Liturgia delle Ore - Letture
Mercoledi della 16° settimana del tempo ordinario (Santa Brigida)
Vangelo secondo Giovanni 10
1"In verità, in verità vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore per la porta, ma vi sale da un'altra parte, è un ladro e un brigante.2Chi invece entra per la porta, è il pastore delle pecore.3Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore una per una e le conduce fuori.4E quando ha condotto fuori tutte le sue pecore, cammina innanzi a loro, e le pecore lo seguono, perché conoscono la sua voce.5Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei".6Questa similitudine disse loro Gesù; ma essi non capirono che cosa significava ciò che diceva loro.
7Allora Gesù disse loro di nuovo: "In verità, in verità vi dico: io sono la porta delle pecore.8Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati.9Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvo; entrerà e uscirà e troverà pascolo.10Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza.11Io sono il buon pastore. Il buon pastore offre la vita per le pecore.12Il mercenario invece, che non è pastore e al quale le pecore non appartengono, vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge e il lupo le rapisce e le disperde;13egli è un mercenario e non gli importa delle pecore.14Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me,15come il Padre conosce me e io conosco il Padre; e offro la vita per le pecore.16E ho altre pecore che non sono di quest'ovile; anche queste io devo condurre; ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge e un solo pastore.17Per questo il Padre mi ama: perché io offro la mia vita, per poi riprenderla di nuovo.18Nessuno me la toglie, ma la offro da me stesso, poiché ho il potere di offrirla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo comando ho ricevuto dal Padre mio".
19Sorse di nuovo dissenso tra i Giudei per queste parole.20Molti di essi dicevano: "Ha un demonio ed è fuori di sé; perché lo state ad ascoltare?".21Altri invece dicevano: "Queste parole non sono di un indemoniato; può forse un demonio aprire gli occhi dei ciechi?".
22Ricorreva in quei giorni a Gerusalemme la festa della Dedicazione. Era d'inverno.23Gesù passeggiava nel tempio, sotto il portico di Salomone.24Allora i Giudei gli si fecero attorno e gli dicevano: "Fino a quando terrai l'animo nostro sospeso? Se tu sei il Cristo, dillo a noi apertamente".25Gesù rispose loro: "Ve l'ho detto e non credete; le opere che io compio nel nome del Padre mio, queste mi danno testimonianza;26ma voi non credete, perché non siete mie pecore.27Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono.28Io do loro la vita eterna e non andranno mai perdute e nessuno le rapirà dalla mia mano.29Il Padre mio che me le ha date è più grande di tutti e nessuno può rapirle dalla mano del Padre mio.30Io e il Padre siamo una cosa sola".
31I Giudei portarono di nuovo delle pietre per lapidarlo.32Gesù rispose loro: "Vi ho fatto vedere molte opere buone da parte del Padre mio; per quale di esse mi volete lapidare?".33Gli risposero i Giudei: "Non ti lapidiamo per un'opera buona, ma per la bestemmia e perché tu, che sei uomo, ti fai Dio".34Rispose loro Gesù: "Non è forse scritto nella vostra Legge: 'Io ho detto: voi siete dèi'?35Ora, se essa ha chiamato dèi coloro ai quali fu rivolta la parola di Dio (e la Scrittura non può essere annullata),36a colui che il Padre ha consacrato e mandato nel mondo, voi dite: Tu bestemmi, perché ho detto: Sono Figlio di Dio?37Se non compio le opere del Padre mio, non credetemi;38ma se le compio, anche se non volete credere a me, credete almeno alle opere, perché sappiate e conosciate che il Padre è in me e io nel Padre".39Cercavano allora di prenderlo di nuovo, ma egli sfuggì dalle loro mani.
40Ritornò quindi al di là del Giordano, nel luogo dove prima Giovanni battezzava, e qui si fermò.41Molti andarono da lui e dicevano: "Giovanni non ha fatto nessun segno, ma tutto quello che Giovanni ha detto di costui era vero".42E in quel luogo molti credettero in lui.
Secondo libro delle Cronache 1
1Salomone figlio di Davide si affermò nel regno. Il Signore suo Dio era con lui e lo rese molto grande.
2Salomone mandò ordini a tutto Israele, ai capi di migliaia e di centinaia, ai magistrati, a tutti i principi di tutto Israele e ai capifamiglia.3Poi Salomone e tutto Israele con lui si recarono all'altura di Gàbaon, perché là si trovava la tenda del convegno di Dio, eretta da Mosè, servo di Dio, nel deserto.4Ma l'arca di Dio Davide l'aveva trasportata da Kiriat-Iearìm nel luogo che aveva preparato per essa, perché egli aveva innalzato per essa una tenda in Gerusalemme.5L'altare di bronzo, opera di Bezalèel figlio di Uri, figlio di Cur, era là davanti alla Dimora del Signore. Salomone e l'assemblea vi andarono per consultare il Signore.6Salomone salì all'altare di bronzo davanti al Signore nella tenda del convegno e vi offrì sopra mille olocausti.
7In quella notte Dio apparve a Salomone e gli disse: "Chiedimi ciò che vuoi che io ti conceda".8Salomone disse a Dio: "Tu hai trattato mio padre Davide con grande benevolenza e mi hai fatto regnare al suo posto.9Ora, Signore Dio, si avveri la tua parola a Davide mio padre, perché mi hai costituito re su un popolo numeroso come la polvere della terra.10Ora concedimi saggezza e scienza e che io possa guidare questo popolo; perché chi potrebbe mai governare questo tuo grande popolo?".
11Dio disse a Salomone: "Poiché ti sta a cuore una cosa simile e poiché non hai domandato né ricchezze, né beni, né gloria, né la vita dei tuoi nemici e neppure una lunga vita, ma hai domandato piuttosto saggezza e scienza per governare il mio popolo, su cui ti ho costituito re,12saggezza e scienza ti saranno concesse. Inoltre io ti darò ricchezze, beni e gloria, quali non ebbero mai i re tuoi predecessori e non avranno mai i tuoi successori".13Salomone poi dall'altura, che si trovava in Gàbaon, tornò a Gerusalemme, lontano dalla tenda del convegno, e regnò su Israele.
