Sotto il Tuo Manto

Lunedi, 21 luglio 2025 - San Lorenzo da Brindisi (Letture di oggi)

Mille piccoli atti di virtù, come sopportare un insulto, dominarsi nell'ira, essere amichevoli con il prossimo, scusare un'indiscrezione, privarsi di qualche capriccio, sono cose facili a farsi per tutti, e se ne trova l'occasione a tutte le ore. (San Francesco di Sales)

Liturgia delle Ore - Letture

Martedi della 26° settimana del tempo ordinario (San Girolamo)

Per questa Liturgia delle Ore è disponibile sia la versione del tempo corrente che quella dedicata alla memoria di un Santo. Per cambiare versione, clicca su questo collegamento.
Questa sezione contiene delle letture scelte a caso, provenienti dalle varie sezioni del sito (Sacra Bibbia e la sezione Biblioteca Cristiana), mentre l'ultimo tab Apparizioni, contiene messaggi di apparizioni a mistici o loro scritti. Sono presenti testi della Valtorta, Luisa Piccarreta, don Stefano Gobbi e testimonianze di apparizioni mariane riconosciute.

Vangelo secondo Marco 9

1E diceva loro: "In verità vi dico: vi sono alcuni qui presenti, che non morranno senza aver visto il regno di Dio venire con potenza".

2Dopo sei giorni, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li portò sopra un monte alto, in un luogo appartato, loro soli. Si trasfigurò davanti a loro3e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche.4E apparve loro Elia con Mosè e discorrevano con Gesù.5Prendendo allora la parola, Pietro disse a Gesù: "Maestro, è bello per noi stare qui; facciamo tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia!".6Non sapeva infatti che cosa dire, poiché erano stati presi dallo spavento.7Poi si formò una nube che li avvolse nell'ombra e uscì una voce dalla nube: "Questi è il Figlio mio prediletto; ascoltatelo!".8E subito guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo con loro.

9Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare a nessuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell'uomo fosse risuscitato dai morti.10Ed essi tennero per sé la cosa, domandandosi però che cosa volesse dire risuscitare dai morti.11E lo interrogarono: "Perché gli scribi dicono che prima deve venire Elia?".12Egli rispose loro: "Sì, prima viene Elia e ristabilisce ogni cosa; ma come sta scritto del Figlio dell'uomo? Che deve soffrire molto ed essere disprezzato.13Orbene, io vi dico che Elia è già venuto, ma hanno fatto di lui quello che hanno voluto, come sta scritto di lui".

14E giunti presso i discepoli, li videro circondati da molta folla e da scribi che discutevano con loro.15Tutta la folla, al vederlo, fu presa da meraviglia e corse a salutarlo.16Ed egli li interrogò: "Di che cosa discutete con loro?".17Gli rispose uno della folla: "Maestro, ho portato da te mio figlio, posseduto da uno spirito muto.18Quando lo afferra, lo getta al suolo ed egli schiuma, digrigna i denti e si irrigidisce. Ho detto ai tuoi discepoli di scacciarlo, ma non ci sono riusciti".19Egli allora in risposta, disse loro: "O generazione incredula! Fino a quando starò con voi? Fino a quando dovrò sopportarvi? Portatelo da me".20E glielo portarono. Alla vista di Gesù lo spirito scosse con convulsioni il ragazzo ed egli, caduto a terra, si rotolava spumando.21Gesù interrogò il padre: "Da quanto tempo gli accade questo?". Ed egli rispose: "Dall'infanzia;22anzi, spesso lo ha buttato persino nel fuoco e nell'acqua per ucciderlo. Ma se tu puoi qualcosa, abbi pietà di noi e aiutaci".23Gesù gli disse: "Se tu puoi! Tutto è possibile per chi crede".24Il padre del fanciullo rispose ad alta voce: "Credo, aiutami nella mia incredulità".25Allora Gesù, vedendo accorrere la folla, minacciò lo spirito immondo dicendo: "Spirito muto e sordo, io te l'ordino, esci da lui e non vi rientrare più".26E gridando e scuotendolo fortemente, se ne uscì. E il fanciullo diventò come morto, sicché molti dicevano: "È morto".27Ma Gesù, presolo per mano, lo sollevò ed egli si alzò in piedi.
28Entrò poi in una casa e i discepoli gli chiesero in privato: "Perché noi non abbiamo potuto scacciarlo?".29Ed egli disse loro: "Questa specie di demòni non si può scacciare in alcun modo, se non con la preghiera".

30Partiti di là, attraversavano la Galilea, ma egli non voleva che alcuno lo sapesse.31Istruiva infatti i suoi discepoli e diceva loro: "Il Figlio dell'uomo sta per esser consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma una volta ucciso, dopo tre giorni, risusciterà".32Essi però non comprendevano queste parole e avevano timore di chiedergli spiegazioni.

33Giunsero intanto a Cafàrnao. E quando fu in casa, chiese loro: "Di che cosa stavate discutendo lungo la via?".34Ed essi tacevano. Per la via infatti avevano discusso tra loro chi fosse il più grande.35Allora, sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: "Se uno vuol essere il primo, sia l'ultimo di tutti e il servo di tutti".36E, preso un bambino, lo pose in mezzo e abbracciandolo disse loro:
37"Chi accoglie uno di questi bambini nel mio nome, accoglie me; chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato".

38Giovanni gli disse: "Maestro, abbiamo visto uno che scacciava i demòni nel tuo nome e glielo abbiamo vietato, perché non era dei nostri".39Ma Gesù disse: "Non glielo proibite, perché non c'è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito dopo possa parlare male di me.40Chi non è contro di noi è per noi.

41Chiunque vi darà da bere un bicchiere d'acqua nel mio nome perché siete di Cristo, vi dico in verità che non perderà la sua ricompensa.

42Chi scandalizza uno di questi piccoli che credono, è meglio per lui che gli si metta una macina da asino al collo e venga gettato nel mare.43Se la tua mano ti scandalizza, tagliala: è meglio per te entrare nella vita monco, che con due mani andare nella Geenna, nel fuoco inestinguibile.44.45Se il tuo piede ti scandalizza, taglialo: è meglio per te entrare nella vita zoppo, che esser gettato con due piedi nella Geenna.46.47Se il tuo occhio ti scandalizza, cavalo: è meglio per te entrare nel regno di Dio con un occhio solo, che essere gettato con due occhi nella Geenna,48dove 'il loro verme non muore e il fuoco non si estingue'.49Perché ciascuno sarà salato con il fuoco.50Buona cosa il sale; ma se il sale diventa senza sapore, con che cosa lo salerete? Abbiate sale in voi stessi e siate in pace gli uni con gli altri".


Primo libro dei Maccabei 2

1In quei giorni Mattatia figlio di Giovanni, figlio di Simone, sacerdote della stirpe di Ioarìb, partì da Gerusalemme e venne a stabilirsi a Modin.2Egli aveva cinque figli: Giovanni chiamato anche Gaddi,3Simeone chiamato Tassi,4Giuda chiamato Maccabeo,5Eleàzaro chiamato Auaran, Giònata chiamato Affus.6Viste le empietà che si commettevano in Giuda e Gerusalemme,7disse: "Ohimè! perché mai sono nato per vedere lo strazio del mio popolo e lo strazio della città santa e debbo sedere qui mentre essa è in balìa dei nemici e il santuario in mano agli stranieri?

8Il suo tempio è diventato come un uomo ignobile,
9gli ornamenti della sua gloria sono stati portati
via come preda,
sono stati sgozzati i suoi bambini nelle piazze
e i giovinetti dalla spada nemica.
10Qual popolo non ha invaso il suo regno
e non si è impadronito delle sue spoglie?
11Ogni ornamento le è stato strappato,
da padrona è diventata schiava.
12Ecco, le nostre cose sante,
la nostra bellezza, la nostra gloria
sono state devastate,
le hanno profanate i pagani.
13Perché vivere ancora?".

14Mattatia e i suoi figli si stracciarono le vesti, si vestirono di sacco e si misero in grande lutto.
15Ora vennero nella città di Modin i messaggeri del re, incaricati di costringere all'apostasia e a far sacrificare.16Molti Israeliti andarono da loro; invece Mattatia e i suoi figli si raccolsero in disparte.17I messaggeri del re si rivolsero a Mattatia e gli dissero: "Tu sei uomo autorevole e stimato e grande in questa città e sei sostenuto da figli e fratelli;18su, fatti avanti per primo e adempi il comando del re, come hanno fatto tutti i popoli e gli uomini di Giuda e quelli rimasti in Gerusalemme; così passerai tu e i tuoi figli nel numero degli amici del re e tu e i tuoi figli avrete in premio oro e argento e doni in quantità".19Ma Mattatia rispose a gran voce: "Anche se tutti i popoli nei domini del re lo ascolteranno e ognuno si staccherà dal culto dei suoi padri e vorranno tutti aderire alle sue richieste,20io, i miei figli e i miei fratelli cammineremo nell'alleanza dei nostri padri;21ci guardi il Signore dall'abbandonare la legge e le tradizioni;22non ascolteremo gli ordini del re per deviare dalla nostra religione a destra o a sinistra".23Terminate queste parole, si avvicinò un Giudeo alla vista di tutti per sacrificare sull'altare in Modin secondo il decreto del re.24Ciò vedendo Mattatia arse di zelo; fremettero le sue viscere ed egli ribollì di giusto sdegno. Fattosi avanti di corsa, lo uccise sull'altare;25uccise nel medesimo tempo il messaggero del re, che costringeva a sacrificare, e distrusse l'altare.26Egli agiva per zelo verso la legge come aveva fatto Pincas con Zambri figlio di Salom.27La voce di Mattatia tuonò nella città: "Chiunque ha zelo per la legge e vuol difendere l'alleanza mi segua!".28Fuggì con i suoi figli tra i monti, abbandonando in città quanto avevano.
29Allora molti che ricercavano la giustizia e il diritto scesero per dimorare nel deserto30con i loro figli, le loro mogli e i greggi, perché si erano addensati i mali sopra di essi.31Fu riferito agli uomini del re e alle milizie che stavano in Gerusalemme, nella città di Davide, che si erano raccolti laggiù in luoghi nascosti del deserto uomini che avevano stracciato l'editto del re.32Molti corsero ad inseguirli, li raggiunsero, si accamparono di fronte a loro e si prepararono a dar battaglia in giorno di sabato.33Dicevano loro: "Basta ormai; uscite, obbedite ai comandi del re e avrete salva la vita".34Ma quelli risposero: "Non usciremo, né seguiremo gli ordini del re, profanando il giorno del sabato".35Quelli si precipitarono all'assalto contro di loro.36Ma essi non risposero, né lanciarono pietra, né ostruirono i nascondigli,37protestando: "Moriamo tutti nella nostra innocenza. Testimoniano per noi il cielo e la terra che ci fate morire ingiustamente".38Così quelli mossero contro di loro a battaglia di sabato: essi morirono con le mogli e i figli e i loro greggi, in numero di circa mille persone.
39Quando Mattatia e i suoi amici lo seppero, ne fecero gran pianto.40Poi dissero tra di loro: "Se faremo tutti come hanno fatto i nostri fratelli e non combatteremo contro i pagani per la nostra vita e per le nostre leggi, ci faranno sparire in breve dalla terra".41Presero in quel giorno questa decisione: "Noi combatteremo contro chiunque venga a darci battaglia in giorno di sabato e non moriremo tutti come sono morti i nostri fratelli nei nascondigli".
42In quel tempo si unì con loro un gruppo degli Asidei, i forti d'Israele, e quanti volevano mettersi a disposizione della legge;43inoltre quanti fuggivano davanti alle sventure si univano a loro e divenivano loro rinforzo.44Così organizzarono un contingente di forze e percossero con ira i peccatori e gli uomini empi con furore; gli scampati fuggirono tra i pagani per salvarsi.45Mattatia poi e i suoi amici andarono in giro a demolire gli altari46e fecero circoncidere a forza tutti i bambini non circoncisi che trovarono nel territorio d'Israele;47non diedero tregua agli orgogliosi e l'impresa ebbe buona riuscita nelle loro mani;48difesero la legge dalla prepotenza dei popoli e dei re e non la diedero vinta ai peccatori.
49Intanto si avvicinava per Mattatia l'ora della morte ed egli disse ai figli: "Ora domina la superbia e l'ingiustizia, è il tempo della distruzione e dell'ira rabbiosa.50Ora, figli, mostrate zelo per la legge e date la vostra vita per l'alleanza dei nostri padri.51Ricordate le gesta compiute dai nostri padri ai loro tempi e ne trarrete gloria insigne e nome eterno.52Abramo non fu trovato forse fedele nella tentazione e non gli fu ciò accreditato a giustizia?53Giuseppe nell'ora dell'oppressione osservò il precetto e divenne signore dell'Egitto.54Pincas nostro padre per lo zelo dimostrato conseguì l'alleanza del sacerdozio perenne.55Giosuè, obbedendo alla divina parola, divenne giudice in Israele.56Caleb, testimoniando nell'adunanza, ebbe in sorte parte del nostro paese.57Davide per la sua pietà ottenne il trono del regno per sempre.58Elia, poiché aveva dimostrato zelo ardente per la legge, fu assunto in cielo.59Anania, Azaria e Misaele per la loro fede furono salvati dalla fiamma.60Daniele nella sua innocenza fu sottratto alle fauci dei leoni.61Così, di seguito, considerate di generazione in generazione che quanti hanno fiducia in lui non soccombono.62Non abbiate paura delle parole dell'empio, perché la sua gloria andrà a finire ai rifiuti e ai vermi;63oggi è esaltato, domani non si trova più, perché ritorna alla sua polvere e i suoi calcoli falliscono.64Figli, siate valorosi e forti nella legge, perché in questa sarete glorificati.65Ecco qui vostro fratello Simone, che io so uomo saggio: ascoltatelo sempre, egli sarà vostro padre.66Giuda Maccabeo, forte guerriero dalla sua gioventù, sarà capo del vostro esercito e condurrà la battaglia contro i pagani.67Voi, dunque, radunate intorno a voi quanti praticano la legge e vendicate il vostro popolo;68rendete il meritato castigo ai pagani e applicatevi all'ordinamento della legge".69Poi li benedisse e si riunì ai suoi padri.70Morì nell'anno centoquarantasei e fu sepolto nella tomba dei suoi padri in Modin; tutto Israele fece grande pianto su di lui.


