Liturgia delle Ore - Letture
Venerdi dell'Ottava di Pasqua
Vangelo secondo Marco 13
1Mentre usciva dal tempio, un discepolo gli disse: "Maestro, guarda che pietre e che costruzioni!".2Gesù gli rispose: "Vedi queste grandi costruzioni? Non rimarrà qui pietra su pietra, che non sia distrutta".3Mentre era seduto sul monte degli Ulivi, di fronte al tempio, Pietro, Giacomo, Giovanni e Andrea lo interrogavano in disparte:4"Dicci, quando accadrà questo, e quale sarà il segno che tutte queste cose staranno per compiersi?".
5Gesù si mise a dire loro: "Guardate che nessuno v'inganni!6Molti verranno in mio nome, dicendo: "Sono io", e inganneranno molti.7E quando sentirete parlare di guerre, non allarmatevi; bisogna infatti che ciò avvenga, ma non sarà ancora la fine.8Si leverà infatti nazione contro nazione e regno contro regno; vi saranno terremoti sulla terra e vi saranno carestie. Questo sarà il principio dei dolori.
9Ma voi badate a voi stessi! Vi consegneranno ai sinedri, sarete percossi nelle sinagoghe, comparirete davanti a governatori e re a causa mia, per render testimonianza davanti a loro.10Ma prima è necessario che il vangelo sia proclamato a tutte le genti.11E quando vi condurranno via per consegnarvi, non preoccupatevi di ciò che dovrete dire, ma dite ciò che in quell'ora vi sarà dato: poiché non siete voi a parlare, ma lo Spirito Santo.12Il fratello consegnerà a morte il fratello, il padre il figlio e i figli insorgeranno contro i genitori e li metteranno a morte.13Voi sarete odiati da tutti a causa del mio nome, ma chi avrà perseverato sino alla fine sarà salvato.
14Quando vedrete 'l'abominio della desolazione' stare là dove non conviene, chi legge capisca, allora quelli che si trovano nella Giudea fuggano ai monti;15chi si trova sulla terrazza non scenda per entrare a prender qualcosa nella sua casa;16chi è nel campo non torni indietro a prendersi il mantello.17Guai alle donne incinte e a quelle che allatteranno in quei giorni!18Pregate che ciò non accada d'inverno;19perché quei giorni saranno 'una tribolazione, quale non è mai stata dall'inizio della creazione', fatta da Dio, 'fino al presente', né mai vi sarà.20Se il Signore non abbreviasse quei giorni, nessun uomo si salverebbe. Ma a motivo degli eletti che si è scelto ha abbreviato quei giorni.21Allora, dunque, se qualcuno vi dirà: "Ecco, il Cristo è qui, ecco è là", non ci credete;22perché sorgeranno falsi cristi e falsi profeti e faranno segni e portenti per ingannare, se fosse possibile, anche gli eletti.23Voi però state attenti! Io vi ho predetto tutto.
24In quei giorni, dopo quella tribolazione,
'il sole si oscurerà
e la luna non darà più il suo splendore'
25'e gli astri si metteranno a cadere' dal cielo
'e le potenze che sono nei cieli' saranno sconvolte.
26Allora vedranno 'il Figlio dell'uomo venire sulle nub'i con grande potenza e gloria.27Ed egli manderà gli angeli e riunirà i suoi eletti dai quattro venti, dall'estremità della terra fino all'estremità del cielo.
28Dal fico imparate questa parabola: quando già il suo ramo si fa tenero e mette le foglie, voi sapete che l'estate è vicina;29così anche voi, quando vedrete accadere queste cose, sappiate che egli è vicino, alle porte.30In verità vi dico: non passerà questa generazione prima che tutte queste cose siano avvenute.31Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno.32Quanto poi a quel giorno o a quell'ora, nessuno li conosce, neanche gli angeli nel cielo, e neppure il Figlio, ma solo il Padre.
33State attenti, vegliate, perché non sapete quando sarà il momento preciso.34È come uno che è partito per un viaggio dopo aver lasciato la propria casa e dato il potere ai servi, a ciascuno il suo compito, e ha ordinato al portiere di vigilare.35Vigilate dunque, poiché non sapete quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino,36perché non giunga all'improvviso, trovandovi addormentati.37Quello che dico a voi, lo dico a tutti: Vegliate!".
Giuditta 16
1Giuditta disse:
"Lodate il mio Dio con i timpani,
cantate al Signore con cembali,
elevate a lui l'accordo del salmo e della lode;
esaltate e invocate il suo nome.
2Poiché il Signore è il Dio che stronca le guerre;
egli mi ha riportata nel suo accampamento
in mezzo al suo popolo,
mi ha salvata dalle mani dei miei persecutori.
3Calò Assur dai monti, giù da settentrione,
calò con le torme dei suoi armati,
il suo numero ostruì i torrenti,
i suoi cavalli coprirono i colli.
4Affermò di bruciare il mio paese,
di stroncare i miei giovani con la spada,
di schiacciare al suolo i miei lattanti,
di prender come preda i miei fanciulli,
di rapire le mie vergini.
5Il Signore onnipotente li ha rintuzzati
per mano di donna!
6Poiché non cadde il loro capo contro giovani forti,
né figli di titani lo percossero,
né alti giganti l'oppressero,
ma Giuditta figlia di Merari,
con la bellezza del suo volto lo fiaccò.
7Essa depose la veste di vedova
per sollievo degli afflitti in Israele,
si unse con aroma il volto,
8cinse del diadema i capelli,
indossò una veste di lino per sedurlo.
9I suoi sandali rapirono i suoi occhi
la sua bellezza avvinse il suo cuore
e la scimitarra gli troncò il collo.
10I Persiani rabbrividirono per il suo coraggio,
per la sua forza raccapricciarono i Medi.
11Allora i miei poveri alzarono il grido di guerra
e quelli si spaventarono;
i miei deboli alzarono il grido
e quelli furono sconvolti;
gettarono alte grida e quelli volsero in fuga.
12Come figli di donnicciuole li trafissero,
li trapassarono come disertori,
perirono sotto le schiere del mio Signore.
13Innalzerò al mio Dio un canto nuovo:
Signore, grande sei tu e glorioso,
mirabile nella tua potenza e invincibile.
14Ti sia sottomessa ogni tua creatura:
perché tu dicesti e tutte le cose furon fatte;
mandasti il tuo spirito e furono costruite
e nessuno può resistere alla tua voce.
15I monti sulle loro basi insieme con le acque sussulteranno,
davanti a te le rocce si struggeranno come cera;
ma a coloro che ti temono
tu sarai sempre propizio.
16Poca cosa è per te ogni sacrificio in soave odore,
non basta quanto è pingue per farti un olocausto;
ma chi teme il Signore è sempre grande.
17Guai alle genti che insorgono contro il mio popolo:
il Signore onnipotente li punirà nel giorno del giudizio,
immettendo fuoco e vermi nelle loro carni,
e piangeranno nel tormento per sempre".
18Quando giunsero a Gerusalemme si prostrarono ad adorare Dio e, appena il popolo fu purificato, offrirono i loro olocausti e le offerte spontanee e i doni.19Giuditta dedicò tutti gli oggetti di Oloferne, che il popolo le aveva dati, e anche la cortina che aveva presa direttamente dal letto di lui, come offerta consacrata a Dio.20Il popolo continuò a far festa in Gerusalemme vicino al tempio per tre mesi e Giuditta rimase con loro.
21Dopo quei giorni, ognuno tornò nella propria sede ereditaria; Giuditta tornò a Betulia e dimorò nella sua proprietà e divenne famosa in tutta la terra durante la sua vita.22Molti ne erano anche invaghiti, ma nessun uomo poté avvicinarla per tutti i giorni della sua vita da quando suo marito Manàsse morì e fu riunito al suo popolo.23Essa andò molto avanti negli anni protraendo la vecchiaia nella casa del marito fino a centocinque anni: alla sua ancella preferita aveva concesso la libertà. Morì in Betulia e la seppellirono nella grotta sepolcrale del marito Manàsse24e la casa d'Israele la pianse sette giorni. Prima di morire aveva diviso i suoi beni tra i parenti più stretti di Manàsse suo marito e tra i parenti più stretti della sua famiglia.25Né vi fu più nessuno che incutesse timore agli Israeliti finché visse Giuditta e per un lungo periodo dopo la sua morte.
Salmi 66
1'Al maestro del coro. Canto. Salmo.'
Acclamate a Dio da tutta la terra,
2cantate alla gloria del suo nome,
date a lui splendida lode.
3Dite a Dio: "Stupende sono le tue opere!
Per la grandezza della tua potenza
a te si piegano i tuoi nemici.
4A te si prostri tutta la terra,
a te canti inni, canti al tuo nome".
5Venite e vedete le opere di Dio,
mirabile nel suo agire sugli uomini.
6Egli cambiò il mare in terra ferma,
passarono a piedi il fiume;
per questo in lui esultiamo di gioia.
7Con la sua forza domina in eterno,
il suo occhio scruta le nazioni;
i ribelli non rialzino la fronte.
