Sotto il Tuo Manto

Lunedi, 21 luglio 2025 - San Lorenzo da Brindisi (Letture di oggi)

S. Filippo Neri, camminando un giorno per le vie di Roma, andava dicendo: Sono disperato! Sono disperato! Un certo religioso, quasi scandalizzato, lo corresse; ma il santo allora disse: Padre mio, sono disperato di me, ma confido in Dio! (San Filippo Neri)

Liturgia delle Ore - Letture

Martedi della 26° settimana del tempo ordinario

Per questa Liturgia delle Ore è disponibile sia la versione del tempo corrente che quella dedicata alla memoria di un Santo. Per cambiare versione, clicca su questo collegamento.
Questa sezione contiene delle letture scelte a caso, provenienti dalle varie sezioni del sito (Sacra Bibbia e la sezione Biblioteca Cristiana), mentre l'ultimo tab Apparizioni, contiene messaggi di apparizioni a mistici o loro scritti. Sono presenti testi della Valtorta, Luisa Piccarreta, don Stefano Gobbi e testimonianze di apparizioni mariane riconosciute.

Vangelo secondo Giovanni 15

1"Io sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiolo.2Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo toglie e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto.3Voi siete già mondi, per la parola che vi ho annunziato.4Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può far frutto da se stesso se non rimane nella vite, così anche voi se non rimanete in me.5Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla.6Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e si secca, e poi lo raccolgono e lo gettano nel fuoco e lo bruciano.7Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quel che volete e vi sarà dato.8In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli.9Come il Padre ha amato me, così anch'io ho amato voi. Rimanete nel mio amore.10Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore.11Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena.
12Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati.13Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici.14Voi siete miei amici, se farete ciò che io vi comando.15Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l'ho fatto conoscere a voi.16Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda.17Questo vi comando: amatevi gli uni gli altri.

18Se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato me.19Se foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che è suo; poiché invece non siete del mondo, ma io vi ho scelti dal mondo, per questo il mondo vi odia.20Ricordatevi della parola che vi ho detto: Un servo non è più grande del suo padrone. Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi; se hanno osservato la mia parola, osserveranno anche la vostra.21Ma tutto questo vi faranno a causa del mio nome, perché non conoscono colui che mi ha mandato.22Se non fossi venuto e non avessi parlato loro, non avrebbero alcun peccato; ma ora non hanno scusa per il loro peccato.23Chi odia me, odia anche il Padre mio.24Se non avessi fatto in mezzo a loro opere che nessun altro mai ha fatto, non avrebbero alcun peccato; ora invece hanno visto e hanno odiato me e il Padre mio.25Questo perché si adempisse la parola scritta nella loro Legge: 'Mi hanno odiato senza ragione'.
26Quando verrà il Consolatore che io vi manderò dal Padre, lo Spirito di verità che procede dal Padre, egli mi renderà testimonianza;27e anche voi mi renderete testimonianza, perché siete stati con me fin dal principio.


Numeri 23

1Balaam disse a Balak: "Costruiscimi qui sette altari e preparami qui sette giovenchi e sette arieti".2Balak fece come Balaam aveva detto; Balak e Balaam offrirono un giovenco e un ariete su ciascun altare.3Balaam disse a Balak: "Fermati presso il tuo olocausto e io andrò; forse il Signore mi verrà incontro; quel che mi mostrerà io te lo riferirò". Andò su di una altura brulla.
4Dio andò incontro a Balaam e Balaam gli disse: "Ho preparato i sette altari e ho offerto un giovenco e un ariete su ciascun altare".5Allora il Signore mise le parole in bocca a Balaam e gli disse: "Torna da Balak e parla così".6Balaam tornò da Balak che stava presso il suo olocausto: egli e tutti i capi di Moab.7Allora Balaam pronunziò il suo poema e disse:

"Dall'Aram mi ha fatto venire Balak,
il re di Moab dalle montagne di oriente:
Vieni, maledici per me Giacobbe;
vieni, inveisci contro Israele!
8Come imprecherò, se Dio non impreca?
Come inveirò, se il Signore non inveisce?
9Anzi, dalla cima delle rupi io lo vedo
e dalle alture lo contemplo:
ecco un popolo che dimora solo
e tra le nazioni non si annovera.
10Chi può contare la polvere di Giacobbe?
Chi può numerare l'accampamento d'Israele?
Possa io morire della morte dei giusti
e sia la mia fine come la loro".

11Allora Balak disse a Balaam: "Che mi hai fatto? Io t'ho fatto venire per maledire i miei nemici e tu invece li hai benedetti".12Rispose: "Non devo forse aver cura di dire solo quello che il Signore mi mette sulla bocca?".
13Balak gli disse: "Vieni con me in altro luogo da dove tu possa vederlo: qui ne vedi solo un'estremità, non lo vedi tutto intero; di là me lo devi maledire".14Lo condusse al campo di Zofim, sulla cima del Pisga; costruì sette altari e offrì un giovenco e un ariete su ogni altare.15Allora Balaam disse a Balak: "Fermati presso il tuo olocausto e io andrò incontro al Signore".16Il Signore andò incontro a Balaam, gli mise le parole sulla bocca e gli disse: "Torna da Balak e parla così".17Balaam tornò da Balak che stava presso il suo olocausto insieme con i capi di Moab. Balak gli disse: "Che cosa ha detto il Signore?".18Allora Balaam pronunziò il suo poema e disse:

"Sorgi, Balak, e ascolta;
porgimi orecchio, figlio di Zippor!
19Dio non è un uomo da potersi smentire,
non è un figlio dell'uomo da potersi pentire.
Forse Egli dice e poi non fa?
Promette una cosa che poi non adempie?
20Ecco, di benedire ho ricevuto il comando
e la benedizione io non potrò revocare.
21Non si scorge iniquità in Giacobbe,
non si vede affanno in Israele.
Il Signore suo Dio è con lui
e in lui risuona l'acclamazione per il re.
22Dio, che lo ha fatto uscire dall'Egitto,
è per lui come le corna del bufalo.
23Perché non vi è sortilegio contro Giacobbe
e non vi è magìa contro Israele:
a suo tempo vien detto a Giacobbe
e a Israele che cosa opera Dio.
24Ecco un popolo che si leva come leonessa
e si erge come un leone;
non si accovaccia, finché non abbia divorato la preda
e bevuto il sangue degli uccisi".

25Allora Balak disse a Balaam: "Se proprio non lo maledici, almeno non benedirlo!".26Rispose Balaam e disse a Balak: "Non ti ho già detto, che quanto il Signore dirà io dovrò eseguirlo?".
27Balak disse a Balaam: "Vieni, ti condurrò in altro luogo: forse piacerà a Dio che tu me li maledica di là".28Così Balak condusse Balaam in cima al Peor, che è di fronte al deserto.29Balaam disse a Balak: "Costruiscimi qui sette altari e preparami sette giovenchi e sette arieti".30Balak fece come Balaam aveva detto e offrì un giovenco e un ariete su ogni altare.


Giobbe 41

1Ecco, la tua speranza è fallita,
al solo vederlo uno stramazza.
2Nessuno è tanto audace da osare eccitarlo
e chi mai potrà star saldo di fronte a lui?
3Chi mai lo ha assalito e si è salvato?
Nessuno sotto tutto il cielo.
4Non tacerò la forza delle sue membra:
in fatto di forza non ha pari.
5Chi gli ha mai aperto sul davanti il manto di pelle
e nella sua doppia corazza chi può penetrare?
6Le porte della sua bocca chi mai ha aperto?
Intorno ai suoi denti è il terrore!
7Il suo dorso è a lamine di scudi,
saldate con stretto suggello;
8l'una con l'altra si toccano,
sì che aria fra di esse non passa:
9ognuna aderisce alla vicina,
sono compatte e non possono separarsi.
10Il suo starnuto irradia luce
e i suoi occhi sono come le palpebre dell'aurora.
11Dalla sua bocca partono vampate,
sprizzano scintille di fuoco.
12Dalle sue narici esce fumo
come da caldaia, che bolle sul fuoco.
13Il suo fiato incendia carboni
e dalla bocca gli escono fiamme.
14Nel suo collo risiede la forza
e innanzi a lui corre la paura.
15Le giogaie della sua carne son ben compatte,
sono ben salde su di lui, non si muovono.
16Il suo cuore è duro come pietra,
duro come la pietra inferiore della macina.
17Quando si alza, si spaventano i forti
e per il terrore restano smarriti.
18La spada che lo raggiunge non vi si infigge,
né lancia, né freccia né giavellotto;
19stima il ferro come paglia,
il bronzo come legno tarlato.
20Non lo mette in fuga la freccia,
in pula si cambian per lui le pietre della fionda.
21Come stoppia stima una mazza
e si fa beffe del vibrare dell'asta.
22Al disotto ha cocci acuti
e striscia come erpice sul molle terreno.
23Fa ribollire come pentola il gorgo,
fa del mare come un vaso da unguenti.
24Dietro a sé produce una bianca scia
e l'abisso appare canuto.
25Nessuno sulla terra è pari a lui,
fatto per non aver paura.
26Lo teme ogni essere più altero;
egli è il re su tutte le fiere più superbe.


Salmi 44

1'Al maestro del coro. Dei figli di Core. Maskil.'

2Dio, con i nostri orecchi abbiamo udito,
i nostri padri ci hanno raccontato
l'opera che hai compiuto ai loro giorni,
nei tempi antichi.
3Tu per piantarli, con la tua mano hai sradicato le genti,
per far loro posto, hai distrutto i popoli.
4Poiché non con la spada conquistarono la terra,
né fu il loro braccio a salvarli;
ma il tuo braccio e la tua destra
e la luce del tuo volto,
perché tu li amavi.

5Sei tu il mio re, Dio mio,
che decidi vittorie per Giacobbe.
6Per te abbiamo respinto i nostri avversari
nel tuo nome abbiamo annientato i nostri aggressori.