Proverbi 22

1Un buon nome val più di grandi ricchezze
e la benevolenza altrui più dell'argento e dell'oro.
2Il ricco e il povero si incontrano,
il Signore ha creato l'uno e l'altro.
3L'accorto vede il pericolo e si nasconde,
gli inesperti vanno avanti e la pagano.
4Frutti dell'umiltà sono il timore di Dio,
la ricchezza, l'onore e la vita.
5Spine e tranelli sono sulla via del perverso;
chi ha cura di se stesso sta lontano.
6Abitua il giovane secondo la via da seguire;
neppure da vecchio se ne allontanerà.
7Il ricco domina sul povero
e chi riceve prestiti è schiavo del suo creditore.
8Chi semina l'ingiustizia raccoglie la miseria
e il bastone a servizio della sua collera svanirà.
9Chi ha l'occhio generoso sarà benedetto,
perché egli dona del suo pane al povero.
10Scaccia il beffardo e la discordia se ne andrà
e cesseranno i litigi e gli insulti.
11Il Signore ama chi è puro di cuore
e chi ha la grazia sulle labbra è amico del re.
12Gli occhi del Signore proteggono la scienza
ed egli confonde le parole del perfido.
13Il pigro dice: "C'è un leone là fuori:
sarei ucciso in mezzo alla strada".
14La bocca delle straniere è una fossa profonda,
chi è in ira al Signore vi cade.
15La stoltezza è legata al cuore del fanciullo,
ma il bastone della correzione l'allontanerà da lui.
16Opprimere il povero non fa che arricchirlo,
dare a un ricco non fa che impoverirlo.

17Porgi l'orecchio e ascolta le parole dei sapienti
e applica la tua mente alla mia istruzione,
18perché ti sarà piacevole custodirle nel tuo intimo
e averle tutte insieme pronte sulle labbra.
19Perché la tua fiducia sia riposta nel Signore,
voglio indicarti oggi la tua strada.
20Non ti ho scritto forse trenta
tra consigli e istruzioni,
21perché tu sappia esprimere una parola giusta
e rispondere con parole sicure a chi ti interroga?
22Non depredare il povero, perché egli è povero,
e non affliggere il misero in tribunale,
23perché il Signore difenderà la loro causa
e spoglierà della vita coloro che li hanno spogliati.
24Non ti associare a un collerico
e non praticare un uomo iracondo,
25per non imparare i suoi costumi
e procurarti una trappola per la tua vita.
26Non essere di quelli che si fanno garanti
o che s'impegnano per debiti altrui,
27perché, se poi non avrai da pagare,
ti si toglierà il letto di sotto a te.
28Non spostare il confine antico,
posto dai tuoi padri.
29Hai visto un uomo sollecito nel lavoro?
Egli si sistemerà al servizio del re,
non resterà al servizio di persone oscure.


Salmi 113

1Alleluia.

Lodate, servi del Signore,
lodate il nome del Signore.
2Sia benedetto il nome del Signore,
ora e sempre.

3Dal sorgere del sole al suo tramonto
sia lodato il nome del Signore.
4Su tutti i popoli eccelso è il Signore,
più alta dei cieli è la sua gloria.

5Chi è pari al Signore nostro Dio
che siede nell'alto
6e si china a guardare
nei cieli e sulla terra?

7Solleva l'indigente dalla polvere,
dall'immondizia rialza il povero,
8per farlo sedere tra i principi,
tra i principi del suo popolo.

9Fa abitare la sterile nella sua casa
quale madre gioiosa di figli.


Ezechiele 23

1Mi fu rivolta questa parola del Signore:2"Figlio dell'uomo, vi erano due donne, figlie della stessa madre,3le quali si erano prostituite in Egitto fin dalla loro giovinezza, dove venne profanato il loro petto e oppresso il loro seno verginale.4Esse si chiamano Oolà la maggiore e Oolibà la più piccola, sua sorella. L'una e l'altra divennero mie e partorirono figli e figlie. Oolà è Samaria e Oolibà è Gerusalemme.5Oolà mentre era mia si dimostrò infedele: arse d'amore per i suoi spasimanti, gli Assiri suoi vicini,6vestiti di porpora, prìncipi e governatori, tutti giovani attraenti, cavalieri montati su cavalli.7Concesse loro i suoi favori, al fiore degli Assiri, e si contaminò con gli idoli di coloro dei quali si era innamorata.8Non rinunciò alle sue relazioni amorose con gli Egiziani, i quali avevano abusato di lei nella sua giovinezza, avevano profanato il suo seno verginale, sfogando su di lei la loro libidine.9Per questo l'ho data in mano ai suoi amanti, in mano agli Assiri, dei quali si era innamorata.10Essi scoprirono la sua nudità, presero i suoi figli e le sue figlie e la uccisero di spada. Divenne così come un monito fra le donne, per la condanna esemplare che essi avevano eseguita su di lei.
11Sua sorella Oolibà la vide e si corruppe più di lei nei suoi amoreggiamenti; con le sue infedeltà superò la sorella.12Spasimò per gli Assiri suoi vicini, prìncipi e capi, vestiti di porpora, cavalieri montati su cavalli, tutti giovani attraenti.13Io vidi che si era contaminata e che tutt'e due seguivano la stessa via.14Ma essa moltiplicò le prostituzioni. Vide uomini effigiati su una parete, figure di Caldei, disegnati con il minio,15con cinture ai fianchi, ampi turbanti in capo, dall'aspetto di grandi capi, rappresentanti i figli di Babilonia, originari di Caldea:16essa se ne innamorò non appena li vide e inviò loro messaggeri in Caldea.17I figli di Babilonia andarono da lei al letto degli amori e la contaminarono con le loro fornicazioni ed essa si contaminò con loro finché ne fu nauseata.18Poiché aveva messo in pubblico le sue tresche e scoperto la sua nudità, anch'io mi allontanai da lei come mi ero allontanato dalla sorella.19Ma essa continuò a moltiplicare prostituzioni, ricordando il tempo della sua gioventù, quando si prostituiva in Egitto.20Arse di libidine per quegli amanti lussuriosi come asini, libidinosi come stalloni,21e così rinnovò l'infamia della sua giovinezza, quando in Egitto veniva profanato il suo petto, oppresso il suo seno verginale.22Per questo, Oolibà, così dice il Signore Dio: Ecco, io suscito contro di te gli amanti di cui mi sono disgustato e li condurrò contro di te da ogni parte,23i figli di Babilonia e di tutti i Caldei, quelli di Pekòd, di Soa e di Koa e con loro tutti gli Assiri, tutti i giovani attraenti, prìncipi e capi, tutti capitani e cavalieri famosi;24verranno contro di te dal settentrione con cocchi e carri e con una moltitudine di popolo e si schiereranno contro di te da ogni parte con scudi grandi e piccoli ed elmi. A loro ho rimesso il giudizio e ti giudicheranno secondo le loro leggi.25Scatenerò la mia gelosia contro di te e ti tratteranno con furore: ti taglieranno il naso e gli orecchi e i superstiti cadranno di spada; deporteranno i tuoi figli e le tue figlie e ciò che rimarrà di te sarà preda del fuoco.26Ti spoglieranno delle tue vesti e s'impadroniranno dei tuoi gioielli.27Metterò fine alle tue scelleratezze e alle tue prostituzioni commesse in Egitto: non alzerai più gli occhi verso di loro, non ricorderai più l'Egitto.
28Perché così dice il Signore Dio: Ecco, io ti consegno in mano a coloro che tu odii, in mano a coloro di cui sei nauseata.29Ti tratteranno con odio e si impadroniranno di tutti i tuoi beni, lasciandoti nuda e scoperta; sarà svelata la turpitudine delle tue scelleratezze, la tua libidine e la tua disonestà.30Così sarai trattata perché tu mi hai tradito con le genti, perché ti sei contaminata con i loro idoli.31Hai seguito la via di tua sorella, la sua coppa porrò nelle tue mani".

32Dice il Signore Dio:
"Berrai la coppa di tua sorella,
profonda e larga,
sarai oggetto di derisione e di scherno;
la coppa sarà di grande capacità.
33Tu sarai colma d'ubriachezza e d'affanno,
coppa di desolazione e di sterminio
era la coppa di tua sorella Samaria.
34Anche tu la berrai, la vuoterai, ne succhierai i cocci,
ti lacererai il seno,
poiché io ho parlato". Parola del Signore.

35Perciò dice il Signore Dio: "Poiché tu mi hai dimenticato e mi hai voltato le spalle, sconterai dunque la tua disonestà e le tue dissolutezze!".
36Il Signore mi disse: "Figlio dell'uomo, non giudicherai tu Oolà e Oolibà? Non mostrerai ad esse i loro abomini?37Sono state adultere e le loro mani sono lorde di sangue, hanno commesso adulterio con i loro idoli; perfino i figli che mi avevano partorito, li hanno fatti passare per il fuoco in loro pasto.38Ancor questo mi hanno fatto: in quello stesso giorno hanno contaminato il mio santuario e profanato i miei sabati;39dopo avere immolato i loro figli ai loro idoli, sono venute in quel medesimo giorno al mio santuario per profanarlo: ecco quello che hanno fatto dentro la mia casa!
40Si rivolsero anche a uomini di paesi lontani, invitandoli per mezzo di messaggeri, ed essi giunsero. Per loro ti sei lavata, ti sei dipinta gli occhi, ti sei adornata dei tuoi vestiti preziosi,41ti sei stesa su un magnifico divano davanti ad una tavola imbandita, su cui hai posto il mio olio, i miei profumi.42Si udiva lo strepito di una moltitudine festante di uomini venuti dal deserto, i quali avevano messo braccialetti ai polsi e una corona di gloria sul loro capo.43Io pensavo di costei, abituata agli adultéri: Ora costoro si faranno complici delle sue prostituzioni.44Infatti entrarono da lei, come si entra da una prostituta: così entrarono da Oolà e da Oolibà, donne di malaffare.45Ma uomini retti le giudicheranno come si giudicano le adultere e le assassine. Le loro mani sono lorde di sangue".
46Dice infatti il Signore Dio: "Si farà venire contro di loro una folla ed esse saranno abbandonate alle malversazioni e al saccheggio.47La folla le lapiderà e le farà a pezzi con le spade; ne ucciderà i figli e le figlie e darà alle fiamme le case.48Eliminerò così un'infamia dalla terra e tutte le donne impareranno a non commettere infamie simili.49Faranno ricadere la vostra infamia su di voi e sconterete i vostri peccati di idolatria: saprete così che io sono il Signore Dio".


