Liturgia delle Ore - Letture
Venerdi dell'Ottava di Pasqua (San Marco Evangelista)
Vangelo secondo Luca 1
1Poiché molti han posto mano a stendere un racconto degli avvenimenti successi tra di noi,2come ce li hanno trasmessi coloro che ne furono testimoni fin da principio e divennero ministri della parola,3così ho deciso anch'io di fare ricerche accurate su ogni circostanza fin dagli inizi e di scriverne per te un resoconto ordinato, illustre Teòfilo,4perché ti possa rendere conto della solidità degli insegnamenti che hai ricevuto.
5Al tempo di Erode, re della Giudea, c'era un sacerdote chiamato Zaccaria, della classe di Abìa, e aveva in moglie una discendente di Aronne chiamata Elisabetta.6Erano giusti davanti a Dio, osservavano irreprensibili tutte le leggi e le prescrizioni del Signore.7Ma non avevano figli, perché Elisabetta era sterile e tutti e due erano avanti negli anni.
8Mentre Zaccaria officiava davanti al Signore nel turno della sua classe,9secondo l'usanza del servizio sacerdotale, gli toccò in sorte di entrare nel tempio per fare l'offerta dell'incenso.10Tutta l'assemblea del popolo pregava fuori nell'ora dell'incenso.11Allora gli apparve un angelo del Signore, ritto alla destra dell'altare dell'incenso.12Quando lo vide, Zaccaria si turbò e fu preso da timore.13Ma l'angelo gli disse: "Non temere, Zaccaria, la tua preghiera è stata esaudita e tua moglie Elisabetta ti darà un figlio, che chiamerai Giovanni.14Avrai gioia ed esultanza e molti si rallegreranno della sua nascita,15poiché egli sarà grande davanti al Signore; non berrà vino né bevande inebrianti, sarà pieno di Spirito Santo fin dal seno di sua madre16e ricondurrà molti figli d'Israele al Signore loro Dio.17Gli camminerà innanzi con lo spirito e la forza di Elia, 'per ricondurre i cuori dei padri verso i figli' e i ribelli alla saggezza dei giusti e preparare al Signore un popolo ben disposto".18Zaccaria disse all'angelo: "Come posso conoscere questo? Io sono vecchio e mia moglie è avanzata negli anni".19L'angelo gli rispose: "Io sono Gabriele che sto al cospetto di Dio e sono stato mandato a portarti questo lieto annunzio.20Ed ecco, sarai muto e non potrai parlare fino al giorno in cui queste cose avverranno, perché non hai creduto alle mie parole, le quali si adempiranno a loro tempo".
21Intanto il popolo stava in attesa di Zaccaria, e si meravigliava per il suo indugiare nel tempio.22Quando poi uscì e non poteva parlare loro, capirono che nel tempio aveva avuto una visione. Faceva loro dei cenni e restava muto.
23Compiuti i giorni del suo servizio, tornò a casa.24Dopo quei giorni Elisabetta, sua moglie, concepì e si tenne nascosta per cinque mesi e diceva:25"Ecco che cosa ha fatto per me il Signore, nei giorni in cui si è degnato di togliere la mia vergogna tra gli uomini".
26Nel sesto mese, l'angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret,27a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe. La vergine si chiamava Maria.28Entrando da lei, disse: "Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te".29A queste parole ella rimase turbata e si domandava che senso avesse un tale saluto.30L'angelo le disse: "Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio.31Ecco concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù.32Sarà grande e chiamato Figlio dell'Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre33e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine".
34Allora Maria disse all'angelo: "Come è possibile? Non conosco uomo".35Le rispose l'angelo: "Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell'Altissimo. Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio.36Vedi: anche Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia, ha concepito un figlio e questo è il sesto mese per lei, che tutti dicevano sterile:37'nulla è impossibile a Dio'".38Allora Maria disse: "Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto". E l'angelo partì da lei.
39In quei giorni Maria si mise in viaggio verso la montagna e raggiunse in fretta una città di Giuda.40Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta.41Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino le sussultò nel grembo. Elisabetta fu piena di Spirito Santo42ed esclamò a gran voce: "Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo!43A che debbo che la madre del mio Signore venga a me?44Ecco, appena la voce del tuo saluto è giunta ai miei orecchi, il bambino ha esultato di gioia nel mio grembo.45E beata colei che ha creduto nell'adempimento delle parole del Signore".
46Allora Maria disse:
"'L'anima mia' magnifica 'il Signore'
47e il mio spirito 'esulta in Dio, mio salvatore,'
48perché 'ha guardato l'umiltà della' sua 'serva.'
D'ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata.
49Grandi cose ha fatto in me l'Onnipotente
e 'Santo è il suo nome:'
50'di generazione in generazione la sua misericordia
si stende su quelli che lo temono.'
51Ha spiegato la potenza del suo 'braccio,
ha disperso i superbi nei pensieri' del loro cuore;
52'ha rovesciato i potenti' dai troni,
'ha innalzato gli umili;'
53'ha ricolmato di beni gli affamati,
ha rimandato a mani vuote i ricchi.'
54'Ha soccorso Israele, suo servo,
ricordandosi della sua misericordia,'
55come aveva promesso 'ai nostri padri,
ad Abramo e alla' sua 'discendenza,'
per sempre".
56Maria rimase con lei circa tre mesi, poi tornò a casa sua.
57Per Elisabetta intanto si compì il tempo del parto e diede alla luce un figlio.58I vicini e i parenti udirono che il Signore aveva esaltato in lei la sua misericordia, e si rallegravano con lei.
59All'ottavo giorno vennero per circoncidere il bambino e volevano chiamarlo col nome di suo padre, Zaccaria.60Ma sua madre intervenne: "No, si chiamerà Giovanni".61Le dissero: "Non c'è nessuno della tua parentela che si chiami con questo nome".62Allora domandavano con cenni a suo padre come voleva che si chiamasse.63Egli chiese una tavoletta, e scrisse: "Giovanni è il suo nome". Tutti furono meravigliati.64In quel medesimo istante gli si aprì la bocca e gli si sciolse la lingua, e parlava benedicendo Dio.65Tutti i loro vicini furono presi da timore, e per tutta la regione montuosa della Giudea si discorreva di tutte queste cose.66Coloro che le udivano, le serbavano in cuor loro: "Che sarà mai questo bambino?" si dicevano. Davvero la mano del Signore stava con lui.
67Zaccaria, suo padre, fu pieno di Spirito Santo, e profetò dicendo:
68"'Benedetto il Signore Dio d'Israele,'
perché ha visitato e redento il suo popolo,
69e ha suscitato per noi una salvezza potente
nella casa di Davide, suo servo,
70come aveva promesso
per bocca dei suoi santi profeti d'un tempo:
71salvezza 'dai' nostri 'nemici,'
'e dalle mani di quanti ci odiano.'
72'Così egli ha concesso misericordia ai nostri padri'
'e si è ricordato della sua' santa 'alleanza,'
73'del giuramento fatto ad Abramo', nostro padre,
74di concederci, liberati dalle mani dei nemici,
di servirlo senza timore,75in santità e giustizia
al suo cospetto, per tutti i nostri giorni.
76E tu, bambino, sarai chiamato profeta dell'Altissimo
perché andrai 'innanzi al Signore a preparargli le strade,'
77per dare al suo popolo la conoscenza della salvezza
nella remissione dei suoi peccati,
78grazie alla bontà misericordiosa del nostro Dio,
per cui verrà a visitarci dall'alto un sole che sorge
79'per rischiarare quelli che stanno nelle tenebre'
'e nell'ombra della morte'
e dirigere i nostri passi sulla via della pace".
80Il fanciullo cresceva e si fortificava nello spirito. Visse in regioni deserte fino al giorno della sua manifestazione a Israele.
Giudici 21
1Gli Israeliti avevano giurato a Mizpa: "Nessuno di noi darà in moglie la figlia a un Beniaminita".2Il popolo venne a Betel, dove rimase fino alla sera davanti a Dio, alzò la voce prorompendo in pianto3e disse: "Signore, Dio d'Israele, perché è avvenuto questo in Israele, che oggi in Israele sia venuta meno una delle sue tribù?".
4Il giorno dopo il popolo si alzò di buon mattino, costruì in quel luogo un altare e offrì olocausti e sacrifici di comunione.5Poi gli Israeliti dissero: "Chi è fra tutte le tribù d'Israele, che non sia venuto all'assemblea davanti al Signore?". Perché c'era stato questo grande giuramento contro chi non fosse venuto alla presenza del Signore a Mizpa: "Sarà messo a morte".6Gli Israeliti si pentivano di quello che avevano fatto a Beniamino loro fratello e dicevano: "Oggi è stata soppressa una tribù d'Israele.7Come faremo per le donne dei superstiti, perché abbiamo giurato per il Signore di non dar loro in moglie nessuna delle nostre figlie?".
8Dissero dunque: "Qual è fra le tribù d'Israele quella che non è venuta davanti al Signore a Mizpa?". Risultò che nessuno di Iabes di Gàlaad era venuto all'accampamento dove era l'assemblea;9fatta la rassegna del popolo si era trovato che là non vi era nessuno degli abitanti di Iabes di Gàlaad.10Allora la comunità vi mandò dodicimila uomini dei più valorosi e ordinò: "Andate e passate a fil di spada gli abitanti di Iabes di Gàlaad, comprese le donne e i bambini.11Farete così: ucciderete ogni maschio e ogni donna che abbia avuto rapporti con un uomo; invece risparmierete le vergini".12Trovarono fra gli abitanti di Iabes di Gàlaad quattrocento fanciulle vergini, che non avevano avuto rapporti con alcuno, e le condussero all'accampamento, a Silo, che è nel paese di Canaan.13Allora tutta la comunità mandò messaggeri per parlare ai figli di Beniamino che erano alla roccia di Rimmon e per proclamar loro la pace.14Così i Beniaminiti tornarono e furono loro date le donne a cui era stata risparmiata la vita fra le donne di Iabes di Gàlaad; ma non erano sufficienti per tutti.
15Il popolo dunque si era pentito di quello che aveva fatto a Beniamino, perché il Signore aveva aperto una breccia fra le tribù d'Israele.16Gli anziani della comunità dissero: "Come procureremo donne ai superstiti, poiché le donne beniaminite sono state distrutte?".17Soggiunsero: "Le proprietà dei superstiti devono appartenere a Beniamino perché non sia soppressa una tribù in Israele.18Ma noi non possiamo dar loro in moglie le nostre figlie, perché gli Israeliti hanno giurato: Maledetto chi darà una moglie a Beniamino!".19Aggiunsero: "Ecco ogni anno si fa una festa per il Signore a Silo", che è a nord di Betel, a oriente della strada che va da Betel a Sichem e a mezzogiorno di Lebona.20Diedero quest'ordine ai figli di Beniamino: "Andate, appostatevi nelle vigne21e state a vedere: quando le fanciulle di Silo usciranno per danzare in coro, uscite dalle vigne, rapite ciascuno una donna tra le fanciulle di Silo e ve ne andrete nel paese di Beniamino.22Quando i loro padri o i loro fratelli verranno a discutere con voi, direte loro: Concedetele a noi: abbiamo preso ciascuno una donna come in battaglia... ma se ce le aveste date voi stessi, allora avreste peccato".23I figli di Beniamino fecero a quel modo: si presero mogli, secondo il loro numero, fra le danzatrici; le rapirono, poi partirono e tornarono nel loro territorio, riedificarono le città e vi stabilirono la dimora.
24In quel medesimo tempo, gli Israeliti se ne andarono ciascuno nella sua tribù e nella sua famiglia e da quel luogo ciascuno si diresse verso la sua eredità.25In quel tempo non c'era un re in Israele; ognuno faceva quel che gli pareva meglio.
Giobbe 8
1Allora prese a dire Bildad il Suchita:
2Fino a quando dirai queste cose
e vento impetuoso saranno le parole della tua bocca?
3Può forse Dio deviare il diritto
o l'Onnipotente sovvertire la giustizia?
4Se i tuoi figli hanno peccato contro di lui,
li ha messi in balìa della loro iniquità.
5Se tu cercherai Dio
e implorerai l'Onnipotente,
6se puro e integro tu sei,
fin d'ora veglierà su di te
e ristabilirà la dimora della tua giustizia;
7piccola cosa sarà la tua condizione di prima,
di fronte alla grandezza che avrà la futura.
8Chiedilo infatti alle generazioni passate,
poni mente all'esperienza dei loro padri,
9perché noi siamo di ieri e nulla sappiamo,
come un'ombra sono i nostri giorni sulla terra.
10Essi forse non ti istruiranno e ti parleranno
traendo le parole dal cuore?
11Cresce forse il papiro fuori della palude
e si sviluppa forse il giunco senz'acqua?
12È ancora verde, non buono per tagliarlo,
e inaridisce prima d'ogn'altra erba.
13Tale il destino di chi dimentica Dio,
così svanisce la speranza dell'empio;
14la sua fiducia è come un filo
e una tela di ragno è la sua sicurezza:
15si appoggi alla sua casa, essa non resiste,
vi si aggrappi, ma essa non regge.
16Rigoglioso sia pure in faccia al sole
e sopra il giardino si spandano i suoi rami,
17sul terreno sassoso s'intreccino le sue radici,
tra le pietre attinga la vita.
18Se lo si toglie dal suo luogo,
questo lo rinnega: "Non t'ho mai visto!".
19Ecco la gioia del suo destino
e dalla terra altri rispuntano.
20Dunque, Dio non rigetta l'uomo integro,
e non sostiene la mano dei malfattori.
21Colmerà di nuovo la tua bocca di sorriso
e le tue labbra di gioia.
22I tuoi nemici saran coperti di vergogna
e la tenda degli empi più non sarà.
Salmi 79
1'Salmo. Di Asaf.'
O Dio, nella tua eredità sono entrate le nazioni,
hanno profanato il tuo santo tempio,
hanno ridotto in macerie Gerusalemme.
2Hanno abbandonato i cadaveri dei tuoi servi
in pasto agli uccelli del cielo,
la carne dei tuoi fedeli
agli animali selvaggi.
3Hanno versato il loro sangue come acqua
intorno a Gerusalemme, e nessuno seppelliva.
4Siamo divenuti l'obbrobrio dei nostri vicini,
scherno e ludibrio di chi ci sta intorno.
5Fino a quando, Signore, sarai adirato: per sempre?
Arderà come fuoco la tua gelosia?
6Riversa il tuo sdegno sui popoli che non ti riconoscono
e sui regni che non invocano il tuo nome,
7perché hanno divorato Giacobbe,
hanno devastato la sua dimora.
8Non imputare a noi le colpe dei nostri padri,
presto ci venga incontro la tua misericordia,
poiché siamo troppo infelici.
9Aiutaci, Dio, nostra salvezza,
per la gloria del tuo nome,
salvaci e perdona i nostri peccati
per amore del tuo nome.
10Perché i popoli dovrebbero dire:
"Dov'è il loro Dio?".
Si conosca tra i popoli, sotto i nostri occhi,
la vendetta per il sangue dei tuoi servi.
11Giunga fino a te il gemito dei prigionieri;
con la potenza della tua mano
salva i votati alla morte.
12Fa' ricadere sui nostri vicini sette volte
l'affronto con cui ti hanno insultato, Signore.
13E noi, tuo popolo e gregge del tuo pascolo,
ti renderemo grazie per sempre;
di età in età proclameremo la tua lode.
Zaccaria 2
1Poi alzai gli occhi ed ecco, vidi quattro corna.2Domandai all'angelo che parlava con me: "Che cosa sono queste?". Ed egli: "Sono le corna che hanno disperso Giuda, Israele e Gerusalemme".3Poi il Signore mi fece vedere quattro operai.4Domandai: "Che cosa vengono a fare costoro?". Mi rispose: "Le corna hanno disperso Giuda a tal segno che nessuno osa più alzare la testa e costoro vengono a demolire e abbattere le corna delle nazioni che cozzano contro il paese di Giuda per disperderlo".
5Alzai gli occhi ed ecco un uomo con una corda in mano per misurare.6Gli domandai: "Dove vai?". Ed egli: "Vado a misurare Gerusalemme per vedere qual è la sua larghezza e qual è la sua lunghezza".7Allora l'angelo che parlava con me uscì e incontrò un altro angelo8che gli disse: "Corri, va' a parlare a quel giovane e digli: Gerusalemme sarà priva di mura, per la moltitudine di uomini e di animali che dovrà accogliere.9Io stesso - parola del Signore - le farò da muro di fuoco all'intorno e sarò una gloria in mezzo ad essa.
10Su, su, fuggite dal paese del settentrione - parola del Signore - voi che ho dispersi ai quattro venti del cielo - parola del Signore.11A Sion mettiti in salvo, tu che abiti ancora con la figlia di Babilonia!12Dice il Signore degli eserciti alle nazioni che vi hanno spogliato:13Ecco, io stendo la mano sopra di esse e diverranno preda dei loro schiavi e voi saprete che il Signore degli eserciti mi ha inviato.
14Gioisci, esulta, figlia di Sion,
perché, ecco, io vengo ad abitare in mezzo a te
- oracolo del Signore -.
15Nazioni numerose aderiranno in quel giorno al Signore
e diverranno suo popolo ed egli dimorerà in mezzo a te
e tu saprai che il Signore degli eserciti
mi ha inviato a te.
16Il Signore si terrà Giuda
come eredità nella terra santa,
Gerusalemme sarà di nuovo prescelta.
17Taccia ogni mortale davanti al Signore,
poiché egli si è destato dalla sua santa dimora".
Prima lettera di Giovanni 5
1Chiunque crede che Gesù è il Cristo, è nato da Dio; e chi ama colui che ha generato, ama anche chi da lui è stato generato.2Da questo conosciamo di amare i figli di Dio: se amiamo Dio e ne osserviamo i comandamenti,3perché in questo consiste l'amore di Dio, nell'osservare i suoi comandamenti; e i suoi comandamenti non sono gravosi.4Tutto ciò che è nato da Dio vince il mondo; e questa è la vittoria che ha sconfitto il mondo: la nostra fede.