14Salomone radunò carri e cavalli; aveva millequattrocento carri e dodicimila cavalli, distribuiti nelle città dei carri e presso il re in Gerusalemme.15Il re fece in modo che in Gerusalemme l'argento e l'oro abbondassero come i sassi e i cedri fossero numerosi come i sicomòri nella Sefela.16I cavalli di Salomone provenivano da Muzri e da Kue; i mercanti del re li acquistavano in Kue.17Essi facevano venire e importavano da Muzri un carro per seicento sicli d'argento, un cavallo per centocinquanta. In tal modo ne importavano per fornirli a tutti i re degli Hittiti e ai re di Aram.
18Salomone decise di costruire un tempio al nome del Signore e una reggia per sé.
Siracide 49
1Il ricordo di Giosia è una mistura di incenso,
preparata dall'arte del profumiere.
In ogni bocca è dolce come il miele,
come musica in un banchetto.
2Egli si dedicò alla riforma del popolo
e sradicò i segni abominevoli dell'empietà.
3Diresse il suo cuore verso il Signore,
in un'epoca di iniqui riaffermò la pietà.
4Se si eccettuano Davide, Ezechia e Giosia,
tutti commisero peccati;
poiché avevano abbandonato la legge dell'Altissimo,
i re di Giuda scomparvero.
5Lasciarono infatti la loro potenza ad altri,
la loro gloria a una nazione straniera.
6I nemici incendiarono l'eletta città del santuario,
resero deserte le sue strade,
7secondo la parola di Geremia, che essi maltrattarono
benché fosse stato consacrato profeta nel seno materno,
per estirpare, distruggere e mandare in rovina,
ma anche per costruire e piantare.
8Ezechiele contemplò una visione di gloria,
che Dio gli mostrò sul carro dei cherubini.
9Si ricordò dei nemici nel vaticinio dell'uragano,
beneficò quanti camminavano nella retta via.
10Le ossa dei dodici profeti rifioriscano dalle loro
tombe,
poiché essi consolarono Giacobbe,
lo riscattarono con una speranza fiduciosa.
11Come elogiare Zorobabele?
Egli è come un sigillo nella mano destra.
12Così anche Giosuè figlio di Iozedèk;
essi nei loro giorni riedificarono il tempio
ed elevarono al Signore un tempio santo,
destinato a una gloria eterna.
13Anche la memoria di Neemia durerà a lungo;
egli rialzò le nostre mura demolite
e vi pose porte e sbarre; fece risorgere le nostre case.
14Nessuno fu creato sulla terra eguale a Enoch;
difatti egli fu rapito dalla terra.
15Non nacque un altro uomo come Giuseppe,
capo dei fratelli, sostegno del popolo;
perfino le sue ossa furono onorate.
16Sem e Set furono glorificati fra gli uomini,
ma superiore a ogni creatura vivente è Adamo.
Salmi 22
1'Al maestro del coro. Sull'aria: "Cerva dell'aurora". Salmo. Di Davide.'
2"Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?
Tu sei lontano dalla mia salvezza":
sono le parole del mio lamento.
3Dio mio, invoco di giorno e non rispondi,
grido di notte e non trovo riposo.
4Eppure tu abiti la santa dimora,
tu, lode di Israele.
5In te hanno sperato i nostri padri,
hanno sperato e tu li hai liberati;
6a te gridarono e furono salvati,
sperando in te non rimasero delusi.
7Ma io sono verme, non uomo,
infamia degli uomini, rifiuto del mio popolo.
8Mi scherniscono quelli che mi vedono,
storcono le labbra, scuotono il capo:
9"Si è affidato al Signore, lui lo scampi;
lo liberi, se è suo amico".
10Sei tu che mi hai tratto dal grembo,
mi hai fatto riposare sul petto di mia madre.
11Al mio nascere tu mi hai raccolto,
dal grembo di mia madre sei tu il mio Dio.
12Da me non stare lontano,
poiché l'angoscia è vicina
e nessuno mi aiuta.
13Mi circondano tori numerosi,
mi assediano tori di Basan.
14Spalancano contro di me la loro bocca
come leone che sbrana e ruggisce.
15Come acqua sono versato,
sono slogate tutte le mie ossa.
Il mio cuore è come cera,
si fonde in mezzo alle mie viscere.
16È arido come un coccio il mio palato,
la mia lingua si è incollata alla gola,
su polvere di morte mi hai deposto.
17Un branco di cani mi circonda,
mi assedia una banda di malvagi;
hanno forato le mie mani e i miei piedi,
18posso contare tutte le mie ossa.
Essi mi guardano, mi osservano:
19si dividono le mie vesti,
sul mio vestito gettano la sorte.
20Ma tu, Signore, non stare lontano,
mia forza, accorri in mio aiuto.
21Scampami dalla spada,
dalle unghie del cane la mia vita.
22Salvami dalla bocca del leone
e dalle corna dei bufali.
23Annunzierò il tuo nome ai miei fratelli,
ti loderò in mezzo all'assemblea.
24Lodate il Signore, voi che lo temete,
gli dia gloria la stirpe di Giacobbe,
lo tema tutta la stirpe di Israele;
25perché egli non ha disprezzato
né sdegnato l'afflizione del misero,
non gli ha nascosto il suo volto,
ma, al suo grido d'aiuto, lo ha esaudito.
26Sei tu la mia lode nella grande assemblea,
scioglierò i miei voti davanti ai suoi fedeli.
27I poveri mangeranno e saranno saziati,
loderanno il Signore quanti lo cercano:
"Viva il loro cuore per sempre".
28Ricorderanno e torneranno al Signore
tutti i confini della terra,
si prostreranno davanti a lui
tutte le famiglie dei popoli.
29Poiché il regno è del Signore,
egli domina su tutte le nazioni.
30A lui solo si prostreranno quanti dormono sotto terra,
davanti a lui si curveranno
quanti discendono nella polvere.
E io vivrò per lui,
31lo servirà la mia discendenza.
Si parlerà del Signore alla generazione che viene;
32annunzieranno la sua giustizia;
al popolo che nascerà diranno:
"Ecco l'opera del Signore!".