Lettera ai Romani 15

1Noi che siamo i forti abbiamo il dovere di sopportare l'infermità dei deboli, senza compiacere noi stessi.2Ciascuno di noi cerchi di compiacere il prossimo nel bene, per edificarlo.3Cristo infatti non cercò di piacere a se stesso, ma come sta scritto: 'gli insulti di coloro che ti insultano sono caduti sopra di me'.4Ora, tutto ciò che è stato scritto prima di noi, è stato scritto per nostra istruzione, perché in virtù della perseveranza e della consolazione che ci vengono dalle Scritture teniamo viva la nostra speranza.5E il Dio della perseveranza e della consolazione vi conceda di avere gli uni verso gli altri gli stessi sentimenti ad esempio di Cristo Gesù,6perché con un solo animo e una voce sola rendiate gloria a Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo.
7Accoglietevi perciò gli uni gli altri come Cristo accolse voi, per la gloria di Dio.8Dico infatti che Cristo si è fatto servitore dei circoncisi in favore della veracità di Dio, per compiere le promesse dei padri;9le nazioni pagane invece glorificano Dio per la sua misericordia, come sta scritto:

'Per questo ti celebrerò tra le nazioni pagane,
e canterò inni al tuo nome'.

10E ancora:

'Rallegratevi, o nazioni, insieme al suo popolo.'

11E di nuovo:

'Lodate, nazioni tutte, il Signore;
i popoli tutti lo esaltino'.

12E a sua volta Isaia dice:

'Spunterà il rampollo di Iesse,
colui che sorgerà a giudicare le nazioni:
in lui le nazioni spereranno'.

13Il Dio della speranza vi riempia di ogni gioia e pace nella fede, perché abbondiate nella speranza per la virtù dello Spirito Santo.

14Fratelli miei, sono anch'io convinto, per quel che vi riguarda, che voi pure siete pieni di bontà, colmi di ogni conoscenza e capaci di correggervi l'un l'altro.15Tuttavia vi ho scritto con un po' di audacia, in qualche parte, come per ricordarvi quello che già sapete, a causa della grazia che mi è stata concessa da parte di Dio16di essere un ministro di Gesù Cristo tra i pagani, esercitando l'ufficio sacro del vangelo di Dio perché i pagani divengano una oblazione gradita, santificata dallo Spirito Santo.17Questo è in realtà il mio vanto in Gesù Cristo di fronte a Dio;18non oserei infatti parlare di ciò che Cristo non avesse operato per mezzo mio per condurre i pagani all'obbedienza, con parole e opere,19con la potenza di segni e di prodigi, con la potenza dello Spirito. Così da Gerusalemme e dintorni fino all'Illiria, ho portato a termine la predicazione del vangelo di Cristo.20Ma mi sono fatto un punto di onore di non annunziare il vangelo se non dove ancora non era giunto il nome di Cristo, per non costruire su un fondamento altrui,21ma come sta scritto:

'Lo vedranno coloro ai quali non era stato annunziato
e coloro che non ne avevano udito parlare, comprenderanno'.

22Per questo appunto fui impedito più volte di venire da voi.23Ora però, non trovando più un campo d'azione in queste regioni e avendo già da parecchi anni un vivo desiderio di venire da voi,24quando andrò in Spagna spero, passando, di vedervi, e di esser da voi aiutato per recarmi in quella regione, dopo avere goduto un poco della vostra presenza.
25Per il momento vado a Gerusalemme, a rendere un servizio a quella comunità;26la Macedonia e l'Acaia infatti hanno voluto fare una colletta a favore dei poveri che sono nella comunità di Gerusalemme.27L'hanno voluto perché sono ad essi debitori: infatti, avendo i pagani partecipato ai loro beni spirituali, sono in debito di rendere un servizio sacro nelle loro necessità materiali.28Fatto questo e presentato ufficialmente ad essi questo frutto, andrò in Spagna passando da voi.29E so che, giungendo presso di voi, verrò con la pienezza della benedizione di Cristo.30Vi esorto perciò, fratelli, per il Signore nostro Gesù Cristo e l'amore dello Spirito, a lottare con me nelle preghiere che rivolgete per me a Dio,31perché io sia liberato dagli infedeli della Giudea e il mio servizio a Gerusalemme torni gradito a quella comunità,32sicché io possa venire da voi nella gioia, se così vuole Dio, e riposarmi in mezzo a voi. Il Dio della pace sia con tutti voi. Amen.


Capitolo X: La gratitudine per la grazia divina

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1. Perché vai cercando quiete, dal momento che sei nato per la tribolazione? Disponiti a patire, più che ad essere consolato; a portare la croce, più che a ricevere gioia. Anche tra coloro che vivono nel mondo, chi non sarebbe felice - se potesse ottenerli in ogni momento - di non avere il conforto e la letizia dello spirito, poiché le gioie spirituali superano tutti i piaceri mondani e le delizie materiali? Le delizie del mondo sono tutte vuote o poco buone; mentre le delizie spirituali, esse soltanto, sono veramente piene di gioia ed innocenti, frutto delle virtù e dono soprannaturale di Dio agli spiriti puri. In verità però nessuno può godere a suo talento di queste divine consolazione, perché il tempo della tentazione non dà lunga tregua. E poi una falsa libertà di spirito e una eccessiva fiducia in se stessi sono di grande ostacolo a questa visita dall'alto. Dio ci fa dono dandoci la consolazione della grazia; ma l'uomo risponde in modo riprovevole se non attribuisce tutto a Dio con gratitudine. E così non possono fluire su di noi i doni della grazia, perché non sentiamo gratitudine per colui dal quale essa proviene e non riportiamo tutto alla sua fonte originaria. La grazia sarà sempre dovuta a chi è giustamente grato; mentre al superbo sarà tolto quello che suole esser dato all'umile. Non voglio una consolazione che mi tolga la compunzione del cuore; non desidero una contemplazione che mi porti alla superbia. Ché non tutto ciò che è alto è santo; non tutto ciò che è soave è buono; non tutti i desideri sono puri; non tutto ciò che è caro è gradito a Dio. Invece, accolgo con gioia una grazia che mi faccia essere sempre più umile e timorato, e che mi renda più pronto a lasciare me stesso. Colui che è stato formato dal dono della grazia ed ammaestrato dalla dura sottrazione di essa, non oserà mai attribuirsi un briciolo di bene; egli riconoscerà piuttosto di essere povero e nudo.  

2. Da' a Dio ciò che è di Dio, e attribuisci a te ciò che è tuo: mostrati riconoscente a Dio per la grazia, e a te attribuisci soltanto il peccato, cosciente di meritare una pena per la colpa commessa. Mettiti al posto più basso, e ti sarà dato il più alto; giacché la massima elevazione non si ha che con il massimo abbassamento. I santi più alti agli occhi di Dio sono quelli che, ai propri occhi , sono i più bassi; essi hanno una gloria tanto più grande quanto più si sono sentiti umili. Ripieni della verità e della gloria celeste, non desiderano la vana gloria di questo mondo; basati saldamente in Dio, non possono in alcun modo insuperbire. Essi, che attribuiscono a Dio tutto quel che hanno ricevuto di bene, non vanno cercando di essere esaltati l'uno dall'altro, ma vogliono invece quella gloria, che viene soltanto da Dio; aspirano e sono tutti tesi a questo: che, in loro stessi e in tutti i beati, sia lodato Iddio sopra ogni cosa. Sii dunque riconoscente anche per la più piccola cosa; così sarai degno di ricevere doni più grandi. La cosa più piccola sia per te come la più grande; quello che è più disprezzabile sia per te come un dono straordinario. Se si guarda all'altezza di colui che lo dà, nessun dono sembrerà piccolo o troppo poco apprezzabile. Non è piccolo infatti ciò che ci viene dato dal Dio eccelso. Anche se ci desse pene e tribolazioni, tutto questo deve esserci gradito, perché il Signore opera sempre per la nostra salvezza, qualunque cosa permetta che ci accada. Chi vuol conservare la grazia divina, sia riconoscente quando gli viene concessa, e sappia sopportare quando gli viene tolta; preghi perché essa ritorni, sia prudente ed umile affinché non abbia a perderla.


Omelia 82: Rimanete nel mio amore.

Commento al Vangelo di San Giovanni - Sant'Agostino d'Ippona

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[Siamo opera di Dio, creati in Cristo Gesù.]

1. Richiamando con insistenza l'attenzione dei discepoli sulla grazia che ci fa salvi, il Salvatore dice: Ciò che glorifica il Padre mio è che portiate molto frutto; e così vi dimostrerete miei discepoli (Gv 15, 8). Che si dica glorificato o clarificato, ambedue i termini derivano dal greco . Il greco , in latino significa "gloria". Ritengo opportuna questa osservazione, perché l'Apostolo dice: Se Abramo fu giustificato per le opere, ha di che gloriarsi, ma non presso Dio (Rm, 4, 2). E' gloria presso Dio quella in cui viene glorificato, non l'uomo, ma Dio; poiché l'uomo è giustificato non per le sue opere ma per la fede; poiché è Dio che gli concede di operare bene. Infatti il tralcio, come ho già detto precedentemente, non può portar frutto da se stesso. Se dunque ciò che glorifica Dio Padre è che portiamo molto frutto e diventiamo discepoli di Cristo, di tutto questo non possiamo gloriarcene, come se provenisse da noi. E' grazia sua; perciò sua, non nostra, è la gloria. Ecco perché, in altra circostanza, dopo aver detto ai discepoli: Risplenda la vostra luce davanti agli uomini, acciocché vedano le vostre buone opere, affinché non dovessero attribuire a se stessi queste buone opere, subito aggiunge: e glorifichino il Padre vostro che è nei cieli (Mt 5, 16). Ciò che glorifica, infatti, il Padre è che produciamo molto frutto e diventiamo discepoli di Cristo. E in grazia di chi lo diventiamo, se non di colui che ci ha prevenuti con la sua misericordia? Di lui infatti siamo fattura, creati in Cristo Gesù per compiere le opere buone (cf. Ef 2, 10).

2. Come il Padre ha amato me, così anch'io ho amato voi: rimanete nel mio amore (Gv 15, 9). Ecco l'origine di tutte le nostre buone opere. Quale origine potrebbero avere, infatti, se non la fede che opera mediante l'amore (cf. Gal 5, 6)? E come potremmo noi amare, se prima non fossimo amati? Lo dice molto chiaramente, nella sua lettera, questo medesimo evangelista: Amiamo Dio, perché egli ci ha amati per primo (1 Io 3, 19). L'espressione poi: Come il Padre ha amato me così anch'io ho amato voi, non vuole significare che la nostra natura è uguale alla sua, così come la sua è uguale a quella del Padre, ma vuole indicare la grazia per cui l'uomo Cristo Gesù è mediatore tra Dio e gli uomini (cf. 1 Tim 2, 5). E' appunto come mediatore che egli si presenta dicendo: Come il Padre ha amato me, così anch'io ho amato voi. E' certo, infatti, che il Padre ama anche noi, ma ci ama in lui; perché ciò che glorifica il Padre è che noi portiamo frutto nella vite, cioè nel Figlio, e diventiamo così suoi discepoli.

3. Rimanete nel mio amore. In che modo ci rimarremo? Ascolta ciò che segue: Se osservate i miei comandamenti - dice - rimarrete nel mio amore (Gv 15, 10). E' l'amore che ci fa osservare i comandamenti, oppure è l'osservanza dei comandamenti che fa nascere l'amore? Ma chi può mettere in dubbio che l'amore precede l'osservanza dei comandamenti? Chi non ama è privo di motivazioni per osservare i comandamenti. Con le parole: Se osserverete i miei comandamenti rimarrete nel mio amore, il Signore non vuole indicare l'origine dell'amore, ma la prova. Come a dire: Non crediate di poter rimanere nel mio amore se non osservate i miei comandamenti: potrete rimanervi solo se li osserverete. Cioè, questa sarà la prova che rimanete nel mio amore, se osserverete i miei comandamenti. Nessuno quindi si illuda di amare il Signore, se non osserva i suoi comandamenti; poiché in tanto lo amiamo in quanto osserviamo i suoi comandamenti, e quanto meno li osserviamo tanto meno lo amiamo. Anche se dalle parole: Rimanete nel mio amore, non appare chiaro di quale amore egli stia parlando, se di quello con cui amiamo lui o di quello con cui egli ama noi, possiamo però dedurlo dalla frase precedente. Egli aveva detto: anch'io ho amato voi, e subito dopo ha aggiunto: Rimanete nel mio amore. Si tratta dunque dell'amore che egli nutre per noi. E allora che vuol dire: Rimanete nel mio amore, se non: rimanete nella mia grazia? E che significa: Se osserverete i miei comandamenti rimarrete nel mio amore, se non che voi potete avere la certezza di essere nel mio amore, cioè nell'amore che io vi porto, se osserverete i miei comandamenti? Non siamo dunque noi che prima osserviamo i comandamenti di modo che egli venga ad amarci, ma il contrario: se egli non ci amasse, noi non potremmo osservare i suoi comandamenti. Questa è la grazia che è stata rivelata agli umili mentre è rimasta nascosta ai superbi.