5E chi è che vince il mondo se non chi crede che Gesù è il Figlio di Dio?6Questi è colui che è venuto con acqua e sangue, Gesù Cristo; non con acqua soltanto, ma con l'acqua e con il sangue. Ed è lo Spirito che rende testimonianza, perché lo Spirito è la verità.7Poiché tre sono quelli che rendono testimonianza:8lo Spirito, l'acqua e il sangue, e questi tre sono concordi.9Se accettiamo la testimonianza degli uomini, la testimonianza di Dio è maggiore; e la testimonianza di Dio è quella che ha dato al suo Figlio.10Chi crede nel Figlio di Dio, ha questa testimonianza in sé. Chi non crede a Dio, fa di lui un bugiardo, perché non crede alla testimonianza che Dio ha reso a suo Figlio.11E la testimonianza è questa: Dio ci ha dato la vita eterna e questa vita è nel suo Figlio.12Chi ha il Figlio ha la vita; chi non ha il Figlio di Dio, non ha la vita.
13Questo vi ho scritto perché sappiate che possedete la vita eterna, voi che credete nel nome del Figlio di Dio.
14Questa è la fiducia che abbiamo in lui: qualunque cosa gli chiediamo secondo la sua volontà, egli ci ascolta.15E se sappiamo che ci ascolta in quello che gli chiediamo, sappiamo di avere già quello che gli abbiamo chiesto.
16Se uno vede il proprio fratello commettere un peccato che non conduce alla morte, preghi, e Dio gli darà la vita; s'intende a coloro che commettono un peccato che non conduce alla morte: c'è infatti un peccato che conduce alla morte; per questo dico di non pregare.17Ogni iniquità è peccato, ma c'è il peccato che non conduce alla morte.
18Sappiamo che chiunque è nato da Dio non pecca: chi è nato da Dio preserva se stesso e il maligno non lo tocca.19Noi sappiamo che siamo da Dio, mentre tutto il mondo giace sotto il potere del maligno.20Sappiamo anche che il Figlio di Dio è venuto e ci ha dato l'intelligenza per conoscere il vero Dio. E noi siamo nel vero Dio e nel Figlio suo Gesù Cristo: egli è il vero Dio e la vita eterna.
21Figlioli, guardatevi dai falsi dèi!
Capitolo XXXIV: Chi è ricco d’amore gusta Dio in tutto e al di sopra di ogni cosa
Leggilo nella Biblioteca1. Ecco, mio Dio e mio tutto. Che voglio di più; quale altra cosa posso io desiderare per la mia felicità? O parola piena di dolce sapore, sapore però che gusta soltanto colui che ama il Verbo, non colui che ama il mondo e le cose del mondo! Mio Dio e mio tutto. E' detto abbastanza per chi ha intelletto; ed è una gioia, per chi ha amore, ripeterlo spesso. In verità, se tu sei con noi, recano gioia tutte le cose; se, invece, tu sei lontano, tutto infastidisce. Sei tu che dai pace al cuore: una grande pace e una gioia festosa. Sei tu che fai gustare rettamente ogni cosa e fai sì che noi ti lodiamo in tutte le cose. Senza di te nulla ci può dare diletto durevole. Perché una cosa possa esserci gradita e rettamente piacevole, occorre che la tua grazia non sia assente; occorre che questa cosa sia condita del condimento della tua sapienza. C'è forse una cosa che uno non sappia rettamente gustare, se questi ha gusto di te? E che cosa mai potrà esserci di gioioso per uno che non ha gusto di te? Dinanzi alla tua sapienza, scompaiono i sapienti di questo mondo; scompaiono anche coloro che amano ciò che è carnale: tra quelli si trova una grande vanità, tra questi la morte. Veri sapienti sono riconosciuti , all'incontro, coloro che seguono te, disprezzando le cose di questo mondo e mortificando la carne: veri sapienti, perché passati dalla vanità alla verità, dalla carne allo spirito. Sono questi che sanno gustare Dio, e riconducono a lode del Creatore tutto ciò che di buono si trova nelle creature.
2. Diversi, molto diversi per noi, sono il gusto che dà il Creatore e il gusto che dà la creatura; quello dell'eternità e quello del tempo; quello della luce increata e quello della luce che viene data. O eterna luce, che trascendi ogni luce creata, manda dall'alto un lampo splendente, che tutto penetri nel più profondo del mio cuore! Rendi puro e lieto e limpido e vivo il mio spirito, in tutte le sue facoltà; che esso sia intimamente unito a te, in un gioioso abbandono. Quando, dunque, verrà quel momento beato ed atteso, in cui tu mi appagherai pienamente con la tua presenza e sarai tutto e in tutto per me? Fino a quando questo non mi sarà concesso, non ci sarà per me una piena letizia. Ancora, purtroppo, vive in me l'uomo vecchio; ancora non è totalmente crocefisso, non è morto del tutto; ancora si pone duramente, con le sue brame, contro lo spirito; muove lotte interiori e non permette che il regno dell'anima abbia pace. Ma "tu, che comandi alla forza del mare e plachi il moto dei flutti (Sal 88,10), levati in mio soccorso (Sal 43,25); disperdi le genti che vogliono la guerra (Sal 67,31)abbattile con la tua potenza" (Sal 58,12). Mostra, te ne scongiuro, le tue opere grandi, e sarà data gloria alla tua speranza, altro rifugio non mi è dato se non in te, Signore Dio mio.
L'anima e la sua origine - Libro primo
L'anima e la sua origine - Sant'Agostino d'Ippona
Leggilo nella BibliotecaA RENATO
Agostino ringrazia Renato di avergli mandato i libri di Vincenzo Vittore.
1. 1. Certamente anche prima, carissimo fratello Renato, avevamo avuto prova della tua sincerità verso di noi, della tua fraterna benevolenza e del contraccambio del tuo amore, ma adesso ci hai fornito una prova ancora più grande con la tua amichevole diligenza, mandandomi i due libri di Vincenzo Vittore (questo è infatti il nome che ho trovato scritto sopra di essi): una persona che per la verità io ignoravo assolutamente, ma che non è per questo da disprezzare. È nell'ultima estate che me li hai mandati, anche se sono stati consegnati a me alla fine dell'autunno, essendo io stato assente. Come avresti tu, carissimo a me, potuto omettere o, meglio, non sentire il dovere di portare a mia conoscenza qualsiasi scritto di qualsiasi autore capitato nelle tue mani, dove, sebbene lo scrittore si rivolgesse ad altri, tuttavia si faceva e si leggeva il mio nome e si andava contro ad affermazioni mie, pubblicate in alcuni miei libri? Hai fatto così quello che dovevi fare come mio sincerissimo e dilettissimo amico.
Giudizio su Vincenzo Vittore.
2. 2. Ma quello che mi fa sentire un po' mortificato è che finora la tua santità mi conosce meno di quanto vorrei, dal momento che hai creduto che io me la sarei presa come se tu mi avessi fatto un torto, facendomi noto ciò che ha fatto un altro. Vedi invece quanto ciò sia lontano dal mio animo: io non mi sento offeso nemmeno da costui. Trovandosi ad avere alcune opinioni diverse dalle mie, avrebbe dovuto forse starsene zitto? Proprio questo mi deve far piacere: che ci abbia dato anche la possibilità di leggere ciò che non ha taciuto. Si dirà che, parlando di me, avrebbe dovuto scrivere a me, invece che ad un altro. Ma per il fatto che non era conosciuto da me non ha osato presentarmisi nel momento di confutare le mie affermazioni. Non ha creduto nemmeno di consultarmi su problemi dove gli sembra di non dovere aver dubbi, ma d'essere in possesso d'una sentenza di sua piena conoscenza e certezza. Ha obbedito invece ad un suo amico, dal quale dice d'essere stato spinto a scrivere. E se nel corso della discussione ha detto qualcosa che ridondasse a mio disonore, sono disposto a credere che non l'abbia fatto con l'animo di chi vuol denigrare, ma per la necessità in cui si trova chi sostiene la sentenza opposta. Quando infatti mi è ignoto e incerto l'animo d'una persona verso di me, credo sia meglio pensare il meglio che incolpare senza prove. Forse, supponendo che il suo scritto poteva arrivare tra le mie mani, l'ha fatto per amore verso di me, perché vuole che io non sbagli su quei punti dove non crede d'essere piuttosto lui a sbagliare. Per questo devo aver cara la sua benevolenza, anche se sono costretto a riprovare la sua sentenza. Perciò nelle questioni dove non condivide la retta dottrina, mi sembra che sia ancora da correggere con mitezza e non da esecrare con asprezza, tanto più che, come sento dire, si è fatto cattolico da poco, e di ciò ci dobbiamo congratulare con lui. Si è liberato dallo scisma e dall'errore dei donatisti o più precisamente dei rogatisti, dov'era prima impigliato. A patto tuttavia che intenda la verità cattolica come va intesa, perché godiamo veramente della sua conversione.
Pregi e difetti nel modo di scrivere di Vincenzo Vittore.
3. 3. Ha tali risorse d'eloquio da saper esporre il proprio pensiero. Bisogna dunque trattarlo così che ritenga, come gli dobbiamo augurare, la retta dottrina, e non faccia diventare dilettevoli argomenti futili, e non gli sembri d'aver detto la verità solo perché l'ha detto con eleganza. Per quanto, anche nel suo stesso modo di scrivere c'è molto da emendare e da sfrondare da una eccessiva verbosità. E questo suo difetto è dispiaciuto anche a te, da persona grave che sei, come indicano i tuoi scritti. Ma è un difetto questo che o si corregge con facilità o, senza danno della fede, si ama da persone di carattere leggero e si tollera da persone di carattere grave. Abbiamo già infatti degli scrittori cristiani spumeggianti nello stile, ma sani nella fede 1. Non c'è dunque da disperare che anche in lui questo difetto, pur tollerabile se gli rimane, si possa tuttavia emendare e moderare, condurre o ricondurre ad una forma semplice e solida. Soprattutto perché è un giovane, si dice, e quanto manca alla sua esperienza potrà essere supplito dalla sua diligenza, e la cruda pasta che scodella la sua loquacità la porterà a cottura la maturità degli anni. Ciò che sarebbe increscioso, pericoloso o dannoso è questo: che lodando la sua eloquenza si faccia accettare la sua insipienza e in una coppa preziosa si beva un veleno mortale.
Affermazioni contraddittorie di Vincenzo Vittore sulla origine dell'anima da Dio.
4. 4. Vengo subito ad indicare i punti principali che nella sua trattazione meritano d'essere espunti. Dice che " l'anima è stata fatta da Dio e non è parte o natura di Dio " 2; e questo è completamente esatto. Ma poiché non vuol confessare che è stata fatta dal nulla, poiché non accenna a nessun'altra creatura da cui sia stata tratta, poiché le assegna come autore Dio senza credere che egli l'abbia fatta né da cose inesistenti, cioè dal nulla, né da alcunché di esistente che non sia quello che è Dio, bensì crede che l'abbia fatta dalla sua stessa divinità, non si accorge d'andare a finire così proprio nell'errore che pensava d'avere evitato: l'anima non è altro che la natura di Dio, e conseguentemente dalla natura di Dio il medesimo Dio trae una realtà della quale lui stesso che la fa è la materia da cui la fa. Ne segue ancora che è mutevole la natura di Dio, e poiché la natura di Dio stesso si è mutata in peggio, viene condannata dallo stesso Dio. Tutto ciò tu vedi con la tua intelligenza di credente come meriti di non essere accettato e di essere escluso e bandito lontano dal cuore dei cattolici. Pertanto sia che l'anima venga originata da un soffio o sia essa stessa un soffio di Dio, non emana però da Dio ma è Dio che l'ha creata dal nulla. Se l'uomo alitando non può fare dal nulla il suo alito, ma restituisce l'aria che prende dall'esterno, non per questo dobbiamo pensare che attorno a Dio circolassero già allora delle arie e che egli ne abbia aspirata una particella esigua e l'abbia poi espirata quando alitò sul volto dell'uomo e gli fece in quel modo l'anima 3. Anche se questo fosse vero, nemmeno allora ciò che Dio alitò sull'uomo poteva venire da Dio stesso, ma veniva da qualcosa di respirabile che preesisteva. Lungi però da noi che neghiamo la possibilità dell'Onnipotente di fare dal nulla l'alito della vita perché l'uomo divenisse un essere vivente, e che c'imprigioniamo in tali ristrettezze da credere o che esistesse già qualcosa di diverso da Dio con cui egli potesse fare l'alito o che abbia tratto da se stesso ciò che vediamo fatto da lui come qualcosa di mutevole. Ciò che infatti emana da Dio è necessariamente della sua stessa natura e quindi immutabile come Dio. L'anima al contrario, come tutti sanno, è mutevole. Non emana dunque da Dio, non essendo immutabile come Dio. Se poi non è stata fatta con nessun'altra cosa, è stata fatta certamente dal nulla, ma è Dio che l'ha fatta.
Secondo Vincenzo Vittore l'anima è un corpo.
5. 5. Costui poi, sostenendo che " l'anima non è spirito ma è un corpo ", che cosa vuol ottenere se non che siamo composti non d'anima e di corpo, bensì di due o anche di tre corpi? Infatti, poiché dice che " siamo composti di spirito, d'anima e di corpo " ed asserisce che " sono corpi tutti e tre ", logicamente ci crede composti di tre corpi. Nella quale opinione da quanta assurdità egli sia inseguito penso che si debba mostrare a lui piuttosto che a te. Ma questo è un errore sopportabile in un uomo che non conosce ancora l'esistenza di qualcosa che, pur senza essere un corpo, potrebbe tuttavia avere qualche somiglianza con un corpo.
Un rebus di Vincenzo Vittore: a causa della carne l'anima meritò d'inquinarsi nella carne!
6. 6. Chi al contrario saprebbe ben sopportare quello che dice costui, nel suo secondo libro, tentando di risolvere la difficilissima questione del peccato originale? Come fa il peccato ad interessare il corpo e l'anima, se l'anima non si trae dai genitori ma viene ispirata nuova da Dio? Tentando dunque di risolvere un problema tanto spinoso e scabroso, scrive: "L'anima ricupera giustamente mediante la carne la sua condizione originale, che è sembrato per poco avesse perduta a causa della carne: comincia a rinascere mediante la medesima carne per la quale aveva meritato d'esser macchiata". T'accorgi che, avendo osato al di là delle sue forze, è caduto in un baratro tanto profondo da dire che l'anima ha meritato d'esser macchiata a causa della carne, mentre non sa dire in nessun modo donde l'anima abbia tratto tale merito prima d'esser unita alla carne. Se infatti è dalla carne che l'anima comincia ad avere il demerito del peccato, dica, se può, in che modo prima del suo peccato abbia meritato d'inquinarsi nella carne. Il demerito per essere mandata nella carne peccatrice che la inquinasse o dipende da lei stessa o dipende da Dio. Quest'ultima ipotesi è la più lontana dalla verità. Evidentemente prima d'esser unita alla carne non poté meritare a causa della carne d'esser mandata ad inquinarsi nella carne. Se tale demerito dipese dunque da lei stessa, in che modo se lo poté acquisire, dato che prima della carne essa non ha fatto nessun male? Se poi si dicesse che ha ricevuto tale demerito da Dio, chi potrebbe stare ad ascoltare uno sproposito simile? Chi lo sopporterebbe? Chi permetterebbe che lo si dicesse impunemente? Adesso infatti non si cerca che cosa l'anima dopo l'unione con la carne abbia meritato per esser condannata, bensì in che modo prima dell'unione con la carne abbia meritato la condanna d'esser mandata ad inquinarsi nella carne. Lo spieghi, se può, costui che ha osato scrivere che l'anima ha meritato d'esser macchiata a causa della carne.
Un altro testo sibillino di Vincenzo Vittore
7. 7. Similmente in un altro passo, proponendosi di dipanare in qualche modo la medesima matassa nella quale si era intrigato, domanda a nome dei suoi avversari: " Perché mai Dio ha colpito l'anima con una pena tanto ingiusta da volerla relegare nel corpo del peccato, dove per l'unione con la carne comincia ad esser peccatrice l'anima che altrimenti non l'avrebbe potuto essere? ". Nel gorgo scoglioso, direi, di tale mare avrebbe dovuto guardarsi dal naufragio e non azzardarsi in acque dalle quali non avrebbe potuto tirarsi fuori passando oltre, ma se mai ritornando, cioè pentendosi. Tenta costui di liberarsi ricorrendo alla prescienza di Dio, ma invano. Coloro infatti dei quali la prescienza di Dio preconosce che saranno risanati da lui, li preconosce peccatori, non li fa peccatori. Al contrario, se Dio liberasse dal peccato le anime che, innocenti e pure, avesse egli stesso implicate nella colpa, allora sanerebbe una ferita inferta da lui a noi, non una ferita trovata da lui in noi. Dio ben ci guardi dal dire e non ci accada mai di dire che Dio, quando monda le anime dei bambini nel lavacro della rigenerazione, corregge allora il male che ha fatto egli stesso a loro unendole, immuni com'erano dal peccato, alla carne peccatrice che le contaminasse con il suo peccato originale. Tuttavia costui accusa le anime dicendo che hanno meritato a causa della carne d'esser macchiate, senza saper dire in che modo prima dell'unione con la carne abbiano esse potuto meritare una così grande enormità di male.
Un terzo testo di Vincenzo Vittore.