Geremia 10
1Ascoltate la parola che il Signore vi rivolge,
casa di Israele.
2Così dice il Signore:
"Non imitate la condotta delle genti
e non abbiate paura dei segni del cielo,
perché le genti hanno paura di essi.
3Poiché ciò che è il terrore dei popoli è un nulla,
non è che un legno tagliato nel bosco,
opera delle mani di chi lavora con l'ascia.
4È ornato di argento e di oro,
è fissato con chiodi e con martelli,
perché non si muova.
5Gli idoli sono come uno spauracchio
in un campo di cocòmeri,
non sanno parlare,
bisogna portarli, perché non camminano.
Non temeteli, perché non fanno alcun male,
come non è loro potere fare il bene".
6Non sono come te, Signore;
tu sei grande
e grande la potenza del tuo nome.
7Chi non ti temerà, re delle nazioni?
Questo ti conviene,
poiché fra tutti i saggi delle nazioni
e in tutti i loro regni
nessuno è simile a te.
8Sono allo stesso tempo stolti e testardi;
vana la loro dottrina, come un legno.
9Argento battuto e laminato portato da Tarsìs
e oro di Ofir,
lavoro di artista e di mano di orafo,
di porpora e di scarlatto è la loro veste:
tutti lavori di abili artisti.
10Il Signore, invece, è il vero Dio,
egli è Dio vivente e re eterno;
al suo sdegno trema la terra,
i popoli non resistono al suo furore.
11Direte loro:
"Gli dèi che non hanno fatto il cielo e la terra scompariranno dalla terra e sotto il cielo".
12Egli ha formato la terra con potenza,
ha fissato il mondo con sapienza,
con intelligenza ha disteso i cieli.
13Al rombo della sua voce rumoreggiano le acque nel cielo.
Egli fa salire le nubi dall'estremità della terra,
produce lampi per la pioggia
e manda fuori il vento dalle sue riserve.
14Rimane inebetito ogni uomo, senza comprendere;
resta confuso ogni orafo per i suoi idoli,
poiché è menzogna ciò che ha fuso
e non ha soffio vitale.
15Essi sono vanità, opere ridicole;
al tempo del loro castigo periranno.
16Non è tale l'eredità di Giacobbe,
perché egli ha formato ogni cosa.
Israele è la tribù della sua eredità,
Signore degli eserciti è il suo nome.
17Raccogli il tuo fardello fuori dal paese,
tu che sei cinta d'assedio,
18poiché dice il Signore:
"Ecco, questa volta, caccerò lontano
gli abitanti del paese;
li ridurrò alle strette, perché mi ritrovino".
19Guai a me a causa della mia ferita;
la mia piaga è incurabile.
Eppure io avevo pensato:
"È solo un dolore che io posso sopportare".
20La mia tenda è sfasciata
tutte le mie corde sono rotte.
I miei figli si sono allontanati da me e più non sono.
Nessuno pianta ancora la mia tenda
e stende i miei teli.
21I pastori sono diventati insensati,
non hanno ricercato più il Signore;
per questo non hanno avuto successo,
anzi è disperso tutto il loro gregge.
22Si ode un rumore che avanza
e un grande frastuono giunge da settentrione,
per ridurre le città di Giuda un deserto,
un rifugio di sciacalli.
23"Lo so, Signore, che l'uomo non è padrone della sua via,
non è in potere di chi cammina il dirigere i suoi passi.
24Correggimi, Signore, ma con giusta misura,
non secondo la tua ira, per non farmi vacillare".
25Riversa la tua collera sui popoli
che non ti conoscono
e sulle stirpi
che non invocano il tuo nome,
poiché hanno divorato Giacobbe
l'hanno divorato e consumato,
e hanno distrutto la sua dimora.
Prima lettera ai Corinzi 15
1Vi rendo noto, fratelli, il vangelo che vi ho annunziato e che voi avete ricevuto, nel quale restate saldi,2e dal quale anche ricevete la salvezza, se lo mantenete in quella forma in cui ve l'ho annunziato. Altrimenti, avreste creduto invano!
3Vi ho trasmesso dunque, anzitutto, quello che anch'io ho ricevuto: che cioè Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture,4fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture,5e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici.6In seguito apparve a più di cinquecento fratelli in una sola volta: la maggior parte di essi vive ancora, mentre alcuni sono morti.7Inoltre apparve a Giacomo, e quindi a tutti gli apostoli.8Ultimo fra tutti apparve anche a me come a un aborto.9Io infatti sono l'infimo degli apostoli, e non sono degno neppure di essere chiamato apostolo, perché ho perseguitato la Chiesa di Dio.10Per grazia di Dio però sono quello che sono, e la sua grazia in me non è stata vana; anzi ho faticato più di tutti loro, non io però, ma la grazia di Dio che è con me.11Pertanto, sia io che loro, così predichiamo e così avete creduto.
12Ora, se si predica che Cristo è risuscitato dai morti, come possono dire alcuni tra voi che non esiste risurrezione dei morti?13Se non esiste risurrezione dai morti, neanche Cristo è risuscitato!14Ma se Cristo non è risuscitato, allora è vana la nostra predicazione ed è vana anche la vostra fede.15Noi, poi, risultiamo falsi testimoni di Dio, perché contro Dio abbiamo testimoniato che egli ha risuscitato Cristo, mentre non lo ha risuscitato, se è vero che i morti non risorgono.16Se infatti i morti non risorgono, neanche Cristo è risorto;17ma se Cristo non è risorto, è vana la vostra fede e voi siete ancora nei vostri peccati.18E anche quelli che sono morti in Cristo sono perduti.19Se poi noi abbiamo avuto speranza in Cristo soltanto in questa vita, siamo da compiangere più di tutti gli uomini.
