà zolfo, sale, arsura, non sarà seminato e non germoglierà, né erba di sorta vi crescerà, come dopo lo sconvolgimento di Sòdoma, di Gomorra, di Adma e di Zeboim, distrutte dalla sua collera e dal suo furore,23diranno, dunque, tutte le nazioni: Perché il Signore ha trattato così questo paese? Perché l'ardore di questa grande collera?24E si risponderà: Perché hanno abbandonato l'alleanza del Signore, Dio dei loro padri: l'alleanza che egli aveva stabilita con loro, quando li ha fatti uscire dal paese d'Egitto;25perché sono andati a servire altri dèi e si sono prostrati dinanzi a loro: dèi che essi non avevano conosciuti e che egli non aveva dato loro in sorte.26Per questo si è accesa la collera del Signore contro questo paese, mandandovi contro tutte le imprecazioni scritte in questo libro;27il Signore li ha strappati dal loro suolo con ira, con furore e con grande sdegno e li ha gettati in un altro paese, come oggi.28Le cose occulte appartengono al Signore nostro Dio, ma le cose rivelate sono per noi e per i nostri figli, sempre, perché pratichiamo tutte le parole di questa legge.
Siracide 1
1Ogni sapienza viene dal Signore
ed è sempre con lui.
2La sabbia del mare, le gocce della pioggia
e i giorni del mondo chi potrà contarli?
3L'altezza del cielo, l'estensione della terra,
la profondità dell'abisso chi potrà esplorarle?
4Prima di ogni cosa fu creata la sapienza
e la saggia prudenza è da sempre.
5A chi fu rivelata la radice della sapienza?
Chi conosce i suoi disegni?
6Uno solo è sapiente, molto terribile,
seduto sopra il trono.
7Il Signore ha creato la sapienza;
l'ha vista e l'ha misurata,
l'ha diffusa su tutte le sue opere,
8su ogni mortale, secondo la sua generosità,
la elargì a quanti lo amano.
9Il timore del Signore è gloria e vanto,
gioia e corona di esultanza.
10Il timore del Signore allieta il cuore
e dà contentezza, gioia e lunga vita.
11Per chi teme il Signore andrà bene alla fine,
sarà benedetto nel giorno della sua morte.
12Principio della sapienza è temere il Signore;
essa fu creata con i fedeli nel seno materno.
13Tra gli uomini essa ha posto il nido, fondamento
resterà fedelmente con i loro discendenti.
14Pienezza della sapienza è temere il Signore;
essa inebria di frutti i propri devoti.
15Tutta la loro casa riempirà di cose desiderabili,
i magazzini dei suoi frutti.
16Corona della sapienza è il timore del Signore;
fa fiorire la pace e la salute.
17Dio ha visto e misurato la sapienza;
ha fatto piovere la scienza e il lume dell'intelligenza;
ha esaltato la gloria di quanti la possiedono.
18Radice della sapienza è temere il Signore;
i suoi rami sono lunga vita.
19La collera ingiusta non si potrà giustificare,
poiché il traboccare della sua passione sarà la sua
rovina.
20Il paziente sopporterà per qualche tempo;
alla fine sgorgherà la sua gioia;
21per qualche tempo terrà nascoste le parole
e le labbra di molti celebreranno la sua intelligenza.
22Fra i tesori della sapienza sono le massime istruttive,
ma per il peccatore la pietà è un abominio.
23Se desideri la sapienza, osserva i comandamenti;
allora il Signore te la concederà.
24Il timore del Signore è sapienza e istruzione,
si compiace della fiducia e della mansuetudine.
25Non essere disobbediente al timore del Signore
e non avvicinarti ad esso con doppiezza di cuore.
26Non essere finto davanti agli uomini
e controlla le tue parole.
27Non esaltarti per non cadere
e per non attirarti il disonore;
28il Signore svelerà i tuoi segreti
e ti umilierà davanti all'assemblea,
29perché non hai ricercato il timore del Signore
e il tuo cuore è pieno di inganno.
Salmi 40
1'Al maestro del coro. Di Davide. Salmo.'
2Ho sperato: ho sperato nel Signore
ed egli su di me si è chinato,
ha dato ascolto al mio grido.
3Mi ha tratto dalla fossa della morte,
dal fango della palude;
i miei piedi ha stabilito sulla roccia,
ha reso sicuri i miei passi.
4Mi ha messo sulla bocca un canto nuovo,
lode al nostro Dio.
Molti vedranno e avranno timore
e confideranno nel Signore.
5Beato l'uomo che spera nel Signore
e non si mette dalla parte dei superbi,
né si volge a chi segue la menzogna.
6Quanti prodigi tu hai fatto, Signore Dio mio,
quali disegni in nostro favore:
nessuno a te si può paragonare.
Se li voglio annunziare e proclamare
sono troppi per essere contati.
7Sacrificio e offerta non gradisci,
gli orecchi mi hai aperto.
Non hai chiesto olocausto e vittima per la colpa.
8Allora ho detto: "Ecco, io vengo.
Sul rotolo del libro di me è scritto,
9che io faccia il tuo volere.
Mio Dio, questo io desidero,
la tua legge è nel profondo del mio cuore".
10Ho annunziato la tua giustizia nella grande assemblea;
vedi, non tengo chiuse le labbra, Signore, tu lo sai.
11Non ho nascosto la tua giustizia in fondo al cuore,
la tua fedeltà e la tua salvezza ho proclamato.
Non ho nascosto la tua grazia
e la tua fedeltà alla grande assemblea.
12Non rifiutarmi, Signore, la tua misericordia,
la tua fedeltà e la tua grazia
mi proteggano sempre,
13poiché mi circondano mali senza numero,
le mie colpe mi opprimono
e non posso più vedere.
Sono più dei capelli del mio capo,
il mio cuore viene meno.
14Degnati, Signore, di liberarmi;
accorri, Signore, in mio aiuto.
15Vergogna e confusione
per quanti cercano di togliermi la vita.
Retrocedano coperti d'infamia
quelli che godono della mia sventura.
16Siano presi da tremore e da vergogna
quelli che mi scherniscono.
17Esultino e gioiscano in te quanti ti cercano,
dicano sempre: "Il Signore è grande"
quelli che bramano la tua salvezza.
18Io sono povero e infelice;
di me ha cura il Signore.
Tu, mio aiuto e mia liberazione,
mio Dio, non tardare.
Geremia 35
1Questa parola fu rivolta a Geremia dal Signore nei giorni di Ioiakìm figlio di Giosia, re di Giuda:2"Va' dai Recabiti e parla loro, conducili in una delle stanze nel tempio del Signore e offri loro vino da bere".3Io allora presi Iazanià figlio di Geremia, figlio di Cabassinià, i suoi fratelli e tutti i suoi figli, cioè tutta la famiglia dei Recabiti.4Li condussi nel tempio del Signore, nella stanza dei figli di Canàn figlio di Iegdalià, uomo di Dio, la quale si trova vicino alla stanza dei capi, sopra la stanza di Maasià figlio di Sallùm, custode di servizio alla soglia.5Posi davanti ai membri della famiglia dei Recabiti boccali pieni di vino e delle coppe e dissi loro: "Bevete il vino!".6Essi risposero: "Noi non beviamo vino, perché Ionadàb figlio di Recàb, nostro antenato, ci diede quest'ordine: Non berrete vino, né voi né i vostri figli, mai;7non costruirete case, non seminerete sementi, non pianterete vigne e non ne possederete alcuna, ma abiterete nelle tende tutti i vostri giorni, perché possiate vivere a lungo sulla terra, dove vivete come forestieri.8Noi abbiamo obbedito agli ordini di Ionadàb figlio di Recàb, nostro antenato, riguardo a quanto ci ha comandato, così che noi, le nostre mogli, i nostri figli e le nostre figlie, non beviamo vino per tutta la nostra vita;9non costruiamo case da abitare né possediamo vigne o campi o sementi.10Noi abitiamo nelle tende, obbediamo e facciamo quanto ci ha comandato Ionadàb nostro antenato.11Quando Nabucodònosor re di Babilonia è venuto contro il paese, ci siamo detti: Venite, entriamo in Gerusalemme per sfuggire all'esercito dei Caldei e all'esercito degli Aramei. Così siam venuti ad abitare in Gerusalemme".
12Allora questa parola del Signore fu rivolta a Geremia:13 "Così dice il Signore degli eserciti, Dio di Israele: Va' e riferisci agli uomini di Giuda e agli abitanti di Gerusalemme: Non accetterete la lezione, ascoltando le mie parole? Oracolo del Signore.14Sono state messe in pratica le parole di Ionadàb figlio di Recàb, il quale aveva comandato ai suoi figli di non bere vino. Essi infatti non lo hanno bevuto fino a oggi, perché hanno obbedito al comando del loro padre. Io vi ho parlato con continua premura, ma voi non mi avete ascoltato!15Vi ho inviato tutti i miei servi, i profeti, con viva sollecitudine per dirvi: Abbandonate ciascuno la vostra condotta perversa, emendate le vostre azioni e non seguite altri dèi per servirli, per poter abitare nel paese che ho concesso a voi e ai vostri padri, ma voi non avete prestato orecchio e non mi avete dato retta.16Così i figli di Ionadàb figlio di Recàb hanno eseguito il comando che il loro padre aveva dato loro; questo popolo, invece, non mi ha ascoltato.17Perciò dice il Signore, Dio degli eserciti e Dio di Israele: Ecco, io manderò su Giuda e su tutti gli abitanti di Gerusalemme tutto il male che ho annunziato contro di essi, perché ho parlato loro e non mi hanno ascoltato, li ho chiamati e non hanno risposto".
18Geremia riferì alla famiglia dei Recabiti: "Dice il Signore degli eserciti, Dio di Israele: Poiché avete ascoltato il comando di Ionadàb vostro padre e avete osservato tutti i suoi decreti e avete fatto quanto vi aveva ordinato,19per questo dice il Signore degli eserciti, Dio di Israele: a Ionadàb figlio di Recàb non verrà mai a mancare qualcuno che stia sempre alla mia presenza".
Lettera di Giacomo 1
1Giacomo, servo di Dio e del Signore Gesù Cristo, alle dodici tribù disperse nel mondo, salute.
2Considerate perfetta letizia, miei fratelli, quando subite ogni sorta di prove,3sapendo che la prova della vostra fede produce la pazienza.4E la pazienza completi l'opera sua in voi, perché siate perfetti e integri, senza mancare di nulla.
5Se qualcuno di voi manca di sapienza, la domandi a Dio, che dona a tutti generosamente e senza rinfacciare, e gli sarà data.6La domandi però con fede, senza esitare, perché chi esita somiglia all'onda del mare mossa e agitata dal vento;7e non pensi di ricevere qualcosa dal Signore8un uomo che ha l'animo oscillante e instabile in tutte le sue azioni.
9Il fratello di umili condizioni si rallegri della sua elevazione10e il ricco della sua umiliazione, perché passerà come fiore d'erba.11Si leva il sole col suo ardore e fa seccare l'erba e il suo fiore cade, e la bellezza del suo aspetto svanisce. Così anche il ricco appassirà nelle sue imprese.
12Beato l'uomo che sopporta la tentazione, perché una volta superata la prova riceverà la corona della vita che il Signore ha promesso a quelli che lo amano.