8. 8. Costui, pensando vanamente di poter risolvere la presente questione con la prescienza di Dio, s'imbroglia ancora di più e dice" Se l'anima che non poteva esser peccatrice meritò d'esser peccatrice, non rimase tuttavia nel peccato, perché, modellata sul Cristo, non doveva essere nel peccato, come non lo poteva essere ". In che modo vanno intese queste espressioni: " Non poteva essere peccatrice ", o: " Non poteva essere nel peccato " se non, come credo, unite alla condizionale: se non veniva nella carne? Non avrebbe potuto infatti essere peccatrice per il peccato originale o essere in qualsiasi modo nel peccato originale a causa della sola carne, se l'anima non si trae dal genitore. Noi dunque vediamo che l'anima è liberata dal peccato mediante la grazia, ma non vediamo in che modo abbia meritato di rimanere impaniata nel peccato. Che significano allora le sue parole: " Se meritò d'esser peccatrice, non rimase tuttavia nel peccato "? Se gli domanderò perché non rimase nel peccato, risponderà esattissimamente che l'ha liberata la grazia del Cristo. Come dunque dell'anima peccatrice del bambino dice in che modo è stata liberata, dica così altrettanto in che modo ha meritato d'esser peccatrice.
L'unica cosa saggia per Vincenzo Vittore è la ritrattazione.
8. 9. Ma che cosa può dire, dopo che gli è capitato esattamente quello che aveva previsto? Prima infatti di proporre la questione scrive: " Altre ingiurie incalzano da parte di gente che abbaia con queruli borbottamenti e noi, sbattuti da una specie di turbine, andiamo a fracassarci ripetutamente tra scogli immani ". Se lo dicessi io di lui, probabilmente si arrabbierebbe. Sono parole sue: le ha premesse prima di proporre la questione nella quale fa vedere gli scogli stessi contro cui è andato a fracassarsi ed è naufragato. A tanto è stato ridotto, ed ora, spinto, sbattuto, incagliato tra scogli così paurosi, è in tale condizione da non potersi liberare se non correggendo quello che ha detto, dal momento che gli è impossibile far vedere per quale demerito sia diventata peccatrice l'anima, della quale non ha esitato ad affermare che, prima d'ogni suo peccato, ha meritato di diventare peccatrice. Chi potrebbe meritare senza peccato un castigo così immane da non esser senza peccato già prima d'uscire dal seno materno, perché concepito in una colpa non sua? Da questa pena libera le anime dei bambini che sono rigenerati nel Cristo, senza nessun loro merito precedente, la grazia gratuita: altrimenti non sarebbe più grazia 4. Perciò quest'uomo molto intelligente, a cui dispiace in tanta difficoltà la nostra esitazione (non dotta, è vero, ma tuttavia cauta), dica, se può, con quale merito l'anima sia arrivata a questa pena dalla quale la libera la grazia senza merito. Lo dica così da poter difendere con qualche argomento quello che dice, se n'è capace. Non lo esigerei, se egli non avesse detto che l'anima ha meritato d'esser peccatrice. Dica se il merito dell'anima fu buono o cattivo. Se buono, come ha potuto finire nel male l'anima con un merito buono? Se cattivo, da dove viene all'anima un merito cattivo prima d'ogni peccato? Dirò ancora: Se buono, la grazia allora non libera l'anima gratuitamente, ma debitamente, essendo stata preceduta la grazia da un merito buono, e così la grazia non sarà più grazia 5. Se invece cattivo, domando in che consista. Sarà forse il fatto d'esser venuta nella carne, dove non sarebbe venuta se non vi fosse stata mandata da colui nel quale non c'è ingiustizia 6? Mai dunque se non con il risultato di precipitarsi in errori sempre più gravi potrà costui affannarsi a tenere in piedi la propria sentenza, con la quale ha detto che l'anima ha meritato d'esser peccatrice. E per la verità, quanto a quei bambini dei quali nel battesimo si lava il peccato originale, costui ha trovato in un certo senso qualcosa di passabile da dire, perché " ai predestinati dalla prescienza divina alla vita eterna non avrebbe potuto nuocere per nulla l'essere contagiati per poco tempo da un peccato altrui ". E questo suo modo di dire si potrebbe tollerare, se egli non s'intrigasse nelle sue stesse parole affermando che l'anima ha meritato d'esser peccatrice: uno sproposito questo dal quale non si libera affatto se non pentendosi d'averlo detto.
La sorte dei bambini morti senza battesimo.
9. 10. Per quanto invece riguarda quei bambini che vengono prevenuti dalla morte prima d'esser battezzati nel Cristo, costui nel voler rispondere ha osato promettere ad essi non solo il paradiso, ma anche il regno dei cieli, non sapendo come cavarsela senza esser costretto a dire che Dio condanna alla morte eterna anime innocenti che egli immette dentro la carne peccatrice senza nessun precedente demerito di peccato. Ma sentendo in qualche modo quale svarione fosse l'aver detto che le anime dei bambini sono redente senza la grazia del Cristo per la vita eterna e il regno dei cieli, e che il peccato originale si può sciogliere in esse senza il battesimo del Cristo, dove si opera la remissione dei peccati: vedendo dunque in quale profondo e pericoloso gorgo si fosse buttato, scrive: " Decreto senz'altro che si offrano per essi assidue oblazioni e continui sacrifici da parte di santi sacerdoti ". Ecco un altro errore dal quale non sarà mai in grado d'uscire se non pentendosi d'averlo detto. Chi potrebbe infatti offrire il corpo del Cristo tranne che per coloro che sono membra del Cristo? Ma da quando il Cristo dichiarò: Se uno non rinasce dall'acqua e dallo Spirito, non può entrare nel regno di Dio 7, e: Chi avrà perduto la sua anima per causa mia, la troverà 8, nessuno diventa membro del Cristo se non per mezzo o del battesimo nel Cristo o della morte per il Cristo.
L'episodio del buon ladrone non diminuisce la necessità del battesimo.
9. 11. Perciò anche quel ladrone che prima della croce non fu servitore del Signore, ma sulla croce fu suo confessore, quel ladrone dal quale talvolta si capta o si tenta di captare il pretesto d'andare contro il sacramento del battesimo, è computato da S. Cipriano tra i martiri battezzati nel proprio sangue 9, come è capitato a molte persone non battezzate durante l'imperversare della persecuzione. L'aver infatti confessato il Signore crocifisso gli fu valutato tanto e gli valse tanto presso colui che sa pesare i meriti, quanto se fosse stato crocifisso lui stesso per il Signore. Eccone la ragione: la sua fede fiorì dal legno della croce proprio quando marcì la fede dei discepoli, destinata a rifiorire solamente con la risurrezione di Gesù per il terrore della cui morte era marcita. Essi disperarono di chi moriva, egli sperò in chi con lui moriva. Essi abbandonarono l'autore della vita, costui si abbandonò supplichevole ad un suo compagno di pena. Essi si dolsero della sua morte d'uomo, costui credette che Gesù dopo la morte sarebbe diventato re. I discepoli trascurarono colui che prometteva la salvezza, il ladrone rese onore ad un compagno con il quale condivideva la croce. Nel ladro che ebbe fede nel Cristo si trovò la statura del martire, proprio quando crollarono quelli che sarebbero stati i martiri futuri. E ciò fu certamente chiaro agli occhi del Signore che a lui non battezzato, ma come lavato dal sangue del martirio, conferì subito tanta felicità 10. Ma anche tra noi chi non immaginerebbe con quanta fede, con quanta speranza, con quanta carità avrebbe potuto accettare la morte per il Cristo vivente quel ladro che seppe cercare la vita nel Cristo morente? A ciò si aggiunge, perché non si afferma senza credibilità, che quel ladro, diventato credente sulla croce accanto al Signore, fu asperso dall'acqua sgorgante dal suo costato, come se fosse il più santo battesimo 11. Per tacere che nessuno riesce a convincerci, perché nessuno di noi lo sa, che quel ladro non sia stato battezzato prima della sua condanna. Ma ciascuno può prendere come vuole tutti questi particolari, purché non si valga dell'esempio di questo ladrone per negare il precetto del battesimo da parte del Salvatore, e nessuno prometta ai bambini non battezzati una condizione quasi intermedia tra la dannazione e il regno dei cieli di una qualsiasi quiete o felicità e in un qualsiasi luogo. Questo è infatti quanto ha promesso ad essi anche l'eresia pelagiana, perché essa da una parte non teme la dannazione per i bambini, ritenendo che non abbiano in nessun modo il peccato originale, e dall'altra non spera per i bambini il regno dei cieli se non giungono al sacramento del battesimo. Costui al contrario, mentre confessa che i bambini sono impegolati nel peccato originale, ha osato promettere a loro non ancora battezzati anche il regno dei cieli: e non hanno osato questo nemmeno i pelagiani che escludono assolutamente i bambini da qualsiasi peccato. Ecco in quali lacci di presunzione s'intriga costui, se non si pente d'aver scritto tali spropositi.
Il caso di Dinocrate.
10. 12. Quanto poi al racconto riguardante Dinocrate, fratello di santa Perpetua, né si tratta d'una Scrittura canonica, né Perpetua ha scritto, né l'ha scritto chiunque abbia scritto quel racconto, in tal modo da dire che fosse deceduto senza il battesimo quel ragazzo che morì a sette anni di età e per il quale si crede che Perpetua nell'imminenza del martirio pregò che fosse trasferito dalle pene alla pace e fu esaudita. I fanciulli infatti di quell'età possono mentire e dire la verità, confessare e rinnegare. È per questo che quando si battezzano, rendono già il Simbolo e rispondono da sé per se stessi alle interrogazioni. Chi sa dunque se quel ragazzo, dopo il battesimo, in tempo di persecuzione, non sia stato allontanato dal Cristo ad opera dell'empio suo padre mediante l'idolatria e per questo non sia finito nella dannazione della morte e non sia uscito da essa perché donato alle preghiere della sorella che era sul punto di morire per amore del Cristo?
Il caso dei bambini pagani.
11. 13. Ma anche se si concedesse a costui quello che, salva la fede cattolica e la regola ecclesiastica, non si concede per nessuna ragione, cioè che il sacrificio del corpo e del sangue del Cristo si offra a favore di persone non battezzate di qualsiasi età, come se per tale atto di pietà da parte dei loro cari siano aiutate a raggiungere il regno dei cieli, che cosa ha pronto costui per rispondere sul conto di tante migliaia di bambini che nascono da gente pagana, che non capitano tra le mani dei cristiani per nessuna compassione né divina né umana, che partono da questa vita in quella tenerissima età senza il lavacro della rigenerazione? Dica, se può, in che modo coteste anime hanno meritato di diventare tanto peccatrici da non essere liberate dal peccato nemmeno in seguito. Se infatti chiedo perché meritino d'esser condannate, se non si battezzano, giustamente mi si risponde: A causa del peccato originale. Se chiedo pure da dove hanno tratto il peccato originale, costui mi risponderà: Diamine, dalla carne peccatrice. Se allora chiederò per quale causa hanno meritato d'esser condannate nella carne peccatrice quelle anime che non avevano fatto nulla di male prima della loro unione con la carne, trovi qui costui che cosa rispondere, tanto più che questi bambini si condannano a subire il contagio di peccati altrui in tal modo che né il battesimo li rigenera dopo che sono stati mal generati, né i sacrifici li purificano dopo che sono stati inquinati. Infatti questi bambini sono nati e continuano fino ad oggi a nascere in tali luoghi e da tali genitori da non poter essere aiutati con nessuno di quei mezzi. Qui evidentemente ogni argomentazione fa cilecca. Non chiediamo infatti come le anime abbiano meritato d'esser condannate dopo che sono state messe a condividere la sorte della carne peccatrice, ma chiediamo come le anime abbiano meritato d'esser condannate a subire la pena di condividere la sorte della carne peccatrice senza aver nessun peccato prima d'esser messe a condividere la sorte della carne peccatrice. Non serve dire: " Non fu di nessun danno la contaminazione temporanea del peccato altrui per quelli a cui nella prescienza di Dio era stata preparata la redenzione ". Noi adesso parliamo precisamente di quelli che, uscendo dal corpo prima del battesimo, non sono soccorsi in nessun modo dalla redenzione. Non serve dire: " Le anime che non ha lavate il battesimo, le monderanno i frequenti sacrifici offerti per esse e Dio, prevedendo ciò, ha voluto che per breve tempo i peccati altrui si attaccassero a loro senza nessun esito di dannazione eterna e con la speranza della felicità eterna ". Noi adesso parliamo precisamente di quelle anime che, nascendo tra gli empi e dagli empi, non hanno potuto trovare nessuno di questi aiuti. I quali, se potessero essere applicati, non potrebbero certamente giovare ai non battezzati, come nemmeno quei sacrifici, che costui ha ricordati dal Libro dei Maccabei 12 e che furono offerti per i peccatori morti, avrebbero potuto loro giovare minimamente, se non fossero stati circoncisi.
Due soluzioni inaccettabili.
11. 14. Trovi dunque costui, se può, la risposta da dare, quando gli si domanda come abbia fatto l'anima, senza nessun peccato né originale né personale, a meritare d'esser condannata a subire il peccato originale di un altro in tal modo da non potersene liberare, e veda quale voglia scegliere di queste due risposte: se dire che vengono sciolte dal nodo del peccato originale anche le anime dei bambini che muoiono e che se ne vanno da questo mondo senza il lavacro della rigenerazione e per le quali non si offre il sacrificio del corpo del Signore, sebbene l'Apostolo insegni che per uno solo tutti finiscono nella condanna 13, tutti s'intende quelli ai quali non viene in soccorso la grazia a liberarli con la redenzione per mezzo di uno solo; o se dire che quelle anime, immuni da ogni peccato sia originale che proprio e assolutamente innocenti, semplici e pure, sono punite con la dannazione eterna da un Dio giusto, dopo che egli stesso di sua iniziativa le immette nella carne peccatrice senza dover mai essere liberate.
Altre due soluzioni inaccettabili.
12. 15. Per conto mio confermo che non va data né l'una né l'altra di coteste due risposte e nemmeno una terza: cioè che le anime abbiano peccato in un'altra vita prima d'aver la carne per meritare d'esser condannate a venire nella carne. A questo proposito l'Apostolo dichiara apertissimamente che Esaù e Giacobbe, quando non erano ancora nati nella carne non avevano fatto nulla di bene o di male 14. Da ciò risulta che i bambini, per aver bisogno della remissione dei peccati, non possono che aver contratto il peccato originale. E non va data neppure una famosa quarta risposta: cioè che il giusto Dio relega e condanna a venire nella carne peccatrice le anime di quei bambini che sono destinati a morire senza battesimo, perché ha previsto che sarebbero vissuti malamente, se avessero raggiunto l'età dell'uso del libero arbitrio. Questo non ha avuto l'ardire di dirlo nemmeno Vincenzo Vittore, benché ridotto in tante ristrettezze. Anzi egli parla abbastanza manifestamente e sbrigativamente anche contro una tale vana affermazione già quando dichiara: " Dio sarebbe ingiusto, se volesse giudicare l'uomo che non è nato per le opere della sua propria volontà che non ha compiute ". È appunto in questo modo che ha risposto, quando trattava la questione sollevata da coloro che domandano: Perché mai Dio si mise a creare l'uomo di cui sapeva con la sua esatta previsione che non sarebbe stato buono? L'avrebbe infatti giudicato quando non era ancora nato, se non l'avesse voluto creare proprio perché prevedeva che non sarebbe stato buono. Ed è vero, come sembra anche a costui, che Dio avrebbe dovuto giudicare l'uomo in base alle opere da lui compiute, non in base alle opere previste e non ammesse mai all'esistenza. Poiché se i peccati che un uomo avrebbe potuto commettere nella sua vita si condannassero in lui senza che li abbia commessi perché è morto prima, non sarebbe stato concesso nessun beneficio a chi fu rapito perché la malizia non ne mutasse i sentimenti 15: egli sarebbe giudicato allora secondo la malizia che ci sarebbe stata in lui e non secondo l'innocenza che invece è stata trovata in lui. E non ci potrebbe essere sicurezza di nessun morto che sia stato battezzato, perché anche dopo il battesimo gli uomini possono non solo peccare come che sia, ma perfino apostatare. Che dire dunque d'un battezzato che è stato rapito via da questa vita e che sarebbe diventato apostata se avesse continuato a vivere: penseremo forse che non gli è stato concesso nessun beneficio con l'essere rapito perché la malizia non ne mutasse i sentimenti e crederemo che a causa della prescienza di Dio sia da esser giudicato non come un membro fedele del Cristo, ma come un apostata? Quanto sarebbe stato meglio, se si puniscono i peccati non ancora fatti, non ancora pensati, ma previsti e di là da venire, che quei due fossero scacciati dal paradiso prima del peccato, per impedire che si peccasse in un luogo così santo e beatifico! Che dire del fatto che va a finire assolutamente nel nulla la prescienza divina, se non accadrà ciò che si prevede? Con quale logica infatti si può dire previsto un futuro che non sarà mai futuro? In che modo dunque si puniscono i peccati che non esistono in nessun modo, cioè i peccati che non sono stati commessi né prima della carne in questa vita, perché essa non era ancora cominciata, né dopo la carne, perché sono stati prevenuti dalla morte?
Vincenzo Vittore è dalla parte dell'eresia pelagiana.