8Benedite, popoli, il nostro Dio,
fate risuonare la sua lode;
9è lui che salvò la nostra vita
e non lasciò vacillare i nostri passi.
10Dio, tu ci hai messi alla prova;
ci hai passati al crogiuolo, come l'argento.
11Ci hai fatti cadere in un agguato,
hai messo un peso ai nostri fianchi.
12Hai fatto cavalcare uomini sulle nostre teste;
ci hai fatto passare per il fuoco e l'acqua,
ma poi ci hai dato sollievo.
13Entrerò nella tua casa con olocausti,
a te scioglierò i miei voti,
14i voti pronunziati dalle mie labbra,
promessi nel momento dell'angoscia.
15Ti offrirò pingui olocausti
con fragranza di montoni,
immolerò a te buoi e capri.
16Venite, ascoltate, voi tutti che temete Dio,
e narrerò quanto per me ha fatto.
17A lui ho rivolto il mio grido,
la mia lingua cantò la sua lode.
18Se nel mio cuore avessi cercato il male,
il Signore non mi avrebbe ascoltato.
19Ma Dio ha ascoltato,
si è fatto attento alla voce della mia preghiera.
20Sia benedetto Dio che non ha respinto la mia preghiera,
non mi ha negato la sua misericordia.
Salmi 44
1'Al maestro del coro. Dei figli di Core. Maskil.'
2Dio, con i nostri orecchi abbiamo udito,
i nostri padri ci hanno raccontato
l'opera che hai compiuto ai loro giorni,
nei tempi antichi.
3Tu per piantarli, con la tua mano hai sradicato le genti,
per far loro posto, hai distrutto i popoli.
4Poiché non con la spada conquistarono la terra,
né fu il loro braccio a salvarli;
ma il tuo braccio e la tua destra
e la luce del tuo volto,
perché tu li amavi.
5Sei tu il mio re, Dio mio,
che decidi vittorie per Giacobbe.
6Per te abbiamo respinto i nostri avversari
nel tuo nome abbiamo annientato i nostri aggressori.
7Infatti nel mio arco non ho confidato
e non la mia spada mi ha salvato,
8ma tu ci hai salvati dai nostri avversari,
hai confuso i nostri nemici.
9In Dio ci gloriamo ogni giorno,
celebrando senza fine il tuo nome.
10Ma ora ci hai respinti e coperti di vergogna,
e più non esci con le nostre schiere.
11Ci hai fatti fuggire di fronte agli avversari
e i nostri nemici ci hanno spogliati.
12Ci hai consegnati come pecore da macello,
ci hai dispersi in mezzo alle nazioni.
13Hai venduto il tuo popolo per niente,
sul loro prezzo non hai guadagnato.
14Ci hai resi ludibrio dei nostri vicini,
scherno e obbrobrio a chi ci sta intorno.
15Ci hai resi la favola dei popoli,
su di noi le nazioni scuotono il capo.
16L'infamia mi sta sempre davanti
e la vergogna copre il mio volto
17per la voce di chi insulta e bestemmia,
davanti al nemico che brama vendetta.
18Tutto questo ci è accaduto
e non ti avevamo dimenticato,
non avevamo tradito la tua alleanza.
19Non si era volto indietro il nostro cuore,
i nostri passi non avevano lasciato il tuo sentiero;
20ma tu ci hai abbattuti in un luogo di sciacalli
e ci hai avvolti di ombre tenebrose.
21Se avessimo dimenticato il nome del nostro Dio
e teso le mani verso un dio straniero,
22forse che Dio non lo avrebbe scoperto,
lui che conosce i segreti del cuore?
23Per te ogni giorno siamo messi a morte,
stimati come pecore da macello.
24Svègliati, perché dormi, Signore?
Dèstati, non ci respingere per sempre.
25Perché nascondi il tuo volto,
dimentichi la nostra miseria e oppressione?
26Poiché siamo prostrati nella polvere,
il nostro corpo è steso a terra.
Sorgi, vieni in nostro aiuto;
27salvaci per la tua misericordia.
Michea 7
1Ahimè! Sono diventato
come uno spigolatore d'estate,
come un racimolatore dopo la vendemmia!
Non un grappolo da mangiare,
non un fico per la mia voglia.
2L'uomo pio è scomparso dalla terra,
non c'è più un giusto fra gli uomini:
tutti stanno in agguato
per spargere sangue;
ognuno da' la caccia con la rete al fratello.
3Le loro mani son pronte per il male;
il principe avanza pretese,
il giudice si lascia comprare,
il grande manifesta la cupidigia
e così distorcono tutto.
4Il migliore di loro non è che un pruno,
il più retto una siepe di spine.
Il giorno predetto dalle tue sentinelle,
il giorno del castigo è giunto,
adesso è la loro rovina.
5Non credete all'amico,
non fidatevi del compagno.
Custodisci le porte della tua bocca
davanti a colei che riposa vicino a te.
6Il figlio insulta suo padre,
la figlia si rivolta contro la madre,
la nuora contro la suocera
e i nemici dell'uomo
sono quelli di casa sua.
7Ma io volgo lo sguardo al Signore,
spero nel Dio della mia salvezza,
il mio Dio m'esaudirà.
8Non gioire della mia sventura,
o mia nemica!
Se son caduta, mi rialzerò;
se siedo nelle tenebre,
il Signore sarà la mia luce.
9Sopporterò lo sdegno del Signore
perché ho peccato contro di lui,
finché egli tratti la mia causa
e mi renda ragione,
finché mi faccia uscire alla luce
e io veda la sua giustizia.
10La mia nemica lo vedrà
e sarà coperta di vergogna,
lei che mi diceva:
"Dov'è il Signore tuo Dio?".
I miei occhi gioiranno nel vederla
calpestata come fango della strada.
11È il giorno in cui le tue mura
saranno riedificate;
in quel giorno più ampi saranno i tuoi confini;
12in quel giorno si verrà a te
dall'Assiria fino all'Egitto,
dall'Egitto fino all'Eufrate,
da mare a mare, da monte a monte.
13La terra diventerà un deserto
a causa dei suoi abitanti,
a motivo delle loro azioni.
14Pasci il tuo popolo con la tua verga,
il gregge della tua eredità,
che sta solitario nella foresta
in mezzo ai giardini;
pascolino in Basàn e in Gàlaad
come nei tempi antichi.
15Come quando sei uscito dall'Egitto,
mostraci cose prodigiose.
16Vedranno le genti e resteranno deluse
di tutta la loro potenza.
Si porranno la mano sulla bocca,
i loro orecchi ne resteranno assorditi.
17Leccheranno la polvere come il serpente,
come i rettili della terra;
usciranno tremanti dai loro nascondigli,
trepideranno e di te avranno timore.
18Qual dio è come te,
che toglie l'iniquità e perdona il peccato
al resto della sua eredità;
che non serba per sempre l'ira,
ma si compiace d'usar misericordia?
19Egli tornerà ad aver pietà di noi,
calpesterà le nostre colpe.
Tu getterai in fondo al mare tutti i nostri peccati.
20Conserverai a Giacobbe la tua fedeltà,
ad Abramo la tua benevolenza,
come hai giurato ai nostri padri
fino dai tempi antichi.
Lettera agli Efesini 5
1Fatevi dunque imitatori di Dio, quali figli carissimi,2e camminate nella carità, nel modo che anche Cristo vi ha amato e ha dato se stesso per noi, offrendosi a Dio in sacrificio di soave odore.
3Quanto alla fornicazione e a ogni specie di impurità o cupidigia, neppure se ne parli tra voi, come si addice a santi;4lo stesso si dica per le volgarità, insulsaggini, trivialità: cose tutte sconvenienti. Si rendano invece azioni di grazie!5Perché, sappiatelo bene, nessun fornicatore, o impuro, o avaro - che è roba da idolàtri - avrà parte al regno di Cristo e di Dio.
6Nessuno vi inganni con vani ragionamenti: per queste cose infatti piomba l'ira di Dio sopra coloro che gli resistono.7Non abbiate quindi niente in comune con loro.8Se un tempo eravate tenebra, ora siete luce nel Signore. Comportatevi perciò come i figli della luce;9il frutto della luce consiste in ogni bontà, giustizia e verità.10Cercate ciò che è gradito al Signore,11e non partecipate alle opere infruttuose delle tenebre, ma piuttosto condannatele apertamente,12poiché di quanto viene fatto da costoro in segreto è vergognoso perfino parlare.13Tutte queste cose che vengono apertamente condannate sono rivelate dalla luce, perché tutto quello che si manifesta è luce.14Per questo sta scritto:
"Svégliati, o tu che dormi,
déstati dai morti
e Cristo ti illuminerà".
15Vigilate dunque attentamente sulla vostra condotta, comportandovi non da stolti, ma da uomini saggi;16profittando del tempo presente, perché i giorni sono cattivi.17Non siate perciò inconsiderati, ma sappiate comprendere la volontà di Dio.18E non ubriacatevi di vino, il quale porta alla sfrenatezza, ma siate ricolmi dello Spirito,19intrattenendovi a vicenda con salmi, inni, cantici spirituali, cantando e inneggiando al Signore con tutto il vostro cuore,20rendendo continuamente grazie per ogni cosa a Dio Padre, nel nome del Signore nostro Gesù Cristo.
