Liturgia delle Ore - Letture
Giovedi della 26° settimana del tempo ordinario (Santi Angeli Custodi)
Vangelo secondo Marco 6
1Partito quindi di là, andò nella sua patria e i discepoli lo seguirono.2Venuto il sabato, incominciò a insegnare nella sinagoga. E molti ascoltandolo rimanevano stupiti e dicevano: "Donde gli vengono queste cose? E che sapienza è mai questa che gli è stata data? E questi prodigi compiuti dalle sue mani?3Non è costui il carpentiere, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle non stanno qui da noi?". E si scandalizzavano di lui.4Ma Gesù disse loro: "Un profeta non è disprezzato che nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua".5E non vi poté operare nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi ammalati e li guarì.6E si meravigliava della loro incredulità.
Gesù andava attorno per i villaggi, insegnando.
7Allora chiamò i Dodici, ed incominciò a mandarli a due a due e diede loro potere sugli spiriti immondi.8E ordinò loro che, oltre al bastone, non prendessero nulla per il viaggio: né pane, né bisaccia, né denaro nella borsa;9ma, calzati solo i sandali, non indossassero due tuniche.10E diceva loro: "Entrati in una casa, rimanetevi fino a che ve ne andiate da quel luogo.11Se in qualche luogo non vi riceveranno e non vi ascolteranno, andandovene, scuotete la polvere di sotto ai vostri piedi, a testimonianza per loro".12E partiti, predicavano che la gente si convertisse,13scacciavano molti demòni, ungevano di olio molti infermi e li guarivano.
14Il re Erode sentì parlare di Gesù, poiché intanto il suo nome era diventato famoso. Si diceva: "Giovanni il Battista è risuscitato dai morti e per questo il potere dei miracoli opera in lui".15Altri invece dicevano: "È Elia"; altri dicevano ancora: "È un profeta, come uno dei profeti".16Ma Erode, al sentirne parlare, diceva: "Quel Giovanni che io ho fatto decapitare è risuscitato!".
17Erode infatti aveva fatto arrestare Giovanni e lo aveva messo in prigione a causa di Erodìade, moglie di suo fratello Filippo, che egli aveva sposata.18Giovanni diceva a Erode: "Non ti è lecito tenere la moglie di tuo fratello".19Per questo Erodìade gli portava rancore e avrebbe voluto farlo uccidere, ma non poteva,20perché Erode temeva Giovanni, sapendolo giusto e santo, e vigilava su di lui; e anche se nell'ascoltarlo restava molto perplesso, tuttavia lo ascoltava volentieri.
21Venne però il giorno propizio, quando Erode per il suo compleanno fece un banchetto per i grandi della sua corte, gli ufficiali e i notabili della Galilea.22Entrata la figlia della stessa Erodìade, danzò e piacque a Erode e ai commensali. Allora il re disse alla ragazza: "Chiedimi quello che vuoi e io te lo darò".23E le fece questo giuramento: "Qualsiasi cosa mi chiederai, te la darò, fosse anche la metà del mio regno".24La ragazza uscì e disse alla madre: "Che cosa devo chiedere?". Quella rispose: "La testa di Giovanni il Battista".25Ed entrata di corsa dal re fece la richiesta dicendo: "Voglio che tu mi dia subito su un vassoio la testa di Giovanni il Battista".26Il re divenne triste; tuttavia, a motivo del giuramento e dei commensali, non volle opporle un rifiuto.27Subito il re mandò una guardia con l'ordine che gli fosse portata la testa.28La guardia andò, lo decapitò in prigione e portò la testa su un vassoio, la diede alla ragazza e la ragazza la diede a sua madre.29I discepoli di Giovanni, saputa la cosa, vennero, ne presero il cadavere e lo posero in un sepolcro.
30Gli apostoli si riunirono attorno a Gesù e gli riferirono tutto quello che avevano fatto e insegnato.31Ed egli disse loro: "Venite in disparte, in un luogo solitario, e riposatevi un po'". Era infatti molta la folla che andava e veniva e non avevano più neanche il tempo di mangiare.32Allora partirono sulla barca verso un luogo solitario, in disparte.
33Molti però li videro partire e capirono, e da tutte le città cominciarono ad accorrere là a piedi e li precedettero.34Sbarcando, vide molta folla e si commosse per loro, perché erano come pecore senza pastore, e si mise a insegnare loro molte cose.35Essendosi ormai fatto tardi, gli si avvicinarono i discepoli dicendo: "Questo luogo è solitario ed è ormai tardi;36congedali perciò, in modo che, andando per le campagne e i villaggi vicini, possano comprarsi da mangiare".37Ma egli rispose: "Voi stessi date loro da mangiare". Gli dissero: "Dobbiamo andar noi a comprare duecento denari di pane e dare loro da mangiare?".38Ma egli replicò loro: "Quanti pani avete? Andate a vedere". E accertatisi, riferirono: "Cinque pani e due pesci".39Allora ordinò loro di farli mettere tutti a sedere, a gruppi, sull'erba verde.40E sedettero tutti a gruppi e gruppetti di cento e di cinquanta.41Presi i cinque pani e i due pesci, levò gli occhi al cielo, pronunziò la benedizione, spezzò i pani e li dava ai discepoli perché li distribuissero; e divise i due pesci fra tutti.42Tutti mangiarono e si sfamarono,43e portarono via dodici ceste piene di pezzi di pane e anche dei pesci.44Quelli che avevano mangiato i pani erano cinquemila uomini.
45Ordinò poi ai discepoli di salire sulla barca e precederlo sull'altra riva, verso Betsàida, mentre egli avrebbe licenziato la folla.46Appena li ebbe congedati, salì sul monte a pregare.47Venuta la sera, la barca era in mezzo al mare ed egli solo a terra.48Vedendoli però tutti affaticati nel remare, poiché avevano il vento contrario, già verso l'ultima parte della notte andò verso di loro camminando sul mare, e voleva oltrepassarli.49Essi, vedendolo camminare sul mare, pensarono: "È un fantasma", e cominciarono a gridare,50perché tutti lo avevano visto ed erano rimasti turbati. Ma egli subito rivolse loro la parola e disse: "Coraggio, sono io, non temete!".51Quindi salì con loro sulla barca e il vento cessò. Ed erano enormemente stupiti in se stessi,52perché non avevano capito il fatto dei pani, essendo il loro cuore indurito.
53Compiuta la traversata, approdarono e presero terra a Genèsaret.54Appena scesi dalla barca, la gente lo riconobbe,55e accorrendo da tutta quella regione cominciarono a portargli sui lettucci quelli che stavano male, dovunque udivano che si trovasse.56E dovunque giungeva, in villaggi o città o campagne, ponevano i malati nelle piazze e lo pregavano di potergli toccare almeno la frangia del mantello; e quanti lo toccavano guarivano.
Genesi 29
1Poi Giacobbe si mise in cammino e andò nel paese degli orientali.2Vide nella campagna un pozzo e tre greggi di piccolo bestiame, accovacciati vicino, perché a quel pozzo si abbeveravano i greggi, ma la pietra sulla bocca del pozzo era grande.3Quando tutti i greggi si erano radunati là, i pastori rotolavano la pietra dalla bocca del pozzo e abbeveravano il bestiame; poi rimettevano la pietra al posto sulla bocca del pozzo.4Giacobbe disse loro: "Fratelli miei, di dove siete?". Risposero: "Siamo di Carran".5Disse loro: "Conoscete Làbano, figlio di Nacor?". Risposero: "Lo conosciamo".6Disse loro: "Sta bene?". Risposero: "Sì; ecco la figlia Rachele che viene con il gregge".7Riprese: "Eccoci ancora in pieno giorno: non è tempo di radunare il bestiame. Date da bere al bestiame e andate a pascolare!".8Risposero: "Non possiamo, finché non siano radunati tutti i greggi e si rotoli la pietra dalla bocca del pozzo; allora faremo bere il gregge".
9Egli stava ancora parlando con loro, quando arrivò Rachele con il bestiame del padre, perché era una pastorella.10Quando Giacobbe vide Rachele, figlia di Làbano, fratello di sua madre, insieme con il bestiame di Làbano, fratello di sua madre, Giacobbe, fattosi avanti, rotolò la pietra dalla bocca del pozzo e fece bere le pecore di Làbano, fratello di sua madre.11Poi Giacobbe baciò Rachele e pianse ad alta voce.12Giacobbe rivelò a Rachele che egli era parente del padre di lei, perché figlio di Rebecca. Allora essa corse a riferirlo al padre.13Quando Làbano seppe che era Giacobbe, il figlio di sua sorella, gli corse incontro, lo abbracciò, lo baciò e lo condusse nella sua casa. Ed egli raccontò a Làbano tutte le sue vicende.14Allora Làbano gli disse: "Davvero tu sei mio osso e mia carne!". Così dimorò presso di lui per un mese.