20Ora, invece, Cristo è risuscitato dai morti, primizia di coloro che sono morti.21Poiché se a causa di un uomo venne la morte, a causa di un uomo verrà anche la risurrezione dei morti;22e come tutti muoiono in Adamo, così tutti riceveranno la vita in Cristo.23Ciascuno però nel suo ordine: prima Cristo, che è la primizia; poi, alla sua venuta, quelli che sono di Cristo;24poi sarà la fine, quando egli consegnerà il regno a Dio Padre, dopo aver ridotto al nulla ogni principato e ogni potestà e potenza.25Bisogna infatti che egli regni finché non abbia posto tutti i nemici sotto i suoi piedi.26L'ultimo nemico ad essere annientato sarà la morte,27perché 'ogni cosa ha posto sotto i suoi piedi'. Però quando dice che ogni cosa è stata sottoposta, è chiaro che si deve eccettuare Colui che gli ha sottomesso ogni cosa.28E quando tutto gli sarà stato sottomesso, anche lui, il Figlio, sarà sottomesso a Colui che gli ha sottomesso ogni cosa, perché Dio sia tutto in tutti.
29Altrimenti, che cosa farebbero quelli che vengono battezzati per i morti? Se davvero i morti non risorgono, perché si fanno battezzare per loro?30E perché noi ci esponiamo al pericolo continuamente?31Ogni giorno io affronto la morte, come è vero che voi siete il mio vanto, fratelli, in Cristo Gesù nostro Signore!32Se soltanto per ragioni umane io avessi combattuto a Èfeso contro le belve, a che mi gioverebbe? Se i morti non risorgono, 'mangiamo e beviamo, perché domani moriremo'.33Non lasciatevi ingannare: "Le cattive compagnie corrompono i buoni costumi".34Ritornate in voi, come conviene, e non peccate! Alcuni infatti dimostrano di non conoscere Dio; ve lo dico a vostra vergogna.
35Ma qualcuno dirà: "Come risuscitano i morti? Con quale corpo verranno?".36Stolto! Ciò che tu semini non prende vita, se prima non muore;37e quello che semini non è il corpo che nascerà, ma un semplice chicco, di grano per esempio o di altro genere.38E Dio gli dà un corpo come ha stabilito, e a ciascun seme il proprio corpo.39Non ogni carne è la medesima carne; altra è la carne di uomini e altra quella di animali; altra quella di uccelli e altra quella di pesci.40Vi sono corpi celesti e corpi terrestri, ma altro è lo splendore dei corpi celesti, e altro quello dei corpi terrestri.41Altro è lo splendore del sole, altro lo splendore della luna e altro lo splendore delle stelle: ogni stella infatti differisce da un'altra nello splendore.42Così anche la risurrezione dei morti: si semina corruttibile e risorge incorruttibile;43si semina ignobile e risorge glorioso, si semina debole e risorge pieno di forza;44si semina un corpo animale, risorge un corpo spirituale.
Se c'è un corpo animale, vi è anche un corpo spirituale, poiché sta scritto che45il primo 'uomo', Adamo, 'divenne un essere vivente', ma l'ultimo Adamo divenne spirito datore di vita.46Non vi fu prima il corpo spirituale, ma quello animale, e poi lo spirituale.47Il primo uomo tratto dalla terra è di terra, il secondo uomo viene dal cielo.48Quale è l'uomo fatto di terra, così sono quelli di terra; ma quale il celeste, così anche i celesti.49E come abbiamo portato l'immagine dell'uomo di terra, così porteremo l'immagine dell'uomo celeste.50Questo vi dico, o fratelli: la carne e il sangue non possono ereditare il regno di Dio, né ciò che è corruttibile può ereditare l'incorruttibilità.
51Ecco io vi annunzio un mistero: non tutti, certo, moriremo, ma tutti saremo trasformati,52in un istante, in un batter d'occhio, al suono dell'ultima tromba; suonerà infatti la tromba e i morti risorgeranno incorrotti e noi saremo trasformati.53È necessario infatti che questo corpo corruttibile si vesta di incorruttibilità e questo corpo mortale si vesta di immortalità.
54Quando poi questo corpo corruttibile si sarà vestito d'incorruttibilità e questo corpo mortale d'immortalità, si compirà la parola della Scrittura:
'La morte è stata ingoiata per la vittoria.'
55'Dov'è, o morte, la tua vittoria?
Dov'è, o morte, il tuo pungiglione'?
56Il pungiglione della morte è il peccato e la forza del peccato è la legge.57Siano rese grazie a Dio che ci dà la vittoria per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo!58Perciò, fratelli miei carissimi, rimanete saldi e irremovibili, prodigandovi sempre nell'opera del Signore, sapendo che la vostra fatica non è vana nel Signore.
Capitolo XI: La conquista della pace interiore e l'amore del progresso spirituale
Leggilo nella Biblioteca1. Se non ci volessimo impicciare di quello che dicono o di quello che fanno gli altri, e di cose che non ci riguardano, potremmo avere una grande pace interiore. Come, infatti, è possibile che uno mantenga a lungo l'animo tranquillo se si intromette nelle faccende altrui, se va a cercare all'esterno i suoi motivi di interesse, se raramente e superficialmente si raccoglie in se stesso? Beati i semplici, giacché avranno grande pace. Perché mai alcuni santi furono così perfetti e pieni di spirito contemplativo? Perché si sforzarono di spegnere completamente in sé ogni desiderio terreno, cosicché - liberati e staccati da se stessi - potessero stare totalmente uniti a Dio, con tutto il cuore. Noi, invece, siamo troppo presi dai nostri sfrenati desideri, e troppo preoccupati delle cose di quaggiù; di rado riusciamo a vincere un nostro difetto, anche uno soltanto, e non siamo ardenti nel tendere al nostro continuo miglioramento. E così restiamo inerti e tiepidi. Se fossimo, invece, totalmente morti a noi stessi e avessimo una perfetta semplicità interiore, potremmo perfino avere conoscenza delle cose di Dio, e fare esperienza, in qualche misura, della contemplazione celeste. Il vero e più grande ostacolo consiste in ciò, che non siamo liberi dalle passioni e dalle brame, e che non ci sforziamo di entrare nella via della perfezione, che fu la via dei santi: anzi, appena incontriamo una difficoltà, anche di poco conto, ci lasciamo troppo presto abbattere e ci volgiamo a consolazioni terrene.