13Nessuno, quando è tentato, dica: "Sono tentato da Dio"; perché Dio non può essere tentato dal male e non tenta nessuno al male.14Ciascuno piuttosto è tentato dalla propria concupiscenza che lo attrae e lo seduce;15poi la concupiscenza concepisce e genera il peccato, e il peccato, quand'è consumato, produce la morte.
16Non andate fuori strada, fratelli miei carissimi;17ogni buon regalo e ogni dono perfetto viene dall'alto e discende dal Padre della luce, nel quale non c'è variazione né ombra di cambiamento.18Di sua volontà egli ci ha generati con una parola di verità, perché noi fossimo come una primizia delle sue creature.
19Lo sapete, fratelli miei carissimi: sia ognuno pronto ad ascoltare, lento a parlare, lento all'ira.20Perché l'ira dell'uomo non compie ciò che è giusto davanti a Dio.21Perciò, deposta ogni impurità e ogni resto di malizia, accogliete con docilità la parola che è stata seminata in voi e che può salvare le vostre anime.22Siate di quelli che mettono in pratica la parola e non soltanto ascoltatori, illudendo voi stessi.23Perché se uno ascolta soltanto e non mette in pratica la parola, somiglia a un uomo che osserva il proprio volto in uno specchio:24appena s'è osservato, se ne va, e subito dimentica com'era.25Chi invece fissa lo sguardo sulla legge perfetta, la legge della libertà, e le resta fedele, non come un ascoltatore smemorato ma come uno che la mette in pratica, questi troverà la sua felicità nel praticarla.
26Se qualcuno pensa di essere religioso, ma non frena la lingua e inganna così il suo cuore, la sua religione è vana.27Una religione pura e senza macchia davanti a Dio nostro Padre è questa: soccorrere gli orfani e le vedove nelle loro afflizioni e conservarsi puri da questo mondo.
Capitolo XXV: Correggere fervorosamente tutta la nostra vita
Leggilo nella Biblioteca1. Che tu sia attento e preciso, nel servire Iddio; ripensa frequentemente alla ragione per la quale sei venuto qui, lasciando il mondo. Non è stato forse per vivere in Dio e farti tutto spirito? Che tu sia, dunque, fervoroso, giacché in breve tempo sarai ripagato dei tuoi sforzi; né avrai più, sul tuo orizzonte, alcun timore e dolore faticherai qui per un poco, e poi troverai una grande pace, anzi, una gioia perpetua. Se sarai costante nella fede e fervoroso nelle opere, Dio, senza dubbio, sarà giusto e generoso nella ricompensa. Che tu mantenga la santa speranza di giungere alla vittoria, anche se non è bene che tu ne abbia alcuna sicurezza, per non cadere in stato di torpore o di presunzione. Una volta, un tale, dibattuto interiormente tra il timore e la speranza, sfinito dal doloro, si prostrò in chiesa davanti ad un altare dicendo tra sé: "Oh! Se sapessi di poter perseverare!". E subito, di dentro, udì una risposta, che veniva da Dio: "Perché, se tu sapessi di poter perseverare, che cosa vorresti fare? Fallo adesso, quello che vorresti fare, e sarai del tutto tranquillo". Allora, rasserenato e confortato, egli si affidò alla volontà di Dio, e cessò in lui quella angosciosa incertezza; egli non volle più cercar di sapere quel che sarebbe stato di lui in futuro, e si diede piuttosto a cercare "quale fosse la volontà del Signore: volontà di bene e di perfezione", (Rm 12, 2) per intraprendere e portare a compimento ogni opera buona. Dice il profeta: "Spera nel Signore e fa il bene; abita la terra e nutriti delle sue ricchezze" (Sal 36,3).
2. Una sola cosa è quella che distoglie molta gente dal progresso spirituale e dal fervoroso sforzo di correzione: lo sgomento di fronte agli ostacoli e l'asprezza di questa lotta. Invero avanzano nelle virtù coloro che si sforzano di superare virilmente ciò che è per essi più gravoso, e che più li contrasta; giacché proprio là dove più si vince se stessi, mortificandosi nello spirito, più si guadagna, e maggior grazia si ottiene. Certo che non tutti gli uomini hanno pari forze per vincere se stessi e per mortificarsi. Tuttavia, uno che abbia tenacia e buon volere, anche se le sue passioni sono più violente, riuscirà a progredire più di un altro, pur buono, ma meno fervoroso nel tendere verso le virtù. Due cose giovano particolarmente al raggiungimento di una totale emendazione: il fare violenza a se stessi, distogliendosi dal male, a cui ciascuno è portato per natura; e il chiedere insistentemente il bene spirituale di cui ciascuno ha maggior bisogno. Inoltre tu devi fare in modo di evitare soprattutto ciò che più spesso trovi brutto in altri. Da ogni parte devi saper trarre motivo di profitto spirituale. Così, se ti capita di vedere o di ascoltare dei buoni esempi, devi ardere dal desiderio di imitarli; se, invece, ti pare che qualcosa sia degno di riprovazione, devi guardarti dal fare altrettanto; se talvolta l'hai fatto, procura di emendarti. Come il tuo occhio giudica gli altri, così, a tua volta, sarai giudicato tu dagli altri. Quale gioia e quale dolcezza, vedere dei frati pieni di fervore e di devozione, santi nella vita interiore e nella loro condotta; quale tristezza, invece, e quale dolore, vedere certi frati, che vanno di qua e di là, disordinatamente, tralasciando di praticare proprio ciò per cui sono stati chiamati! Gran danno procura, questo dimenticarsi delle promesse della propria vocazione, volgendo i desideri a cose diverse da quelle che ci vengono ordinate.
3. Ricordati della decisione che hai presa, e poni dinanzi ai tuoi occhi la figura del crocifisso. Riflettendo alla vita di Gesù Cristo, avrai veramente di che vergognarti, ché non hai ancora cercato di farti più simile a lui, pur essendo stato per molto tempo nella vita di Dio. Il monaco che si addestra con intensa devozione sulla vita santissima e sulla passione del Signore, vi troverà in abbondanza tutto ciò che gli può essere utile e necessario; e non dovrà cercare nulla di meglio, fuor di Gesù. Oh, come saremmo d'un colpo pienamente addottrinati se avessimo nel nostro cuore Gesù crocifisso! Il monaco pieno di fervore sopporta ogni cosa santamente e accetta ciò che gli viene imposto; invece quello negligente e tiepido trova una tribolazione sull'altra ed è angustiato per ogni verso, perché gli manca la consolazione interiore, e quella esterna gli viene preclusa. Il monaco che vive fuori della regola va incontro a piena rovina. Infatti chi tende ad una condizione piuttosto libera ed esente da disciplina sarà sempre nell'incertezza, poiché ora non gli andrà una cosa, ora un'altra. Come fanno gli altri monaci, così numerosi, che vivono ben disciplinati dalla regola del convento? Escono di rado e vivono liberi da ogni cosa; mangiano assai poveramente e vestono panni grossolani; lavorano molto e parlano poco; vegliano fino a tarda ora e si alzano per tempo; pregano a lungo, leggono spesso e si comportano strettamente secondo la regola. Guarda i Certosini, i Cistercensi, e i monaci e le monache di altri Ordini, come si alzano tutte le notti per cantare le lodi di Dio. Ora, sarebbe vergognoso che, in una cosa tanto meritoria, tu ti lasciassi prendere dalla pigrizia, mentre un grandissimo numero di monaci comincia i suoi canti di gioia, in unione con Dio. Oh!, se noi non avessimo altro da fare che lodare il Signore, nostro Dio, con tutto il cuore e con tutta la nostra voce. Oh!, se tu non avessi mai bisogno di mangiare, di bere, di dormire; e potessi invece, lodare di continuo il Signore, e occuparti soltanto delle cose dello spirito. Allora saresti più felice di adesso, che sei al servizio del tuo corpo per varie necessità. E volesse il Cielo che non ci fossero, queste necessità, e ci fossero soltanto i pasti spirituali dell'anima, che purtroppo gustiamo ben di rado.
4. Quando uno sarà giunto a non cercare il proprio conforto in alcuna creatura, allora egli comincerà a gustare perfettamente Dio; allora accetterà di buon grado ogni cosa che possa succedere; allora non si rallegrerà, o rattristerà, per il molto o il poco che possieda. Si rimetterà del tutto e con piena fiducia in Dio: in Dio, che per lui sarà tutto, in ogni circostanza; in Dio, agli occhi del quale nulla muove o va interamente perduto; in Dio, e per il quale ogni cosa vive, servendo senza esitazione al suo comando. Abbi sempre presente che tutto finisce e che il tempo perduto non ritorna. Non giungerai a possedere forza spirituale, se non avrai sollecitudine e diligenza. Se comincerai ad essere spiritualmente malato. Se invece ti darai tutto al fervore, troverai una grande pace, e sentirai più lieve la fatica, per la grazia di Dio e per la forza dell'amore. Tutto può, l'uomo fervido e diligente. Impresa più grande delle sudate fatiche corporali è quella di vincere i vizi e di resistere alle passioni. E colui che non sa evitare le piccole mancanze, cade, a poco a poco, in mancanze maggiori. Sarai sempre felice, la sera, se avrai spesa la giornata fruttuosamente. Vigila su te stesso, scuoti e ammonisci te stesso; checché facciano gli altri, non dimenticare te stesso. Il tuo progresso spirituale sarà pari alla violenza che avrai fatto a te stesso. Amen.
DISCORSO 273 NEL NATALE DEI MARTIRI FRUTTUOSO VESCOVO, AUGURIO ED EULOGIO DIACONI
Discorsi - Sant'Agostino
Leggilo nella Biblioteca
Si deve temere la morte dell'anima, non quella del corpo. Dio vita dell'anima.
1. Il Signore Gesù non solo si adoperò con l'insegnamento alla formazione dei suoi martiri, ma la temprò con l'esempio. Perché avessero a che adeguarsi di fronte al martirio, egli per primo patì per loro: mostrò l'itinerario e lo percorse. Una cosa è la morte dell'anima e un'altra la morte del corpo. L'anima non può morire, eppure accade che muoia: non può morire perché la sua coscienza non può mai estinguersi; può invece morire se perde Dio. Infatti come, da parte sua, l'anima è la vita del proprio corpo, così Dio è la vita della stessa anima. Perciò, a quel modo che il corpo muore quando l'anima, che è la sua vita, lo avrà abbandonato, così l'anima muore quando Dio l'avrà lasciata. Perché poi Dio non allontani l'anima, questa si mantenga nella fede così da non temere la morte davanti a Dio, quindi non muoia per essere stata abbandonata da Dio. Dunque, il timore della morte si riduce a timore per il corpo. Tuttavia, anche riguardo ad esso, Cristo Signore ha rassicurato i suoi martiri. Infatti, come potrebbero dubitare dell'integrità delle membra coloro che sapevano sotto uno sguardo interessato il numero dei capelli? I vostri capelli - dice Gesù - sono contati 1. Ed altrove dice più apertamente: Vi dico in verità che non andrà perduto un solo capello del vostro capo 2. È la Verità a parlare, può vacillare la debolezza?
Le solennità dei martiri hanno lo scopo di alimentare il fervore nei fedeli. La risposta di S. Fruttuoso.