7Infatti nel mio arco non ho confidato
e non la mia spada mi ha salvato,
8ma tu ci hai salvati dai nostri avversari,
hai confuso i nostri nemici.
9In Dio ci gloriamo ogni giorno,
celebrando senza fine il tuo nome.

10Ma ora ci hai respinti e coperti di vergogna,
e più non esci con le nostre schiere.
11Ci hai fatti fuggire di fronte agli avversari
e i nostri nemici ci hanno spogliati.
12Ci hai consegnati come pecore da macello,
ci hai dispersi in mezzo alle nazioni.
13Hai venduto il tuo popolo per niente,
sul loro prezzo non hai guadagnato.
14Ci hai resi ludibrio dei nostri vicini,
scherno e obbrobrio a chi ci sta intorno.
15Ci hai resi la favola dei popoli,
su di noi le nazioni scuotono il capo.
16L'infamia mi sta sempre davanti
e la vergogna copre il mio volto
17per la voce di chi insulta e bestemmia,
davanti al nemico che brama vendetta.

18Tutto questo ci è accaduto
e non ti avevamo dimenticato,
non avevamo tradito la tua alleanza.
19Non si era volto indietro il nostro cuore,
i nostri passi non avevano lasciato il tuo sentiero;
20ma tu ci hai abbattuti in un luogo di sciacalli
e ci hai avvolti di ombre tenebrose.
21Se avessimo dimenticato il nome del nostro Dio
e teso le mani verso un dio straniero,
22forse che Dio non lo avrebbe scoperto,
lui che conosce i segreti del cuore?
23Per te ogni giorno siamo messi a morte,
stimati come pecore da macello.

24Svègliati, perché dormi, Signore?
Dèstati, non ci respingere per sempre.
25Perché nascondi il tuo volto,
dimentichi la nostra miseria e oppressione?

26Poiché siamo prostrati nella polvere,
il nostro corpo è steso a terra.
Sorgi, vieni in nostro aiuto;
27salvaci per la tua misericordia.


Daniele 14

1Il re Astiage si riunì ai suoi padri e gli succedette nel regno Ciro il Persiano.2Ora Daniele viveva accanto al re, ed era il più onorato di tutti gli amici del re.3I Babilonesi avevano un idolo chiamato Bel, al quale offrivano ogni giorno dodici sacchi di fior di farina, quaranta pecore e sei barili di vino.4Anche il re venerava questo idolo e andava ogni giorno ad adorarlo. Daniele però adorava il suo Dio e perciò il re gli disse: "Perché non adori Bel?".5Daniele rispose: "Io non adoro idoli fatti da mani d'uomo, ma soltanto il Dio vivo che ha fatto il cielo e la terra e che è signore di ogni essere vivente".6"Non credi tu - aggiunse il re - che Bel sia un dio vivo? Non vedi quanto beve e mangia ogni giorno?".7Rispose Daniele ridendo: "Non t'ingannare, o re: quell'idolo di dentro è d'argilla e di fuori è di bronzo e non ha mai mangiato né bevuto".8Il re s'indignò e convocati i sacerdoti di Bel, disse loro: "Se voi non mi dite chi è che mangia tutto questo cibo, morirete; se invece mi proverete che è Bel che lo mangia, morirà Daniele, perché ha insultato Bel".9Daniele disse al re: "Sia fatto come tu hai detto". I sacerdoti di Bel erano settanta, senza contare le mogli e i figli.10Il re si recò insieme con Daniele al tempio di Bel11e i sacerdoti di Bel gli dissero: "Ecco, noi usciamo di qui e tu, re, disponi le vivande e mesci il vino temperato; poi chiudi la porta e sigillala con il tuo anello. Se domani mattina, venendo, tu riscontrerai che tutto non è stato mangiato da Bel, moriremo noi, altrimenti morirà Daniele che ci ha calunniati".12Essi però non se ne preoccuparono perché avevano praticato un passaggio segreto sotto la tavola per il quale passavano abitualmente e consumavano tutto.
13Dopo che essi se ne furono andati, il re fece porre i cibi davanti a Bel:14Daniele ordinò ai servi del re di portare un po' di cenere e la sparsero su tutto il pavimento del tempio alla presenza soltanto del re; poi uscirono, chiusero la porta, la sigillarono con l'anello del re e se ne andarono.15I sacerdoti vennero di notte, secondo il loro consueto, con le mogli, i figli, e mangiarono e bevvero tutto.16Di buon mattino il re si alzò, come anche Daniele.17Il re domandò: "Sono intatti i sigilli, Daniele?". "Intatti, re" rispose.18Aperta la porta, il re guardò la tavola ed esclamò: "Tu sei grande, Bel, e nessun inganno è in te!".19Daniele sorrise e, trattenendo il re perché non entrasse, disse: "Guarda il pavimento ed esamina di chi sono quelle orme".20Il re disse: "Vedo orme d'uomini, di donne e di ragazzi!".21Acceso d'ira, fece arrestare i sacerdoti con le mogli e i figli; gli furono mostrate le porte segrete per le quali entravano a consumare quanto si trovava sulla tavola.22Quindi il re li fece mettere a morte, consegnò Bel in potere di Daniele che lo distrusse insieme con il tempio.

23Vi era un gran drago e i Babilonesi lo veneravano.24Il re disse a Daniele: "Non potrai dire che questo non è un dio vivente; adoralo, dunque".25Daniele rispose: "Io adoro il Signore mio Dio, perché egli è il Dio vivente; se tu me lo permetti, o re, io, senza spada e senza bastone, ucciderò il drago".26Soggiunse il re: "Te lo permetto".27Daniele prese allora pece, grasso e peli e li fece cuocere insieme, poi ne preparò focacce e le gettò in bocca al drago che le inghiottì e scoppiò; quindi soggiunse: "Ecco che cosa adoravate!".
28Quando i Babilonesi lo seppero, ne furono molto indignati e insorsero contro il re, dicendo: "Il re è diventato Giudeo: ha distrutto Bel, ha ucciso il drago, ha messo a morte i sacerdoti".29Andarono da lui dicendo: "Consegnaci Daniele, altrimenti uccidiamo te e la tua famiglia!".30Quando il re vide che lo assalivano con violenza, costretto dalla necessità consegnò loro Daniele.

31Ed essi lo gettarono nella fossa dei leoni, dove rimase sei giorni.32Nella fossa vi erano sette leoni, ai quali venivano dati ogni giorno due cadaveri e due pecore: ma quella volta non fu dato loro niente perché divorassero Daniele.
33Si trovava allora in Giudea il profeta Àbacuc il quale aveva fatto una minestra e spezzettato il pane in un recipiente e andava a portarlo nel campo ai mietitori.34L'angelo del Signore gli disse: "Porta questo cibo a Daniele in Babilonia nella fossa dei leoni".35Ma Àbacuc rispose: "Signore, Babilonia non l'ho mai vista e la fossa non la conosco".36Allora l'angelo del Signore lo prese per i capelli e con la velocità del vento lo trasportò in Babilonia e lo posò sull'orlo della fossa dei leoni.37Gridò Àbacuc: "Daniele, Daniele, prendi il cibo che Dio ti ha mandato".38Daniele esclamò: "Dio, ti sei ricordato di me e non hai abbandonato coloro che ti amano".39Alzatosi, Daniele si mise a mangiare, mentre l'angelo di Dio riportava subito Àbacuc nel luogo di prima.
40Il settimo giorno il re andò per piangere Daniele e giunto alla fossa guardò e vide Daniele seduto.41Allora esclamò ad alta voce: "Grande tu sei, Signore Dio di Daniele, e non c'è altro dio all'infuori di te!".42Poi fece uscire Daniele dalla fossa e vi fece gettare coloro che volevano la sua rovina ed essi furono subito divorati sotto i suoi occhi.


Atti degli Apostoli 6

1In quei giorni, mentre aumentava il numero dei discepoli, sorse un malcontento fra gli ellenisti verso gli Ebrei, perché venivano trascurate le loro vedove nella distribuzione quotidiana.2Allora i Dodici convocarono il gruppo dei discepoli e dissero: "Non è giusto che noi trascuriamo la parola di Dio per il servizio delle mense.3Cercate dunque, fratelli, tra di voi sette uomini di buona reputazione, pieni di Spirito e di saggezza, ai quali affideremo quest'incarico.4Noi, invece, ci dedicheremo alla preghiera e al ministero della parola".5Piacque questa proposta a tutto il gruppo ed elessero Stefano, uomo pieno di fede e di Spirito Santo, Filippo, Pròcoro, Nicànore, Timòne, Parmenàs e Nicola, un proselito di Antiòchia.6Li presentarono quindi agli apostoli i quali, dopo aver pregato, imposero loro le mani.
7Intanto la parola di Dio si diffondeva e si moltiplicava grandemente il numero dei discepoli a Gerusalemme; anche un gran numero di sacerdoti aderiva alla fede.

8Stefano intanto, pieno di grazia e di fortezza, faceva grandi prodigi e miracoli tra il popolo.9Sorsero allora alcuni della sinagoga detta dei "liberti" comprendente anche i Cirenei, gli Alessandrini e altri della Cilicia e dell'Asia, a disputare con Stefano,10ma non riuscivano a resistere alla sapienza ispirata con cui egli parlava.11Perciò sobillarono alcuni che dissero: "Lo abbiamo udito pronunziare espressioni blasfeme contro Mosè e contro Dio".12E così sollevarono il popolo, gli anziani e gli scribi, gli piombarono addosso, lo catturarono e lo trascinarono davanti al sinedrio.13Presentarono quindi dei falsi testimoni, che dissero: "Costui non cessa di proferire parole contro questo luogo sacro e contro la legge.14Lo abbiamo udito dichiarare che Gesù il Nazareno distruggerà questo luogo e sovvertirà i costumi tramandatici da Mosè".
15E tutti quelli che sedevano nel sinedrio, fissando gli occhi su di lui, videro il suo volto come quello di un angelo.