21Siate sottomessi gli uni agli altri nel timore di Cristo.
22Le mogli siano sottomesse ai mariti come al Signore;23il marito infatti è capo della moglie, come anche Cristo è capo della Chiesa, lui che è il salvatore del suo corpo.24E come la Chiesa sta sottomessa a Cristo, così anche le mogli siano soggette ai loro mariti in tutto.
25E voi, mariti, amate le vostre mogli, come Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei,26per renderla santa, purificandola per mezzo del lavacro dell'acqua accompagnato dalla parola,27al fine di farsi comparire davanti la sua Chiesa tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolata.28Così anche i mariti hanno il dovere di amare le mogli come il proprio corpo, perché chi ama la propria moglie ama se stesso.29Nessuno mai infatti ha preso in odio la propria carne; al contrario la nutre e la cura, come fa Cristo con la Chiesa,30poiché siamo membra del suo corpo.31'Per questo l'uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà alla sua donna e i due formeranno una carne sola'.32Questo mistero è grande; lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa!33Quindi anche voi, ciascuno da parte sua, ami la propria moglie come se stesso, e la donna sia rispettosa verso il marito.
Capitolo LIV: Gli opposti impulsi della natura e della grazia
Leggilo nella Biblioteca1. Figlio, considera attentamente gli impulsi della natura e quelli della grazia; come si muovono in modo nettamente contrario, ma così sottilmente che soltanto, e a fatica, li distingue uno che sia illuminato da interiore spiritualità. Tutti, invero, desiderano il bene e, con le loro parole e le loro azioni, tendono a qualcosa di buono; ma, appunto per una falsa apparenza del bene, molti sono ingannati. La natura è scaltra, trascina molta gente, seduce, inganna e mira sempre a se stessa. La grazia, invece, cammina schietta, evita il male, sotto qualunque aspetto esso appaia; non prepara intrighi; tutto fa soltanto per amore di Dio, nel quale, alla fine, trova la sua quiete. La natura non vuole morire, non vuole essere soffocata e vinta, non vuole essere schiacciata, sopraffatta o sottomessa, né mettersi da sé sotto il giogo. La grazia, invece, tende alla mortificazione di sé e resiste alla sensualità, desidera e cerca di essere sottomessa e vinta; non vuole avere una sua libertà, preferisce essere tenuta sotto disciplina; non vuole prevalere su alcuno, ma vuole sempre vivere restando sottoposta a Dio; è pronta a cedere umilmente a ogni creatura umana, per amore di Dio. La natura s'affanna per il suo vantaggio, e bada all'utile che le possa venire da altri. La grazia, invece, tiene conto di ciò che giova agli altri, non del profitto e dell'interesse propri. La natura gradisce onori e omaggi. La grazia, invece, ogni onore e ogni lode li attribuisce a Dio. La natura rifugge dalla vergogna e dal disprezzo. La grazia, invece, si rallegra "di patire oltraggi nel nome di Gesù" (At 5,41). La natura inclina all'ozio e alla tranquillità materiale. La grazia, invece, non può stare oziosa e accetta con piacere la fatica. La natura mira a possedere cose rare e belle, mentre detesta quelle spregevoli e grossolane. La grazia, invece, si compiace di ciò che è semplice e modesto; non disprezza le cose rozze, né rifugge dal vestire logori panni.
2. La natura guarda alle cose di questo tempo; gioisce dei guadagni e si rattrista delle perdite di quaggiù; si adira per una piccola parola offensiva. La grazia, invece, non sta attaccata all'oggi, ma guarda all'eternità; non si agita per la perdita di cose materiali; non si inasprisce per una parola un po' brusca, perché il suo tesoro e la sua gioia li pone nel cielo dove nulla perisce. La natura è avida, preferisce prendere che donare, ha caro ciò che è proprio e personale. La grazia, invece, è caritatevole e aperta agli altri; rifugge dalle cose personali, si contenta del poco, ritiene "più bello dare che ricevere" (At 20,35). La natura tende alle creature e al proprio corpo, alla vanità e alle chiacchiere. La grazia, invece, si volge a Dio e alle virtù; rinuncia alle creature, fugge il mondo, ha in orrore i desideri della carne, frena il desiderio di andare di qua e di là, si vergogna di comparire in pubblico. La natura gode volentieri di qualche svago esteriore, nel quale trovino piacere i sensi. La grazia, invece, cerca consolazione soltanto in Dio, e, al di sopra di ogni cosa di questo mondo, mira a godere del sommo bene. La natura tutto fa per il proprio guadagno e il proprio vantaggio; non può fare nulla senza ricevere nulla; per ogni favore spera di conseguirne uno uguale o più grande, oppure di riceverne lodi e approvazioni; desidera ardentemente che i suoi gesti e i suoi doni siano molto apprezzati. La grazia, invece, non cerca nulla che sia passeggero e non chiede, come ricompensa, altro premio che Dio soltanto; delle cose necessarie in questa vita non vuole avere più di quanto le possa essere utile a conseguire le cose eterne.
3. La natura si compiace di annoverare molte amicizie e parentele; si vanta della provenienza da un luogo celebre o della discendenza da nobile stirpe; sorride ai potenti, corteggia i ricchi ed applaude coloro che sono come lei. La grazia, invece, ama anche i nemici; non si esalta per la quantità degli amici; non dà importanza al luogo di origine o alla famiglia da cui discende, a meno che in essa vi sia una virtù superiore; è ben disposta verso il povero, più che verso il ricco; simpatizza maggiormente con la povera gente che con i potenti; sta volentieri con le persone sincere, non già con gli ipocriti; esorta sempre le anime buone ad ambire a "doni spirituali sempre più grandi" (1Cor 12,31), così da assomigliare, per le loro virtù, al Figlio di Dio. La natura, di qualcosa che manchi o che dia noia, subito si lamenta. La grazia sopporta con fermezza ogni privazione. La natura riferisce tutto a sé; lotta per sé, discute per sé. La grazia, invece, riconduce tutte le cose a Dio, da cui provengono come dalla loro origine; nulla di buono attribuisce a se stessa, non presume di sé con superbia; non contende, non pone l'opinione propria avanti alle altre; anzi si sottomette, in ogni suo sentimento e in ogni suo pensiero, all'eterna sapienza e al giudizio di Dio. La natura è avida di conoscere cose segrete e vuol sapere ogni novità; ama uscir fuori, per fare molte esperienze; desidera distinguersi e darsi da fare in modo che ad essa possa venirne lode e ammirazione. La grazia, invece, non si preoccupa di apprendere novità e curiosità, perché tutto il nuovo nasce da una trasformazione del vecchio, non essendoci mai, su questa terra, nulla che sia nuovo e duraturo. La grazia insegna, dunque, a tenere a freno i sensi, a evitare la vana compiacenza e l'ostentazione, a tener umilmente nascosto ciò che sarebbe degno di lode e di ammirazione, infine a tendere, in tutte le nostre azioni e i nostri studi, al vero profitto, alla lode e alla gloria di Dio. Non vuol far parlare di sé e delle cose sue, desiderando, invece, che, in tutti i suoi doni, sia lodato Iddio, che tutto elargisce per puro amore.
4. E', codesta grazia, una luce sovrannaturale, propriamente un dono particolare di Dio, un segno distintivo degli eletti, una garanzia della salvezza eterna. La grazia innalza l'uomo dalle cose terrestri all'amore del cielo e lo trasforma da carnale in spirituale. Adunque, quanto più si tiene in freno e si vince la natura, tanto maggior grazia viene infusa in noi; così, per mezzo di continue e nuove manifestazioni divine, l'uomo interiore si trasforma secondo l'immagine di Dio.
LETTERA 138: Agostino, rispondendo all'Ep. 136 di Marcellino, confuta le obiezioni dei pagani criticanti che Dio avesse abrogato la Legge antica e il sacrificio ebraico.
Lettere - Sant'Agostino
Leggilo nella BibliotecaScritta nel 411/412.
Agostino, rispondendo all'Ep. 136 di Marcellino, confuta le obiezioni dei pagani criticanti che Dio avesse abrogato la Legge antica e il sacrificio ebraico, ordinandone uno nuovo (nn. 1-8); ribatte l'asserzione secondo la quale la dottrina di Cristo sarebbe dannosa allo Stato (nn. 9-17) e svela le infamie del culto pagano e le frodi dei maghi che i pagani esaltavano al di sopra dei miracoli di Cristo (nn. 18-20).
AGOSTINO SALUTA NEL SIGNORE MARCELLINO, SUO ECCELLENTE E MERITAMENTE ILLUSTRE SIGNORE, SUO CARISSIMO E AMATISSIMO FIGLIO
Soluzione dei quesiti posti da Marcellino.