13. 16. Pertanto il tempo intermedio da quando l'anima fu mandata nella carne fino al suo disciogliersi dalla carne, poiché si tratta dell'anima d'un bambino che non è giunto all'età del libero arbitrio, non trova per essere condannato, se non riceve il battesimo, nient'altro che il peccato originale. Che per questo peccato l'anima sia giustamente condannata non lo neghiamo, perché è giusta la legge che stabilisce un castigo per il peccato. Ma ci chiediamo la ragione per cui l'anima è stata condannata a subire questo peccato, se essa non si trae da quell'unica anima che peccò nel primo padre del genere umano. Perciò, se Dio non condanna gli innocenti, né fa che non siano innocenti quelli che vede innocenti, e se soltanto il battesimo del Cristo nella Chiesa del Cristo libera le anime sia dai peccati originali, sia dai peccati propri, e se le anime non ebbero prima della carne nessun peccato, e se non si possono punire con legge giusta i peccati prima che si commettano e tanto meno i peccati che non sono stati mai commessi, Vincenzo Vittore non dica nessuna di queste quattro bestialità e spieghi, se può, per quale demerito le anime dei bambini, che uscendo dal corpo senza battesimo si mandano alla dannazione, siano state mandate, pur senza aver peccato in nessun modo, nella carne peccatrice per trovarvi il peccato che le facesse condannare giustamente. Ebbene, se scansando questi quattro errori che la sana dottrina condanna, ossia se non osando dire o che Dio fa peccatrici le anime che esistevano già senza peccato, o che il peccato originale si scioglie nelle anime senza il sacramento del Cristo, o che le anime hanno peccato in qualche altro luogo prima d'esser mandate nella carne, o che nelle anime si puniscono i peccati che esse non hanno mai avuti: se non volendo dire tali errori, perché non sono certamente da dirsi, dirà che i bambini non contraggono il peccato originale, né hanno alcunché che li faccia condannare, se escono da questa vita senza aver ricevuto il sacramento della rigenerazione, incorrerà nell'eresia pelagiana, senza dubbio condannabile, ed egli stesso sarà da condannare. Perché questo non gli capiti, quanto sarebbe meglio che si attenesse alla mia esitazione sull'origine dell'anima per non avere la presunzione d'affermare ciò che e non comprende con la ragione umana e non difende con l'autorità divina, e quindi non esser costretto a professare la propria insipienza per la vergogna di confessare la propria ignoranza.
Per dimostrare l'origine dell'anima umana per nuova creazione divina Vincenzo Vittore usa testi biblici incerti.
14. 17. Qui probabilmente costui dirà che la sua sentenza gode del patrocinio dell'autorità divina, perché è convinto di provare con testimonianze delle sante Scritture "che le anime non sono fatte da Dio attraverso la propaggine, ma sono ispirate nuove da Dio nelle singole persone ". Lo provi, se può, e sarò pronto a confessare d'aver imparato da lui quello che cercavo con tanta insistenza. Ma cerchi costui altre testimonianze, e chi sa che non le trovi, perché con queste testimonianze che ha già messe nel suo libro non l'ha provato. Tutte le testimonianze usate da lui sono valide per dimostrare qualcosa, ma risultano ambigue quanto al problema dell'origine dell'anima. Per esempio, è certo che Dio ha dato agli uomini il respiro e lo spirito, perché il profeta afferma: Così dice il Signore che crea i cieli e distende la terra con ciò che vi nasce e dà il respiro al popolo che la abita e lo spirito a quanti la calcano 16. Costui vuole che s'intenda questo testo nel senso della sentenza che difende e che quindi in forza delle parole Dà il respiro al popolo si deve credere che Dio non fa le anime al popolo attraverso la propaggine, ma le ispira nuove. Abbia allora il coraggio di dire che non è stato Dio a darci la carne, dal momento che essa ha avuto origine dai nostri genitori. E dove l'Apostolo dice del chicco di frumento che Dio gli dà un corpo come ha stabilito 17, neghi, se osa, che il frumento nasca dal frumento e l'erba nasca dal suo seme secondo la stessa specie. Che se non osa negarlo, donde sa allora in che senso la Scrittura abbia detto: Dà il respiro al popolo, se traendolo dai genitori o se ispirandolo nuovo?
Esegesi di un testo biblico usato da Vincenzo Vittore.
14. 18. O donde sa altresì se nelle parole: Che dà il respiro al popolo che la abita e lo spirito a quanti la calcano 18 non ci sia la ripetizione di un medesimo concetto, cosicché ambedue i vocaboli debbano intendersi d'una stessa realtà e il profeta abbia voluto indicare non l'anima e lo spirito di cui vive la natura umana, sibbene lo Spirito Santo? Se infatti non si potesse con il respiro indicare lo Spirito Santo, il Signore dopo la risurrezione non avrebbe alitato sui discepoli dicendo: Ricevete lo Spirito Santo 19. E non sarebbe stato scritto negli Atti degli Apostoli: Venne all'improvviso dal cielo un rombo come di respiro che si abbatte gagliardo, e apparvero a loro lingue come di fuoco che si dividevano e si posarono su ciascuno di loro, ed essi furono tutti pieni di Spirito Santo 20. Che ci sarebbe da obiettare, se il profeta avesse voluto proprio preannunziare lo Spirito Santo dicendo: Che dà il respiro al popolo che la abita, e quasi per spiegare che cosa aveva chiamato " respiro " ripete e dice: E lo spirito a quanti la calcano? Ciò infatti avvenne con grande evidenza quando furono tutti pieni di Spirito Santo. O se non si possono dire ancora popolo i centoventi che si trovavano tutti insieme allora nello stesso luogo, certamente, quando quattro o cinquemila insieme credettero, furono battezzati e ricevettero lo Spirito Santo 21, chi potrebbe dubitare che abbia ricevuto allora lo Spirito Santo tutto un popolo, e una moltitudine che camminava sulla terra, cioè una moltitudine di gente che la calcava? Lo spirito che si dà invece alla natura umana come sua parte componente, tanto se si dà mediante la propaggine, quanto se si ispira di nuovo - su nessuna delle due ipotesi mi pronunzio, finché l'una o l'altra non apparisca chiara senza incertezze -, non è dato a coloro che calcano la terra, ma a coloro che sono inclusi ancora nell'utero materno. Diede dunque il respiro al popolo che la abita e lo spirito a quanti la calcano, quando credettero insieme in molti e furono ripieni di Spirito Santo. Ed è Dio stesso che dà lo Spirito Santo al suo popolo, benché non lo dia a tutti insieme, ma a ciascuno secondo il suo tempo, fino a quando partendo da questa vita e arrivando in questa vita l'intero numero del medesimo popolo giunga a compimento. Dunque in questo passo della santa Scrittura non sarebbero realtà diverse il " respiro " e lo " spirito " ma si tratterebbe della ripetizione del medesimo concetto. Come non è altro " colui che abita nei cieli " e altro " il Signore ", né " ridere " è diverso da " beffarsi ", ma è sempre una stessa idea ripetuta nelle parole del salmo: Colui che abita nei cieli si ride di loro e il Signore se ne fa beffe 22. O quando dice: Ti darò le genti come tua eredità e i confini della terra come tuo possedimento 23, non intende una cosa per " eredità " e un'altra cosa per " possedimento ", né c'è differenza tra " genti " e " confini della terra ", ma è sempre la ripetizione del medesimo concetto. E troverà costui nei detti divini altre innumerevoli espressioni di tal genere, se sta attento a quello che legge.
Non è in discussione il fatto che l'anima di ogni uomo venga da Dio, ma il modo.
14. 19. Quello che il testo greco chiama pnohv nei codici latini è stato reso in maniere diverse: talvolta " respiro ", talvolta " spirito ", talvolta " ispirazione ". In questo testo profetico di cui parliamo ora i codici greci hanno pnohvn dove in latino è detto: Dà il respiro al popolo che abita la terra 24. Lo stesso vocabolo è adoperato anche quando fu animato l'uomo: E Dio soffiò nelle sue narici un respiro di vita 25. Il medesimo vocabolo è così tradotto nel salmo: Ogni spirito lodi il Signore 26. Lo stesso si trova così tradotto in questo passo del libro di Giobbe: È il soffio dell'Onnipotente che fa l'uomo intelligente 27. Non ha voluto dire " respiro " ma " soffio ", mentre in greco c'è pnoh,v come troviamo anche nelle parole del profeta di cui stiamo discutendo. E almeno in questo passo di Giobbe non so se si debba nutrire il dubbio che sia stato significato lo Spirito Santo. Si trattava infatti di dire donde venga agli uomini la sapienza: Non sono i molti anni a dar la sapienza, ma certo c'è uno spirito nell'uomo, è il soffio dell'Onnipotente che fa l'uomo intelligente 28. Con questa ripetizione voleva far capire che le parole: C'è uno spirito nell'uomo non sono dette dello spirito umano. Intendeva appunto mostrare da dove gli uomini abbiano la sapienza: non l'hanno da se stessi, e lo spiega ripetendo: È il soffio dell'Onnipotente che fa l'uomo intelligente. Similmente si legge in un altro passo del medesimo libro: L'intelligenza comprende le parole pure delle mie labbra: lo Spirito di Dio mi ha creato, il soffio dell'Onnipotente mi ha fatto intelligente 29. Anche in questo testo quello che chiama " ispirazione " o " soffio " è in greco pnohv che nelle precedenti parole del profeta è reso con " respiro ". Perciò mentre sarebbe temerario negare che le parole: Dà il respiro al popolo che abita la terra e lo spirito a coloro che la calcano siano state dette dell'anima o dello spirito dell'uomo, sebbene vi si possa intendere molto più credibilmente anche lo Spirito Santo, con quale argomento oserà qualcuno stabilire definitivamente che in quel passo il profeta ha voluto significare l'anima o lo spirito che fa vivere la nostra natura? Del resto, anche se dicesse apertissimamente: " Dà l'anima al popolo che abita la terra ", ci sarebbe ancora da domandarsi se lo stesso Dio dia l'anima attraverso l'origine dagli ascendenti della specie (come attraverso l'origine dagli ascendenti della specie è sempre Dio che dà il corpo non solo all'uomo e alla bestia, ma anche al seme del frumento e d'ogni altra pianta, secondo quello che ha stabilito 30), o se Dio ispiri un'anima nuova alla maniera in cui la ricevé il primo uomo.
La questione andrebbe risolta con testi biblici sicurissimi.
14. 20. Ci sono anche taluni che intendono il testo del profeta così da voler che si prenda solo per l'anima il " respiro " nella frase: Dà il respiro al popolo che la abita 31, cioè la terra, e ritengono invece che con l'altra frase: Lo spirito a coloro che la calcano sia stato significato lo Spirito Santo, cioè nello stesso ordine in cui anche l'Apostolo scrive: Non vi fu prima il corpo spirituale, ma quello animale, e poi lo spirituale 32. Così questa sentenza del profeta scolpirebbe anche un'elegante immagine, cioè avrebbe detto: " A coloro che la calcano " per indicare " coloro che la disprezzano ". Quelli infatti che ricevono lo Spirito Santo disprezzano i beni terreni per amore dei beni celesti. Tutte queste interpretazioni si trovano a non essere contrarie alla fede: sia che uno voglia intendere, in ambedue, il respiro e lo spirito che fanno parte della natura umana, sia che li intenda ambedue dello Spirito Santo, sia che riferisca il respiro all'anima e lo spirito invece allo Spirito Santo. Ma se anche qui si deve intendere l'anima e lo spirito dell'uomo, come non c'è da dubitare che sia Dio a darlo, così c'è da domandare ancora per quale via lo dia: se attraverso la propaggine, come è lui stesso che dà le membra del corpo, ma le dà tuttavia attraverso la propaggine, oppure se lo distribuisca alle singole persone ispirandolo in esse nuovo e senza propaggine. È questo che noi vogliamo dimostrato non con testimonianze ambigue, come fa costui, ma con qualche testimonianza certissima dei detti divini.
La questione è questa: l'anima umana viene oggi da Dio alla stessa maniera del corpo o alla maniera della prima anima?
14. 21. Allo stesso modo anche nel testo dove Dio dice: Lo Spirito esce da me e ogni respiro di vita l'ho fatto io 33, le parole: Lo Spirito esce da me si devono intendere dello Spirito Santo, di cui anche il Salvatore afferma: Procede dal Padre 34, ma non si può negare che sia stato detto di ciascun'anima il resto: Ogni respiro di vita l'ho fatto io. Ma è lui stesso che fa pure ogni corpo, e nessuno però dubita che faccia il corpo umano attraverso la propaggine. Perciò rispetto all'anima, pur nella certezza che è Dio a farla, dobbiamo chiederci ulteriormente da che cosa la faccia: se attraverso la propaggine come il corpo o se ispirandola come fece la prima.
Un testo del profeta Zaccaria.
14. 22. Aggiunge anche come terza testimonianza il passo del profeta Zaccaria: Il Signore ha formato lo spirito dell'uomo nel suo intimo 35. Quasi che lo si neghi! Ma la questione è da che cosa lo formi. Anche l'occhio corporeo dell'uomo da chi è formato se non da Dio? E credo che non fuori dell'uomo, ma nell'uomo, e tuttavia, com'è certo, Dio lo forma attraverso la propaggine. Poiché dunque è Dio che forma anche lo spirito dell'uomo nel suo interno, dobbiamo chiederci se lo formi con una nuova ispirazione o perché è stato tratto dalla propaggine.
Anche il libro dei Maccabei afferma il fatto, ma non spiega il modo dell'origine dell'anima umana da Dio.
14. 23. Sappiamo pure che la madre dei giovani Maccabei, più feconda di virtù quando i suoi figli soffrirono il martirio che di virgulti quando essi germogliarono da lei, li esortò con queste parole: Figli, io non so come siate apparsi nel mio seno; non io vi ho dato lo spirito e l'anima, né io ho dato forma al volto e alle membra di ciascuno di voi. Ma è Dio che ha fatto il mondo con tutte le cose che ci sono e ha fatto il genere umano e scruta l'attività di tutti, ed è lui che con la sua grande misericordia restituirà a voi lo spirito e l''anima 36. Conosciamo bene questi testi, ma non vediamo in che modo essi suffraghino quello che afferma costui. Chi infatti tra i cristiani negherebbe che sia Dio a donare agli uomini l'anima e lo spirito? Ma penso che costui allo stesso modo non possa negare che sia Dio a dare agli uomini la lingua, gli orecchi, le mani, i piedi, tutti i sensi del corpo, la forma e la natura di tutte le membra. Come potrebbe negare che tutte queste realtà siano doni di Dio senza dimenticarsi d'essere cristiano? Ma come consta che Dio fa e dona queste entità materiali attraverso la propaggine, così dobbiamo chiederci anche da che cosa faccia lo spirito e l'anima dell'uomo il medesimo Dio che li dona con la sua efficienza: se attraverso i genitori, se dal nulla, se, come afferma costui, ma è un errore che dobbiamo assolutamente scartare, da una qualche sostanza esistente del respiro di Dio, creata non dal nulla, bensì dalla stessa natura di Dio.
La sicurezza di Vincenzo Vittore non ha base biblica.
15. 24. Poiché dunque le testimonianze delle Scritture alle quali ricorre non insegnano affatto quello che si sforza di dimostrare (non sono per niente esplicite per quanto concerne la presente questione), con quale diritto dice: " Affermiamo convintamente che l'anima viene dal respiro di Dio e non per trasmissione, perché è da Dio che è data "? Come se il corpo sia dato da un altro che non sia colui che lo crea e dal quale, per mezzo del quale, nel quale sono tutte le cose 37: benché non dalla sua natura divina, ma dalla sua attività. " Né dal nulla " dice costui " perché procede da Dio ". Quanto a ciò noi non ammoniamo che c'è ancora da cercare se sia vero, ma confermiamo senza esitazione che non è vero quanto dice costui, ossia che l'anima non viene né per trasmissione, né dal nulla: questo, ripeto, non è assolutamente vero. Delle due ipotesi infatti una è sicura: se l'anima non viene per trasmissione, viene dal nulla; non viene infatti da Dio, perché non è della stessa natura di Dio: un errore in cui sarebbe del tutto sacrilego credere. Ma ancora una volta noi reclamiamo o cerchiamo testimonianze certe per stabilire che non venga per trasmissione, non quelle che ha portate costui e che non risolvono la questione posta da noi.
Fu esemplare l'umiltà della madre dei Maccabei.
15. 25. Magari in un problema tanto profondo, finché ignora che cosa dire, costui imitasse la madre dei Maccabei! La quale, pur sapendo che aveva concepito i suoi figli dal marito e che essi erano stati creati per lei dal Creatore di tutte le cose, sia quanto al corpo, sia quanto all'anima e allo spirito, tuttavia dichiara: Io non so come siate comparsi nel mio seno 38. Vorrei che costui dicesse che cosa ignorava quella donna. Sapeva bene quello che ho già detto: come erano venuti nel suo seno quanto al corpo, perché non poteva dubitare d'averli concepiti dal marito. Confessava anche, perché ugualmente lo sapeva, che Dio aveva dato ad essi l'anima e lo spirito, che egli aveva formato i loro volti e le loro membra. Che cosa dunque ignorava? Non ignorava forse ciò che ignoriamo noi pure: se l'anima e lo spirito, che Dio certamente aveva dato ad essi, l'avesse tratti dai genitori o l'avesse ispirati nuovi come al primo uomo? Ma fosse questo o fosse altro quello che ignorava sul formarsi della natura umana, quella donna diceva d'ignorarlo e non difendeva temerariamente quello che ignorava. Eppure a lei non direbbe costui ciò che non si è vergognato di dire a noi: L'uomo, quando è in onore, non comprende: si comporta come gli animati irragionevoli e diviene simile ad essi 39. Ecco, quella donna disse dei suoi figli: Io non so come siate comparsi nel mio seno, senza per questo comportarsi come gli animali irragionevoli. Io non so, disse, e come se le chiedessero il perché aggiunse: Non io vi ho dato lo spirito e l'anima. Colui dunque che ve ne ha fatto dono sa da che cosa ha fatto ciò che vi ha donato: se l'abbia fatto discendere fino a voi attraverso la propaggine o se l'abbia ispirato nuovo. È questo, disse, che io non so. Né ho dato forma ai volti e alle membra di ciascuno di voi 40: lo sa colui che ve li formò se li abbia formati insieme con l'anima o se abbia dato l'anima dopo che le membra erano già state formate. In qual modo dunque, se nel primo modo o nel secondo, fossero comparsi i figli nel suo seno non lo sapeva, e nondimeno sapeva che tutto quello che Dio aveva dato Dio l'avrebbe ridato come l'aveva dato. Ma scelga costui, in un mistero così profondo e segreto della natura umana, che cosa questa donna abbia ignorato: soltanto non l'incolpi di mentire, né la abbassi al livello degli animali irragionevoli perché ignora. Checché fosse quello che ignorava, ciò faceva parte certamente della natura umana, e tuttavia una creatura umana lo ignorava senza colpa. Perciò anch'io nei riguardi della mia anima dico: Non so come essa sia venuta nel mio corpo, perché non sono stato io a darmela: lo sa colui che me l'ha donata se l'ha tratta da mio padre o se l'ha creata nuova per me come per il primo uomo. Lo saprò anch'io, se il Signore me lo insegnerà, quando vorrà. Ma per ora lo ignoro e non ho vergogna, come l'ha costui, a confessare di non sapere quello che non so.
