Liturgia delle Ore - Letture
Giovedi della 26° settimana del tempo ordinario
Vangelo secondo Giovanni 16
1Vi ho detto queste cose perché non abbiate a scandalizzarvi.2Vi scacceranno dalle sinagoghe; anzi, verrà l'ora in cui chiunque vi ucciderà crederà di rendere culto a Dio.3E faranno ciò, perché non hanno conosciuto né il Padre né me.4Ma io vi ho detto queste cose perché, quando giungerà la loro ora, ricordiate che ve ne ho parlato.
Non ve le ho dette dal principio, perché ero con voi.
5Ora però vado da colui che mi ha mandato e nessuno di voi mi domanda: Dove vai?6Anzi, perché vi ho detto queste cose, la tristezza ha riempito il vostro cuore.7Ora io vi dico la verità: è bene per voi che io me ne vada, perché, se non me ne vado, non verrà a voi il Consolatore; ma quando me ne sarò andato, ve lo manderò.8E quando sarà venuto, egli convincerà il mondo quanto al peccato, alla giustizia e al giudizio.9Quanto al peccato, perché non credono in me;10quanto alla giustizia, perché vado dal Padre e non mi vedrete più;11quanto al giudizio, perché il principe di questo mondo è stato giudicato.
12Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso.13Quando però verrà lo Spirito di verità, egli vi guiderà alla verità tutta intera, perché non parlerà da sé, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annunzierà le cose future.14Egli mi glorificherà, perché prenderà del mio e ve l'annunzierà.15Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà del mio e ve l'annunzierà.
16Ancora un poco e non mi vedrete; un po' ancora e mi vedrete".17Dissero allora alcuni dei suoi discepoli tra loro: "Che cos'è questo che ci dice: Ancora un poco e non mi vedrete, e un po' ancora e mi vedrete, e questo: Perché vado al Padre?".18Dicevano perciò: "Che cos'è mai questo "un poco" di cui parla? Non comprendiamo quello che vuol dire".19Gesù capì che volevano interrogarlo e disse loro: "Andate indagando tra voi perché ho detto: Ancora un poco e non mi vedrete e un po' ancora e mi vedrete?20In verità, in verità vi dico: voi piangerete e vi rattristerete, ma il mondo si rallegrerà. Voi sarete afflitti, ma la vostra afflizione si cambierà in gioia.
21La donna, quando partorisce, è afflitta, perché è giunta la sua ora; ma quando ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più dell'afflizione per la gioia che è venuto al mondo un uomo.22Così anche voi, ora, siete nella tristezza; ma vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e23nessuno vi potrà togliere la vostra gioia. In quel giorno non mi domanderete più nulla.
In verità, in verità vi dico: Se chiederete qualche cosa al Padre nel mio nome, egli ve la darà.24Finora non avete chiesto nulla nel mio nome. Chiedete e otterrete, perché la vostra gioia sia piena.
25Queste cose vi ho dette in similitudini; ma verrà l'ora in cui non vi parlerò più in similitudini, ma apertamente vi parlerò del Padre.26In quel giorno chiederete nel mio nome e io non vi dico che pregherò il Padre per voi:27il Padre stesso vi ama, poiché voi mi avete amato, e avete creduto che io sono venuto da Dio.28Sono uscito dal Padre e sono venuto nel mondo; ora lascio di nuovo il mondo, e vado al Padre".29Gli dicono i suoi discepoli: "Ecco, adesso parli chiaramente e non fai più uso di similitudini.30Ora conosciamo che sai tutto e non hai bisogno che alcuno t'interroghi. Per questo crediamo che sei uscito da Dio".31Rispose loro Gesù: "Adesso credete?32Ecco, verrà l'ora, anzi è già venuta, in cui vi disperderete ciascuno per conto proprio e mi lascerete solo; ma io non sono solo, perché il Padre è con me.
33Vi ho detto queste cose perché abbiate pace in me. Voi avrete tribolazione nel mondo, ma abbiate fiducia; io ho vinto il mondo!".
Primo libro dei Maccabei 11
1Il re d'Egitto raccolse forze numerose come la sabbia che è lungo il lido del mare e molte navi e cercava di impadronirsi con inganno del regno di Alessandro per annetterlo al proprio regno.2Venne in Siria con dimostrazioni pacifiche e tutte le città gli aprivano le porte e gli andavano incontro, perché era ordine del re Alessandro di andargli incontro, essendo suo suocero.3Ma quando Tolomeo entrava nelle città, stabiliva in ognuna di esse le sue truppe di guarnigione.4Quando giunse ad Asdòd, gli mostrarono il tempio di Dagon bruciato e i villaggi intorno distrutti, i cadaveri buttati qua e là e quelli carbonizzati dagli incendi nella guerra: li avevano appunto accumulati lungo il percorso del re.5Raccontarono al re quanto aveva fatto Giònata, per metterlo in cattiva luce, ma il re tacque.6Giònata andò incontro al re in Giaffa con grande apparato e si salutarono a vicenda e passarono la notte colà.7Giònata accompagnò poi il re fino al fiume chiamato Elèutero e fece ritorno in Gerusalemme.8Il re Tolomeo si impadronì di tutte le città della costa fino a Selèucia marittima e covava piani iniqui riguardo ad Alessandro.9Mandò un'ambasciata a dire al re Demetrio: "Su, concludiamo un'alleanza fra noi: io ti darò mia figlia, che Alessandro ha in moglie, e la possibilità di rientrare nel regno di tuo padre.10Mi sono pentito di avergli dato mia figlia, perché ha cercato di uccidermi".11Lo calunniò perché egli aspirava al suo regno;12quindi, toltagli la figlia, la diede a Demetrio e cambiò atteggiamento verso Alessandro e divenne così manifesta la loro inimicizia.13Tolomeo entrò in Antiochia e cinse la corona dell'Asia; si pose in capo due corone, quella dell'Egitto e quella dell'Asia.14Alessandro in quel frattempo era in Cilicia, perché si erano sollevati gli abitanti di quelle province.15Appena seppe la cosa, Alessandro venne contro di lui per combatterlo. Tolomeo condusse l'esercito contro di lui e gli andò incontro con forze ingenti e lo sconfisse.16Alessandro fuggì in Arabia per trovarvi scampo e il re Tolomeo trionfò.17L'arabo Zabdiel tagliò la testa ad Alessandro e la mandò a Tolomeo.18Ma anche il re Tolomeo morì tre giorni dopo e quelli che egli aveva lasciato nelle fortezze furono sopraffatti da altri che si trovavano sulle fortezze stesse.19Così Demetrio divenne re nell'anno centosessantasette.
20In quei giorni Giònata radunò gli uomini della Giudea per espugnare l'Acra in Gerusalemme e allestì molte macchine contro di essa.21Allora alcuni nemici del popolo, uomini iniqui, corsero dal re ad annunciare che Giònata assediava l'Acra.22Sentendo la cosa, quegli si adirò; quando ne ebbe conferma, si mise subito in viaggio, venne a Tolemàide e scrisse a Giònata di sospendere l'assedio e di andargli incontro a Tolemàide al più presto per un colloquio.23Quando Giònata ricevette il messaggio, ordinò di continuare l'assedio e, scelti alcuni anziani e sacerdoti, decise di esporre se stesso al pericolo;24prese con sé argento e oro, vesti e molti altri doni e si recò dal re a Tolemàide e trovò favore presso di lui.25C'erano però alcuni traditori del suo popolo a deporre contro di lui,26ma il re lo trattò come lo avevano trattato i suoi predecessori e lo esaltò davanti a tutti i suoi amici,27lo confermò nella dignità di sommo sacerdote e in tutti gli onori che aveva prima e stabilì che fosse annoverato tra i primi suoi amici.28Giònata ottenne che il re dichiarasse la Giudea esente dai tributi insieme alle tre toparchie e alla Samaria e gli promise trecento talenti.29Il re acconsentì e scrisse a Giònata, a proposito di tutto questo, lettere del seguente tenore:
30"Il re Demetrio al fratello Giònata e al popolo dei Giudei salute.31Rimettiamo anche a voi copia della lettera che abbiamo scritta a Làstene nostro parente intorno a voi, perché ne prendiate conoscenza.32Re Demetrio a Làstene suo padre salute.33Abbiamo deciso di beneficare il popolo dei Giudici nostri amici e rispettosi dei nostri diritti, per la loro benevolenza nei nostri riguardi.34Abbiamo assegnato a loro il territorio della Giudea; i tre distretti di Afèrema, Lidda e Ramatàim restano trasferiti dalla Samaria alla Giudea con le loro dipendenze in favore di quanti offrono sacrifici in Gerusalemme, in compenso dei diritti che il re prelevava in passato ogni anno da loro sui frutti della terra e degli alberi.35Da qui innanzi tutte le altre nostre competenze delle decime e delle tasse a noi dovute e le saline e le corone a noi spettanti, tutto condoniamo loro.36Nessuna di queste disposizioni sarà mai revocata da oggi.37Sia dunque vostra cura preparare una copia della presente e rimetterla a Giònata perché sia esposta sul monte santo in luogo visibile".
38Il re Demetrio, vedendo che il paese era in pace sotto di lui e nessuno gli faceva resistenza, congedò le truppe perché ognuno tornasse a casa sua, eccetto le forze straniere che aveva assoldate dalle isole dei pagani. Allora gli si inimicarono tutte le milizie dei suoi padri.39Trifone, che prima stava con Alessandro, vide che tutte le milizie mormoravano contro Demetrio e andò presso l'arabo Imalcue che allevava il piccolo Antioco figlio di Alessandro.40Egli insistette che glielo cedesse per farlo regnare al posto di suo padre e gli riferì quanto aveva detto Demetrio e l'ostilità che avevano per lui i soldati, e rimase là molti giorni.41Giònata intanto mandò a chiedere al re che richiamasse gli occupanti dell'Acra in Gerusalemme e quelli delle altre fortezze, perché erano sempre in lotta con Israele.42Demetrio fece rispondere a Giònata: "Non solo questo farò per te e per il tuo popolo ma colmerò te e il tuo popolo di onori appena ne avrò l'opportunità.43Ora però farai bene a inviarmi uomini che combattano con me, perché si sono ritirate le mie truppe".44Giònata gli inviò ad Antiochia tremila degli uomini più forti; essi si recarono presso il re, e il re si rallegrò della loro venuta.45I cittadini della capitale si radunarono al centro della città in numero di circa centoventimila uomini e volevano eliminare il re.46Il re si rifugiò nel palazzo, ma i cittadini occuparono le vie della città e incominciarono i combattimenti.47Il re chiamò in aiuto i Giudei, i quali accorsero tutti a lui; poi si sparsero per la città e ne uccisero in quel giorno circa centomila;48quindi incendiarono la città, fecero in quel giorno gran bottino e salvarono il re.49I cittadini videro che i Giudei si erano impadroniti della città a loro piacere e si persero d'animo e gridarono verso il re con voce supplichevole:50"Stendi a noi la destra e desistano i Giudei dal combattere noi e la città".51Gettarono le armi e fecero la pace. I Giudei crebbero in fama presso il re e presso quanti erano nel suo regno e fecero ritorno in Gerusalemme portando grande bottino.52Demetrio rimase sul trono del suo regno e il paese fu in pace sotto di lui.53Ma rinnegò quanto aveva detto, cambiò rapporti con Giònata e non corrispose alla benevolenza che questi gli aveva dimostrata e lo fece soffrire molto.
54Dopo questi fatti, Trifone ritornò con Antioco ancora adolescente, il quale cominciò a regnare e cinse la corona.55Si raccolsero presso di lui tutte le milizie che Demetrio aveva licenziate e mossero guerra contro di lui ed egli fuggì e rimase sconfitto.56Trifone catturò gli elefanti e si impadronì di Antiochia.57Allora il giovinetto Antioco scrisse a Giònata: "Ti confermo il sommo sacerdozio, ti faccio capo dei quattro distretti e ti concedo di essere tra gli amici del re".58Gli inviò vasi d'oro e un servizio da tavola con la facoltà di bere in quei vasi, di vestire la porpora e portare la fibbia d'oro.59Nominò anche Simone suo fratello comandante dalla Scala di Tiro fino ai confini dell'Egitto.60Giònata si diede a percorrere la provincia dell'Oltrefiume e le varie città e accorse a lui, come alleato, tutto l'esercito della Siria. Andò ad Ascalòna e i cittadini gli uscirono incontro a rendergli omaggio.61Di là passò a Gaza, ma gli abitanti di Gaza gli chiusero le porte; egli la cinse d'assedio e incendiò i sobborghi e li mise a sacco.62Allora quelli di Gaza supplicarono Giònata, il quale diede loro la destra, prelevando i figli dei loro capi come ostaggi e inviandoli a Gerusalemme; poi percorse la regione fino a Damasco.63Giònata venne a sapere che i capi di Demetrio si trovavano presso Cades in Galilea con un numeroso esercito e con l'intenzione di distoglierlo dall'impresa.64Egli si mosse contro di loro, lasciando il fratello Simone nel paese.65Simone si accampò contro Bet-Zur e l'assalì per molti giorni assediandola.66Allora supplicarono che desse loro la destra ed egli la diede, ma li fece sloggiare di là, occupò la città e vi pose una guarnigione.67Giònata a sua volta e il suo esercito si erano accampati presso il lago di Gennesaret e raggiunsero di buon mattino la pianura di Casòr.68Ed ecco l'esercito degli stranieri avanzare contro di lui nella pianura, dopo aver disposto appostamenti contro di lui sui monti. Essi avanzavano di fronte69quando gli appostati sbucarono dalle loro posizioni e attaccarono battaglia.70Tutti gli uomini di Giònata fuggirono, nessuno di loro rimase se non Mattatia figlio di Assalonne e Giuda figlio di Calfi, comandanti di contingenti dell'esercito.71Allora Giònata si stracciò le vesti, si cosparse il capo di polvere e si prostrò a pregare.72Poi ritornò a combattere contro di loro, li sconfisse e li costrinse alla fuga.73I suoi che erano fuggiti, quando videro ciò, ritornarono a lui e con lui si diedero all'inseguimento fino a Cades dov'era il loro accampamento e là anch'essi si accamparono.74Gli stranieri caduti in quel giorno furono circa tremila. Giònata tornò poi in Gerusalemme.
Proverbi 23
1Quando siedi a mangiare con un potente,
considera bene che cosa hai davanti;
2mettiti un coltello alla gola,
se hai molto appetito.
3Non desiderare le sue ghiottonerie,
sono un cibo fallace.
4Non affannarti per arricchire,
rinunzia a un simile pensiero;
5appena vi fai volare gli occhi sopra,
essa già non è più:
perché mette ali come aquila
e vola verso il cielo.
6Non mangiare il pane di chi ha l'occhio cattivo
e non desiderare le sue ghiottonerie,
7perché come chi calcola fra di sé, così è costui;
ti dirà: "Mangia e bevi",
ma il suo cuore non è con te.
8Il boccone che hai mangiato rigetterai
e avrai sprecato le tue parole gentili.
9Non parlare agli orecchi di uno stolto,
perché egli disprezzerà le tue sagge parole.
10Non spostare il confine antico,
e non invadere il campo degli orfani,
11perché il loro vendicatore è forte,
egli difenderà la loro causa contro di te.
12Piega il cuore alla correzione
e l'orecchio ai discorsi sapienti.
13Non risparmiare al giovane la correzione,
anche se tu lo batti con la verga, non morirà;
14anzi, se lo batti con la verga,
lo salverai dagli inferi.
15Figlio mio, se il tuo cuore sarà saggio,
anche il mio cuore gioirà.
16Esulteranno le mie viscere,
quando le tue labbra diranno parole rette.
17Il tuo cuore non invidi i peccatori,
ma resti sempre nel timore del Signore,
18perché così avrai un avvenire
e la tua speranza non sarà delusa.
19Ascolta, figlio mio, e sii saggio
e indirizza il cuore per la via retta.
20Non essere fra quelli che s'inebriano di vino,
né fra coloro che son ghiotti di carne,
21perché l'ubriacone e il ghiottone impoveriranno
e il dormiglione si vestirà di stracci.
22Ascolta tuo padre che ti ha generato,
non disprezzare tua madre quando è vecchia.
23Acquista il vero bene e non cederlo,
la sapienza, l'istruzione e l'intelligenza.
24Il padre del giusto gioirà pienamente
e chi ha generato un saggio se ne compiacerà.
25Gioisca tuo padre e tua madre
e si rallegri colei che ti ha generato.
26Fa' bene attenzione a me, figlio mio,
e tieni fisso lo sguardo ai miei consigli:
27una fossa profonda è la prostituta,
e un pozzo stretto la straniera.
28Essa si apposta come un ladro
e aumenta fra gli uomini il numero dei perfidi.
29Per chi i guai? Per chi i lamenti?
Per chi i litigi? Per chi i gemiti?
A chi le percosse per futili motivi? A chi gli occhi rossi?
30Per quelli che si perdono dietro al vino
e vanno a gustare vino puro.
31Non guardare il vino quando rosseggia,
quando scintilla nella coppa
e scende giù piano piano;
32finirà con il morderti come un serpente
e pungerti come una vipera.
33Allora i tuoi occhi vedranno cose strane
e la tua mente dirà cose sconnesse.
34Ti parrà di giacere in alto mare
o di dormire in cima all'albero maestro.
35"Mi hanno picchiato, ma non sento male.
Mi hanno bastonato, ma non me ne sono accorto.
Quando mi sveglierò? Ne chiederò dell'altro".
Salmi 35
1'Di Davide.'
Signore, giudica chi mi accusa,
combatti chi mi combatte.
2Afferra i tuoi scudi
e sorgi in mio aiuto.
3Vibra la lancia e la scure
contro chi mi insegue,
dimmi: "Sono io la tua salvezza".
4Siano confusi e coperti di ignominia
quelli che attentano alla mia vita;
retrocedano e siano umiliati
quelli che tramano la mia sventura.
5Siano come pula al vento
e l'angelo del Signore li incalzi;
6la loro strada sia buia e scivolosa
quando li insegue l'angelo del Signore.
7Poiché senza motivo mi hanno teso una rete,
senza motivo mi hanno scavato una fossa.
8Li colga la bufera improvvisa,
li catturi la rete che hanno tesa,
siano travolti dalla tempesta.
9Io invece esulterò nel Signore
per la gioia della sua salvezza.
10Tutte le mie ossa dicano:
"Chi è come te, Signore,
che liberi il debole dal più forte,
il misero e il povero dal predatore?".
11Sorgevano testimoni violenti,
mi interrogavano su ciò che ignoravo,
12mi rendevano male per bene:
una desolazione per la mia vita.
13Io, quand'erano malati, vestivo di sacco,
mi affliggevo col digiuno,
riecheggiava nel mio petto la mia preghiera.
14Mi angustiavo come per l'amico, per il fratello,
come in lutto per la madre mi prostravo nel dolore.
15Ma essi godono della mia caduta, si radunano,
si radunano contro di me per colpirmi all'improvviso.
Mi dilaniano senza posa,
16mi mettono alla prova, scherno su scherno,
contro di me digrignano i denti.
17Fino a quando, Signore, starai a guardare?
Libera la mia vita dalla loro violenza,
dalle zanne dei leoni l'unico mio bene.
18Ti loderò nella grande assemblea,
ti celebrerò in mezzo a un popolo numeroso.