2. Sono nella beatitudine i santi dei quali celebriamo, a loro memoria, il giorno del martirio: in cambio della vita mortale hanno ricevuto la gloria eterna, l'immortalità senza fine; con queste celebrazioni ci hanno lasciato un incoraggiamento. Quando ascoltiamo quale è stato il loro contegno nei tormenti, ci rallegriamo e rendiamo gloria a Dio in loro, né ci turba il fatto che sono morti. In realtà, se non fossero morti per Cristo, forse che sarebbero vivi ancor oggi? Per quale ragione un'aperta testimonianza dovrebbe evitare le conseguenze che avrebbe avuto un'infermità? Avete ascoltato gli interrogatori dei persecutori, avete ascoltato le risposte dei confessori durante la lettura della passione dei santi. Fra le altre, quali le parole del beato Fruttuoso vescovo? Ad un tale che gli si raccomandava perché lo ricordasse e pregasse per lui, rispose: "È necessario che io preghi per la Chiesa cattolica, diffusa dall'Oriente all'Occidente". Infatti, chi è che prega per le singole persone? Eppure chi prega per tutti non trascura nessuno dei singoli. Colui che effonde la sua preghiera per tutto il corpo non trascura nessuna delle sue membra. Che vi sembra dunque abbia voluto far capire a quel tale che gli si raccomandava di pregare per lui? Che pensate? Senza dubbio lo comprendete. Ve lo ripresento alla mente. Quello gli raccomandava di pregare per lui. "Ed io - rispose - prego per la Chiesa cattolica diffusa da Oriente ad Occidente". Tu, se vuoi che io preghi per te, non abbandonare quella Chiesa per la quale io prego.
La risposta di Eulogio diacono. Ai martiri l'onore, a Dio l'adorazione. Il culto dei defunti presso i pagani.
3. Come parlò a sua volta il santo diacono che subì il martirio e ricevette il premio insieme al suo vescovo? Gli disse il giudice: "Tu adori forse Fruttuoso?", e quello: "Io non adoro Fruttuoso, ma è Dio che adoro, quel Dio che adora anche Fruttuoso". In tal modo ci ha insegnato a venerare i martiri e, insieme ai martiri, a riservare l'adorazione a Dio. Infatti non dobbiamo essere quali sono i pagani di cui abbiamo compassione. E in realtà hanno il culto dei defunti. Proprio tutti quelli che sentite nominare, ed ai quali hanno costruito templi, sono stati uomini; per lo più si imposero nelle vicende umane e quasi tutti ebbero un potere regale. Sentite parlare di Giove, sentite di Ercole, sentite di Nettuno, sentite di Plutone, di Mercurio, Libero...: sono stati uomini. Tali nomi compaiono nelle narrazioni dei poeti, ma hanno pure risalto nella storia dei popoli. Coloro che hanno letto ne sono venuti a conoscenza, quanti poi hanno fatto a meno di leggere, credano a quelli che hanno letto. Tali uomini, dunque, per via di particolari concessioni temporali volsero a loro favore le umane vicende e, da uomini insignificanti e infatuati delle vanità, cominciarono a ricevere un certo culto fino ad essere chiamati dèi e considerati tali; come dèi avessero dei templi, come dèi avessero suppliche, come dèi avessero altari, come dèi avessero determinati sacerdoti, come dèi ricevessero sacrifici.
All'unico e vero Dio è dovuto tempio e sacrificio.
4. Solo il vero Dio, invece, deve avere un tempio, solo al vero Dio è dovuta l'offerta del sacrificio. Ebbene, tutto ciò che è dovuto di diritto e propriamente all'unico vero Dio, dei poveri illusi lo dedicavano a molti falsi dèi. Di conseguenza, un errore maligno obbligava alla resa l'umana miseria, quindi il diavolo gravava sugli spiriti umiliati di tutti. Ma ecco che la grazia del Salvatore e la misericordia di Dio si - volsero finalmente verso gli indegni; si compì quanto, in senso profetico, era stato predetto nel Cantico dei Cantici: Allontànati, vento del nord e vieni tu, vento del sud, soffia attraverso il mio giardino e sarà un fluire di aromi 3. Quasi a dire: Allontànati, Aquilone! Infatti la terra nordica è la regione fredda della terra. Sotto il diavolo, come sotto il vento del settentrione, le anime si raggelarono e, perduto il calore della carità, le colse un freddo glaciale. Che si dice però a quello? Allontànati, Aquilone! Basta con la tua oppressione, basta con il tuo dominio, basta con l'incubo della tua presenza sui vinti: allontànati. Vieni, vento del sud, vento della regione della luce e del fervore: soffia attraverso il mio giardino e sarà un fluire di aromi. Questi gli aromi di cui si leggeva in precedenza.
Gli aromi: i Santi e i martiri.
5. Che sono questi aromi? La stessa sposa del Signore ne parla: Ci affretteremo dietro il profumo dei tuoi aromi 4. Al ricordo di tale odore, dice l'apostolo Paolo: Portiamo dovunque il profumo di Cristo, tra quelli che si salvano e tra quelli che si perdono. Gran mistero: Portiamo dovunque il profumo di Cristo, tra quelli che si salvano e tra quelli che si perdono. Per gli uni, quindi, odore di vita per la vita, per gli altri odore di morte per la morte. Chi è in grado di capire queste cose? 5 In che modo il profumo apporta vitalità ad alcuni ed altri uccide? Il profumo, non il cattivo odore. Non dice infatti: L'odore buono apporta vitalità ai buoni e l'odore cattivo reca la morte ai cattivi. Non vuol dire: Per gli uni siamo veramente il profumo perché vivano, per gli altri siamo il cattivo odore perché periscano. Non così dice, ma: Portiamo dovunque il profumo di Cristo. Guai ai disgraziati che uccide il profumo. Quindi, o Paolo, dal momento che siete il profumo, perché esso ne uccide alcuni, ne salva altri? Che apporti vitalità lo ascolto, lo comprendo; quel che mi resta difficile è il fatto che dia la morte ad altri e soprattutto perché hai detto: Chi è in grado di capire queste cose? Non fa meraviglia se non riusciamo a capire. Ce ne dia la facoltà colui che possiede l'odore di cui parliamo. Infatti mi risponde subito l'Apostolo, fa' attenzione: Portiamo dovunque il profumo di Cristo tra quelli che si salvano e tra quelli che si perdono. Noi tuttavia siamo il profumo. Per alcuni odore di vita per la vita, per altri odore di morte per la morte. Tale profumo dà vitalità a chi ama, è mortale per gli invidiosi. Infatti, se mancasse la luminosità dei santi, non si desterebbe l'invidia degli empi. Il profumo dei santi cominciò a patire persecuzione: ma, come ampolle di balsami, quanto più venivano infrante, tanto più in largo se ne effondeva la fragranza.
La beata Agnese. Gli dei pagani non si devono paragonare ai martiri.
6. I beati dei quali oggi è stato commemorato il martirio. La beata Agnese santa della quale oggi ricorre la data del martirio. Questa vergine era ciò che indica il suo nome. Agnese, in latino, vuol dire "agnella"; in greco, "casta". Era quel che si chiamava: giustamente riceveva la corona. Dunque, fratelli miei, che posso dirvi di quegli uomini che i Pagani adoravano come "dèi", ai quali avevano dedicato templi, caste sacerdotali, altari, sacrifici? Che posso dirvi? Che non sono da paragonarsi ai nostri martiri? Per ciò stesso che lo dico suona ingiuria. Lontani dal paragonare quegli empi ai cristiani quali che siano e deboli nella fede, per quanto ancora bisognosi di latte non di cibo solido. A confronto di una sola vecchierella cristiana fedele, che conta Giunone? A confronto di un solo vecchio cristiano, infermo e tremante in tutte le sue membra, che conta Ercole? Ercole vince Caco, vince un leone, vince il cane Cerbero Ercole...: Fruttuoso vince il mondo intero. Paragona, adesso, uomo a uomo. Agnese, fanciulla tredicenne, vince il diavolo. Questa fanciulla vince colui che, servendosi di Ercole, ha tratto molti nell'errore.
I templi e i sacrifici si offrono all'unico Dio, non ai martiri. Il luogo più degno per commemorarli è presso l'altare.
7. Nondimeno, carissimi, da parte nostra, non consideriamo altrettanti dèi i nostri martiri, ai quali in nessun modo sono da paragonarsi quelli, né li adoriamo come dèi. Non è a loro che si offrono templi, non sono per loro gli altari e i sacrifici. Non a loro si destinano sacerdoti: lungi da noi! A Dio sono dedicati. All'opposto, tali onori è a Dio che si rivolgono, dal quale ci vien data ogni cosa. Anche quando facciamo l'offerta presso le reliquie dei martiri non è forse a Dio che la presentiamo? Ai santi martiri è riservato un posto onorevole. Badate bene: la loro commemorazione presso l'altare di Cristo è nel luogo più degno che viene compiuta, tuttavia non sono adorati in vece di Cristo. Quando mai presso le reliquie di san Teogene avete sentito dire da me o da qualche mio fratello e collega o da qualsiasi altro presbitero: offro a te, san Teogene, oppure: offro a te, Pietro, o anche: offro a te, Paolo? Non l'avete mai udito. Non avviene perché non è lecito. E se ti si dica: Adori forse Pietro? Ripeti quel che rispose Eulogio nei riguardi di Fruttuoso: Io non adoro Pietro, ma è Dio che adoro, quel Dio che adora anche Pietro. Allora Pietro prende ad amarti. Infatti, volendo ritenere Pietro quale Dio, tu offendi la pietra e bada a non rimetterci il piede inciampando nella pietra.
I Santi detestano che si renda loro il culto dovuto a Dio.
8. Per farvi capire che è vero quel che vi dico, ascoltate, vi aiuto io. Negli Atti degli Apostoli, poiché l'apostolo Paolo aveva compiuto un grande miracolo in Licaonia, gli abitanti di quella regione o provincia pensarono che gli dèi erano scesi in mezzo agli uomini, e credettero che Barnaba fosse Giove e Paolo fosse Mercurio perché aveva una straordinaria facilità di parola. Convinti di ciò, recarono bende e vittime nell'intenzione di offrire loro un sacrificio. All'istante, quelli non furono colpiti dal ridicolo del fatto, ma ne rimasero terrorizzati; si lacerarono immediatamente le vesti e dissero loro: Che fate mai o fratelli? Anche noi, come voi, siamo uomini mortali; vi annunziamo il Dio vero. Convertitevi da codeste falsità 6. Vedete come i santi abbiano avuto in orrore l'essere adorati quali dèi. Così pure il beato Giovanni Evangelista, scrittore dell'Apocalisse, sopraffatto dallo stupore per le cose mirabili che gli venivano mostrate, ad un tratto, preso da sgomento, cadde ai piedi dell'angelo che andava mostrandogli ogni cosa. Ma l'angelo, al quale non si può paragonare alcun uomo, gli disse: Alzati, che fai? Adora Dio. Perché anch'io sono servo come te e i tuoi fratelli 7. I martiri hanno aborrito le vostre anfore, i vostri vasi per i sacrifici; i martiri hanno aborrito i vostri eccessi. Con questo non intendo offendere quelli di voi che tali cose non fanno; lo riferiscano a se stessi coloro che si comportano così. I martiri hanno detestato un simile comportamento e non hanno affetto per quanti fanno di tali cose. Ma se poi si giungesse all'adorazione nei loro confronti, ne resterebbero molto più sdegnati.
Nella ricorrenza dei martiri bisogna darsi pensiero di seguirne l'esempio. Ai martiri si deve la lode e l'amore, al Dio dei martiri l'adorazione.