15Poi Làbano disse a Giacobbe: "Poiché sei mio parente, mi dovrai forse servire gratuitamente? Indicami quale deve essere il tuo salario".16Ora Làbano aveva due figlie; la maggiore si chiamava Lia e la più piccola si chiamava Rachele.17Lia aveva gli occhi smorti, mentre Rachele era bella di forme e avvenente di aspetto,18perciò Giacobbe amava Rachele. Disse dunque: "Io ti servirò sette anni per Rachele, tua figlia minore".19Rispose Làbano: "Preferisco darla a te piuttosto che a un estraneo. Rimani con me".20Così Giacobbe servì sette anni per Rachele: gli sembrarono pochi giorni tanto era il suo amore per lei.21Poi Giacobbe disse a Làbano: "Dammi la mia sposa, perché il mio tempo è compiuto e voglio unirmi a lei".22Allora Làbano radunò tutti gli uomini del luogo e diede un banchetto.23Ma quando fu sera, egli prese la figlia Lia e la condusse da lui ed egli si unì a lei.24Làbano diede la propria schiava Zilpa alla figlia Lia, come schiava.25Quando fu mattina... ecco era Lia! Allora Giacobbe disse a Làbano: "Che mi hai fatto? Non è forse per Rachele che sono stato al tuo servizio? Perché mi hai ingannato?".26Rispose Làbano: "Non si usa far così nel nostro paese, dare, cioè, la più piccola prima della maggiore.27Finisci questa settimana nuziale, poi ti darò anche quest'altra per il servizio che tu presterai presso di me per altri sette anni".28Giacobbe fece così: terminò la settimana nuziale e allora Làbano gli diede in moglie la figlia Rachele.29Làbano diede alla figlia Rachele la propria schiava Bila, come schiava.30Egli si unì anche a Rachele e amò Rachele più di Lia. Fu ancora al servizio di lui per altri sette anni.
31Ora il Signore, vedendo che Lia veniva trascurata, la rese feconda, mentre Rachele rimaneva sterile.32Così Lia concepì e partorì un figlio e lo chiamò Ruben, perché disse: "Il Signore ha visto la mia umiliazione; certo, ora mio marito mi amerà".33Poi concepì ancora un figlio e disse: "Il Signore ha udito che io ero trascurata e mi ha dato anche questo". E lo chiamò Simeone.34Poi concepì ancora e partorì un figlio e disse: "Questa volta mio marito mi si affezionerà, perché gli ho partorito tre figli". Per questo lo chiamò Levi.35Concepì ancora e partorì un figlio e disse: "Questa volta loderò il Signore". Per questo lo chiamò Giuda. Poi cessò di avere figli.
Cantico 1
1Cantico dei cantici, che è di Salomone.
2Mi baci con i baci della sua bocca!
Sì, le tue tenerezze sono più dolci del vino.
3Per la fragranza sono inebrianti i tuoi profumi,
profumo olezzante è il tuo nome,
per questo le giovinette ti amano.
4Attirami dietro a te, corriamo!
M'introduca il re nelle sue stanze:
gioiremo e ci rallegreremo per te,
ricorderemo le tue tenerezze più del vino.
A ragione ti amano!
5Bruna sono ma bella,
o figlie di Gerusalemme,
come le tende di Kedar,
come i padiglioni di Salma.
6Non state a guardare che sono bruna,
poiché mi ha abbronzato il sole.
I figli di mia madre si sono sdegnati con me:
mi hanno messo a guardia delle vigne;
la mia vigna, la mia, non l'ho custodita.
7Dimmi, o amore dell'anima mia,
dove vai a pascolare il gregge,
dove lo fai riposare al meriggio,
perché io non sia come vagabonda
dietro i greggi dei tuoi compagni.
8Se non lo sai, o bellissima tra le donne,
segui le orme del gregge
e mena a pascolare le tue caprette
presso le dimore dei pastori.
9Alla cavalla del cocchio del faraone
io ti assomiglio, amica mia.
10Belle sono le tue guance fra i pendenti,
il tuo collo fra i vezzi di perle.
11Faremo per te pendenti d'oro,
con grani d'argento.
12Mentre il re è nel suo recinto,
il mio nardo spande il suo profumo.
13Il mio diletto è per me un sacchetto di mirra,
riposa sul mio petto.
14Il mio diletto è per me un grappolo di cipro
nelle vigne di Engàddi.
15Come sei bella, amica mia, come sei bella!
I tuoi occhi sono colombe.
16Come sei bello, mio diletto, quanto grazioso!
Anche il nostro letto è verdeggiante.
17Le travi della nostra casa sono i cedri,
nostro soffitto sono i cipressi.
Salmi 22
1'Al maestro del coro. Sull'aria: "Cerva dell'aurora". Salmo. Di Davide.'
2"Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?
Tu sei lontano dalla mia salvezza":
sono le parole del mio lamento.
3Dio mio, invoco di giorno e non rispondi,
grido di notte e non trovo riposo.
4Eppure tu abiti la santa dimora,
tu, lode di Israele.
5In te hanno sperato i nostri padri,
hanno sperato e tu li hai liberati;
6a te gridarono e furono salvati,
sperando in te non rimasero delusi.
7Ma io sono verme, non uomo,
infamia degli uomini, rifiuto del mio popolo.
8Mi scherniscono quelli che mi vedono,
storcono le labbra, scuotono il capo:
9"Si è affidato al Signore, lui lo scampi;
lo liberi, se è suo amico".
10Sei tu che mi hai tratto dal grembo,
mi hai fatto riposare sul petto di mia madre.
11Al mio nascere tu mi hai raccolto,
dal grembo di mia madre sei tu il mio Dio.
12Da me non stare lontano,
poiché l'angoscia è vicina
e nessuno mi aiuta.
13Mi circondano tori numerosi,
mi assediano tori di Basan.
14Spalancano contro di me la loro bocca
come leone che sbrana e ruggisce.
15Come acqua sono versato,
sono slogate tutte le mie ossa.
Il mio cuore è come cera,
si fonde in mezzo alle mie viscere.
16È arido come un coccio il mio palato,
la mia lingua si è incollata alla gola,
su polvere di morte mi hai deposto.
17Un branco di cani mi circonda,
mi assedia una banda di malvagi;
hanno forato le mie mani e i miei piedi,
18posso contare tutte le mie ossa.
Essi mi guardano, mi osservano:
19si dividono le mie vesti,
sul mio vestito gettano la sorte.
20Ma tu, Signore, non stare lontano,
mia forza, accorri in mio aiuto.
21Scampami dalla spada,
dalle unghie del cane la mia vita.
22Salvami dalla bocca del leone
e dalle corna dei bufali.
23Annunzierò il tuo nome ai miei fratelli,
ti loderò in mezzo all'assemblea.
24Lodate il Signore, voi che lo temete,
gli dia gloria la stirpe di Giacobbe,
lo tema tutta la stirpe di Israele;
25perché egli non ha disprezzato
né sdegnato l'afflizione del misero,
non gli ha nascosto il suo volto,
ma, al suo grido d'aiuto, lo ha esaudito.
26Sei tu la mia lode nella grande assemblea,
scioglierò i miei voti davanti ai suoi fedeli.
27I poveri mangeranno e saranno saziati,
loderanno il Signore quanti lo cercano:
"Viva il loro cuore per sempre".
28Ricorderanno e torneranno al Signore
tutti i confini della terra,
si prostreranno davanti a lui
tutte le famiglie dei popoli.
29Poiché il regno è del Signore,
egli domina su tutte le nazioni.
30A lui solo si prostreranno quanti dormono sotto terra,
davanti a lui si curveranno
quanti discendono nella polvere.
E io vivrò per lui,
31lo servirà la mia discendenza.
Si parlerà del Signore alla generazione che viene;
32annunzieranno la sua giustizia;
al popolo che nascerà diranno:
"Ecco l'opera del Signore!".
Isaia 1
1Visione che Isaia, figlio di Amoz, ebbe su Giuda e su Gerusalemme nei giorni di Ozia, di Iotam, di Acaz e di Ezechia, re di Giuda.
2Udite, cieli; ascolta, terra,perché il Signore dice:
"Ho allevato e fatto crescere figli,
ma essi si sono ribellati contro di me.
3Il bue conosce il proprietario
e l'asino la greppia del padrone,
ma Israele non conosce
e il mio popolo non comprende".