19Non esultino su di me i nemici bugiardi,
non strizzi l'occhio chi mi odia senza motivo.
20Poiché essi non parlano di pace,
contro gli umili della terra tramano inganni.
21Spalancano contro di me la loro bocca;
dicono con scherno: "Abbiamo visto con i nostri occhi!".
22Signore, tu hai visto, non tacere;
Dio, da me non stare lontano.
23Dèstati, svègliati per il mio giudizio,
per la mia causa, Signore mio Dio.
24Giudicami secondo la tua giustizia, Signore mio Dio,
e di me non abbiano a gioire.
25Non pensino in cuor loro: "Siamo soddisfatti!".
Non dicano: "Lo abbiamo divorato".
26Sia confuso e svergognato chi gode della mia sventura,
sia coperto di vergogna e d'ignominia chi mi insulta.
27Esulti e gioisca chi ama il mio diritto,
dica sempre: "Grande è il Signore
che vuole la pace del suo servo".
28La mia lingua celebrerà la tua giustizia,
canterà la tua lode per sempre.
Isaia 25
1Signore, tu sei il mio Dio;
voglio esaltarti e lodare il tuo nome,
perché hai eseguito progetti meravigliosi,
concepiti da lungo tempo, fedeli e veri.
2Poiché hai ridotto la città ad un mucchio di sassi,
la cittadella fortificata ad una rovina,
la fortezza dei superbi non è più città,
non si ricostruirà mai più.
3Per questo ti glorifica un popolo forte,
la città di genti possenti ti venera.
4Perché tu sei sostegno al misero,
sostegno al povero nella sua angoscia,
riparo dalla tempesta, ombra contro il caldo;
poiché lo sbuffare dei tiranni è come pioggia d'inverno,
5come arsura in terra arida il clamore dei superbi.
Tu mitighi l'arsura con l'ombra d'una nube,
l'inno dei tiranni si spegne.
6Preparerà il Signore degli eserciti
per tutti i popoli, su questo monte,
un banchetto di grasse vivande, un banchetto di vini eccellenti,
di cibi succulenti, di vini raffinati.
7Egli strapperà su questo monte
il velo che copriva la faccia di tutti i popoli
e la coltre che copriva tutte le genti.
8Eliminerà la morte per sempre;
il Signore Dio asciugherà le lacrime
su ogni volto;
la condizione disonorevole del suo popolo
farà scomparire da tutto il paese,
poiché il Signore ha parlato.
9E si dirà in quel giorno: "Ecco il nostro Dio;
in lui abbiamo sperato perché ci salvasse;
questi è il Signore in cui abbiamo sperato;
rallegriamoci, esultiamo per la sua salvezza.
10Poiché la mano del Signore si poserà su questo monte".
Moab invece sarà calpestato al suolo,
come si pesta la paglia nella concimaia.
11Là esso stenderà le mani,
come le distende il nuotatore per nuotare;
ma il Signore abbasserà la sua superbia,
nonostante l'annaspare delle sue mani.
12L'eccelsa fortezza delle tue mura
egli abbatterà e demolirà,
la raderà al suolo.
Lettera agli Ebrei 6
1Perciò, lasciando da parte l'insegnamento iniziale su Cristo, passiamo a ciò che è più completo, senza gettare di nuovo le fondamenta della rinunzia alle opere morte e della fede in Dio,2della dottrina dei battesimi, dell'imposizione delle mani, della risurrezione dei morti e del giudizio eterno.3Questo noi intendiamo fare, se Dio lo permette.
4Quelli infatti che sono stati una volta illuminati, che hanno gustato il dono celeste, sono diventati partecipi dello Spirito Santo5e hanno gustato la buona parola di Dio e le meraviglie del mondo futuro.6Tuttavia se sono caduti, è impossibile rinnovarli una seconda volta portandoli alla conversione, dal momento che per loro conto crocifiggono di nuovo il Figlio di Dio e lo espongono all'infamia.7Infatti una terra imbevuta della pioggia che spesso cade su di essa, se produce erbe utili a quanti la coltivano, riceve benedizione da Dio;8ma se 'produce pruni e spine', non ha alcun valore ed è vicina 'alla maledizione': sarà infine arsa dal fuoco!
9Quanto a voi però, carissimi, anche se parliamo così, siamo certi che sono in voi cose migliori e che portano alla salvezza.10Dio infatti non è ingiusto da dimenticare il vostro lavoro e la carità che avete dimostrato verso il suo nome, con i servizi che avete reso e rendete tuttora ai santi.11Soltanto desideriamo che ciascuno di voi dimostri il medesimo zelo perché la sua speranza abbia compimento sino alla fine,12e perché non diventiate pigri, ma piuttosto imitatori di coloro che con la fede e la perseveranza divengono eredi delle promesse.
13Quando infatti Dio fece la promessa ad Abramo, non potendo giurare per uno superiore a sé, 'giurò per se stesso',14dicendo: 'Ti benedirò e ti moltiplicherò molto'.15Così, avendo perseverato, Abramo conseguì la promessa.16Gli uomini infatti giurano per qualcuno maggiore di loro e per loro il giuramento è una garanzia che pone fine ad ogni controversia.17Perciò Dio, volendo mostrare più chiaramente agli eredi della promessa l'irrevocabilità della sua decisione, intervenne con un giuramento18perché grazie a due atti irrevocabili, nei quali è impossibile che Dio mentisca, noi che abbiamo cercato rifugio in lui avessimo un grande incoraggiamento nell'afferrarci saldamente alla speranza che ci è posta davanti.19In essa infatti noi abbiamo come un'àncora della nostra vita, sicura e salda, la quale penetra fin nell'interno del velo del santuario,20dove Gesù è entrato per noi come precursore, essendo divenuto sommo sacerdote 'per sempre alla maniera di Melchìsedek'.
Capitolo XXXVI: Contro i vuoti giudizi umani
Leggilo nella Biblioteca1. O figlio, poni saldamente il tuo cuore nel Signore; e se la coscienza ti proclama onesto e senza colpa, non temere il giudizio degli uomini. Cosa buona e santa è sopportare il giudizio umano; cosa non gravosa per chi è umile di cuore e confida in Dio, più che in se stesso. C'è molta gente che parla tanto: e, perciò, poco è il credito che le si deve dare. Del resto, fare contenti tutti non è possibile. Che se Paolo cercò di piacere a tutti nel Signore e si fece "tutto per tutti" (1Cor 9,22), tuttavia non diede alcuna importanza al fatto d'essere giudicato da questo tempo"(1Cor 4,3). Egli operò grandemente, con tutto se stesso e con tutte le sue forze, per l'edificazione e la salvezza del prossimo; ma non poté impedire che talvolta fosse giudicato e persino disprezzato dagli altri. Per questo, tutto mise nelle mani di Dio, a cui tutto è noto. Con la pazienza e con l'umiltà egli si difese dalla sfrontatezza di quelli che dicevano iniquità o pensavano vuotaggini e menzogne o buttavano fuori ogni cosa a loro capriccio: pur talvolta rispondendo, perché dal suo silenzio non nascesse scandalo ai deboli.
2. "Chi sei tu mai, per avere paura di un uomo mortale? " (Is 51,12). L'uomo, oggi c'è, e domani non lo si vede più. Temi Iddio, e non ti sgomenterai di ciò che può farti paura da parte degli uomini. Che cosa può un uomo contro di te, con parole e improperi? Egli nuoce a se stesso, più che a te; né potrà sfuggire al giudizio di Dio, chiunque egli sia. Per quanto ti riguarda, tu tieni fissi gli occhi in Dio, e "non voler opporti a lui, con parole di lamento" ("Tm 2,14). Che se, al momento, sembra che tu soccomba e che tu sia coperto di vergogna immeritata, non devi, per questo, sdegnarti; né devi fare che sia più piccolo il tuo premio, per difetto di pazienza. Guarda, invece, a me, cui è dato di strappare l'uomo da ogni ingiustizia, "rendendo a ciascuno secondo le sue opere" (Mt 16,27; Rm 2,6).
De Idolatria
Tertulliano - Tertulliano
Leggilo nella Biblioteca
CAPITOLO I.
Tutte quante le colpe hanno come loro base l'idolatria.
La colpa principale del genere umano, Terrore più grave nel mondo, e ogni ragione di riprovazione e di condanna risiede nell'idolatria. Perché, sebbene qualunque fallo abbia un suo determinato carattere e sia soggetto a giudizio con una sua denominazione speciale, tuttavia va ricollegandosi all'idolatria : i nomi non hanno importanza, consideriamo i fatti. L'idolatra è anche omicida. Tu mi chiedi: e chi uccide? Se in qualche cosa l'affermazione contribuisse ad una certa considerazione maggiore della cosa, potremmo anche dire che l'idolatria non uccide persona estranea o nemica, ma i suoi più fedeli; con quali insidie? con quelle provenienti dal suo errore; con quale arme? coll'offesa che costoro recano a Dio; con quante ferite? con quante manifestazioni idolatre essi faranno. Chi può sostenere che un idolatra non sia un uomo perduto, egli negherà pure che abbia commesso omicidio. E in lui puoi riconoscere ugualmente l'adulterio, lo stupro; e chi infatti segue gli Dei falsi e bugiardi, non è forse un adultero di un principio di verità? ogni falso è in certo modo qualcosa che rientra nella colpa, di adulterio. L'idolatra cade poi anche in ciò che sia bestiale violenza. Chi tratta con spiriti immondi e riprovevoli, non ne viene ad essere macchiato, inquinato, corrotto? e perciò appunto le sacre scritture si servono delia parola stupro, allorché vogliono gettare tutta la loro riprovazione e disprezzo sull'idolatria. Io penso che si debba parlar di frode quando qualcuno toglie l'altrui o se nega a taluno ciò che gli è legittimamente dovuto; e non v'è dubbio che venga considerata gravissima colpa quella d'esercitare frode contro taluno. Ma si noti che l'Idolatria fa oggetto della sua frode Iddio; nega a questi gli onori che gli sono dovuti; e li trasporta in altri esseri e in tal modo congiunge la frode all'offesa. E se la frode, lo stupro, l'adulterio recano la morte dello spirito, ne consegue che anche nei riguardi di essi, l'Idolatra non possa in alcun modo liberarsi dall'accusa di omicidio. Ma c'è di più; che dopo tali colpe, così rovinose e terribili, e che costituiscono la fine d'ogni principio di salvezza, nell'idolatria compaiono, si schierano tutte le altre, in massa, e le puoi anche considerare partitamente ad una ad una: ogni desiderio mondano trova suo appagamento nell'idolatria, come infatti possiamo pensare manifestazione idolatra senza splendore di ornamento e fulgore di appa-rati? in essa si riscontrano tutte le specie di colposi abbandoni e di incontinenze; moltissimo devono il loro favore al desiderio di sfrenatezze che si verifìcano nel cibo e nelle bevande. Trova in essa sua sede la vanità, tutto si basa su questa infatti; in essa l'ingiustizia, e che cosa più ingiusto di ciò che non riconosce colui che d'ogni giustizia è padre e maestro? in essa tutto è menzogna, tutto è un tessuto di falsità: ogni colpa è cosa contraria a Dio, e ciò che è avverso alla divinità, ne viene di conseguenza che sia addetto a potenze malefiche e demoniache alle quali appunto sono soggetti gli idolatri: chi dunque commette colpa, incappa nell'idolatria, perché appunto fa quello che si riporta a chi riconosce gli idoli ed è ad essi soggetto.CAPITOLO II.
Varie sono le specie d'idolatria.
Le varie denominazioni delle colpe rispecchiano il carattere dell'errore e dell'umano traviamento; il suo nome solo, dunque, indica bene l'essenza della idolatria; questa denominazione, che suona qualcosa di tanto contrario a Dio, le basta. È poi in essa tanto copiosa la messe delle colpe, e stende così ampiamente le sue propaggini, e si diffonde m tante direzioni diverse, che io appunto vorrò considerare in quanti modi purtroppo si debba cercare di sfuggire all'idolatria, che ha così ampie e profonde radici: poiché in diverse guise sovverte i servi di Dio, non solo allorché non se ne conosce la forza, ma bensì quando si cerca di dissimularla e di nasconderla. La maggior parte pensano che per idolatria si debba solamente intendere quell'insieme di atti che risultano o dall'abbruciare incensi, o dal compiere sacrifici o dal fare offerte e voti, o credono che l'idolatria si leghi m certo modo ad alcune cerimonie sacre o si compenetri con funzioni e riti sacerdotali: sarebbe lo stesso che credere che il fatto dell'adulterio consistesse unicamente nello scambiarsi testimonianze d'affetto, nella poesia del bacio e dello stringersi al petto la persona che s'ama, e magari nella comunione materiale dei sensi; e lo stesso si può dire dell'omicidio, se taluno credesse che fosse solo nello spargimento del sangue e nello strappare così l'anima dal corpo. Ma noi possiamo esser certi come Iddio consideri questi atti con molta maggiore estensione: nella sola concupiscenza può stare l'adulterio: basterà che taluno volga avidamente il suo sguardo su chicchessia, se sentirà un fremito occulto attraverso il suo spirito, costui avrà commesso adulterio; per l'omicidio si potrà dire che il principio risiede in ogni parola che suoni offesa ed ingiuria, in ogni impeto d'ira e di sdegno, nella trascuratezza d'ogni sentimento di carità verso il fratello, e come dice Giovanni (1), potremo affermare che omicida sia chiunque nutra senso d'odio verso un fratello. In caso diverso, consisterebbe in ben poco l'astuzia diabolica in tutto il campo del male e, d'altra parte, la saggezza di Dio, colla quale ci fornisce le armi di difesa contro la grande e vastissima opera insidiosa del demonio, sarebbe forse soverchia, se noi dovessimo soltanto essere giudicati per colpe gravi, per le quali sono sancite pene e stabilite sanzioni anche presso tutte le genti. E in che cosa poi consisterebbe la nostra giustizia e la bontà nostra e in che supererebbe quella degli Scribi o dei Farisei (2), come il Signore ebbe a dire, qualora noi non penetrassimo in tutta l'estensione, nell'intelligenza di quel potere che è ad esse contrario, cioè il principio dell'ingiustizia? (3). E se l'ingiustizia è pur vero che trovi sua base nell'idolatria, in primo luogo è doveroso che noi ci premuniamo contro ogni principio d'idolatria, in tutta la sua |102 ampiezza di manifestazioni, pronti a vederla, a riconoscerne i segni, anche m ciò che non possa apparire da essa ispirato e dominato.CAPITOLO III.
Origine dell'idolatria.
Se noi volgiamo il nostro sguardo indietro, una volta non esistevano idoli. Prima che venissero fuori i creatori di questa mostruosa credenza, i tempii erano solitari e deserti; i luoghi sacri semplici e nudi, come anche al giorno d'oggi restano avanzi di un mondo che fu, ma nella loro semplice grandiosità. Ma tuttavia anche allora l'idolatria vigeva, sia pure non sotto questa denominazione, ma cogli stessi caratteri e collo stesso processo: perché anche oggi, infatti, si può seguire l'idolatria e non frequentare templi e non usare idoli. Allorché gli artefici per opera diabolica formarono figure varie e molteplici, dagli idoli prese nome questa primitiva e rozza occupazione per nostra sventura inventata, e quindi ogni arte che in certo modo riproducesse statuette, immagini, fu la base, il fulcro d'ogni principio e idea idolatra: non importa mica se le figure le formi un semplice plasmatore, o se le rappresenti un cesellatore o un altro artista di alta perfezione: non ha valore neppure la materia di cui l'idolo sia formato, se di gesso, se a colori, se di pietra, di bronzo, d'argento o magari di filo. Dal momento che nella colpa d'idolatria s'incappa anche senza idoli, quando ridolo esiste non può costituire differenza qualunque esso sia o di qualunque materia sia esso formato; e questo, perché non vi sia qualcuno che possa credere che di idolo si debba parlare, quando soltanto abbia faccia umana. Osserviamo la spiegazione della parola: ei]doj; : èidos in Greco suona come la parola latina forma; facendo il diminutivo di ei]doj : èidos abbiamo ei]dulon : éidolon, idolo, ciò che presso noi risponderebbe ad una parola: formula. Quindi ogni figura o figurina vuole essere chiamata idolo; e idolatria di conseguenza si disse l'ossequio, la sottomissione ad ogni idolo. Quindi chiunque fosse il costruttore di immagini, è colpevole dello stesso errore, almeno che non si voglia sostenere che poco peccò d'idolatria quel popolo che consacrò e adorò il simulacro di un vitello, e non quello di un uomo (4).CAPITOLO IV.
È severamente proibito dalle sacre scritture la formazione e l'adorazione degli idoli.
Iddio pone una proibizione assoluta, tanto nel costruire idoli, quanto alla loro adorazione; come infatti è in primo luogo giusto che si debba fare quello che dopo debba essere oggetto di culto, così non è opera giusta, fare prima quello che in un secondo momento non debba esser venerato, né riconosciuto sacro.Proprio per questa ragione: per sradicare ogni principio, ogni ragione dell'idolatria così bandisce la legge divina: non fare idoli; e aggiunge: né alcuna altra cosa a immagine e somiglianzà di quelle che sono nel cielo, sulla terra o in mare. Enoch (5) aveva pure in un primo tempo predetto che tutti quanti gli elementi, ogni organismo di vita della terra, tutto quanto e il cielo e la terra e le acque racchiudessero, le forze demoniache e gli spiriti degli angeli ribelli avrebbero convertito in potenze in servigio dell'idolatria, perché fossero poi adorate come divinità, in odio e contro il vero Dio. E l'uomo, nel suo errore, adora tutte le cose e non adora invece chi di esse ne è il creatore primo: le immagini loro sono idoli; la loro consacrazione, il loro riconoscimento, idolatria. Qualunque colpa risieda nel principio idolatra, ricade necessariamente su qualsiasi artefice che pure abbia costruito un idolo qualsiasi. Lo stesso Enoch condanna già prima che essi si manifestassero, gli adoratori e i fabbricatori degli idoli. Ed in altro punto soggiunge: Io vi giuro, o peccatori, che nel giorno del sangue e della dannazione, per voi sta preparato il castigo, voi che fate oggetto di culto le pietre, che vi fate immagini d'oro e di legno e di pietra e di terra cotta; voi che prestate fede ad immagini false, e indulgete a potenze demoniache, a spiriti malvagi ed infami; che seguite tutti gli errori; non ascoltando nessun principio di scienza: vano sarà l'aiuto che vi attendete da quelli. Isaia (6) poi, così dice: Voi stessi siete testimoni se iddio sia fuori di me. Ma che forse allora non v'erano coloro che scolpivano, e intagliavano? Erano però evidentemente vani coloro tutti, che provavano soddisfazione nel fare per loro quelle figure che non avrebbe dovuto giovare a nulla: e continua così, in tutta quella sua invettiva, a colpire quelli che fabbricavano gli idoli e chi prestava loro atto di ossequio: osservate bene, che questa è la conclusione: è terra e cenere quello di cui essi sono fatti; non v'è nessuno di quegli Dei che sia nella possibilità di liberare il proprio spirito ed innalzarlo nei cieli. E David in questo stesso motivo così ebbe a dire: Tali possano divenire coloro che li fabbricano. E che cosa dunque dovrei andar ricordando ancora, data anche la mia modesta memoria? a che andrò ricercando passi tolti dalle sacre scritture? Come se non fosse sufficiente la voce dello Spirito Santo e fosse proprio necessario considerare e stabilire se il Signore abbia maledetto e condannato, prima, gli artefici di quelle divinità, delle quali poi esplicitamente maledice e condanna gli adoratori!