9. Perciò, carissimi, siate lieti nelle ricorrenze dei santi martiri: chiedete nella preghiera di poter seguire le loro orme. Non è infatti che voi siete uomini e quelli non sono stati uomini; non è che voi avete avuto una nascita e quelli un'origine diversa; non è che il loro corpo ha avuto una natura d'altro genere del vostro. Tutti noi siamo discendenti di Adamo, tutti noi siamo fermamente decisi a rimanere in Cristo. Lo stesso Signore nostro, lo stesso Capo della Chiesa, l'unigenito Figlio di Dio, il Verbo del Padre, per il quale tutte le cose sono state create, non ha avuto una carne di natura diversa dalla nostra. Per questo ha voluto assumere l'umanità da una vergine e nascere dall'unica carne propria del genere umano. Infatti, se si fosse procurato in altro luogo un corpo, chi crederebbe che aveva quella stessa carne che abbiamo noi? Pur tuttavia, egli aveva una carne simile alla carne del peccato e noi, invece, la carne del peccato. Infatti non l'ha avuta da un padre terreno, cioè dalla concupiscenza dei due sessi. Come dunque? Dall'annunzio del Padre. Eppure, nonostante la sua nascita d'eccezione, si degnò venire al mondo soggetto alla morte, volle morire per noi e redimerci con il suo sangue quanto alla sua natura umana. Attenzione a quel che dico, fratelli; e veramente Cristo stesso, per quanto sia Dio, sia un solo Dio con il Padre, sia il Verbo del Padre, l'Unigenito, uguale al Padre ed eterno come il Padre, in quanto uomo, tuttavia, si è degnato di ricevere l'esistenza, preferì dirsi sacerdote piuttosto che esigere culto da sacerdoti; preferì essere sacrificio piuttosto che pretenderlo; questo, in quanto è uomo. Infatti, in quanto è Dio, tutto quel che si deve al Padre si deve all'unigenito Figlio. Pertanto, carissimi, venerate i martiri, lodateli, amateli, parlate di loro, onorateli; il Dio dei martiri adoratelo. Rivolti al Signore..
1 - Mt 10, 30; Lc 12, 7.
2 - Lc 21, 18.
3 - Ct 4, 16.
4 - Ct 1, 3.
5 - 2 Cor 2, 14-16.
6 - At 14, 10-14.
7 - Ap 19, 10.
5. Adolescenza aperta (1886-1887)
Storia di un'anima - Santa Teresa di Lisieux
Leggilo nella BibliotecaLa grazia del Natale
1886 - Zelo per le anime e prima conquista -Attrazione per la storia e
le scienze - Pie letture - Colloqui con Celina al «belvedere» - Disegno
di entrare al Carmelo a 15 anni - Consenso del babbo - Ostacoli da
parte dello zio Guérin e del superiore del monastero -Infruttuoso
tentativo presso il Vescovo di Bayeux.
132 - Se il Cielo mi colmava di grazie, non era già perché io le
meritassi, ero ancora tanto imperfetta! Avevo, è vero, un gran
desiderio di praticare la virtù, ma lo facevo in un buffo modo, ecco un
esempio: poiché ero l'ultima, non ero avvezza a servirmi, Celina faceva
la camera ove dormivamo e io non facevo nessun lavoro domestico; dopo
che Maria fu entrata nel Carmelo, mi accadeva talvolta, per far piacere
al buon Dio di rifarmi il letto, oppure, in assenza di Celina,
rimettere dentro, a sera, i suoi vasi da fiori: come ho detto, era per
il buon Dio solo che facevo quelle cose, perciò non avrei dovuto
attendere il grazie delle creature. Ahimè! Le cose andavano ben
diversamente; se per disgrazia Celina non aveva l'aspetto felice e
stupito per i miei servizietti, non ero contenta, e glielo provavo con
le lacrime. Ero veramente insopportabile per la mia sensibilità
eccessiva. Così, se mi accadeva di dare involontariamente un po' di
dispiacere a qualcuno cui volessi bene, invece di dominarmi e non
piangere, ciò che ingrandiva il mio errore anziché attenuarlo, piangevo
come una Maddalena, e quando cominciavo a consolarmi della cosa in sé,
piangevo per aver pianto... Tutti i ragionamenti erano inutili e non
potevo arrivare a correggermi di questo brutto difetto.
133 - Non so come io mi cullassi nel pensiero caro di entrare nel
Carmelo, trovandomi ancora nelle fasce dell’infanzia! Bisognò che il
buon Dio facesse un piccolo miracolo per farmi crescere in un momento,
e questo miracolo lo compì nel giorno indimenticabile di Natale; in
quella notte luminosa che rischiara le delizie della Trinità Santa,
Gesù, il Bambino piccolo e dolce di un'ora, trasformò la notte
dell'anima mia in torrenti di luce... In quella notte nella quale egli
si fece debole e sofferente per amor mio, mi rese forte e coraggiosa,
mi rivesti delle sue armi, e da quella notte benedetta in poi, non fui
vinta in alcuna battaglia, anzi, camminai di vittoria in vittoria, e
cominciai, per così dire, una «corsa da gigante». La sorgente delle mie
lacrime fu asciugata e non si apri se non raramente e difficilmente, e
ciò giustificò la parola che mi era stata detta: «Piangi tanto nella
tua infanzia, ché più tardi non avrai più lacrime da versare!». Fu il
25 dicembre 1886 che ricevetti la grazia di uscire dall'infanzia, in
una parola la grazia della mia conversione completa. Tornavamo dalla
Messa di mezzanotte durante la quale avevo avuto la felicità di
ricevere il Dio forte e potente. Arrivando ai Buissonnets mi rallegravo
di andare a prendere le mie scarpette nel camino, quest'antica usanza
ci aveva dato tante gioie nella nostra infanzia, che Celina voleva
continuare a trattarmi come una piccolina, essendo io la più piccola
della famiglia... A Papà piaceva vedere la mia felicità, udire i miei
gridi di gioia mentre tiravo fuori sorpresa su sorpresa dalle «scarpe
incantate» e la gaiezza del mio Re caro aumentava molto la mia
contentezza; ma Gesù, volendomi mostrare che dovevo liberarmi dai
difetti dell'infanzia, mi tolse anche le gioie innocenti di essa;
permise che Papà, stanco dalla Messa di mezzanotte, provasse un senso
di noia vedendo le mie scarpe nel camino, e dicesse delle parole che mi
ferirono il cuore: «Bene, per fortuna che è l'ultimo anno!...». Io
salivo in quel momento la scala per togliermi il cappello; Celina,
conoscendo la mia sensibilità, e vedendo le lacrime nei miei occhi,
ebbe voglia di piangere anche lei, perché mi amava molto, e capiva il
mio dispiacere. «Oh, Teresa! - disse -, non discendere, ti farebbe
troppa pena guardare subito nelle tue scarpe». Ma Teresa non era più la
stessa, Gesù le aveva cambiato il cuore! Reprimendo le lacrime, discesi
rapidamente la scala, e comprimendo i battiti del cuore presi le
scarpe, le posai dinanzi a Papà, e tirai fuori gioiosamente tutti gli
oggetti, con l'aria beata di una regina. Papà rideva, era ridiventato
gaio anche lui, e Celina credeva di sognare! Fortunatamente era una
dolce realtà, la piccola Teresa aveva ritrovato la forza d'animo che
aveva perduta a quattro anni e mezzo, e da ora in poi l'avrebbe
conservata per sempre!
134 - In quella notte di luce cominciò il terzo periodo della mia vita,
più bello degli altri, più colmo di grazie del Cielo. In un istante
l'opera che non avevo potuto compiere in dieci anni, Gesù la fece
contentandosi della mia buona volontà che non mi mancò mai. Come i suoi
apostoli avrei potuto dirgli: «Signore, ho pescato tutta la notte senza
prender nulla»; più misericordioso ancora per me che non per i suoi
discepoli, Gesù prese egli stesso la rete, la gettò e la tirò su piena
di pesci. Fece di me un pescatore di uomini, io sentii un desiderio
grande di lavorare alla conversione dei peccatori, un desiderio che mai
avevo provato così vivamente... Sentii che la carità mi entrava nel
cuore, col bisogno di dimenticare me stessa per far piacere agli altri,
e da allora fui felice! Una domenica, guardando una immagine di Nostro
Signore in Croce, fui colpita dal sangue che cadeva da una mano sua
divina, provai un dolore grande pensando che quel sangue cadeva a terra
senza che alcuno si desse premura di raccoglierlo; e risolsi di tenermi
in ispirito a piè della Croce per ricevere la divina rugiada,
comprendendo che avrei dovuto, in seguito, spargerla sulle anime... Un
grido di Gesù sulla Croce mi echeggiava continuamente nel cuore: «Ho
sete!». Queste parole accendevano in me un ardore sconosciuto e
vivissimo... Volli dare da bere all'Amato, e mi sentii io stessa
divorata dalla sete delle anime. Non erano ancora le anime dei
sacerdoti che mi attraevano, ma quelle dei grandi peccatori, bruciavo
dal desiderio di strapparli alle fiamme eterne...
135 - Per eccitare il mio zelo, Dio mi mostrò che i miei desideri gli
piacevano. Intesi parlare d'un grande criminale, che era stato
condannato a morte per dei delitti orribili, tutto faceva prevedere
ch'egli morisse nell'impenitenza. Volli a qualunque costo impedirgli di
cadere nell'inferno, e per arrivarci usai tutti i mezzi immaginabili;
consapevole che da me stessa non potevo nulla, offersi al buon Dio
tutti i meriti infiniti di Nostro Signore, i tesori della santa Chiesa,
finalmente pregai Celina di far dire una Messa secondo la mia
intenzione, non osando chiederla io stessa per timore d'essere
costretta a confessare ch'era per Pranzini, il grande criminale. Non
volevo dirlo nemmeno a Celina, ma lei mi fece domande così tenere e
pressanti, che le confidai il mio segreto; ben lungi dal prendermi in
giro, mi chiese di aiutarmi a convertire il mio peccatore; accettai con
riconoscenza, perché avrei voluto che tutte le creature si unissero con
me per implorare la grazia a favore del colpevole. Sentivo in fondo al
cuore la certezza che i desideri nostri sarebbero stati appagati; ma,
per darmi coraggio e continuare a pregare per i peccatori, dissi al
buon Dio che ero sicura del suo perdono per lo sciagurato Pranzini: e
che avrei creduto ciò anche se quegli non si fosse confessato e non
avesse dato segno di pentimento, tanta fiducia avevo nella misericordia
infinita di Gesù, ma che gli chiedevo solamente «un segno» di
pentimento per mia semplice consolazione... La mia preghiera fu
esaudita alla lettera! Nonostante la proibizione che Papà ci aveva
posta di leggere giornali, non credetti disobbedire leggendo le notizie
su Pranzini. il giorno seguente alla sua esecuzione capitale mi trovo
in mano il giornale: «La Croix». L'apro con ansia, e che vedo? Ali, le
mie lacrime tradirono la mia emozione, e fui costretta a nascondermi.
Pranzini non si era confessato, era salito sul patibolo e stava per
passare la testa nel lugubre foro, quando a un tratto, preso da una
ispirazione subitanea, si volta, afferra un Crocifisso che il sacerdote
gli presentava, e bacia per tre volte le piaghe divine! Poi l'anima sua
va a ricevere la sentenza misericordiosa di Colui che dice: «Ci sarà
più gioia in Cielo per un solo peccatore il quale faccia penitenza che
per novantanove giusti i quali non ne hanno bisogno...».