4Guai, gente peccatrice,
popolo carico di iniquità!
Razza di scellerati,
figli corrotti!
Hanno abbandonato il Signore,
hanno disprezzato il Santo di Israele,
si sono voltati indietro;
5perché volete ancora essere colpiti,
accumulando ribellioni?
La testa è tutta malata,
tutto il cuore langue.
6Dalla pianta dei piedi alla testa
non c'è in esso una parte illesa,
ma ferite e lividure
e piaghe aperte,
che non sono state ripulite, né fasciate,
né curate con olio.
7Il vostro paese è devastato,
le vostre città arse dal fuoco.
La vostra campagna, sotto i vostri occhi,
la divorano gli stranieri;
è una desolazione come Sòdoma distrutta.
8È rimasta sola la figlia di Sion
come una capanna in una vigna,
come un casotto in un campo di cocomeri,
come una città assediata.
9Se il Signore degli eserciti
non ci avesse lasciato un resto,
già saremmo come Sòdoma,
simili a Gomorra.
10Udite la parola del Signore,
voi capi di Sòdoma;
ascoltate la dottrina del nostro Dio,
popolo di Gomorra!
11"Che m'importa dei vostri sacrifici senza numero?"
dice il Signore.
"Sono sazio degli olocausti di montoni
e del grasso di giovenchi;
il sangue di tori e di agnelli e di capri
io non lo gradisco.
12Quando venite a presentarvi a me,
chi richiede da voi
che veniate a calpestare i miei atri?
13Smettete di presentare offerte inutili,
l'incenso è un abominio per me;
noviluni, sabati, assemblee sacre,
non posso sopportare delitto e solennità.
14I vostri noviluni e le vostre feste
io detesto,
sono per me un peso;
sono stanco di sopportarli.
15Quando stendete le mani,
io allontano gli occhi da voi.
Anche se moltiplicate le preghiere,
io non ascolto.
Le vostre mani grondano sangue.
16Lavatevi, purificatevi,
togliete il male delle vostre azioni
dalla mia vista.
Cessate di fare il male,
17imparate a fare il bene,
ricercate la giustizia,
soccorrete l'oppresso,
rendete giustizia all'orfano,
difendete la causa della vedova".
18"Su, venite e discutiamo"
dice il Signore.
"Anche se i vostri peccati fossero come scarlatto,
diventeranno bianchi come neve.
Se fossero rossi come porpora,
diventeranno come lana.
19Se sarete docili e ascolterete,
mangerete i frutti della terra.
20Ma se vi ostinate e vi ribellate,
sarete divorati dalla spada,
perché la bocca del Signore ha parlato".
21Come mai è diventata una prostituta
la città fedele?
Era piena di rettitudine,
la giustizia vi dimorava;
ora invece è piena di assassini!
22Il tuo argento è diventato scoria,
il tuo vino migliore è diluito con acqua.
23I tuoi capi sono ribelli
e complici di ladri;
tutti sono bramosi di regali,
ricercano mance,
non rendono giustizia all'orfano
e la causa della vedova fino a loro non giunge.
24Perciò, oracolo del Signore,
Dio degli eserciti,
il Potente di Israele:
"Ah, esigerò soddisfazioni dai miei avversari,
mi vendicherò dei miei nemici.
25Stenderò la mano su di te,
purificherò nel crogiuolo le tue scorie,
eliminerò da te tutto il piombo.
26Renderò i tuoi giudici come una volta,
i tuoi consiglieri come al principio.
Dopo, sarai chiamata città della giustizia,
città fedele".
27Sion sarà riscattata con la giustizia,
i suoi convertiti con la rettitudine.
28Tutti insieme finiranno in rovina ribelli e peccatori
e periranno quanti hanno abbandonato il Signore.
29Vi vergognerete delle querce
di cui vi siete compiaciuti,
arrossirete dei giardini
che vi siete scelti,
30poiché sarete come quercia
dalle foglie avvizzite
e come giardino senza acqua.
31Il forte diverrà come stoppa,
la sua opera come scintilla;
bruceranno tutte e due insieme
e nessuno le spegnerà.
Seconda lettera a Timoteo 2
1Tu dunque, figlio mio, attingi sempre forza nella grazia che è in Cristo Gesù2e le cose che hai udito da me in presenza di molti testimoni, trasmettile a persone fidate, le quali siano in grado di ammaestrare a loro volta anche altri.
3Insieme con me prendi anche tu la tua parte di sofferenze, come un buon soldato di Cristo Gesù.4Nessuno però, quando presta servizio militare, s'intralcia nelle faccende della vita comune, se vuol piacere a colui che l'ha arruolato.5Anche nelle gare atletiche, non riceve la corona se non chi ha lottato secondo le regole.6L'agricoltore poi che si affatica, dev'essere il primo a cogliere i frutti della terra.7Cerca di comprendere ciò che voglio dire; il Signore certamente ti darà intelligenza per ogni cosa.
8Ricordati che Gesù Cristo, della stirpe di Davide, è risuscitato dai morti, secondo il mio vangelo,9a causa del quale io soffro fino a portare le catene come un malfattore; ma la parola di Dio non è incatenata!10Perciò sopporto ogni cosa per gli eletti, perché anch'essi raggiungano la salvezza che è in Cristo Gesù, insieme alla gloria eterna.11Certa è questa parola:
Se moriamo con lui, vivremo anche con lui;
12se con lui perseveriamo, con lui anche regneremo;
se lo rinneghiamo, anch'egli ci rinnegherà;
13se noi manchiamo di fede, egli però rimane fedele,
perché non può rinnegare se stesso.
14Richiama alla memoria queste cose, scongiurandoli davanti a Dio di evitare le vane discussioni, che non giovano a nulla, se non alla perdizione di chi le ascolta.15Sfòrzati di presentarti davanti a Dio come un uomo degno di approvazione, un lavoratore che non ha di che vergognarsi, uno scrupoloso dispensatore della parola della verità.16Evita le chiacchiere profane, perché esse tendono a far crescere sempre più nell'empietà;17la parola di costoro infatti si propagherà come una cancrena. Fra questi ci sono Imenèo e Filèto,18i quali hanno deviato dalla verità, sostenendo che la risurrezione è già avvenuta e così sconvolgono la fede di alcuni.19Tuttavia il fondamento gettato da Dio sta saldo e porta questo sigillo: 'Il Signore conosce i suoi', e ancora: 'Si allontani dall'iniquità chiunque invoca il nome del Signore.'20In una casa grande però non vi sono soltanto vasi d'oro e d'argento, ma anche di legno e di coccio; alcuni sono destinati ad usi nobili, altri per usi più spregevoli.21Chi si manterrà puro astenendosi da tali cose, sarà un vaso nobile, santificato, utile al padrone, pronto per ogni opera buona.22Fuggi le passioni giovanili; cerca la giustizia, la fede, la carità, la pace, insieme a quelli che invocano il Signore con cuore puro.23Evita inoltre le discussioni sciocche e non educative, sapendo che generano contese.24Un servo del Signore non dev'essere litigioso, ma mite con tutti, atto a insegnare, paziente nelle offese subite,25dolce nel riprendere gli oppositori, nella speranza che Dio voglia loro concedere di convertirsi, perché riconoscano la verità26e ritornino in sé sfuggendo al laccio del diavolo, che li ha presi nella rete perché facessero la sua volontà.
Capitolo XVIII: Sopportare serenamente le miserie di questo mondo sull’esempio di Cristo
Leggilo nella Biblioteca1. Figlio, io discesi dal cielo per la tua salvezza e presi sopra di me le tue miserie, non perché vi fossi costretto, ma per slancio d'amore; e ciò perché tu imparassi a soffrire e a sopportare senza ribellione le miserie di questo mondo. Infatti, dall'ora della mia nascita fino alla morte in croce, non venne mai meno in me la forza di sopportare il dolore. Ho conosciuto grande penuria di beni terreni; ho udito molte accuse rivolte a me; ho sopportato con dolcezza cose da far arrossire ed ingiurie; per il bene fatto ho ricevuto ingratitudine; per i miracoli, bestemmie; per il mio insegnamento, biasimi.