CAPITOLO V.
Ma pure si potrebbero trovare obiezioni favorevoli ai fabbricatori di idoli; ma Tertulliano ribatte energicamente qualsiasi eventuale tentativo di difesa.
Con molta diligenza e in modo esauriente, risponderemo alle scuse che questi fabbricatori di idoli potrebbero portare: se qualcuno intende bene lo spirito della dottrina cristiana, non sarà mai che possa loro aprire la via per arrivare al Signore. La parola che si suole sopratutto portare a scusante è questa: non ho altro mezzo con cui scampar la vita; venendo però ai ferri corti si potrebbe ribattere; ma insomma: intanto tu puoi vivere! Se vorrai però campare a modo tuo, che cosa allora potrai dire di avere di comune con Dio? Ma c'è di più: si ha l'ardire di venire a discutere con tanto di sante scritture alla mano e ci si riferisce a quel passo di S. Paolo (7) in cui par che si affermi che ciascuno se ne resti in quello stato in cui era, quando si fece cristiano: ma allora, secondo tale interpretazione, tutti noi potremmo perseverare nelle colpe: non c'è mai stato nessuno di noi libero da colpe; Cristo non scese sulla terra che per liberarci dai gravami del peccato. Nello stesso modo, vanno dicendo che lo stesso apostolo abbia precisamente comandato, che seguendo il suo esempio, ciascuno si dovesse procurare i mezzi di sussistenza col proprio lavoro: (8) ma se tale precetto si vuol sostenere ad ogni costo, io mi penso che anche i ladri, i giocatori, vivano né più, né meno, col lavoro delle loro stesse mani; ed anche gli assassini trovano il modo di menar l'esistenza a forza di mani.... e i falsari, allora? non è coi piedi, ma colle mani che falsano ed alterano le scritture; e gli istrioni non colie sole mani, ma con tutto il corpo, che essi mettono in moto, si sforzano di raccapezzare la vita. La Chiesa deve perciò tendere le sue braccia a tutti coloro che traggono la loro vita dal lavoro delle proprie mani, qualora però non sia implicita una esclusione per tutte quelle forme di attività che non sono conciliabili colla disciplina di Dio. Ma qualcuno potrà dire contro l'asserto dei pensieri superiormente espressi : perché dunque allora Mosè nel deserto fece di bronzo il simulacro del serpente? Lasciamo da parte le figurazioni, le quali erano preordinate, prestabilite secondo un processo misterioso e impenetrabile; non mica per allontanarsi dalla legge, ma come per essere immagini del principio che legittimamente rappresentavano. Ma se noi a queste cose dessimo un'interpetrazione come la potrebbero dare gli avversari nostri, allora a somiglianzà dei Marcioniti (9), noi forse dovremmo attribuire all'onnipotente la qualità della non fermezza e saldezza di giudizio? costoro, proprio così, ne distrussero l'essenza e l'integrità, come mutabile, appunto, pensandolo; chè qui proibisce, e là comanda. Se qualcuno poi non volesse concedere che quell'effige di bronzo fatta a guisa di un serpente sospeso così nell'alto, denotasse l'immagine della croce del Signore che ci doveva liberare dai serpenti, cioè dagli spiriti diabolici e che su di essa pendeva appunto ucciso il serpente, cioè il diavolo, oppure fosse la rappresentazione figurata di un altro principio rivelato a persone più degne e meritevoli; sarebbe in ogni modo sufficiente l'Apostolo, il quale afferma che tutto ciò è accaduto al popolo Ebraico, sotto il velame del simbolo e che Dio stesso, che pur proibì di fare immagini, comandò con un precetto straordinario, che si facesse un'effige di serpente. Se intendi fare atto di ossequio a Dio, tu intendi appunto la sua legge: non fare simulacri; ma se ti vien fatto di ripensare all'immagine del serpente che fu prescritta, imita anche tu Mosè: non fare, quindi, contro ogni dettame della sacra legge, simulacro alcuno, almeno che non ti venga comandato.CAPITOLO VI.
Dal solo sacramento del battesimo si deduce quanto sia ripugnante ai principî della fede fabbricare idoli.
Qualora non ci fosse alcuna legge divina che ci vietasse la costruzione d'immagini idolatre; se nessuna voce dello Spirito Santo facesse sentire parola di minaccia non minore per chi fabbrica idoli, che per coloro che prestano ad essi ossequio di colto, basterebbe il solo sacramento del battesimo ai principî della fede nostra. Come potremo sostenere noi d'aver rotto ogni nostra relazione col demonio e coi suoi spiriti malvagi, se siamo noi in persona che li facciamo? Come potremo dire d'aver dato loro una repulsa, se è proprio con loro che viviamo, anzi se è da loro che conduciamo la vita nostra? Quale discordia possiamo dire che esista fra noi e costoro, ai quali riconosciamo d'esser legati, per il soddisfacimento delle nostre necessità di vita? Ciò che tu vieni a riconoscere materialmente, come opera delle tue stesse mani, come è possibile che tu lo possa negare colla parola? quel che in realtà fai, come puoi mai distruggerlo colla tua bocca? tu costruisci una quantità di Dei e potrai poi sostenere l'esistenza di un solo? puoi tu parlare di un Dio vero, quando tu ne fabbrichi tanti che sono falsi? Uno potrebbe dire: ma io li fo, ma non sono per me oggetto di adorazione: quasi che la cagione per la quale non osa costui di farne oggetto di culto, non sia la stessa che dovrebbe impedire di costruirli, cioè quella di non offendere Iddio, che in ambedue i casi invece viene ad essere offeso. Al contrario poi, sei proprio tu che li adori, tu che fai in modo che essi possano divenire oggetto di culto; ed anzi non è neppure il caso che tu li adori innalzando ad essi l'effluvio di un profumo qualsiasi, più o meno disprezzabile; ma è colla tua anima proprio che li adori; col tuo spirito; non è la questione di un sacrificio di un animale. Tu immoli a costoro l'ingegno tuo, tu offri il tuo sudore, tu consacri loro la tua abilità: tu sei per essi più che un sacerdote, dal momento che sei tu che procacci loro un sacerdote: dalla tua abilità nasce, proviene la divinità loro. Tu neghi d'adorare quel che vai plasmando colle tue stesse mani? Ma son loro che non pensano di negarlo, dal momento che tu vai sacrificando ad essi la vitti' ma più grassa, più indorata, la maggiore fra quante caddero nella cerimonia di rito; cioè la salute tua, la tua salvezza, il tuo bene.CAPITOLO VII.
E che cosa la fede potrebbe dire contro tanta aberrazione nei riguardi degli idoli?
Sotto questo aspetto, in ogni giorno, la fede, nel suo zelo, farà sentire alta la sua parola di protesta e si addolorerà vedendo giungere nella sua chiesa un cristiano impigliato in certi caratteri anche formali d'idolatria. È lo stesso che venire nella casa di Dio, dalla bottega del suo nemico e avversario; e sollevare a Iddio padre, quelle mani che furono pure madri di immagini idolatre; fare atto di adorazione con quelle mani che fuori sono causa di adorazioni contrarie al vero Dio; accostare al corpo del Signore quelle mani che formano i corpi dei demoni. E non basta questo: sarebbe ancor poco se ricevessero dalle mani d'altri, ciò che essi contaminano e guastano, ma sono loro stessi che danno agli altri quel che essi hanno già contaminato, perché i fabbricatori di idoli s'ammettono negli ordini ecclesiastici. Quale vergogna ed obbrobrio! I Giudei una volta sola osarono alzare le mani sopra il Cristo; costoro invece insultano ogni giorno il corpo di lui. O mani che dovrebbero esser mozzate! Vedano costoro ormai se sia il caso di pensare che quelle parole del Vangelo (10) siano state pronunziate così, proprio per qualche cosa di somigliante: se la tua mano si rende colpevole e ti scandalizza, tagliala; ebbene: quali sono le mani più meritevoli d'essere recise, che quelle che inferiscono offesa al corpo del Signore?CAPITOLO VIII.
Qualunque altra arte, che, in certo modo, abbia relazione coll'idolatria, non è permessa ai Cristiani.
Esistono generi molteplici di arti diverse; e queste, per quanto non riguardino direttamente la fabbricazione di immagini idolatre, pure incappano nella medesima colpa, perché espletano quelle diverse forme di attività, senza le quali non esisterebbero gli idoli stessi. Infatti, non c'è differenza alcuna se tu proprio li plasmi, o li abbellisci; oppure se tu innalzi per essi un tempio, un altare o una piccola cappella; non ci sarà differenza se tu tiri l'oro in foghe per indorarlo, o se tu abbia fabbricato quei simboli particolari che gli sono propri, oppure se tu gli abbia apprestato la sede. Anzi, tale forma d'attività, ha maggiore gravita, perché non è quella che dà vera e propria forma all'idolo, ma quella che gli conferisce autorità. Se pur si fa sentire prepotente il bisogno di vivere, coloro che a tali attività attendono, hanno anche altri modi, i quali, senza esorbitare dai limiti voluti dalla dottrina cristiana, possono dar loro i mezzi di sussistenza, senza bisogno di ricorrere alla fabbricazione di idoli; quello che imbianca e tinge, sa anche rimettere a nuovo le case, adornarle con stucchi, accomodare le cisterne, uguagliare le differenze che si trovano sulle muraglie e fare tanti ornamenti alle pareti; ma senza pensare ad immagini di idoli. E il pittore e lo scultore e chi lavora il bronzo e chiunque altro faccia un'arte simile, in quale vasto campo si possa esplicare la propria attività, lo conosce bene; chi infatti è capace di disegnare una figura, quanto più facilmente non potrà appianare una tavola? chi è abile a formare un simulacro di Marte da un tronco di tiglio, con quale maggior prestezza non potrà tagliare un armadio? Non è possibile che esista un'arte, che non sia madre di un'altra o che almeno non si unisca con essa in qualche modo. Nulla vi è che non abbia il suo completamento in qualche altra cosa. Tante sono le diramazioni delle arti, quanti sono i desideri e le tendenze degli uomini. Si potrebbe osservare però che corre differenza nel compenso e nel vantaggio, quindi, che uno ne può trarre; ma anche per quel che riguarda il lavoro c'è differenza: il minor compenso può venir giustificato dal fatto che frequente è il lavoro di un tal genere: quante mai saranno le pareti che si richiedono dipinte e istoriate di immagini? quanti templi o luoghi di culto s'innalzano agli idoli? senza dubbio non in gran numero; ma case... e bagni e abitazioni popolari, quante saranno mai che vengono costruite? Capita tutti i giorni di dovere indorare stivaletti e sandali, ma per Mercurio e per Serapide, non capita tutti i giorni di dar loro una lustra d'oro! Ma questo pure, si dirà, potrebbe bastare al bisogno degli artefici; in ogni modo la smania del lusso, l'ambizione, assai più di ogni credenza superstiziosa, sono fonti più copiose di guadagno: è appunto il desiderio del fasto, più assai che le credenze religiose, che farà provare il desiderio di piatti vari e molteplici e di bicchieri; ed anche in quanto a corone, è più il fasto che le richiede, di quello che non si rendano necessarie nelle cerimonie del culto. Essendo quindi noi spinti e chiamati a queste specie di manifestazioni di lavoro, esse non abbiano a che fare cogli idoli, né con tutte le cose che appartengono agli idoli, e pure ammettendo che vi siano molti punti comuni agli uomini e agli idoli, dobbiamo stare sopratutto attenti a questo, che non ci venga richiesto da qualcuno, una forma della nostra attività che noi sappiamo essere in servigio delle immagini idolatre: se noi, invece, indulgeremo a ciò e non ci serviremo di tutti quei rimedi necessari in simili contingènze, non penso che noi ci possiamo dichiarare liberi dal conta-gio dell'idolatria, dal momento che le mani nostre, in piena nostra coscienza, si trovano impiegate in onore e in servigio di potenze demoniache.CAPITOLO IX.
In servigio di quali potenze agiscono gli indovini, gli astrologi, i maghi, se non delle potenze demoniache?
Tra le varie arti consideriamo anche certe attività che sono legate a principî idolatri. Degli astrologi non sarebbe neppur necessario spender parola; ma uno di costoro, recentemente mi ha provocato, sostenendo ostinatamente quel suo mestiere; perciò non posso far di meno di dir due parole; non importa che dica come l'astrologia onori gli idoli; essa fissò nel cielo i loro nomi e a loro attribuì tutta la potenza di Dio; per ciò gli uomini non credono che si debba aver considerazione alcuna della divinità, dal momento che pensano che noi siamo governati secondo l'immutabile influsso degli astri; sarà una cosa sola quella che io dirò: come quelle presunte forze divine siano appunto gli angeli ribelli, amanti di donne, e quelli che erano ragione prima e creatori di queste fole, fossero perciò condannati da Dio. O divina condanna, che fa sentire il suo valore anche sulla terra e alla quale anche gli ignoranti danno appoggio e sostegno e ne testimoniano la giustezza! Gii astrologi sono infatti tenuti lontani, come pure i simboli che costoro riconoscono per divinità. Roma e l'Italia è vietata agli astrologi, come il cielo è chiuso per gli angeli riconosciuti da loro: maestri e discepoli sono puniti coll'esilio: ugual castigo per entrambi. Si potrebbe osservare: ma i magi e gli astrologi sono venuti d'Oriente: oh, la conosciamo bene la relazione fra magia e astrologia: gli interpreti degli astri furon bene i primi che annunziarono che era nato il Signore, e primi fecero a lui offerta di doni; vuol dire dunque, io dovrei pensare, che proprio a questo titolo si stringessero e si obbligassero a Cristo? (11) Ma che! e allora la scienza dei Magi potrebbe in tal modo servire di difesa agli astrologi? evidentemente è da Cristo che si parte la dottrina astrologica oggi, è della stella di Cristo oggi che l'astrologia parla, non di quella di Saturno e di Marte e di altre simili divinità, reputate tali dopo la morte. Quella dottrina fu in certo modo riconosciuta fino al Vangelo, perché appunto dopo la nascita di Cristo nessuno più si arrogasse d'interpetrare la nascita di qualcuno dall'osservazione degli astri. Ed anche l'incenso, la mirra e gli ori furono offerti al piccolo fanciullo che era il Signore, quasi che con tali cerimonie si ponesse termine ai sacrifici e ad ogni manifestazione di culto profano che appunto Cristo era per distruggere. E quello che agli stessi Magi, certamente per volontà divina, fu suggerito in sogno, che cioè, tornassero nelle case loro, non per la strada per la quale erano venuti, ma per un'altra, significava che non seguissero più oltre quella credenza e la loro setta; non fu mica perché Erode non li perseguitasse: costui infatti non lì fece oggetto di persecuzione, pur ignorando che essi avessero preso una strada diversa nel ritorno, come del resto non conosceva la via da loro percorsa nell'andata: noi dobbiamo capire che fu indicata una strada e una disciplina rigida e pura e che da allora dovettero quindi procedere per altra via. Ci fu poi un'altra manifestazione di magia, che si rivelava nell'operar miracoli e che cercò di agire anche contro Mosè: ebbene da Dio fu tollerata pazientemente fino all'Evangelo: ma quando in un tempo posteriore, Simon Mago (12) già ormai cristiano, cercava ancora qualcosa che sapeva di ciurmerla e d'inganno, così che fra i prodigi della professione, sua, intendeva quasi di far traffico volgare dello Spirito Santo, coll'imposizione delle mani, fu maledetto dagli Apostoli e fu allontanato da ogni principio e carattere di fede. L'altro mago (13) che era con Sergio Paolo, poiché contradiceva agli stessi Apostoli, fu punito colla perdita della vista. Se gli astrologi si fossero imbattuti negli Apostoli sarebbe loro certamente capitato lo stesso. Così, quando si punisce la magia, anche Pa-strologia che è della stessa natura, viene di conseguenza ad essere condannata egualmente. Dopo la predicazione Evangelica, non potrai dire di trovare né sofisti, né Caldei, né incantatori, né indovini, né maghi, se non soggetti esplicitamente a condanna (14). Dov'è ora un saggio, un letterato, un indovino di questa natura? Iddio ha fatta sua la sapienza di questo nostro mondo: e che sapevi tu, o astrologo, se non capivi che tu avresti dovuto abbracciare la dottrina del Signore? E se tu l'avessi saputo, non avrebbe dovuto esserti ignoto che coll'attività tua, tu non potevi aver più nulla di comune. La stessa scienza astrologica, coll'esperienza che da essa deriva, avrebbe dovuto avvertirti del pericolo che correvi, dal momento che rendeva gli altri edotti di periodi critici e dubbiosi. Fra te e i Cristiani non ci può essere relazione alcuna: non può concepire speranza di ottenere il regno dei cieli, colui che questo cielo intende sottoporlo a calcoli che si possano compiere meccanicamente coll'aiuto delle dita o di strumenti matematici.CAPITOLO X.
I Cristiani non possono insegnare pubblicamente: ciò include soggiacere ad atti e a cerimonie idolatre.