2. Se facessimo di tutto, da uomini forti, per non abbandonare la battaglia, tosto vedremmo venire a noi dal cielo l'aiuto del Signore. Il quale prontamente sostiene coloro che combattono fiduciosi nella sua grazia; anzi, ci procura occasioni di lotta proprio perché ne usciamo vittoriosi. Che se facciamo consistere il progresso spirituale soltanto in certe pratiche esteriori, tosto la nostra religione sarà morta. Via, mettiamo la scure alla radice, cosicché, liberati dalle passioni, raggiungiamo la pace dello spirito. Se ci strappassimo via un solo vizio all'anno diventeremmo presto perfetti. Invece spesso ci accorgiamo del contrario; troviamo cioè che quando abbiamo indirizzata la nostra vita a Dio eravamo più buoni e più puri di ora, dopo molti anni di vita religiosa. Il fervore e l'avanzamento spirituale dovrebbe crescere di giorno in giorno; invece già sembra gran cosa se uno riesce a tener viva una particella del fervore iniziale.
3. Se facessimo un poco di violenza a noi stessi sul principio, potremmo poi fare ogni cosa facilmente e gioiosamente. Certo è difficile lasciare ciò a cui si è abituati; ancor più difficile è camminare in senso contrario al proprio desiderio. Ma se non riesci a vincere nelle cose piccole e da poco, come supererai quelle più gravi? Resisti fin dall'inizio alla tua inclinazione; distaccati dall'abitudine, affinché questa non ti porti, a poco a poco, in una situazione più ardua. Se tu comprendessi quanta pace daresti a te stesso e quanta gioia procureresti agli altri, e vivendo una vita dedita al bene, sono certo che saresti più sollecito nel tendere al tuo profitto spirituale.
LETTERA 168: Timasio e Giacomo ringraziano Agostino per il libro su La natura e la grazia, scritto per loro contro l'opuscolo di Pelagio che difendeva la natura non senza ostilità contro la grazia.
Lettere - Sant'Agostino
Leggilo nella BibliotecaScritta nel 415.
Timasio e Giacomo ringraziano Agostino per il libro su La natura e la grazia, scritto per loro contro l'opuscolo di Pelagio che difendeva la natura non senza ostilità contro la grazia.
TIMASIO E GIACOMO SALUTANO NEL SIGNORE IL LORO SANTISSIMO SIGNORE E VENERANDO PADRE AGOSTINO, VESCOVO
Girolamo benemerito della cultura ecclesiastica.
1. Noi, santissimo signore e venerando padre, siamo stati talmente rianimati e ricreati dalla grazia di Dio comunicataci per mezzo della tua parola, che abbiamo esclamato tutt'e due: " Ha inviato la sua parola e li ha guariti 1". Effettivamente noi costatiamo che la Santità tua ha sottoposto il testo di quell'opera a un esame così diligente, da rimanere sorpresi che hai dato la risposta ad ogni particolare, sia sui punti che un cristiano deve rifiutare, detestare e fuggire, sia su quelli in cui l'autore, pur non sostenendo errori manifesti, ha tuttavia espresso mediante una non so quale astuzia l'opinione che la grazia di Dio dev'essere abolita. Ciononostante una sola cosa ci addolora a proposito del grande servizio che ci hai reso, che cioè questo tanto eccellente dono della grazia di Dio sia brillato troppo tardi ai nostri occhi. Poiché è capitato che fossero assenti alcuni ai quali, accecati dall'errore, era necessaria questa così chiara spiegazione della verità; ma non disperiamo che arrivi - anche se un po' tardi - la medesima grazia con l'aiuto di Dio il quale desidera che tutti gli uomini si salvino e giungano alla conoscenza della verità 2. Per parte nostra, noi che già da tempo, istruiti mediante lo spirito di chiarezza che tu possiedi, ci siamo liberati dalla schiavitù di quell'errore, ti ringraziamo adesso anche perché grazie alle spiegazioni più abbondanti dateci dalla Santità tua, con cui ci hai aperto la via, abbiamo conosciuto come insegnare con più facilità agli altri ciò che già da tempo abbiamo creduto. (E d'altra mano): La misericordia di Dio esalti la Santità tua conservandoti sempre in buona salute e memore di noi.
1 - Sal 106, 20.
2 - 1 Tm 2, 14.
3 - L'angelo del Signore parla a san Giuseppe in sogno.
La mistica Città di Dio - Libro quarto - Suor Maria d'Agreda
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397. Il dolore della gelosia afferra talmente chi ne è avvinto, che spesso, anziché scuoterlo, lo mantiene come in uno stato di veglia e gli toglie il riposo ed il sonno. Nessuno soffrì questa passione come san Giuseppe, anche se nessuno ne avrebbe avuto minor motivo, se egli avesse allora conosciuto la verità. Era dotato di grande conoscenza e luce per comprendere la santità della sua sposa divina e le sue qualità, che erano inestimabili. Presentandosi dei motivi che lo obbligavano a lasciare il possesso di un bene così grande, ne seguiva necessariamente che quanto maggiore era la conoscenza di ciò che perdeva, tanto più grande fosse il dolore di lasciarlo. Per questa ragione il dolore di san Giuseppe superò tutto quello che a questo proposito hanno sofferto gli altri uomini; nessuno infatti tenne maggiormente in considerazione là sua perdita, e nessuno poté conoscerla e valutarla come lui. Nonostante ciò, vi fu una grande differenza tra la gelosia di questo servo fedele e quella degli altri che patiscono una simile tribolazione. Infatti questa passione aggiunge al veemente e fervido amore una grande preoccupazione di conservare ciò che si ama; a questo sentimento segue per naturale necessità il dolore di perdere l'oggetto del nostro amore e l'immaginare che qualcuno potrà togliercelo. Questa sofferenza è quella che comunemente si chiama gelosia. Ora, nei soggetti che hanno le passioni disordinate per mancanza di prudenza e di altre virtù, tale pena di solito provoca diversi effetti d'ira, di furore e d'invidia contro la stessa persona amata, o contro quello che impedisce la corrispondenza dell'amore, sia questo male o bene ordinato. Pertanto si sollevano le tempeste di immaginazioni e di sospetti infondati e stravaganti, che vengono generati dalle stesse passioni e che danno origine alle velleità di bramare e di detestare, di amare e di pentirsi; l'irascibilità e la concupiscenza sono in continua lotta, e non possono essere dominate dalla ragione e dalla prudenza, perché questa sorta di male oscura l'intelletto, perverte la ragione ed allontana la prudenza.