2. Signore, tu ben sapesti patire per tutta la tua vita, compiendo pienamente, in tal modo, la volontà del Padre tuo; perciò è giusto che io, misero peccatore, sappia sopportare me stesso, fin quando a te piacerà; è giusto che, per la mia salvezza, io porti il peso di questa vita corruttibile, fino a quando tu vorrai. In verità, anche se noi la sentiamo come un peso, la vita di quaggiù, per effetto della tua grazia, già fu resa capace di molti meriti e più tollerabile e luminosa, per noi, povera gente, in virtù del tuo esempio e dietro le orme dei tuoi santi. Anzi la nostra vita è piena di consolazione, molto più di quanto non fosse al tempo della vecchia legge, quando era ancora chiusa la porta del cielo e ancora era nascosta la via di esso; quando erano ben pochi quelli che si davano pensiero di cercare il regno dei cieli, e neppure i giusti, meritevoli di salvezza, avevano potuto entrare nella patria celeste, non essendo ancora stato pagato - prima della tua passione e della tua santa morte - il debito del peccato. Oh, come ti debbo ringraziare per avere mostrato a me, e a tutti i tuoi seguaci, la strada diritta e sicura verso l'eterno tuo regno! La nostra strada è la tua vita stessa: attraverso una santa capacità di patire camminiamo verso di te, che sei il nostro premio. Se tu non ci avessi preceduto, con questo insegnamento, chi si prenderebbe cura di seguirti? Quanti rimarrebbero indietro assai, se non potessero guardare al tuo esempio luminoso. Ecco, siamo ancora ben poco fervorosi, pur dopo tanti miracoli e nonostante i tuoi ammaestramenti; che cosa mai sarebbe di noi, se non avessimo avuto una così grande luce per seguirti?
LETTERA 70: Alipio e Agostino provano la temerità dei Donatisti nell'accusare i Cattolici di aver consegnato i libri Sacri nella persecuzione
Lettere - Sant'Agostino
Leggilo nella BibliotecaScritta dopo il 397 o dopo il 400.
Alipio e Agostino provano la temerità dei Donatisti nell'accusare i Cattolici di aver consegnato i libri Sacri nella persecuzione, rifacendosi al caso del vescovo donatista Feliciano di Musti, reintegrato nella sua cattedra sebbene per molto tempo fosse in comunione con Massimiano (n. 1-2).
AL DILETTISSIMO SIGNORE E ONORANDO FRATELLO NAUCELIONE ALIPIO E AGOSTINO
Feliciano condannato e reintegrato: colpevole e innocente insieme?
1. Tu ci ha riferito la risposta data dal vostro vescovo Clarenzio, con la quale confessa che Feliciano di Musti era stato condannato dai Donatisti e in seguito era stato reintegrato nella sua carica episcopale ma era stato condannato innocente perché era assente, com'egli aveva provato. Ti ricordiamo ciò affinché risponda a questo proposito, dato che non era lecito condannare, senz'ascoltarla, una persona che adesso quegli stessi che l'hanno condannata affermano essere innocente. Di conseguenza, se era innocente, non si doveva condannare, oppure, se era colpevole, non doveva essere reintegrato. Se è stato reintegrato in quanto innocente, è stato pure condannato pur essendo innocente; se invece è stato condannato in quanto colpevole, è stato pure reintegrato pur essendo colpevole. Se coloro che lo condannarono non sapevano s'era innocente, sono da incolpare di temerità per aver osato condannare, senza averlo ascoltato, un innocente di cui non avevano istruito un regolare processo; anzi dal presente fatto concludiamo che essi avevano condannato anche prima alla stesso modo gli altri, da essi accusati d'aver consegnato i Libri Sacri. Poiché se poterono condannare un innocente, poterono pure bollare col nome di "traditori" quelli che non lo erano.
Donatismo e battesimo.
2. In secondo luogo, il medesimo Feliciano, condannato dai Donatisti, per molto tempo fu in comunione con Massimiano; se perciò era innocente quando fu condannato, per qual motivo in seguito, essendo in comunione con lo scellerato Massimiano, battezzò molte persone fuori della comunione dei Donatisti? Possono essere testimoni di ciò essi stessi che sollecitarono il proconsole perché facesse rimuovere dalla Basilica il medesimo Feliciano in quanto coinvolto con Massimiano. Non bastava quindi loro d'aver condannato una persona senz'ascoltarla, d'aver condannato - come essi stessi affermano - un innocente; si presentarono per di più ufficialmente davanti al proconsole, per farlo scacciare dalla chiesa! Confesseranno che lo giudicarono una persona degna di condanna e scellerata come i Massimianisti almeno quando lo facevano scacciare dalla chiesa! Quando perciò egli era in comunione con Massimiano e battezzava le persone, conferiva forse il vero battesimo o quello falso? Se conferiva il vero battesimo lui ch'era in comunione con Massimiano, perché s'accusa il battesimo cattolico? Se invece conferiva un battesimo falso quando era in comunione con Massimiano, perché mai sono stati riammessi nella comunione con Feliciano tutti coloro ch'egli aveva battezzato stando nello scisma di Massimiano e che nessuno ribattezzò nella vostra setta?
19 - Pilato manda il Signore da Erode e gliene sottopone la causa.
La mistica Città di Dio - Libro sesto - Suor Maria d'Agreda
Leggilo nella Biblioteca
1314. Una delle accuse che i giudei e i loro capi presentarono a Pilato
contro Gesù salvatore nostro fu che egli aveva predicato, incominciando a
fomentare il popolo fin dalla Galilea. Per questo il governatore gli
domandò se fosse galileo. Una volta informato che era nato e cresciuto
in quella provincia, gli parve di avere un qualche motivo per dichiarare
non di sua competenza la causa di Cristo nostro bene - che egli trovava
senza colpa -, liberandosi dal fastidio di coloro che insistevano
perché lo condannasse a morte. Erode in quei giorni si trovava a
Gerusalemme per celebrare la Pasqua. Costui era figlio dell'altro Erode
che aveva ordinato la strage degli innocenti perseguitando Gesù appena
nato e che, avendo sposato una donna giudea, era passato al giudaismo e
divenuto un proselito israelita. Per questa ragione, anche suo figlio
Erode Antipa osservava la legge di Mosè ed era venuto a Gerusalemme
dalla Galilea, di cui era tetrarca. Fra Pilato ed Erode non
intercorrevano buoni rapporti, perché entrambi avevano autorità sulle
principali province della Palestina e poco tempo prima il governatore,
sollecito nell'affermare il dominio dell'impero romano, aveva fatto
decapitare alcuni galilei mentre offrivano, sacrifici, mescolando il
loro sangue con quello dei sacrifici stessi. Il re se ne era sdegnato,
per cui Pilato, volendogli opportunamente dare qualche soddisfazione,
decise di mandargli il Signore in quanto suo suddito, affinché lo
esaminasse e giudicasse; in realtà egli sperava che Erode lo avrebbe
lasciato libero, riconoscendolo innocente e denunciato per invidia dai
sommi sacerdoti e dagli scribi.
1315. Il Redentore, legato e incatenato com'era, uscì dalla
casa del governatore romano scortato dagli scribi e dai sacerdoti, che
andavano per accusarlo di fronte al nuovo giudice, e da un gran numero
di soldati e servi, che lo conducevano tirandolo con le corde.
L'esercito si apriva il passaggio attraverso la folla accorsa a vedere
e, poiché i soldati e i capi del popolo erano talmente assetati del
sangue del Salvatore da volerlo spargere in quello stesso giorno,
affrettavano il passo e quasi correndo conducevano per le vie sua Maestà
in un disordinato tumulto. Anche Maria santissima, insieme alle persone
che erano con lei, seguì il suo dolcissimo Gesù per stargli accanto
negli altri momenti della passione, fino alla croce. Ma sarebbe stato
impossibile alla gran Signora continuare questo percorso senza perderlo
di vista se i santi angeli non avessero disposto tutto come ella
desiderava, in modo che si trovasse sempre così vicina a suo Figlio da
poter godere della sua presenza e partecipare dei suoi tormenti. Tanto
appunto ottenne col suo ardentissimo amore, cosicché udiva nello stesso
tempo gli insulti e i colpi che il Signore riceveva, le mormorazioni del
popolo e i vari giudizi che ciascuno formulava da sé o riferiva di
altri.
1316. Quando Erode seppe che Pilato gli mandava il
Nazareno, si rallegrò grandemente. Sapeva che Gesù era stato molto amico
di Giovanni, che egli aveva fatto decapitare, ed era informato sulla
sua predicazione; inoltre, con stolta e vana curiosità desiderava
vedergli compiere qualche portento per farne oggetto di meraviglia e
materia d'intrattenimento nelle conversazioni. L'Autore della vita,
dunque, giunse alla presenza del re omicida, contro il quale il sangue
di Giovanni Battista gridava vendetta al cospetto di Dio più del sangue
del giusto Abele. L'infelice adultero lo accolse ridendo, come uno che
ignori i terribili giudizi dell'Altissimo, considerando Cristo nostro
bene un incantatore e un mago. Accecato da un così funesto errore,
incominciò ad esaminarlo e a fargli diverse domande, pensando d'indurlo
in questo modo a compiere qualche miracolo. Ma il Maestro della sapienza
e della prudenza tacque, rimanendo sempre con umile severità davanti
all'indegno giudice, il quale per le sue malvagità ben si meritava la
punizione di non ascoltare le parole di vita eterna che, se fosse stato
ben disposto, sarebbero uscite dalla bocca del Figlio dell'eterno Padre.