La nostra attenzione si deve rivolgere ora anche sui maestri delle prime scuole e su tutti quelli che fanno professione di docenti; e non è da revocare in dubbio che essi siano in certo modo legati alla idolatria. In primo luogo è per loro una necessità ricordare le divinità pagane, citarne i nomi, le relazioni fra famiglie, tutto quello che si racconta di loro e quanto può servire a rivestire, ad abbellire, ad innalzare la loro figura; e nello stesso tempo essi frequentano le loro cerimonie, celebrano le feste in loro onore; anche essi pagano infatti il contributo. Qual'è quel maestro di scuola, anche se non abbia seco il quadretto coi sette idoli, che tuttavia non frequenterà le feste Quinquatrie? (15) La contribuzione recata per la prima volta da un nuovo scolaro, viene consacrata alla dignità e al nome di Minerva, così che, sebbene non si possa dire che si sia macchiato col contatto di qualche idolo, pure si deve dire che, almeno di nome, ha avuto relazione coll'idolatria. E infatti come si sosterrà che egli non sia tocco da quella tabe, quando contribuisce in qualche modo a ciò che viene a ridondare ad onore di una potenza idolatra e viene consacrato in suo nome? Le feste Minervali a Minerva, i Saturnali, sono dedicati a Saturno e perfino i fanciulli schiavi devono seguire tali cerimonie nei giorni sacri a Saturno. Si debbono poi prendere le strenne, i regali per le feste del Septimontium, e quando entra l'inverno, bisogna poi raccogliere i doni in onore dei parenti più vicini: nelle feste Florali (16) le scuole debbono essere ornate secondo il debito rito: le mogli dei Flamini e gli edili fanno sacrifici a Cerere, ed ecco che nelle scuole c'è vacanza (17). Quando ricorre il giorno natalizio di una divinità idolatra, si fa festa lo stesso, insomma ogni solennità del demonio si fa segno ad onore. Chi è che potrebbe sostenere che ciò convenisse ad un maestro cristiano? bisognerebbe riconoscere prima, che tutto questo fosse permesso a chi fa professione di fede cristiana, anche se non maestro.Sappiamo bene però che si potrebbe dire; se ai servi di Dio non è dunque lecito insegnare le lettere, non sarà lecito neppure apprenderle: ma, si risponderà, in che modo altrimenti si potrà uno istruire nella umana saggezza, e in qualunque dottrina speculativa o scienza pratica, dal momento che la letteratura è proprio lo strumento necessario ad acquistare ogni senso della vita? in che modo rinunzieremo alle dottrine profane, senza le quali uno non può addentrarsi nelle conoscenze divine? Esaminiamo dunque questa necessità di una erudiziene terrena e noi vedremo che, se da una parte essa non può essere riconosciuta ed ammessa, dall'altra parte non se ne può fare a meno. I credenti devono piuttosto imparare che insegnare le lettere: la ragione d'imparare è diversa. Se un cristiano fa professione d'insegnamento, non v'è dubbio che viene a confermare, a rafforzare l'idea degli idoli e quanto possa esser detto a loro lode; mentre insegna agli altri, li sostiene colla sua autorità; la menzione che egli ne fa, costituisce, né più né meno, che una testimonianza; col nominarli da loro valore ed efficienza; mentre, invece, la legge nostra, come dicemmo, proibisce che gli dei pagani siano rammentati e che il nome di Dio sia attribuito vanamente. È di qui, proprio dai principi della cultura, dell'erudiziene che il demonio viene in certo modo a prender forza e vigore. Chiederai dunque ora, se incappi nella colpa di idolatria, chi istruisce nella dottrina degli idoli? Ma quando un cristiano va ad imparare, se già prima sapeva che cosa fosse la potenza idolatra, non accoglierà in sé tale credenza, né la riconoscerà come un Dio; se ancora non lo sa, tanto meno: allorché comincierà ad apprendere qualcosa, sarà però pur necessario che ricordi anche ciò che ha appreso in antecedenza, cioè quanto riguarda Iddio e la fede e quindi le altre dottrine ripudierà ed allontanerà da sé; e la sua sicurezza sarà come quella di uno che riceverà veleno, con piena consapevolezza, da uno che non conosce quello che fa; egli quindi non si abbevererà a quella coppa. È la necessità che serve a lui di scusa e infatti: come potrebbe altrimenti imparare? Resta cosa poi più agevole sfuggire o sottrarsi all'insegnamento delle lettere, di quello che non sia per uno scolaro, il non apprenderle; con maggiore facilità pure, d'altro lato, il discente riuscirà ad evitare di frequentare quelle solennità pubbliche e private corrotte e guaste, di quello che il far ciò non riesca al maestro.
CAPITOLO XI.
Quelli che trafficano, vendendo e comprando merci che servono poi al culto delle false divinità, peccano di idolatria.
Tratteremo ora di tutte quell'altre specie di colpe, di disonestà che si vanno verificando nei traffici; sopratutto a chi è servo di Dio, non può esser vicina la cupidigia: (18) è la radice e l'origine di tutti i mali, questa, e coloro che furono stretti nei serrami di essa, sentirono vacillare e naufragare la loro fede. Infatti l'Apostolo chiama l'idolatria stessa colla denominazione di cupidigia: la menzogna è compagna e ministra della cupidigia, anche. Non dico nulla dello spergiurare, dal momento che neppure giurare è concesso. E a un servo di Dio è lecito trafficare? Se si deve tener lontano da ogni desiderio, nel quale risiede la ragione di acquistare, qualora venga meno la ragione di procedere all'acquisto, non vi sarà quindi motivo di negoziare. Sia pure che un guadagno sia giusto, scevro da ogni carattere di cupidigia e da ogni elemento d'inganno, ebbene, io credo che esso rientri nell'ambito della idolatria, se appunto riguarda l'essenza di quanto si riferisce agli idoli, se serva a dar vita e vigore alle potenze demoniache. Eppoi, per idolatria non s'intende proprio questo? Si osservino le merci stesse. Gli incensi, e tutte le altre sostanze che vengono da paesi stranieri e che servono per compiere cerimonie sacrificali idolatre, sono poi anche d'uso per gli uomini, a scopi medicinali ed inoltre noi ce ne serviamo per compiere riti sepolcrali a conforto e sollievo dei trapassati. Quando dunque le sacre processioni, i riti sacerdotali, i sacrifici idolatri si vengono a compire, incontrando e pericoli e danni e iatture e in seguito a pensieri, a peregrinazioni, a traffici molteplici, tu negoziante, che cosa dimostri chiaramente d'essere, se non che uno che favorisci gli idoli? Ma con tutto ciò, nessuno mi faccia dire che io sono contrario a qualsiasi specie di contrattazioni e di commercio. Ci sono colpe più gravi e sono queste che, per l'entità del pericolo che presentano, esigono una considerazione e un esame più attenti, perché non solo si riesca a starsene lontani ed intatti, ma per non avere a che fare neppure coi mezzi, per i quali quelle colpe si commettono.Sia pur vero che il male venga commesso da altri; non importerà però affatto qualora questa colpa sia commessa per mezzo mio. Io non debbo affatto prestar l'opera mia in nulla, ad un altro, quando questi commetta cosa che non è lecita. Quando io ho la proibizione di fare alcunché, devo pur capire che non devo neppur cercare che un altro la faccia per mezzo mio, però. Consideriamo quindi questo principio anche in altre quistioni, ma non di minore entità. A me, poniamo, è interdetto di commettere violenze carnali, ma, a questo scopo, io non posso prestare l'opera mia ad un altro. Se io ho pur tenuto lontano la mia persona dai postriboli, io comprendo bene che non posso esercitare opera di lenocinio né cercar guadagno di questa natura, per un altro. Il fatto pure che è proibito l'omicidio, dimostra chiaramente che coloro che ammaestrano i gladiatori alla lotta, devono esser tenuti lontani dalla Chiesa; quello di cui noi diamo ad altri il mezzo di fare, è circa lo stesso che lo facciamo noi: ecco un altra considerazione più ancora a proposito: se un incettatore di pubbliche vittime s'accostasse alla fede Cristiana, permetteresti tu che egli continuasse nell'esercizio di quel suo mestiere? o se uno, che già seguisse la nostra disciplina, si mettesse a negoziare in quel genere, crederesti tu che sarebbe il caso di mantenerlo nel seno della Chiesa? non lo credo, almeno che non si volesse chiudere gli occhi anche nei riguardi di un venditore d'incenso: del resto per mezzo degli uni si procaccia il sangue, per mezzo degli altri s'innalzano incensi e profumi! Se prima ancora che le potenze idolatre esistessero, con queste sostanze si compiva, sia pure primitivamente, atto d'idolatria, se anche ora, del resto, si fa idolatria senza materiale figura dell'idolo, ma solo coll'innalzare profumi, il venditore d'incensi incapperà nella colpa d'idolatria, in modo assai più grave, e presterà maggiore atto di ossequio alle potenze del male; dal momento che l'idolatria può bensì fare a meno del simbolo materiale, ma non dell'uso di quelle sostanze. Domandiamo del resto, alla stessa coscienza sua: Con qual faccia un profumiere cristiano, se attraverserà i templi degli idoli, deriderà e schernirà gli altari avvolti in nuvole di fumo, quando è lui stesso che fornisce quei profumi? Con quale fermezza ed efficacia cercherà d'allontanare le potenze del male, che egli quasi alimenta e nutre ed alle quali dà la sua stessa casa, come dispensa?
Avrà costui talvolta cacciato un demonio? ebbene, ma non avrà ottenuto tale vittoria per merito della sua fede: egli non l'ha allontanato come nemico; l'ha ottenuta da lui, come da persona amica, che egli ogni giorno nutre e sostiene. Non v'è dunque arte alcuna, nessuna professione, nessun traffico che in qualche modo si colleghi o favorisca le potenze idolatre, che possa considerarsi immune dall'idolatria, almeno che per idolatria non si voglia intendere una cosa completamente diversa da quella che costituisca l'ossequio e l'adorazione degli idoli.
CAPITOLO XII.
Nessuna scusa per chi ha avuto il sacramento del battesimo, di cadere in pratiche idolatre.
È a torto che noi pensiamo di poter trovare una giustificazione nelle esigenze della vita, al nostro venir meno ai principî della fede, qualora, dopo aver fermato tale patto, dobbiamo dire: d'altronde; non ho come tirare avanti: io rispon-derò qui con maggiore ampiezza su questo punto che fu anteriormente interrotto. È tardi, quando voi pronunziate una simile proposizione: sarebbe stato necessario pensarci prima, per stabilire un paragone con quel previdentissimo fabbricatore di case, il quale fa il calcolo prima delle sue possibilità, eppoi decide della spesa e questo, s'intende, perché non debba poi vergognarsi d'interrompere la costruzione, una volta che questa sia cominciata (19). Del resto ora, qui hai le parole, gli esempi del Signore che chiudono a te ogni possibile strada di giustificazione. Che cosa è dunque, vediamo, quello che tu dici? Io mi ridurrò mendico: ebbene; ma il Signore chiama felici proprio i poveri (20). Io mi ridurrò senza un boccon di pane, ma il Signore dice: non vi date pensiero alcuno del vitto: (21) per quel che riguarda il vestito abbiamo nel Vangelo l'esempio dei gigli: (22) Io avevo pur bisogno di qualche cosa, ma il Signore dirà: tutto è da vendersi (23) e da dividersi fra i bisognosi: debbo pensare ai figli e ai miei discendenti: ma così il Signore: nessuno che metta mano all'aratro e |129 si volti indietro, è adatto all'opera (24). Ma io ero già addetto ad un padrone: nessuno può servire due padroni (25), Egli dirà: Vuoi tu essere discepolo del Signore? ebbene, solleva la tua croce (26) e segui il Signore, questo è necessario; segui cioè le tue tristezze, i tuoi tormenti, segui il tuo corpo che ha pur forma della croce del Signor tuo. Genitori, dolcezza di sposa e di figli, tutto sarà da lasciarsi in nome del Signore. E tu dubiti di abbandonare per i genitori e per i figli attività di arti e di affari e di professioni? Ma è ormai dimostrato che le cose più care, i pegni più preziosi, ed arti e faccende, tutto è da lasciarsi per il Signore: quando Iacopo e Giovanni furono chiamati dal Signore, abbandonarono il padre e la nave; e Matteo fu tolto via dal suo banco e, pigro a convertirsi, fu giudicato colui che volle prima seppellire il padre suo (27). Non ci fu |130 alcimo fra quelli che il Signore scelse per discepoli, che disse: non ho da vivere: la fede non può temere la fame. Non solo la fame, ma qualunque genere di morte deve la fede sapere incontrare nel nome del Signore. Essa imparò a non considerare la vita: quanto meno dunque, essa darà importanza al vitto? Ma si potrebbe dire: e quanto pochi sono coloro che rispondono ed adempiono tali principi? Ciò che presso gli uomini è difficile, è facile presso Dio. Ma non lasciamoci lusingare dall'idea della mansuetudine e della clemenza di Dio, così che ci avviciniamo, col pretesto delle necessità, a quanto riveste carattere o è affine all'idolatria.CAPITOLO XIII.
Intervenire alle feste pagane è proibito ai Cristiani.
Si tenga lontano, qualunque afflato d'idolatria, come qualcosa di pestilenziale e non soltanto sotto quei riguardi che abbiamo avuto già occasione di considerare, ma sotto qualsiasi aspetto di religiosità, sia che questa sia orientata verso gli Dei, sia verso i morti, sia verso i sovrani: essa si volge infatti, in ogni modo, all'indirizzo di spiriti impuri e corrotti, sotto le diverse manifestazioni di riti sacrificali, di sacerdoti, di spettacoli o cerimonie simili, o di giorni considerati festivi. Dei sacrifici e dei sacerdoti che potrei dire? Per quel che riguarda gli spettacoli e gli allettamenti diversi che ad essi si ricollegano, abbiamo già fatto una trattazione completa in altro libro. Bisogna ora dunque occuparci dei giorni festivi e di tutte quelle solennità straordinarie che, qualche volta un certo nostro impulso al piacere, tal'altra un senso di timidezza, ci fanno frequentare, accomunandoci, contro quanto prescrivono gli insegnamenti della fede, coi pagani, in cose riguardanti l'idolatria. In primo luogo mi fermerò su questo punto: se il servo di Dio debba unirsi ai pagani in tali celebrazioni festive, sia per il modo di vestirsi, sia come sistema di vitto o con qualche altro modo inerente a tali cerimonie. Per bocca dell'Apostolo che esortava i nostri fratelli alla concordia e ad un'unità di sentimento così fu detto : godere con chi gode, piangere con chi piange: (28) del resto a questo s'aggiunge che non può esservi mai nulla di comune fra la luce e le tenebre, fra la vita e la morte; onde non resterebbe che non considerare le parole: il mondo goderà, ma voi piangerete: (29) se noi godiamo col mondo, c'è da aspettarsi anche di dover piangere col mondo. Noi invece, mentre il mondo goderà, piangeremo e allorché il mondo piangerà, godremo. Così anche Lazzaro nell'oltretomba trovò conforto e sollievo nel seno di Abramo; il ricco ebbe il supplizio del fuoco, invece, e così trovano giusto compenso alle loro azioni o buone o cattive. Vi sono però alcuni giorni stabiliti, nei quali ad alcuni si riconosce un titolo d'onore dovuto loro, ad altri si paga quanto è dovuto come compenso di lavoro. Ora dunque, tu mi dirai, io non farò che o riscuotere il mio, o pagare ad altri quel che è loro debito.Ma se questa abitudine, gli uomini l'hanno trasformata in una festività superstiziosa, tu che hai dichiarato d'esser estraneo a qualsiasi loro manifestazione di vanità, a che scopo vorrai partecipare a quelle feste di carattere idolatra? quasi che anche a te sia stabilito, prescritto, il giorno, oltre il quale tu non possa assolvere i tuoi obblighi verso un altro, o altri non possa agire ugualmente all'indirizzo tuo? Dimmi chiaramente come vuoi che io ti consideri: o come pagano o come cristiano. Perché mai vorrai nascendere d'esser cristiano, dal momento che tu vieni così a macchiare l'integrità della tua coscienza, per il fatto che altri ignora che tu segui questa fede? se poi sarai conosciuto per cristiano, potrai cadere in ogni rischio di tentazione e qualora tu non agisca come a cristiano si conviene, recherai pregiudizio alla coscienza degli altri, provocando scandalo colla tua condotta. È evidente che nell'un caso tu dissimulerai; ma la condanna è sicura ed esplicita allorché ti lasci adescare ed allettare: o per un lato o per l'altro tu sei colpevole di provare vergogna di fronte al Signore. Ma colui che si vergognerà di me presso gli uomini, proverà la mia vergogna a suo riguardo, così dice il Signore (30), davanti al Padre mio, che sta nei Cieli.
CAPITOLO XIV.
Cercando di nascondere la credenza cristiana, non può esser lecito frequentare le radunanze dei pagani ed assistere alle loro cerimonie.
Ma la maggior parte ormai hanno voluto convincersi di questo, che bisogna passar sopra, se taluno, qualche volta, fa quello che fanno i pagani, purché il nome cristiano non ne debba ricevere onta ed ingiuria: ma questa offesa che io mi penso che in ogni modo sia da evitarsi per parte nostra, è precisamente l'agire in modo che qualcuno di noi non debba dar ragione ad un pagano di provare a nostro riguardo un senso di ripugnanza: potrebbe ciò avvenire o peccando d'inganno, o facendo ingiurie od offendendo od agendo in qualunque altro modo che potesse dar luogo a rimostranze, per le quali il nome Cristiano venisse ad essere esposto ad offese e a derisione; per cui ancora Iddio avrebbe ragione di dimostrare il suo sdegno. Del resto, se d'ogni bestemmia è stato detto: (31) è per causa vostra che il mio nome vien bestemmiato, la nostra rovina è decisamente segnata ormai: quando dunque, si potrebbe dire, in pieno circo, senza alcuna ragione, viene attaccato il nome cristiano e fatto segno alle voci più turbolente e nefande, abbandoniamolo ed ogni voce di bestemmia tacerà: ma no: si lancino e si scaglino pure addosso a noi le offese e le ingiurie, purché noi siamo riconosciuti osservanti della legge cristiana e non come tali che l'abbiano in certo modo trasgredita: avvenga questo nel nostro esplicito riconoscimento d'esser cristiani, non allorché noi non fossimo creduti tali. Nella bestemmia che ci lanciano è la luce e la gloria del martirio; la maledizione scagliata contro il cristiano osservatore fedele e difensore della sua dottrina, significa verbo di benedizione! è proprio la religione nostra che ci dà il suo battesimo, appunto perché per essa noi siamo esposti ad ogni forma di sdegno e di rabbioso furore. Se io volessi piacere al mondo, afferma l'Apostolo (32) io non sarei servo di Cristo; ma si potrebbe dire che in altro luogo egli ordina: cerchiamo di piacere a tutti: (33) e soggiunse: come io cerco di piacere a tutti in tutte le cose. Evidentemente, piaceva forse al mondo costui col celebrare le feste Saturnali o delle Calende di Gennaio; oppure colla moderazione, colla tolleranza, colla serietà, colla cortesia, coll'incolpabilità e l'integrità di carattere?E quando allora dice: (34) io mi son fatto tutto a tutti per guadagnare tutti, o che forse si fece idolatra nei rapporti cogli idolatri, o pagano o ligio al sentir del mondo per gli esseri mondani? È pur vero che Cristo non ci proibisce affatto di conversare cogli Idolatri, cogli adulteri e con chi è macchiato di altre colpe, dicendo appunto che altrimenti non ci resterebbe altro che uscire addirittura dal mondo; ma con questo non ha rallentato fino a tal punto i freni della scambievole relazione che, se anche è inevitabile che noi in certo modo conviviamo con loro e abbiamo una certa conoscenza colle loro colpe, dobbiamo anche noi stessi peccare. Vi è qui uno scambio limitato di rapporti di vita civile e l'Apostolo lo riconosce e l'ammette; ma d'altro lato vi è il peccare che non è concesso ad alcuno. Si può benissimo stare coi pagani, ma non è lecito con essi seguire la strada della perdizione e della morte. Stiamo con tutti, allietiamoci secondo che comporta e vuole la nostra comune natura; ma non uniamo e confondiamo le nostre convinzioni religiose. Riconosciamo una unità di spirito, ma non di dottrina: di tutti è il mondo ed anche noi ce ne sentiamo possessori cogli altri, ma non così deve dirsi dell'errore. Se a noi non è lecito dunque entrare in simili relazioni con estranei, quanto sarebbe più colpevole celebrare certi riti fra noi? Chi potrebbe sostenere o difendere questa proporzione? Lo Spirito Santo condanna i giorni festivi dei giudei: è detto: (35) l'anima mia ha in odio i vostri Sabati, la ricorrenza del novilunio e le cerimonie in uso presso di voi; e d'altra parte noi a cui sono estranei i Sabati giudaici, i noviluni e i giorni festivi, pure una volta cari a Dio, frequenteremo poi i Saturnali, le feste alle Calende di Gennaio, all'inizio dell'inverno e le Matronali? (36) Oh! migliore assai il senso di fede dei pagani di quella che non dimostrino i cristiani in ogni cerimonia solenne: per quanto i pagani conoscano queste nostre feste, non si unirebbero con noi né nelle Domeniche né nella Pentecoste: essi temerebbero di essere scambiati per cristiani e noi invece non temiamo d'esser presi per pagani.