Una testimonianza di S. Paolo che non serve bene a Vincenzo Vittore.
16. 26. " Impara! Ecco l'Apostolo insegna " scrive costui. Sono prontissimo ad imparare, se l'Apostolo insegna, perché per mezzo dell'Apostolo non insegna altri che Dio. Ma che cos'è una buona volta quello che l'Apostolo insegna? " Ecco " scrive costui " parlando agli Ateniesi afferma risolutamente proprio questo, dicendo che Dio dà a tutti la vita e lo spirito 41 ". Chi lo nega infatti? " Ma cerca di capire " continua costui " quello che l'Apostolo dice: "Dà" dice, non: "Diede", richiamando ad un tempo indeterminato e continuo, non parlando del passato e del già fatto. E quanto dà senza interruzione, lo dà sempre, come sempre è colui che lo dà ". Ho trascritto le sue parole come le ho trovate nel secondo libro di quelli che mi hai mandati. Osserva prima di tutto fin dove s'è spinto intestandosi nell'affermare quello che ignora. Ha osato dire che Dio non adesso soltanto e in questo secolo, ma per un tempo infinito, senza interruzione e sempre in senso assoluto dà le anime a coloro che nascono. " Dà sempre, come sempre è colui che dà ". Che cosa abbia detto l'Apostolo, poiché è abbastanza aperto, lungi da me negare di capirlo, ma che quanto dice Vincenzo Vittore sia contro la fede cristiana lo deve capire anche lui stesso e deve guardarsi dal continuare a dirlo. Quando infatti i morti saranno risorti, nessuno nascerà più e perciò Dio non darà più le anime a chi nasce, ma giudicherà insieme ai loro corpi le anime che dà adesso in questo secolo. Non sempre dunque le dà, benché sia per sempre colui che adesso le dà. Né tuttavia dal fatto che il beato Apostolo non dice: " Diede ", ma: " Dà " si conclude ciò che vuole concludere costui, cioè che Dio non dà le anime attraverso la propaggine. È sempre evidentemente Dio che le dà, anche se le dà attraverso la propaggine. Perché, e anche le membra del corpo e i sensi del corpo e la forma del corpo e addirittura la sostanza del corpo è Dio stesso che li dà agli uomini, benché li dia attraverso la propaggine. Né, a riprova, per il fatto che il Signore dice: Se Dio veste così l'erba del campo che oggi c'è e domani verrà buttata nel forno 42, non dice: " Vestì ", riferendosi alla prima volta che la creò, ma dice: " Veste ", riferendosi a ciò che fa anche adesso, non negheremo che i gigli nascano dai semi della loro specie. Che dire allora se, analogamente, anche l'anima e lo spirito dell'uomo è dato da Dio finché sarà dato e tuttavia è dato attraverso la propaggine della specie umana? È questo un punto di vista che io né sostengo, né respingo. Ma se è da sostenersi o se è da respingersi, io ricordo che si deve sostenere o si deve respingere in base a testimonianze trasparenti e non in base a testimonianze ambigue. Né per il fatto che dichiaro di non saperlo ancora sono equiparabile agli animali irragionevoli, ma piuttosto alle persone caute, perché non oso insegnare quello che ignoro. Io poi non voglio per rivalsa, quasi contraccambiando maledizione con maledizione, paragonare costui ad una bestia, ma lo ammonisco come figlio a confessare l'ignoranza di ciò che ignora e a non presumere d'insegnare ciò che non ha imparato ancora, per non rischiare d'esser paragonato non alle bestie, ma a coloro dei quali l'Apostolo dice: Pretendono di essere dottori della legge, mentre non capiscono né quello che dicono, né alcuna di quelle cose che danno per certe 43.
Nella questione della origine dell'anima da Dio non si può trascurare il modo in cui viene da Dio il corpo umano.
17. 27. Da che dipende infatti che riguardo alle Scritture di cui parla sia così disattento da sostenere, quando legge che gli uomini vengono da Dio, che essi " vengono da Dio solo nell'anima e nello spirito " e non anche nel corpo? Quello infatti che dice l'Apostolo: Da lui noi siamo 44, costui non lo vuole riferire al corpo, ma esclusivamente all'anima e allo spirito. Se i corpi non vengono da Dio, allora è falso quello che è scritto: Da lui, per lui, in lui sono tutte le cose 45. Dove poi il medesimo Apostolo dice: Come la donna deriva dall'uomo, così anche l'uomo ha vita dalla donna 46, ci spieghi costui quale propaggine abbia voluto intendere l'Apostolo: se dell'anima o del corpo o d'ambedue. Ma egli esclude che le anime vengano dalla propaggine. Resta dunque, secondo lui e secondo tutti quelli che respingono la propaggine delle anime, che nel dire: Come la donna deriva dall'uomo, così anche l'uomo ha vita dalla donna, l'Apostolo abbia indicato unicamente il corpo maschile e il corpo femminile, perché la donna fu fatta dall'uomo e perché anche l'uomo potesse poi nascere per mezzo della donna. Ma se nel dire questo l'Apostolo non voleva intendere altresì l'anima e lo spirito, ma solamente il corpo d'ambedue i sessi, perché mai soggiunge immediatamente: Tutto poi proviene da Dio, se non perché anche i corpi vengono da Dio? Dice appunto: Come la donna deriva dall'uomo, così anche l'uomo ha vita dalla donna, tutto poi proviene da Dio. Scelga dunque costui di che cosa questo sia stato detto. Se dei corpi, allora anche i corpi sono da Dio. Perché dunque costui ogni volta che nelle Scritture legge nei riguardi degli uomini che essi vengono " da Dio ", non vuole che s'intendano anche i corpi, ma unicamente le anime e gli spiriti? Se invece la frase: Tutto poi proviene da Dio è stata detta sia del corpo d'entrambi i sessi, sia dell'anima e dello spirito, allora la donna deriva dall'uomo in tutte le sue parti. La donna deriva dall'uomo, l'uomo ha vita dalla donna, tutto poi proviene da Dio. " Tutto " che cosa se non ciò di cui parlava, ossia e quell'uomo da cui deriva la donna, e quella donna che ha vita dall'uomo, e quell'uomo che nasce per mezzo della donna? L'uomo infatti che nasce per mezzo della donna non è lo stesso uomo da cui deriva la donna, bensì l'uomo nato successivamente dall'uomo mediante la donna, come gli uomini nascono tuttora. Quindi se l'Apostolo, quando scriveva questi testi, parlava dei corpi, sicuramente i corpi d'ambedue i sessi vengono da Dio. Ora, se Vincenzo Vittore non vuole che vengano da Dio se non le anime e gli spiriti degli uomini, la donna deriva certamente dall'uomo anche nell'anima e nello spirito, e così non rimarrà più nulla per coloro che si oppongono alla propaggine delle anime. Se invece Vincenzo Vittore distingue così da dire che la donna deriva dall'uomo nel corpo, ma deriva da Dio nell'anima e nello spirito, come sarà vero quello che dice l'Apostolo: Tutto poi proviene da Dio, se il corpo della donna deriva dall'uomo in tal modo da non venire da Dio? In conclusione, per lasciar dire all'Apostolo la verità piuttosto che preferire questo scrittore all'Apostolo, la donna deriva dall'uomo o nel corpo soltanto o in tutto ciò che costituisce la natura umana - non affermiamo come certo nulla di tutto questo, ma stiamo ancora cercando dove stia la verità -, l'uomo nasce per mezzo della donna, sia che si tragga dal padre tutta la natura umana che nasce per mezzo della donna, sia che si tragga solamente la carne, ed è questo il punto su cui è ancora accesa la questione, tutto poi proviene da Dio: e su questo punto non c'è nessuna questione, ossia proviene da Dio e il corpo e l'anima e lo spirito, e dell'uomo e della donna. Benché infatti non siano nati da Dio o non siano stati tratti da Dio o non siano emanati da Dio così da essere della sua medesima natura, nondimeno vengono da Dio. Da colui infatti dal quale sono stati creati, costituiti, fatti, dal medesimo ricevono il dono di esistere.
Nell'interpretare la Scrittura non si trascuri il suo parlare figurato.
17. 28. Scrive costui: " Ma l'Apostolo dicendo che Dio dà a tutti la vita e lo spirito e aggiungendo che fece tutto il genere umano da un unico sangue 47 riporta l'anima e lo spirito nella loro origine al Creatore e l'origine del corpo alla trasmissione ". Tutt'altro. Chi non vuol negare temerariamente la propaggine delle anime, prima che apparisca chiaro se essa ci sia o non ci sia, ha motivo d'intendere che l'Apostolo in questa sua frase ha detto: Da un unico sangue per significare: Da un unico uomo, prendendo la parte per il tutto con figura retorica. Se infatti è lecito a costui intendere il tutto dalla parte nella frase: E l'uomo divenne un'anima vivente 48, dove è sottinteso anche lo spirito, di cui qui la Scrittura tace, perché non dovrebbe essere permesso ad altri di prendere la frase: Da un unico sangue così da poter sottintendere nel " sangue " anche l'anima e lo spirito, atteso che l'uomo, significato con la parola " sangue " non consta di solo corpo, ma anche d'anima e di spirito? Chi infatti difende la propaggine delle anime non deve aggredire costui con l'argomento che nel primo uomo è stato scritto: In lui tutti hanno peccato 49. Non si dice che in lui peccò la carne di tutti, ma si dice " tutti ", cioè tutti gli uomini, e l'uomo non è carne soltanto. Come dunque chi difende la propaggine delle anime non dev'essere aggredito con questo argomento, perché forse si dice tutti gli uomini volendoli intendere nella carne soltanto, a sua volta costui non deve aggredire i sostenitori della propaggine delle anime argomentando dalle parole: Tutto il genere umano da un unico sangue 50, come se esse restringessero la propaggine alla carne soltanto. Perché, se fosse vero quanto sostengono costoro, cioè che l'anima non viene dall'anima, ma solamente la carne dalla carne, allora la frase: Da un unico sangue non indicherebbe tutto l'uomo con una sua parte, ma soltanto la carne d'un uomo soltanto, mentre nella frase: In lui hanno peccato tutti si dovrebbe intendere solamente la carne di tutti gli uomini che si è propagata da Adamo, significando la Scrittura la parte con il tutto. Viceversa, se è vero che da tutto l'uomo è propagato tutto l'uomo, cioè il corpo, l'anima e lo spirito, allora la frase: In lui hanno peccato tutti gli uomini ha un senso proprio, mentre la frase: Da un unico sangue avrebbe un senso metaforico, usando la parte per il tutto, cioè indicando con il sangue tutto l'uomo che è composto d'anima e di carne, o d'anima, di spirito e di carne, come ama esprimersi costui. Infatti le rivelazioni divine delle Scritture sono solite indicare sia il tutto con la parte, sia la parte con il tutto. Il tutto è indicato con la parte nelle parole: A te ricorre ogni carne 51, intendendo con la carne l'uomo intero. Al contrario è indicata la parte con il tutto quando si dice che il Cristo fu seppellito, mentre fu seppellita soltanto la sua carne. Ora, quanto alla proposizione contenuta in questo passo dell'Apostolo: Dio dà a tutti la vita e lo spirito 52, penso che essa, secondo il precedente ragionamento, non scomodi nessuno. È vero che Dio dà, ma ci chiediamo ancora in che modo dia: se con una nuova ispirazione o attraverso la propaggine. Con molta esattezza è detto che è Dio stesso a dare anche la sostanza della carne, senza tuttavia negare che sia data da Dio attraverso la propaggine.
Un testo della Genesi.
18. 29. Vediamo ora quel famoso passo della Genesi dove la donna, fatta dal fianco dell'uomo, fu presentata a lui ed egli esclamò: Questa volta essa è osso dalle mie ossa e carne dalla mia carne 53. Costui crede a questo proposito che "Adamo avrebbe dovuto dire: Anima dalla mia anima o spirito dal mio spirito, se anche l'anima o lo spirito fosse stato tratto da lui". Ma coloro che ammettono la propaggine delle anime, stimano di trovare un più valido appoggio per la loro sentenza nella circostanza che, mentre è scritto che Dio staccò una costola dal fianco dell'uomo e formò con essa la donna, non è stato aggiunto che Dio soffiò sul volto di lei l'alito della vita 54: e questo perché, dicono, la donna aveva già ricevuto l'anima attraverso l'uomo. Se fosse vero, dicono, che non aveva già ricevuto l'anima, la santa Scrittura non avrebbe mancato in nessun modo d'informarci d'un tale fatto 55. Quanto alle parole d'Adamo: Questa volta essa è osso dalle mie ossa e carne dalla mia carne, invece che: Spirito o anima dal mio spirito o dalla mia anima, costoro possono rispondere, come si è detto sopra, che la parte sta per il tutto nell'espressione: " osso e carne mia ", e si vuol dire che si tratta di elementi in stato di vita e non di morte. Né infatti è da negarsi che l'Onnipotente l'abbia potuto fare per la ragione che nessuno di noi può tagliare una qualche parte dalla carne umana insieme all'anima. Infatti come mai, al posto di quello che soggiunse: Questa sarà chiamata donna, perché è stata tratta dall'uomo 56, Adamo non disse piuttosto, nel senso dell'opinione di costoro: Perché la sua carne è stata tratta dall'uomo? In questo caso dunque coloro che seguono una sentenza diversa da quella di costui possono dire che, non essendo stato scritto che fu tratta dall'uomo la carne della donna, bensì " la donna dal suo uomo ", si deve intendere tutta la donna con l'anima e con lo spirito. Benché infatti l'anima non abbia sesso, non è tuttavia che quando si nominano le donne si debbano necessariamente intendere senza l'anima. Altrimenti non si esorterebbero ad ornarsi in questo modo: Non di trecce e ornamenti d'oro, di perle o di vesti sontuose, ma di opere buone, come conviene a donne che fanno professione di pietà 57. Certo, la pietà è dentro l'anima o dentro lo spirito, e nondimeno sono state nominate le donne ad adornarsene anche nell'interno dove non c'è in nessun modo il sesso.
Le affermazioni devono essere molto caute.
18. 30. Mentre dunque costoro hanno combattuto tra di loro a botta e risposta, il giudizio che io pronunzio in mezzo alle due parti è questo: ammonisco gli uni e gli altri che non si fidino di sé in problemi sconosciuti e non osino affermare temerariamente ciò che ignorano. Se infatti fosse stato scritto: Soffiò l'alito della vita sulla faccia della donna ed essa divenne un'anima vivente, nemmeno allora si potrebbe concludere che l'anima non si propaga attraverso i genitori, se ciò non si leggesse scritto ugualmente anche del figlio di Adamo e di Eva. Era possibile infatti che un membro preso senz'anima dal corpo di Adamo avesse bisogno di ricevere l'anima, mentre invece l'anima del figlio si traeva dal padre attraverso la madre mediante la trasmissione della propaggine. Dal momento che si è al contrario taciuto di ciò, vuol dire che si è occultato, non che si è negato, ma non è stato nemmeno affermato. Si deve dunque appurare con prove più chiare se eventualmente in altri testi non sia stato serbato il silenzio su questo problema. Conseguentemente, né coloro che difendono la propaggine delle anime trovano un aiuto nel fatto che Dio non soffiò sul volto della donna, né coloro che negano la propaggine delle anime, per il fatto che Adamo non disse: " Anima dalla mia anima ", devono esser convinti di ciò che ancora ignorano. Come infatti, senza risolvere la questione ma lasciandola intatta, la Scrittura ha potuto tacere l'informazione che la donna riceve l'anima alla pari del suo uomo dal soffio di Dio, così, senza risolvere la questione ma lasciandola intatta, la Scrittura ha potuto tacere l'informazione perché Adamo non ha detto: " Anima dalla mia anima ". Quindi, se l'anima della prima donna viene dall'uomo, la parte sta per il tutto nella proposizione: Questa volta essa è osso dalle mie ossa e carne dalla mia carne 58, perché fu tratta dall'uomo tutta la donna intera e non la sua carne soltanto. Se al contrario l'anima della donna non viene dall'uomo, ma fu Dio a ispirarla in lei come nell'uomo, allora con il tutto si è indicata la parte là dove si legge: Fu tratta dal suo uomo 59, perché sarebbe stata tratta la carne di Eva e non tutta Eva.
I testi incerti della Scrittura hanno bisogno di altri testi sicuri.