4. Ma cosa vogliono dire le parole che il Signore subito aggiunge: Come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore (Gv 15, 10)? Certamente anche qui vuole che ci rendiamo conto dell'amore che il Padre ha per lui. Aveva infatti cominciato col dire Come il Padre ha amato me così anch'io ho amato voi; e a queste parole aveva fatto seguire le altre: Rimanete nel mio amore, cioè, senza dubbio, nell'amore che io ho per voi. Così ora, parlando del Padre, dice: Rimango nel suo amore, cioè nell'amore che egli ha per me. Diremo però che questo amore con cui il Padre ama il Figlio è grazia, come è grazia l'amore con cui il Figlio ama noi; e ciò nonostante che noi siamo figli per grazia non per natura, mentre l'Unigenito è Figlio per natura non per grazia? Ovvero dobbiamo intendere queste parole come dette in relazione all'umanità assunta dal Figlio? E' proprio così che dobbiamo intenderle. Infatti, dicendo: Come il Padre ha amato me così anch'io ho amato voi, egli ha voluto mettere in risalto la sua grazia di mediatore. E Gesù Cristo è mediatore tra Dio e gli uomini non in quanto è Dio, ma in quanto uomo. E' così che di Gesù in quanto uomo si legge: Gesù cresceva in sapienza e statura e grazia, presso Dio e gli uomini (Lc 2, 52). Dunque possiamo ben dire che, siccome la natura umana non rientra nella natura divina, se appartiene alla persona dell'unigenito Figlio di Dio lo è per grazia e per una tale grazia di cui non è concepibile una maggiore e neppure uguale. Nessun merito ha preceduto l'incarnazione, e tutti hanno origine da essa. Il Figlio rimane nell'amore con cui il Padre lo ha amato, e perciò osserva i suoi comandamenti. A che cosa deve la sua grandezza umana se non al fatto che Dio l'ha assunta (cf. Sal 3, 4)? Il Verbo infatti era Dio, era l'Unigenito coeterno al Padre; ma affinché noi avessimo un mediatore, per grazia ineffabile il Verbo si è fatto carne e abitò fra noi (Gv 1, 14).


Uniformità alla volontà di Dio

Sant'Alfonso Maria de Liguori - Sant'Alfonso Maria de Liguori

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Tutta la nostra perfezione consiste nell’amare il nostro amabilissimo Dio: Charitas est vinculum perfectionis. (Col. 3.14). Ma tutta poi la perfezione dell’amore a Dio consiste nell’unire la nostra alla sua santissima volontà. Questo già è il principale effetto dell’amore, dice S. Dionigi Areopagita (de Div. Nom. c. 4.) l’unire le volontà degli amanti, sicchè abbiano lo stesso volere. E perciò quanto più alcuno sarà unito alla divina volontà, tanto sarà maggiore il suo amore. Piacciono sibbene a Dio le mortificazioni, le meditazioni, le communioni, le opere di carità verso il prossimo; ma quando? quando sono secondo la sua volontà; ma quando non vi è la volontà di Dio, non solamente egli non le gradisce, ma le abbomina, e le castiga. Se mai vi sono due servi, l’un de’ quali fatica tutto il giorno senza riposare, ma vuol fare ogni cosa a suo modo, l’altro fatica meno, ma ubbidisce in tutto: certamente il padrone amerà questo secondo, e non il primo. Che servono l’opere nostre allà gloria di Dio, quando non sono secondo il suo beneplacito? Non vuole il Signore sacrifici (dice il Profeta a Saulle), ma l’ubbidienza ai suoi voleri: Numquid vult Dominus holocausta, et victimas, et non potius, ut obediatur voci Domini? . . Quasi scelus idolatriae est nolle acquiescere. (1 Reg. 15.22) L’uomo, che vuole operare per propria volontà senza quella di Dio, commette una specie d’Idolatria, poiché allora in vece di adorare la volontà divina, adora in certo modo la sua.

Questa dunque è la maggior gloria, che noi possiamo dare a Dio, l’adempire in tutto i suoi santi voleri. Il nostro Redentore, che venne in terra a stabilire la divina gloria, questo principalmente venne ad insegnarci col suo esempio. Padre: Hostiam et oblationem noluisti, corpus autem aptasti mihi; tunc dixi ecce venio, ut faciam, Deus, voluntatem tuam. (Heb. 10.5) Voi avete rifiutate le vittime, che v’ hanno offerte gli uomini; voi volete, ch’ io vi sacrifichi il corpo, che m’ avete dato, eccomi pronto a fare la vostra volontà. E di ciò si protestò più volte, ch’ egli era venuto in terra non a fare la sua, ma solamente la volontà del suo Padre: Descendi de caelo, non ut faciam voluntatem meam, sed voluntatem ejus qui misit me. (Jo 6.38) Ed in ciò volle, che’ l mondo avesse conosciuto l’amore, che gli portava al suo Genitore, in ubbidire alla sua volontà, che lo volea sagrificato sulla croce per la salute degli uomini; così appunto disse nell’orto, allorchè andò all’incontro ai suoi nemici, che venivano a prenderlo per condurlo alla morte: Ut cognoscat mundus, quia diligo Patrem, et sicut mandatum dedit Pater, sic facio; surgite, eamus hinc. (Jo 14.31) Ed in ciò disse, ch’ egli riconoscea che fosse suo fratello, chi avesse fatta la divina volontà: Qui fecerit voluntatem Patris mei. (Matth 12.50) ipse meus frater.

Tutti i Santi in ciò hanno avuta sempre fissa la mira in fare la divina volontà, ben intendendo, che qui consiste tutta la perfezione d’un’anima.. Diceva il B. Errico Susone (l. 2. c. 4) Dio non vuole, che noi abbondiamo de’ lumi, ma che in tutto ci sottomettiamo alla sua volontà. E S. Teresa: Tutto quello, che dee procurare chi si esercita nell’orazione, è di conformare la sua volontà alla divina; e si assicuri, che in questo consiste la più alta perfezione. Chi più eccellentemente la praticherà, riceverà da Dio i più gran doni, e farà più progressi nella vita interiore. La B. Stefana da Soncino Domenicana essendo un giorno in visione condotta in cielo vide alcune persone defonte, ch’ ella avea conosciute, collocate tra i Serafini, e le fu detto, che quelle erano state sublimate a tanta gloria per la perfetta uniformità, che aveano avuta in terra alla volontà di Dio, che un Serafino colla mia.

In questa terra dobbiamo apprendere dai Beati del cielo come abbiamo da amare Dio. L’amor puro, e perfetto, che i Beati in cielo hanno per Dio, è nell’unirsi perfettamente alla sua volontà. Se i Serafini intendessero esser suo volere, che s’ impiegassero per tutta l’eternità ad ammucchiare le arene de’ lidi, o a svellere l’erbe de’ giardini, volentieri lo farebbero con tutto il lor piacere. Più; se Dio facesse loro intendere, che andassero ad ardere nel fuoco dell’Inferno, immediatamente si butterebbero in quell’abisso per fare la divina volontà. E questo è quello, che c’ insegnò a pregare Gesù Cristo, cioè l’eseguire la volontà divina in terra, come la fanno i santi in cielo: Fiat voluntas tua sicut in caelo et in terra. (Matth. 6.9)

Il Signore chiamava David l’uomo secondo il suo cuore, perché David adempiva tutti i suoi voleri: Inveni virum secundum cor meum, qui faciet omnes voluntates meas. (Act 13.22) Davide stava sempre apparecchiato ad abbracciare la divina volontà, come spesso si protestava: Paratum cor meum. Deus, paratum cor meum. (Ps. 58.8 et Ps. 107.1) E d’altro non supplicava il Signore, che d’insegnarli a fare la sua volontà: Doce me facere voluntatem tuam. (Ps. 142.10) Un atto di perfetta uniformità al divino volere basta a fare un santo. Ecco Saulo mentre va perseguitando la Chiesa, Gesù Cristo l’illumina, e lo converte. Che fa Saulo? che dice? non fa altro, che offerirsi a fare la sua vonontà: Domine, quid me vis facere? (Act 9.6) Ed ecco, che’ l Signore lo dichiara vaso d’elezione, ed Apostole deele genti: Vas ecectionis est mihi iste, ut portet nomen meum coram gentibus. (Act 9.15) Sì perché quegli, che dà la sua volontà a Dio, gli dà tutto; chi gli dà le robe colle limosine, il sangue col flagellarsi, i cibi co’ digiuni, dona a Dio parte di ciò, che tiene; ma chi gli dona la sua volontà, gli dona tutto, onde può dirgli: Signore, io son povero, ma vi dono tutto quel che posso; dandovi la mia volontà, non ho più che darvi. Ma questo appunto è il tutto, che da noi pretende il nostro Dio: Fili mi, praebe cor tuum mihi. (Prov 23.1) Figlio, dice il Signore a ciascuno, figlio, dammi il tuo cuore, cioè la tua volontà. Nihil gratius Deo (parla S. Agostino) possumus ei offerre, quam ut dicamus ei: Posside nos. No, che non possiamo offerire a Dio cosa più cara, che con dirgli: Signore possedeteci voi; noi vi doniamo tutta la nostra volontà, fateci intendere quello che da noi volete, e noi l’eseguiremo.

Se dunque vogliamo compiacere appieno il cuore di Dio, procuriamo in tutto di conformarci alla sua divina volontà; e non solo di conformarci, ma uniformarci a quanto Dio dispone. La conformità importa, che noi congiungiamo la nostra volontà alla volontà di Dio; ma l’uniformità importa di più, che noi della volontà divina, e della nostra ne facciamo una sola, sì che non vogliamo altro se non quello, che vuole Dio, e la sola volontà di Dio sia la nostra. Ciò è il sommo della perfezione, a cui dobbiamo sempre aspirare; questa ha da esser la mira di tutte le nostre opere, di tutti i desideri, meditazione, e preghiere. In ciò abbiamo da pregare ad ajutarci tutti i nostri santi Avvocati, i nostri Angeli Custodi, e sopratutto la divina Madre Maria, la quale perciò fu la più perfetta di tutti i Santi, perché più perfettamente ella abbracciò sempre la divina volontà.

Ma il forte sta nell’abbracciare la volontà di Dio in tutte le cose che avvengono o prospere, o avverse ai nostri appetiti. Nelle cose prospere anche i peccatori ben sanno uniformarsi alla divina volontà; ma i santi si uniformano anche nelle contrarie, e dispiacenti all’amor proprio. Qui si vede la perfezione del nostro amore a Dio. Diceva il V. S. Giovanni Avila: Vale più un benedetto sia Dio nelle cose avverse, che sei milia ringraziamenti nelle cose a voi dilettevoli.