Capitolo XXIII: La meditazione della morte

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 1. Ben presto la morte sarà qui, presso di te. Considera, del resto, la tua condizione: l'uomo oggi c'è e domani è scomparso; e quando è sottratto alla vista, rapidamente esce anche dalla memoria. Quanto grandi sono la stoltezza e la durezza di cuore dell'uomo: egli pensa soltanto alle cose di oggi e non piuttosto alle cose future. In ogni azione, in ogni pensiero, dovresti comportarti come se tu dovessi morire oggi stesso; ché, se avrai retta la coscienza, non avrai molta paura di morire. Sarebbe meglio star lontano dal peccato che sfuggire alla morte. Se oggi non sei preparato a morire, come lo sarai domani? Il domani è una cosa non sicura: che ne sai tu se avrai un domani? A che giova vivere a lungo, se correggiamo così poco noi stessi? Purtroppo, non sempre una vita lunga corregge i difetti; anzi spesso accresce maggiormente le colpe. Magari potessimo passare santamente anche una sola giornata in questo mondo. Molti fanno il conto degli anni trascorsi dalla loro conversione a Dio; ma scarso è sovente il frutto della loro emendazione. Certamente morire è cosa che mette paura; ma forse è più pericoloso vivere a lungo. Beato colui che ha sempre dinanzi agli occhi l'ora della sua morte ed è pronto ogni giorno a morire. Se qualche volta hai visto uno morire, pensa che anche tu dovrai passare per la stessa strada. La mattina, fa conto di non arrivare alla sera; e quando poi si farà sera non osare sperare nel domani. Sii dunque sempre pronto; e vivi in tal modo che, in qualunque momento, la morte non ti trovi impreparato.  

2. Sono molti coloro che muoiono in un istante, all'improvviso; giacché "il Figlio dell'uomo verrà nell'ora in cui non si pensa che possa venire" (Mt 24,44; Lc 12,40). Quando sarà giunto quel momento estremo, comincerai a giudicare ben diversamente tutta la tua vita passata, e molto ti dorrai di esser stato tanto negligente e tanto fiacco. Quanto é saggio e prudente l'uomo che, durante la vita, si sforza di essere quale desidera esser trovato al momento della morte! Ora, una piena fiducia di morire santamente la daranno il completo disprezzo del mondo, l'ardente desiderio di progredire nelle virtù, l'amore del sacrificio, il fervore nella penitenza, la rinuncia a se stesso e il saper sopportare ogni avversità per amore di Cristo. Mentre sei in buona salute, molto puoi lavorare nel bene; non so, invece, che cosa potrai fare quando sarai ammalato. Giacché sono pochi quelli che, per il fatto di essere malati, diventano più buoni; così come sono pochi quelli che, per il fatto di andare frequentemente in pellegrinaggio, diventano più santi. Non credere di poter rimandare a un tempo futuro la tua salvezza, facendo affidamento sui suffragi degli amici e dei parenti; tutti costoro ti dimenticheranno più presto di quanto tu non creda. Perciò, più che sperare nell'aiuto di altri, è bene provvedere ora, fin che si è in tempo, mettendo avanti un po' di bene. Ché, se non ti prendi cura di te stesso ora, chi poi si prenderà cura di te? Questo è il tempo veramente prezioso; sono questi i giorni della salvezza; è questo il tempo che il Signore gradisce (2Cor 6,2). Purtroppo, invece, questo tempo tu non lo spendi utilmente in cose meritorie per la vita eterna. Verrà il momento nel quale chiederai almeno un giorno o un'ora per emendarti; e non so se l'otterrai. Ecco, dunque, mio caro, di quale pericolo ti potrai liberare, a quale pericolo ti potrai sottrarre, se sarai stato sempre nel timore di Dio, in vista della morte. Procura di vivere ora in modo tale che, nell'ora della morte, tu possa avere letizia, anziché paura; impara a morire al mondo, affinché tu cominci allora a vivere con Cristo; impara ora a disprezzare ogni cosa, affinché tu possa allora andare liberamente a Cristo; mortifica ora il tuo corpo con la penitenza, affinché tu passa allora essere pieno di fiducia.  

3. Stolto, perché vai pensando di vivere a lungo, mentre non sei sicuro di avere neppure una giornata? Quante persone sono state ingannate, inaspettatamente tolte a questa vita! Quante volte hai sentito dire che uno è morto di ferite e un altro è annegato; che uno, cadendo dall'alto, si è rotto la testa; che uno si è soffocato mentre mangiava e un altro è morto mentre stava giocando? Chi muore per fuoco, chi per spada; chi per una pestilenza, chi per un assalto dei predoni. Insomma, comunque destino è la morte; e passa rapidamente come un'ombra la vita umana. Chi si ricorderà di te, dopo che sarai scomparso, e chi pregherà per te? Fai, o mio caro, fai ora tutto quello che sei in grado di fare, perché non conosci il giorno della tua morte; né sai che cosa sarà di te dopo. Accumula, ora, ricchezze eterne, mentre sei in tempo. Non pensare a nient'altro che alla tua salvezza; preoccupati soltanto delle cose di Dio. Fatti ora degli amici, venerando i santi di Dio e imitando le loro azioni, "affinché ti ricevano nei luoghi eterni, quando avrai lasciato questa vita" (Lc 16,9). Mantienti, su questa terra, come uno che è di passaggio; come un ospite, che non ha a che fare con le faccende di questo mondo. Mantieni libero il tuo cuore, e rivolto al cielo, perché non hai stabile dimora quaggiù (Eb 13,14). Al cielo rivolgi continue preghiere e sospiri e lacrime, affinché, dopo la morte, la tua anima sia degna di passare felicemente al Signore. Amen.


Contro i Priscillianisti e gli Origenisti: Agostino ad Orosio

Contro i Priscillianisti e gli Origenisti - Sant'Agostino d'Ippona

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AD OROSIO CONTRO I PRISCILLIANISTI E GLI ORIGENISTI

L'anima non è la sostanza di Dio.

1. 1. Carissimo figlio Orosio, non debbo rispondere a tutte le domande che mi hai poste nel tuo pro-memoria, né debbo astenermi del tutto dal rispondere, per non darti l'impressione che io non dia peso al tuo zelo, che invece mi è graditissimo, né che voglia dispiacerti con un gesto incontrollato. Ebbene, in diversi miei opuscoli, che tu hai letto o puoi leggere, sono state dette molte cose utili per controbattere l'eresia dei Priscillianisti, sebbene non fosse mio proposito confutarli direttamente. Ascoltando infatti da te quale sia il loro pensiero, sebbene trattassi altri problemi, mi accorgo ora che affrontavo anche questo. Infatti nella polemica contro i Manichei ho toccato in molti luoghi il tema dell'anima, che, sebbene sia in un certo suo modo immortale, tuttavia regredendo verso il peggio e progredendo verso il meglio dimostra di essere soggetta a mutamenti. Con ciò stesso si mostra in maniera inequivocabile che essa non è della sostanza di Dio; e così è rovesciata anche la dottrina di Priscilliano. Posto infatti questo fondamento, unico ma solidissimo, che è verissimo e che da ciascuno può essere con estrema facilità riscontrato in se stesso, verrà a mancare agli uni e agli altri ogni argomento per imbastire le loro favole. Che bisogno c'è infatti di mettersi a potare i rami di questo errore diffuso da parolai linguacciuti, quando ci si può limitare a estrarre ed estirpare la sua radice? Tanto più che, come tu stesso ti compiaci, questi vaneggiamenti favolosi o peggio, presso di voi sono già stati confutati a dovere.

Poiché l'anima è stata creata da Dio dal nulla, la volontà di Dio non è il nulla.

2. 2. Dici però che è ancora dibattuta la questione concernente l'anima. Siccome è già assodato che non può essere una particella di Dio o una sua emanazione, ci si chiede se sia lecito affermare che Dio l'abbia creata dal nulla, per il fatto che appare inaccettabile, anzi empio, dire che sia da considerarsi un nulla la volontà di Dio, mediante la quale l'anima è stata creata. Questo tuttavia non rientra nella confutazione dell'insipienza sacrilega di Priscilliano. Tanto dunque se si ammette che l'anima sia stata creata dal nulla quanto se non lo si afferma per il fatto che essa è stata creata dalla volontà di Dio, la quale non può essere certamente il nulla, comunque, e perché è stata creata e perché non è della stessa natura di Dio, in tutti i casi risulta ovviamente confutata quell'eresia che sostiene che l'anima in principio era natura di Dio, [e lo fa] per avere degli agganci per tutte le altre falsità che aggiunge. È però, questa, una questione che non si deve sottovalutare né lasciare fuori dei dibattiti. Occorre presentarla a questi tali che non vogliono credere che l'anima sia stata creata dal nulla per non dover asserire che sia il nulla la volontà di Dio mediante la quale l'anima fu creata, e a loro chiedere se ritengano che non ci siano creature che sono state create dal nulla. Se sono di questo avviso, c'è pericolo che essi tentino di tirare in ballo una non so quale natura che non sia né Dio né il nulla: una specie di materia che se Dio non l'avesse avuta a disposizione, non avrebbe potuto trovare modo di creare ciò che ha creato. Quando infatti ci si chiede con che cosa Dio abbia fatto le sue creature, si cerca una specie di materia (com'è per il falegname il legno o altro corpo) senza la quale egli non avrebbe potuto fare in alcun modo le opere del suo mestiere. Quando dunque si risponde: " Dal nulla ", cos'altro si dice se non che non ebbe a sua disposizione nessuna materia che non fosse stata da lui e così [con essa] avere una base per fare tutto ciò che avrebbe voluto fare, mentre senza di essa non sarebbe stato in grado di farlo? In effetti, la materia del mondo, che riscontriamo comunque nelle cose che mutano, è stata originata da colui da cui ha origine il mondo. Per cui anche quando Dio fece o fa qualcosa servendosi di qualcosa, non lo fece né fa da cose non create da lui. Orbene, lasciamo da parte per un momento la [questione sulla] natura dell'anima...; e [ragioniamo:] se essi ammettono che Dio ha creato qualcosa dal nulla, vogliano riflettere e si accorgeranno che, di qualunque cosa si tratti, essa è stata da lui fatta per sua volontà, poiché non ha potuto fare qualcosa senza volerla. Tuttavia dal fatto che egli ha creato una cosa dal nulla in forza della sua volontà, non deriva che la volontà in sé sia il nulla. Perché dunque temere di affermare nei riguardi dell'anima ciò che non esitano ad affermare di tutte le altre cose? Se poi dichiarano che solo l'anima è stata fatta dalla volontà di Dio, mentre le altre cose egli non le avrebbe fatte con la sua volontà, cosa si potrebbe dire di più assurdo e pazzesco? Se viceversa tutto ciò che ha fatto l'ha fatto con la volontà, e dicendo questo non vogliamo dire che la volontà stessa sia il nulla, lo si intenda detto anche dell'anima.