1. 1. All'illustre, chiarissimo e carissimo Volusiano mi sono limitato a rispondere solo riguardo ai quesiti da lui proposti. Quanto poi ai quesiti che tu stesso nella tua lettera mi hai proposto di spiegare a fondo e di risolvere come suggeriti o indicati da Volusiano o da altri, ho creduto doveroso inviarli a te particolarmente spiegati e risolti secondo le mie forze, non come si trattano questi argomenti in lavori che richiedono dei libri, ma nella misura che può bastare ad una corrispondenza epistolare, di modo che tu, se lo credi opportuno, possa leggere questa lettera ai tuoi amici, di cui nella conversazione quotidiana conosci per esperienza le obiezioni. Se però questo mio scritto non basta ai loro orecchi meno educati ai sentimenti religiosi della fede, trattiamo prima tra noi a fondo ciò che tu pensi possa loro bastare e alla fine si proponga loro la soluzione formulata. Anche se in molti punti la loro mentalità aborre e reagisce, col tempo, a forza di ragionamenti più copiosi e più sottili o almeno in base ad un'autorità a cui stimerebbero essi stessi cosa indegna l'opporsi, potranno forse acquistare la persuasione.
Primo quesito: Muta la Provvidenza mutando le cose?
1. 2. Ordunque, nella tua lettera affermi che alcuni obiettano " perché mai Dio, che si afferma essere il Dio anche dell'Antico Testamento, abbia disprezzato gli antichi sacrifici e si sia compiaciuto di nuovi. Asseriscono che non è lecito correggere se non ciò che si dimostra essere stato fatto male in precedenza, o dicono che in nessun modo si sarebbe dovuto mutare ciò che una volta è stato fatto bene. Dicono ancora che le cose ben fatte non si possono mutare se non ingiustamente" 1. Queste parole le ho, trascritte in questa mia dalla tua lettera. Se volessi rispondere sufficientemente a tali obiezioni, mi mancherebbe prima il tempo che gli esempi con cui provare che la natura delle cose e le opere umane possono mutare in base a una precisa disposizione, secondo l'opportunità dei tempi, senza che si alteri tuttavia la ragione stessa per cui queste cose mutano. Citerò solo alcuni esempi, affinché l'attenzione dello spirito ridestata in qualche modo da essi, corra sveglia alla ricerca d'un maggior numero di esempi somiglianti. All'inverno non succede forse l'estate col crescere man mano del calore? Alle ore del giorno non succedono forse, in alterne vicende, le ore della notte? Quante volte cangiano le nostre età! La fanciullezza, destinata a non più tornare, cede il posto all'adolescenza; all'adolescenza succede la gioventù, neppur essa destinata a rimanere; la vecchiaia, che pone fine alla giovinezza, è troncata dalla morte. Tutte queste cose mutano, ma non muta la disposizione della Provvidenza di Dio, per cui avviene che queste cose mutino. Non muta, credo, il principio razionale dell'agricoltura, quando il contadino, in estate, dà ordini diversi da quelli che dà in inverno, e non muta sistema di vita chi la mattina si alza dopo aver riposato la notte. Il maestro dà al giovane suggerimenti diversi da quelli che soleva dargli da fanciullo. La dottrina rimane costante: pur cambiando i precetti, non muta, ma impartisce nuove istruzioni.
Risposta di Vindiciano sulla diversità delle medicine.
1. 3. Vindiciano, famoso medico dei nostri tempi, consultato da un paziente, gli ordinò di applicare alla parte dolente la medicina che pareva opportuna per la circostanza. Quello l'applicò e guarì. Trascorsi alcuni anni e apparsa la stessa infermità fisica, il paziente credette di dover usare la stessa prescrizione medica; la usò, ma peggiorò. Meravigliato, ricorse al medico e gli spiegò il fatto; ma egli, acuto com'era, gli rispose: " Ti sei conciato male perché non sono stato io a prescriverti questa medicina ", talché gli astanti che l'udirono e lo conoscevano poco, credettero facesse meno assegnamento nell'arte medica che in non so quale diabolica virtù. Quando perciò alcuni, stupiti, più tardi lo interrogarono, spiegò loro ciò che non avevano capito, che cioè ormai non avrebbe più suggerito quel rimedio a un'età diversa. Tanta importanza ha dunque il dover cambiare le cose secondo le varie epoche, senza che mutino i criteri fondamentali e i precetti delle arti.
Non ben fatto è quanto non conviene alla diversità dei tempi.
1. 4. Non è quindi vero ciò che si dice, che " una cosa fatta bene una volta non deve essere assolutamente mutata ". Mutate le condizioni dei tempi, la stessa retta norma esige per lo più che si muti ciò che prima era ben fatto, sicché mentre essi dicono che non si agirebbe bene se si cambiasse, la verità proclama invece che si farebbe male a non cambiare, poiché l'una e l'altra cosa saranno ben fatte se saranno diverse secondo la diversità dei tempi. Può accadere nello stesso tempo che, trattandosi di persone diverse, sia lecito ad una compiere impunemente ciò che ad un'altra non è lecito, non perché sia diversa la cosa, ma perché è diverso chi la compie 2; allo stesso modo una medesima persona deve agire, in tempi diversi, a volte in un modo, a volte in un altro, non perché sia diversa da sé stessa la persona che agisce, ma perché è mutato il tempo.
Il sacrificio dell'Antico Testamento sostituito con uno più conveniente.
1. 5. Il problema ha un campo assai vasto di applicazioni: lo può ben vedere chi è capace di scoprire né disdegna di considerare la differenza che corre tra ciò che è bello e ciò che è conveniente, e ch'è per così dire diffusa nell'universo. Si considera bello per sé stesso e viene lodato ciò, il contrario del quale è il brutto e il deforme. Ciò che invece è conveniente, il cui contrario è lo sconveniente, pende come legato ad un'altra cosa né si giudica in sé stesso, ma dall'oggetto cui è connesso. Naturalmente anche il decente e l'indecente o è la medesima cosa o si considera allo stesso modo. Orbene, applica alla questione, di cui si tratta, le considerazioni fatte finora. Il sacrificio, che Dio aveva ordinato, era adatto ai primi tempi, ma ora non lo è più. Ecco perché ha prescritto un altro sacrificio, che fosse adatto al nostro tempo. Egli, immutabile creatore e moderatore delle cose mutevoli, molto più dell'uomo sa ciò che è opportuno per ciascuna età ' ciò che a un dato momento deve dare, aggiungere, portar via, detrarre, accrescere o diminuire fino a che la bellezza dell'universo, particelle del quale sono le cose adatte a ciascun tempo, non si svolga e si compia come il concerto di un ineffabile artista, e poi coloro che adorano Dio come si deve anche nel tempo in cui occorre credere, non passino all'eterna contemplazione della Bellezza assoluta.
I sacrifici servono non a Dio ma all'uomo.
1. 6. S'ingannano poi quanti credono che Dio imponga questi sacrifici per un proprio vantaggio o piacere e perciò giustamente non sanno spiegarsi perché Dio abbia operato questi mutamenti, come se per un piacere mutevole prescrivesse che gli si offrisse un sacrificio nel tempo passato e un altro nel tempo presente. Ma la cosa non sta così. Dio non ordina nulla che giovi a lui stesso, ma a colui al quale dà ordini. Vero signore è colui che non ha bisogno di servo, ma di cui ha bisogno il servo. Nella Scrittura, chiamata Antico Testamento, anche in quel tempo in cui si offrivano sacrifici che ora non si offrono più, si trova questa espressione: Ho detto al Signore: Tu sei il mio Signore, poiché non hai bisogno dei miei beni 3. Iddio dunque non aveva bisogno di questi sacrifici né ha mai bisogno di alcuna cosa, ma sono simboli dei beni largiti da Dio per impregnare l'anima di virtù o per farci ottenere la salvezza eterna; nel compierne la celebrazione si esercitano doveri di pietà utili non a Dio, bensì a noi.
I riti sacri del Nuovo Testamento annunciati dai Profeti.