Di più bisogna uniformarci al divina volere, non solo nelle cose avverse, che ci vengono direttamente da Dio, come sono le infermità, le desolazioni di spirito, la povertà, laorte de’ parenti, e simili; ma ancora in quelle, che ci vengono per mezzo degli uomini, come sono i dispregi, l’infamie, l’ingiustizie, i furti, e tutte le sorte di persecuzioni. In ciò bisogna intendere, che quando noi siamo offesi da alcuno nella fama, nell’onore, ne’ beni, benchè il Signore non voglia il peccato di colui, vuole nondimeno la nostra umiliazione, la nostra povertà, e mortificazione. E’ certo, e di fede, che quanto avviene nel mondo, tutto avviene per divina volontà. Ego Dominus formans lucem et tenebras, faciens pacem, et creans malum. (Is. 45.7) Da Dio vengono tutti i bene e tutti i mali, cioè tutte le cose a noi contrarie, che noi chiamiamo falsamente mali; perché in verità sono beni, quando noi gli prendiamo dalle sue mani. Si erit malum in civitate, quod Dominus non fecerit? disse il Profeta Amos 3.6. E prima lo disse il Savio; Bona et mala, vita et mors a Deo sunt. (Eccl. 12.14) E’ vero, come ho detto, che allorchè un uomo ti offende ingiustamente, Dio non vuole il peccato di colui, nè concorre alla malizia della di lui volontà; ma ben concorre col concorso generale all’azione materiale, colla quale quel tale ti percuote, ti ruba o t’ ingiuria; sì che l’offesa, che tu patisci, certamente la vuole Dio, e dalle sue mani ti viene. Perciò il Signore disse a Davide, ch’ egli era l’autore dell’ingiurie, che dovea fargli Assalonne, sino a torgli le mogli davanti ai suoi occhi; e ciò in castigo de’ suoi peccati: Ecce ego suscitabo super te malum de domo tua, et tollam uxores tuas in oculis tuis, et dabo proximo tuo. (2 Reg. 12.11) Perciò disse anche agli Ebrei, che in pena delle loro iniquità avrebbe mandati gli Assiri a spogliarli, e rovinarli: Assur virga furoris mei . . . mandabo illi ut auferat spolia, et diripiat praedam. (Is. 10.5) Spiega S. Agostino: Impietas eorum tamquam securis Dei facta est. (In Ps. 37) Dio si servì dell’iniquità degli Assiri, come d’una mannaja per castigare gli Ebrei. E Gesù medesimo disse a S. Pietro, che la sua passione, et morte, non tanto gli veniva dagli uomini, quanto dal suo medesimo Padre: Calicem quem dedit mihi Pater, non vis ut bibam illum?

Giobbe allorchè venne il nunzio (che vogliono essere stato il demonio) a dirgli, che i Sabei si aveano tolte tutte le di lui robe, e gli aveano uccisi i figli; il Santo che rispose: Dominus dedit, Dominus abstulit. (1.21) Non disse il Signore m’ ha dati i figli, i beni, ed i Sabei me gli han tolti; ma il Signore me gli ha dati, ed il Signore gli ha tolti; perché bene intendeva, che quella perdita era voluta da Dio, e perciò soggiunse: Sicut Domino placuit, ita factum est: sit nomen Domini benedictum. (ibid) Non bisogna dunque prendere i travagli, che ci avvengono, come succeduti a saco, o per sola colpa degli uomini, bisogna star persuaso, che quanto ci accade, tutto accade per volontà divina: quicquid hic accedit contra voluntatem nostram, noveris non accidere nisi de voluntate Dei. (D. August. in Ps. 148. Epitetto, ed Atone, Rosweid. l.1), felici Martiri di Gesù Cristo, posti dal Tiranno alla tortura, stracciati con uncini di ferro, brustoliti con torce ardenti, altro non diceano: Signore, si faccia in noi la tua volontà. E giunti al luogo del supplicio, proferirono ad alta voce: Siate benedetto, o Dio eterno, poiché la vostra volontà è stata in noi adempita in tutto.

Narra Cesario (lib. 10, c.6) che un certo Religioso, benchè non fosse punto differente dagli altri nell’esterno, non però era giunto a tal santità, che col solo tatto delle sue vesti guariva gl’infermi. Il suo Superiore di ciò maravigliandosi gli disse un giorno, come mai facesse tali miracoli, non facendo una vita più esemplare degli altri. Quegli rispose, che ancor esso se ne maravigliava, e che non ne sapeva il perché. Ma qual divozione voi praticate, ripigliò l’Abbate? Rispose il buon Religioso ch’ egli niente o poco faceva, se non che aveva sempre avuta un gran cura di volere solo ciò, che Dio voleva, e che il Signore gli aveva fatta questa grazia, di tenere abbandonata la sua volontà totalmente in quella di Dio. La prosperità (disse) non mi solleva, nè l’avversità mi abbatte, perché io prendo ogni cosa dalle mani di Dio, ed a questo fine tendono tutte le mie orazioni, cioè, che la sua volontà perfettamente in me si adempia. E di quel danno (ripigliò il Superiore), che l’altr’ jeri ci fece quel nostro nemico in toglierci il nostro sostentamento, mettendo fuoco al podere dov’ erano le nostre biade, i nostri bestiami, voi non aveste alcun risentimento? No, Padre mio, egli rispose; ma al contrario ne rendei grazie a Dio, come lo soglio fare in simili accidenti, sapendo che Dio tutto fa, o permette per gloria sua, e per nostro maggio bene, e con ciò vivo sempre contento per ogni cosa, che avviene. Ciò inteso l’Abbate, vedendo in quell’anima tanta uniformità alla volontà divina, non restò più maravigliato, che facesse sì gran miracoli.

Chi fa così, non solo si fa santo, ma gode ancora in terra una pace perpetua. Alfonso il grande (Panorm. in Vita) Re di Aragona, Principe savissimo, interogato un giorno, qual’uomo stimasse più felice in questo mondo? Rispose, quello il quale si abbandona nella volontà di Dio, e che riceve tutte le cose prospere, ed avverse dalle sue mani. Diligentibus Deum omnia cooperantur in bonum. (Rom 8) Gli amanti di Dio vivon sempre contenti, perché tutto il loro piacere è di adempire anche nelle cose contrarie la divina volontà; onde gli stessi travagli si convertono loro in contenti, pensando che con accettarli dan gusto al loro amato Signore: Non contristabit justum quidquid ei acciderit. (Prov 10.11) Ed in fatti qual maggior contento può mai provare un uomo, che in veder adempiuto quanto egli vuole? Or quando alcuno non vuole se non quello, che vuole Dio, avvenendo già sempre tutto ciò, che avviene nel mondo (fuori del peccato) per volontà di Dio, avviene in conseguenza quanto esso vuole. Si narra nelle Vite de’ Padri d’un contadino, i cui terreni rendeano maggior frutto degli altri; dimandato questi, come ciò accadesse, rispose, che di ciò non si maravigliassero, perch’ egli avea sempre i tempi, come li voleva; e come? Sì, replicò, perché io non voglio altro tempo, se non quello, che vuole Dio, e conforme io voglio quel, che Dio vuole, così egli mi dà i frutti, come li vogl’io. L’anime rassegnate, dice il Salviano, se sono umiliate, questo vogliono: se patiscono povertà, vogliono esser povere; in somma quanto gli avviene, tutto lo vogliono: e perciò sono in questa vita felici: Humiles sunt, hoc volunt; paperes sunt, paupertate delectantur; itaque beati dicendi sunt. Viene il freddo, il caldo, la pioggia, il vento, che piova, perché così vuole Dio. Viene la povertà, la persecuzione, l’infermità, la morte, ed io voglio (colui dice) esser povero, perseguitato, infermo; voglio anche morire, perché così vuole Dio.

Questa è la bella libertà, che godono i Figli di Dio, che vale più delle Signorie, e di tutti i Regni della terra. Questa è la gran pace, che provano i Santi, la quale exuperat omnem sensum. (Eph. 3.2), avanza tutti i piaceri de’ sensi, tutti i festini, i banchetti, gli onori, e tutte l’altre soddisfazioni del mondo, le quali, perché sono vane, e caduche, benchè allettano il senso per quei momenti in cui si assagiano, nondimeno non contentano, ma affliggono lo spirito, dove sta il vero contento; che perciò Salomone, dopo aver goduto al sommo di tai diletti mondani, esclamava afflitto: Sed et hoc vanitas, et afflictio spiritus. (Ecclesiast. 4.6) Stultus (dice lo Spirito Santo) sicut luna mutatur, sapiens in sapientia manet sicut vult. . . (Eccl. 27.12) Lo stolto, cioè il peccatore si muta come la luna, ch’ oggi cresce domani manca: oggi lo vedrai ridere, domani piangere: oggi mansueto, domani stizzato, come una tigre; e perché? perché la sua contezza dipende dalle prosperità, o avversità, che incontra, e perciò si muta, come si mutano le cose che gli accadono. Ma il giusto è come il sole sempre uguale nella sua serenità, in qualsivoglia cosa, che succede; perché il suo contento è nell’uniformarsi alla divina volontà, e perciò gode una pace imperturbabile. Et in terra pax hominibus bonae vluntatis (Luc. 2.15), disse l’Angelo ai Pastori. E chi mai sono quest’ uomini di buona volontà, se non coloro, che stan sempre uniti alla volontà di Dio, ch’ è sommamente buona, e perfetta? Voluntas Dei bona, beneplacens, et perfecta. Sì, perché Dio non vuole, che’ l meglio, e’ l più perfetto.

I Santi in questa terra nell’uniformarsi alla volontà divina han goduto un Paradiso anticipato. I Padri antichi, dice S. Doroteo, che così si conservavano in gran pace, con prendere ogni cosa dalle mani di Dio. S. Maria Madalena de’ Pazzi in sentir solamente nominare Volontà di Dio, si sentiva consolare, che usciva fuor di se in astasi d’amore. Non mancheranno per altro le punture delle cose avverse a farsi sentire dal senso, ma tutto ciò non avverrà, che nella parte inferiore; ma nella superiore dello spirito regnerà la pace, e la tranquillità, stando la volontà unita a quella di Dio. Gaudium vestrum (disse il Redentore agli Apostoli) nemo tollet a vobis. Gaudium vestrum sit plenum. (Jo 16.22) Chi sta sempre uniformato alla divina volontà, ha un gaudio pieno, e perpetuo: pieno, perché ha quanto vuole, come di sopra s’ è detto: perpetuo, perché un tal gaudio niuno ce lo può togliere, mentre niuno può impedire, che non avvenga quel, che Dio vuole.

Il P. Giovan Taulero (appresso il P. Sangiurè Erar. to 3, e’ l P. Nieremb. Vita Div.) narra di se stesso, che avendo egli pregato per molti anni il Signore a mandargli chi gli insegnasse la vera vita spirituale, un giorno udì una voce, che gli disse: Va alla tal Chiesa, ed alla porta trova un misero mendico, scalzo, e tutto lacero; lo saluta: Buon giorno, amico. Il povero risponde: Signor maestro, io non mi ricordo giammai d’aver avuto un giorno cattivo. Il Padre replicò: Iddio vi dia una felice vita. Ripigliò quegli; Ma io non sono stato mai infelice. E poi soggiunse: Udite, Padre mio, non a caso io ho detto non aver avuto alcun giorno cattivo, perché quando ho fame, io lodo Dio; quando fa neve, o pioggia io lo benedico: se alcuno mi disprezza, mi scaccia, se provo altra miseria, io sempre ne do gloria al mio Dio. Ho detto poi, che non sono stato mai infelice, e ciò anch’ è vero, poich’ io sono avvezzo a volere tutto ciò, che vuole Dio senza reserba; perciò tutto quel, che m’ avviene o di dolce, o di amaro, io lo ricevo dalla sua mano con allegrezza, come il meglio per me, e questa è la mia felicità.E se mai, ripigliò il Taulero, Dio vi volesse dannato, voi che direste? Se Dio ciò volesse (rispose il mendico), io coll’umiltà, e coll’amore mi abbraccierei col mio Signore, e lo terrei sì forte, che se egli volesse precipitarmi all’Inferno, sarebbe necessitato a venir meco, e così poi mi sarebbe più dolce essere con lui nell’inferno, che posseder senza lui tutte le delizie del cielo. Dove avete trovato voi Dio, disse il Padre? E quegli: Io l’ho trovato, dove ho lasciate le creature. Voi chi siete? E’ l povero: Io sono Re. E dove sta il vostro Regno? Sta nell’anima mia, dove io tengo tutto ordinato, le passioni ubbidiscono alla ragione, e la ragione a Dio. Finalmente il Taulero gli domandò, che cosa l’avea condotto a tanta perfezione? E’ stato (rispose) il silenzio, tacendo cogli uomini per parlare con Dio; e l’unione, che ho tenuta col mio Signore, in cui ho trovata, e trovo tutta la mia pace. Tale in somma fu questo povero per l’unione, ch’ ebbe colla divina volontà; egli fu certamente nella sua povertà più ricco, che tutti i Monarchi della terra, e ne’ suoi patimenti più felice che tutti i mondani colle loro delizie terrene.