Prosecuzione dello stesso tema.

3. 3. Quando si dice: Dio ha creato tutto dal nulla 1, non si dice se non questo: Nulla esisteva da cui creare e tuttavia, poiché lo volle, lo creò. Dunque non si può dire che la volontà sia il nulla, anzi è proprio lei che viene inculcata quando si dice che Dio ha creato dal nulla. Infatti a Dio si dice: puoi tutto col solo volerlo 2: sia che esista da dove trarlo sia che non esista; basta la volontà dove è sommo il potere. Come si può dunque sostenere che in ciò che è creato dal nulla non sia altro che il nulla la stessa volontà del Creatore, quando proprio per questo una cosa può esser creata dal nulla perché basta la volontà del Creatore per crearla anche senza materia? Supponiamo ora che essi vogliano sostenere che non solo l'anima, ma nessuna creatura in assoluto è stata fatta dal nulla, proprio perché ciò che Dio ha fatto, lo ha fatto con la sua volontà, la quale non è il nulla. Riflettano però da dove, quanto al corpo, è stato fatto l'uomo. Infatti con certezza, come attestato dalla Scrittura, Dio lo ha tratto dal fango o dalla polvere della terra e, senza dubbio, lo ha fatto con la volontà 3; ma la volontà di Dio non è né la polvere né il fango. Come dunque non è il fango la volontà che ha creato l'uomo dal fango, sebbene costui sia opera della volontà, così non è il nulla la volontà che ha creato tutte le cose dal nulla, sebbene esse siano opera della volontà.

I libri di Origene, utili per confutare il sabellianismo di Priscilliano.

4. 4. Ora una parola sulla nota dolorosa che hai aggiunto, e cioè che presso di voi ci sono stati certuni che dall'eresia di Priscilliano sono passati all'errore di Origene e che da quel male non li si è potuti guarire senza che la stessa medicina vi avesse arrecato qualcosa tocco dal contagio. Il dolore che provate non è, effettivamente, da ritenersi colpa [grave], poiché, se la falsità dev'essere allontanata dalla verità e non dalla falsità (questo infatti sarebbe scambiare un male con un altro, non evitare ogni male), è vero tuttavia che dai quei libri la vostra provincia ha ricavato molto bene. In effetti, come tu stesso riferisci, da coloro che ti hanno recato i libri di Origene sono tramandate cose conformi a verità: ad esempio, su Dio autore di tutto il creato, sulla Trinità eterna e immutabile. In contrasto con tale verità, Priscilliano riaffermò l'antica dottrina di Sabellio che sosteneva che lo stesso Padre era anche Figlio e Spirito Santo; anzi egli aggravò l'errore dicendo, nei riguardi dell'anima, che essa non ha una natura sua propria ma deriva da Dio stesso, come una sua particella, però poi si è macchiata e deformata, cambiandosi in peggio. Osando affermare cose come queste egli sta con i Manichei. Gli errori [di Priscilliano] dunque vertono su argomenti molto seri, capitali; si accettano dottrine false e medicinali, che non toccano solo la creatura ma lo stesso Creatore. Orbene, tanto se son tornati alla [vera] fede coloro che se ne erano allontanati, tanto se attraverso la lettura delle dispute in parola hanno appreso [la vera fede] coloro che non la conoscevano, godano tutti per aver appreso dottrine salutari. Riguardo poi a quanto di errato è anche in codesti libri, sebbene già veda che tu lo conosci, tuttavia il modo d'argomentare contro tali insegnamenti lo potrai apprendere meglio sul posto dove tempo addietro l'errore nacque e non fu contemporaneamente smascherato.

Rifiuto dell'apocatastasi dei demoni.

5. 5. Per quanto mi è possibile ti raccomando anch'io di non pretendere di sapere assolutamente nulla sulla conversione del diavolo e dei suoi angeli e sul loro ritorno allo stadio originario. Non perché nutriamo odio contro il diavolo e i demoni, e così facendo quasi li ripaghiamo della loro malvagità, dato che essi non per altro motivo se non perché sospinti dallo stimolo dell'invidia, vogliono turbare i nostri passi mediante i quali tendiamo a Dio, ma perché non dobbiamo aggiungere nulla, che provenga dalla nostra presunzione, alla sentenza definitiva del sommo e veracissimo Giudice. Egli ha preannunciato che dirà a quelli simili ai demoni: andate nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e i suoi angeli 4. Né ci deve impressionare al segno che intendiamo il termine " eterno " nel senso di " diurno ", a ciò che sta scritto altrove: In eterno e per i secoli dei secoli 5. Il traduttore latino infatti non voleva dire: In eterno e per l'eterno dell'eterno. E dato che quanto in greco si dice può essere inteso sia nel senso di secolo, sia nel senso di eterno, altri interpreti per comodità tradussero: nel secolo e per il secolo dei secoli. Però non è questo che si afferma nel luogo in cui si dice: andate nel fuoco eterno. Non si legge , ma . Il che, se lo si volesse derivato da secolo, in latino si dovrebbe dire " secolare ", non " eterno ", la qualcosa però non ha mai osato dirla nessun traduttore. In latino si usa chiamare secolo ciò che ha una fine, mentre eterno ciò che non ne ha alcuna, invece il termine greco significa a volte eterno e a volte secolo. Però la parola , che deriva da quel termine, a quanto mi sembra, gli stessi greci non la usano se non per indicare ciò che non ha fine. Noi non siamo soliti tradurre e in nessun altro modo se non con eterno; ma mentre significa anche secolo, non significa altro se non eterno, anche se vi sono alcuni che talvolta si azzardano a tradurlo anche con " eternale ", affinché non si pensi che in latino manchi un derivato da questo termine.

Ancora su l'eternità.

5. 6. Forse gli origenisti trovano alcuni testi nei quali esprime, secondo l'uso della Scrittura, qualche cosa che non è senza fine. Così Dio nei libri dell'Antico Testamento dice frequentemente: Questa sarà per voi una legge eterna 6. Quanto al fatto che in greco si usi il termine quando a proposito di tali sacramenti si comandano spesso cose destinate ad aver fine, se prestiamo maggior attenzione a queste espressioni, si vede come probabilmente ciò che è significato in quei sacramenti non avrà fine. Così poi, per non divagare ulteriormente, chiamiamo Dio eterno non perché lo siano queste due sillabe brevissime, ma perché lo è ciò che esse significano. L'Apostolo chiama tempi eterni quelli precedenti e antichi 7 che in greco si scrive: . E nella lettera a Tito scrive: Dio, che non è menzognero, promise prima dei tempi eterni la speranza della vita eterna 8. Siccome però, guardando a ritroso, sembra che i tempi abbiano avuto inizio dalla costituzione del mondo, come possono essere eterni se non perché ha chiamato eterno ciò che avanti a sé non ha alcun tempo?

Le pene dell'inferno sono eterne.

6. 7. Ma colui che procedendo saggiamente ammette che le parole: andate nel fuoco eterno, sono state dette di ciò che non ha fine, mediante lo stesso brano evangelico, preso dall'estremo opposto, è in grado di dimostrare come sia eterna la vita che riceveranno i giusti: la quale sarà anch'essa senza fine. Infatti concluse: Quelli andranno nel fuoco eterno, i giusti invece alla vita eterna 9. In ambedue i casi si ha il termine greco . Se, mossi da compassione, crederemo che il supplizio degli empi avrà fine, cosa dovremo credere riguardo al premio dei giusti, dato che in entrambi i casi, nello stesso punto, nella stessa affermazione e con la stessa parola si fa riferimento all'eternità? Affermeremo anche che i giusti dal loro stato di santità e di possesso della vita eterna possano cadere di nuovo nell'impurità del peccato e nella morte 10? Che ciò non contamini l'ortodossia della fede cristiana! Dunque in entrambi i casi ciò che è senza fine vien detto eterno, cioè , affinché per compassione delle pene del demonio non succeda che si finisca col dubitare del regno di Cristo. Infine, se eterno ed eternale, ovvero e , vengono impiegati indifferentemente nella Scrittura una volta per significare ciò che non ha fine e una volta ciò che ha fine, che risponderemo a quelle parole del profeta, dove è scritto: I suoi vermi non moriranno e il suo fuoco non si estinguerà 11? Qualunque sia la pena intesa con i termini verme e fuoco, certamente, se non muore né si estingue, è stata preannunciata una pena senza fine; né il profeta intendeva dir altro parlando così se non predire che quella pena sarebbe stata senza fine.

Eternità del regno di Cristo.