398. In san Giuseppe, tuttavia, non vi furono questi disordini viziosi, né vi potevano essere, non solo per la sua santità insigne, ma anche per quella della sua sposa, perché egli non scorgeva in lei alcuna colpa che lo sdegnasse. Inoltre il santo non pensò mai che ella avesse impegnato il suo amore con qualcun altro, nei confronti del quale egli potesse provare invidia, respingendolo con ira. Nel suo grande amore san Giuseppe fondò la sua gelosia solamente su un dubbio, se cioè la sua castissima sposa avesse corrisposto a questo sentimento. Non riusciva a vincere questo sospetto di fronte agli indizi ben precisi che aveva. Perché il dolore fosse tanto veemente, non fu necessaria maggiore certezza circa l'oggetto della sua preoccupazione, dato che per un bene tanto personale come la sposa è giusto non ammettere rivali. Inoltre, all'amore veemente e casto che occupava tutto il cuore del santo bastava trovarsi davanti al minimo indizio d'infedeltà e della possibilità di perdere l'oggetto più bello, perfetto e conforme al suo desiderio e alla sua volontà, perché provasse tale pena. Infatti, quando l'amore ha così giuste motivazioni, grandi ed efficaci sono i lacci e i vincoli, fortissimi i ceppi che lo trattengono, soprattutto quando non vi è l'opposizione d'imperfezioni che li rompono. Nella nostra Regina, sia in relazione a quanto aveva di divino che a quanto aveva di naturale, non c'era nulla che moderasse e temperasse l'amore del suo santo sposo e che anzi non lo fomentasse sempre piu.
399. Con questo dolore che già si era mutato in tristezza, dopo la preghiera da me riferita, san Giuseppe dormì un po', sicuro di risvegliarsi in tempo per uscire dalla sua casa a mezzanotte senza essere sentito dalla sua sposa. La divina Signora stava attendendo e sollecitando con le sue umili preghiere la soluzione, perché sapeva che, essendo la tribolazione del suo sposo giunta a tal punto e al culmine del dolore, si avvicinava il tempo della misericordia e del sollievo per un cuore tanto afflitto. Dio mandò l'arcangelo Gabriele a san Giuseppe mentre stava dormendo, affinché gli manifestasse per divina rivelazione il mistero della gravidanza della sua sposa Maria. L'arcangelo, per portare questo messaggio, andò dal santo e gli parlò in sogno, svelandogli tutto il mistero dell'incarnazione e re denzione con le parole riferite da san Matteo. A qualcuno può recare un po' di meraviglia - come l'ha suscitata in me - il vedere che il santo arcangelo parlò a san Giuseppe in sogno, essendo il mistero sublime e non facile da comprendere, soprattutto nello stato d'animo del santo, così turbato ed afflitto, tanto più se considerano che ad altri fu manifestato mentre erano svegli.
400. In queste opere del Signore l'ultima ragione è quella della sua divina volontà in tutto giusta, santa e perfetta. In ordine però a ciò che ho compreso, dirò alcune cose, come potrò, per nostro insegnamento. Il primo motivo è che san Giuseppe era tanto prudente e pieno di luce divina ed aveva un così alto concetto di Maria signora nostra, che non fu necessario persuaderlo con mezzi più efficaci per renderlo sicuro della dignità di lei e dei misteri dell'incarnazione, poiché nei cuori ben disposti le ispirazioni divine pervengono felicemente al loro scopo. Il secondo motivo è che il suo turbamento era incominciato dai sensi, quando si era accorto della gravidanza della sua sposa. Per questo fu giusto che, avendo essi dato motivo all'inganno e al sospetto, fossero come mortificati e privati della visione angelica e del compito di far entrare nel santo sposo la verità. Il terzo motivo è conseguente a questo, perché san Giuseppe, anche se non commise colpa, patì quel turbamento, e con esso i sensi rimasero come intorpiditi e poco ricettivi alla vista e comunicazione sensibile del santo angelo. Era quindi conveniente che gli parlasse e portasse il messaggio in un momento in cui i sensi, precedentemente sconvolti, si trovassero impediti dalla sospensione delle loro facoltà; quando, poi, una volta sveglio, ne riprese l'uso, il santo uomo si purificò e si preparò con molti atti, come dirò, per ricevere l'influsso dello Spirito Santo, perché il turbamento era di ostacolo a tutto.
401. Da questo s'intende perché Dio, parlava in sogno più frequentemente ai Padri di quanto non faccia adesso con i figli della Chiesa, nella quale, rispetto a questa modalità di rivelazioni attraverso i sogni, è più frequente quella che si avvale di manifestazioni e comunicazioni date per mezzo di angeli. La ragione è che, secondo la disposizione divina, l'impedimento maggiore per le anime a poter avere uno scambio e un rapporto molto familiare con Dio e con i suoi angeli è dato dai peccati, seppur leggeri, e dalle imperfezioni. Ora, dopo l'incarnazione del Verbo e la sua vita sulla terra, si purificarono i sensi e si purificano giornalmente le nostre facoltà, che vengono santificate dai sacramenti, in virtù dei quali in qualche modo si spiritualizzano e si sublimano, si ravvivano e si rendono capaci, nelle loro attività, della partecipazione degli influssi divini. E noi, più che gli antichi, dobbiamo questo beneficio al sangue di Cristo nostro Signore, in virtù del quale siamo santificati per mezzo dei sacramenti, ricevendo attraverso di essi effetti divini di grazie speciali, e in alcuni il carattere spirituale, che ci segna e dispone per fini più alti. Ma quando il Signore parla in sogno, esclude le attività dei sensi come incapaci di entrare in comunicazione con lui e di ricevere i suoi influssi spirituali.