136 - Avevo ottenuto «il segno» richiesto, e quel segno era la
riproduzione fedele delle grazie che Gesù mi aveva fatte per attirarmi
a pregare in favore dei peccatori. Non era davanti alle piaghe di Gesù,
vedendo cadere il suo Sangue divino, che la sete delle anime mi era
entrata nel cuore? Volevo dar loro da bere quel Sangue immacolato che
avrebbe purificato le loro macchie, e le labbra del «mio primo figlio»
andarono a posarsi sulle piaghe sante!!! Quale risposta dolcissima! Ah,
dopo quella grazia unica, il mio desiderio di salvare anime crebbe
giorno per giorno; mi pareva udire Gesù che mi dicesse, come alla
Samaritana: «Dammi da bere». Era un vero scambio di amore; alle anime
davo il Sangue di Gesù, a Gesù offrivo quelle anime stesse rinfrescate
dalla rugiada divina; mi pareva così di dissetano, e più gli davo da
bere più la sete della mia povera anima cresceva, ed era quella sete
ardente che egli mi dava come la bevanda più deliziosa del suo amore.
137 - In poco tempo il Signore aveva saputo trarmi fuori dal circolo
angusto entro il quale mi dibattevo senza sapere come uscirne. Vedendo
il cammino che mi fece percorrere, la mia riconoscenza e grande, ma
bisogna bene che ne convenga, se il passo più importante era fatto, mi
restavano ancora molte cose da lasciare. Liberato dagli scrupoli, dalla
sensibilità eccessiva, lo spirito mio si sviluppò. Avevo amato sempre
il grande, il bello, ma a quel tempo fui presa da un desiderio estremo
di sapere. Senza contentarmi delle lezioni e dei compiti che mi dava la
mia maestra, mi dedicavo da sola a studi speciali di storia e di
scienze. Gli altri studi mi lasciavano indifferente, ma questi due rami
attraevano tutta la mia attenzione; così, in pochi mesi, acquistai più
nozioni che durante anni di studi. Ah, ciò non era che vanità e
afflizione di spirito. Il capitolo della Imitazione che parla di
scienze mi tornava spesso alla mente, ma io trovavo il modo per
continuare ugualmente, e dicevo a me stessa che, essendo in età di
studiare, non c'era male nel farlo. Credo di non avere offeso il buon
Dio (nonostante che riconosca di aver speso in queste cose un tempo
inutile), perché impegnavo nello studio soltanto un limitato numero di
ore, e per mortificare il mio desiderio troppo vivo di sapere, volevo
non superare questo limite. Ero nell'età più pericolosa per le
giovanette, ma il Signore ha fatto per me ciò che racconta Ezechiele
nelle sue profezie: «Passandomi vicino, Gesù ha visto che il tempo era
venuto per me di essere amata, ha fatto alleanza con me, e sono
divenuta sua. Ha spiegato sopra di me il suo manto, mi ha lavata in
profumi preziosi, mi ha ricoperta di vesti ricamate, abbigliandomi di
collane e ornamenti inestimabili... Mi ha nutrita della farina più
pura, di miele e d'olio in abbondanza... allora sono divenuta bella
agli occhi di lui, ed egli ha fatto di me una regina potente!...».
138 - Si, Gesù ha fatto per me tutto questo, potrei riprendere ciascuna
parola che ho scritto, e provare che si è avverata in mio favore, ma le
grazie che ho raccontato poco fa offrono una prova sufficiente; parlerò
soltanto del nutrimento che mi è stato prodigato «in abbondanza». Da
lungo tempo mi nutrivo della «pura farina» contenuta nella Imitazione,
era l'unico libro che mi facesse del bene, perché non avevo ancora
trovato i tesori nascosti nel Vangelo. Sapevo a memoria quasi tutti i
capitoli della mia cara Imitazione, questo libretto non mi abbandonava
mai; d'estate lo portavo in tasca, d'inverno nel manicotto, in tal modo
era divenuto tradizionale; in casa della zia si divertivano molto
aprendolo a caso, e facendomi recitare il capitolo che si trovava
davanti agli occhi. A quattordici anni, dato il mio desiderio di
scienza, il buon Dio giudicò necessario unire alla «pura farina»,
«miele ed olio in abbondanza». Quel miele e quell'olio me li fece
trovare nelle conferenze del reverendo Don Arminjon sulla fine del
mondo presente e i misteri della vita futura. Questo libro l'avevano
prestato a Papà le mie care Carmelitane, e così, contrariamente alle
mie abitudini (perché non leggevo i libri di Papà), chiesi di leggerlo.
Quella lettura fu anch'essa una delle grazie più grandi della mia vita,
la feci accanto alla finestra della mia stanza da studio, e
l'impressione che ancora ne risento è troppo intima e dolce perché io
possa esprimerla. Tutte le grandi verità della religione, i misteri
dell'eternità, immergevano l'anima mia in una felicità che non era di
questa terra... Presentivo ciò che Dio riserva a coloro che l'amano
(non già con l'occhio dell'uomo, bensì con quello del cuore), e vedendo
che le ricompense eterne non hanno proporzione alcuna con i leggeri
sacrifici della vita, volevo amare, amare Gesù con passione, dargli
mille prove d'amore finché lo potevo ancora. Copiai vari passi sul
perfetto amore e sull'accoglienza che il buon Dio farà ai suoi eletti
nel momento in cui egli stesso diverrà la loro grande, eterna
ricompensa; ripetevo continuamente le parole d'amore che mi avevano
incendiato il cuore.
139 - Celina era divenuta la confidente intima dei miei pensieri; dal
Natale in poi, potevamo capirci, la distanza di età non esisteva più,
poiché ero divenuta grande di statura e soprattutto in grazia. Prima di
quel tempo mi lamentavo spesso di non conoscere i segreti di Celina,
lei mi diceva che ero troppo piccola, bisognava ch'io crescessi quanto
«l'altezza di un panchettino» perché lei potesse aver fiducia in me. Mi
piaceva di salire su quel prezioso panchettino quando ero accanto a
lei, e le dicevo di parlarmi intimamente, ma il mio stratagemma era
inutile, una certa distanza ci separava ancora! Gesù, che voleva farci
progredire insieme, formò nei nostri cuori dei vincoli più forti di
quelli del sangue. Ci fece diventare sorelle d'anima, in noi si
tradussero in pratica queste parole del Cantico di san Giovanni della
Croce (parlando al suo Sposo, la sposa esclama): «Seguendo le tue orme,
le giovani percorrono con passo lieve il cammino, il contatto con la
scintilla, il vino aromatico, suscitano in esse delle aspirazioni
divinamente profumate». Sì, con passo ben lieve noi seguivamo le orme
di Gesù; le scintille d'amore che egli seminava a piene mani nelle
anime nostre, il vino delizioso e forte che ci dava da bere, faceva
sparire ai nostri occhi le cose passeggere, e dalle nostre labbra
uscivano aspirazioni d'amore da lui stesso ispirate. Com'erano dolci le
conversazioni che avevamo ogni sera nel belvedere! Lo sguardo
abbandonato alle lontananze, contemplavamo la luna bianca che si alzava
lenta dai grandi alberi... i riflessi argentei che diffondeva sulla
natura addormentata... le stelle che scintillavano nell'azzurro
profondo, il soffio lieve della brezza nella tarda sera faceva
fluttuare le nuvole nevose, tutto elevava le anime nostre verso il
Cielo, il Cielo bello del quale ancora non vedevamo se non il «rovescio
limpido». Non so se sbaglio, ma mi pare che l'abbandono delle nostre
anime somigliasse a quello di santa Monica con suo figlio quando, al
porto di Ostia, restavano perduti nell'estasi alla vista delle
meraviglie operate dal Creatore! Mi sembra che ricevevamo grazie di un
ordine tanto elevato come quelle concesse ai grandi santi. Come dice
l'Imitazione, il Signore si comunica talvolta in mezzo a un vivo
splendore, oppure «velato dolcemente sotto ombre o simboli»; era in
questo modo che si degnava manifestarsi alle nostre anime, ma com'era
trasparente e leggero il velo che ci nascondeva Gesù! il dubbio non era
possibile, già la fede e la speranza non erano più necessarie, l'amore
ci faceva trovare sulla terra colui che cercavamo. “Avendolo trovato
solo, egli ci aveva dato il suo bacio, affinché nell’avvenire nessuno
potesse disprezzarci”.
140 - Grazie tanto grandi non dovevano rimanere prive di frutti, e
questi anzi furono abbondanti, la pratica della virtù ci divenne dolce
e naturale; dapprincipio il mio viso tradiva spesso il combattimento,
ma a poco a poco quella espressione scomparve; e la rinuncia mi divenne
facile anche dal primo istante. Gesù l'ha detto: «A colui che possiede,
verrà dato ancora, e sarà nell'abbondanza». Per una grazia ricevuta
fedelmente, egli me ne concedeva molte altre... Si dava egli stesso a
me nella santa Comunione più spesso di quanto avrei osato sperare.
Avevo preso per regola di condotta di fare, senza ometterne una sola,
le Comunioni che il confessore mi avrebbe permesse, ma di lasciare che
egli ne stabilisse il numero, senza mai chiedergliele. A quel tempo non
avevo affatto l'audacia che possiedo ora, altrimenti avrei agito in
modo diverso, perché sono ben sicura che un'anima deve dire al
confessore quale attrattiva provi per ricevere il suo Dio; non è per
restare nel ciborio d'oro che egli discende ogni giorno dal Cielo, ma è
per trovare un altro Cielo che gli è infinitamente più caro del primo:
il Cielo dell'anima nostra, fatta a immagine sua, il tempio vivo
dell'adorabile Trinità! Gesù vedeva il mio desiderio e la dirittura del
mio cuore; permise che durante il mese di maggio il confessore mi
dicesse di fare la santa Comunione quattro volte la settimana, e
passato quel bel mese ne aggiunse una quinta per ogni volta che
capitasse una festa. Quando uscii dal confessionale, piangevo con tanta
dolcezza; mi pareva che Gesù stesso volesse darsi a me, perché la mia
confessione era breve, non dicevo mai una parola dei miei sentimenti
intimi, essendo così dritta la via su cui camminavo, e così luminosa
che non mi occorreva altra guida se non Gesù. Paragonavo i direttori a
specchi fedeli che riflettessero Gesù nelle anime, e dicevo che per me
il buon Dio non si serviva d'intermediario, bensì agiva direttamente!
lasciarlo sospeso all'albero, bensì per presentano sopra una tavola
servita brillantemente. Con una intenzione simile Gesù prodigava le sue
grazie all'umile fiore. Gesù che, ai tempi della sua vita terrena,
esclamava in un impeto di gioia: «Padre mio, ti benedico perché hai
nascosto queste cose ai saggi e ai potenti, e le hai rivelate ai più
piccoli!», voleva far rifulgere in me la sua misericordia; perché ero
piccola e debole si abbassava verso me, m'istruiva in segreto delle
cose del suo amore. Ah, se i sapienti, dopo aver passato la loro vita
negli studi, fossero venuti a interrogarmi, senza dubbio sarebbero
rimasti meravigliati vedendo una fanciulla di quattordici anni capire i
segreti della perfezione, segreti che tutta la loro scienza non può
scoprire, poiché per possederli bisogna essere poveri di spirito! Come
dice san Giovanni della Croce nel suo Cantico: «Non avevo né guida, né
luce, fuorché quella che mi splendeva nel cuore, quella luce mi guidava
più sicuramente che il fulgore meridiano al luogo ove mi attendeva
Colui che mi conosce perfettamente» 20 Quel luogo, era il Carmelo;
prima di «riposarmi all'ombra di Colui che desideravo», dovevo passare
per tante prove, ma la chiamata divina era così pressante che, se anche
avessi dovuto traversare le fiamme, l'avrei fatto per essere fedele a
Gesù...