7. 8. Si dice la stessa cosa anche del regno di Cristo, non secondo ciò che il Verbo era in principio Dio presso Dio 12, perché nessuno ha mai dubitato che sotto questo aspetto egli sia il re di tutti i secoli 13: ma è quanto al suo farsi uomo e al sacramento di mediatore 14 e all'incarnazione dalla Vergine che sta scritto in modo sommamente chiaro che il suo regno non avrà fine. È là dove l'angelo, rivolgendosi a Maria, futura madre e sempre vergine, tra le altre cose dice: Sarà grande e chiamato figlio dell'Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine 15. In che senso il suo regno non avrà fine se non in quanto regnerà sulla casa di Giacobbe? E certamente, avendo detto eternamente, a causa dell'ambiguità di questa parola, aggiunse che il suo regno non avrà fine, affinché nessuno pensasse che qui eterno significa la stessa cosa che secolo, il quale ad un certo punto ha fine. Forse che si può intendere il suo regnare sulla casa di Giacobbe e sul trono di Davide in altro modo se non come imperio sulla Chiesa e sul quel popolo che è il suo regno? A questo proposito anche l'Apostolo dice: quando consegnerà il regno a Dio e Padre 16 e cioè: quando condurrà i suoi santi alla contemplazione del Padre li condurrà anche alla contemplazione di se stesso, dato che è Dio uguale al Padre. Non consegna però il regno in modo tale da perderlo, come anche il Padre ha concesso al Figlio di avere la vita in se stesso 17, né, certo, la perse egli stesso. Per questo, se il suo regno non avrà fine, in verità i suoi santi, che sono il suo regno, regneranno con lui fino alla fine 18. Quanto al testo dell'Apostolo che recita: quindi la fine, quando consegnerà il regno a Dio Padre, si deve intendere questa fine in senso di perfezionamento e non di consunzione. Così sta scritto: il termine della legge è Cristo perché sia data la giustizia a chiunque crede 19: un termine cioè dove risiede il perfezionamento della legge e non la sua abolizione. La qual cosa è espressa anche dove si dice: non venni ad abolire la legge, ma ad adempierla 20.

Il mondo non è stato creato per espiare i peccati commessi prima della nostra vita.

8. 9. Non capisco con quale impudenza pretendano di suggerire alla Chiesa di Cristo quello che essi dicono riguardo alle creature razionali, cioè i santi angeli, i demoni immondi e gli stessi animi umani, che una colpa minore ha meritato un luogo maggiore. Noi crediamo piuttosto che Dio non è stato mosso a creare il mondo dai peccati degli spiriti razionali, per non cadere nell'assurdo di dover porre due soli, tre, quattro, o quanti ne sarebbero a noi necessari: se la colpa commessa prima della creazione in virtù del libero arbitrio fosse di una molteplicità di spiriti, sarebbe necessario racchiuderli in altrettanti corpi della volta celeste. Dalla bontà di Dio è stato creato il mondo grande e buono dal Bene sommo e increato, nel quale presero ad esistere tutte le cose assai buone secondo natura, alcune migliori delle altre, ordinate in diversi gradi, dalle creature superiori alle infime, affinché in questo modo non esistessero soltanto quelle di maggior dignità, ma tutte. E la loro moltitudine trovò un limite stabilito da Dio, il Creatore di tutta la natura creata: egli la vide in se stesso e non la conobbe quando era già fatta, ma quando doveva ancora esser creata. Quindi quelli che dicono che nella sua sapienza già fosse tutto creato prima ancora che tutte le cose si manifestassero nelle loro forme e nei loro modi propri e che apparissero nei loro rispettivi ordini, costoro non parlano in modo assennato. Quando sarebbero state create infatti prima di essere create? Nella sapienza di Dio poterono esservi le ragioni di tutte le cose che dovevano esser create, ma non erano ragioni create. Tutte furono create mediante la sua sapienza, ma essa non fu creata, perché essa è il Verbo del quale si dice: tutto è stato fatto per mezzo di lui 21. Quindi Dio conosceva tutto ciò che fece prima di farlo. Non possiamo sostenere che creò ciò che ignorava e che non l'avrebbe conosciuto se non l'avesse creato; che ignorava ciò che doveva fare e lo conobbe dopo averlo fatto. Se dicessimo ciò di un qualsiasi artefice umano, diremmo una cosa stoltissima. Dio conosceva dunque le cose da fare, prima che fossero fatte; le conosceva per farle e non perché le aveva fatte. Pertanto quantunque gli fossero già note le cose da fare, perché se non le avesse conosciute non sarebbero state fatte, tuttavia le cose non cominciarono ad esser fatte perché erano conosciute per essere fatte solamente dopo essere state fatte, poiché per esser fatte in modo retto dovevano esser conosciute prima d'essere fatte.

Perché sono stati promessi un cielo ed una terra nuovi.

8. 10. Or ecco che la Verità, riguardo alla quale non è lecito dire che ci sia sconosciuta né che possa ingannare qualcuno, ci promette la purificazione 22, anzi, sia pur dopo la resurrezione dei corpi spiritualizzati, la nostra futura perfezione che ci renderà uguali agli angeli. Come si fa dunque a dire che gli stessi santi angeli, a cui ci assomiglieremo quando saremo stati sommamente purificati 23, dovranno ancora purificarsi dai loro peccati? E se Dio promette un cielo nuovo e una terra nuova 24 quale dimora dei santi e di coloro che sono diventati puri da ogni macchia del mondo attuale, con quale coraggio si può in ultima analisi affermare che [questo] mondo, cioè il cielo e la terra [nuovi], non ci sarà se non perché ne hanno necessità, al fine di diventare puri, gli spiriti razionali, che non saranno in cielo o in terra se non in conformità con quanto hanno meritato peccando? Perché mai coloro che sono stati purificati hanno bisogno di un cielo nuovo e di una terra nuova se, una volta purificati, tornano ad essere com'erano stati prima che ci fossero il cielo e la terra, cioè senza cielo né terra? Se ciò fosse completamente vero, noi dovremmo estendere la nostra speranza fino a questo punto, che ci è promesso dalla Scrittura. E se da lì dovremo essere trasferiti in uno stato migliore, sarà molto più logico che lo apprendiamo quando ci troveremo là che non crederlo ora a cuor leggero e così pure tentare di insegnarlo con sfacciataggine. Cosa c'è infatti di più assurdo che dire: " Non ci sarebbero il cielo e la terra, se una tale configurazione del mondo non fosse necessaria a gente che deve purificarsi ", quando la Scrittura promette un altro cielo e un'altra terra a coloro che sono già diventati puri 25?

Nell'uomo sono compendiate tutte le creature.

8. 11. D'altra parte constatiamo che il sole, la luna e gli altri astri sono dei corpi celesti, ma non sappiamo se sono animati. Venga affermato dai Libri divini, e noi lo crederemo. Quanto poi alla testimonianza della lettera dell'Apostolo 26 che, come hai riferito, loro usano citare, può riferirsi anche solo agli uomini, giacché in ciascun uomo ci sono tutti gli esseri del creato, non nella loro autentica entità come lo sono il cielo e la terra e tutto quello che esiste in essi, ma in un qualche modo generico. Nell'uomo infatti vi è anche la creatura razionale che si pensa o si crede l'abbiano gli angeli. Inoltre [nell'uomo vi è la creatura], per così dire, sensitiva, che non manca alle bestie (usano infatti i sensi ed hanno moti sensitivi per appetire le cose utili e per evitare quelle contrarie), e anche quella vegetativa, cioè priva di sensi, come si può vedere negli alberi. Infatti anche in noi il corpo cresce senza che lo avvertiamo, e i capelli non sentono nulla quando li tagliamo e poi ricrescono. Veramente, l'intera creazione di ordine corporeo appare in noi in modo assai evidente e, quantunque sia fatta e formata di terra, si trovano in essa alcune parti di tutti gli elementi di questo mondo corporeo per l'equilibrio del benessere. Infatti le membra si rinvigoriscono per il calore, il quale deriva dal fuoco, come dal fuoco procede anche la luce che si sprigiona dagli occhi. Si riempiono di aria i percorsi delle vene che si chiamano arterie, e le cavità dei polmoni. Se non vi fosse nulla di liquido non affluirebbero gli sputi e la mancanza di umori ci toglierebbe la vita. Perfino il sangue, che riempie le altre vene, col suo scorrere umido si diffonde quasi in ruscelli e fiumi per tutte le parti del corpo. Così non vi è alcun genere di creatura che non possa incontrarsi nell'uomo e per questo tutta la creazione geme e si affligge in lui, aspettando la rivelazione dei figli di Dio 27. Mediante la resurrezione del corpo, anche se non in tutti gli uomini, tutta la creazione sarà liberata dalla schiavitù della corruzione 28, poiché essa è tutta in ciascuno. E se anche un'altra interpretazione potrà rendere meglio questo passo della lettera apostolica, tuttavia dalle medesime parole non possiamo concludere che il sole, la luna e gli astri gemano fino a che, alla fine dei secoli, saranno liberati dalla schiavitù della corruzione.

L'esegesi di un testo di Giobbe è convalidato da altri passi della Scrittura.