402. Si rileva ancora da questo insegnamento che, perché le anime possano essere degne dei favori segreti del Signore, non solo è necessario che siano senza colpa e che abbiano meriti, ma che godano anche quiete e tranquillità; infatti, se l'insieme delle facoltà è turbato, come avvenne nel santo Giuseppe, l'anima non si trova disposta per ricevere effetti tanto divini e sublimi come quelli che le procurano la visione del Signore e le sue carezze. Ciò è tanto logico che, per quanto la creatura acquisti meriti con la tribolazione e soffra afflizioni, come accadeva allo sposo della Regina, quell'alterazione non cessa di essere d'impedimento, perché nel patire vi è conflitto con le tenebre, mentre il godere è riposare in pace nel possesso della luce; inoltre, non è compatibile con questa avere davanti le tenebre, anche se per scacciarle. Ma nel mezzo del combattimento contro le tentazioni, che è come fosse in sogno o di notte, di solito si sente e conosce la voce del Signore per mezzo degli angeli, come avvenne al nostro san Giuseppe, il quale udì ed intese tutto quello che diceva san Gabriele, cioè che non temesse di rimanere con la sua sposa Maria, perché era opera dello Spirito Santo ciò che ella portava nel suo grembo; che avrebbe partorito un figlio, il quale si sarebbe chiamato Gesù e sarebbe divenuto salvatore del suo popolo; infine, che in tutto questo mistero si sarebbe adempiuta la profezia di Isaia: Ecco: la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele, che significa Dio con noia. San Giuseppe non vide l'angelo sotto forma visibile, udì solamente la voce interiore e comprese il mistero. Dalle parole che gli disse, si deduce che san Giuseppe nella sua determinazione aveva lasciato Maria santissima, poiché l'angelo gli comandò di prenderla con sé senza timore alcuno.
403. San Giuseppe si risvegliò certo del mistero rivelato e persuaso che la sua sposa era vera Madre di Dio. Tra la gioia della sua impensata fortuna ed il nuovo dolore di ciò che aveva fatto, si prostrò a terra, e con un altro turbamento, con timore e giubilo, fece atti eroici di umiltà e riconoscenza. Rese grazie al Signore per il mistero che gli aveva rivelato e per averlo fatto sposo di colei che sua Maestà si era scelto per madre, mentre egli non meritava neppure di essere suo schiavo. Con questa conoscenza e con questi atti di virtù, lo spirito di san Giuseppe restò sereno e disposto per ricevere nuovi influssi dello Spirito Santo. Con il dubbio e il turbamento provati, si consolidarono in lui in profondità le fondamenta dell'umiltà, che doveva avere colui al quale veniva affidata la realizzazione dei più alti consigli del Signore. La memoria di questa vicenda gli fu scuola permanente, che gli servì per tutta la vita. Fatta questa orazione a Dio, il santo uomo incominciò a rimproverarsi fra sé, dicendo: «O mia divina sposa e mansuetissima colomba, eletta dall'Altissimo come sua abitazione e madre! Come questo indegno schiavo ebbe ardire di dubitare della tua fedeltà? Come la polvere e la cenere si lasciò servire da colei che è Regina del cielo e della terra e signora di ogni cosa creata? Come non ho baciato il suolo toccato dai tuoi piedi? Come non ho posto tutta la mia sollecitudine nel servirti in ginocchio? Come alzerò gli occhi alla tua presenza e ardirò stare in tua compagnia ed aprire le mie labbra per parlarti? Signore e Dio eterno, datemi grazia e forza per domandarle perdono, mettetele in cuore di usare con me misericordia e di non disprezzare questo servo ravveduto, come meriterebbe. Ahimè! Come è piena di luce e di grazia e come racchiude in sé l'Autore della luce, così le saranno stati manifesti tutti i miei pensieri, ed avendo io deciso di lasciarla davvero, sarà audacia il comparire innanzi ai suoi occhi! Conosco la stoltezza del mio procedere e la stupidità del mio inganno, poiché alla vista di tanta santità ammisi indegni pensieri e dubbi quanto alla sua fedelissima corrispondenza, che io non meritavo. E se per mio castigo, altissimo Signore, la vostra giustizia avesse permesso che io eseguissi la mia fallace determinazione, quale sarebbe adesso la mia sventura? Eternamente vi sarò riconoscente, Dio mio, di così incomparabile beneficio. Concedetemi, o Re potentissimo, di rendervi qualche degna retribuzione. Mi presenterò alla mia Signora e sposa, fiducioso nella dolcezza della sua clemenza, e prostrato ai suoi piedi le chiederò perdono, affinché grazie a lei, voi, mio Dio e Signore eterno, mi guardiate come Padre e perdoniate il mio errore».
404. Con questo cambiamento il santo sposo uscì dalla sua povera stanza, trovandosi, nel risvegliarsi, tanto fortunato quanto diverso da quello che era quando si era ritirato per dormire. E poiché la Regina del cielo era sempre appartata nella sua stanza, non volle richiamarla dalla dolcezza della sua contemplazione, sino a che ella non avesse voluto. Frattanto, l'uomo di Dio sciolse il fagotto che aveva preparato, spargendo abbondanti lacrime con sentimenti molto diversi da quelli provati prima. Piangendo e cominciando a venerare la sua divina sposa, riordinò la casa, spazzò il suolo sul quale dovevano posarsi i suoi santi piedi e sbrigò altre faccende che era solito lasciare alla divina Signora quando ancora non conosceva la sua dignità. Determinò di cambiare metodo e stile di comportamento verso di lei, applicando a sé il compito di servo e a lei quello di signora. Di conseguenza, da quel giorno in poi vi furono tra loro delle ammirabili contese in ordine a chi doveva servire e mostrarsi più umile. La Regina del cielo guardava tutto quello che passava nel cuore di san Giuseppe, senza che le rimanesse sconosciuto pensiero né movimento alcuno. E quando fu ora, il santo si avvicinò alla stanza di sua Altezza, che lo stava attendendo con la mansuetudine, l'affabilità e la compiacenza di cui dirò nel prossimo capitolo.