Vuoi tu indulgere in qualche cosa alla ricreazione del corpo? non hai mica un giorno festivo solo, ma più: per i pagani le singole feste ricorrono una sola volta all'anno, ma per te, o Cristiano, il giorno festivo giunge ogni otto giorni. Unisci pure tutti i giorni festivi dei pagani; fanne esattamente il calcolo; non arrivano al numero dei giorni della Pentecoste (37).
CAPITOLO XV.
Perché festa di luci e di frondi sulle facciate delle case nel giorno natalizio degli Imperatori? non è questa forse idolatria?
Gesù disse: (38) risplendano le opere vostre; ma ora sono le botteghe nostre, le porte delle case, che rifulgono di luci : sono ormai più numerose le porte delle case pagane senza ornamento di lucerne, di quel che non siano le abitazioni dei cristiani. Che ne dici dunque di questa pompa? Se è atto di onore ad un idolo, è evidente che siamo in piena colpa d'idolatria; se questo atto di ossequio si presta ad un uomo, riflettiamo che ogni specie d'idolatria risale appunto all'idea e al culto dell'uomo, perché null'altro che uomini furono gli Dei pagani; e questo è chiaro: niente pertanto importa se questi riti superstiziosi si celebrino per uomini di questa età o per appartenenti alle passate: l'idolatria non è condannata per le persone che vi possono essere implicate, ma per tutte quelle cerimonie che riguardano solo potenze demoniache. Si dirà : ma bisogna dare a Cesare quel che è di Cesare.... ma molto a proposito Gesù aggiunge:... e a Dio quel che è di Dio. E che cosa è che appartiene a Cesare? evidentemente, quello di cui allora si diceva; se si dovesse a Cesare pagare il dovuto tributo o no: e il Signo-re volle che gli fosse mostrata la moneta e domandò di chi fosse l'immagine in essa rappresentata: e avendo sentito dire che era di Cesare; rendete dunque, disse, quel che è di Cesare a Cesare... e quel che è di Dio, a Dio; e quindi a Cesare l'immagine di Cesare che era rappresentata nella moneta e l'immagine del Dio, che sta nell'uomo, a Dio; così che tu dovessi rendere a Cesare il denaro, e a Dio dare te stesso, che sei evidentemente l'immagine di lui. Altrimenti che cosa resterà a Dio, se tutto sarà di Cesare? Però tu mi potresti dire: ma gli onori da tributarsi a Dio stanno proprio nelle luci che si pongono sulle nostre porte, o negli ornamenti di lauro? Non questo, intendo dire, nei riguardi degli onori da prestare al Signore; ma penso che colui che è fatto segno a tali atti di ossequio (almeno per quello che appare manifesto, senza considerare, magari, l'intima intenzione, che rimane occulta), si deve riallacciare alle avverse potenze del male.Possiamo essere sicuri, benché alcuni lo ignorino, essendo privi di qualsiasi cultura pagana, che presso i Romani esistono gli Dei delle porte, ad esempio, dai cardini, una divinità era detta Cardea, dalla voce latina fores; si ebbe un Dio, Forcolo; dal limitare della porta si ebbe Limentino e dalla parola ianua, porta, avemmo Giano: e per quanto sappiamo che tali nomi sono vani e finti, quando poi essi si portano nel campo della credenda religiosa, vengono a significare potenze nemiche, demoniache, spiriti impuri, fissati a questo significato da sacri riti. 1 demoni non hanno singolarmente speciali nomi, ma trovano il loro nome dal carattere che essi rivestono : anche presso i Greci troviamo un Apollo Tireo e conosciamo potenze demoniache dette Anteli che avevano m custodia e protezione le porte (39). Lo spirito Santo, prevedendo fin da principio queste cose, per bocca dell'antichissimo profeta Enoch, predisse che anche le porte sarebbero state considerate come aventi carattere di superstizione. Anche le porte dei bagni le vediamo considerate sotto un carattere religioso: se dunque le porte, in certo modo, sono consacrate agli idoli, anche le lucerne e l'alloro che ad esse si appongono apparterranno agli idoli stessi: quello che farai alla porta, lo farai nello stesso tempo alle potenze idolatre. A questo punto voglio confermare quel che ho detto, con l'autorità di Dio medesimo, perché non è cosa ben fatta tener nascosto quello che è stato mostrato per insegnamento di tutti. So che uno dei fratelli nostri fu colpito da un grave castigo m quella notte stessa, nella quale i suoi servi avevano adornato e infiorato la sua porta per l'annunzio improvviso di un lieto avvenimento. Eppure non l'aveva adornata lui, e non aveva ordinato che così fosse fatto: egli era uscito di casa prima e, tornandovi, trovò che a sua insaputa tutto era stato fatto: così, in materia di una tale disciplina, Iddio fa caso a come agiscono anche coloro che sono al servizio nostro. Per quel che riguarda gli onori da tributarsi ai re o agli imperatori, noi abbiamo dei precetti bene espliciti: bisogna che nei nostri atti di os-sequio, seguiamo la linea di condotta indicataci dall'Apostolo (40), cioè che noi dobbiamo prestare rispetto e obbedienza ai magistrati, ad uomini influenti e che rivestono pubblici poteri; ma entro i limiti di quella dottrina che ci tiene ben separati dalla Idolatria. Proprio, secondo questo principio, abbiamo quell'esempio accaduto tanto prima d'ora, di quei tre fratelli che, pure avendo prestato il loro ossequio al re Nabuccodonosor, si rifiutarono però con ogni energia di adorare la sua immagine, riconoscendo che era segno d'idolatria tutto ciò che oltrepassa il limite dell'onor umano e attinge il carattere del divino. Così Daniele, essendo pur soggetto a Dario in tutto, pure si mantenne in questo atteggiamento di sottomissione, solo, finché capì di non correre pericolo d'infrangere il principio della sua credenza, e pur di non incappare in tale colpa, non temé la minaccia delle regali fiere, più che quelli su ricordati, non temessero il tormento delle fiamme. Attizzino la fiamma nelle lucerne, ogni giorno, coloro che non sono illuminati da luce di fede; attacchino alle porte rami di lauro e fronde di lauro destinati fra breve alle fiamme, coloro che attendono l'eterna pena del fuoco. È a loro che sta bene ciò che si riallaccia all'idea delle tenebre e quanto può essere visione dei castighi futuri. Tu, o cristiano, sei la luce del Mondo ed albero sempre verde: se tu hai saputo allontanarti dai templi delle false divinità, non rendere tempio sacrilego la porta di casa tua; ma ho detto ancora poco: hai saputo allontanarti dai luoghi di corruzione e di ogni bruttura? ebbene, non volere che la tua casa assomigli ad un luogo d'infamia e di vergogna (41).
CAPITOLO XVI.
Ai Cristiani si può permettere di frequentare le pubbliche e le private radunanze dei pagani.
Per quello che riguarda poi la frequenza delle adunanze pubbliche e private, di certe cerimonie, come quella inerente al rivestimento della toga virile o tutto quanto interessa i riti nuziali, o l'imposizione del nome, ai fanciulli (42), io penso che non si debba affatto preoccuparsi del pericolo di cadere nella colpa d'idolatria, Bisogna considerare quale sia la causa per la quale si prende parte al compimento di tali riti: io mi penso che m sé stesse quelle cerimonie non abbiano alcunché di peccaminoso: l'abito virile, la promessa di fede matrimoniale, colla consegna dell'anello, le nozze stesse, non sono affatto congiunti con qualcosa d'idolatria: non trovo che da parte della divinità si possa condannare un dato modo di vestirsi, salvo il caso di vedere in un uomo un abito da donna. Sia maledetto, Egli disse, chiunque indosserà vesti femminili: (43) la toga poi, col suo nome stesso virile, dice di esser propria dell'uomo, evidentemente; ed anche le nozze, Iddio è ben lontano da proibire di celebrarle, come pure l'imporre i nomi. Ma si potrebbe obbiettare: di queste cerimonie fanno parte i sacrifici: ma, se sono stato invitato ad intervenire, basta che la mia presenza non abbia affatto a che fare col sacrificio e non si manifesti in alcun modo la mia attività, che impedimento vi può essere o che colpa può rappresentare? Volesse il cielo che noi avessimo la facoltà di non vedere, quanto è nefasto a compiersi: ma dal momento che l'idolatria ha colmato il mondo di tanti mali, sarà pur lecito prender parte ad alcuni riti, che, se non altro, fanno noi come ossequiosi piuttosto verso gli uomini, che verso gli idoli. Certamente io, invitato, non anderò ad un rito sacerdotale o al compimento di un sacrificio, poiché sarebbe questo proprio un atto di ossequio prestato ad un idolo, e non vi darò l'opera mia, né col consiglio, né colla spesa, né in qualsiasi altro modo. Se, chiamato, infatti, io assistessi, e mi interessassi a un sacrificio, io prenderei parte a qualcosa che tocca la idolatria; ma se, per un'altra ragione qualunque, io mi unirò ad uno che compie un sacrificio, io sarò un semplice spettatore del sacrificio stesso.CAPITOLO XVII.
E qual'è il modo di comportarsi cogli idolatri, per non incappare nella colpa della quale essi sono macchiati?
I servi poi o liberti, seguaci della religione cristiana, come si potrebbe dire che compiano qualcosa di colpevole, e così pure, coloro che accompagnano ed aiutano i loro signori nelle cerimonie sacrificali? od anche chi sta vicino ai loro padroni o a chi, comunque, esercita su di essi, autorità e dominio? Ma s'intende d'altra parte, che se taluno avrà consegnato del vino a chi compie sacrificio, o magari, se pronunziasse qualche formula inerente al sacrificio stesso, non vi può esser dubbio che, in tal caso, dovrà essere giudicato come ministro di culto idolatra. Secondo lale regola noi possiamo prestare il nostro servigio a chi è rivestito di pubbliche cariche ed esercita pubblici poteri, perfettamente come fecero i patriarchi e i nostri maggiori che assisterono a principi idolatri, finché non ebbero compiuto interamente i loro sacrifici. Di qui, sorge una quistione che può esser formulata così: se un servo del Signore, che rivesta qualche grado di pubblica autorità od occupi alcuna carica, possa sfuggire ad ogni accusa o macchia di idolatria o per qualche favore speciale o usando di una certa abilità; proprio come è il caso di Giuseppe e Daniele che esercitarono pubbliche cariche ed ebbero onori con tutte l'insegne dovute al loro grado, l'uno in tutto l'Egitto, l'altro in Babilonia. Ma ammettiamo pure che ad uno possa succedere questo; che in una onorifica carica, agisca solo di nome, in quanto tale ufficio rivesta, ma che all'atto pratico non sacrifichi, e non presti la sua autorità in qualche modo a cerimonie di rito, non appalti le vittime, non pensi alla cura dei templi, non s'occupi di procurare ad essi rendite, non appresti spettacoli né colle sue ricchezze private, né colle pubbliche rendite; non presieda agli spettacoli che si devono fare; non pronunzi costui nessuna solenne formula di rito, non edica nessun bando, non faccia giuramento; ammetiamo dico, che nei riguardi della facoltà a lui aggiudicata, non condanni alcuno alla pena capitale e neppure ad una condanna infamante (pazienza per una multa in denaro!); non pronunzi dunque costui alcun giudizio né giustamente né ingiustamente: non faccia legare nessuno, nessuno sia da lui gettato nel carcere, nessuno sia straziato dai tormenti: ma tutto ciò è proprio possibile che si verifichi?CAPITOLO XVIII.
Non ci possono essere ragioni, a giustificazione di pomposità e di sfarzi, che i Cristiani debbono senz'altro condannare.
Ora ormai bisognerà trattare e considerare del modo di vestirsi, e di ornarsi: ognuno ha il suo abito tanto per l'uso quotidiano, quanto nei riguardi della posizione che ricopre. Quindi le vesti di porpora e i diademi d'oro, di cui si rivestivano e con cui si ricingevano il capo, presso gli Egiziani e i Babilonesi, costituivano segni di dignità e d'onore, come sarebbero presso di noi le toghe preteste, le trabee, le vesti palmate, le corone d'oro dei sacerdoti delle provincie, ma non però rivestivano lo stesso carattere: a titolo d'onore infatti venivano date quelle distinzioni a coloro che meritavano la familiarità dei re: e infatti dalla porpora che indossavano, si chiamavano porporati del re, come presso di noi si dicono candidati coloro che indossano la toga candida; ma quella magnificenza della veste, non era inerente proprio alla loro funzione di sacerdoti o alle cerimonie che si andavano compiendo agli idoli. Se così fosse stato, uomini di tanta santità e di tanta fermezza di fede, avrebbero deposto senza altro le vesti, che avrebbero contenuto qualcosa d'impuro e sarebbe risultato chiaro che Daniele non era aflatto in servigio degli idoli e non aveva culto né per Bele né per il dragone, come molto tempo dopo apparve manifesto (44). La veste purpurea dunque, presso quelle popolazioni barbare, era, non tanto segno di dignità di carica, quanto di nobiltà. Giuseppe era stato servo, Daniele, che per la sua prigionia, aveva mutato stato, conseguirono l'onore della cittadinanza Babilonese ed Egiziana, e per mezzo di quella veste si dimostrarono appunto di antica nobile e straniera famiglia: nello stesso modo, presso di noi, si potrà al Cristiano permettere l'uso della toga pretesta quale è appunto in uso presso i fanciulli e così pure la stola, quale è usata dalle fanciulle; ma questa non può essere segno di dignità ricoperte, ma solo di nobiltà di nascita: indice di stirpe, non di onore; di classe, di ordine, non di superstiziosa credenza. Ma io potrei osservare che la porpora e tutte le altre insegne di dignità e di potenza, fin dal loro principio sono in servigio della idolatria: hanno in loro stesse la macchia della profanazione: le pubbliche cariche sono venute in un secondo momento, ma dapprima e le preteste e le trabee, e i laticlavi e i fasci e le verghe (45) erano i rivestimenti e gli ornamenti e i simboli di potenza per gli idoli; ed era giusto del resto: i demoni sono i magistrati del secolo e però usano le insegne, i fasci e le porpore del loro collegio. Che troverai di guadagno tu, qualora dunque ti servirai di quei travestimenti e di quelle insegne, anche se tu non farai nulla di quel che fanno costoro? Nessuno che rivesta cose impure può apparir puro: se tu rivesti una tunica che è di per sé stessa macchiata; va bene che tu non abbia avuto parte alcuna nell'averla insudiciata, ma che tu possa sembrar pulito, quando tu l'abbia indossata, non sarà mai. Che cosa è dunque quello che mi vieni dicendo di Giuseppe e di Daniele? Non sempre sappi, si possono mettere a confronto le cose antiche colle recenti, le rozze e semplici colle elaborate e perfette; ciò che appena è cominciato con quello ormai compiuto e chiarissimo; le cose servili, con le liberali. Costoro erano in una condizione di servitù; ma tu, invece non sei servo di alcuno, in quanto lo sei soltanto di Cristo, il quale ti liberò per altro da ogni forma di schiavitù del mondo, e perciò devi seguire la linea di condotta che ti è stata indicata dal tuo Signore. Il Signore fu in tutta umiltà, ed abbandono: casa propria non ebbe: Egli disse: (46) il figliuolo deiruomo non ha dove riposare la sua testa: il suo vestire fu rozzo; e non infatti avrebbe detto: (47) ecco: coloro che si ricoprono di vesti fini ed eleganti sono nelle case dei re. Fu dimesso ed umilissimo nell'aspetto, come aveva pur detto Isaia (48). Non esercitò mai, neppure sui suoi discepoli atto alcuno di autorità e di potenza; anzi si adattò a servigi bassi ed umilianti (49); se pur consapevole di sua sovranità, non volle mai esser fatto re, dette ai suoi seguaci la linea da seguire, dal momento che egli allontanò da sé ogni grandezza, ogni luce di dominio e di gloria terrena. E chi mai, più che il figlio di Dio, avrebbe potuto usare e cingersi d'ogni simbolo di grandezza? quanti fasci avrebbe potuto far portare ed innalzare davanti a lui? e come bene sulle sue spalle avrebbe fatto risalto lo splendore della porpora? e quale fulgore avrebbe avuto l'oro sulla sua testa, se la gloria di questo mondo egli non l'avesse giudicata estranea a sé e ai suoi seguaci?Chiaramente allontanò da Lui tutto ciò che Egli non volle riconoscere; e ciò che condannò, lo giudicò evidentemente dominio e possesso del demonio: non avrebbe infatti Iddio condannato, se non ciò che non era suo; e, d'altra parte, quelle cose che non appartengono a Dio, non possono essere che del demonio. Se tu detestasti appunto, ogni manifestazione del demonio, sappi bene che è Idolatria qualunque cosa che da essa tu potessi arrogarti. Questo tu abbia per ammonimento, che non solo ogni dignità, potenza e splendore mondano è lontano e alieno da Dio, ma è a Lui chiaramente nemico; è in forza delle grandezze e potenze del mondo che si stabiliscono tormenti e supplizi, contro i servi di Dio, senza sapere poi quali pene siano preparate da Dio per gli empi e i sacrileghi. Ma ammettiamo che la nobiltà della tua nascita e le ricchezze di cui disponi ti siano quasi d'impedimento a combattere certe forme di idolatria; in ogni modo, per evitare ciò, rimedi non ne possono mancare, ed anche se ti dovessero venire a mancare, almeno uno rimarrà sicuramente: la piena consapevolezza che maggiormente felice sarai in cielo. che sulla terra, quando ti troverai insignito colà di qualche titolo d'onore.
CAPITOLO XIX.
Il Cristiano non deve attendere alla milizia.
Potrebbe credersi che nel precedente capitolo fosse già definita la quistione del cristiano nei riguardi del servizio militare: la milizia è qualcosa che riveste un carattere di dignità e di potenza. Si chiede invece ora questo: se un cristiano possa fare il mestiere delle armi, e se un soldato, quindi, possa abbracciare la fede: rimanendo nella milizia, sia pure nei gradi inferiori (50), nei corpi meno importanti, ai quali non fossero, magari, imposte celebrazioni di sacrifici, manifestazioni di riti, o fossero obbligati a condanne a morte. Non si trovano d'accordo i giuramenti da prestarsi agli Dei e agli uomini; il vessillo di Dio e quello del demonio non possono trovarsi su una stessa linea; non può trovarsi l'esercito della luce, con quello delle tenebre: come può un'anima sola servire a Dio e a Cesare? Ma, mi potrete dire: non portò forse la verga Mosè, e Aronne non forse le fibbie e Giovanni non si cinse forse della fune? anche Gesù guidò le schiere e il popolo combattè (51), ma tutto questo dobbiamo intenderlo in senso assai alto e detto quasi in senso molto benevolo: come il cristiano potrà scendere in campo, come potrà anzi, anche in pace, attendere ad esercizi di armi, se Iddio strappò a lui le armi stesse? Se pure i soldati si recarono dal Battista, essi riceverono da lui l'essenza dell'insegnamento divino, e il centurione stesso abbracciò il principio di fede; il Signore poi disarmò ogni soldato, nell'ordinare a Pietro che rimettesse la spada nel fodero. Nessun uso può esser conservato presso di noi, qualora esso serva per compiere atti che non siano considerati leciti.CAPITOLO XX.