9. 12. Dissi giustamente che crediamo a ciò che viene affermato nei Libri divini. Ma che non ti ingannino coloro che sostengono cose di questo genere, anche se usano citare il passo del libro del santo Giobbe, in cui sta scritto: come può giustificarsi un uomo davanti a Dio e apparire puro un nato da donna? Ecco, se egli comanda alla luna e questa manca di chiarore, e se le stelle non sono pure ai suoi occhi: quanto meno l'uomo che è putredine, e il figlio dell'uomo che è un verme! 29 Da qui, poi, pretendono di dedurre che le stelle hanno uno spirito razionale e non sono prive di peccato, ma proprio per questo stanno nei cieli perché spetta loro un luogo migliore o più alto a causa della loro minore colpa. Credo che questa opinione non debba essere accettata come se fosse di autorità divina. Infatti non la pronunciò lo stesso Giobbe (del quale un'affermazione, in certo modo singolare, del testo ispirato recita che non peccò con le sue labbra davanti al Signore 30), ma uno dei suoi amici, che sono detti tutti quanti consolatori di mali 31 e sono condannati dal giudizio di Dio. Come nel Vangelo, sebbene sia assolutamente vero che tutte le cose sono state dette, tuttavia non crediamo che tutto ciò che è stato detto sia vero. In effetti, la scrittura verace del Vangelo riporta molti detti dei Giudei che sono falsi ed empi; allo stesso modo in questo libro, nel quale ci si dice che hanno parlato molte persone, si deve tener conto non solo di ciò che è stato detto, ma anche di chi lo ha detto."Non ammettiamo indistintamente come vero tutto quello che sta scritto in questo santo libro: lungi da noi, che sia vero e giusto quanto la moglie insensata suggeriva al suo santo marito, cioè di maledire Dio, e così morendo sarebbe liberato da quel tormento insopportabile 32. Non per questo sostengo che quegli amici di Giobbe, riprovati da Dio e incolpati a ragione dallo stesso santo servo di Dio, non poterono dire nulla di vero 33: sostengo, piuttosto, che non tutte le cose che hanno detto sono da ritenersi vere. Sebbene infatti ciò che essi affermarono contro Giobbe non contenesse nulla di vero, tuttavia colui che saprà interpretare con sapienza i detti [della Scrittura] saprà prendere anche dalle loro parole alcune affermazioni corrette a favore della verità. Ma, se nell'investigare vogliamo dimostrare qualcosa mediante la testimonianza degli scritti sacri, non ci si dica che si deve prestar fede a ciò che sta scritto, sia pur nel Vangelo, se per caso l'evangelista stesso precisa che a dirlo è stato uno a cui non dobbiamo dar credito. Per esempio nel Vangelo si legge che i Giudei affermarono di Cristo Signore: Non diciamo a ragione che sei un samaritano e hai un demonio? 34 Quanto più amiamo Cristo, tanto più detestiamo quest'insulto. Comunque non possiamo dubitare che fu pronunciato dai Giudei, perché crediamo che la narrazione evangelica è verissima: noi insomma detestiamo i detti blasfemi dei Giudei ma non neghiamo la fedeltà dell'evangelista che scrisse il testo. Non prestiamo fede, quasi ad un'autorità canonica, alle parole che vengono citate non solo degli empi e degli impuri, ma neanche di coloro che riguardo alla fede sono piccoli e ancora principianti e ignoranti. Così non dobbiamo prendere come autorità evangelica la frase che il cieco nato, al quale il Signore aprì gli occhi, disse: sappiamo che Dio non ascolta i peccatori 35. Così facendo non ci opponiamo alla parola stessa del Signore, che troviamo nel Vangelo, là dove con voce divina confermò colui che lo aveva invocato con le parole: Signore, abbi pietà di me, che sono un peccatore, e concluse che questi uscì dal tempio più puro del fariseo, che ricordava i suoi meriti e se ne vantava 36. Non si irriti costui, recentemente illuminato nella carne, se diciamo che stava nel noviziato della sua fede, quando ignorava chi fosse colui che lo aveva reso sano e pronunciò quella frase poco sensata: Dio non ascolta i peccatori. In effetti, risulta che gli stessi Apostoli, eletti tra tutti, in contatto diretto con il Signore, e pendendo dalle sue labbra, dissero molte cose riprovevoli che sarebbe lungo ricordare. Perfino il beato Pietro, a causa di certe sue parole, non meritò solo di esser ripreso, ma addirittura di esser chiamato satana 37.

La giustizia degli angeli, paragonata a quella di Dio, non è giustizia.

10. 13. Non mi sembra una tesi inesatta sostenere che in confronto con la giustizia di Dio, non possono esser detti giusti nemmeno i santi angeli nei cieli. Non perché abbiano perso la giustizia per diventare come sono, ma per il fatto di esser creati e di non essere Dio, per questo non possono avere tanta luce spirituale quanta ne ha colui che li ha fatti. Dove vi è somma giustizia vi è anche somma sapienza, e questo è Dio, del quale si dice: A Dio solo sapiente 38. Ma un'altra questione è sapere quanto della giustizia di Dio siano capaci gli angeli e di quanto non ne siano capaci. Coloro che sono giusti perché partecipano di lui, in confronto con lui non sono giusti.

Agostino ignora in che cosa si differenzino le sfere celesti.

11. 14. Ma, come ho detto, questa è un'altra questione, un'altra è sapere se gli astri, il sole e la luna abbiano uno spirito razionale nei loro corpi visibili e luminosi. Chi dubita che siano dei corpi, ignora del tutto cosa sia un corpo. Né queste cose ci interessano a tal punto da volerle indagare con uno studio approfondito: infatti non solo sono lontane dai nostri sensi e dalla debole intelligenza umana, ma nemmeno la Scrittura ne parla così da comandarcene la conoscenza. Piuttosto, perché a causa di un'opinione frettolosa non cadiamo in fole sacrileghe, la sacra Scrittura ci avverte: Non cercare quello che è sopra di te, e non volere indagare quelle cose che sorpassano le tue forze, ma quello che ti ha comandato il Signore meditalo sempre 39, affinché ci si accorga che in tali questioni è colpa più grave la presunzione temeraria che la prudente ignoranza. Certamente l'Apostolo dice: Sia i Troni, sia le dominazioni, sia i Principati, sia le Potestà 40. E io credo fermissimamente che nelle gerarchie celesti esistano i troni, le dominazioni, i principati, le potestà e ritengo con fede incrollabile che sono in qualche modo differenti tra loro. Però, siccome tu mi consideri un gran dottore, io, per ridimensionarmi, ti dirò che non so cosa siano né in che cosa si differenzino tra loro. Né credo di essere in un qualche pericolo per questa ignoranza, come lo sarei per la disobbedienza se trascurassi i precetti del Signore. E per questo credo che è stata opera dello Spirito Santo se dai nostri autori che composero i testi sacri non ci è stata spiegata diffusamente ogni cosa ma soltanto toccata di striscio e succintamente: con la conseguenza che, se a qualcuno d'una maturità come la nostra fossero state mostrate con evidenza (attraverso una rivelazione superiore) cose di questo genere, costui non possa ritenere inferiori a sé quei personaggi per il cui ministero ci sono giunte le sante parole delle Scritture canoniche. Quanto più uno si sarà perfezionato nel suo sapere, tanto più si riscontrerà inferiore a quegli scritti che Dio ha posto, come un firmamento, al di sopra di tutti i cuori umani. Pertanto non è necessario sapere di più, ma sapere sobriamente, ciascuno secondo la misura di fede che Dio gli ha dato 41. Forse i più dotti ti insegneranno queste cose se manifesterai loro tanta capacità di apprendere, quanto è grande il desiderio di sapere che hai. Ad ogni modo, non devi azzardare tesi sull'ignoto muovendo dal noto, affinché tu presti fede a ciò che non va creduto, o non creda a ciò a cui si deve credere. Ti ammaestrerà quell'unico vero Maestro 42, o per mezzo di questi tali o nei modi che vorrà: quel maestro che vede come ti dài da fare per la sua chiesa nel tuo intimo lui stesso ti ha posto questo desiderio. Egli stesso ti dischiuderà più generosamente la verità, egli che vede bussare la carità che lui stesso si è degnato donare.

Note:



 

1 - 2 Mac 7, 28.

2 - Sap 12, 18.

3 - Cf. Gn 2, 7.

4 - Mt 25, 41.

5 - Sal 9, 6, 10, 16.

6 - Es 28, 43; Lv 16, 29. 34.

7 - Cf. 2 Tm 1,9.

8 - Tt 1, 2.

9 - Mt 25, 41-46.

10 - Cf. 1 Ts 4, 7.

11 - Is 66, 24.

12 - Cf. Gv 1, 1.

13 - Cf. Ap 15, 3.

14 - Cf. 1 Tm 2, 5.

15 - Lc 1, 32-33.

16 - 1 Cor 15, 24.

17 - Gv 5, 26.

18 - Cf. Ap 22, 5.

19 - Rm 10, 4.

20 - Mt 5, 17.

21 - Gv 1, 3.

22 - Cf. Eb 1, 3.

23 - Cf. Lc 20, 33-36; Fil 3, 11.

24 - Cf. 2 Pt 3, 13; Is 65, 17; 66, 22; Ap 21, 1.

25 - Cf. 2 Pt 3, 13; Is 65, 17; 66, 22; Ap 21, 1.

26 - Cf. Rm 8, 20.

27 - Cf. Rm 8, 22-23.

28 - Cf. Rm 8, 21.

29 - Gb 25, 4-6.

30 - Gb 1, 22.

31 - Gb 16, 2.

32 - Cf. Gb 2, 9.

33 - Cf. Gb 42, 7.

34 - Gv 8, 48.

35 - Gv 9, 31.

36 - Cf. Lc 18, 10-14.

37 - Cf. Mt 16, 23.

38 - Rm 16, 27.

39 - Sir 3, 22.

40 - Col 1, 16.

41 - Rm 12, 3.

42 - Cf. Mt 23, 10.


17 - Il saluto della Regina del cielo a santa Elisabetta e la santificazione di Giovanni.