1317. I principi dei sacerdoti e gli scribi lì convenuti
muovevano al nostro Salvatore le medesime accuse che in precedenza
avevano presentato a Pilato. Neppure qui sua Maestà replicò alle loro
calunnie, come invece avrebbe voluto Erode; non aprì le labbra né per
rispondere alle domande, né per difendersi, perché il re non era
comunque degno di udire la verità. Questo fu il suo giusto castigo, ed è
ciò che i principi e i potenti del mondo devono maggiormente temere.
Erode si adirò perché il Redentore, silenzioso e mansueto, deludeva la
sua vana curiosità; quasi confuso, dissimulò il suo dispetto facendosi
beffe di lui e, schernendolo insieme a tutto il suo esercito, ordinò che
venisse ricondotto dal governatore. I soldati, dopo essersi presi gioco
della modestia di Cristo, gli misero addosso una tunica bianca - segno
distintivo di coloro che perdevano il senno - al fine di trattarlo come
matto ed insensato, in modo che tutti si guardassero da lui. Indossata
dal Signore, invece, questa veste fu simbolo e testimonianza della sua
innocenza e purezza. Così infatti aveva stabilito l'imperscrutabile
provvidenza dell'Altissimo, affinché quei malvagi, compiendo azioni di
cui ignoravano il significato, testimoniassero la verità che
pretendevano di oscurare insieme alle meraviglie compiute dal Redentore e
da essi maliziosamente misconosciute.
1318. Erode si mostrò grato per la cortesia usatagli dal
governatore romano nel sottoporgli il caso del Nazareno, e gli mandò a
dire che non trovava colpa alcuna in lui, ma anzi gli pareva uomo
ignorante e di nessun conto. Conforme agli arcani disegni della sapienza
divina, da quel giorno i due si riconciliarono e divennero amici.
Condotto dai soldati, Gesù tornò per la seconda volta al pretorio tra lo
schiamazzo e il tumulto della folla. Infatti, gli stessi che prima lo
avevano acclamato e osannato come Messia benedetto da Dio, pervertiti
già dall'esempio dei sacerdoti e dei giudici, avevano cambiato parere,
condannando e disprezzando ora colui al quale pochi giorni prima avevano
dato gloria e venerazione. È di tale efficacia l'errore e il cattivo
esempio dei capi da trascinare il popolo. Sua Maestà camminava tra le
imprecazioni della gente, ripetendo di continuo dentro di sé con
ineffabile amore, umiltà e pazienza quelle parole che aveva dette per
bocca di Davide: Io sono verme, non uomo, infamia degli uomini, rifiuto
del mio popolo. Mi scherniscono quelli che mi vedono, storcono le
labbra, scuotono il capo. Il Redentore era "verme e non uomo": non fu
generato, infatti, come gli altri e non era solo e meramente uomo, bensì
vero uomo e vero Dio; per di più non fu trattato da essere umano, ma da
verme vile e spregevole. Di fronte a tutti gli insulti che gli venivano
lanciati non fece strepito né oppose resistenza maggiore di quella di
un umile verme da tutti pestato e considerato ributtante. Quelli che
guardavano Cristo nostro salvatore - ed erano innumerevoli - storcevano
le labbra e scuotevano il capo, quasi ritrattando l'opinione che ne
avevano avuto e la considerazione in cui lo avevano tenuto.
1319. Rimasta fuori dal tribunale in cui era stato fatto
entrare il Signore, l'afflitta Madre non si trovò corporalmente presente
agli oltraggi e alle accuse che i sacerdoti mossero contro l'Autore
della vita al cospetto di Erode, né alle domande che costui gli rivolse,
ma vide tutto in visione interiore. Quando però Gesù uscì fuori la
incontrò, ed entrambi si comunicarono con lo sguardo l'intimo dolore e
la reciproca compassione, intensi come l'amore di un tale figlio e di
una tale madre. La tunica bianca, che gli avevano fatto indossare alla
stregua di un insensato e senza giudizio, fu un nuovo strumento per
trafiggere il cuore della Regina del cielo; in realtà, ella sola fra
tutti i mortali conosceva il mistero dell'innocenza che quell'abito
significava, per cui adorò con grandissima venerazione il suo divin
Figlio così rivestito. Lo seguì fino alla casa di Pilato, dove veniva
condotto per la seconda volta, poiché in essa sarebbe stato eseguito ciò
che Dio aveva disposto per la nostra salvezza. In questo tratto di
strada accadde che i soldati, per la moltitudine del popolo e per la
fretta con cui conducevano Gesù ingiuriandolo, tirandolo crudelmente per
le corde e facendolo stramazzare a terra più volte, gli facessero
uscire molto sangue; inoltre, siccome egli non poteva rialzarsi
facilmente perché aveva le mani legate e la furia della gente non poteva
né voleva trattenersi, qualcuno cadeva sopra di lui, lo pestava e lo
percuoteva con molti colpi e calci, provocando nei soldati grandi risa,
anziché la naturale pietà di cui, per astuzia del demonio, erano del
tutto privi, come se non fossero stati neppure uomini.
1320. Alla vista di così smisurata efferatezza, crebbero la
compassione e l'afflizione di Maria santissima, la quale ordinò agli
angeli che l'accompagnavano di raccogliere il sangue divino sparso per
le strade, in modo che il Salvatore non fosse ulteriormente offeso e
calpestato dai peccatori; e così essi fecero. Sua Altezza, inoltre,
comandò loro che impedissero agli operatori d'iniquità di calpestare il
Redentore del mondo, qualora fosse caduto un'altra volta. In tutto
prudentissima, ella non volle che i suoi celesti servitori facessero ciò
contro la volontà del Signore; così impose loro che in suo nome gliene
chiedessero il permesso e gli presentassero le angustie che ella, come
madre, soffriva vedendolo trattato con tanto disprezzo tra gli immondi
piedi di quei malvagi. Per obbligare maggiormente il suo santissimo
Figlio, attraverso i medesimi angeli gli chiese di commutare
l'umiliazione di essere calpestato e offeso dagli empi mortali
nell'obbedienza alle preghiere della sua afflitta Madre, la quale era
anche sua schiava e fatta di polvere. Gli spiriti celesti portarono le
sue richieste a Cristo nostro bene non perché sua Maestà le ignorasse -
giacché le conosceva e ispirava egli stesso per virtù divina - ma perché
Dio vuole che in questo si osservi l'ordine della ragione, conosciuto
allora dalla gran Signora con eminente sapienza.
1321. Il Redentore accolse i desideri e le preghiere della
beatissima Vergine e diede il permesso ai suoi angeli, quali ministri
della volontà di lei, di fare ciò che ella desiderava. Essi, quindi, non
permisero che nel rimanente percorso l'Unigenito del Padre fosse
gettato a terra o calpestato come prima era accaduto, anche se fu dato
il consenso ai soldati e al popolo, accecato dalla malizia, d'infierire
con folle rabbia ingiuriandolo in altri modi. La Regina guardava e udiva
tutto con cuore invitto ma addolorato, come pure le Marie e san
Giovanni, che piangendo copiosamente seguivano il Maestro divino insieme
a lei. Non mi soffermo però a parlare delle lacrime di queste ed altre
sante donne lì presenti, perché sarebbe necessario fare una lunga
digressione, specialmente per narrare della Maddalena, di tutte la più
ardente nell'amore e la più grata al Signore, come disse egli stesso
quando la perdonò, affermando che ama di più colui al quale più è
perdonato.