142 - Per incoraggiarmi nella vocazione trovai una sola anima, quella
della mia Madre cara... il cuore mio trovò nel suo una eco fedele, e
senza di lei certamente non sarei arrivata alla riva benedetta che
aveva accolto anche lei cinque anni prima sopra una terra permeata di
rugiada celeste. Si, da cinque anni ero lontana da lei, Madre cara,
credevo di averla perduta, ma al momento della prova fu la mano sua che
m'indicò il cammino. Avevo bisogno di questo conforto, perché le mie
conversazioni al Carmelo mi erano divenute più e più penose, non potevo
parlare del mio desiderio d'entrare senza sentirmi respinta. Maria,
pensando che fossi troppo giovane, faceva tutto il possibile per
impedire il mio ingresso; lei stessa, Madre, per provarmi, tentava
qualche volta di attenuare il mio ardore; insomma, se non avessi avuto
davvero la vocazione, mi sarei fermata fin dall'inizio, perché
incontravo ostacoli appena cominciavo a rispondere alla chiamata di
Gesù. Non volli dire a Celina il mio desiderio di entrare così giovane
nel Carmelo, e ciò mi fece soffrire di più perché mi era ben difficile
nasconderle qualche cosa... La sofferenza non durò a lungo, ben presto
la mia sorella cara seppe la mia decisione, e lungi dal tentare di
dissuadermi, accettò con coraggio mirabile il sacrificio che il buon
Dio le chiedeva; per capire quanto fu grande, bisognerebbe sapere fino
a che punto eravamo unite. Era, per così dire, la stessa anima che ci
faceva vivere; da pochi mesi godevamo insieme la vita più dolce che due
giovanette possano sognare; tutto, intorno a noi, rispondeva ai nostri
gusti, la libertà più grande ci era concessa, insomma io dicevo che la
nostra vita sulla terra era l'ideale della felicita'... Avevamo avuto
appena il tempo per gustare questo ideale di felicita' che bisognava
distoglierci da esso liberamente, e la mia Celina non si ribellò
nemmeno per un attimo. Eppure, non era lei che Gesù chiamava per prima,
e perciò ella avrebbe potuto lamentarsi; avendo la mia stessa
vocazione, stava a lei partire: ma, come ai tempi dei martiri, quelli
che restavano nella prigione davano gioiosamente il bacio di pace ai
fratelli i quali partivano primi per combattere nell'arena, e si
consolavano col pensiero che forse essi erano riservati a certami
ancora più grandi; così Celina lasciò che la sua Teresa si allontanasse
e restò sola per la gloriosa e sanguinosa prova alla quale Gesù la
destinava come privilegiata del suo amore!
143 - Celina divenne dunque la confidente delle mie lotte e dei miei
patimenti, e prese parte ad essi come se si fosse trattato della
vocazione sua; da parte di lei non avevo da temere opposizione, ma non
sapevo che strada prendere per dare l'annuncio a Papà. Come parlargli
di lasciar la sua regina, a lui che aveva sacrificato le sue tre
maggiori? Ah, i conflitti intimi che ho sofferto prima di sentirmi il
coraggio di parlare! E tuttavia bisognava che mi decidessi; avevo
quattordici anni e mezzo, sei mesi soltanto ci separavano dalla bella
notte di Natale nella quale avevo deciso di entrare, nell'ora stessa in
cui, l'anno precedente, avevo ricevuto la «mia grazia». Per fare la mia
grande rivelazione scelsi il giorno di Pentecoste; per tutta la
giornata supplicai i santi Apostoli di pregare per me, di ispirarmi le
parole che dovevo dire... Toccava pure loro di aiutare la bambina
timida che Dio destinava a divenire l'apostolo degli apostoli per mezzo
della preghiera e del sacrificio! Soltanto nel pomeriggio, tornando dai
vespri, trovai l'occasione per parlare al mio Babbo carissimo; era
andato a sedersi sul bordo della vasca, e, con le mani giunte,
contemplava le meraviglie della natura; il sole con la sua luce
raddolcita dorava le cime dei grandi alberi ove gli uccelli cantavano
gioiosi la loro preghiera della sera. il bel volto di Papà aveva una
espressione celeste, sentivo che la pace gli inondava il cuore; senza
dire una parola mi sedetti accanto a lui, gli occhi pieni di pianto; mi
guardò con tenerezza, mi prese la testa e l'appoggiò sul suo cuore,
dicendomi: «Che cos'hai, reginetta? Confidamelo». Poi, alzandosi come
per nascondere la propria emozione, camminò lentamente tenendomi sempre
la testa appoggiata sul suo cuore. Tra le lacrime gli confidai che
desideravo entrare nel Carmelo; allora le lacrime sue si unirono alle
mie, ma non disse una parola per distogliermi dalla mia vocazione; si
contentò di farmi osservare che ero molto giovane per prendere una
decisione tanto grave. Ma io difesi la mia causa tanto bene che Papà,
con la sua natura semplice e dritta, fu convinto ben presto che il mio
desiderio era di Dio stesso, e, nella sua fede profonda, esclamò che
Dio gli faceva un grande onore chiedendogli così le sue figlie.
Continuammo a lungo la nostra passeggiata; il cuore mio, sollevato
dalla bontà con la quale era stata accolta la sua rivelazione dal Padre
mio incomparabile, si apriva dolcemente nel cuore di lui. Pareva che
Papà godesse di quella gioia tranquilla che dà il sacrificio consumato,
mi parlò come un santo, e vorrei ricordare le sue parole per scriverle
qui, ma ho conservato di esse un ricordo troppo profumato perché si
possa tradurlo. Mi ricordo perfettamente l'azione simbolica che il mio
Re compì senza saperlo. Si avvicinò ad un muricciolo, mi mostrò dei
fiorellini bianchi che crescevano su di esso simili a gigli in
miniatura, poi ne prese uno e me lo dette, spiegandomi con quanta cura
il buon Dio l'aveva fatto nascere e l'aveva custodito fino a quel
giorno; ascoltando, io credevo di udire la storia mia, tanta era la
somiglianza tra quello che Gesù aveva fatto per il mughetto umile e per
la piccola Teresa. Ricevetti quel fiore come una reliquia, e vidi che,
cogliendolo, Papà aveva divelto tutte le radici esili senza spezzarle;
quasi affinché vivesse ancora in un'altra terra più fertile del muschio
tenero nel quale erano trascorsi i suoi primi giorni. Era proprio
questo medesimo atto che Papà aveva fatto per me qualche istante prima,
permettendomi di salire la montagna del Carmelo e lasciare la vallata
dolce nella quale avevo mosso i primi passi. Posi il tenue calice
bianco nella mia Imitazione, al capitolo intitolato: «Che bisogna amare
Gesù al disopra di tutto», ed è ancora li, soltanto lo stelo si è
spezzato proprio in un punto vicino alla radice, e il buon Dio sembra
voglia dire con ciò che romperà presto i legami del suo fiorellino, e
non lo lascerà appassire sulla terra
144 - Dopo avere ottenuto il consenso di Papà, credevo di potere
entrare senza timore al Carmelo, ma delle vicende molto dolorose
dovevano ancora mettere alla prova la mia vocazione. Tremando confidai
allo zio la risoluzione presa. Mi rispose con tutta la possibile
tenerezza, ma non mi dette il consenso alla partenza, anzi, mi proibì
di riparlargli di vocazione prima di avere diciassette anni. Era
contrario alla prudenza umana - diceva - fare entrare nel Carmelo una
bambina di quindici anni; la vita di carmelitana essendo agli occhi del
mondo una vita da filosofi, si farebbe gran torto alla religione
permettendo ad una fanciulla priva di esperienza di abbracciarla. Tutti
ne parlerebbero, ecc. ecc. Disse perfino che per decidere lui a farmi
partire sarebbe stato necessario un miracolo. Vidi bene che tutti i
ragionamenti erano inutili, perciò mi ritirai, col cuore immerso
nell'amarezza più profonda. Unica mia consolazione: la preghiera.
Supplicavo Gesù di fare il miracolo richiesto, poiché soltanto a quel
prezzo avrei potuto rispondere al suo appello. Passò un tempo assai
lungo prima che osassi parlare nuovamente allo zio; mi costava
sommamente andare da lui; da parte sua pareva ch'egli non pensasse più
alla mia vocazione, ma ho saputo più tardi che la mia grande tristezza
gli fece una impressione profonda a mio favore. Prima di far splendere
sull'anima mia un raggio di speranza, piacque al Signore di mandarmi un
martirio molto doloroso che durò tre giorni, Oh, mai ho capito tanto
bene come durante quella prova, il dolore della Vergine Santissima e di
san Giuseppe alla ricerca di Gesù Bambino. Ero in un deserto triste, o
piuttosto l'anima mia era simile allo scafo fragile privo di nocchiero,
in balìa della tempesta. Lo so, Gesù era presente, assopito nella mia
barchetta, ma la notte era così nera che non potevo vederlo; niente
m'illuminava, nemmeno un lampo che solcasse le nuvole oscure. Certo, è
ben triste il bagliore dei lampi, ma almeno, se il temporale fosse
scoppiato apertamente, avrei potuto forse intravedere Gesù per un
attimo... invece, la notte, profonda notte dell'anima... Come Gesù nel
giardino dell'agonia mi sentivo sola, non trovavo consolazione né in
terra, né dalla parte del Cielo, pareva che il buon Dio mi avesse
abbandonata! E pareva anche che la natura prendesse parte alla mia
tristezza amara; durante quei tre giorni il sole non ebbe un raggio, e
la pioggia cadde a torrenti. (Ho notato che, in tutte le circostanze
gravi della mia vita, la natura era l'immagine dell'anima mia. Nei
giorni di pianto, il Cielo piangeva con me, nei giorni di gioia, il
sole splendeva e l'azzurro era puro). Finalmente il quarto giorno, un
sabato, giorno consacrato alla dolce Regina dei Cieli, andai a trovare
lo zio. Come rimasi sorpresa vedendo che mi guardava e mi faceva
entrare nel suo studio senza che io gli avessi detto nulla! Cominciò
col farmi dolci rimproveri perché avevo paura di lui, e poi mi disse:
«Non è necessario chiedere un miracolo, ho soltanto pregato il Signore
che mi dia "un semplice orientamento del cuore" e sono stato esaudito».
Ah! io non fui più tentata di implorare un miracolo perché, secondo me,
il miracolo era già concesso, lo zio non era più lui. Senza più alcuna
allusione alla «prudenza umana» mi disse: «Tu sei un fiorellino che Dio
vuole cogliere, e io non mi oppongo più».