La mistica Città di Dio - Libro terzo - Suor Maria d'Agreda

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215. Compiuto il sesto mese della gravidanza di santa Elisabetta, il futuro precursore di Cristo nostro bene se ne stava nel suo grembo, quando la madre santissima Maria arrivò alla casa di Zaccaria. Il corpo del bambino Giovanni era più perfetto di quello degli altri, sia per il miracolo intervenuto nel suo concepimento da madre sterile, sia perché veniva destinato a ricevere la santità più grande tra i figli di donna, che Dio gli teneva preparata. Tuttavia, la sua anima era ancora immersa nelle tenebre del peccato che aveva contratto in Adamo, come gli altri figli di questo primo e comune padre del genere umano. E non potendo i mortali, per legge comune a tutti, ricevere la luce della grazia prima di uscire a quella materiale del sole, dopo il primo peccato che si contrae con la natura, il grembo materno viene a servire come da carcere di tutti noi che fummo rei nel nostro padre e capo Adamo. Cristo Signore nostro volle graziare il suo grande profeta e precursore con il grande beneficio di anticipargli la luce della grazia e la giustificazione sei mesi dopo che santa Elisabetta l'ebbe concepito, affinché la sua santità fosse privilegiata come doveva esserlo la missione di precursore e di battista.

216. Dopo il primo saluto di Maria a santa Elisabetta, le due cugine si ritirarono insieme in disparte, come ho già detto. Subito la Madre della grazia salutò di nuovo la sua parente e le disse: «Dio ti salvi, mia carissima cugina; la sua divina luce ti comunichi grazia e vita». A queste parole di Maria santissima, santa Elisabetta fu piena di Spirito Santo e tanto illuminata nel suo intimo che in un momento conobbe altissimi misteri. Quésti effetti, come anche quelli che nel medesimo tempo sentì il bambino Giovanni nel grembo di sua madre, derivarono dalla presenza del Verbo incarnato nel talamo di Maria. Da qui, servendosi della voce di lei come strumento, cominciò a fare uso della potestà che il Padre eterno gli aveva dato per salvare e giustificare le anime come loro redentore. Siccome, poi, se ne serviva come uomo, stando nel grembo verginale quel corpicino concepito da otto giorni si mise - cosa mirabile! - in posizione umile per pregare il Padre. Chiese la giustificazione del suo futuro precursore e la ottenne dalla santissima Trinità.

217. San Giovanni nel grembo materno fu la terza persona per cui il nostro Redentore pregò in particolare, stando in Maria santissima. Sua madre fu la prima per la quale egli ringraziò, supplicò e pregò il Padre; come sposo di lei, san Giuseppe fu il secondo nelle preghiere del Verbo incarnato; il precursore Giovanni, poi, fu il terzo ad entrare nelle domande particolari per persone determinate, nominate dal Signore. Tanta fu la felicità e tali i privilegi di san Giovanni! Cristo Signore nostro presentò all'eterno Padre i meriti e la passione e morte che veniva a patire per gli uomini ed in virtù di questo domandò la santificazione di quell'anima; scelse il bambino, il quale doveva nascere santo, come suo precursore, perché rendesse testimonianza della sua venuta nel mondo e preparasse i cuori del suo popolo a conoscerlo e riceverlo. Chiese, quindi, che per un compito così sublime si concedessero a tale persona eletta le grazie, i doni ed i favori adeguati; il Padre concesse tutto ciò che il suo Unigenito incarnato domandò.

218. Questo avvenne prima del saluto di Maria santissima. Quando l'umile Signora pronunciò le parole riferite, Dio guardò con benevolenza il bambino nel grembo di santa Elisabetta e gli concesse il perfetto uso della ragione, illuminandolo con aiuti speciali della luce divina, affinché con quelli si preparasse conoscendo il bene che gli veniva fatto. Giovanni fu purificato dal peccato originale, costituito figlio adottivo del Signore e riempito dallo Spirito Santo con abbondantissima grazia e con pienezza di doni e virtù; inoltre, le sue facoltà furono santificate e rese soggette alla ragione. Si adempiva così ciò che l'angelo san Gabriele aveva detto a Zaccaria, cioè che suo figlio sarebbe stato pieno di Spirito Santo fin dal seno di sua madre. Il fortunato bambino vide il Verbo incarnato, servendogli quasi da vetrata le pareti dell'utero e da cristallo purissimo il talamo del grembo verginale di Maria santissima; qui adorò, in ginocchio, il suo redentore e creatore. Questo fu il movimento ed il giubilo che sua madre santa Elisabetta riconobbe e senti nel suo bambino e nel suo grembo. Giovanni fece molti altri atti nel ricevere questo beneficio, esercitando le virtù di fede, speranza, carità, culto divino, gratitudine, umiltà, devozione e tutte le altre che lì poteva operare. Da quell'istante cominciò ad acquistare meriti e a crescere nella santità, senza mai perderla né cessare di operare con tutto il vigore della grazia.

219. Santa Elisabetta conobbe nel medesimo tempo il mistero dell'incarnazione, la sanrificazione di suo figlio ed il fine e i misteri di questa nuova meraviglia, nonché la purezza verginale e la dignità di Maria santissima. In questa occasione la santissima Regina, stando tutta assorta nella visione di questi misteri e di Dio che li operava nel suo Figlio santissimo, restò tutta divinizzatà e piena della luce e dello splendore delle doti di cui partecipava. Santa Elisabetta la vide con questa maestà e come attraverso un vetro purissimo contemplò il Verbo incarnato nel talamo verginale, come in una lettiga di cristallo infiammato. Di tutti questi ammirabili effetti fu strumento efficace la voce di Maria santissima, tanto forte e potente quanto dolce all'udito dell'Altissimo. Tutta questa virtù era come partecipata da quella che ebbero le onnipotenti parole Avvenga di me quello che hai detto, con le quali attirò il Verbo eterno dal seno del Padre alla sua mente ed al suo grembo.

220. Meravigliata di quello che sentiva e scopriva in misteri così divini, santa Elisabetta fu mossa tutta da giubilo dello Spirito Santo e, guardando la Regina del mondo e ciò che in lei scorgeva, ad alta voce proruppe in quelle parole che riferisce san Luca: Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che debbo che la madre del mio Signore venga a me? Ecco, appena la voce del tuo saluto ègiunta ai miei orecchi, il bambino ha esultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell'adempimento delle parole del Signore. In queste parole profetiche santa Elisabetta riassunse la grandezza di Maria santissima, conoscendo con la divina luce quanto in lei il potere divino aveva operato ed attualmente operava e anche ciò che doveva succedere in futuro. Intese tutto ciò anche il bambino Giovanni nel grembo di lei, da dove sentiva le parole di sua madre, la quale, illuminata in occasione della santificazione di lui, magnificò Maria santissima come strumento della loro felicità in nome suo e del figlio, che ancora non poteva lodarla e benediila con la propria bocca.

221. Alle parole con cui santa Elisabetta magnificò la nostra grande Regina, la maestra della sapienza e dell'umiltà rispose riferendole tutte al loro Autore e con voce molto dolce intonò il cantico del Magnificat, che san Luca riferisce. Disse: «L'anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio mio salvatore, perché ha guardato l'umiltà della sua serva. D'ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata. Grandi cose ha fatto in me l'Onnipotente e Santo è il suo nome: di generazione in generazione la sua misericordia si stende su quelli che lo temono. Ha spiegato la potenza del suo braccio, ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore; ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili: ha ncolmato di beni gli affamati, ha rimandato a mani vuote i ricchi. Ha soccorso Israele suo servo, ricordandosi della sua misericordia, come aveva promesso ai nostri padri, ad Abramo e alla sua discendenza, per sempre ».

222. Come santa Elisabetta fu la prima che udì questo dolce cantico dalla bocca di Maria santissima, così pure fu la prima che lo comprese e lo commentò. Vi intese grandi misteri tra quelli racchiusi in così poche parole. Con esse lo spirito di Maria santissima magnificò il Signore per l'eccellenza del suo essere infinito, riferi e diede a lui tutta la gloria e la lode, come a principio e fine di tutte le sue opere, conoscendo e proclamando che solo in Dio si deve gloriare e rallegrare ogni creatura, poiché egli solo è tutto il suo bene e la sua salvezza. Celebrò anche l'equità e la magnificenza dell'Altissimo nel guardare agli umili e porre in essi con abbondanza il suo divino amore ed il suo spirito. Confessò, inoltre, quanto sia cosa degna che i mortali vedano, conoscano e ponderino come, per mezzo di questa umiltà, ella conseguì che tutte le nàzioni la chiamassero beata e come con essa meriteranno la medesima fortuna anche tutti gli altri umili, ciascuno nel suo grado. Lodò ancora il nome santo e ammirabile dell'Onnipotente e tutte le misericordie e grazie che le aveva concesso, chiamandole cose grandi, perché nessuna fu piccola in una capacità e disposizione tanto immensa quanto quella di questa grande Regina e signora.

223. Siccome le miseric6rdie dell'Altissimo dalla pienezza di Maria santissima ridondarono a tutto il genere umano ed ella fu la porta del cielo attraverso la quale tutti salirono e salgono e attraverso la quale noi tutti dobbiamo accedere alla partecipazione della Divinità, ella confessò che la misericordia del Signore con lei si sarebbe estesa a tutte le generazioni, comunicandosi a quelli che lo temono. Come le misericordie infinite di Dio innalzano gli uomini e cercano quelli che lo temono, così al contrario il potente braccio della sua giustizia disperde i superbi nei pensieri del loro cuore e li rovescia dai loro troni per collocare su di essi i poveri e gli umili. Questa giustizia del Signore diede le prime prove di se stessa con meraviglia e gloria in Lucifero, capo dei superbi, e nei suoi seguaci, quando il braccio onnipotente dell'Altissimo li allontanò e gettò fuori, perché essi stessi si precipitarono, da quel sublime posto nella natura e nella grazia che avevano nella volontà originaria della mente divina e del suo amore, con il quale vuole che tutti siano salvi. In verità, ciò che li fece precipitare fu il vaneggiamento con il quale pretesero di salire dove non potevano né dovevano; con questa arroganza urtarono contro i giusti ed imperscrutabili giudizi del Signore, che così allontanarono e fecero cadere il superbo angelo e tutti quelli del suo seguito. Al loro posto furono collocati gli umili per mezzo di Maria santissima, madre ed archivio delle antiche misericordie.