1322. Gesù arrivò per la seconda volta in casa di Ponzio
Pilato e di nuovo i giudei incominciarono a reclamarne la condanna alla
crocifissione. Il governatore, che conosceva l'innocenza dell'accusato e
la mortale invidia dei Giudei, fu molto dispiaciuto che Erode gli
avesse rimesso la causa da cui egli desiderava esimersi. Trovandovisi
obbligato come giudice, in diverse maniere tentò di placare gli
accusatori, per esempio parlando segretamente ad alcuni servi ed amici
dei capi e dei sacerdoti, affinché domandassero la libertà per il nostro
Salvatore, lo rilasciassero dopo una qualche punizione e non
richiedessero più il malfattore Barabba. Pilato aveva fatto questo
tentativo, quando i giudei gli avevano presentato nuovamente Cristo
perché lo condannasse. La possibilità di scegliere fra lui e Barabba non
era stata loro prospettata una sola volta, ma due o tre: una prima che
sua Maestà venisse condotto da Erode e un'altra dopo. Gli evangelisti
riferiscono ciò con qualche differenza, pur senza contraddirsi nella
verità. Pilato parlò ai giudei e disse loro: «Mi avete portato
quest'uomo come sobillatore del popolo; ecco, l'ho esaminato davanti a
voi, ma non ho trovato in lui nessuna colpa di quelle di cui lo
accusate; e neanche Erode, infatti ce l'ha rimandato. Ecco, egli non ha
fatto nulla che meriti la morte. Perciò dopo averlo severamente
castigato, lo rilascerò. Vi è tra voi l'usanza che io vi liberi tino per
la Pasqua: volete dunque che io vi liberi il re dei Giudei?». Sapendo
che Pilato voleva in tutti i modi liberare il Nazareno, la folla
rispose: «A morte costui! Dacci libero Barabba!».
1323. L'usanza di dare la libertà a un prigioniero nella
grande solennità della Pasqua fu introdotta fra i giudei in memoria e
per riconoscenza di quella ottenuta dai loro antenati in quel giorno,
quando Dio li aveva riscattati dal potere del faraone uccidendo i
primogeniti degli egiziani e sommergendo il faraone stesso e il suo
esercito nel Mar Rosso. A motivo di questo memorabile beneficio, gli
ebrei ne facevano uno al più grande delinquente perdonandogli i suoi
delitti, finendo però per castigare altri che erano meno colpevoli. Gli
accordi fatti con i romani prevedevano, fra l'altro, che detta usanza
venisse conservata e così facevano i governatori. In questa circostanza,
tuttavia, i giudei stessi pervertirono tale costume: dovendo dare la
libertà al peggior criminale ed affermando che Gesù lo era, condannarono
lui e graziarono Barabba, che reputavano meno malvagio. La rabbia del
demonio, profittando della loro perfida invidia, li rendeva tanto
perversi da essere accecati in tutto, anche contro se stessi.
1324. Mentre Pilato sedeva in tribunale, sua moglie
Procula, venuta a sapere ciò che stava accadendo, gli inviò questo
messaggio: «Non avere a che fare con quel giusto; perché oggi fui molto
turbata in sogno, per causa sua». La ragione dell'avvertimento di
Procula fu la seguente: Lucifero e i suoi demoni, vedendo quanto veniva
fatto al nostro Salvatore e l'inalterabile mansuetudine con cui egli
sopportava tante offese, furiosi com'erano si trovarono ancor più
confusi ed incerti. La loro superbia non comprendeva come fosse
compatibile l'essere Dio con l'acconsentire a simili oltraggi
avvertendone gli effetti nella carne, per cui non riuscivano a capire se
Cristo fosse o no uomo e Dio. Nonostante ciò, il dragone era convinto
che in un tale miracolo si nascondesse qualche mistero per gli uomini e
che in ogni caso, se non avesse impedito il successo di una cosa tanto
inusitata, esso avrebbe arrecato alla sua malvagità grande danno e
rovina. In seguito a questa risoluzione presa con i suoi demoni, satana
cercò di far desistere i farisei dal perseguitare il Redentore, inviando
loro molte suggestioni, rimaste però inefficaci perché prive di forza
divina e introdotte in cuori ostinati e corrotti. Di conseguenza quegli
spiriti, disperando di ridurli al loro volere, andarono dalla moglie del
governatore e le parlarono in sogno; le suggerirono che quell'uomo era
giusto e senza colpa e che, se suo marito lo avesse condannato, sarebbe
stato privato della dignità che possedeva e a lei ne sarebbero venuti
molti dolori. In tal modo vollero indurla a consigliare a Pilato di
liberare Gesù anziché Barabba, per evitare una grande sciagura nella
loro casa e sulle loro persone.
1325. Procula fu assai spaventata dalla visione. Quando
seppe quello che stava succedendo tra i giudei e suo marito, inviò a
quest'ultimo - come riferisce l'evangelista Matteo - l'avvertimento di
non coinvolgersi nell'uccisione di chi riteneva giusto. Inoltre, il
demonio insinuò nell'immaginazione dello stesso Pilato timori simili,
che l'ammonimento della moglie accrebbe. Poiché si trattava di un
turbamento di natura mondana e politica ed egli non aveva assecondato i
veri aiuti che Dio gli aveva mandato, questa paura durò solo fino a
quando non ne subentrò un'altra che lo mosse con più violenza, e lo si
vide dalle conseguenze. Tuttavia, l'indegno giudice insistette per la
terza volta, difendendo l'innocenza di Cristo nostro salvatore e
attestando che non trovava in lui nessuna colpa meritevole di morte; lo
avrebbe quindi castigato e poi rilasciato. E difatti lo fece flagellare,
per vedere se i giudei ne sarebbero stati soddisfatti. Ma essi gridando
gli risposero di crocifiggerlo. Allora Pilato chiese che gli portassero
dell'acqua e ordinò di liberare Barabba secondo la loro richiesta,
dopodiché si lavò le mani alla presenza di tutti dicendo: «Guardate bene
quello che fate. Io non sono responsabile della morte di quest'uomo,
che voi condannate. A testimonianza di ciò mi lavo le mani, affinché si
sappia che non sono macchiate di sangue innocente». Con quel gesto parve
a Pilato di discolparsi con tutti imputando la morte di Gesù al popolo e
ai capi che la domandavano. Fu così sciocca e cieca la loro rabbia che
accondiscesero alla dichiarazione del governatore romano solo per vedere
crocifisso il Signore, e caricarono la responsabilità del delitto su se
stessi e sui propri discendenti pronunciando quella terribile ed
esecrabile sentenza: «II suo sangue ricada sopra di noi e sopra i nostri
figli».
1326. Oh, cecità stoltissima e crudele! Oh, inimmaginabile
audacia! Volete attribuire a voi e ai vostri figli l'iniqua condanna
dell'innocente, che lo stesso giudice dichiara incolpevole, affinché
contro voi tutti esso gridi sempre, fino alla fine dei secoli? Oh,
perfidi e sacrileghi giudei! Il sangue dell'Agnello, che lava i peccati
del mondo, e la vita di un uomo, che al tempo stesso è vero Dio, pesano
così poco da volerli addossare a voi stessi e ai vostri figli? Se fosse
stato anche solo vostro fratello, benefattore e maestro, pure la vostra
audacia sarebbe stata spaventosa e deprecabile la vostra malvagità. Di
certo è giusto il castigo che subite; è giusto che il peso del sangue di
Cristo non vi dia mai requie; ed è giusto che questo carico, pesante
più del cielo e della terra, vi opprima e vi schiacci. Quale grande
dolore! Il sangue divino cadde su tutti i figli di Adamo per lavarli e
purificarli e fu sparso sui figli della santa Chiesa; eppure in essa vi
sono molti che al pari dei giudei se ne assumono la responsabilità con
le proprie opere e parole, quelli non sapendo e non credendo che fosse
sangue del Messia e i cattolici sapendo e confessando che lo è.
1327. I peccati e le azioni depravate dei cristiani hanno
un loro linguaggio e parlano contro il nostro Signore, gridando: «Cristo
sia svergognato, schiaffeggiato, disprezzato, coperto di sputi,
crocifisso; a lui si preferisca Barabba. Sia tormentato, flagellato e
coronato di spine per i nostri peccati, perché noi non vogliamo avere
altra parte in questo sangue se non quella di causarne lo spargimento
oltraggioso; ci venga pure eternamente imputato! Soffra e muoia lo
stesso Dio incarnato e noi godiamo dei beni apparenti. Approfittiamo
dell'occasione, usiamo le creature, coroniamoci di rose, viviamo con
allegria, avvaliamoci della forza; nessuno sia preferito a noi,
disprezziamo l'umiltà, detestiamo la povertà, accumuliamo tesori,
inganniamo tutti, non perdoniamo offese, abbandoniamoci ai piaceri più
turpi, bramiamo ardentemente tutto ciò che vediamo e impegnamoci fino al
limite delle nostre forze per ottenerlo. Questa sia la nostra legge,
senza alcun altro rispetto. E se così facendo crocifiggiamo il
Salvatore, il suo sangue ricada pure su di noi e sui nostri figli».