145 - Questa risposta definitiva era degna davvero di lui. Per la terza
volta questo cristiano di altri tempi permetteva che una figlia
adottiva del suo cuore andasse a seppellirsi lontana dal mondo. La zia
fu mirabile anche lei per tenerezza e prudenza; non ricordo che,
durante la mia prova, ella abbia detto una sola parola tale da
aumentarmi la sofferenza, vedevo invece che aveva grande compassione
della povera piccola Teresa, così, quand'ebbi ottenuto il consenso
dello zio tanto caro, lei mi dette il suo, ma non senza mostrarmi in
mille modi che la mia partenza l'avrebbe addolorata. Ahimè! i nostri
cari parenti erano ben lungi da prevedere che avrebbero dovuto
rinnovare per due volte ancora il medesimo sacrificio. Ma, tendendo la
mano per chiedere sempre, il buon Dio non la presentò vuota: i suoi
amici poterono attingere in abbondanza la forza e il coraggio
necessari... Ma ecco il cuore che mi trascina lungi dal mio soggetto,
ci ritorno quasi con rincrescimento: dopo la risposta dello zio, lei
capisce, Madre, con quale allegrezza ripresi la via dei Buissonnets,
sotto «il bel cielo, da cui le nubi si erano completamente dissipate!».
Anche nell'anima mia la notte era finita. Gesù svegliandosi mi aveva
ridato la gioia, il fragore delle ondate si era placato: invece del
vento della prova, un soffio lieve gonfiava la mia vela e io credevo di
arrivare ben presto alla riva benedetta che scorgevo tanto vicina. In
realtà era vicina, ma più di un temporale doveva ancora sorgere e,
offuscando la vista del faro, farmi temere di essermi allontanata,
senza ritorno, dalla spiaggia ambita.
146 - Pochi giorni dopo avere ottenuto il consenso dello zio, venni a
trovarla, Madre mia cara, e le dissi la mia gioia che tutte le prove
fossero passate; ma quale sorpresa ebbi, e quale dolore, sapendo da lei
che il Superiore non acconsentiva al mio ingresso prima dei miei ventun
anni! Nessuno aveva pensato a questa opposizione, più invincibile delle
altre; tuttavia, senza perdermi di coraggio, andai io stessa con Papà e
Celina da Nostro Padre, per cercare di commuoverlo, dimostrandogli che
avevo, sì, la vocazione al Carmelo! Ci ricevette molto freddamente; il
mio Babbo ineguagliabile ebbe un bell'unire le sue istanze alle mie,
niente poté mutare la sua disposizione. Mi disse che non c'erano
pericoli nell'attesa, che potevo ben fare vita carmelitana nella mia
casa, che se non avessi preso la disciplina niente si sarebbe perduto,
ecc. ecc. e finì per aggiungere che egli era soltanto il delegato di
Monsignore e che, se Monsignore stesso avesse voluto permettermi di
entrare nel Carmelo, lui non avrebbe avuto più nulla da dire... Uscii
tutta in lacrime dalla canonica, fortunatamente ero nascosta sotto
l'ombrello, perché la pioggia cadeva a torrenti. Papà non sapeva come
consolarmi... Mi promise di condurmi a Bayeux appena lo desiderassi
perché ero risoluta a raggiungere il mio scopo, e dissi che sarei
andata perfino dal Santo Padre, se Monsignore non mi avesse permesso di
entrare nel Carmelo a quindici anni.
147 - Molti eventi accaddero prima del mio viaggio a Bayeux; al di
fuori la vita mia pareva la stessa, studiavo, prendevo lezioni di
disegno con Celina, e la mia abile maestra mi attribuiva molta
disposizione per quell'arte. Soprattutto crescevo nell'amore del buon
Dio, sentivo nel mio cuore degli slanci sconosciuti fino allora,
talvolta avevo dei veri impeti d'amore. Una sera, non sapendo come dire
a Gesù che lo amavo, e quanto desideravo ch'egli fosse amato e
glorificato dovunque, pensai con dolore ch'egli non avrebbe mai potuto
ricevere un solo atto d'amore dall'inferno; allora dissi al buon Dio
che, per fargli piacere, avrei acconsentito a vedermi sprofondata là,
affinché egli fosse amato eternamente in quel luogo di bestemmia...
Sapevo che questo non avrebbe potuto glorificare Dio, poiché egli
desidera la nostra felicità, ma, quando si ama, si prova il bisogno di
dire mille follie; parlavo in quel modo, non già perché non avessi la
brama del Cielo, ma allora il mio Cielo, proprio mio, non era altro che
l'Amore, e sentivo come san Paolo che niente avrebbe potuto distaccarmi
da Dio che mi aveva rapita.
148 - Prima di lasciare il mondo, il buon Dio mi dette la consolazione
di contemplare da vicino delle anime di bimbi; essendo la più piccola
in famiglia, non avevo mai avuto questa gioia, ed ecco le tristi
circostanze che me la procurarono: una povera donna, parente della
nostra cameriera, morì nel fiore dell'età lasciando tre figli
piccolissimi; durante la malattia di lei prendemmo a casa nostra le due
piccine - la maggiore non aveva sei anni! -; io me ne occupai per tutta
la giornata, ed era un gran piacere per me vedere come esse credessero
tutto quello che dicevo io. Bisogna pure che il santo Battesimo deponga
nelle anime un germe ben profondo delle virtù teologali, poiché si
rivelano fin dall'infanzia, e poiché la speranza dei beni futuri basta
per fare accettare dei sacrifici. Quando volevo vedere le mie due
bimbette molto concilianti una verso l'altra, invece di promettere
giocattoli e dolci a quella che avrebbe ceduto di fronte alla sorella,
parlavo loro delle ricompense eterne che Gesù Bambino avrebbe dato, nel
Cielo, ai bambini buoni; la maggiore, il cui intelletto cominciava a
svilupparsi, mi guardava con occhi brillanti di gioia, mi faceva mille
domande deliziose su Gesù Bambino e il suo Cielo bello, e mi prometteva
con entusiasmo di cedere sempre a sua sorella; diceva che mai in vita
sua avrebbe dimenticato ciò che le aveva detto la «signorina grande»,
mi chiamava così. Vedendo da vicino quelle anime innocenti, ho capito
quale sventura sia di non formarle bene fin dal loro risveglio,
allorché somigliano a una cera molle sulla quale si può imprimere la
virtù, ma anche il male... ho capito ciò che Gesù ha detto nel Vangelo:
«Che sarebbe meglio essere buttati in mare piuttosto che scandalizzare
uno solo di quei bimbi». Ah! quante anime arriverebbero alla santità se
fossero ben dirette!
149 - Lo so bene, il Signore non ha bisogno di nessuno per far l'opera
sua, ma come permette a un giardiniere abile di coltivare piante rare e
delicate, e gli dà le cognizioni necessarie per far ciò, riservando a
sé la cura di fecondarle, così Gesù vuole essere aiutato nella sua
divina cultura delle anime. Che cosa accadrebbe se un giardiniere
maldestro non innestasse bene i suoi arbusti? Se non sapesse
riconoscere la natura di ciascuno e volesse far sbocciare delle rose
sopra un pesco? Farebbe morir l'albero che tuttavia era buono e atto a
produrre frutti. Così bisogna sapere riconoscere fin dall'infanzia ciò
che il buon Dio chiede alle anime, e assecondare l'azione della sua
grazia, senza mai precorrerla né rallentarla. Come gli uccellini
imparano a cantare ascoltando i loro genitori, così i figli imparano la
scienza della virtù, il canto sublime dell'amor divino, dalle anime che
dovranno formarli alla vita. Ricordo che tra i miei uccellini c era un
canarino che cantava a meraviglia e avevo anche un piccolo fanello al
quale prodigavo le mie cure materne, poiché l'avevo adottato prima che
avesse potuto godere della libertà. Questo povero prigioniero piccino
piccino non aveva genitori che gli insegnassero a cantare, ma,
ascoltando da mattina a sera il suo compagno canarino che gorgheggiava
gioiosamente, volle imitarlo. Era un'impresa difficile per un fanello,
e così la sua voce dolce ebbe un bel daffare per accordarsi con la voce
vibrante del musico maestro. Era incantevole assistere ai tentativi del
piccolino, eppure da ultimo ebbero un buon successo, perché il canto
suo, pur conservando una ben maggiore dolcezza, fu assolutamente lo
stesso di quello del canarmo. Oh, Madre mia cara! E lei che mi ha
insegnato a cantare... è la voce sua che mi ha affascinata fin
dall'infanzia ed ora ho la consolazione di sentir dire che le somiglio!
So quanto ne sono ancora lontana, ma spero, nonostante la mia
debolezza, ripetere eternamente lo stesso cantico suo.
150 - Prima che entrassi al Carmelo, ebbi ancora varie esperienze
riguardo alla vita e alle miserie del mondo, ma questi particolari mi
trascinerebbero troppo lontana; riprenderò il racconto della mia
vocazione. Il 31 ottobre fu il giorno fissato per il mio viaggio a
Bayeux. Partii sola con Papà, pieno il cuore di speranza, ma anche di
emozione per la prospettiva di presentarmi al vescovado. Per la prima
volta in vita mia avevo da fare una visita senza essere accompagnata
dalle mie sorelle, e si trattava della visita a un Vescovo. Io, che non
provavo mai il bisogno di parlare se non per rispondere alle domande
rivoltemi, dovevo spiegare io stessa lo scopo della mia visita,
chiarire le ragioni che mi facevano chiedere l'ingresso nel Carmelo;
insomma, dovevo dimostrare la solidità della mia vocazione. Quanto mi
costò fare quel viaggio! Bisognò che il buon Dio mi concedesse una
grazia ben particolare perché io potessi superare la mia grande
timidezza. È vero altresì che «mai l’Amore trova impossibile, perché si
crede tutto possibile e tutto permesso». Era davvero il solo amore di
Gesù che poteva farmi vincere quelle difficoltà e quelle che seguirono,
perché egli si compiacque di farmi pagare la vocazione a prezzo di
grandi prove. Oggi che godo la solitudine del Carmelo («riposandomi
all’ombra di Colui che ho desiderato con tanto ardore»), mi pare di
aver conseguito la mia felicità a prezzo lievissimo, e sarei pronta a
sopportare sofferenze molto più gravi per conquiderla, se non la
possedessi ancora!
151 - Pioveva a torrenti quando arrivammo a Bayeux; Papà non voleva
veder la sua reginetta entrare nel vescovado con la sua bella toilette
tutta intrisa, e perciò la fece salire sopra un omnibus, fino alla
cattedrale. Là cominciarono i guai: Monsignore e tutto il clero
assistevano a un funerale solenne. La chiesa era piena di signore in
lutto e tutti guardavano me, il mio vestito chiaro e il cappello
bianco; avrei voluto uscir dalla chiesa, ma non c'era da pensarci a
causa della pioggia, e per umiliarmi ancor più il buon Dio permise che
Papà, nella sua semplicità patriarcale, mi facesse arrivare fino in
cima alla cattedrale; non volendo fargli dispiacere, mi risolsi a farlo
con buon garbo e procurai quella distrazione ai bravi abitanti di
Bayeux che avrei desiderato non aver mai incontrati... Potei finalmente
respirare a modo mio in una cappella dietro all'altar maggiore, e mi ci
trattenni lungo tempo, pregando con fervore, mentre aspettavamo che
spiovesse, e ci fosse possibile uscire. Attraversando di nuovo la
chiesa, Papà mi fece ammirare la bellezza dell'architettura, lo spazio
pareva più ampio ora che era vuoto, ma quanto a me, un pensiero unico
mi dominava, e io non potevo prender gusto a nulla. Andammo
direttamente da Mons. Révérony, il quale era edotto del nostro arrivo,
poiché aveva fissato egli stesso il giorno del viaggio; ma non c'era.