18. 31. Benché dunque con queste testimonianze, innegabilmente ambigue rispetto al nostro problema, non si risolva la presente questione, tuttavia una cosa so: coloro che sono dell'opinione che l'anima della donna non viene dall'anima dell'uomo, perché non è stato detto: " Anima dalla mia anima ", ma è stato detto: Carne dalla mia carne 60, argomentano alla stessa maniera degli Apollinaristi o di altri, quali che siano, contro l'anima del Signore. Essi la negano, perché leggono scritto: Il Verbo si fece carne 61. Se qui infatti, affermano costoro, fosse compresa anche l'anima, si sarebbe dovuto dire: Il Verbo si fece uomo. Ma la vera ragione per cui a questi si replica che la Scrittura è solita indicare con il nome di carne tutto l'uomo, come per esempio nel testo: E vedrà ogni carne la salvezza di Dio 62, perché senza l'anima la carne non può vedere nulla, è che da moltissimi altri luoghi delle Scritture sante risulta senza nessuna ambiguità la presenza nell'umanità del Cristo non della sola carne ma altresì dell'anima umana, cioè dell'anima razionale. Perciò anche quelli che difendono la propaggine delle anime potrebbero prendere il tutto come espresso dalla parte nella frase: Osso dalle mie ossa e carne dalla mia carne 63 per sottintendervi pure l'anima, come non intendiamo che il Verbo si sia fatto carne senza l'anima. Ma, come da altre testimonianze si deduce che il Cristo possedeva un'anima umana, così anche costoro dovrebbero da altre testimonianze non ambigue dimostrare la propaggine delle anime. Parimenti ammoniamo anche coloro che escludono la propaggine delle anime perché assicurino con documenti certi l'ispirazione di anime nuove da parte di Dio, e allora potranno sostenere che la frase: Osso dalle mie ossa e carne dalla mia carne non usa metaforicamente la parte per il tutto così da doversi intendere insieme anche l'anima, ma è detta in senso proprio e soltanto della carne.
L'anima umana non può venire da Dio senza essere creata dal nulla.
19. 32. A questo punto vedo che il presente libro è già da concludere. Esso contiene tutte le ragioni che mi sembravano le più necessarie per svegliare nei lettori la coscienza di doversi guardare dal condividere con l'individuo di cui mi hai mandato i due libri l'errore di credere che le anime vengano così dal respiro di Dio da non venire dal nulla. Chi crede in quest'errore, anche se a parole lo nega, in realtà grida che le anime hanno la medesima sostanza di Dio 64 e sono stirpe di Dio non per munificenza divina ma per natura. Non si può in nessun modo ragionevolmente negare che ciascuno tragga la specie della propria natura da dove trae l'origine della propria natura. Costui viceversa contraddice talmente se stesso da dire che " le anime sono stirpe di Dio non per natura ma per munificenza divina, e tuttavia - dice - non le ha fatte Dio dal nulla, ma traggono origine da Dio stesso ", e così non esita a ricondurle alla medesima natura di Dio, mentre prima l'aveva negato.
Le tante assurdità di Vincenzo Vittore.
19. 33. Quanto poi all'infusione di anime nuove senza la propaggine, certamente non proibiamo in nessun modo che essa si difenda, però si difenda da parte di coloro che possano trovare o nei Libri canonici qualche testimonianza che non sia ambigua per la soluzione di questa intricatissima questione, o trovino nei propri ragionamenti qualche argomento che non sia contrario alla verità cattolica; non da parte di coloro che facciano la figura di Vincenzo Vittore, il quale, non trovando che cosa dire e non volendo rinunziare al suo proposito, senza misurare in nessun modo le proprie forze, per non tacere, ha osato dire che " a causa della carne l'anima meritò di macchiarsi e di diventare peccatrice ", senza poter scoprire nell'anima prima della carne nessun merito né buono né cattivo. Dice anche che " il peccato originale può essere sciolto nei bambini che escono dal corpo senza battesimo e si deve offrire il sacrificio del corpo del Cristo per essi ", i quali non sono stati incorporati al Cristo con i sacramenti del Cristo nella Chiesa del Cristo, e che " essi, emigrando da questa vita senza il lavacro della rigenerazione, non raggiungono soltanto l'eterno riposo, ma possono raggiungere anche il regno dei cieli ". E scrive tante altre assurdità, che è sembrato troppo lungo raccogliere ed esporre tutte in questo libro. Rimanga dunque stabilito: se la propaggine delle anime è falsa, non sia mai che venga ributtata da gente siffatta; e se l'infusione di anime nuove è vera, non sia mai che venga patrocinata da gente siffatta.
Esortazione a guardarsi dall'errore e dall'eresia.
19. 34. Per queste considerazioni coloro che vogliono difendere l'opinione per cui si dice che le anime si ispirano nuove nei nascenti e non si traggono dai genitori, si guardino assolutamente dal seguire qualcuno di questi quattro errori che ho ricordati sopra: cioè non dicano che è Dio a far peccatrici le anime a causa di un peccato originale altrui; non dicano che i bambini morti senza battesimo possono giungere alla vita eterna e al regno dei cieli, potendo qualsiasi altro mezzo sciogliere in essi il peccato originale; non dicano che le anime hanno peccato in qualche altro luogo prima della carne e che per questo loro demerito furono precipitate nella carne peccatrice; non dicano che in quelle anime sono giustamente puniti i peccati previsti dalla prescienza divina, benché non trovati in esse, non essendo stato consentito a loro di raggiungere quella vita dove commetterli. Senza far dunque nessuna di queste quattro affermazioni, perché ognuna di esse è falsa ed empia, trovino inoltre su questo argomento testimonianze certissime delle Scritture, e allora potranno difendere la loro sentenza non solo senza incontrare la mia opposizione, ma anche con la mia adesione e la mia gratitudine. Se invece non trovano nessuna testimonianza certissima da parte delle rivelazioni divine su questo argomento e si sentono spinti dalla mancanza di prove a dire qualcuno di quei quattro spropositi, si frenino, per non essere trascinati dalla stessa mancanza di prove a dire perfino che le anime dei bambini non hanno il peccato originale, in consonanza con l'eresia pelagiana, una volta condannabile e recentissimamente condannata. È meglio per ognuno riconoscere di non sapere quello che non sa piuttosto che incorrere in una eresia condannata o fondare una eresia nuova nel tentativo temerario di difendere ciò che non sa. Vi sono altre affermazioni false e assurde di questo individuo, nelle quali non devia dall'orbita della verità altrettanto pericolosamente, ma pur devia ugualmente. Essendo molte, poiché se il Signore lo vorrà, mi riprometto di scrivere qualcosa anche a lui a proposito dei suoi libri, le esaminerò forse tutte o in grandissima parte, se non potrò tutte, in quella occasione.
Ringraziamenti a Renato, auguri a Vincenzo Vittore.
20. 35. Quanto poi a questo libro che a preferenza di qualsiasi altro ho creduto di dover scrivere a te, perché da vero cattolico e da buon amico ti sei preso cura tanto della nostra fede quanto della mia reputazione con sincerità e amore, lo darai a leggere o a copiare alle persone alle quali lo potrai dare o alle persone alle quali giudicherai di doverlo dare. In esso ho creduto mio dovere rintuzzare e confutare la presunzione di cotesto giovane, ma in modo tuttavia da dimostrargli il mio amore e il mio desiderio che non sia condannato ma emendato, e che nella grande casa che è la Chiesa cattolica, dove l'ha portato la misericordia divina, progredisca tanto da essere nella Chiesa un vaso santificato per nobile uso, utile al Signore, sempre pronto ad ogni opera buona 65, sia vivendo rettamente, sia proclamando una dottrina sana. Ora, se è necessario che io ami lui, come faccio, quanto più sarà necessario che io ami te, o fratello, di cui conosco ottimamente la benevolenza nei miei riguardi, nonché la fede cattolica prudente e saggia! Tutto questo ti ha indotto a copiare e a mandare a me con una carità veramente fraterna e limpidamente sincera quei libri che ti sono dispiaciuti e nei quali hai trovato il mio nome trattato in maniera diversa da come avresti voluto. Perciò sono tanto lontano dall'adirarmi contro la tua carità per aver fatto questo, che piuttosto mi sarei dovuto adirare in nome dei diritti dell'amicizia, se non l'avessi fatto. Ti rendo dunque abbondanti grazie. Del resto, in che modo abbia io preso il tuo comportamento te l'ho indicato ancora più palesemente con lo scriverti senza nessun indugio questo libro, appena ho letto quei libri.
Note:
1 - Cf. Tt 1, 13; 2, 2.
2 - Qui e appresso le citaz. sono di Vincenzo Vittore.
3 - Cf. Gn 2, 7.
4 - Rm 11, 6.
5 - Rm 11, 6.
6 - Cf. 2 Paral 19, 7; Rm 9, 14.
7 - Gv 3, 5.
8 - Mt 10, 39.
9 - CIPRIANO, Ep. 73, 22.
10 - Cf. Lc 23, 43.
11 - Cf. Gv 19, 32. 34.
12 - Cf. 2 Mac 12, 43.
13 - Cf. Rm 5, 16, 18.
14 - Cf. Rm 9, 11.
15 - Sap 4, 11.
16 - Is 42, 5.
17 - 1 Cor 15, 38.
18 - Is 42, 5.
19 - Gv 20, 22.
20 - At 2, 2-4.
21 - Cf. At 4, 31.
22 - Sal 2, 4.
23 - Sal 2, 8.
24 - Is 42, 5.
25 - Gn 2, 7.
26 - Sal 150, 6.
27 - Gb 32, 8 (sec. LXX).
28 - Gb 32, 7-8.
29 - Gb 33, 3-4.
30 - Cf. 1 Cor 15, 38.
31 - Is 42, 5.
32 - 1 Cor 15, 46.
33 - Is 57, 16.
34 - Gv 15, 26.
35 - Zc 12, 1.
36 - 2 Mac 7, 22-23.
37 - Cf. Rm 11, 36.
38 - 2 Mac 7, 22.
39 - Sal 48, 13.
40 - 2 Mac 7, 22.
41 - At 17, 25.
42 - Mt 6, 30.
43 - 1 Tm 1, 7.
44 - At 17, 28.
45 - Rm 11 36.
46 - 1 Cor 11, 12.
47 - At 17, 25-26.
48 - Gn 2, 7.
49 - Rm 5, 12.
50 - At 17, 26.
51 - Sal 64, 3.
52 - Cf. At 17, 25.
53 - Gn 2, 23.
54 - Cf. Gn 2, 7.
55 - Cf. TERTULLIANO, De anima 36, 4.
56 - Gn 2, 23.
57 - 1 Tm 2, 9-10.
58 - Gn 2, 23.
59 - Gn 2, 23.
60 - Cf. AUG, De haeres. 55.
61 - Gv 1, 14.
62 - Is 40, 5; Lc 3, 6.
63 - Gn 2, 23.
64 - Cf. At 17, 28.
65 - Cf. 2 Tm 2, 20-21.
Conversazioni tra un avvocato ed un curato di campagna sul sacramento della confessione
San Giovanni Bosco - San Giovanni Bosco
Leggilo nella BibliotecaScopo di queste conversazioni.
Non c'è alcun dubbio che nei calamitosi tempi in cui viviamo la fede sia accanitamente combattuta. Riescon però vani gli sforai dei nemici se prima essi non cercano di allontanare i cattolici dal Sacramento della Confessione. Ecco il motivo per cui essi volgono tutte le loro armi contro a questa pratica salutare. Il Cattolico allontanato dalla Confessione e abbandonato a se medesimo cammina da abisso in abisso, e qual debole pianta senza riparo, esposta alla gagliardìa dei venti, giunge ai più deplorabili eccessi. - Per distruggere dalle fondamenta l'idea della Confessione i protestanti stampano e gettano di continuo in faccia ai cattolici, che la Confessione non è stata instituita da Dio, epperciò doversi riprovare. {III [147]}
Noi perciò, non colla calunnia, non con ciance, o colla mala fede, che sono le armi ordinarie dei nostri nemici, ma col Vangelo e colla Storia alla mano proveremo fino all'evidenza che il bisogno della Confessione fu riconosciuto dagli stessi gentili; per ordine di Dio fu praticato dal popolo Ebreo; e che tal pratica venne dal Salvatore elevata alla dignità di Sacramento, e stabilita qual mezzo utile ad ogni cristiano e assolutamente necessario a tutti quelli che hanno peccato mortalmente dopo il Battesimo.
I protestanti vanno ripetendo che nei primi tempi della Chiesa non si è mai parlato di Confessione, perciò noi sempre colla storia alla mano faremo loro vedere, se pur non vogliono chiudere gli occhi, che la Confessione fu costantemente praticata nella Chiesa Cattolica da Gesù Cristo fino ai nostri giorni.
Per quanto fu possibile mi sono astenuto dal nominare gli autori e le empietà contenute negli scritti dei nemici {IV [148]} della Confessione, e ciò feci per due motivi; per non cagionare troppo grave afflizione ai buoni Cattolici, che non possono a meno di essere profondamente addolorati nel vedere profanate le cose più venerande di nostra Religione; ed anche per non eccitare la curiosità di leggere i libri perversi che contengono tali errori e tali sconcezze.
Mi sono limitato a rendere chiara la dottrina della Chiesa Cattolica intorno all'instituzione della Confessione, mostrando la verità, e combattendo l'errore senza quasi nemmen nominarlo. Mi pare però di aver con certezza risposto a quanto si dice e si scrive contro alla Confessione.
Intanto profondamente afflitto pei mali che si vanno ogni giorno moltiplicando contro alla religione Cattolica, io raccomando ai Cattolici coraggio e fermezza.
Sì, Cattolici, coraggio: teniamoci strettamente uniti a quella religione che fu stabilita da Gesù Cristo, che ha per capo visibile il Romano Pontefice suo Vicario in terra; che in mezzo alle {V [149]} vicende dei secoli fu sempre combattuta, ma che ha sempre trionfato.
Questa religione di Gesù Cristo trovasi solamente nella Chiesa cattolica; niuno è cattolico senza il Papa; guai a chi separasi da questo capo supremo! egli è fuori di quella religione, che unica può condurre a salvamento: chi non ha la Chiesa per madre non può avere Iddio per padre.
Sia dunque tra noi la medesima fede, la medesima legge, i medesimi Sacramenti, la medesima carità in vita e in morte. Ma soprattutto sappiamo approfittare del Sacramento della Penitenza come di un gran mezzo instituito da Gesù Cristo per comunicare alle anime nostre i meriti della sua passione e morte; per rompere le catene, con cui lo spirito maligno tiene incatenate le anime nostre; per chiuderci l'inferno ed aprirci le porte del cielo. Così sia. {VI [150]}
Conversazione I. Festino di campagna.
In un paese non molto distante da Torino si radunarono alcuni amici in una casa di campagna per dividere la quaresima dal tempo pasquale con un festino. Fatti alquanto allegri dal vino e dalle pietanze, ciascuno studia vasi di ricreare la brigata con qualche novità, e secondo la smania di oggidì, dopo aver agitate alcuno questioni di politica, si portò il discorso sopra cose di religione.
Tacete, disse un di loro ridendo, tacete, non toccate la religione, perchè siamo a Pasqua, ed il nostro Curato domenica ha già dato avviso di andarci a confessare. - Lasceremo andare le nostre mogli, disse un altro sempre in tuono di burla, ci andranno anche i nostri ragazzi, ma nè io, nè voi certamente non badiamo a tali minchionerie. {VII [151]}
Continuando tal discorso e voltando la facezia in disprezzo già cominciavano a proferirsi madornali spropositi. Le donne ed i giovanetti, che colà si trovavano, abbassarono il capo e con dispettoso silenzio disapprovavano bensì quei discorsi, ma non erano in grado di dare una conveniente risposta ai novelli teologi, anzi temevano di far loro dire maggiori spropositi se avessero parlato. Pietro, padrone di casa, fremeva di dispetto per tali discorsi. Egli aveva letto e studiato quanto è necessario ad un cristiano; accudiva i suoi affari, amava tutti e da tutti era amato. Sua prima cura era di educare la sua famiglia nel timore di Dio. Non sentivasi però abbastanza istrutto per ribattere le storditezze che si andavano profferendo. Quando poi si accorse che le burle terminavano in aperte bestialità, e che il suo silenzio sarebbesi potuto interpretare come un'approvazione di quei discorsi, interrompendo le risa e gli schiamazzi prese a parlare così:
Ascoltate, amici; a noi, che pretendiamo di saperne più degli altri, spesso avviene di burlarci di cose, di cui ignoriamo ben anche l'abbici. Mi è più volte accaduto di sentire uomini, i quali non mettono mai piede in chiesa, che non hanno inteso a parlare di Dio se non alle bettole ed ai caffè, i quali {8 [152]} non sanno che spergiurare e fumare sigari, e dire, come dite voi, che la confessione è una minchioneria. Ditemi pertanto: avete voi attentamente esaminato e studiato che cosa sia la confessione?
No, rispose uno a nome della brigata, noi siamo occupati in cose assai diverse, ma ciò sentiamo a ripetere da tutto il mondo.
Ma io credo, ripigliò Pietro, che quel vostro tutto il mondo si riduca a pochi, e che siano forse coloro i quali temono la confessione come i ladri le lanterne, al cui splendore possono essere conosciuti.
Vorrei che qui ci fosse il nostro Curato, e vedreste come risponderebbe a quanto voi dite. Io voglio solo raccontarvi ciò che avvenne a me alcuni anni addietro. Ascoltate: il fatto è curioso.
Eravamo ai primi giorni di aprile, quando appunto la campagna cominciava a comparire fiorita e verdeggiante. Mia moglie andava ogni giorno ripetendo: il Curato domenica scorsa ha detto: bisogna confessarsi almeno una volta all'anno, e comunicarsi alla Pasqua di Risurreiione. Molti avevano già compiuto tal dovere pasquale; ma un buon numero non aveva ancora risposto alla voce del Curato.
Siccome facevano molti altri, anch'io {9 [153]} mandai a confessarsi mia moglie, i miei ragazzi e le persone di servizio; ed io non ci andava. Io li avrei aspramente sgridati se avessero mancato a tal cosa, mentre io non avrei voluto fare un passo per seguirli. Follia e contraddizione quando ci penso! perciocché se la confessione era buona per quelli, era eziandio buona per me. Se la giudicava una minchioneria per me, perchè obbligare gli altri?