Si può incappare nella colpa d'idolatria anche colle semplici parole.
Poiché non è solo colle nostre azioni, ma anche semplicemente parlando sulla nostra divina dottrina, che noi corriamo pericolo di cadere in colpa di idolatria, dobbiamo per questo stare molto attenti a quanto noi pronunziamo, perché appunto non si debba incorrere in tal peccato o per una colpevole consuetudine, o per un senso di non accorta timidezza. Si trova scritto infatti: ecco l'uomo e le sue azioni; ma è anche detto: troverai giustificazione per quello che la tua bocca saprà pronunziare. La legge nostra ci proibisce di nominare le divinità dei pagani, ma non mica però al punto di non ricordare i nomi di quegli Dei che possono capitare nel discorso comune! È comunissimo dover dire: tu trovi costui nel tempio di Esculapio; oppure: io sto di casa nel vico di Iside; ed anche: il tale è stato fatto sacerdote di Giove, e molte altre espressioni che suonano similmente, perché ormai tali nomi corrono sulla bocca di tutti, e sono divenuti così, comuni fra la gente. Io non intendo prestare atto d'onore a Saturno se rammenterò il nome suo, come non onoro uno che si chiama Marco, se pur lo rammenterò con tal nome che gli è proprio. Ma si dice: il nome di altri dèi non sarà ricordato, né dovrà mai uscire dalla tua bocca. Ma l'ordine contenuto in queste parole è di non chiamarli come divinità ed infatti nella prima parte della legge divina è stabilito: non ricorderai il nome di Dio tuo invano, cioè, attribuendo questo nome a un idolo. Cadde dunque nella colpa d'idolatria colui che onorò l'idolo, nel nome del Signore. Se dunque capiterà il caso di dover ricordare i falsi Dei, bisognerà sempre aggiungere qualche cosa da cui risulti chiaro, che io non sono quello che li considera vere divinità: anche la sacra scrittura ha infatti occasione di rammentare le divinità pagane; ma aggiunge: i loro Dei.... gli Dei di quelle genti. E lo stesso fa David quando, ricordando gli Dei, così si esprime: gli Dei di quelle genti sono potenze demoniache (52). Ma io ho accennato a questo per farmi strada a trattare quanto segue: del resto il ricordare il nome di Èrcole o di Giove, rientra molte volte nell'abitudine, e c'è di mezzo poi l'ignoranza anche di coloro che non reputano affatto che ciò significhi giurare in suo nome. Ma in realtà, che cosa è il chiamare con giuramento, in testimonio coloro che tu hai detestati, se non uno scostarsi della vera fede per cadere nell'idolatria? Perché, chi è che non presta tributo d'onore a colui, in nome del quale pronunzia giuramento?CAPITOLO XXI.
Non si debbono temere le calunnie dei pagani: quanti si rendono colpevoli d'idolatria, per timidità e mancanza di coraggio!
Tu incappi nella colpa di timidezza, quando un altro t'obbliga a giurare o a fare in qualche modo solenne testimonianza nel nome delle sue divinità pagane e tu pieghi la testa, per non farti scoprire cristiano; è evidente infatti che tu, collo startene quieto, affermi la potenza di coloro per causa dei quali appari obbligato e costretto. Che cosa importa che tu le riconosca Dei, quelle divinità pagane, col farne esplicita dichiarazione verbale o col prestare orecchio a quanto possa venir detto da altri? che importa che tu pronunzi la formula del giuramento o che tu stia in disparte, indifferente e tacito, quando sei stato in loro nome solennemente chiamato e pregato da un altro? Quasi che noi non avessimo conoscenza delle astuzie e delle insidie del demonio: quello che non può ottenere direttamente dalla nostra bocca, cerca di raggiungerlo, suggerendo nelle nostre orecchie ogni principio idolatra, per bocca d'altri. Certamente chiunque sia costui, cercherà di stringerti con un discorso o apertamente ostile o simulatamente amico. Se l'inimicizia è patente, sai benissimo che quel che t'aspetta è la lotta nel circo e quindi il martirio; ma se poi invece avrà la cosa un aspetto amichevole, con quanta maggior fierezza risponderai, rivolgendoti fermamente a Dio, per infrangere e dissolvere così quella specie di vincolo col quale, il malvagio, cercava di stringerti al culto degli idoli e chiuderti nei nodi dell'idolatria? Se tu indulgi a tali manovre e permetti che tale modo d'agire si svolga, sei in colpa d'idolatria. Tu vieni a tributare onore a quelle divinità idolatre, dal momento che hai riconosciuto di dover prestare loro ascolto, quando tu ti sentisti in loro nome in certo modo obbligato. Io so di un tale, e speriamo che Iddio lo perdoni, al quale, essendo stato detto in una quistione: che tu possa provare l'ira di Giove; rispose: ma che questo possa capitare a te. Ebbene che cosa di diverso avrebbe potuto dire un pagano, che credeva realmente all'esistenza di Giove? Anche se costui avesse ritorto l'imprecazione, non nel nome stesso di Giove, ma di un'altra divinità, tuttavia dello stesso stampo di Giove, veniva implicitamente a riconoscere l'esistenza di Giove, dal momento che, ritorcendo la maledizione, significava che egli non aveva certamente piacere di dovere esperimentare Pira di Giove. Infatti che ragione ci sarebbe di sdegnarsi, di dover subire la maledizione di uno che noi riconosciamo come inesistente? Dal momento che tu monti invece su tutte le furie, vieni a dire che Giove esiste e la confessione del tuo timore è riconoscimento esplicito d'idolatria. E se tu ribatti la maledizione nel nome dello stesso Giove, allora poi, rendi a Giove quello stesso onore che gli ha tributato colui che l'ha invocato contro di te. Un cristiano, in una circostanza simile, deve ridere, non sdegnarsi affatto: c'è di più: secondo quanto ha detto Iddio, tu non devi ribattere la maledizione ricevuta neppure nel nome del Dio vero, anzi nel nome d'Iddio, devi pronunziare una parola di benedizione; sarà così che tu infrangerai ogni principio idolatra e tu dirai la gloria e la grandezza di Dio ed ubbidirai ai dettami della dottrina di Cristo.CAPITOLO XXII.
Non e accettabile la benedizione nel nome degli Dei; il solo Dio può rivolgere la sua parola benedetta all'uomo.
Uno, seguace della dottrina di Cristo, non permetterà mai d'esser fatto segno a benedizione nel nome degli Dei dei pagani e quindi dovrà, senz'altro, respingere, ripudiare qualsiasi fot ma di benedizione empia e sacrilega e cercare di convertirla in quella del vero Dio, Esser benedetto nel nome delle divinità pagane è lo stesso che esser maledetto dal vero Dio dei Cristiani. Qualora io faccia l'elemosina o se in qualche altro modo presterò i miei benefici e il beneficato invocherà e pregherà per me i suoi Dei o il Genio della sua città perché si dimostrino a me propizi; quella mia azione benefica, quell'atto da me compiuto, non sarà stato che un tributo d'onore reso agli Dei; in quanto il mio beneficato chiede che gli Dei mi siano benigni in compenso di quanto ho fatto io a suo favore. Ma, perché non deve costui sapere chiaramente che io, quanto ho fatto, è stato in nome del vero Dio, perché tornasse ad onore ed a sua gloria, e non perché fosse tributato onore alle potenze demoniache, con quello che compii invece per la vera divinità? Si potrebbe rispondere: Iddio vede, e saprà che io ho compiuto la mia azione per lui! Ma vedrà Iddio anche questo; che tu cioè, non hai voluto che fosse manifesto che tu operavi in suo nome e quindi vedrà che tu hai volto il precetto suo, o quasi, in servigio dell'idolatria. Molti dicono: nessuno si deve manifestare; lo credo bene; ma neppure deve rinnegare la propria fede: ora, chiunque sia preso per pagano in qualsiasi circostanza e cerca di dissimulare, costui rinnega: ogni forma di negazione è idolatria, la quale risulta essere appunto dissimulazione e negazione o in opere o a parole.CAPITOLO XXIII.
Non si può usare giuramento né orale né scritto, per assicurare chi ci desse a prestito denaro, delle nostre intenzioni leali ed oneste.
Ma esiste una certa forma d'idolatria che s'esplica nella cosa in sé, come sostanza e nella parte anche formale: sotto ambedue i punti di vista si presenta nimicissima a noi e sottile: può bensì presentarsi sotto aspetto lusinghiero, quasi che nulla vi sia di contrario, né in una cosa né nell'altra, perché dal momento che non si pronunziano parole, anche il fatto viene a rimaner celato. Se capita di prender denaro a prestito dai Gentili, danno essi la sicurezza del pegno, ma poi offrono assicurazione sottoscrivendo una formula di giuramento; e chi fa ciò afferma di non sapere come egli possa aver rinnegato la fede: vogliono essi precisare il momento in cui ciò accadde, durante quale persecuzione, e in quale tribunale e sotto la presidenza di quale magistrato. Ma se è Cristo che prescrive che non si deve giurare! costui però, che ha giurato in scritto, a sua volta, ti salterà su a dire : io sottoscrissi, non dissi nulla; è la lingua, non la scrittura che può rovinare. A questo punto io chiamo a testimoni la natura e la coscienza. Io chiamo dunque la natura, perché essa mi dica: non può la mano nostra scrivere qualsiasi cosa, anche se la lingua se ne stia perfettamente immobile e non pronunzi neppure una sillaba, se sia stata dettata dall'anima? è l'animo nostro stesso che fa pronunziare alla lingua ciò che questo ha concepito o che gli è stato suggerito da altri. E non si venga poi a dire: questo giuramento è un altro che l'ha dettato: ne sia testimone l'anima stessa e mi dica se essa abbia in quel momento ricevuto e approvata quel che altri dettò e se vi sia stato bisogno, per tramandarlo alla mano, dell'aiuto o meno della lingua. Disse bene il Signore quando affermò che si pecca nell'animo e nella coscienza: se, disse la cupidigia e la malvagità avranno fatto tanto di penetrare nel cuore dell'uomo, sei ormai stretto dalla colpa. Tu ti sapesti magari, guardare e sfuggire, nel fatto, a ciò che nel tuo cuore era ormai disceso ed aveva preso dominio; ma con questo non puoi dire d'averlo ignorato e di non averlo voluto: quando tu pur te ne guardasti, sapesti bene quello di cui si trattava e sapendolo, lo avevi in certo modo accolto nella tua intima volontà e quindi sei in colpa, tanto nella realtà della cosa, come nel pensiero che ad essa ti ha condotto.E non puoi con una colpa più lieve, liberarti da una maggiore, così che tu possa sostenere esser falsa l'accusa d'aver rinnegata la fede, dal momento che la tua parola non ha giurato, ma ti sei contentato di sottoscrivere tacitamente il giuramento. C'è di più: ammettiamo che tu avessi acconsentito a questo contratto per dire che sei stato uno spergiuro : non voler sostenere che la ta-cita voce della penna non ha valore, o il muto suono dello scritto. Zaccaria infatti, che fu colpito colla materiale perdita della parola, parlò con tutta l'anima sua: non ebbe bisogno di far uso della lingua; fu dal suo cuore che egli dettò, così che le sue mani scrissero e il nome del figlio suo uscì dal suo spirito, da tutto il suo intimo, senza bisogno d'aprir bocca: la sua penna parlò per lui e fu, la mano che impresse sulla cera, udita più chiaramente di qualsiasi voce e lo scritto ebbe delle risonanze più forti di qualunque grido. Chiedi dunque se abbia parlato, quando si sa benissimo che egli chiaramente riuscì a manifestare il suo pensiero? Rivolgiamo fervida preghiera a Dio che noi non siamo costretti giammai a stipulare contratti di tal genere; ma qualora un fatto simile dovesse avvenire, conceda ai nostri fratelli il modo di trovare rimedio alle loro miserie, o ci dia la forza di spezzare, d'infrangere, di vincere qualsiasi dura e trista necessità, perche quelle lettere che invece della bocca dissero negazione di fede, nel giorno del giudizio divino non siano poste dinanzi a noi intatte, con tanto di sigilli, ma non in forza della nostra difesa, ma fissate ormai dalle avverse potenze demoniache, e loro possesso e testimonianza ai nostri danni.
CAPITOLO XXIV.
La Fede è paragonabile ad una nave.
La fede compie la sua navigazione fra questi scogli e insenature, in mezzo a secche, fra gli stretti dell'idolatria; essa è spinta dal divino spirito di Dio e se ne va sicura, se pur procede con cautela; senza pericolo alcuno, se sta in guardia: del resto questo mare profondo non è possibile attraversarlo se uno vi balzasse dentro; con imprudenza chi urta negli scogli subisce inevitabilmente un naufragio, da cui non potrà liberarsi, e coloro che sono incappati e travolti dalle credenze idolatre, non è possibile che tornino a più ampio respiro; non c'è flutto che non li soffochi, ogni vortice li trasporta alla rovina. Nessuno per altro dica: ma come sarà possibile che taluno possa vivere in una tale condizione di sicurezza? Bisognerà assolutamente allontanarsi dalla vita: quasi che infatti metta conto di partirsene, piuttosto che restare su questa terra, come idolatra: nulla può esservi di più facile che guardarsi dall'idolatria, purché si abbia per essa senso di |162 timore e questo sia in cima ad ogni nostro pensiero. Qualunque altra cosa, per quanto grave, è minore del pericolo rappresentato dall'idolatria: fu per questo appunto che lo Spirito Santo, consultandolo gli Apostoli, ci allentò il legame e il giogo della legge, perché attendessimo così ad evitare l'idolatria: questa è la nostra legge: quanto più essa è chiara e libera, tanto più per questo si deve osservare e rispettare pienamente: è proprio essa, dei Cristiani: è per essa che noi ci distinguiamo dai Gentili: ed è su di essa che siamo messi alla prova. È questa la Fede che bisogna inculcare a coloro che vogliono avvicinarsi a noi, perché seguano decisamente una linea di condotta e perseverino nella stretta osservanza di essa, o, non attendendosi ai suoi dettami, vi rinunzino poi decisamente. Nell'arca, simbolo della Chiesa, potremo vedere come vi fosse stato il corvo, lo sparviero, il lupo, il cane, il serpente, e quindi, anche nella Chiesa vi saranno i peccatori; ma nell'arca non ci fu alcun animale che fosse simbolo dell'idolatria; onde, ciò che non fu nell'arca, non sia neppur nella Chiesa.Note
1. I Lettera di S. Giovanni Apostolo II,11:"Ma chi odia suo fratello è nelle tenebre, cammina nelle tenebre e non sa dove va, perché le tenebre hanno accecato i suoi occhi".2. S. Matteo, V, 20: Perciocché io vi dico che se la vostra giustizia non abbonda più che quella degli Scribi e dei Farisei, voi non entrerete punto nel regno dei cieli.
3. Intendi: capire quanto per forza di avverse potenze possa esser compiuto in un principio di ingiustizia, onde saperlo evitare, come quello che anche larvatamente rientra nel campo idolatra.
4. Allude al popolo Ebraico che, allontanatosi dalla religione primitiva, s'accostò in un dato periodo della sua storia a culti idolatri « quando la costituzione dei regni israe litici alterò sempre più le condizioni primitive di vita, quando l'accumularsi delle ricchezze nelle mani di pochi accentuò i dislivelli di classe, quando i sovrani, mescolandosi alla grande politica, richiesero maggiori tributi o si appoggiarono a forze straniere e si andò snaturando lo spirito primitivo del popolo, la religione di Jahvé diventò il vessillo di un'aspra opposizione ad ogni indirizzo mondano, a questo anteporre la nazione al Dio e all'ideale morale e sociale che il Dio rappresentava: i rappresentanti di questa opposizione furono i profeti. Le idee della riforma profetica sono altrettanto semplici quanto appassionate e veementi. Partono dall'annunzio di uno sdegno profondo di Jahvé contro il popolo; Jahvé esige culto esclusivo che contrasta contro ogni altra religione straniera e contro certe forme del culto di Jahvé inquinate dal paganesimo dei santuari cananei: tale esclusivismo di culto è la prima radice del monoteismo giudaico »
5. Del libro di Enoch se ne fa menzione nel nuovo testamento, nell'epistola dell'apostolo Giuda: dal tempo di S. Agostino in poi se ne conobbero solo pochi frammenti: si ricorda un Enoch, figlio di Caino; e stando alla Genesi V, 18-24, ebbe questo nome il padre di Matusalem, che avrebbe camminato 365 anni con Dio, poi sarebbe scomparso, chiamato da Dio stesso: si propende a scorgere in questa leggenda un antico simbolo dell'anno.
6. Isaia, XLIV, 8 e segg. : Voi, insieme col mio servitore, il quale io ho eletto, mi siete testimoni, dice il Signore, acciocché sappiate, e mi crediate e intendiate che io son desso; avanti di me non fu formato alcun Dio, e dopo di me non ve ne sarà alcuno; XLIV, 6: Così ha detto il Signore, il re d'Israele e suo Redentore, il Signor degli eserciti : io sono il primiero ed io son l'ultimo; e non vi è Dio alcuno fuor che me.
7. S. Paolo, Lettera ai Corinti, I, 7.
8. S. Paolo, Lettera ai Tessalonici, I, 4. 11-12: E procacciate studiosamente di vivere in quiete e di fare i fatti vostri e di lavorar con le proprie mani, siccome vi abbiamo ordinato, acciocché camminiate onestamente verso quei di fuori e non abbiate bisogno di cosa alcuna.
9. Marcioniti: i seguaci di Marcione eretico gnostico del sec. II: ammetteva tre esseri eterni: Iddio buono, Iddio giusto, e la materia materna : altri gnostici furono, Saturnino, Valentino, Basilide.
10. S. Marco, IX, 42 e seg. : E chiunque avrà scandalizzato uno di questi piccoli che credono in me, meglio per lui sarebbe che gli fosse messa intorno al collo una pietra di macina e che egli fosse gettato in mare: ora, se la tua mano ti fa intoppare, mozzala : meglio è per te entrar monco nella vita, che, avendo due mani, andar nella geenna, nel fuoco inestinguibile... e se il tuo piede ti fa intoppare, mozzalo: meglio è per te entrar zoppo nella vita che, avendo due piedi, esser gettato nella geenna, nel fuoco inestinguibile... Parimente se l'occhio tuo ti fa intoppare, cavalo; meglio è per te entrar con un occhio solo nella vita, che avendone due, esser gettato nella geenna del fuoco.
11. Intendi; l'espressione è ironica: il fatto dei Magi non può in alcun modo esser portato come a giustificazione e a riconoscimento della scienza astrologica, che è basata su un principio idolatra. Così Matteo, II, 1-2: Ora, essendo Gesù nato in Betleem di Giudea, ai dì del re Erode, ecco che dei magi di Oriente arrivarono in Gerusalemme, dicendo: dov'è il re dei Giudei che è nato? conciossiaché noi abbiamo veduta la sua stella in Oriente e siamo venuti per adorarlo.