1. 7. Sarebbe troppo lungo trattare convenientemente della verità dei simboli, che prendono nome di " sacramenti " quando si riferiscono alle cose divine. Allo stesso modo che l'uomo non cambia perché di mattina fa una cosa e di sera un'altra, in questo mese o anno fa una cosa diversa che in un altro mese o in un altro anno, così Iddio non è mutevole perché volle che nella prima epoca dell'universo gli si offrisse un sacrificio e nella posteriore uno diverso, affinché, senza che Egli mutasse per nulla, convenientemente disponesse, nel corso dei tempi che mutano, dei simboli appropriati all'insegnamento quanto mai salutare della religione. Coloro che s'impressionano di questi cambiamenti, sappiano che ciò esisteva già nella ragione divina e che, quando furono istituiti i nuovi sacrifici, non dispiacquero all'improvviso a Dio i precedenti, come se la sua volontà fosse cambiata, ma un simile disegno era già fisso e decretato nella stessa sapienza di Dio al quale anche a proposito di mutamenti maggiori la medesima Sacra Scrittura dice: Tu muterai quelle cose ed esse saranno mutate, ma Tu sei sempre lo stesso 4. A costoro bisogna far capire bene che tale mutazione dei riti sacri dell'Antico e del Nuovo Testamento fu anche predetta dai Profeti. In tal modo capiranno, se riuscirà loro possibile, che ciò che è nuovo nel tempo non lo è al cospetto di Colui che creò i tempi e che, senza tempo, possiede tutte le cose che distribuisce nei diversi tempi secondo la loro varietà 5. Nello stesso salmo di cui ho citato un versetto per dimostrare che Dio non ha bisogno dei nostri sacrifici, e cioè: Ho detto al Signore: Tu sei il mio Signore, poiché non hai bisogno dei miei beni, si legge poco dopo ciò ch'è posto in bocca a Cristo: Non convocherò le loro riunioni col sangue 6, cioè con le vittime di animali, con cui si riunivano prima le assemblee dei Giudei. Altrove dice: Non accetterò vitelli dalla tua mano né caproni dai tuoi greggi 7. Un altro Profeta: Ecco verranno i giorni, dice, che sancirò con la casa di Giacobbe una nuova alleanza, non come l'alleanza che feci per i loro padri, quando li trassi fuori dalla terra d'Egitto 8. Vi sono anche molti altri passi di questo genere, che ora sarebbe troppo lungo ricordare, nei quali è stato predetto che Dio avrebbe fatto ciò.
Riti diversi per Cristo venturo e per Cristo venuto.
1. 8. Forse è ormai apparso abbastanza evidente che una cosa, che in un dato tempo è stata ordinata bene, può in un altro tempo essere mutata sapientemente ad opera di Colui che la muta, senza che sia mutata la disposizione contenuta nell'ordine stabilito dalla sua intelligenza. In essa sono racchiuse insieme, senza successione nel tempo, le cose che non possono accadere tutte insieme nei diversi tempi, dato che questi non trascorrono tutti insieme in una sola volta. A questo punto qualcuno potrebbe forse attendersi di sapere da me le cause di questo mutamento, ma tu sai quanto sarebbe lunga la spiegazione. Nondimeno si potrebbe esprimere in breve questo concetto, che a una persona intelligente potrebbe forse bastare: che cioè l'avvento futuro di Cristo era opportuno fosse preannunciato con alcuni riti sacri, la venuta di Cristo invece fosse annunciata con altri, a quel modo che adesso noi, pur dicendo la medesima cosa, siamo stati costretti dalla diversità dei fatti a mutare anche le parole, se è vero che " l'essere preannunciati " è cosa diversa dall'" essere annunciati " come pure " l'avvento futuro " è tutt'altra cosa che " la venuta ".
Secondo quesito: La mitezza cristiana contraria al bene dello Stat.?
2. 9. Vediamo ora qual è il quesito che segue nella tua lettera. Hai soggiunto che gli oppositori dicono che " la predicazione e la dottrina di Cristo non si confanno in alcun modo alle leggi di uno Stato poiché, come si sa, essa prescrive che a nessuno dobbiamo restituire male per male 9, che dobbiamo offrire l'altra guancia a chi ci schiaffeggia, dare il mantello a chi tenta di portarci via la tunica, percorrere un doppio tratto di strada con chi ci costringe ad accompagnarlo " 10; cose tutte contrarie, così si afferma, alle leggi di uno Stato. " Chi infatti, dicono essi, si lascerebbe portar via qualcosa dal nemico o non vorrebbe, per diritto di guerra, ricambiare il male ai saccheggiatori di una provincia romana? " 11 Io forse confuterei con maggiore impegno questa o altre simili espressioni di censori che parlano spinti non tanto dal desiderio di censurare quanto d'indagare tale problema, se non discutessi con persone provviste d'una cultura liberale. Ma che bisogno c'è di affaticarsi troppo a lungo? Chiediamo piuttosto ad essi stessi in che modo poterono governare e accrescere lo Stato che da " piccolo e povero di mezzi resero grande e potente " gli antichi Romani che preferivano perdonare un torto ricevuto anziché vendicarsi 12? In che modo Cicerone, esaltando i costumi di Cesare, che fu certo capo dello Stato, poteva dire di lui che " nient'altro voleva dimenticare tranne le offese " 13? Cicerone diceva ciò o lodando Cesare o adulandolo esageratamente: se lo lodava, lo riconosceva come tale; se lo adulava, mostrava che un capo dello Stato doveva essere come egli falsamente lo esaltava. Orbene, che cos'è il non rendere male per male se non aborrire dalla brama di vendetta e cioè voler perdonare un torto ricevuto piuttosto che vendicarsi e non desiderare altro che dimenticare le offese?
Perdono e concordia cristiani, basi di ogni Stato.
2. 10. Quando queste espressioni si leggono nei loro scrittori, la gente prorompe in grida di approvazione e in applausi, si ha l'impressione che si rappresentino ed esaltino quei costumi, per cui era giusto che s'innalzasse lo Stato alla potenza con cui dominare su tutti i popoli, poiché i suoi cittadini preferivano " perdonare un torto ricevuto anziché vendicarsene ". Quando invece si legge che per comando di Dio non si deve rendere male per male 14, quando questo ammonimento così salutare risuona da un luogo più alto nelle adunanze dei fedeli, come a scuole pubbliche dell'uno e dell'altro sesso e di ogni età e grado sociale, si accusa la religione come nemica dello Stato. Se invece, come sarebbe giusto, si desse ascolto a questa religione, essa darebbe allo Stato un fondamento, una consacrazione, una forza, un accrescimento maggiore di quanto non fecero Romolo, Numa, Bruto e tutti gli altri famosi personaggi ed eroi del popolo romano. Che cos'è infatti lo Stato se non il bene comune del popolo? 15 Il bene comune di tutti e quindi senz'altro il bene dei cittadini d'uno Stato. Che cos'è d'altronde una comunità di cittadini se non una moltitudine di persone unite tra loro dal vincolo della concordia? Presso gli scrittori pagani infatti si legge: Una moltitudine dispersa e randagia formò in breve uno Stato in virtù della concordia 16. Ma quali precetti di concordia pensarono mai i Romani di far leggere nei loro templi, dal momento che quei poveri sventurati erano costretti a cercare il modo di poter onorare degli dèi discordi tra loro senz'offenderne alcuno? Se avessero voluto imitare gli dèi nella discordia, si sarebbe infranto il vincolo della concordia e lo Stato sarebbe andato in rovina: cosa che s'incominciò a realizzare a poco a poco in seguito alle guerre civili quando i costumi si guastarono e si corruppero.
Il male si vince col bene.
2. 11. Chi mai, per quanto estraneo alla religione cristiana, è talmente balordo da ignorare quanti precetti di concordia, non ricercati mediante discussioni umane, ma fissati per iscritto dall'autorità divina, vengon letti continuamente nelle chiese? A questo si riferiscono quei precetti che si preferisce criticare anziché imparare: offrire cioè l'altra guancia a chi ci dà uno schiaffo, dare il mantello a chi ci vuol portar via la tunica, fare un doppio tratto di strada con chi ci costringe ad andare con lui. Con questo precetto si mira a far si che il malvagio sia vinto da chi è buono o, a dir meglio, che nell'uomo cattivo il male sia vinto dal bene e l'uomo si liberi non dal male esteriore ed estraneo, ma da quello intimo ch'è veramente suo, ben più grave e dannoso della crudeltà d'ogni nemico esterno che lo massacri. Chi dunque vince il male col bene, sopporta con pazienza la perdita dei vantaggi temporali per insegnare quanto siano da disprezzare, a vantaggio della fede e della giustizia, quei beni per il cui eccessivo amore si diviene cattivi. In questo modo chi ha offeso, apprende dalla persona da lui offesa che cosa valgono i beni per cui ha offeso e vinto, non dalla violenza di chi lo perseguita, ma dalla benevolenza di chi lo sopporta, si pente e viene conquistato alla concordia, di cui nulla è più utile allo Stato. Un tal modo di agire è inoltre plausibile quando si crede che gioverà alla persona alla quale si vogliono apportare correzione e concordia. E' con questa intenzione che si deve certamente agire, anche se ne verrà fuori un risultato diverso e, se l'individuo cui è stata somministrata la medicina per correggerlo e pacificarlo e, per così dire, curarlo e guarirlo, si rifiuterà di venire corretto e pacificato.
Che vuol dire: Porgere l'altra guancia.