Il buon Curato osservando che il numero di quelli che avevano adempiuto al dovere pasquale era assai minore del numero dei parrocchiani, deliberò di andar egli stesso in cerca delle pecore che non volevano fare ritorno all'ovile.
Voglio qui notarvi che io amava molto questo Curato. La sua affabilità, la sua dolcezza incantavano. Le sue visite erano buone per me ed oltreché io riputava ad onore l'essere da lui visitato, egli lasciava sempre in casa mia utili avvisi e lo spirito pacificante del buon pastore. Perciò era un piacere per tutta la famiglia quando eravamo da lui visitati. Ascoltate ora il ragionamento fatto meco un giorno, che è quello appunto che m'indusse a confessarmi.
Zitto, dice uno dei convitati, là ci è un prete; chi sa che non sia il vostro Curato. {10 [154]} Sarei molto contento, vorrei farlo disputare ben bene e divertirmi a sue spese. - Io vorrei fare di più, disse tutto ansante un avvocato di nome Andrea, vorrei ...
Pietro. Tacete, è veramente desso. Vedete: si avanza recitando il breviario, e viene a farci visita. Vi raccomando di non usargli alcuna sgarbatezza, mostriamoci ben educati, e facciamo vedere che sappiamo rispettare in lui il ministro della religione. Mentre il Curato fa carezze ad alcuni ragazzi che si trastullavano nell'aja, i convitati aprono la porta della sala e lo invitano ad entrare.
II. La confessione è necessaria.
Curato. Buon giorno, caro Pietro, mi sembra che abbiate fatto un festino ai vostri amici, non è vero? Salute a tutti.
Pietro. Ben venuto, sig. Curato, abbiamo separato la Pasqua dalla Quaresima.
Andrea. Abbiamo fatto Pasqua.
C. Volete dire che faceste Pasqua questa mattina, e quest'oggi avete fatto un testino. Benissimo, benissimo: è questo il vero modo di stare allegri: aggiustare le {11 [155]} cose dell'anima, poi un festino; un pranzo tra amici è cosa tutta lodevole. Tuttavia ... basta, non voglio interrompere la vostra conversazione.
A. Parlate pure, sig. Curato, la nostra conversazione tra tutta rivolta a voi, continuate quel vostro tuttavia.
C. Se gradite che io mi trattenga alquanto a discorrere con voi, il fo di buon grado, e vi dico che sono assai contento della maggior parte de' miei parrocchiani, che si danno premura di adempire il loro dovere pasquale accostandosi al sacramento della Confessione e della Communione; tuttavia io sono desolalo di vederne parecchi indifferenti ad un così grave dovere di religione.
P. Parlavamo appunto di Pasqua e di confessione, sig. Curato, e siete proprio venuto a tempo: il nostro amico Andrea, sebbene non sia tanto cattivo, nulladimeno perchè ha studiato da avvocato, e perchè vive in città, getta giù tali spropositi, che mi sbalordisce, e godo che siate giunto in questo momento, perchè voi certamente sarete in grado di soddisfarlo.
C. Che uomini senza costumi, senza probità, senza fede parlino male di religione e specialmente di confessione, non mi stupisco, {12 [156]} perchè la confessione per costoro è un amaro rimprovero che loro cagiona vivi rimorsi nelle colpevoli loro azioni. Che poi si parli male di religione tra voi padri di famiglia, uomini di senno ed onesti, stento a persuadermelo. Se poi volete che io vi parli schiettamente, vi dirò, che ho appunto voluto scegliere questo momento per farvi una visita, perchè so alcuni di voi darsi poca cura di adempire l'obbligo pasquale. Miei cari amici, lasciatemi parlare con voce di padre; perchè trasgredite questo dovere? perchè non andate a confessarvi almeno una volta all'anno e comunicarvi alla Pasqua di risurrezione secondo il precetto di Santa Madre Chiesa?
P. Andrea, adesso è tempo di fare le vostre difficoltà; su parlate.
A. Sig. Curato, la franchezza della vostra dimanda scuserà la franchezza della mia risposta. Voi dimandate perchè taluno di noi non vada a confessarsi, ed io vi dico che sono appunto uno di quei tali. Tempo fa era anch'io assiduo alla confessione. Da qualche tempo non ci vado più; non perchè io non creda nulla a queste cose, perciocché son nato cattolico e voglio essere cattolico. Ma nel leggere, nel conversare, nel vedere ... mi son nati tanti dubbi, che {13 [157]} mi sono determinato a non voler più sapere di confessione. Difatti perchè io debbo andarmi a confessare? io penso di essere uomo onesto; mi farei gravissimo scrupolo di prendere la minima cosa altrui; io vivo in pace colla moglie, mi do cura di allevare bene i miei ragazzi. A che andarmi a confessare? A che andare a raccontare le mie minchionerie ad un uomo? È Dio, non l'uomo, che perdona i peccati. Tanto più che mi si dice la confessione essere stata inventata dai preti. Io non mi spiegherei così chiaramente con altre persone; ma io spero che voi non vi mostrerete offeso per questo mio parlare, e che non cesserete di amarmi, poiché io stimo molto la vostra amicizia.
C. Mio caro Andrea, voi mettete in campo molte questioni in una volta. Parmi che esse possano ridursi a questi due punti. Io non ho bisogno di confessarmi perchè io sono un uomo onesto. Non occorre che io mi confessi perchè la confessione è una invenzione dei preti.
Tale mi sembra in compendio la vostra asserzione. In essa io riscontro alcune contraddizioni; ma per ora passiamoci sopra; ritornerò su questo punto. Pel momento io comincio a dimandarvi, se avete fatto {14 [158]} riflessione a tutto ciò che avete detto. Vi siete deciso di non più confessarvi dopo matura e seria deliberazione?
A. Senza dubbio ci ho pensato molto. Io non sono nè il solo, nè il primo a parlare così. Ogni giorno in città sento uomini assai più dotti di me a dire lo stesso. Anche il notaio ed il farmacista del nostro paese dicono e pensano così.
C. Cioè voi avete ripetuto ciò che hanno ripetuto gli altri. E costoro non sono ancora che gente, la quale per lo più impara la scienza della Religione ai passatempi ed ai caffè. Ma ritorniamo a noi. Voi dite, che essendo un uomo onesto non vi fa mestieri la confessione. Or bene rispondete con uguale franchezza a quanto sono per dimandarvi.
A. Vi dirò il mio sentimento con tutta libertà.
C. Credete voi che l'uomo si renda colpevole agli occhi di Dio solamente facendo torto al prossimo, commettendo adulterii, dimostrandosi crudele verso i poveri?
A. Perchè mi fate tale dimanda?
C. Perchè essere un uomo onesto presso il mondo si riduce a non ammazzare, a non ingannare, a non rubare, a non rifiutare {15 [159]} un servigio al prossimo quando egli trovisi in bisogno.
A. Ciò appunto vuol dire essere un uomo onesto.
C. Dio proibisce di bestemmiare?
A. Sì certamente.
C. È male lasciarsi dominare dalla collera, dalla superbia, parlar male del prossimo, desiderare cose cattive, divertirsi a pronunziare parole o discorsi disonesti, ubbriacarsi ...
A. Ah! niuno dubita che queste cose siano male.
C. Ora ditemi: l'uomo onesto può forse bestemmiare, può parlar male del prossimo, abbandonarsi alla collera, desiderare cose cattive, ed ubbriacarsi? Ciò dovrebbe esser permesso ad un uomo onesto perchè non fa torto ad alcuno. Inoltre forse che non è male burlarsi di Dio e dell'onore a lui dovuto, non amarlo, non pregarlo, sprezzare i comandamenti che la Chiesa ci fa in suo nome; di non santificare le Feste, di non assistere ai divini uffizi, di non astenersi dalle carni ne' giorni proibiti?
A. Ciò è vero: ma io vedo dove voi volete prendermi.
C. Ciò posto non fa neppur male ad alcuno, {16 [160]} nel modo che intendete voi, quando anche faccia tutte le cose che vi ho accennato. Laonde si può disubbidire ai comandamenti di Dio e della Chiesa ed essere tuttavia uomini onesti secondo il mondo. Ma voi certamente convenite con me che per andare al cielo bisogna osservare tutti i comandamenti di Dio e della Chiesa. Ce ne sono dieci di Dio, cinque della Chiesa; quando anche noi osservassimo tutti gli altri, e poi mancassimo all'osservanza di uno di essi; ciò basta perchè siamo eternamente dannati. Ora l'uomo che voi dite onesto non ne adempie che due o tre, riguardanti ai doveri che abbiamo verso del prossimo. Voi ben vedete che nella trasgressione degli altri c'è abbondante materia perchè uno vada eternamente perduto. Di più la Messa, e la preghiera, e la Pasqua, e la castità dei pensieri, delle parole e l'osservanza della quaresima, e delle vigilie, il rispetto per la religione, il perdono delle ingiurie son forse cose da contar per niente? Tutti questi mancamenti non recano danno ad alcuno, come voi dite. Error grande. Queste cose recano danno a voi; e non è meno probito il recar danno a sè, di quel che {17 [161]} sia il recar danno agli altri. Per tanto comunque uno sia onest'uomo, egli ha bisogno di ottenere il perdono di certi peccati e per conseguenza di confessione.
A. Vi assicuro, signor Curato, che non ho mai badato a queste cose: non ne faceva alcun conto.
C. Pure le cose accennate sono peccati concontrari ai comandamenti di Dio. Non dite più adunque; io sono uomo onesto, a che andarmi a confessare? Noi siamo tutti peccatori chi più, chi meno, e credo che lo sia più degli altri colui, che pretende essere irreprensibile dinanzi a Dio. I santi non avevano così buona opinione di loro medesimi, e si sono salvati mediante la confessione.Credete, caro Andrea, l'inferno è pieno di gente che avendo nulla a rimproverarsi, non andava a confessarsi. Il fariseo di cui parla il Vangelo, non era egli un uomo onesto?
A. Mi pare di sì.
C. Secondo voi certamente. Perciocché egli pagava le decime, digiunava due volte per settimana; egli si vantava di non essere simile al pubblicano, ladro, peccatore. Ma che ne avvenne? l'umile pubblicano ritornò a casa giustificato, e il fariseo partì dal tempio riprovato. {18 [162]}
A. Così io mi guarderò ben bene dal rassomigliargli; riconoscendomi peccatore farò in maniera di correggermi, e ne dimanderò perdono a Dio.
C. Ma se Iddio avesse stabilito di non perdonare i vostri peccati senza che voi li confessiate?
A. Allora mi arrenderei e direi: bisogna confessarmi.
C. Eccoci già in una parte d'accordo. Cioè che l'uomo onesto non è irreprensibile in tutta la sua condotta. La seconda parte della questione si riduce a questo punto: Iddio ha egli posto la condizione di confessarsi al perdono dei peccati sì o no? Se io proverò questo sì, la vostra storia della confessione inventata dai preti resta un calcolo ridicolo. Ed anche in ciò io sono in grado di appagarvi. Ma non vorrei trattenervi chiusi troppo a lungo dopo il pranzo; perciò mi sembra bene che andiate a ricrearvi alquanto con una partita alle boccie. Intanto io reciterò una parte del mio breviario, quindi, se così vi piace, continueremo le nostre conversazioni.
Tutti i Commensali. Va bene, signor Curato; ma non andate via, perchè adesso siamo giunti alla parte più importante della questione, e siamo ansiosi di vederne la fine. {19 [163]}
III. Instituzione divina della confessione.
Il buon Curato si ritirò in un giardino per recitare il breviario passeggiando. Ma la brigata aveva la testa riscaldata dalla disputa, e in luogo di andar a fare la partita, si radunò nell'aja intorno a Pietro dicendogli: è presto detto che la confessione sia stata instituita da Dio; ma come possiamo noi sapere, e saper con certezza che Dio abbia instituito la confessione? Pietro allora diede un'occhiata per vedere se il Curato ormai veniva, poi secondo il suo buon senso prese a parlare così: Voi dimandate, come sappiamo che Dio abbia istituita la confessione? Ed io chiedoavoi: come sapete che non l'abbia istituita? qual ragione mi date voi? Nissuna, se non quella che la confessione vi spiace. In tempo di mia giovinezza, quando era soldato, ho udito a raccontare che un generale si faceva condurre innanzi i soldati imputati di qualche mancamento, e se scorgeva nel loro volto qualche cosa che gli spiacesse: fucilateli sull'istante, diceva, di poi giudicheremo la loro colpa. Egli allora aveva timore di trovarli {20 [164]} innocenti. Riguardo alla confessione noi siamo un poco somiglianti a questo capitano. Noi la fuciliamo, la aboliamo, riserbandoci appresso a dare una piccola forma di giudizio e di riflessione alla condanna ingiusta e precipitata.
Que' discorsi divenivano ognor più riscaldati e la voce piuttosto elevata. La qualcosa fece correre colà molta gente del vicinato, e tra gli altri un uomo ricco e rispettabile chiamato Germano. Costui, dopo di aver coperto onorevoli impieghi, e di essersi dato alle sregolatezze della vita mondana, aveva abbandonato le cure del mondo per viver pacificamente in una casa di campagna vicino a quella di Pietro.
Instrutto e giudicioso qual era non tardò a provare in se medesimo il gran vuoto che lascia nel cuore umano la mancanza di religione. Ricondotto alla fede dalle sue considerazioni, e da' suoi studi aiutati dalla divina grazia, egli si dimostrò d'allora in poi cristiano e cattolico sincero. Amava molto di trattenersi coi contadini e con altre persone del volgo, raccontando loro le sue vicende passate, e dando sempre utili e buoni consigli. Informato della quistione che si andava agitando, e pregato di dire il suo parere, {21 [165]} prese a dire così: Il nostro signor Curato ha ragione di assicurarvi che non basta essere onest'uomo secondo il mondo, per non aver cosa da rimproverarsi dinanzi a Dio. L'uomo può egualmente dannarsi per l'orgoglio e per la lussuria, per l'incredulità e per l'indifferenza in materia di religione, come si può dannare per furto. Ha eziandio ragione il Curato nell'asserire che la confessione è il mezzo ordinario stabilito da Dio per ottenere il perdono a quelli che l'offendono, fossero essi anche i più galantuomini del mondo. Ragionate, disputate finché volete; se Dio ha stabilita la confessione, se egli non concede perdono senza di essa, tutti i vostri discorsi valgono niente. Non è forse egli padrone di mettere le condizioni, che vuole, a quelli che ricorrono alla sua clemenza?
C. Benissimo, signor Germano, disse il Curato, che già aveva terminato il suo breviario, voi parlate veramente da uomo assennato. Se Iddio è padrone di tutto, certamente, se il vuole, può comandare la confessione. Tutta la questione adunque si riduce a questo: LA CONFESSIONE È STATA STABILITA DA DIO?
A. Questa è la cosa che noi desideriamo di conoscere. {22 [166]}
C. Fate solamente attenzione a ciò che sono per dirvi, e ne sarete certamente convinti. Ma parliamo da amici, con calma, e con rispetto: quando non comprenderete qualche cosa, ditemela, e farò in maniera di spiegarvela. Ditemi adunque: Credete voi al Vangelo?
A. Senza dubbio; perchè se non crediamo al Vangelo non possiamo essere cristiani.
C. Credete che G. C. avesse la facoltà di rimettere i peccati?
A. Anche in ciò non havvi alcun dubbio; perchè G. C. come Dio poteva, anzi era il solo che potesse perdonare i peccati, siccome leggiamo aver più volte fatto nel Vangelo.
C. Credete eziandio che G. C. abbia dato tale facoltà agli Apostoli?
A. Quivi sta la difficoltà. Fatemi vedere che G. C. abbia dato agli Apostoli la facoltà di rimettere i peccati, e tutte le difficoltà sono sciolte.
C. Questo appunto voglio farvi vedere. Apriamo il Vangelo di S. Matteo e nel capo 28 troveremo che G. C. tenne questo discorso a' suoi apostoli: «A me è» dato ogni potere in cielo ed in terra;» andate dunque, ammaestrate e battezzate» tutte le genti nel nome del Padre» {23 [167]} del Figliuolo e dello Spirito Santo, insegnando» loro di osservare tutte ciò» che vi ho comandato.»
A. Queste parole dimostrano che G. C. aveva ogni potere in cielo ed in terra, e che egli mandava i suoi Apostoli a predicare il Vangelo in tutto il mondo: ma non veggo che abbia conferito questo suo potere agli Apostoli.
C. Gesù C., siccome è scritto nel Vangelo di S. Matteo, dice che a lui è dato ogni potere in cielo ed in terra: altrove poi dice (Joan. 20), come questo gran potere l'abbia compartito agli Apostoli: Come il Padre mandò me, egli dice agli Apostoli, così io mando voi, vale a dire; come il padre celeste mandò il suo Figlio Unigenito a salvare gli uomini conferendogli ogni potere in cielo ed in terra; così il Salvatore mandò gli Apostoli, e i loro successori a predicare il Vangelo conferendo loro un assoluto e pieno potere sopra tutte quelle cose che avrebbero potuto contribuire alla salvezza delle anime. Ora un gran potere esercitato in terra da G. C. essendo quello di perdonare i peccati; ne deriva che gli Apostoli nella pienezza delle facoltà compartite dal Salvatore ebbero eziandio {24 [168]} quella di rimettere ì peccati. Nè questo è il solo passo del Vangelo ove si parlì di questo pieno potere dato agli Apostoli. Nel medesimo Vangelo di San Matteo, al capo decimosesto, troviamo che G. C. dopo di aver costituito San Pietro capo della Chiesa gli soggiunse queste precise parole «Ti darò le chiavi del regno de' cieli, e tutto ciò che scioglierai in terra sarà sciolto pure in cielo, e tutto ciò che legherai in terra sarà pure legato in cielo.»