1328. Domandiamo ora ai reprobi che si trovano all'inferno
se le loro opere parlarono in questo modo - come afferma Salomone nel
libro della Sapienza - e se sono detti e furono empi perché ebbero
pensieri tanto stolti. Che cosa possono sperare coloro i quali rendono
inutile per sé il sangue del Redentore e se lo fanno ricadere addosso
non desiderandolo a proprio rimedio, ma disprezzandolo a propria
dannazione? Chi tra i figli della Chiesa sopporterebbe di essere
posposto ad un ladrone facinoroso? Tale insegnamento è così poco messo
in pratica che si rende ammirevole chi acconsente ad essere preceduto da
un altro buono e benemerito quanto e più di lui; eppure non si troverà
nessuno tanto buono come sua Maestà, né tanto malvagio come Barabba.
Ciononostante sono senza numero quelli che, davanti a questo esempio, si
offendono e si considerano sfortunati qualora non siano preferiti e
innalzati nell'onore, nelle ricchezze, nelle dignità e in ciò che nel
secolo presente riceve ostentazione e plauso. Gli uomini sollecitano, si
contendono e ricercano proprio questo, occupandovi i propri pensieri e
le proprie forze e facoltà, da quando cominciano ad usarle fino a quando
le perdono. Il più grande doloroso danno è che non sono liberi da un
simile contagio neppure quanti per professione e stato di vita hanno
rinunciato al mondo: mentre il Signore ordina loro di dimenticarsi del
proprio popolo e della casa del loro padre, essi vi si rivolgono con la
parte migliore della natura umana, cioè con l'attenzione e la
sollecitudine verso i parenti, nonché con la volontà e il desiderio di
procurare ad essi quanto il mondo possiede. Ciò, tuttavia, appare loro
ancora poco: s'immergono nella vanità e, invece di dimenticare la casa
paterna, dimenticano quella di Dio in cui vivono e in cui ricevono gli
aiuti divini per conseguire la stima, l'onore, la salvezza che
altrimenti non avrebbero mai ottenuto e il sostentamento senza affanno
né preoccupazione. Abbandonando l'umiltà, che per il loro stato di vita
dovrebbero professare, si dimostrano ingrati per tutti questi benefici.
La pazienza del Salvatore, gli oltraggi da lui subiti, gli obbrobri
della croce, l'imitazione delle sue opere, la sequela del suo
insegnamento sono lasciate a chi è povero, solo, abbandonato, e le
strade di Sion si vedono deserte e desolate, perché sono veramente pochi
quelli che vengono a celebrare la festa dell'imitazione di Cristo.
1329. Pilato non fu meno insipiente dei giudei nel pensare
che, lavandosi le mani ed imputando loro il sangue di Gesù, si sarebbe
giustificato sia nella sua coscienza che davanti agli uomini, ai quali
pretendeva di dare soddisfazione con quel gesto pieno d'ipocrisia e di
menzogna. È vero che i giudei furono gli attori principali e più
colpevoli nella condanna dell'innocente, di cui si assunsero la
terribile responsabilità, ma non per questo Pilato ne rimase estraneo,
poiché conoscendo l'innocenza del Redentore non avrebbe dovuto posporlo
ad un ladro omicida, né castigarlo, né correggere chi non aveva niente
da correggere. A maggior ragione non avrebbe dovuto lasciarlo alla mercé
dei suoi mortai nemici, di cui gli era manifesta l'invidia e la
crudeltà. Non può giudicare rettamente colui che, conoscendo la verità e
la giustizia, le mette sulla stessa bilancia del rispetto umano e degli
interessi personali: un simile peso trascina la ragione degli uomini
codardi, i quali non possono resistere all'ingordigia e al timore
mondano perché non possiedono in sommo grado le virtù necessarie ai
giudici; accecati dalla passione, abbandonano l'equità per non mettere a
rischio il proprio tornaconto. Così accadde a Pilato.
1330. La nostra grande Regina e signora rimase nel
pretorio, cosicché grazie ai suoi santi angeli poté udire la discussione
del governatore con gli scribi e i sommi sacerdoti riguardo
all'innocenza di Cristo nostro bene e allo scambio con Barabba. Con
ammirabile mitezza, vivo ritratto del suo santissimo Figlio, ascoltò
tacendo tutte le urla di quelle tigri feroci. Per quanto la sua
indicibile modestia fosse inalterabile, le voci dei giudei penetravano
come spada a due tagli nel suo cuore ferito; e le grida del suo,
silenzioso dolore erano accette all'eterno Padre più delle lacrime con
cui la bella Rachele - secondo quanto dice Geremia - piangeva i suoi
figli senza essere consolata perché non li poteva richiamare in vita'.
La nostra bella Rachele, Maria santissima, non domandava vendetta ma
perdono per i nemici che le toglievano l'Unigenito del Padre e suo.
Imitava e accompagnava sua Maestà negli atti da lui compiuti, operando
con tanta pienezza di santità che la pena non sospendeva le sue facoltà:
il dolore non impediva la carità, la tristezza non rallentava il
fervore, lo strepito non distraeva l'attenzione, le ingiurie e il
tumulto della folla non erano di ostacolo al raccoglimento; in tutto
ella esercitava le virtù in sommo grado.
Insegnamento della Regina del cielo
1331. Figlia mia, noto che ti meravigli per ciò che hai
inteso e scritto, riflettendo sul fatto che Pilato ed Erode non si
mostrarono tanto inumani e crudeli verso il mio Figlio santissimo quanto
i sommi sacerdoti e i farisei. Ti vedo considerare attentamente che i
primi erano giudici pagani e i secondi maestri della legge e guide del
popolo d'Israele che professavano la vera fede. Al riguardo desidero
illuminarti con un insegnamento; non è nuovo e l'hai sentito altre
volte, ma ora voglio che tu lo richiami alla mente e non lo dimentichi
per tutto il corso della tua vita. Tieni presente dunque, o carissima,
che la caduta da un luogo alto è estremamente pericolosa ed il suo danno
è irreparabile o per lo meno assai difficile da rimediare. Lucifero
ebbe in cielo un posto eminente sia per natura, sia per i doni di luce e
di grazia, poiché vinceva in bellezza tutte le creature; eppure discese
nella più profonda bruttezza e miseria, cadendo in un'ostinazione
maggiore di quella di tutti i suoi seguaci a causa del suo peccato. Ai
progenitori del genere umano, Adamo ed Eva, fu data una dignità
altissima. Essi furono adornati di grazie sublimi, uscite dalla mano
dell'Onnipotente; eppure, peccando, provocarono a sé e alla propria
posterità una grandissima rovina, il cui rimedio, come la fede
v'insegna, ebbe un prezzo incalcolabile e fu opera di misericordia
infinita.
1332. Tanti altri sono giunti all'apice della perfezione e
di là sono infelicemente precipitati, trovandosi poi sfiduciati o quasi
impossibilitati a rialzarsi. I motivi di questo danno risiedono in gran
parte nella creatura stessa. Infatti, l'anima caduta da uno stato di
virtù eccelsa prova dispetto e vergogna smisurata, non solo perché ha
sciupato beni preziosi, ma anche perché confida nelle grazie passate e
perdute più che nelle future, e spera nei doni ricevuti e malamente
impiegati per la sua ingratitudine più che in quelli che può acquistare
con impegno rinnovato e maggiore fermezza. Da questo insidioso stato
d'animo deriva l'agire con tiepidezza, senza fervore né impegno, senza
gusto né devozione, perché la sfiducia estingue tutto ciò; al contrario
la speranza, animata e incoraggiata, vince molte difficoltà e corrobora
la debolezza umana, animando a intraprendere opere grandi. C'è un'altra
ragione e non meno importante: chi è abituato ai favori di Dio - per
ufficio come i sacerdoti e i religiosi, o per esercizio di virtù come le
altre persone spirituali - di solito pecca disprezzandoli e facendo un
cattivo uso delle cose divine. Incorre nella pericolosa rozzezza di
tenere in poco conto i benefici del Signore proprio perché li riceve di
frequente; con un simile irriverente atteggiamento, impedisce alla
grazia di renderlo suo collaboratore e spegne in sé il santo timore che
risveglia e stimola ad operare il bene, ad ubbidire alla volontà divina e
ad approfittare subito dei mezzi stabiliti da Dio per convertirsi e
guadagnare la sua amicizia e la vita eterna. Questo rischio è evidente
nei sacerdoti tiepidi, i quali celebrano l'eucaristia e gli altri
sacramenti senza devozione, come pure nei dotti, nei saggi e nei potenti
del mondo, che difficilmente si emendano perché hanno perso la
venerazione dei rimedi della Chiesa - sacramenti, predicazione e
dottrina -, di cui non comprendono più il significato. Così, assumendo
le stesse medicine che per altri peccatori sono salutari e che
guariscono gli ignoranti, loro, medici della salute spirituale, si
ammalano.