2. 12. Del resto, se volessimo considerare attentamente le parole e badare alla loro proprietà, non si deve offrire la guancia destra se sarà percossa la sinistra, poiché l'Evangelo dice: Se uno ti percoterà nella guancia destra, porgigli anche la sinistra 17. E' piuttosto la sinistra ad essere percossa, perché questa si percuote più facilmente con la destra. Ma l'espressione suole essere intesa come se fosse detto: " Se uno ti molesterà per ottenere la parte migliore, offrigli anche la peggiore, per evitare che per amore della vendetta più che della pazienza tu non disprezzi i beni eterni per i temporali, mentre questi sono da reputare molto meno preziosi di quelli eterni, come la sinistra è di minor pregio della destra ". Questa fu sempre la disposizione d'animo dei santi martiri, poiché la punizione si reclama giustamente in ultima istanza, quando oramai non resta più alcuna possibilità per la correzione, cioè nell'ultimo e supremo giudizio. Adesso invece si deve badare a non perdere, per non dire altro, la pazienza stessa di cui bisogna fare più conto di ogni altra cosa che il nemico possa strapparci nostro malgrado. Un altro evangelista per vero, nel citare la stessa frase, non accennò affatto alla destra ma ricordò solo l'una e l'altra guancia 18, perché si capisse un po' più distintamente nell'altro evangelista, mentre egli si limitò a raccomandare la pazienza. La persona giusta e pia deve dunque essere pronta a sopportare con pazienza la cattiveria di coloro che desidera far diventare buoni, senza unirsi anch'essa con eguale malvagità al numero dei cattivi.
Come reagì Cristo schiaffeggiato.
2. 13. Questi precetti infine, tendono alla disposizione spirituale, cioè interiore, anziché all'azione esteriore e visibile a tutti, affinché nel segreto del cuore si possegga la pazienza congiunta alla benevolenza e appaia invece visibile ciò che giova a coloro a cui dobbiamo voler bene. Ciò è dimostrato chiaramente dal fatto che lo stesso Cristo nostro Signore, esempio singolare di pazienza, quando fu schiaffeggiato in faccia replicò: Se ho parlato male, riprendimi per ciò che ho detto di male; se invece ho parlato bene, perché mi percuoti? 19 Se consideriamo le parole, egli non adempì il suo precetto, poiché non presentò l'altra guancia a chi lo percosse, ma piuttosto impedì che colui che lo aveva offeso accrescesse l'offesa. E dire ch'era venuto disposto non solo ad essere percosso in viso, ma anche a morire crocifisso per coloro da parte dei quali subiva questi affronti e per i quali, quando pendeva dalla croce, implorò: Padre, perdona loro, perché non sanno che cosa fanno 20. Pare che nemmeno l'apostolo Paolo adempisse al precetto del suo Signore e Maestro allorché anch'egli, essendo stato percosso, disse al principe dei sacerdoti: Ti percuoterà Dio, o parete imbiancata. Tu siedi per giudicarmi secondo la Legge e dai ordine che contro la Legge mi si percuota 21. E poiché gli astanti esclamarono: Tu insulti il principe dei sacerdoti, volle in tono di scherno ricordare loro che cosa aveva detto, perché gli intelligenti capissero che ormai la venuta di Cristo doveva distruggere la parete imbiancata, cioè l'ipocrisia del sacerdozio dei Giudei. Rispose infatti: Non sapevo, o fratelli, ch'egli fosse il sommo sacerdote, poiché sta scritto: Non maledire il principe del tuo popolo 22, mentre senza dubbio Paolo cresciuto in mezzo a quel popolo ed istruito colà secondo la Legge, non poteva ignorare che il sommo sacerdote era quello e a coloro, ai quali era tanto noto, non poteva in alcun modo dare a intendere che egli non lo sapesse.
Il castigo può esser segno d'amore.
2. 14. Questi comandamenti di pazienza debbono essere custoditi sempre nella buona disposizione del cuore e la stessa benevolenza si deve realizzare nella volontà di non rendere male per male 23. Però bisogna usare molti accorgimenti, ricorrendo anche al castigo dei riottosi, con un'asprezza per, così dire benigna: si deve badare alla loro utilità più che alla loro volontà. Fu questa saggezza che gli scrittori romani elogiarono con somma eloquenza nel capo dello Stato 24. Per questo motivo un padre, nel correggere per quanto duramente si voglia il figlio, non perde mai il suo affetto di padre; egli tuttavia, nonostante la sua ripugnanza e la pena che prova, corregge chi a suo giudizio deve essere risanato anche suo malgrado e con dolore. Se quindi lo Stato terreno osservasse i precetti di Cristo, neppure le guerre stesse si farebbero senza quella benevolenza, in modo che si provvederebbe più facilmente ai vinti in vista d'una società pacificata nell'amore e nella giustizia. Colui infatti al quale si toglie la possibilità di fare il male è vinto con proprio vantaggio; poiché non v'è nulla di più infelice della felicità dei peccatori, da cui è alimentata l'impunità penale, e la volontà del male, come un nemico interno, è rafforzata. Ma i cuori perversi e sviati dei mortali stimano felice la condizione degli uomini allorché si bada allo splendore dei palazzi e non alle macchie dell'anima; si costruiscono colossali teatri e si abbattono le fondamenta della virtù, quando è esaltata la pazza prodigalità e si deridono le opere di misericordia, quando gl'istrioni scialacquano le ricchezze di cui abbondano i ricchi, mentre i poveri hanno a mala pena il necessario per vivere; quando i popoli empi bestemmiano Dio, che per bocca dei predicatori della sua dottrina tuona contro questo male pubblico, mentre si cercano dèi in onore dei quali celebrare in teatro spettacoli sconci, che disonorano il corpo e l'anima. Quando Dio permette che queste brutture aumentino, allora si sdegna più terribilmente; qualora le lasci impunite, allora punisce con maggiore durezza. Quando invece abbatte il sostegno ai vizi e toglie i mezzi per soddisfare le passioni alimentate dalle abbondanti ricchezze, allora si oppone con animo misericordioso. Con tale spirito di misericordia, se fosse possibile, i buoni farebbero anche le guerre, per far si che, riportando vittoria sulle passioni licenziose, si eliminassero questi vizi che da un governo giusto si dovrebbero estirpare o reprimere.
Nella morale cristiana la salvezza dello Stato.
2. 15. Se la dottrina cristiana condannasse ogni specie di guerre, ai soldati che nel Vangelo chiedono il consiglio per salvarsi, prescriverebbe di gettar via le armi e di sottrarsi completamente agli obblighi del servizio militare. Invece è stato loro detto: Non fate violenza a nessuno e non calunniate; siate contenti della vostra paga 25. Evidentemente non si vieta di attendere al servizio militare a coloro cui è comandato di accontentarsi della propria paga; pertanto coloro che affermano che la dottrina del Cristo è nemica dello Stato, ci diano un tale esercito, quale la dottrina di Cristo volle che fossero i soldati: ci diano tali provinciali, tali mariti, tali sposi, tali genitori, tali figli, tali padroni, tali servi, tali re, tali giudici, infine tali contribuenti e tali esattori del fisco, quali prescrive che siano la dottrina cristiana, e poi osino chiamarla nemica dello Stato e non esitino piuttosto a confessare che, se essa fosse osservata, sarebbe la potente salvezza dello Stato.
Rovina dello Stato i vizi dei pagani.
3. 16. Ma perché dovrei rispondere quando affermano che per causa di alcuni imperatori cristiani molte sventure piombarono sull'impero romano? Questa lagnanza generica è calunniosa. Se citassero più chiaramente alcune colpe dei passati imperatori, anch'io potrei citarne di simili o forse di più gravi di imperatori non cristiani, per far capire che sono difetti propri degli uomini non della dottrina, o che sono imputabili non agli imperatori ma ad altri subordinati, senza i quali gli imperatori non potrebbero far nulla. E' ben chiaro da qual tempo lo Stato romano incominciò ad andare in rovina, poiché ne parlano i libri dei loro scrittori. Molto prima che il nome di Cristo brillasse sulla terra, fu detto: O città venale e pronta ad andare in rovina, se trovasse un compratore 26. Anche nel libro della guerra di Catilina, scritto certamente prima della venuta di Cristo, il medesimo loro storico famosissimo non passa sotto silenzio quando l'esercito del popolo romano prese ad assuefarsi ai turpi amori, al vino, ad ammirare e ad apprezzare statue, quadri, vasi cesellati, a rubarli per conto proprio e in nome dello Stato, a spogliare templi, a insozzare ogni cosa sacra e profana 27. Quando dunque l'avidità e la rapacità, la corruzione e la dissolutezza non risparmiava né gli uomini né quelli che essi credevano dèi, allora lo splendore, la magnificenza e la salvezza dello Stato presero a rovinare. Sarebbe ora troppo lungo esporre quali progressi abbiano compiuto questi pessimi vizi e quanto abbiano prosperato quelle iniquità che causarono tante sciagure al genere umano. Ascoltino un loro poeta satirico che, mordendoli, dice il vero:
Un tempo le umili condizioni serbavano caste le donne del Lazio e difesa contro il vizio era la povertà delle case e il faticare e il poco dormire, erano le mani incallite e rovinate dal filare la lana toscana, il terrore di Annibale che si avvicinava a Roma e i mariti raccolti a difesa sulla torre Collina. Ora subiamo i danni di una lunga pace. Ci è piombato addosso il lusso, più crudele delle armi, e fa le vendette del mondo da noi vinto. Non ci manca nessun delitto, nessun misfatto della lussuria da quando è sparita la povertà di Roma 28.