Fummo costretti, perciò, a vagare per le strade, che mi parvero ben
tristi; finalmente ritornammo verso la curia, e Papà mi fece entrare in
un bell'albergo ove non feci onore al bravo cuoco. Povero caro Babbo
mio, aveva per me una tenerezza quasi incredibile, mi diceva di non
affliggermi, ché certamente Monsignore avrebbe acconsentito.
152 - Ci riposammo, poi tornammo da Mons. Révérony; nello stesso tempo
arrivò un signore, ma il vicario generale gli chiese gentilmente di
volere attendere, e ci fece entrare per primi nel suo studio (quel
povero signore ebbe il tempo di annoiarsi, perché la visita fu lunga).
Mons. Révérony si mostrò molto amabile, ma credo che il motivo del
nostro viaggio lo meravigliò assai; dopo avermi guardata sorridendo, e
avermi fatto qualche domanda, ci disse: «Vi presenterò a Monsignor
Vescovo, vogliate seguirmi». Vedendo che avevo le lacrime agli occhi,
mi disse: «Ah!... vedo dei diamanti... non bisogna mostrarli a
Monsignor Vescovo!». Ci fece attraversare varie stanze ampie, ornate da
ritratti di vescovi; vedendomi in quei saloni, mi facevo l'effetto di
una formica piccina piccina, e mi domandavo cosa avrei saputo dire a
Monsignor Vescovo; egli passeggiava in mezzo a due sacerdoti in una
galleria, vidi Mons. Révérony che gli diceva qualche parola, poi
tornarono verso noi. Noi attendevamo nello studio; tre poltrone enormi
erano collocate davanti al camino, e il fuoco era vivace ed alto.
Vedemmo entrare Sua Eccellenza, Papà si inginocchiò accanto a me per
ricevere la benedizione, poi Monsignor Vescovo fece accomodare Papà in
una poltrona, si mise egli stesso di faccia a lui, e Mons. Révérony
volle farmi occupare la poltrona in mezzo; rifiutai gentilmente, ma
insistette, dicendomi di far vedere se sapevo obbedire; mi sedetti
subito senza altre riflessioni ed ebbi la confusione di vedere che lui
prendeva una sedia, mentre io mi trovavo sprofondata in un seggio nel
quale sarebbero state comodamente ben quattro come me (più comode di
me, perché io ero ben lungi dal sentirmi tale!). Speravo che Papà
cominciasse a parlare, ma invece mi disse di spiegare io stessa a
Monsignore lo scopo della nostra visita; lo feci con tutta la possibile
eloquenza, ma “a Grandeur”, abituato all'eloquenza non parve gran che
commosso dai miei ragionamenti; in sostituzione di questi, una parola
sola del reverendo superiore mi avrebbe giovato di più; sventuratamente
non ne potevo produrre, ed anzi l'opposizione di lui non patrocinava
certo la mia causa.
153 - Monsignor Vescovo mi domandò se da lungo tempo aspiravo al
Carmelo. «Oh, si, Eccellenza, da ben lungo tempo». - «Vediamo - rispose
ridendo Mons. Révérony - non potrà dirci che ha questo desiderio da
quindici anni». - «E vero - risposi sorridendo anch'io - ma non ci sono
molti anni da defalcare, perché ho desiderato farmi religiosa fin dal
risveglio del mio intelletto, e ho desiderato il Carmelo, appena l'ho
conosciuto bene, perché trovavo che, in quell'Ordine, sarebbero
appagate tutte le aspirazioni dell'anima mia». Non so, Madre mia, se
dissi proprio così, credo di essermi spiegata anche peggio, ma insomma
il senso era questo. Monsignor Vescovo, credendo di far piacere a Papà,
cercò di farmi trattenere ancora qualche anno presso di lui, e rimase
non poco stupito ed edificato vedendo che Papà stesso abbracciava la
mia causa e intercedeva affinché ottenessi il permesso di volar via a
quindici anni. Tuttavia, tutto fu vano; il Vescovo disse che, prima di
decidere, gli era necessario un colloquio col Superiore del Carmelo. Io
non potevo ascoltare parola più penosa, perché conoscevo l'opposizione
netta di Nostro Padre, perciò, senza tener conto della raccomandazione
di Mons. Révérony, feci ben più che mostrare i miei diamanti a
Monsignor Vescovo, gliene detti e quanti! Vidi che era commosso: mi
fece appoggiare la testa sulla sua spalla e mi confortò con tanta bontà
come - pare - non aveva fatto mai con nessun altro. Mi disse che tutto
non era perduto, che egli era ben contento del mio viaggio a Roma:
avrei potuto assodare la mia vocazione, e intanto dovevo rallegrarmi
invece di piangere; aggiunse che la settimana seguente egli stesso,
poiché doveva andare a Lisieux, avrebbe parlato col reverendo parroco
di San Giacomo, e certamente io avrei ricevuto la sua risposta in
Italia. Capii che era inutile insistere, del resto non avevo altro da
dire, poiché avevo esaurito tutte le risorse della mia eloquenza.
154 - Monsignor Vescovo ci riaccompagnò fino al giardino, Papà lo
divertì molto raccontandogli che mi ero fatta tirar su i capelli per
sembrargli più grande di età... (E ciò non andò perduto perché
Monsignor Vescovo non parla della sua «figlioletta» senza raccontare la
storia dei capelli...). Mons. Révérony ci volle accompagnare fino in
fondo al giardino, e disse a Papà che una cosa simile non si era mai
vista: «Un padre altrettanto premuroso di dar sua figlia al Signore,
quanto questa fanciulla lo era di offrir se stessa!». Papà gli domandò
varie spiegazioni riguardo al pellegrinaggio, tra l'altro in qual modo
bisognava vestirsi per comparire dinanzi al Santo Padre. Lo vedo ancora
voltarsi a Mons. Révérony dicendogli: «Sto abbastanza bene così?...».
Aveva anche detto a Monsignor Vescovo che, se non mi avesse permesso di
entrare nel Carmelo, io avrei chiesto questa grazia al Sommo Pontefice.
Era ben semplice nelle parole e nei modi, il mio caro Re, ma era tanto
bello... aveva una distinzione proprio naturale che dovette piacere
molto a Monsignor Vescovo, avvezzo a vedersi circondato da personaggi i
quali conoscevano tutte le regole in uso nei salotti, ma non il «Re di
Francia e di Navarra» in persona, con la sua «reginetta».
155 - Quando mi trovai per la strada, le lacrime ricominciarono, non
tanto a causa del dispiacere mio, quanto perché vedevo il mio Babbo
carissimo che aveva fatto un viaggio inutile. Lui si sarebbe fatta una
festa di mandare al Carmelo un telegramma per annunciare la risposta
favorevole di Monsignor Vescovo: e ora, invece, era costretto a
rincasare senza risposta alcuna... Com'ero addolorata! Mi pareva che
l'avvenire fosse spezzato per sempre; più mi avvicinavo al termine, più
vedevo le faccende imbrogliarsi. L’anima era sommersa nell'amarezza, ma
anche nella pace, perché cercavo soltanto la volontà di Dio. Appena
arrivata a Lisieux, andai a cercar conforto al Carmelo, e lo trovai da
lei, Madre mia cara. Oh, non dimenticherò mai tutto quello che lei ha
sofferto per causa mia. Se non temessi di profanarle, userei le parole
che Gesù rivolgeva agli Apostoli, la sera della Passione: «Siete voi
che siete stati sempre con me in tutte le mie prove...». Le mie dilette
sorelle mi offersero delle dolci consolazioni.
27-11 Ottobre 30, 1929 Chi vive nel Voler Divino può girare in tutte le opere di Dio, e acquista i diritti divini.
Luisa Piccarreta (Libro di Cielo)
(1) Il dolce incanto del Fiat onnipotente, con la sua luce mi tiene come eclissata in Esso, ed io non so vedere che tutti i suoi atti, per mettervi come suggello il mio ti amo sopra di ciascuno degli atti suoi per chiedergli il regno della sua Divina Volontà in mezzo alle creature. Ora, innanzi alla mia mente vedevo una gran ruota di luce che riempiva tutta la terra, e mentre il centro della ruota era tutta una luce, al d’intorno di essa sporgevano tanti raggi per quanti atti aveva fatto il Fiat Divino, ed io passavo da un raggio all’altro per mettervi il suggello del mio ti amo, per restarlo in ogni raggio a chiedergli continuamente il regno della sua Divina Volontà. Ora mentre ciò facevo, il mio sempre amabile Gesù uscendo dal mio interno mi ha detto:
(2) “Figlia mia, chi vive nel mio Divin Volere e forma i suoi atti in Esso, questi atti rimangono come lavoro della creatura che impegnano Dio per cedergli i diritti d’un regno sì santo, quindi i diritti di farlo conoscere e farlo regnare sulla terra. Perché l’anima che vive nel mio Fiat riacquista tutti gli atti di Esso fatti per amore delle creature. Dio la rende conquistatrice non solo del suo Volere, ma di tutta la Creazione, non vi è atto di Esso in cui la creatura non vi metta il suo atto, fosse pure un ti amo, un ti adoro, eccetera. Onde avendo messo del suo, tutto resta impegnato, ed il mio Fiat si sente felice che finalmente ha trovato la fortunata creatura che può dare ciò che Lui voleva dare con tanto amore fin dal principio della creazione di tutto l’universo. Perciò la creatura col vivere nel mio Voler Divino entra nell’ordine divino, si rende proprietaria delle opere sue, e con diritto può dare e chiedere per gli altri ciò ch’è suo, e siccome vive in Esso i suoi diritti sono divini, e con diritto divino chiede, non umano, ogni suo atto è una chiamata che fa al suo Creatore e col suo stesso impero divino gli dice: “Dammi il regno della tua Divina Volontà, affinché possa darlo alle creature, perché regni in mezzo ad esse, e tutte ti amino con amore divino, e tutte riordinate in te”. Ora tu devi sapere che ogni volta che giri nella mia Volontà per mettervi del tuo, è un diritto divino che più acquisti per chiedere un regno sì santo. Ecco perciò mentre giri in Essa ti si fanno avanti tutte le opere della Creazione, e tutte quelle della Redenzione si schierano intorno a te, aspettandoti per ricevere ciascuna l’atto tuo, per darti il ricambio dell’atto delle opere nostre, e tu le vai rintracciando una per una, per riconoscerli, abbracciarli, per mettervi il tuo piccolo ti amo, il tuo bacio d’amore per farne acquisto. Nel nostro Fiat non c’è tuo e mio tra Creatore e creatura, ma tutto è comunanza, e perciò con diritto può chiedere ciò che vuole. Oh! come mi sentirei afflitto e dolente se in tante pene e atti miei fatti stando sulla terra, la piccola figlia del mio Voler Divino neppure li riconoscesse, né cerca di corteggiare col suo amore e coll’atto suo il mio; come potrei darti il diritto se non li riconoscessi? Molto meno potresti farli tuoi. Il riconoscere le opere nostre è non solo diritto che cediamo, ma possesso. Perciò se vuoi che la mia Divina Volontà vi regni, gira sempre nel nostro Fiat, riconosci tutte le opere nostre, dalla più piccola alla più grande, mettici il tuo piccolo atto a ciascuna di esse, e tutto ti sarà accordato”.