12. Simone mago, ciurmatore samaritano, seguace di Zoroastro, spacciavasi per il Messia ed operava falsi prodigi: si fece poi battezzare e pretese comprare coll'oro da S. Pietro la facoltà di operare miracoli; ma fu respinto dal capo degli Apostoli colle parole: il tuo denaro sia teco in perdizione. Allora Simone riparò in Italia ed acquistò fama e proseliti in Roma. Si narra che, avendo voluto gareggiare con S. Pietro, dinanzi a Nerone, si sollevasse in aria per virtù diabolica, ma subito precipitasse, spezzandosi le gambe (64. D. C.). E considerato il primo degli eretici.
13. Atti degli Apostoli, XVII.
14. S. Paolo, Lettera ai Corinti, I, 20: ubi sapiens, ubi scriba, ubi conquisitor huius saeculi? nonne stultam fecit Deus sapientiam huius mundi?
15. Sacro a Minerva era il giorno 19 Marzo che figura sui calendari col nome di Quinquatrus, così chiamato, secondo Ovidio (Fasti, III, 810), perché le feste di Minerva duravano cinque giorni; secondo Varrone (Lingua latina, VI, 14) perché era il quinto dopo le Idi: la festa era celebrata partico-larmente dagli artifices (tessitrici, filatrici, falegnami, tintori) ma pur anche dai docti (poeti, maestri) con divertimenti d'ogni sorta per il popolo: nel quinto giorno, cioè il 23, aveva luogo il Tubilustrium o dedicazione delle trombe, strumenti sacri alla Dea.
16. Si ricorda qui la festa del Septimontium, che fu celebrata dalla più lontana antichità, fino al III sec. D. C., in memoria del settimo colle incluso entro le mura: pare che avvenisse l'11 Dicembre. Le feste in onore della Dea Flora, fissate nel 173, erano solennizzate con rappresentazioni sceniche, specialmente di mimi, molto licenziose, dal 28 Aprile, al 3 Maggio. Si solevano poi celebrare le Caristia: nel giorno dopo la commemorazione dei defunti, v'erano queste feste chiamate anche Cara cognatorum, che consistevano nel costume gentile, per cui, dopo compiute le cerimonie espiatorie e purificanti finora descritte, le famiglie s'adunavano a convito, prendendovi parte i parenti del marito, della moglie e non altri, acciocché se differenza fosse alcuna fra loro, in quella santa celebrazione d'allegrezza e ricreazione d'animi, si togliesse via e con buona pace e concordia si componesse. Le Caristie suonano letizia e concordia fra i vivi, sotto 11 patrocinio dei Lari, cui durante il convito offrivasi incenso e vivande.
17. I ludi Cereali si celebravano dal 12 al 19 Aprile nel Circus maximus ove si dava la caccia a volpi con tizzoni accesi legati alla coda: più tardi furono celebrati anche con rappresentazioni teatrali.
18. S. Paolo, Lettera a Timoteo, I, 10: Perciocché la radice di tutti i mali è l'avarizia; alla quale alcuni datisi, si sono smarriti dalla fede e si sono fitti in molte doglie.
19. S, Luca, XIV, 28-30: Perciocché, chi è colui fra voi, il quale, volendo edificare una torre, non si assetti prima e non faccia ragione della spesa se egli ha da poterla finire? che talora avendo posto il fondamento e non poten' dola finire, tutti coloro che la vedranno non prendano a beffarlo, dicendo: quest'uomo cominciò ad edificare e non ha potuto finire.
20. S. Luca, VI, 20: Ed egli, alzati gli occhi verso i suoi discepoli diceva: beati voi, poveri, perché il regno di Dio è vostro.
21. S. Luca, XII, 22: Poi disse ai suoi discepoli: non siate solleciti per la vita vostra, che mangerete, né per il corpo vostro, di che sarete vestiti.
22. S. Luca. XII, 27: Considerate i gigli come crescono; essi non lavorano e non filano: e pure io vi dico che Salo-mone stesso, con tutta la sua gloria, non fu vestito al par d'uno di essi.
23. S. Luca, XII, 33: Vendete i vostri beni e fatene limosina: fatevi delle borse che non invecchiano, un tesoro in cielo che non viene giammai meno, ove il ladro non giunge e ove la tignola non guasta.
24. S. Luca, IX, 62: Ma Gesù gli disse: « niuno il quale, messa la mano all'aratro, riguarda dietro, è atto al regno di Dio ».
25. S. Luca, XVI, 13: Niun famiglio può servire a due signori: perciocché o ne odierà l'uno e amerà l'altro; ovvero s'atterrà all'uno e sprezzerà l'altro: voi non potete servire a Dio e alle ricchezze.
26. S. Luca, IX, 22-24: Dicendo: ei conviene che il Figliuol dell'Uomo patisca molte cose e sia riprovato dagli anziani e dai principali sacerdoti e dagli Scribi e sia ucciso e risusciti al terzo giorno; diceva, oltre a ciò, a tutti: se alcuno vuol venir dietro a me, rinunzi a sé stesso e tolga ogni dì la sua croce in spalla e mi segua; perciocché chi avrà voluto salvar la vita sua, la perderà, ma chi avrà perduto la vita sua per me, la salverà.
27. S. Luca, IX, 59: Ma egli disse ad un altro: seguimi, ed egli disse: Signore, permettetemi che io prima vada e seppellisca mio padre...
28. S. Paolo, Lettera ai Romani, XII, 15.
29. S. Paolo, Lettera ai Corinti, II, 6-14: Non vi accoppiate cogli infedeli, perciocché che partecipazione vi può essere tra la giustizia e l'iniquità? e che comunione vi può essere fra la luce e le tenebre? S. Giovanni XVI, 20: In verità, in verità, io vi dico che voi piangerete e farete cordoglio e il mondo si rallegrerà, e voi sarete contristati: ma la vostra tristizia sarà mutata in letizia.
30. S. Luca, XII, 8-10: Or io vi dico: chiunque mi avrà riconosciuto davanti agli uomini, il Figliuol dell'uomo altresì lo riconoscerà davanti agli angeli di Dio; ma chi mi avrà rinnegato davanti agli uomini, sarà rinnegato davanti agli angeli di Dio; e a chiunque avrà detta alcuna parola contro al Figliuol dell'uomo, sarà perdonato; ma a chi avrà bestemmiato contro allo Spirito Santo, non sarà perdonato.
31. S. Paolo, Lettera ai Romani, II, 24.
32. (2) S. Paolo, Lettera ai Galati, I, 10: Perciocché, induco io ora a credere agli uomini, ovvero a Dio? o, cerco io di compiacere agli uomini? conciossiacché, se compiacessi ancora gli uomini, io non sarei servitor di Cristo.
33. S. Paolo, Lettera I, ai Corinti, X, 33.
34. S. Paolo, Lettera ai Corinti, I, 9-22.
35. Isaia, I, 13-15: Non continuate più a portare offerte inutilmente: i profumi mi sono cosa abbominevole; non posso patire il novilunio e il sabato e le altre feste: sono iniquità le vostre radunanze: l'anima mia odia le vostre calende e le vostre solennità; mi son di gravezza, io sono stanco di portarle; perciò, quando voi spiegherete le palme delle mani, io nasconderò gli occhi miei da voi: eziandio, quando moltiplicherete le orazioni, io non le esaudirò; le vostre mani son piene di sangue.
36. Intendi, oltre i Saturnali, la festa in onore di Giano, il 1 Gennaio, che consisteva nell'offerta di una focaccia detta lanual, quasi in memoria, che per gli insegnamenti suoi si cominciò ad usare dei prodotti della terra, come alimento e ad offrirne le primizie agli Dei: forse era questa un'invocazione al Nume, considerato come Ianus Consivius, per averlo propizio alla produzione durante l'anno da lui rappresentato, quale regolatore del corso del sole. Le Matronalia si celebra vano alle Calende di Marzo in onore di Giunone e si vogliono decretate dal senato, dopo la prima guerra coi Sabini, in memoria della pace intervenuta per opera delle stesse donne rapite.
37. Per Pentecoste s'intende il tempo che corre tra la Pasqua e la festa dello Spirito Santo: Pentecoste è parola greca pentekosto&j, cinquantesimo (giorno). Dalla Pasqua giudaica che commemorava l'uscita degli Ebrei dall'Egitto sino alla festa che rievocava, celebrandola, la promulgazione della legge sul Sinai; passavano cinquanta giorni, di qui la denominazione di questa ultima festività giudaica: Pentecoste, durante la quale secondo la leggenda accolta negli atti (II), avvenne la discesa dello Spirito Santo in forma visibile sugli Apostoli che l'attendevano oranti nel cosidetto Cenacolo. La Pentecoste cristiana che la Chiesa stabilì dopo cinquanta giorni dalla Pasqua di Resurrezione, è quasi come un duplicato della Giudaica. Mentre questa infatti, commemorava, come si è detto, la promulgazione della legge fatta in settanta lingue diverse, così anche la Cristiana, assunse il carattere simbolico della proclamazione universale del Vangelo. (Vitanza).
38. S. Matteo, cap, V, 14-16: Voi siete la luce del mondo: la città posta sopra un monte non può esser nascosta; parimente non si accende la lampada e si mette sotto il moggio: anzi, si mette sopra il candeliere ed ella fa luce a. tutti coloro che sono in casa; così risplenda la vostra luce nel cospetto degli uomini, acciocché veggano le vostre buone opere e glorifichino il Padre vostro che è nei cieli.
39. Tireo dalla voce greca: qu&ra porta: Anteli si chiamavano gli Dei posti alle porte dei templi perché, essendo allo scoperto, erano esposti al sole: h3lioj. Elio.
40. S. Paolo, Lettera ai Romani, XIII.
41. Si allude all'uso di adornare con tralci certi luoghi di liberi costumi e di abbandoni colposi.
42. Allude all'abbandono da parte dei giovanetti, della toga praetexta, la qual cosa dava luogo ad una speciale ceri monia festiva: le feste poi per l'imposizione del nome si dicevano Nominalia.
43. Deuteronomio, XXII, 5: La donna non porti indosso abito d'uomo; l'uomo altresì non vesta roba di donna; perciocché chiunque fa cotali cose è m abominio al Signore Iddio tuo.
44. Tutto il passo mira a dimostrare come certe insegne di dignità non importassero un principio di fede, ma solo un adattamento alle leggi di quella regione nella quale si trovavano ad essere: la Genesi XLI. 42, dice: E Faraone si trasse il suo anello di mano e lo mise in mano a Giuseppe e lo fece vestir di vestimenti di bisso e gli mise una collana d'oro al collo. Si legga, in riguardo, il libro di Daniele.
45. Ricorda qui le insegne di cariche e di onori, proprie ai Romani; la praetexta, veste bianca e lunga, orlata di porpora, indice o di età giovanile o di dignità di ufficio: la trabea era pure una veste che veniva portata in circostanze diverse da re e da sacerdoti, veste ornata di liste di porpora era, come sappiamo, il laticlavio proprio dei senatori; come pure si sa che i fasci erano simbolo di potenza e di somma autorità.
46. S. Luca, IX, 58: E Gesù gli disse: le volpi han delle tane e gli uccelli del cielo, dei nidi: ma il Figliuol dell'Uomo non ha pure ove posi il capo.
47. S. Matteo, XI, 8: Ma pure che andaste a vedere? un uomo vestito di vestimenti morbidi? ecco, coloro che portano vestimenti morbidi sono nelle case dei re.
48. Isaia, LIII, 3 : Egli è stato sprezzato fino a non esser più tenuto nel numero degli uomini, è stato uomo di dolori ed esperto in languori; è stato come uno dal quale ciascuno nasconde la faccia; è stato sprezzato, talché non ne abbiam fatta alcuna stima.
49. Allude al fatto d'aver Gesù lavato le estremità ai suoi discepoli.
50. Intendi proprio, come semplice gregario, dove quindi la responsabilità di certi atti è minore, perché è vincolata dalla cieca ubbidienza.
51. Intendi che il principio della violenza non poteva che esser bandito da ogni principio cristiano e se lotte ci furono e se si verificò qualche spargimento di sangue, esso trovava sua giustificazione in un carattere di necessità assoluta e, in ogni modo appunto, era cosa non cercata e non gradita.
52. Esodo XXIII: E prendete guardia a tutto quello che io vi ho detto: e non ricordate il nome degli Iddii stranieri; non odasi quello nella tua bocca.
6 - Si narra come gli apostoli uscirono a predicare alla moltitudine accorsa al cenacolo e cominciarono a parlare in varie lingue.
La mistica Città di Dio - Libro settimo - Suor Maria d'Agreda
Leggilo nella Biblioteca73. Di fronte ai segni tanto manifesti che accompagnarono la discesa del Paràclito, ci fu agitazione in tutta Gerusalemme per la meraviglia davanti a un evento così straordinario e, appena si fu sparsa la notizia di quanto si era osservato sul cenacolo, la folla si radunò per informarsi dell'accaduto. In quel giorno si celebrava una delle feste degli ebrei e, sia per questo motivo sia per una speciale decisione celeste, c'erano numerosi forestieri e stranieri di tutte le nazioni, ai quali l'Altissimo voleva rivelare quel prodigio e l'inizio dell'annuncio della legge evangelica, che il Verbo incarnato, nostro maestro, aveva disposto per la salvezza dell'umanità.
74. Gli apostoli, che con la pienezza dei doni dello Spirito Santo erano infiammati di carità, sapendo che la città accorreva alle porte della casa dove si trovavano domandarono licenza alla loro Regina di uscire a predicare, perché tanta grazia non poteva rimanere oziosa nemmeno per un istante senza ridondare a beneficio delle anime e a nuova gloria del suo Autore. Apparsi dinanzi alla moltitudine, incominciarono a proclamare i misteri della fede e della vita eterna con inaspettato coraggio e con parole simili a raggi di luce e di fuoco, che penetravano gli ascoltatori, i quali restarono tutti sorpresi e come attoniti poiché sino ad allora erano stati timidi e ritirati. Questi si guardavano e si dicevano gli uni gli altri: «Cos'è ciò che vediamo? Costoro non sono forse tutti galilei? Come dunque li sentiamo ciascuno esprimersi nella nostra lingua nativa? Siamo giudei e proseliti, romani, latini, greci, cretesi, arabi, parti, medi e di ogni regione del mondo, e tutti li intendiamo. Oh, grandezza del Signore! Quanto è mirabile nelle opere sue! ».
75. Il fatto che gente proveniente dai luoghi più disparati udisse Pietro e gli altri nel proprio idioma fu causa di singolare stupore, insieme alla dottrina che era presentata; ma essi, sebbene con l'effusione della scienza e delle elargizioni superne avessero ricevuto la capacità di comunicare in tutti i linguaggi, che era loro necessaria per portare ovunque la lieta novella, in tale occasione impiegarono esclusivamente l'aramaico. Il sommo sovrano compì questo portento affinché fossero meglio capiti, per la ragione che non traducevano quello che asserivano poiché altrimenti avrebbero avuto bisogno di ripetersi almeno diciassette volte, per le altrettante popolazioni che secondo Luca erano lì, con enorme dispendio di tempo e immensa confusione e molestia.
76. Se il testo narra che i Dodici si misero a parlare in varie lingue, è perché in un momento le compresero tutte e poi le utilizzarono e perché furono percepite dagli astanti, con effetti differenti in base ai sentimenti contrari che le diverse disposizioni provocarono in questi. Chi era animato da pietà afferrava molto riguardo a Dio e alla redenzione, di cui essi trattavano con sublimità e fervore: era acceso e mosso dalla forza dei loro discorsi a vivi desideri di conoscere la verità, nonché rischiarato e spinto a compunzione dall'illuminazione divina per piangere le proprie colpe e chiedere clemenza, implorando perciò tra le lacrime di essere istruito su che cosa avrebbe dovuto fare. Chi era duro di cuore, invece, si sdegnava privandosi delle ricchezze che venivano dischiuse e, piuttosto che prestar loro attenzione, li definiva fautori di novità e falsi devoti. Parecchi dei più empi, nella loro perfidia e invidia, li biasimavano con maggiore asprezza sostenendo che erano ubriachi e fuori di senno; ed alcuni di loro erano tra quelli che avevano ripreso l'uso dei sensi dopo essere caduti al rombo di tuono, perché si erano rialzati addirittura più ostinati e ribelli.
77. Per combattere una simile bestemmia, il capo della comunità ecclesiale dichiarò a voce elevata: «Uomini di Giudea e voi tutti che siete in Gerusalemme, vi sia ben noto che questi al mio fianco non sono ebbri di vino come immaginate, non essendo passato il mezzogiorno, ora in cui generalmente si commette tale disordine. In essi si è adempiuto ciò che l'Altissimo assicurò per mezzo di Gioèle: "In futuro riverserò il mio Spirito su ogni persona: i vostri figli e le vostre figlie profeteranno, i giovani e i vecchi avranno visioni e sogni; anche ai miei servi e alle mie serve lo donerò, realizzerò meraviglie nel cielo e segni sulla terra prima che giunga il giorno della mia manifestazione, e chiunque mi invocherà sarà salvo". Considerate quanto affermo: voi avete ucciso per mano di iniqui Gesù di Nazaret, mentre egli era perfetto, accreditato dal Padre con, gli ammirevoli miracoli dei quali siete consapevoli e testimoni; tuttavia è stato risuscitato come aveva predetto Davide, che evidentemente non si riferì a se stesso, giacché il suo sepolcro è ancora fra voi, ma appunto a lui. Noi attestiamo di averlo incontrato risorto e di averlo osservato quando veniva innalzato per sedersi alla destra dell'Eterno. Apprendano gli increduli quello che la loro malizia pretende di negare, malizia a cui si opporranno i prodigi che opererà in noi, suoi ministri».
78. «Sappia dunque con certezza tutta la casa di Israele che quel Gesù che voi avete crocifisso è stato costituito Signore e Cristo». Tanti si sentirono trafiggere dalle sue parole e tra i gemiti domandarono come avrebbero potuto avere rimedio. Quindi, egli proseguì: «Pentitevi e fatevi battezzare nel suo nome per la remissione dei vostri peccati; dopo discenderà su di voi lo Spirito Santo, perché tale promessa è per voi, per i vostri figli e per tutti coloro che sono lontani e che l'Onnipotente chiamerà a sé. Approfittate di ciò che vi è offerto e separatevi da questa generazione perversa». Gli apostoli continuarono a diffondere il loro annuncio: i più malvagi e diffidenti furono sconcertati e, non trovando nulla da replicare, se ne andarono; quelli, però, che abbracciarono la fede e si unirono a loro furono quasi tremila, con profondo timore e spavento dell'intera città.
79. Questi ultimi erano di ogni nazione allora lì presente, affinché il frutto della redenzione arrivasse subito a tutte le genti, da tutte si formasse un'unica Chiesa universale e a tutte si estendesse l'effusione della grazia, senza l'esclusione di nessuno. Molti erano tra quanti avevano seguito con compassione il nostro Maestro e avevano riflettuto sulle sue sofferenze e sulla sua morte. Aderirono al Vangelo pure alcuni che avevano collaborato ad essa, pochi solo poiché pochi si disposero, dal momento che altrimenti tutti sarebbero stati perdonati. Alla sera Pietro e i suoi compagni si ritirarono al cenacolo con gran parte dei nuovi discepoli per rendere conto dell'accaduto alla Regina della misericordia e perché questi la conoscessero e venerassero.