Perché dunque aspetti che io ponga in evidenza quanti mali abbia portato l'iniquità, invogliata da prosperi successi, dal momento che gli stessi scrittori più prudenti ed attenti videro che c'era più da dolersi della perdita della povertà che dell'opulenza romana? La povertà conservava l'integrità dei costumi; a causa dell'opulenza invece la funesta perversione dei cittadini, più perniciosa di qualsiasi nemico, non fece irruzione contro le mura della città, ma invase l'animo degli stessi cittadini.
La croce, segnacolo di salvezza temporale ed eterna.
3. 17. Ringraziamo il Signore nostro Dio che contro tali sciagure c'inviò un soccorso singolare. Dove non ci trascinerebbe, chi non travolgerebbe, in qual abisso non ci sprofonderebbe questo torrente dell'orrenda malvagità del genere umano, se la croce di Cristo non s'elevasse ad altezze senza confronto, piantata com'è per così dire sull'inconcusso pilastro d'una si potente autorità, affinché afferrandoci al suo legno potessimo avere un fermo punto d'appoggio e non esser trascinati e inghiottiti dal vasto e turbinoso gorgo di coloro che in questo mondo ci consigliano il male e ci spingono al male? In un tal guazzabuglio di pessimi costumi, in una tale corruzione dell'antica educazione, era necessario che accorresse in nostro aiuto l'autorità celeste la quale c'inducesse ad abbracciare la povertà volontaria, la continenza, la benevolenza, la giustizia, la concordia, la vera pietà e le altre virtù che sono come la luce e il sostegno della vita, non solo per trascorrere la vita terrena con tutta onestà né solo per mantenere la più completa concordia nella Città terrena, ma anche per arrivare alla salvezza eterna e alla Città celeste e divina del popolo - diciamo così - eterno, della quale ci fa entrare a far parte come cittadini la fede la speranza la carità. Finché viviamo come esuli sulla terra, l'autorità di Cristo ci fa sopportare, anche se non riusciamo a correggerli, coloro che vorrebbero mantenere saldo uno Stato senza punire i vizi, mentre i primi Romani lo fondarono e l'accrebbero con le virtù, sebbene non avessero per il vero Dio la vera pietà, capace di condurli per il tramite della salutare religione nella Città eterna, ma conservarono una specie di probità della loro stirpe che era sufficiente a fondare, ad accrescere e a conservare la Città terrena. Dio mostrò così nel ricchissimo e famoso impero romano quanta forza avessero le virtù civili anche senza la vera religione, affinché si comprendesse che, qualora ci sia anche la vera religione, gli uomini diventano cittadini della Città celeste, ove regna come regina la Verità, come legge la Carità e che ha per durata l'Eternità.
Infamie del culto pagano e della magia.
4. 18. Chi non stimerebbe ridicolo il fatto che si cerca di paragonare o anche di preferire a Cristo un Apollonio e un Apuleio e altri versatissimi nelle arti magiche, per quanto sia più tollerabile quando lo mettono a confronto con questi personaggi che non con i loro dèi? Apollonio valeva molto di più, bisogna confessarlo, del protettore ed autore di tanti stupri che si chiama Giove. Ma queste, dicono i pagani, sono favole. Lodino dunque ancora la lussuriosa, licenziosa e del tutto sacrilega prosperità dello Stato che inventò tali infamie, degli dèi, e che non solo le ha raccontate nei libri delle favole perché fossero ascoltate, ma le ha rappresentate anche negli spettacoli teatrali ove apparivano più delitti che divinità: gli dèi stessi lasciavano attribuire volentieri quei delitti a loro stessi, mentre avrebbero dovuto punire i loro adoratori solo perché assistevano con pazienza a quegli spettacoli. " Ma non sono gli dèi che vengono esaltati con siffatte finzioni " replicano quelli. Chi sono dunque costoro che vengono placati con la celebrazione di simili infamie? La dottrina cristiana è chiamata nemica dello Stato perché ha smascherato e svelato a tutto il mondo la perversità e la falsità di questi demoni, per mezzo dei quali anche le arti magiche ingannano le menti degli uomini, perché ha distinto gli angeli santi dalla malignità dei demoni, perché ha ammonito di guardarsene e insegnato il modo come farlo? Quasi che, se si fosse dovuta ottenere la felicità temporale per opera di questi demoni, non sarebbe stata preferibile l'infelicità! Ma Dio non volle che si dubitasse neppure su questo punto. Il Signore colmò d'ogni felicità temporale gli Ebrei, il primo popolo a onorare il vero Dio e a disprezzare gli dèi falsi e bugiardi, durante il tempo che fu necessario che rimanesse velato l'Antico Testamento, che è l'ombra e il velo del Nuovo Testamento, per far capire ad ognuno che la felicità non è in potere dei demoni, ma solo di Colui al quale obbediscono gli angeli, e davanti al quale tremano i demoni 29.
Apuleio deluso dalle arti magiche.
4. 19. Quanto poi ad Apuleio, per parlare soprattutto di lui, che essendo africano è più noto a noi Africani, con tutte le sue arti magiche non poté pervenire non dico ad essere imperatore, ma neppure un alto funzionario nei tribunali dello Stato, benché nato da nobile famiglia della sua patria, educato in modo liberale e dotato di grande eloquenza. Si dirà forse che in qualità di filosofo disprezzò di sua volontà questi onori? Oh, no! Sappiamo invece che, essendo sacerdote d'una provincia, tenne in gran conto celebrare spettacoli, abbigliare quelli che combattevano con le fiere, promuovere un processo contro alcuni cittadini per una statua da innalzare in suo onore ad Oea, di cui era originaria la moglie. Perché i posteri non ignorassero questo fatto, tramandò per iscritto il discorso pronunciato per la medesima causa. Quel mago dunque fu ciò che poté essere per ottenere la felicità terrena; risulta chiaro quindi che egli non fu più grande, non perché non lo volle, ma perché non poté esserlo. Del resto si difese con somma eloquenza anche contro alcuni che gli avevano mosso l'accusa di praticare le arti magiche. Mi meraviglio quindi che i suoi elogiatori, che lo esaltano per aver operato con quelle arti non so quali miracoli, tentino poi di essere testimoni contro la sua difesa. Ma se la vedano loro, se sono essi a fornire la testimonianza vera o se fu invece Apuleio a fare una falsa difesa. Coloro che apprendono le arti magiche solo per la felicità terrena o per una biasimevole curiosità o che, senza praticarle, le lodano tuttavia con pericolosa ammirazione, considerino, se sono saggi, e comprendano come il nostro David, senza bisogno di simili arti, da pastore di pecore giunse alla dignità regale. Eppure la Scrittura che è sincera, non passò sotto silenzio i peccati né i meriti di lui, perché conoscessimo i modi di non offendere Dio e una volta offeso placarlo.
Nessun profeta o mago paragonabile a Cristo.
4. 20. Riguardo ai miracoli che appaiono meravigliosi ai sensi degli uomini, errano molto coloro che paragonano i maghi coi santi Profeti, che sono di gran lunga superiori per la celebrità dei grandi miracoli. Quanto più sbagliano se li mettono a confronto con Cristo del quale i Profeti, con cui nessun mago affatto è da paragonare, preannunziarono la venuta sia secondo la natura umana, che prese dalla Vergine, sia secondo la divinità, che giammai si separa dal Padre. Mi accorgo di avere scritto una lettera molto prolissa, senza aver detto tuttavia di Cristo tutto quello che in qualunque modo potesse bastare sia a quelli che non riescono a comprendere la realtà divina a causa dell'indole per così dire naturale, sia a quelli che, pur avendo un ingegno sveglio e acuto, sono impediti dal capire per la smania di litigare e per la prevenzione dell'errore inveterato. Cerca tuttavia di conoscere le obiezioni che faranno alle mie spiegazioni e scrivimi di nuovo, perché io le possa ribattere tutte con l'aiuto di Dio, sia per mezzo di lettere che per mezzo di libri. Sii felice in Dio per sua grazia e misericordia, signore esimio e meritatamente insigne, figlio carissimo e desideratissimo.
1 - Cf. Ep. 136.
2 - TEREN., Adel. 823-825.
3 - Sal 15, 2.
4 - Sal 101, 28.
5 - Cf. De spir. et litt. 15, 27.
6 - Sal 15, 4.
7 - Sal 49, 9.
8 - Ger 31, 31-32 (sec. LXX: 38, 31-32).
9 - Rm 12, 17.
10 - Mt 5, 39.
11 - Cf. Ep. 135, 2.
12 - SALLUST., Catil. 9, 5; 52, 19.
13 - CICER., Pro Q. Ligar. 12, 35.
14 - Rm 12, 17; cf. 1 Pt 3, 9; 1 Ts 5, 15.
15 - CICER., De rep. 1, 39.
16 - Sallust., Catil. 6, 2.
17 - Mt 5, 39.
18 - Lc 6, 29.
19 - Gv 18, 23.
20 - Lc 23, 34.
21 - At 23, 3.
22 - Es 22, 27.
23 - Rm 12, 17; 1 Ts 5, 15; 1 Pt 3, 9.
24 - CICER., De rep. 5, 8.
25 - Lc 3, 14.
26 - SALLUST., Iugurt. 35, 10.