Oh la gran pazzia è quella di coloro, che ripugnano alla divina volontà; hanno già essi da soffrire i travagli, perché niuno mai può impedire, che non si eseguiscano i divini decreti. Voluntati ejus quis resistet? (Rom 9.19) Ed all’incontro l’han da soffrire senza frutto, anzi con tirarsi sopra maggiori castighi per l’altra vita, e maggior inquietudine in questa. Quis restitit ei, et pacem habuit? (Job 24) Gridi quanto vuole quell’infermo ne’ suoi dolori, quel povero nelle sue miserie si lamenti di Dio, si arrabbi, bestemmi quanto gli piace, che ne caverà, se non far doppio il suo male? Quid quaeris homuncio quaerendo bona? (dice S. Agostino) quare unum bonum, in quo sunt omnia bona. Che vai cercando, omicciuolo, fuori del tuo Dio? trova Dio, unisciti, stringiti colla sua volontà, e viverai sempre felice in questa, e nell’altra vita.

E che altro in somma vuole il nostro Dio, se non il nostro bene? Chi mai possiamo trovare, che ci ami più di Dio? Altra non è la sua volontà, non solo che niuno si perda, ma che tutti si salvino, e si facciano santi. Nolens aliquos perire, sed omnes ad poenitentiam reverti. (2 Petr. 3.9) Voluntas Dei sanctificatio vestra. (1 Thess. 4.3) Iddio nel nostro bene ha collocata la sua gloria, poiché essendo egli per sua natura bontà infinita, come dice S. Leone, Deus cujus natura bonitas; e la bontà desiderando per sua natura di diffondersi, Iddio ha un sommo desiderio di far participi l’anime de’ suoi beni, e della sua felicità. E se ci manda tribulazioni in questa vita, tutte sono per nostro bene. Omnia cooperantur in bonum. (ad Rom. 8.28) Ancora i castighi, come disse la santa Giuditta, non ci vengono da Dio per la nostra rovina, ma affinchè ci emendiamo, e salviamo: Ad emendationem, non ad perditionem nostram evenisse credamus. (Jud. 8.17) Il Signore affin di salvarci dai mali eterni, ne circonda colla sua buona volontà. Domine ut scuto bonae voluntatis tuae coronasti nos. (Ps 5.1) Egli non solamente desidera, ma è sollecito della nostra salute. Deus solicitus est mei. (Ps 29.18) E qual cosa ha donato il suo medesimo Figlio? Qui proprio Filio suo non pepercit, sed pro nobis omnibus tradidit illum; quomodo non etiam cum illo omnia nobis donavit? (Rom 8.32) Con questa confidenza dunque dobbiamo abbandonarci nelle divine disposizioni, che tutte sono per nostro bene. Diciamo sempre in ogni cosa, che ci avviene: In pace in idipsum dormiam, et requiescam, quoniam tu, Domine, singulariter in spe constituisti me. (Ps 4) Mettiamci pure tutti in mano sua, perch’ egli certamente avrà cura di noi: Omnem sollicitudinem vestram projicientes in eum, quoniam ipsi cura est de vobis. (1 Petr. 5.7) Pensiamo poi a Dio, ad adempire la sua volontà, ch’ egli penserà a noi, ed al nostro bene. Figlia (disse il Signore a S. Caterina di Siena) pensa tu a me, ed io penserò sempre a te. Diciamo sovente colla sacra Sposa: Dilectus meus mihi, et ego illi. (Cant. 2.6) L’amato mio pensa al mio bene, io non voglio pensare ad altro, che a dargli gusto, e ad uniformarmi in tutto ai suoi santi voleri. Dicea il santo Abbate Nilo, che non dobbiamo già noi pregare il Signore, che faccia succedere quello, che noi vogliamo, ma che si adempisca in noi la sua volontà. E quando poi ci accadono le cose avverse, accettiamole tutte dalle divine mani, non solo con pazienzia, ma con allegrezza, ad esempio degli Apostoli, che ibant gaudentes a conspectu concilii, quoniam digni habiti sunt pro nomine Jesu contumeliam pati. (Act 5.41) E qual maggior contento d’un’anima, che soffrendo qualche travaglio, sa, che col soffrirlo di buona voglia, dà il maggior gusto a Dio, che possa dargli! Dicono i Maestri di spirito, che sebbene gradisce Iddio il desiderio, che hanno alcune anime di patire per dargli gusto, più nondimeno gli piace l’uniformità di quelle, che non vogliono nè godere, nè patire; ma tutte rassegnate nel suo santo volere altro non desiderano, che di adempiere quel ch’ egli vuole.

Se vuoi dunque, anima divota, piacere a Dio, e vivere in questa terra una vita contenta, unisciti sempre, ed in tutto alla divina volontà. Pensa, che tutti i peccati della tua vita sconcertata, ed amara ch’ hai fatta, son succeduti, perché ti sei scostata dalla volontà di Dio. Abbracciati da oggi avanti col divino beneplacito; e di sempre in tutto ciò, che ti accade: Ita Pater, quoniam sic fuit placitum ante te. (Matt. 11.16) Così, Signore, sia fatto, perché così è piaciuto a voi. Quando ti senti turbata da qualche avvienimento avverso, pensa che quello è venuto da Dio; onde subito dì, Così vuole Dio, e mettiti in pace. Obmutui, et non aperui os meum, quoniam tu fecisti. (Ps 38) Signore, giacchè voi l’avete fatto io non parlo, e l’accetto. A questo intento bisogna, che indrizzi tutti i tuoi pensieri, e le tue orazioni, cioè a procurare, e pregare sempre Dio, nella meditazione, nella Comunione, nella visita al Ss. Sacramento, che ti faccia adempire la sua volontà. E tu offerisciti sempre, dicendo: Mio Dio, eccomi, fanne di me, e di tuute le cose mie quel che vuoi. Questo era l’esercizio continuo di S. Teresa; almeno cinquanta volte il giorno la Santa si offeriva al Signore, acciocchè acesse di lei disposto, come gli fosse piaciuto.

Oh beato te, mio lettore, se farai sempre così! ti farai certamento santo; e farai una vita contenta, ed una morte più felice. Quando alcuno passa all’altra vita, tutta la speranza, che si concepisce della sua salvazione, si scorge dall’intendere, se quegli è morto rassegnato, o no. Se tu. come avrai abbracciato in vita tutte le cose venute da Dio, così anche abbraccierai la morte per adempire la sua divina volontà, certamente ti salverai, e morirai da santo. Abbandoniamoci dunque in tutto al beneplacito di quel Signore, ch’ essendo sapientissimo, poiché ha data la vita per nostro amore, vuol anche il meglio per noi. Siam pur sicuri, e persuasi, dice S. Basilio, che senza comparazione meglio procura Dio il nostro bene, di ciò, che noi possiamo mai fare, e desiderare.

Ma veniamo a vedere intorno alla pratica in quali cose abbiamo da uniformarci alla volontà di Dio. Per 1. dobbiamo uniformarci nelle cose naturali, che avvengono fuor di noi, come quando fa gran caldo, gran freddo, pioggia, carestia, pestilenza, e simili. Guardiamci di dire: Che caldo insopportabile! che freddo orribile! che disgrazia! che mala forte! che tempo infelice! od altri termini, che dimostrino ripugnanza alla volontà di Dio. Noi dobbiamo volere ogni cosa, com’ ella è, perché Dio è quegli, che dispone tutto. S. Francesco Borgia, andando una notte ad una casa della Compagnia, mentre fioccava, bussò più volte, ma perché i Padri dormivano, non gli fu aperto. Fatto giorno, molto si rammaricarono quelli d’averlo fatto aspettare così allo scoperto; ma il Santo disse di aver ricevuta in quel tempo una gran consolazione, in pensare, che Dio era quegli, che gli gittava addosso quei fiocchi di neve.

Per 2. dobbiamo uniformarci elle cose, che avvengono dentro di noi, come nel patir fame, sete, povertà, desolazioni, disonori. In tutto dobbiamo dir sempre: Signore fate e disfate voi, io son contento: voglio solo quel, che volete voi. E così anche dice il P. Rodriguez, che dobbiamo rispondere per quali finti casi, che il demonio ci mette alle volte in mente, affin di farci cadere in qualche cattivo consenso, o almeno per inquietarci. Se il tale ti dicesse la tal parola, se ti facesse la tale azione, che diresti? che faresti? Rispondiamo sempre: Direi, e farei quel che vuole Dio. E così ci libereremo da ogni difetto, e molestia.

Per 3. Se abbiamo qualche difetto naturale, d’anima o di corpo, mala memoria, ingegno tardo, poca abilità, membro storpio, salute debole, non ce ne lamentiamo. Che merito avevamo noi, e qual obbligo avea Dio di darci una mente più sublime, un corpo meglio fatto? non poteva egli crearci brutti? non lasciarci nel nostro niente? Chi mai riceve qualche dono, e va cercando patti? Ringraziamolo dunque di ciò, che per sua mera bontà ci ha donato, e contentiamoci del come ci ha fatti. Chi sa, se avendo noi maggior talento, sanità più forte, viso più grazioso, ci avevamo a perdere? A quanti il lor talento, e scienza è stata occasione di perdersi coll’invanirsene, e dispregiare gli altri; nel quale pericolo sono più facilmente coloro, che avanzano gli altri nelle scienze, e ne’ talenti? A quanti altri la bellezza, o la fortezza del corpo, è stata occasione di precipitare in mille scelleraggini? Ed all’incontro quanti altri per esser poveri, o infermi, o deformi di fattezze, si son fatti santi, e salvati? che se fossero stati ricchi, sani, o belli d’aspetto, si sarebbon dannati. E così contentiamoci di quel, che Dio ci ha dato. Porro unum est necessarium (Luc 10.42) Non è necessaria la bellezza, non la sanità, non l’ingegno acuto; solo il salvarci è necessario.

Per 4. bisogna, che specialmente stiamo rassegnati nelle infermità corporali, e bisogna, che l’abbracciamo volentieri, ed in quel modo, e per quel tempo, che vuole Dio. Dobbiamo sibbene adoperarvi i rimedi ordinari, perché così vuole ancora il Signore, ma se quelli non giovano, uniamoci colla volontà di Dio, che ci gioverà molto più della sanità. Signore, diciamo allora, io non voglio guarire, nè stare infermo, voglio solo quel che volete voi. Certamente è maggior virtù nelle malattie il non lamentarsi de’ dolori; ma allorchè questi fortemente ci affliggono, non è difetto il palesarli agli amici, ed anche il pregare il Signore, che ce ne liberi. Intendo ne’ dolori grandi, poiché all’incontro molto difettano in ciò alcuni altri, che ad ogni semplice dolore, o fastidio vorrebbero, che tutto il mondo venisse a compatirli, ed a pianger loro d’intorno. Del resto anche Gesù Cristo, vedendosi vicino alla sua amarissima passione, palesò la sua pena ai discepoli: Tristis est anima mea usque ad mortem. (Mat. 26.38) e pregò l’eterno suo Padre a liberarnelo; Pater mi, si possibilie est, transeat a me calix iste. (ibid 39) Ma Gesù stesso c’ insegnò quel che dobbiamo fare dopo simili preghiere, cioè rassegnarci subito nella divina volontà, col soggiungere: Verumtamen, non sicut ego volo, sed sicut tu.
 
Quale sciocchezza è poi quella coloro, che dicono desiderar la salute, non bià per patire, ma per maggiormente servire il Signore, in osservar le regole, servir la comunità, andar alla Chiesa, far la Comunione, far penitenza, studiare, impiegarsi nella salute dell’anime confessando, predicando? Ma io dimando, divoto mio, dimmi, perché tu desideri di far queste cose? per dar gusto a Dio? E che vai cercando, quando sei certo, che il gusto di Dio non è, che facci orazione, Comunioni, penitenze, studi, o prediche, ma che soffri con pazienza, quell’infermità, e quei dolori, che ti manda? Unisci allora i tuoi dolori con quelli di Gesù Cristo. Ma mi dispiace, che stando così infermo sono inutile, e di pese alla comunità, alla casa. Ma conforme voi vi rassegnate alla volontà di Dio, così dovete credere, che i vostri Superiori anch’ essi si rassegnino, vedendo che voi non per vostra pigrizia, ma per voler di Dio apportiate questo peso alla casa. Eh che questi desideri, e lamenti, non nascono dall’amore di Dio, ma dall’amor proprio che va cercando pretesti per allontanarti dalla volontà di Dio. Vogliamo dar gusto a Dio? Diciamo allora, che ci vediamo confinati in un letto, diciamo al Signore questa sola parola, fiat voluntas tua; e questa replichiamo sempre cento, e mille volte, che con questa sola daremmo più gusto a Dio, che non gli daressimo con tutte le mortificazioni, e divozioni, che possiamo fare. Non ci è meglior modo di servire a Dio, che abbracciando allegramente la sua volontà. Il V. P. M. Avila (Epist.2) scrisse ad un Sacerdote infermo: Amico non stare a fare il conto di quel, che faresti essendo sano, ma contentati di stare infermo per quanto a Dio piacerà. Se tu cerchi la volontà di Dio, che cosa più t’ importa lo istar sano, che infermo? E certamente ben disse ciò, perché Dio non viene già glorificato dalle opere nostre, ma dalla nostra rassegnazione, e conformità al suo Santo volere. Perciò diceva ancora S. Francesco di Sales, che si serve più Dio col patire, che coll’operare.