80. Ella non era all'oscuro di niente, avendo inteso tutto dal suo oratorio e avendo penetrato fino ai minimi pensieri e sentimenti degli ascoltatori. Era stata ininterrottamente con il viso nella polvere, impetrando nel pianto che si convertissero quelli che difatti lo fecero e che i rimanenti cooperassero con gli aiuti superni. Per sostenere i Dodici e gli astanti, aveva invitato parecchi dei suoi custodi ad assistere gli uni e gli altri con buone ispirazioni e ad infervorare e incoraggiare la predicazione; i suoi comandi erano stati eseguiti ed aveva agito con il suo potere e la sua eccellenza, nella misura appropriata a una simile occasione, nonché alla causa e alla materia di cui si trattava. Allorché entrò al suo cospetto quella copiosa primizia, accolse tutti con gioia inesprimibile e con la dolcezza di una tenera madre.
81. Il vicario di sua Maestà proclamò: «Fratelli miei e servi dell'Altissimo, ecco colei che ha generato il nostro Salvatore, che confessate vero Dio e vero uomo: gli ha dato la forma umana concependolo nel suo grembo ed è restata vergine durante il parto e dopo il parto come lo era prima del parto. Ricevetela come madre, protettrice e mediatrice, e grazie a lei noi e voi riceveremo luce, consolazione e rifugio dalle nostre colpe e dalle nostre miserie». Questa esortazione e la vista di Maria purissima produssero in essi mirabili effetti, perché il privilegio di procurare benefici interiori e di illuminare in modo particolare chi la contemplava con ossequio e riverenza le era stato rinnovato e accresciuto quando era stata nell'empireo accanto al suo Unigenito. Tutti, avendo avuto tale favore, si prostrarono ai suoi piedi e tra le lacrime la implorarono di stendere la mano e di impartire loro la benedizione; però ella, nella sua umiltà, si schermiva poiché c'erano i sacri ministri e addirittura il loro capo, che dovette sollecitarla: «Signora, non privateli di ciò che la loro pietà richiede per il loro conforto». Obbedì e accondiscese con serenità.
82. L 'amore che li infiammava li muoveva a bramare che tenesse loro un discorso, mentre il rispetto e la soggezione li trattenevano dal supplicarla, ma avendo ponderato la sua docilità nei confronti del principe degli apostoli ricorsero a lui, affinché la pregasse di non licenziarli senza aver rivolto loro qualche parola che li animasse maggiormente. Egli, pur ritenendo opportuno rafforzare tutti costoro, che erano appena rinati in Cristo, sapendo bene che la nostra prudentissima sovrana non ignorava che cosa fosse conveniente fare, non ardì dire altro che questo: «Signora, prestate attenzione alle attese dei vostri devoti». Immediatamente ella affermò: «Carissimi, ringraziate di cuore l'Onnipotente perché fra tutti ha attratto e chiamato voi alla via della vita con l'annuncio della fede. Siate saldi in essa, professandola e credendo tutto quello che contiene la legge evangelica, come la ordinò Gesù, e stando sottomessi a questi sacerdoti, che vi istruiranno; poi, per mezzo del battesimo sarete contrassegnati con l'impronta e con il carattere di figli dell'Eterno. Io mi offro come vostra ancella per soccorrervi in ogni vostro bisogno e intercederò per voi presso il Redentore, domandandogli che vi guardi con clemenza, vi manifesti lo splendore del suo volto nell'autentico gaudio e fin d'ora vi comunichi la sua grazia».
83. Tutti furono sollevati, rischiarati e colmati di ammirazione e sorpresa per quanto erano giunti a comprendere della Regina del mondo. Ottenuta ancora la sua benedizione, si congedarono da lei migliorati e riempiti di straordinari influssi. I Dodici e i discepoli da allora continuarono senza interruzione a diffondere la lieta novella e a compiere prodigi, e in quell'ottava catechizzarono non solo i tremila che si erano convertiti a Pentecoste, ma pure tanti altri che giorno per giorno si univano a loro, avvalendosi della capacità di insegnare a ciascuno nella sua lingua. Sebbene essi l'avessero avuta in grado superiore, questa, per le necessità legate all'enorme numero dei nuovi membri della comunità ecclesiale, era stata elargita a tutti i centoventi che si erano trovati con loro nel cenacolo, incluse Maria di Màgdala e le sue compagne. Queste ammaestravano parecchie donne, che andavano a loro dopo avere udito la predicazione, e ne attiravano altre con la fama dei miracoli che anch'esse realizzavano, benché in misura minore; infatti, guarivano tutte le infermità con la semplice imposizione delle mani, facevano vedere i ciechi, parlare i muti, camminare gli storpi e risuscitare molti morti. Nell'intera Gerusalemme c'era grande stupore e non si discorreva di altro che di quello che stava accadendo.
84. La notizia della novità si sparse nella stessa maniera fuori dalle sue mura, giacché nessuno vi arrivava con qualche malattia senza tornare libero e sano. Tali meraviglie furono indispensabili, non soltanto per confermare il messaggio che era divulgato, ma anche perché il desiderio naturale che gli uomini hanno della salute del corpo li stimolasse a recarsi dai ministri del Signore e così, spinti dalla ricerca di questa, ascoltassero la loro proclamazione e conseguissero parimenti quella dell'anima, come generalmente avveniva. Si moltiplicavano dunque i cristiani, i quali erano ardenti e ferventi al punto che incominciarono tutti a imitare la povertà del Salvatore: disprezzavano le ricchezze e deponevano quanto avevano ai piedi degli apostoli, senza riservare niente per sé e facendo parte di ogni cosa a tutti, decisi ad affrancarsi dai rischi del possesso e a vivere nella sobrietà, nell'onestà, nella modestia e nell'orazione incessante, non preoccupandosi che delle realtà superne. Si reputavano fratelli e figli di uno stesso Padre che è nel cielo e, siccome avevano in comune la fede, la speranza, la carità, i sacramenti e la beatitudine cui tendevano, giudicavano pericolosa la disuguaglianza tra chi era erede dei tesori divini e confessava le medesime verità. Stimavano una dissonanza che, essendovi tra loro tanta unione in ciò che era principale ed essenziale, vi fossero poi alcuni facoltosi e alcuni nell'indigenza, senza che i beni materiali venissero condivisi come gli altri, dal momento che procedevano entrambi dallo stesso Padre a vantaggio di tutti i suoi figli.
85. Fu il secolo aureo e il felice principio della Chiesa, in cui l'impeto del fiume rallegrò la città di Dio e la corrente della grazia e dei doni dello Spirito fertilizzò quel paradiso appena piantato da sua Maestà, in mezzo al quale stava l'albero della vita, Maria santissima. La fede era desta, ferma la speranza, infiammata la carità, pura la sincerità, schietta l'umiltà e integra la giustizia; i credenti non erano toccati dall'avarizia, non si curavano della vanità, calpestavano il fasto, ignoravano la cupidigia, la superbia e l'ambizione, vizi che successivamente si sono estremamente sviluppati fra coloro che si dichiarano seguaci di Gesù e con le azioni lo negano. Noi siamo soliti addurre a nostra discolpa che essi erano meno ed erano i primi frutti del Paràclito, che i tempi erano differenti e che la Signora della sapienza li difendeva e rinvigoriva con la sua vicinanza, la sua preghiera e la sua protezione perché si comportassero eroicamente.
86. A questa obiezione ribatterò più avanti, quando dalla narrazione risulterà palese che i suddetti peccati si sono introdotti per responsabilità dei battezzati, conferendo al demonio un tale potere che nemmeno nella sua tracotanza e malizia egli immaginava di conquistare. Intanto, affermo unicamente che la forza dello Spirito non si è esaurita e sarebbe ugualmente efficace in molti sino alla fine come lo fu in pochi all'inizio, se ci fossero disposizioni simili. Le situazioni sono effettivamente cambiate; però, il passaggio dalla virtù alla corruzione non dipende dai pianeti o dagli astri, bensì da quanti hanno abbandonato il retto sentiero e si sono avviati verso la rovina. Non mi riferisco ora ai pagani e agli eretici, che sono impazziti del tutto deviando non solo dalla luce della fede ma anche dalla ragione; mi riferisco piuttosto a chi si pregia di essere un discepolo mentre di discepolo non ha che il nome, e talvolta ne approfitta per mascherare e nascondere le trasgressioni.
87. In questa terza parte non sarà possibile scrivere che qualcuna delle innumerevoli opere mirabili che la nostra Regina compì, ma quello che racconterò e la durata della sua permanenza nel mondo dopo l'ascensione saranno sufficienti per dedurre parecchio, perché non si arrestò né si riposò, e non perse mai l'occasione di concedere eccezionali benefici alla comunità primitiva nel suo insieme o a qualche suo membro in particolare, sia intercedendo presso il suo Unigenito senza che nulla le fosse rifiutato, sia insegnando, ammonendo, consigliando e diffondendo in vari modi le elargizioni celesti, delle quali era dispensatrice. Tra gli arcani misteri che mi sono stati svelati, uno è che in quegli anni coloro che si dannavano erano ben rari in confronto a ciò che è avvenuto in seguito.
88. Tale fortuna potrebbe provocare salutare invidia in noi che ci troviamo in un'epoca peggiore se fossero andate diminuendo la sua autorità, la sua benevolenza e la sua clemenza. Sicuramente non abbiamo la gioia di vederla, parlarle e udirla corporalmente, ed in questo i cristiani di allora furono senz'altro favoriti rispetto a noi; tuttavia, consideriamo che nella sua scienza e nel suo amore fummo già tutti presenti, poiché ci ravvisò uno per uno nell'ordine in cui avremmo avuto in sorte di nascere ed elevò suppliche per noi come per loro. E adesso nell'empireo non è meno potente di quanto lo fosse quaggiù ed è madre nostra come lo fu di quei figli, ma - ahimè - il nostro ardore e la nostra devozione sono assai diversi. Non è mutata, e il suo patrocinio e il suo soccorso non sarebbero minori se anche noi ricorressimo a lei pentiti, umiliati e ferventi, sollecitando il suo intervento e lasciando il nostro destino nelle sue mani con speranza certa del rimedio; infatti, indubbiamente l'intera Chiesa cattolica nel suo declinare sperimenterebbe la medesima assistenza che ebbe al suo sorgere.
89. Torniamo alla cura che la tenera Vergine aveva degli apostoli e delle persone che si erano appena convertite, attendendo alla consolazione e ai bisogni di tutti e di ciascuno. Ella animò e incoraggiò i Dodici e gli altri predicatori, ricordando l'attenzione che dovevano prestare alle dimostrazioni prodigiose con le quali sua Maestà cominciava a fondare la legge evangelica, la forza che lo Spirito Santo aveva comunicato loro per renderli ministri idonei e l'aiuto del braccio dell'Altissimo che avevano sempre riscontrato; inoltre, inculcò loro che lo confessassero e magnificassero come autore di tutte quelle meraviglie e che per tutte lo ringraziassero umilmente, e li invitò a continuare con profonda fiducia ad annunciare la buona novella, ad esortare i credenti e ad esaltare il Salvatore affinché fosse lodato, conosciuto e adorato da tutti. Fu la prima a mettere in pratica ciò che raccomandava con genuflessioni, mortificazioni e cantici, con tanta pienezza che per nessuno dei battezzati omise di innalzare intense preghiere e di manifestare gratitudine all'Eterno, perché li teneva distintamente impressi nella sua mente.
90. Per di più accoglieva, ascoltava e accarezzava tutti con parole di vita. Nei giorni dopo la Pentecoste molti conversarono con lei in segreto aprendole il proprio intimo, sebbene quanto le palesavano le fosse già noto, giacché scrutava i cuori, i sentimenti e le inclinazioni; con questa sapienza si adattava alle necessità e al temperamento di ognuno, applicandogli la medicina appropriata. In tale maniera accordò grazie così singolari che non si possono intendere finché siamo viatori.
91. Nemmeno uno dei fedeli che la nostra Maestra istruì e catechizzò si perse, benché fossero numerosissimi quelli che ebbero un simile privilegio, poiché per tutto il tempo del loro pellegrinaggio fece per essi speciali orazioni e furono scritti nel libro della vita. Per obbligare Gesù, gli diceva: «Mio Signore e mio unico bene, per vostra volontà sono ridiscesa sulla terra per occuparmi dei miei fratelli. Non riesco a sopportare che il vostro preziosissimo sangue risulti privo di frutti in coloro che implorano la mia intercessione, e non è giusto che divengano infelici per essersi avvalsi di questo vile verme per ottenere da voi pietà. Ammetteteli tra gli eletti, vostri amici, per vostra gloria». Le fu subito risposto che sarebbe stata esaudita e sono convinta che lo stesso succeda oggi con quanti si meritano la sua mediazione e la cercano con sincerità; invero, se ella si rivolge al suo Unigenito con siffatte domande, come le negherà tanto poco colui che le diede tutto il suo essere affinché lo rivestisse della carne e della natura umana, e in questa lo allevasse e alimentasse al suo castissimo petto?
92. Parecchi dei nuovi discepoli, stimandola enormemente per averla vista e sentita parlare, le portavano gioielli, ricchezze e grandi regali, e particolarmente le donne si spogliavano dei loro più pomposi ornamenti per offrirglieli. Maria non accettava niente e, qualora fosse stato opportuno prendere qualcosa, disponeva occultamente gli animi perché i donatori si dirigessero dagli apostoli e perché questi dispensassero il tutto ripartendolo con carità ed equità tra i più poveri, senza comunque tralasciare di essere riconoscente come se il beneficio fosse stato ricevuto da lei. Usava ineffabile bontà con gli indigenti e gli infermi, che sovente guariva da vecchi mali, e tramite Giovanni provvedeva a molteplici mancanze nascoste, non trascurando nulla. Inoltre, poiché i Dodici e gli altri erano impegnati per l'intera giornata nella proclamazione del lieto messaggio, aveva premura di preparare il cibo per il loro sostentamento, e lo serviva personalmente stando in ginocchio e chiedendo con inesprimibile riverenza di baciare la mano di ciascuno, anzitutto dei sommi sacerdoti e fondatori della Chiesa; infatti, ponderava la dignità di questi ultimi nonché le loro anime confermate in grazia e nobilitate dall'azione dello Spirito, e a volte li osservava nel radioso splendore che effondevano, accrescendo ulteriormente la sua venerazione.
Insegnamento della Regina del cielo
93. Figlia mia, in quanto hai appreso degli avvenimenti riferiti nel presente capitolo troverai contenuto molto riguardo al mistero della predestinazione. Considera che la redenzione fu efficace per tutti, perché fu assolutamente sovrabbondante. La dottrina della verità fu proposta a tutti quelli che l'udirono direttamente o ne ebbero notizia per gli effetti della venuta di Cristo nel mondo, e per di più l'annuncio esterno del rimedio fu accompagnato da impulsi interiori ed aiuti affinché lo accogliessero e se lo assicurassero. Ti meravigli allora che il primo discorso di Pietro abbia convertito solo tremila uomini tra l'immensa folla che vi era in Gerusalemme? Eppure, sarebbe causa di maggiore stupore il fatto che adesso ben pochi intraprendano il cammino della salvezza, mentre il Vangelo si è ampiamente diffuso, la predicazione è frequente, i ministri sono numerosi, la luce della fede è più chiara, la penetrazione degli arcani superni più profonda. Ciò nonostante, gli occhi sono più ciechi, i cuori più induriti, la superbia è più gonfia, l'avarizia senza alcun velo e ogni vizio senza alcun timore di Dio e senza ritegno.
94. In questa degenerazione e tristissima sorte nessuno ha diritto di recriminare contro l'altissima equità del Signore, che a tutti e a ciascuno accordò e accorda la sua paterna misericordia indicando così la via della vita e della morte, ed è rettissimo nei confronti di coloro ai quali permette di essere insensibili. I reprobi piangeranno irreparabilmente su se stessi quando, non esistendo più nel tempo, conosceranno quello che avrebbero potuto e dovuto conoscere nel momento appropriato. Se nel breve pellegrinaggio che viene loro dato di compiere per guadagnarsi il gaudio perenne si chiudono a sua Maestà e ascoltano il demonio sottomettendosi alla sua empissima volontà e non giovandosi della benignità divina, che cosa addurranno a loro discolpa? E se non sanno scusare un'ingiuria ma per qualsiasi lieve offesa intentano crudelissime vendette, se per accumulare beni e possessi pervertono l'ordine della ragione e della fratellanza naturale, se per un turpe diletto si dimenticano della pena eterna, e soprattutto non tengono conto degli avvertimenti e dei suggerimenti che sono inviati loro affinché abbiano paura della perdizione e non si abbandonino ad essa, come si lamenteranno del tribunale celeste? Escano dunque dall'inganno i peccatori e si persuadano che senza penitenza non vi è assoluzione, senza ravvedimento non vi è remissione, e senza perdono non vi è gloria; questa, però, come non sarà certamente concessa a chi ne è indegno, neppure sarà negata a chi ne è degno, e non è mai mancata né mai mancherà la clemenza per chi vorrà meritarla.
95. Da tutto ciò, o carissima, bramo che tu raccolga gli ammaestramenti salutari che ti sono utili. Innanzitutto, bisogna che tu sia attenta ad ogni santa ispirazione e ad ogni ammonimento e insegnamento che sentirai anche dal più vile sacerdote o da chiunque altro, pensando prudentemente che non ti arava a caso e in assenza di un disegno della Provvidenza, giacché indubbiamente tutto è stabilito perché tu sia avvisata. Ricevilo pertanto con umile gratitudine e medita intimamente per discernere quale virtù tu possa e debba mettere in pratica con la sollecitazione che ti è stata donata, senza disprezzarla benché ti sembri piccola, poiché con tale opera buona ti prepari per altre di più grande valore. In secondo luogo, pondera il danno che procura alle anime la noncuranza di tanti benefici, villania che motiva la giustizia con cui l'Onnipotente lascia molti nell'errore. Se poi il pericolo è terribile in tutti, quanto lo sarebbe in te qualora sprecassi i cospicui favori che ti sono stati elargiti più che a parecchie generazioni? Il mio Unigenito dispone questo a vantaggio tuo e di tutti, e quindi ambisco infine che a mia imitazione nasca in te un cordialissimo desiderio di aiutare come ti sarà possibile i figli della Chiesa e gli altri, invocandolo fervorosamente e supplicandolo di guardarli con benevolenza e di salvarli. Affinché essi conseguano una simile fortuna, offriti di patire se sarà necessario, ricordandoti che sono costati al tuo sposo lo spargimento del proprio sangue e il sacrificio della propria vita e a me innumerevoli travagli. Domanda continuamente il frutto della redenzione, e io te lo impongo sotto precetto di obbedienza.
Pasqua 1954.
Camilla Bravi
La prova si fa più intensa ogni giorno da parte del mondo, dei sensi e dello spirito. Le umiliazioni, calunnie, incomprensioni ecc. aumentano continuamente con la malattia, i dolori fisici, morali e spirituali. Il Direttore nuovo, il rev. Parroco mio, don Alberto Casari, è una santa persona, ma si è ammalato e ho potuto vederlo solamente poche volte; però, malgrado tutto, ogni tanto Gesù e la Madonna non mi lasciano senza qualche lume o consolazione, perché mi abbandoni a Loro ciecamente e perché, quando sono troppo triste, io continui a pregare e confidare in Loro.