224. Per questa medesima ragione, la clementissima Signora afferma anche che Dio arricchì i poveri ricolmandoli dell'abbondanza dei suoi tesori di grazia e gloria. Quanto a coloro che sono ricchi di stima di sé, di presunzione e di arroganza e quanto a quelli che riempiono il loro cuore dei falsi beni che il mondo ritiene ricchezza e felicità, invece, l'Altissimo cacciò e caccia tutti costoro lontano da sé, lasciandoli privi della verità, la quale non può entrare in cuori tanto occupati e pieni di menzogna e falsità. Accolse il suo servo e figlio Israele, ricordandosi della sua misericordia, per insegnargli dov'è la prudenza, dov'è la forza, dov'è l'intelligenza, dov'è la longevità e la vita, dov'è la luce degli occhi e la pace. A lui insegnò il cammino della prudenza e gli occulti sentieri della sapienza e della disciplina, che si nascose ai capi delle nazioni e non fu conosciuta dai potenti che dominano le belve che sono sulla terra, si divertono e giocano con gli uccelli del cielo ed ammassano tesori d'argento e d'oro. E non giunsero a trovarla i figli di Agar e gli abitanti di Teman, che sono i superbi sapienti e prudenti di questo mondo. Ma l'Altissimo l'affida a quelli che sono figli della luce e di Abramo per mezzo della fede, della speranza e dell'ubbidienza, perché così promise a lui ed alla sua posterità e generazione spirituale, per il benedetto e fortunato frutto del grembo verginale di Maria santissima.

225. Santa Elisabetta all'udire la Regina' delle creature penetrò questi arcani misteri e ne intese anche molti altri maggiori ai quali non arriva il mio intelletto; non solo questi che io posso manifestare. Non mi voglio dilungare su tutto quello che mi è stato rivelato, perché estenderei troppo questo discorso. Le dolci conversazioni divine di queste due signore sante e prudenti, Maria santissima e sua cugina Elisabetta, mi rammentano i due serafini che Isaia vide davanti al trono dell'Altissimo, i quali proclamavano l'uno all'altro quel cantico divino e sempre nuovo Santo, santo, santo..., mentre con due ali si coprivano il capo, con due i piedi e con le altre due volavano. È chiaro che l'ardente amore di queste donne superava tutti i serafini; e Maria purissima da sola amava più di tutti loro. Bruciavano in questo incendio divino, stendendo le ali dei loro cuori per manifestarli l'una all'altra e per volare alla più sublime penetrazione dei misteri dell'Altissimo. Con altre due ali di rara sapienza coprivano il proprio capo, perché tutte e due proposero e concertarono di mantenere il segreto del re, custodendolo per tutta la vita, ed anche perché sottomisero e ridussero in servitù la propria ragione, credendo con docilità, senza alterigia né curiosità. Coprirono similmente i piedi del Signore ed i propri con ali di serafini, stando umiliate ed annientate nella bassa stima di se stesse alla vista di tanta maestà. E se Maria santissima racchiudeva nel suo grembo verginale il Dio della maestà, con ragione e con tutta verità diremo che copriva il trono dove il Signore aveva la sua sede.

226. Quando fu ora che le due signore uscissero dal loro ritiro, santa Elisabetta offrì alla Regina del cielo la sua persona come schiava e tutta la sua famiglia e la sua casa per il suo servizio; chiese, poi, che per sua quiete e per potersi raccogliere accettasse una cameretta che usava ella stessa per l'orazione, come più appartata ed adatta a tale scopo. La divina Principessa con umile riconoscenza accettò quella stanza e la scelse per suo ritiro e per dormirvi; così, nessuno vi entrava tranne le due cugine. Nel resto del tempo si offrì per assistere santa Elisabetta come serva; per questo, infatti, come le disse, era venuta a visitarla e consolarla. Oh, che dolce amicizia fu mai quella e quanto sincera ed inseparabile, essendo unita con il più grande vincolo dell'amore divino! Vedo che il Signore fu ammirabile nel manifestare questo grande mistero della sua incarnazione a tre donne prima che ad alcun altro del genere umano: la prima fu sant'Anna, come ho detto a suo luogo; la seconda fu sua figlia, cioè la madre del Verbo, Maria santissima; la terza fu santa Elisabetta e suo figlio con lei, però nel grembo di sua madre, per cui egli non si reputa come un'altra persona a cui sia stato manifestato. La ragione di questo fu che la stoltezza di Dio è più saggia degli uomini, come disse san Paolo.

227. Maria santissima ed Elisabetta uscirono dal loro ritiro quando già era cominciata la notte, essendovisi trattenute a lungo. La Regina vide Zaccaria che se ne stava nel suo mutismo, gli domandò la sua benedizione ed il santo gliela diede. Sebbene lo guardasse con compassione e tenerezza vedendolo muto e conoscesse il mistero che era racchiuso in quella sofferenza, per il momento non si mosse a porvi rimedio; ma pregò per lui. Santa Elisabetta, la quale già conosceva la buona sorte del castissimo sposo Giuseppe - benché egli ne fosse ancora ignaro - lo onorò e festeggiò con grande stima e riverenza. Egli, però, dopo che ebbe dimorato per tre giorni nella casa di Zaccaria, chiese alla sua umilissima sposa licenza di fare ritorno a Nazaret, lasciandola in compagnia di santa Elisabetta perché l'assistesse nella sua gravidanza. Il santo sposo prese congedo rimanendo d'accordo che sarebbe ritornato a prendere la nostra Regina quando ella gliene avesse mandato avviso. Santa Elisabetta gli offrì alcuni doni da portare a casa sua. Egli di tutto accettò molto poco, e questo poco per l'insistenza di lei, essendo uomo di Dio e non solo amante della povertà, ma anche di cuore magnanimo e generoso. Tornò, quindi, a Nazaret con l'animale che aveva portato con sé. Li lo servi, in assenza della sua sposa, una vicina, sua parente, la quale, anche quando si trovava in casa Maria santissima signora nostra, soleva prestare la sua opera portando ciò che le veniva chiesto.

 

Insegnamento che mi diede la Regina del cielo

 

228. Figlia mia, affinché nel tuo cuore si accenda maggiormente la fiamma del tuo costante desiderio di conseguire la grazia e l'amicizia di Dio, voglio che tu conosca la dignità, l'eccellenza e la felicità grande di un'anima, quando giunge a ricevere questa bellezza. È, però, tanto ammirabile e preziosa che non la potrai comprendere, sebbene io te la manifesti; molto meno, poi, è possibile che tu la spieghi con le tue parole. Fissa lo sguardo nel Signore e contemplalo con la luce divina che ricevi; in essa conoscerai come è più gloriosa opera per il Signore giustificare un'anima sola che avere creato il cielo e la terra, con tutta la loro perfezione naturale. Se le creature, per mezzo di queste meraviglie che percepiscono in molta parte per mezzo dei sensi, conoscono che Dio è grande ed on nipotente, che cosa direbbero mai e che cosa penserebbero se vedessero con gli occhi dell'anima quanto vale e quanto conta la bellezza della grazia in tante creature capaci di riceverla?

229. Non ci sono parole adeguate per quello che è in se stessa quella partecipazione del Signore e delle sue perfezioni, che la grazia santificante contiene; è poco chiamarla più pura e bianca della neve, più risplendente del sole, più preziosa dell'oro e delle gemme, più cara, amabile e piacevole di tutti i regali e le carezze più dilettevoli, perché è più bella di tutto quanto può immaginare il desiderio delle creature. Considera similmente la bruttezza del peccato, per giungere ad una maggiore conoscenza della grazia alla vista del suo contrario, poiché né le tenebre, né la corruzione, né ciò che c'è di più orribile, spaventoso e ripugnante arriva a potersi comparare con il peccato e con il suo cattivo odore. Molto conobbero di questo i martiri ed i santi, i quali, per conseguire questa bellezza e non cascare in quella infelice rovina, non temettero il fuoco, né le fiere, i rasoi, i tormenti, le carceri, le ignominie, le pene, i dolori, né la medesima morte, né il prolungato e continuo patire; infatti, tutto questo è meno, pesa meno e vale meno che un solo grado di grazia, per conseguire il quale non si deve tenere conto di tutto il resto. Un'anima può avere questo e molti altri gradi, benché sia la più abbandonata del mondo. Non conoscono ciò gli uomini che stimano e bramano solamente la fuggitiva ed apparente bellezza delle creature e ritengono vile e spregevole colui che non ne ha.

230. Da questo conoscerai alquanto il grande beneficio che il Verbo incarnato fece al suo precursore Giovanni nel grembo di sua madre; egli lo conobbe e questo lo fece esultare di gioia. Conoscerai similmente quanto devi fare e patire per ottenere questa felicità, per non perdere né macchiare una così stimabile bellezza con colpa alcuna, per leggera che sia, e per non ritardarla con nessuna imperfezione. Voglio, inoltre, che tu, ad imitazione di quello che io feci con Elisabetta mia cugina, non accetti né stringa amicizia con creature umane e tratti solamente con coloro con i quali puoi e devi parlare delle opere dell'Altissimo e dei suoi misteri e con chi ti può insegnare il cammino vero del suo divino beneplacito. Anche se avessi grandi impegni e preoccupazioni, non devi dimenticare né lasciare le tue devozioni e l'ordine della vita perfetta; infatti, questo non si deve conservare ed osservare solo quando ci è comodo, ma anche nelle maggiori contraddizioni, difficoltà ed occupazioni, perché alla natura imperfetta basta poco per rilassarsi.


13 febbraio 1942

Madre Pierina Micheli

Entrata in camera fui assalita dal nemico e ficcata al muro fino alle due del mattino. Ricevetti tante sferzate, ma questo fu il meno. Mi spingeva alla disperazione, alla ribellione della Volontà Divina! Che non Ti offenda o Gesù!