Molte volte ci mancheranno i medici, le medicine, o pure il medico non giungerà a conoscere la nostra infermità, ed in ciò anche bisogna, che ci uniformiamo alla divina volontà, la quale ciò dispone per nostro bene. Si arra d’un uomo divoto di S. Tommaso Cantuariense (l. 5, c. 1) ch’ essendo infermo andò al sepolcro del Santo per ottenere la sanità. Ritornò sano alla Patria, ma poi disse fra se: mae l’infermità più mi giovasse a salvarmi, questa sanità che mi serve? Con questo pensiero ritornò al sepolcro, e pregò il Santo, che chiedesse a Dio quello, che gli era più espediente per la salute eterna, e fatto ciò ricadde nell’infermità, ed egli se ne stette tutto ciò contento, tenendo per fermo, che Dio così disponeva per suo bene. Narra il Surio similmente, che un cieco ricevè la vista per intercessione di S. Bedasto Vescovo; ma dopo fece orazione, che se quella vista non era espediente per l’anima sua, tornasse ad esser cieco, ed avendo orato, rimase cieco, come prima. Allorchè dunque stiamo infermi, il meglio è che non cerchiamo nè l’infermità, nè la sanità, ma ci abbandoniamo nella volontà di Dio, acciò disponga di noi come li piace. Ma se vogliamo cercar la sanità, domandiamola almeno sempre con rassegnazione, e con condizione, se la sanità del corpo è conveniente alla salute dell’anima: altrimenti una tal preghiera sarà difettosa, nè sarà esaudita, poiché il Signore non esaudisce tali sorte di preghiere non rassegnate.

Il tempo dell’infermità io lo chiamo pietra di paragone degli spiriti, perché in quello si scopre di qual carato è la virtù, che possiede un’anima. Se quella non s’ inquieta, non si lamenta, non cerca, ma ubbidisce ai medici, ai Superiori, e se ne sta tranquilla, tutta rassegnata nella divina volontà, è segno, che in lei vi è fondo di virtù. Ma che deve dirsi poi d’un infermo, che si lamenta, e dice ch’ è poco assistito dagli altri? che le sue pene sono insopportabili? che non trova rimedio, che gli giovi? che il medico è ignorante; e talvolta si lagna ancora con Dio, che troppo calchi la mano? Racconta S. Bonaventura nella vita di S. Francesco (cap. 14) che stando il Santo travagliato straordinariamente da dolori, uno de’ suoi Religiosi troppo semplice gli disse: Padre, pregate Dio, che vi tratti un poco più dolce, perché pare, che calchi troppo la mano. Ciò udendo S. Francesco, diede un grido, e gli rispose: Sentite: s’io non sapesse, che ciò, che dite, nasce da semplicità, non vorrei più vedervi, avendo voi ardito di riprendere i giudizi di Dio. E ciò detto, benchè molto debole, ed estenuato dal male, si buttò dal letto in terra, e baciandola, disse: Signore, io vi ringrazio di tutti i dolori, che mi mandate. Vi supplico a mandarmene più, e così vi piace. Il mio gusto è, che voi mi affliggiate, nè mi risparmiate punto, perché l’adempimento della vostra volontà è la maggior consolazione, che posso ricevere in questa vita.

A ciò bisogna anche ridurre la perdita, che tal volta noi soffriamo delle persone utili al nostro profitto, o temporale, o spirituale. L’anime divote spesso fanno gran difetti circa questo punto, non rassegnandosi alle divine disposizioni. La nostra santificazione non ci ha da venire dai Padri spirituali, ma da Dio. Vuol’egli già, che noi ci vagliamo de’ Direttori per la guida dello spirito, quando ce li dà; ma quando ce li toglie, vuole che ce ne contentiamo, ed accresciamo la confidenza nella sua bontà, dicendo allora: Signore, voi me l’avete dato questo ajuto, ora me l’avete tolto, sia sempre fatta la vostra volontà; ma ora supplite voi, ed insegnatemi quel, che debbo fare per servirvi. E così similmente dobbiamo accettare dalle mani di Dio tutte l’altre croci, che ci manda. Ma tanti travagli, dite voi, sono castighi. Ma rispondo io, i castighi, che Dio manda in questa vita, non sono grazie e benefici? Se l’abbiamo offeso, dobbiamo soddisfare la divina giustizia in qualche modo, o in questa, o nell’altra vita. Perciò dobbiamo dir tutti con S. Agostino: Hic ure, hic seca, hic non parcas, ut in aeternum parcas: e col S. Giobbe; Haec sit mihi consolatio, ut affligens me dolore non parcas. (6.10) Dee pur consolarsi, chi s’ ha meritato l’Inferno, in vedere, che Dio qui lo castiga, poiché ciò dee molto animarlo a sperare, che Dio voglia liberarlo dal castigo eterno. Diciamo dunque ne’ castighi di Dio ciò, che diceva il Sacerdote Eli: Dominus est, quod bonum est in oculis suis, faciat. (Lib 2 Reg. 3.18)

Di più obbiamo star rassegnati nelle desolazioni di spirito. E’ solito il Signore, quando un’anima si dà alla vita spirituale, di abbondarla di consolatiozioni, affin di slattarla dai gusti del mondo; ma poi quando la vede più fermata nello spirito, ritira la sua mano, per provare il di lei amore, e vedere se lo serve, ed ama senza paga qui in terra di gusti sensibili. Mentre si vive (dicea S. S. Teresa), non consiste il gaudagno in procurare di godere più Dio, ma in fare la sua volontà. Ed in altro luogo: Non consiste l’amore di Dio in tenerezze, ma in servire con fortezza, ed umiltà. Ed altrove: Con aridità, e tentazioni fa pruova il Signore de’ suoi amanti. Ringrazi dunque il Signore l’anima, quando si vede accarezzata con dolcezzo, ma non si deve affliggere con impazienze, quando si vede lasciata in desolazione. Bisogna molto avvertir questo punto, perché alcune anime sciocche vedendosi aride, si pensano, che Dio l’abbia abbandonate, o pure, che non faccia per sees la vita spirituale; e così lasciano l’orazione, e perdono quanto han fatto. Non v’ è più bel tempo di esercitare la nostra rassegnazione alla volontà di Dio, che il tempo dell’aridità. Io non dico, che voi non proviate pena in vedervi lasciata dalla presenza sensibile del vostro Dio; non più sensirsi una tal pena; nè può l’anima non lagnarsene, quando lo stesso nostro Redentore se ne lagnò sulla croce: Deus meus, ut quid dereliquisti me? (Matt. 22.46) Ma nella sua pena dee sempre tutta rassegnarsi nella volontà del suo Signore. Tutti i Santi hanno patite queste desolazioni, ed abbandoni di spirito. Che durezza di cuore (dicea S. Bernardo) è quella che provo; non gusto più della lezione, non mi piace più il meditare, non più l’orare! Per lo più i Santi sono stati in aridità, non già in consolazioni sensibili. Queste il Signore non le concede, se non di rado, ed agli spiriti forse più deboli, acciò non arrestino nel cammino spirituale, le delizie, che son di premio, ce le prepara in Paradiso. Questa terra è luogo di merito, ove si merita col patire, il cielo è luogo della mercede, e del godere. Perciò in questa terra, non il fervore sensibile col godere, ma il ervore dello spirito col patire è quello, che han desiderato, e cercato i Santi. Diceva il V. Giovanni Avila (Audi fil. c. 26): Oh quanto è meglio stare in aridità, e tentazioni colla volontà di Dio, che in contemplazione senza di quella!

Ma dirai: S’io sapessi, che questa desolazione viene da Dio, mi starei contento; ma quel che mi affligge, e m’ inquieta, è il timore, che venga per colpa mia, e per castigo della mia tepidezza. Bene; togli dunque la tepidezza, ed usa più diligenza. Ma forse perché stai in oscurità, vuoi perciò inquietarti, perciò lasciare l’orazione, e così far doppio il tuo male? Venga l’aridità per tuo castigo, come dici. Ma questo castigo, non te lo manda Dio? Accettalo dunque in castigo, a te ben degno, e stringiti colla divina volontà. Non dici tu, che ti meriti l’Inferno? ed ora perché ti lamenti? forse tu meriti, che Dio ti consoli? Eh via contentati del come Dio ti tratta; prosiegui l’orazione, e’ l cammino intrapreso, e terni da oggi avanti, che i tuoi lamenti vengano da poca umiltà, e da poca rassegnazione alla volontà di Dio. Quando un’anima va all’orazione, non può cavarne maggior profitto, che unirsi alla volontà divina; onde rassegnati, e dì: Signore, io accetto questa pena dalle vostre mani, e l’accetto per quanto a voi piace; se volete ch’ io stia così afflitto per tutta l’eternità io son contento. E così quell’orazione benchè penosa to gioverà più d’ogni più dolce consolazione.

Ma bisogna pensare, che non sempre l’aridità è castigo, ma alle volte disposizione di Dio per nostro maggior profitto, e per conservarci in umiltà. Acciocchè S. Paolo non s’ invanisse de’ doni ricevuti, il Signore permettea, che fosse tormentato da tentazioni impure. Ne magnitudo revelationum extollat me, datus est mihi stimulus carnis meae, Angelus Sathanae, qui me colaphizet. (1 Cor. 17.7) Chi fa orazione con dolcezze, non fa gran cosa. Est amicus socius mensae, et non permanebit in die necessitatis. (Eccl. 6.10) Voi non terrete per vero amico, chi solo vi accompagna nella vostra mensa, ma chi vi assiste ne’ travagli, e senza suo utile. Quando Dio manda oscurità, e desolazione, allora prova i veri suoi amici. Palladio pativa gran tedio nell’orazione, andò a trovare S. Macario, e quegli gli disse: Quando il pensiero ti dice, che lasci l’orazione, rispondigli: Io per amor di Gesù Cristo mi contento di star qui a custodire le mura di questa cella. Questa dunque è la risposta, quando ti senti tentato a lasciar l’orazione; perché ti pare di perdervi il tempo, dì allora: Io sto qui per dar gusto a Dio. Dicea S. Francesco di Sales, che se nell’orazione altro non facessimo, che discacciare distrazioni, e tentazioni, pure l’orazione è ben fatta. Anzi dice il Taulero, che a chi persevera nell’orazione coll’aridità, Dio farà una grazia maggiore, che se avesse orato molto con molta divizione sensibile. Narra il P. Rodriguez d’un certo, il quale dicea, che in quaranta anni d’orazione non avea mai provata alcuna consolazione, ma che ne’ giorni che la facea, si sentiva forte nelle virtù; quando all’incontro la lasciava, in quel giorno provava una tal debolezza, che lo faceva inetto ad ogni cosa di buona. Dicono S. Bonaventura e’ l Gersone, che molti servono più Dio col non avere il raccoglimento desiderato, che se l’avessero, perché così vivono più diligenti, e più umiliati; altrimenti forse s’ invanirebbero, e sarebbero più tepidi, pensando d’aver già trovato ciò, che cercavano. E quel, che dicesi dell’aridità, dicesi ancora delle tentazioni. Dobbiamo noi procurare di schivar le tentazioni; ma se vuole Dio, o permette, che noi siamo tentati contro la fede, contro la purità, o contro altra virtù, non dobbiamo lamentarci, ma anche in ciò rassegnarci al divino volere. A S. Paolo che pregava d’esser liberato dalla tentazione d’impurità, rispose il Signore: sufficit tibi gratia mea. E così anche noi, se vediamo, che Dio non ci esaudisce in esimerci da qualche tentazione molesta, diciamo: Signore, fate voi, e permettete quel che vi piace, mi basta la vostra grazia; ma assistetemi, acciò non la perda mai. Non le tentazioni, ma il consenso alla tentazione, ci fa perdere la divina grazia. Le tentazioni quando le discacciamo, ci mantengono più umili, ci acquistano più meriti, ci fan ricorrere più spesso a Dio, e così ci conservano più lontani dall’offenderlo, e più ci uniscono al suo santo amore.