1333. Ulteriori cause del danno di cui ti ho parlato
riguardano il rapporto con il Signore. Infatti, le mancanze di coloro
che per virtù o stato di vita sono più legati a Dio pesano sulla
bilancia della sua giustizia in modo assai differente rispetto a quelle
delle altre anime beneficate dalla sua misericordia. E sebbene i peccati
di tutti siano di uguale materia, le circostanze li rendono molto
diversi. I sacerdoti, i maestri, i potenti, i prelati e quanti occupano
un posto di rilievo o hanno fama di santità provocano grandi mali con lo
scandalo della loro empia condotta. Nell'arrischiarsi ad agire contro
Dio, che meglio conoscono e verso il quale hanno un debito superiore a
quello altrui, sono più temerari, perché lo offendono con maggiore
consapevolezza e quindi con più irriverenza. Per tale motivo l'eterno
Padre è tanto irritato dalle colpe dei cattolici e, in particolare, da
quelle di coloro che si distinguono per saggezza, come si comprende
dalle sacre Scritture. Nel tempo assegnato a ogni mortale per meritare
la vita eterna, è anche stabilito fino a quale numero di peccati la
pazienza del Signore debba aspettare e sopportare ciascuno; secondo la
giustizia divina il numero non è computato solo sulla base della
quantità, ma anche della qualità e del peso delle colpe. Può dunque
succedere che, in chi eccelle per scienza eccelsa o ha ricevuto dal
cielo singolari benefici, la qualità supplisca la quantità e che costui,
con un minor numero di colpe, venga abbandonato e castigato al pari di
altri peccatori che ne hanno commesse di più. D'altra parte, non a tutti
può accadere come a Davide e a san Pietro; non in tutti infatti la
caduta è preceduta da tante opere buone alle quali il Signore faccia
attenzione, né tantomeno il privilegio di alcuni è regola generale per
tutti, perché Dio, nei suoi imperscrutabili giudizi, non sceglie tutti
per un ministero.
1334. Con questo insegnamento, figlia mia, il tuo dubbio
sarà chiarito e intenderai quanto malvagio e amaro sia offendere
l'Onnipotente, allorché egli pone molte anime redente dal suo sangue
sulla strada della luce e ve le guida. Intenderai, inoltre, come una
persona possa cadere da uno stato sublime in un'ostinazione più dura di
quella di altre creature che si trovano in una condizione meno perfetta.
Tale verità è attestata dal mistero della passione e morte del mio
Figlio santissimo; infatti, i capi, i sacerdoti, gli scribi e l'intero
popolo, pur essendo maggiormente debitori a Dio rispetto ai pagani,
furono portati dalla loro empietà ad una pervicacia, cecità e crudeltà
più detestabile e avventata di quella dei pagani stessi, che non
conoscevano la vera religione. Voglio che tutto ciò ti metta in guardia
da un rischio così grande, affinché tu sia prudente ed unisca al santo
timore l'umile gratitudine e l'alta stima dei beni del Signore. Nel
tempo dell'abbondanza non dimenticare quello dell'indigenza. Confronta
l'uno e l'altro in te stessa; ricorda che hai il tesoro in un vaso
fragile, che lo puoi perdere e che ricevere tanti doni non è questione
di merito, né il possederli è diritto dovuto, bensì frutto della grazia e
della munificenza divine. L’Altissimo ti ha reso sua intima familiare;
tuttavia non sei preservata dal cadere, dal perdere il timore e la
riverenza o dal vivere negligentemente. Al contrario, timore e riverenza
devono crescere in te in proporzione ai favori. Anche l'ira del
serpente, infatti, è aumentata; la sua sorveglianza nei tuoi confronti
si è fatta più stretta, perché sa che Dio ha mostrato il suo amore
generoso a te più che ad altre creature e che, se tu fossi ingrata
nonostante gli innumerevoli doni ricevuti, saresti infelicissima e degna
di rigoroso castigo e la tua colpa sarebbe inescusabile.
10-12 Gennaio 15, 1911 L’interesse è il veleno del sacerdote. Dio non è capito da chi non è spogliato di tutto e da tutti.
Luisa Piccarreta (Libro di Cielo)
(1) Continuando il mio solito stato, il mio adorabile Gesù si faceva vedere piangendo e per quanto faceva, perché me l’ha portato la Celeste Mamma perché lo quietassi, quindi lo baciavo, lo carezzavo, me lo stringevo, gli dicevo: “Che vuoi da me? Non vuoi amore per renderti felice e quietarti il pianto? Non me l’hai detto Tu stesso altre volte, che la tua felicità è il mio amore? Ed io ti amo assai, assai, ma ti amo insieme con Te, perché da sola non so amarti. Dammi il tuo alito bruciante che mi scioglie il mio essere tutto in una fiamma d’amore, e poi ti amo per tutti, ti amo con tutti, ti amo nei cuori di tutti”. Ma chi può dire tutti i miei spropositi? Onde pareva che si quietasse un poco, e per distrarre il mio dolce amore del tutto dal pianto, gli ho detto: “Vita mia e mio tutto, consolati, ma che faranno le riunioni dei sacerdoti, oh! come resterai consolato!”
(2) E Lui subito: “Ah! figlia mia, l’interesse è il veleno del sacerdote, e si è infiltrato tanto in loro che li ha avvelenato il cuore, il sangue e fin nelle midolla delle ossa. Oh! come l’ha saputo ben tessere il demonio, avendo trovato in loro la volontà disposta ad essere tessuta. La mia Grazia ha usato tutta la sua arte per formare in loro la tessitura dell’amore e dargli il contravveleno dell’interesse, ma non trovando la loro volontà disposta, poco o nulla ha tessuto di divino, perciò il demonio non potendo impedire del tutto queste case di riunione di sacerdoti, facendo molta perdita, si contenta almeno di mantenere la tela che le ha tessuto col veleno dell’interesse. Oh! se tu vedessi quanto sono pochi i disposti a segregarsi dalle famiglie, anche col cuore ed a rovesciare questo veleno dell’interesse, ne piangeresti meco; non vedi come si dibattono tra loro a questo riguardo? Come restano agitati? Come si fanno tutti fuoco? Anzi lo credono uno sproposito che non è addetto allo stato loro”.
(3) Mentre ciò diceva, vedevo i sacerdoti disposti per ciò, quanto scarsissimo il numero. Gesù è scomparso, ed io mi sono trovata in me stessa. Ora, sentendo ripugnanza di scrivere queste cose che riguardano i sacerdoti ed avendone fatto il sacrificio, perché cosi vuole l’ubbidienza, il mio amato Gesù dopo è venuto e mi ha dato un bacio per ricompensarmi il sacrificio fatto ed ha aggiunto:
(4) “Figlia diletta mia, non hai detto tutto sopra gl’inconvenienti che porterebbero se resta il sacerdote inceppato col legame della famiglia, le tante vocazioni sbagliate, per cui la Chiesa in questi tristi tempi piange amaramente: Non si vedrebbero certo tanti modernisti, tanti sacerdoti vuoti di pietà vera, tanti dati ai piaceri, tanti all’incontinenza, tant’altri che guardano perdere le anime come se niente fosse, senza la minima amarezza, e tant’altri spropositi che fanno, questi sono segni di vocazioni sbagliate. E se le famiglie veggono che non c’è più da sperare da parte dei sacerdoti, a nessuno più le verrà il piacere di spingere i loro figli a farsi sacerdoti, né ai figli le verrà il pensiero d’arricchire, d’innalzare le famiglie per mezzo del loro ministero”.
(5) Ed io: “Ah! mio dolce Gesù, invece di dire a me queste cose, andate dai capi, dai vescovi, che loro che hanno l’autorità possono riuscire di contentarvi su questo punto, ma io, poverella, che posso fare? Non altro che compatirti, amarti e ripararti”.
(6) E Gesù: “Figlia mia, dai capi, dai vescovi? Il veleno dell’interesse ha invaso tutti, e siccome sono quasi tutti presi da questa febbre pestifera, li manca il coraggio di correggere e di mettere un argine a chi da loro dipende. E poi, Io non sono capito da chi non è spogliato di tutto e da tutti, la mia voce risuona molto male al loro udito, anzi li pare un assurdo, una cosa che non è conveniente alle condizioni umane; se parlo con te, ci comprendiamo abbastanza, e se non altro, trovo uno sfogo al mio dolore, e tu mi amerai di più perché sai che sono amareggiato”.