27 - SALLUST., Catil. 11, 6.
28 - IUVEN., Sat. 6.
29 - Gc 2, 19.
Capitolo XVI: Manifestare a Cristo le nostre manchevolezze e chiedere la sua grazia
Libro IV: Libro del sacramento del corpo di Cristo - Tommaso da Kempis
Leggilo nella BibliotecaParola del discepolo
O dolcissimo e amorosissimo Signore, che ora desidero devotamente ricevere, tu conosci la mia debolezza e la miseria che mi affligge; sai quanto siano grandi il male e i vizi in cui giaccio e come io sia frequentemente oppresso, provato, sconvolto e pieno di corruzione. Io vengo a te per essere aiutato, consolato e sollevato. Parlo a colui che tutto sa e conosce ogni mio pensiero; a colui che solo mi può pienamente confortare e soccorrere. Tu ben sai di quali beni io ho massimamente bisogno e quanto io sono povero di virtù. Ecco che io mi metto dinanzi a te, povero e nudo, chiedendo grazia e implorando misericordia. Ristora questo tuo misero affamato; riscalda la mia freddezza con il fuoco del tuo amore; rischiara la mia cecità con la luce della tua presenza. Muta per me in amarezza tutto ciò che è terreno; trasforma in occasione di pazienza tutto ciò che mi pesa e mi ostacola; muta in oggetto di disprezzo e di oblio ciò che è bassa creatura. Innalza il mio cuore verso il cielo, a te, e non lasciare che mi perda, vagando su questa terra. Sii tu solo, da questo momento e per sempre, la mia dolce attrazione, ché tu solo sei mio cibo e mia bevanda, mio amore e mia gioia, mia dolcezza e sommo mio bene. Potessi io infiammarmi tutto, dinanzi a te, consumarmi e trasmutare in te, così da diventare un solo spirito con te, per grazia di intima unione, in struggimento di ardente amore. Non permettere che io mi allontani da te digiuno e languente, ma usa misericordia verso di me, come tante volte l'hai usata mirabilmente con i tuoi santi. Qual meraviglia se da te io prendessi fuoco interamente, venendo meno in me stesso, poiché tu sei fiamma sempre viva, che mai si spegne, amore che purifica i cuori e illumina le menti?
La preghiera
Beata Anna Katharina Emmerick
«Mi trovavo con la mia
guida per infinite ed alte scale, vidi altri oranti procedere l’uno
dopo l’altro in una lunga fila. Sebbene fossi in alto vidi che
cinque gradini sopra di me si stagliava una grande dtt luminosa. Un
mondo di splendore. Mi sembrò come se potessi veder dentro la
città luminosa attraverso un’indescrivibile tenda blu.
Tutte le fila degli edifici ed i giardini terminavano in un punto
centrale che era immerso in un bagliore tale che era impossibile
fissare gli occhi e guardare. Dove volgevo lo sguardo si rendeva
visibile un altro ordine di Santi e i Cori degli Angeli. Supplicai
per la loro intercessione. Vidi che le Vergini ed i Martiri
innanzitutto deponevano la loro intercessione davanti al trono di Dio
e i Cori poi divenivano sempre più evidenti; la Santissima
Trinità appariva come un sole maestoso. Vedevo adesso questi
Cori come tante piccole figure di luci angeliche trasformarsi in luci
piccolissime, fini e profonde. Vidi Cherubini e Serafini, angeli
alati. Le loro ali erano fatte di strali lucenti che si muovevano in
continuazione. Mi apparvero pure cori di Angeli custodi. Tra le sante
Vergini vidi anche quelle che avevano avuto la vita matrimoniale:
santa Anna e molte altre del primo tempo, come Cunegonda e altre
caste donne; non vidi Maddalena. Nei giardini non c’erano
uccelli o altri animali. Guardando giù vidi tutta la
dimensione dell’universo. A destra e sinistra dei gradini sui
quali mi trovavo con la mia guida c’era un colore grigio e,
intorno alla tenda, un colore blu. Dietro di me, in basso, vidi
distendersi i territori terrestri:
isole città, paesi e
giardini. Una dopo l’altra le anime si volgevano in quella
direzione. Vidi tutti gli oranti, e le loro preghiere che si
diffondevano nell’aria e volavano in alto, finendo per entrare
nel petto dei Santi e degli Angeli. Essi stavano direttamente al
cospetto del trono di Dio, e nel ricevere quelle preghiere assumevano
una luce rinnovata. Ma vidi anche singole preghiere cadere
nell’oscurità; alcune altre, che non potevano essere
completate, le vidi completare e sorreggere da altri. Tale rapporto
di preghiere si svolge tra gli uomini, gli Angeli e i Santi. Mi
apparve un grande movimento tra gli Angeli, come tra i Santi e anche
in basso, sulla terra. Vidi il loro soccorso in tanti casi urgenti,
come le navi in pericolo.
Stanotte sono stata molto malata e venni portata lassù
dalla mia guida. Ero sempre così curiosa di sapere cosa si
celava dietro la tenda blu».
Più tardi la pia suora
aggiunse. Credo che la mia testa abbia sanguinato in seguito alla
grande visione della supplica dei Santi, dove vidi così tanto
profondamente le amare sofferenze del Nostro Signore e soffrii per
tutte le spine della corona e per tutte le altre cose che hanno
relazione con la Passione. Mi resi conto così che ogni Santo
soffre e si sacrifica dinnanzi al trono di Dio per i peccatori».
La veggente ebbe altre visioni sulla forza del Santo Rosario . Vidi
il Rosario di Maria con tutti i suoi segreti. Un devoto eremita
venerava profondamente la Madre di Dio e ogni falda del manto era
sempre piena di fiori, ghirlande e di erbe speciali per la Beata
Vergine. Egli aveva una profonda conoscenza del significato di tutte
le varie specie di erbe e fiori, le sue ghirlande assumevano sempre
più un senso profondo e simbolico. Una volta la Santa Vergine
intercedè presso Suo Figlio, per ottenere una grazia per
quest’uomo, ed egli le dette, per lui e per tutti gli uomini,
una corona del santo Rosario densa di significato”. Questo
santo Rosario così straordinario fu descritto da Anna
Katharina Emmerich, appena uscita dallo stato di estasi, in modo
indicibilmente difficile al “pellegrino”. A costui fu
impossibile trascrivere le parole della pia suora in modo veramente
opportuno. Ella gli disse che il Rosario era ricoperto da tre fila di
lamine dentellate di differenti colori, sulle lamine erano
rappresentati tutti i Misteri della Chiesa della Nuova e dell’Antica
Alleanza con chiare figure. Al centro della corona del Rosario stava
Maria con il Bambino, accompagnata da una parte dagli Angeli e
dall’altra da vergini, le quali si tenevano per mano. Tutto
quello che possedevano come colori, qualità e attributi,
trovava il suo significato simbolico nei Misteri. Poi la pia suora
descrisse le singole perle della corona del santo Rosario. miziò
dal corallo con la croce, con il quale viene recitato il Credo.
Questa croce sarebbe stata fabbricata da una frutta simile alla mela
dell’albero proibito. La croce era traforata da piccoli chiodi
e ricoperta di determinati colori. Nell’interno della croce
stava l’immagine di un giovinetto nella cui mano cresceva una
vite. La vite si innalzava fino alle travi laterali sulle quali
sedevano altre figure che succhiavano l’uva. Ogni chicco era
collegato con l’altro da radici, nello sfolgorio di differenti,
ma limitati, colori che avevano il loro significato mistico. Ogni
Pater aveva relazione con una lamina della corona dal cui centro si
sviluppava un fiore nel quale appariva l’immagine di un Mistero
della gioia e dei dolori di Maria.
Le singole Ave Maria erano rappresentate da stelle di pietre
preziose, sulle quali erano raffigurati i patriarchi e i progenitori
di Maria che agivano in vista dell’evento salvifico
dell’incarnazione e della redenzione. Così la corona del
Rosario comprendeva cielo e terra, Dio, la natura, la storia e la
creazione di tutte le cose e dell’uomo per mezzo del Salvatore,
nato da Maria. Ogni figura, materia e colore aveva un significato
particolare per il completamento di quest’opera d’arte
divina. Il Rosario miracoloso era indescrivibile proprio per la sua
profondità e il suo significato simbolico e nello stesso tempo
la sua descrizione era così toccante e infantile. Con trepida
gioia la pia suora Emmerich contemplò spiritualmente ogni
lamina ed ogni figura descrivendo tutto con gioia irrequieta, come un
bambino vivace. «Questo è il Rosario’ —
disse — che venne consegnato alla Madre di Dio, per onorare la
più amata memoria dell’uomo. L’uomo non conobbe
mai tanto amore, eppure sulla terra egli si era impolverato e
sporcato a tal punto che Maria dovette soccorrerlo e coprirlo, come
una nuvola, con il suo manto. Il Rosario si può comprendere e
gustare solo con grande grazia, innocenza e devozione. Il Rosario si
gusta e si vive meditandolo con devozione altrimenti si nasconde
nell’incomprensione.