Finalmente bisogna, che ci uniamo colla volontà di Dio circa il punto della nostra morte, e per quel tempo, ed in quel modo, che Dio la manderà. S. Geltrude (l. 1. Vita c. 11) salendo un giorno una collina, sdrucciolò, e cadde in una valle. Le dimandarono poi le compagne, se avesse avuto paura di morire senza Sagramenti? Rispose la Santa: Io desidero molto di morire coi Sagramenti, ma fo più conto della volontà di Dio, perché tengo la miglior disposizione, che possa aversi a ben morire, sia di sottoporsi a ciò, che Dio vorrà; perciò io desidero qualunque morte, che piacerà di darmi al mio Signore. Narra S. Gregorio ne’ suoi Dialoghi (l. 3. c.37), che i Vandali avendo condannato a morire un certo Sacerdote chiamato Santolo, gli diedero poi facoltà di scegliersi qual sorta di morte volesse; il santo uomo ricusò di eleggere, ma disse: Io sono nelle mani di Dio, e riceverò la morte, ch’ egli permetterà, che voi mi facciate soffrire, nè io voglio altra, che quella. Quest’ atto piacque tanto al Signore, che avendo quei barbari determinato di farli tagliar la testa, fè arrestare il braccio del carnefice, e con tal miracolo quelli si piegarono a concedergli la vita. Circa dunque il modo, quella per noi dobbiamo stimate la miglior morte, che Dio ci avrà determinata. Savateci Signore (diciamo sempre, allorchè pensiamo alla nostra morte), e poi fateci morire, come a voi piace.

Così ancora dobbiamo uniformarci al quando del nostra morte. Cos’ è questa terra, se non una carcere dove stiamo a patire, ed in pericolo di perdere Dio ogni momento? Questo facea gridare a Davide: Educ de custodia animam meam. (Ps. 141.8) Questo timore facea sospirare la morte a S. Teresa, la quale sonando l’orologio, tutta si consolava, pensanso, ch’ era passata un’ora della sua vita, un’ora di pericolo di perdere Dio. Diceva il P. M. Avila, che ognuno il quale si trovasse con mediocre disposizione, dee desiderar la morte per ragion del pericolo, in che si vive di perder la divina grazia. Che cosa più cara, e più desiderabile, che con una morte assicurarci di non potere più perdere la grazia del nostro Dio? Ma io, tu dici, non ho fatto niente ancora, niente ho acquistato per l’anima. Ma se Dio vuole, che ora termini la vata, che faresti appresso, se viveresti contro la volontà di Dio? E chi sa se allora faresti quella morte, che ora puoi sperare di fare? Chi sa se mutando volontà, caderesti in altri peccati, e ti danneresti? E poi s’ altro non fosse, vivendo non puoi vivere senza peccati, almeno leggieri. Cur (dunque asclamava S. Bernardo) cur vitam desideramus, in qua quanto amplius vivimus, tanto plus peccamus? (Med. c.8) Ed è certo, che più dispiace a Dio un solo peccato veniale, che non gli piacciono tutte le opere sante, che noi possiamo fare.

Dico di più, chi poco desidera il Paradiso, dà segno di poco amore a Dio. Chi ama, desidera la presenza dell’amato; ma noi non possiamo vedere Dio, se non lasciamo la terra; e perciò tutti i Santi han sospirata la morte, per andare a vedere il loro amato Signore. Così sospirava S. Agostino. Eja moriar, ut te videam. Così S. Paolo: Desiderium habens dissolvi, et esse cum Cristo (ad Philip. 1.28) Così Davide: Quando veniam et apparebo ante faciem Dei? (Psal. 41.3) E così tutte l’anime innamorate di Dio. Narra un Autore (Flores Enrel. Graul. 4. c. 68) che andando un giorno un Cavaliere a caccia in una selva, udì un uomo, che dolcemente cantava; s’ inoltra, e trova un povero lebbroso mezzo fracido; gli dimanda s’ egli era, che cantava? Sì (rispose quegli), io sono, signore, quello, che cantava. E come mai puoi cantare, e star contento con tanti dolori, che ti van togliendo la vita? Rispose il lebbroso: Fra Dio, Signor mio, e me non v’ è altra cosa di mezzo, che questo muro di fango, che è questo mio corpo; tolto via questo impedimento, anderò a godere il mio Dio. E vedendo io, che ogni giorno mi si va disfacendo a pezzi, mi rallegro, e canto.

Per ultimo anche ne’ gradi di grazia, e di gloria bisogna, che noi ci uniformiamo al divino volere: dobbiamo sibbene stimare le cose di gloria di Dio, ma più la sua volontà: dobbiamo desiderare d’amarlo più de’ Serafini, ma non dobbiamo poi volere altro grado d’amore, se non quello, che il Signore ha daterminato di donarci. Dice il P. M. Avila (Audi filia c.12): Io non credo, che vi sia stato Santo, che non abbia desiderato d’esser migliore di quello, ch’ era; ma ciò non togliea loro la pace, perché non lo desideravano per propria cupidità, ma per Dio, della cui distribuzione si tenevano contenti, benchè avesse dato loro meno: stimando per vero amore più il contentarsi di quel che Dio dava loro, che’ l desiderare di aver molto. Il che viene a dire, come spiega il P. Rodriguez (trat. 8. c. 30), che sebbene dobbiamo noi esser diligenti nel procurar la perfezione per quanto possiamo, affinchè non ci serva di scusa la propria tepidezza, e pigrizia, come fanno alcuni con dire: Dio me l’a da dare: io non posso più, che tanto; nondimeno quando poi manchiamo, non dobbiamo perder la pace, e la conformità alla volontà di Dio in aver permesso il nostro difetto, nè perderci d’animo; alziamoci subito allora da quello: umiliandoci col pentimento, e cercando maggior ajuto dal Signore, proseguiamo il cammino. Così parimente, ancorchè ben possiamo desiderare di giunger in cielo al coro de’ Serafini, più gloria a Dio, e per maggiormente amarlo; dobbiamo noi però rassegnarci al suo santo volere, contentandoci di quel grado, che si degnerà di darci per sua misericordia.

Sarebbe poi un difetto troppo notabile il desiderare di aver doni di orazione sovranaturale, e precisamente d’estasi, visioni, e rivelazioni; che anzi dicono i maestri di spirito, che quelle anime, le quali son favorite da Dio di simili grazie, debbono pregarlo a privarnele, acciocchè l’amino per via di pura fede, ch’ è la via più sicura. Molti sono giunti alla perfezione senza queste grazie sovranaturali, le sole virtù son quelle che sollevano l’anime alla santità, e principalmente l’uniformità alla volontà di Dio. E se Dio non vuole innalzarci a grado sublime di perfezione, e di gloria, conformiamoci in tutto al suo santo volere, pregandolo che ci salvi almeno per la sua misericordia. E facendo così, non sarà poca la mercede, che per la sua bontà ci donera il nostro buon Signore, il quale ama sopra tutto le anime rassegnate.

In somma dobbiamo mirar tutte le cose, che ci accadono, e ci avranno da accadere, come procedenti dalle divine mani. E tutte le nostre azioni dobbiamo indrizzarle a questo solo fine, di far la volontà di Dio, e farle solo perché Iddio le vuole. E per andare in ciò più sicuri, bisogna, che dipendiamo dalla guida de’ nostri Superiori in quanto all’esterno, e dai Direttori in quanto all’interno, per intender da essi ciò che vuole Dio da noi; avendo gran fede alle parole di Gesù Cristo, che ci ha detto, Qui vos audit, me audit. (Luc. 10. 16) E sopra tutto attendiamo a servire Dio per quella via, per cui vuole Dio esser da noi servito. Dico ciò, affinchè evitiamo l’inganno di taluno, che perde il tempo a pascersi col dire: Se stassi in un deserto, s’ entrassi in un Monastero, se andassi in altro luogo fuori di questa casa, lontano da questi parenti o compagni, mi farei santo, farei le tali penitenze, farei tanta orazione. Dice, farei, farei; ma frattanto, soffrendo di mala volgia quella croce, che Dio gli manda, in somma non camminando per quella via, che vuole Dio, non si fa santo, anzi va di male in peggio. Questi desideri alle volte son tentazioni del demonio, poiché non saranno secondo la volontà di Dio, onde bisogna discacciarli, ed animarci a servire il Signore per quella sola strada, che egli ci ha eletta. Facendo la sua volontà, certamente ci faremo santi in ogni stato dove il Signore ci pone. Vogliamo dunque sempre solo quel che vuole Dio, che facendo così, egli ci stringerà al suo cuore; ed a tal fine facciamoci familiari alcuni passi della Scritura,che c’ invitano ad unirci sempre più colla divina volontà. Domine, quid me vis facere? Dio mio, ditemi, che volete da me, ch’ io tutto tutto voglio farlo? Tuus sum ego, salvum me fac. (Ps. 18.94) Io non sono più mio; son vostro, o mio Signore, fatene di me quel che volete voi. Quando specialmente ci avviene qualche accersità più pesante, morte di parenti, perdita di bene, e simili: Ita Pater (diciamo sempre), ita Pater, quoniam sic fuit placitum ante te. (Matt. 11.26) Sì Dio mio, e Padre mio, così sia fatto, perché così è piacuto a voi. Sopra tutto ci sia cara l’orazione insegnataci da Gesù Cristo: Fiat voluntas tua sicut in caelo, et in terra. Disse il Signore a S. Caterina da Genova, che sempre chè dicesse il Pater noster, particolarmente sifermasse su queste parole, pregando, che la di lui santa volontà si adempisse in essa, colla stessa perfezione, con cui la fanno i Santi in cielo. Facciamo così ancora noi, e ci faremo certamento santi.

Sia sempre amata, e lodata la divina volontà, e la B. Vergine Maria immacolata.


13-48 Gennaio 3, 1922 Rapporti che ci sono tra la Volontà Divina e la volontà umana.

Luisa Piccarreta (Libro di Cielo)

(1) Continuando il mio solito stato, il mio sempre amabile Gesù nel venire mi ha detto:

(2) “Figlia del mio Volere, vieni nella mia Volontà affinché conosca i rapporti che ci sono tra la Volontà Divina e la volontà umana, che la creatura frantumò fin dall’eden terrestre, e che l’anima che non conosce altra vita che la Vita della mia Volontà, la riedifica, la riannoda, restituendole tutti i rapporti che aveva spezzato: Rapporti di creazione, di principio di esistenza, questi erano vincoli d’unione tra Creatore e la creatura. Rapporti di somiglianza, santità, scienza, potenza; tutto ciò che Io contengo misi in rapporto con l’uomo. Rapporti in ordine a tutte le cose create, cui gli diedi il primato su tutto.

(3) Ora, l’uomo col sottrarsi dalla mia Volontà ruppe tutti questi rapporti, e si mise in rapporto col peccato, con le passioni, col suo più fiero nemico. Perciò l’anima che vive nel mio Volere si eleva tanto in alto che lascia indietro tutti, e si mette in ordine tra Me e lei, si restituisce al principio e mette in vigore tutti i rapporti spezzati, tutte le cose create le fanno corteggio e la riconoscono per loro legittima sorella, e si sentono onorate nel farsi dominare da lei; lo scopo per cui furono create, di essere comandate e di ubbidire ai suoi piccoli cenni, è già compiuto, sicché tutta la natura sta riverente intorno a lei ed esulta nel vedere finalmente che il loro Dio riceve la gloria dello scopo per cui l’aveva creato, di servire l’uomo, onde, il fuoco, la luce, l’acqua, il freddo, si faranno da lei comandare ed ubbidiranno fedelmente, e siccome il mio amore preparò subito il rimedio per salvare l’uomo, scendendo dal Cielo col farmi uomo, così quest’anima che vive nel mio Volere, restituendosi al principio, alla sua origine eterna donde ne uscì, giacché prima che la mia Umanità si formasse, già baciava ed adorava il mio sangue, le mie piaghe, onorava i miei passi, le mie opere, e faceva degno corteggio alla mia Umanità. Oh! anima che vivi nel mio Volere, sei tu sola lo scopo della gloria della Creazione, il decoro, l’onore delle mie opere ed il compimento della mia Redenzione; in te accentro tutto, tutti i rapporti ti siano restituiti; e se tu per debolezza mancassi, Io per decoro ed onore della mia Volontà ti supplirò in tutto, perciò sii attenta e dà questo sommo contento al tuo Gesù”.