Insegnamento che mi diede la Regina del cielo
405. Figlia mia, per quello che hai compreso in questo capitolo, hai un dolce motivo di lodare il Signore, conoscendo l'ordine ammirabile della sua sapienza nell'affliggere e nel consolare i suoi servi ed eletti; egli è sapientissimo e pietosissimo nell'uno e nell'altro caso, per liberarli tutti con maggiori aumenti di merito e di gloria. Oltre a questa consapevolezza, voglio che tu ne riceva un'altra molto importante per il tuo comportamento e per la stretta comunicazione che il Signore vuole avere con te. Questa consiste nel procurare con ogni attenzione di conservarti sempre in tranquillità e pace interiore, senza dare spazio a turbamento alcuno che te la tolga o la ostacoli a causa di una qualche vicenda della vita mortale, servendoti da esempio e da insegnamento ciò che avvenne al mio sposo san Giuseppe nella circostanza di cui hai scritto. L'Altissimo non vuole che nella tribolazione la creatura si turbi, ma che acquisti meriti; non che venga meno, ma che faccia esperienza di quanto può con la grazia. E sebbene i venti gagliardi delle tentazioni di solito si abbattano con tutto il loro impeto sul porto della più grande pace e conoscenza di Dio, sebbene dal turbamento stesso la creatura possa ricavare la profonda conoscenza di sé e l'umiliazione, tuttavia, se non torna alla tranquillità e quiete interiore, non si trova disposta perché il Signore la visiti, la chiami e la innalzi alle sue carezze. Infatti, sua Maestà non viene in mezzo al vento impetuoso, né i raggi di quel supremo sole di giustizia si possono percepire finché non vi è serenità nelle anime.
406. Se la mancanza di questa quiete è di tanto impedimento all'intima familiarità con l'Altissimo, è chiaro che le colpe sono di maggiore ostacolo per ottenere un così grande beneficio. In questo insegnamento ti voglio molto attenta, e desidero che giudichi di non avere diritto all'uso delle tue facoltà contro di esso. Inoltre, giacché tante volte hai offeso il Signore, ricorri alla sua misericordia, piangi e purificati sempre più. Bada bene che hai il dovere, sotto pena di essere condannata come infedele, di custodire la tua anima e conservarla come eterna dimora dell'Onnipotente, pura, trasparente e serena, affinché il suo padrone la possieda e abiti degnamente in essa. L'ordine delle tue facoltà e dei tuoi sensi deve essere un'armonia soavissima e delicata di strumenti musicali: quanto più essi sono concordi, tanto più grande è il pericolo di perdere tale accordo. Per questo deve essere maggiore la preoccupazione di custodirli e conservarli intatti da ogni cosa terrena, perché solamente l'aria contaminata degli oggetti mondani basta ad alterare ed infettare facoltà tanto dedite a Dio. Impegnati, dunque, e vigila su te stessa, mantenendo il controllo su di esse e sulle loro attività. Se qualche volta ti turberai, procura di rivolgerti subito alla luce divina, ricevendola senza mutamento né diffidenza, e operando con essa ciò che è più perfetto e puro. A tal fine ti do come esempio il mio santo sposo Giuseppe, il quale senza ritardo né sospetto alcuno diede credito al santo arcangelo e subito, con pronta ubbidienza, fece ciò che gli fu comandato; per questo meritò di essere elevato a grandi premi e dignità. E se tanto si umiliò, senza aver peccato in ciò che aveva fatto, solamente per essersi turbato con tanti motivi fondati, benché apparenti, considera tu, che sei un povero vermiciattolo, quanto devi riconoscerti polvere e abbassarti fino a terra, piangendo le tue negligenze e colpe, sino a che l'Altissimo ti guardi come Padre e come sposo.
6-36 Aprile 26, 1904 L’abito non fa il monaco.
Luisa Piccarreta (Libro di Cielo)
(1) Questa mattina, trovandomi fuori di me stessa mi sono trovata col bambino Gesù in braccia, circondata da varie persone devote, sacerdoti, molte delle quali intenti alla vanità, al lusso ed alla moda, e pareva che dicevano tra loro quel detto antico: “L’abito non fa monaco”. Il benedetto Gesù mi ha detto:
(2) “Diletta mia, oh! quanto mi sento defraudato della gloria che mi deve la creatura, e con tanta sfacciataggine mi nega, e fin dalle persone che si dicono devote”.
(3) Io nel sentire ciò ho detto: “Carino del mio cuore, recitiamo tre Gloria Patri mettendo l’intenzione di dare tutta quella gloria che deve la creatura alla vostra Divinità, così riceverete almeno una riparazione”.
(4) E Lui: “Sì, sì, recitiamole”.
(5) E le abbiamo recitato insieme, poi abbiamo recitato un’Ave Maria, mettendo pure l’intenzione di dare alla Regina Madre tutta quella gloria che le devono le creature. Oh! come era bello pregare col benedetto Gesù, mi trovavo così bene che ho soggiunto: “Diletto mio, quanto vorrei fare la professione di fede nelle vostre mani col recitare insieme con Voi il Credo”.
(6) E Lui: “Il Credo lo reciterai tu sola, perché a te spetta, non a Me, e lo dirai a nome di tutte le creature per darmi più gloria ed onore”.
(7) Ond’io ho messo le mie mani nelle sue ed ho recitato il Credo, dopo ciò il benedetto Gesù mi ha detto:
(8) “Figlia mia, pare che mi sento più sollevato ed allontanata quella nube nera dell’ingratitudine umana, specie delle devote. Ah! figlia mia, l’azione esterna ha tanta forza di penetrare nell’interno, da formare una veste materiale all’anima, e quando il tocco divino la tocca, non lo sentono vivo, perché hanno la veste fangosa investita l’anima, e non sentendo la vivacità della grazia, la grazia o viene respinta o resta infruttuosa. Oh! quanto è difficile godere piaceri, vestire di lusso esternamente, e disprezzarli internamente, anzi succede il contrario, cioè, d’amare nell’interno e di godere di ciò che esternamente ci circonda. Figlia mia, considera tu stessa quale n’è il dolore del mio cuore in questi tempi, vedere la mia grazia respinta da tutta specie di gente, mentre tutta la mia consolazione è il soccorrere le creature, e tutta la vita delle creature è l’aiuto divino, e le creature mi respingono indietro il mio soccorso ed il mio aiuto. Entra tu a parte del mio dolore e compatisci le mie amarezze”.
(9) Detto ciò ha scomparso, restando tutta afflitta per le pene del mio adorabile Gesù.