Qui il Signore si servì della similitudine delle chiavi per significare il supremo potere che a lui conferiva e in cielo e in terra, potere assoluto e indipendente che Pietro poteva conferire agli Apostoli secondo il bisogno delle anime.
A. Adagio, signor Curato, permettetemi un'osservazione. Mi pare che questo supremo potere sia stato dato a S. Pietro e non agli altri Apostoli.
C. A S. Pietro come capo della Chiesa fu conferito in particolar maniera questo supremo potere, che certamente sarebbe imperfetto se S. Pietro nol potesse conferire agli altri, dicendo: Tutto ciò che tu legherai in terra sarà pure legato in cielo, e tutto ciò che scioglierai in terra sarà pure sciolto in cielo. Matt. 16. {25 [169]}
G. C. Confermò questa sua medesima autorità a S. Pietro e a tutti gli Apostoli allorché disse: «in verità io vi dico che tutto ciò che legherete in terra sarà pure legato in cielo; e tutto ciò che scioglierete in terra sarà pure sciolto in cielo.» Matt. 18.
Onde S. Pietro e per conseguenza i! Romano Pontefice, gli Apostoli e per conseguenza i vescovi ed i preti della vera Chiesa di G. C. hanno ricevuto il potere di sciogliere e di legare, perciò di rimettere e non rimettere i peccati.
A. Bene: signor Curato, ciò comincia ad appagarmi; e mi piace tanto più perchè voi andate alla fonte e dite che Dio avendo dato ogni potere a' suoi Apostoli, diede anche quello di rimettere i peccati. Tuttavia non si può trovare nel Vangelo che il Salvatore abbia proprio conferito agli Apostoli la facoltà di rimettere i peccati.
C. Quanto vi dissi finora rende manifesto il potere assoluto e illimitato che il Salvatore diede agli Apostoli, perciò anche quello di rimettere i peccati. La qual cosa deve bastare per renderci sicuri di questa verità. Però il divin Salvatore volle egli medesimo fare un'applicazione in particolare {26 [170]} di questo potere intorno alla remissione dei peccati. Ascoltate il fatto intiero siccome trovasi nel Vangelo (Joan. 20). «Dopo la sua risurrezione e prima di salire al cielo comparve il Salvatore dove si trovavano i Discepoli radunati a porte chiuse per timore de' Giudei. Stette in mezzo di loro e disse: pace a voi. E avendo ciò detto mostrò loro le mani ed il costato. Si rallegrarono i Discepoli alla vista del Signore. Frattanto disse loro di nuovo: pace a voi. Come il Padre mandò me, così io mando voi. Avendo dette queste parole soffiò sopra di loro e disse: Ricevete lo Spirito Santo: i peccati sono rimessi a quelli, a cui li rimetterete, e sono ritenuti a quelli, a cui li riterrete.» Io credo che non si possa desiderare un modo di parlare più chiaro, e più manifesto per indicare la facoltà data agli Apostoli da G. C. di rimettere e ritenere i peccati.
A. Ho qui un libro, sig. Curato, che riferisce le medesime cose ma con una spiegazione alquanto diversa. Dice che per discepoli qui s'intendono tutti i fedeli cristiani, di modo che tale facoltà competerebbe non solo agli Apostoli, ma a tutti i cristiani indistintamente. {27 [171]}
C. Questo vostro libro, mio caro, interpreta la Bibbia nella maniera più stravagante.
A. Pure l'autore di questo libro è una persona dotta, ascoltate il titolo del libro e il nome dell'autore ...
C. Non voglio saperlo. Le sole parole che mi accennate mi fanno abbastanza conoscere che questo libro è di un protestante, e so pur troppo chi n'è l'autore.
A. Ho la licenza di leggere libri proibiti.
C. Avete fatto bene a procurarvi tale licenza, ma vorrei eziandio che vi procacciaste libri migliori di questo. Per ora passiamo sopra a tale argomento: vi terrò poi apposito discorso sul gran male che cagionano i libri cattivi, e sul gran bene che ne deriva dalla lettura di libri buoni. Qui voglio solamente notarvi la erronea spiegazione che il vostro libro dà alle parole del Vangelo che riguardano la facoltà di rimettere i peccati.
A. Cioè che per discepoli s'intendono tutti i cristiani.
C. Che quivi per discepoli s'intendano i soli Apostoli apparisce chiaramente, 1o dalle parole ivi notate: come il Padre mandò me, così io mando voi. Le quali maniere di parlare G. C. usò più volte {28 [172]} nel Vangelo, ma unicamente co' suoi Apostoli e non mai con altri.
2o Il Vangelo nota chiaramente che San Tommaso uno dei dodici non era presente quando apparve Gesù. Le quali parole fanno conoscere che qui si parla de' soli Apostoli, e non di altri Discepoli in generale.
3o Il Vangelo poi nota in maniera speciale che i discepoli che si tenevano chiusi per timore de' Giudei erano gli Apostoli propriamente detti; perchè essi soli come pubblici seguaci del Salvatore, anzi come predicatori del Vangelo avevano molto a temere la persecuzione dei Giudei.
4° I Santi Padri, tutti gli interpreti, e i più dotti protestanti hanno sempre convenuto colla Chiesa cattolica, che le mentovate parole del Salvatore fossero esclusivamente indirizzate agli Apostoli.
È poi veramente un genio singolare l'autore del vostro libro! Egli vuole che ciascheduno interpreti la Bibbia come vuole, e poi pretende che gli altri debbano seguire quanto egli suppone di ricavare dalla Bibbia.
Che se voi osservate bene la traduzione che egli ne fa, scorgerete come egli abbia {29 [173]} aggiunto, tolto e cangiato quanto gli tornava a capriccio. - Siccome fece in altri passi, e siccome fanno generalmente gli scrittori protestanti.
Osservate poiché stranezza! prima dice che tale facoltà non fu data agli Apostoli; poi dice che fu data a tutti i fedeli cristiani. Dunque fuanche data agli Apostoli che pure erano discepoli e fedeli cristiani.
A. Veramente ciò mi pare contraddizione. Egli nega agli Apostoli l'autorità di rimettere i peccati, e poi vuole che l'abbiano tutti: di modo che, secondo esso, uomini e donne, vecchi e fanciulli sarebbero tutti confessori, ciò mi pare ridicolo ed assurdo. Io però non avrei alcuna difficoltà di riconoscere l'autorità assoluta concessa da G. C. agli Apostoli di sciogliere e di legare e perciò anche di rimettere i peccati. Ma parmi tuttavia che in questo luogo si parli della sola facoltà di rimettere i peccati, ma non dell'obbligo di confessarsi.
C. Volete dire essere cosa chiara e certa che il Salvatore abbia dato la facoltà di ritenere e non ritenere, cioè di perdonare e non perdonare i peccati, ma non l'obbligo di confessarsi. Voi certamente dite questo per discorrere, perciocchè è cosa evidente che colla facoltà di rimettere e di ritenere, {30 [174]} assolvere e non assolvere, il Salvatore ha conferito un doppio potere, cioè quello di perdonare e quello di non perdonare. Ora in qual maniera il confessore potrà formare questo giudizio senza che il penitente confessi oralmente le colpe?
A. Mi pare che si possa benissimo conciliar la facoltà di assolvere e non assolvere senza obbligare alla confessione esterna dei peccati.
C. Questo mezzo io noi saprei trovare: desidererei che qualcuno me lo dicesse.
A. Per esempio: se il confessore desse l'assoluzione a chi semplicemente si presenta a lui, non basterebbe?
C. Non basta certamente: perchè in questo caso il sacerdote assolverebbe a capriccio e fuori di proposito. Non è tale l'intenzione del Salvatore. Supponete che il re mandi un giudice in un tribunale, dicendogli: voi deciderete i processi alla semplice vista dei colpevoli: purchè si presentino a voi, voi darete la sentenza senza esaminare i loro torti: senza ascoltare le deposizioni dei testimonii, voi libererete l'uno, imprigionerete l'altro, manderete questo alla ghigliottina, quell'altro alla galera, che direste voi di questa maniera di giudicare?
A. Penserei che il re ha perduto la testa. {31 [175]}
C. Or bene, G. C. dando a suoi Apostoli la facoltà di rimettere o di ritenere i peccati senza la confessione, avrebbe fatto quello che il re non farebbe mai; ed ecco che per decidere quando devonsi rimettere o ritenere i peccati, è necessario che gli Apostoli e i loro successori conoscano le colpe, possano distinguere quelle che meritano perdono da quelle che non lo meritano. Or come faranno questa distinzione, come conosceranno queste colpe, se loro non sono confessate? Vorreste voi forse dire che i confessori debbano giudicare come si fa avanti ai tribunali civili, sulla attestazione di quelli che conoscono la nostra vita? allora sì che si griderebbe contro alla confessione. Iddio avrebbe ciò potuto comandare, ma nella sua bontà ha voluto scegliere un mezzo più comodo e facile, e per noi più vantaggioso.
Inoltre voi come avvocato comprenderete facilmente che un giudice per esercitare la funzione che gli conferisce la legge, deve conoscere le cause sopra le quali egli è chiamato a proferirvi sentenza. Così gli Apostoli e i sacerdoti loro successori per esercitare la funzione di giudice siccome G. C. ha loro accordato, {32 [176]} devono anche conoscere la causa, cioè i peccati che essi hanno il potere di rimettere o di ritenere.
Dunque, miei cari amici, bisogna o ammettere una pubblica accusa dei peccati, o ammettere un segreto per la confessione, che è quanto dire la confessione auricolare.
Germano. Questa conclusione è giusta, e niuno può opporre la minima difficoltà.
A. Vedo anch'io la forza di questa conclusione, ma non potrebbe darsi, che G. C. abbia stabilita la confessione, come un mezzo più perfetto per fare penitenza, senza obbligare gli uomini a confessarsi?
C. Non occupiamoci di ciò che Dio abbia potuto fare, ma di ciò che egli ha fatto. G. C. voleva senza dubbio che il potere dato agli Apostoli fosse serio e vantaggioso alla sua Chiesa. Egli non avrebbe, messo tanta importanza nel concedere il potere di rimettere i peccati; se questo potere avesse dovuto rimanere inutile. Dio non fa niente senza ragione e senza scopo.
A. E perchè la confessione sarebbe stata inutile?
C. La confessione sarebbe stata inutile; perchè se essa pare tanto gravosa a colui che {33 [177]} ne è obbligato, chi si confesserebbe ancora se si potesse ottenere la remissione dei peccati senza la confessione?
A. Comprendo benissimo quanto voi dite. Ma parmi che posto l'obbligo di confessarsi debba essere bastante che il penitente si presenti al sacerdote come colpevole per dimandare l'assoluzione e così essere assolto dai peccati.
C. Questa sarebbe una confessione, ma non quella istituita da G. C. Imperciocché non si danno le chiavi per dichiarare che la porta è aperta, ma per aprirla e chiuderla secondo la convenienza. Perciò avendo egli dato le chiavi del cielo ai confessori, cioè la potenza di sciogliere e di legare, dare o non dare l'assoluzione; ne viene per necessaria conseguenza, che l'uomo debba manifestare le sue colpe al confessore, affinchè egli sia in grado di conoscere e giudicare se il penitente meriti o no l'assoluzione.
A. Ho ancora una difficoltà che fa il mio libro, ed è questa. Se fosse stata intenzione del Salvatore di obbligarci alla confessione avrebbe ciò dimostrato coi fatti: ma io non mi ricordo di aver letto che Gesù C. abbia confessato.
C. Ad un cristiano deve bastare il sapere {34 [178]} che una cosa sia stata proposta da G. C, perchè noi siamo obbligati a crederla e praticarla senza indagare se sia stata o no da lui stesso praticata. - Voglio però farvi notare che Gesù Cristo non aveva bisogno di confessione per conoscere i peccati. Egli era Dio e perciò infinitamente sapiente; quindi conosceva ogni segreta azione, ogni più nascosto pensiero. Laonde presentandosi a lui qualche peccatore pentito, poteva dirgli, come disse di fatto: Ti sono rimessi i tuoi peccati; (remittuntur tibi peccata tua: Matt. 9, e Luc. 5 e 7.) Ma i sacerdoti non potendo penetrare i segreti dei cuori senza che siano manifestati dai penitenti; ne segue che non potrebbero giudicare quando debbono assolvere e non assolvere, senza un'esterna dichiarazione dei peccati, cioè senza la confessione.
Aggiugnete ancora che talvolta l'uomo giudica peccato quello che non lo è, e talora giudica non essere male quello che in realtà lo sarebbe; di più egli ha bisosogno di consiglio per conoscere le sue obbligazioni, per riparare al mal fatto, per non più ricadere in avvenire. Come possono farsi queste cose senza la manifestazione del nostro interno? Come potrebbe {35 [179]} il confessore giudicare delle nostre azioni? Come potrebbe darci gli opportuni avvisi, se non gli facciamo conoscere i nostri bisogni?
Conchiudiamo adunque essere stata data agli Apostoli la facoltà di rimettere i peccati: e questi non potersi da loro rimettere senza che siano manifestati, essere perciò necessaria la confessione.
IV. La confessione praticata al tempi degli apostoli.
A. Ciò che dite, signor Curato, mi è soggetto di profonda riflessione. Perciocché posta la divina missione degli Apostoli con potere illimitato, ne segue che essi e i loro successori abbiano eziandio l'autori là di rimettere i peccati. D'altra parte mi fa anche non lieve sensazione il riflettere che gli Apostoli non abbiano mai parlato di confessione, e nemmeno abbiano confessato.
C. Voi mi fate due difficoltà, cui potete voi medesimo colla Bibbia alla mano rispondere. Gli Apostoli non solo parlarono di confessione, ma ne parlarono moltissimo. {36 [180]} In verità chi è che riferisce particolarmente le cose che riguardano a quanto disse il Salvatore intorno alla facoltà di rimettere i peccati?
A. Sono gli Evangelisti S. Matteo e S. Gioanni.
C. Costoro erano ambidue Apostoli. Dunque gli Apostoli scrivendo le pratiche istituite dal Salvatore parlano e scrivono anche della confessione. Oltre a ciò leggiamo nel Vangelo (Matt. 18.) che S. Pietro stupefatto della grandezza della facoltà concessa di rimettere i peccati, un giorno si fece ad interrogare il Divin Salvatore dicendo: Maestro, se il mio fratello cadrà in peccato, quante volte dovrò perdonarlo? fino a sette volte? Gesù a lui disse: non dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette. Le quali parole, come spiega S. Girolamo, devono essere per noi cosa consolantissima. Ogni qual volta ci avvenisse di commettere qualche colpa, abbiamo un mezzo sicuro per acquetare i rimorsi della coscienza, e riconciliarci con Dio mediante la confessione.
A. Tutte queste autorità riguardano ai vari colloquii avuti tra il Salvatore e gli Apostoli; io desidererei di sapere se gli Apostoli abbiano ancora parlato di confessione dopo l'Ascensione di lui al cielo. {37 [181]}
C. Anche in ciò havvi un inganno, anzi un errore grande che moltissimi studiano di spargere fra i cristiani. Gli Aposloli parlarono della confessione, vivente il Salvatore, e ne parlarono dopo la sua Ascensione al cielo. S. Paolo parlando ai cristiani che dimoravano nella città di Corinto, li avvisa che prima di accostarsi a ricevere il Corpo ed il Sangue di G. C., provassero la loro coscienza. Probet autem se ipsum homo et sic de pane illo edat el de calice bibat (1a ai Corinti). Queste parole sono così spiegate da S. Agostino: «Prima di ricevere quel sacramento, «l'Eucaristia, è d'uopo ricorrere alla confessione» ed alla penitenza e fare un «diligente esame delle nostre azioni. Che «se le troviamo colpevoli, con sollecitudine «affrettiamoci per mezzo della confessione «e di un sincero pentimento a «tergerle dall'anima nostra, onde non «dobbiamo perire con Giuda traditore. «occultando il demonio entro di noi.» Lo stesso Apostolo S. Gioanni dice (epist. 1a, I) che noi otterremo facilmente il perdono se confesseremo i nostri peccati.
A. Approvo quanto mi dite e non saprei come poter negare che gli Apostoli abbiano raccomandato la confessione. Perciò {38 [182]} ne convengo pienamente con voi. Ciò che mi fa specie si è non avere alcun fatto il quale dimostri che gli Apostoli abbiano confessato.
C. Se gli Apostoli raccomandavano con sollecitudine la confessione, è segno che si praticava ai loro tempi. Inoltre a quei fervorosi cristiani rarissimamente avveniva di cadere in peccato, quindi loro poteva bastare minor frequenza della confessione, tanto più che spesso Dio puniva con terribili castighi i fatti segreti anche non molto gravi. Come di fatti fu punita con morte repentina la bugia detta a S. Pietro da Anania e da Zaffira (Act. 5.). Nemmeno dobbiamo ommettere che moltissime cose si praticavano allora e di cui non si trova parola nella Bibbia; come sono i riti e le cerimonie con cui erano amministrati i Sacramenti e si compievano altre sacre funzioni. Delle quali cose tuttavia ne siamo certi. Nondimeno abbiamo fatti positivi di confessioni fatte ai medesimi Apostoli.
A. Un solo fatto mi basta.
G. Apriamo il libro degli atti degli Apostoli al capo 19 e leggiamo che alla predicazione degli Apostoli molti di quelli che avevano creduto venivano ai piè di San {39 [183]}
Paolo per denunziare e confessare le loro azioni, confitentes et atmuntiantes actus suos. Non apparisce evidente il fatto della confessione? Non si vede S. Paolo intento nd ascoltare le confessioni dei fedeli? Non si vedono qui i fedeli a turbe recarsi ai piè del grande Apostolo per dichiarare e confessare le loro colpe?
A. Cosi è; così è. Ove intervengono fatti deve cessare ogni dubbio. Una cosa ancora riesce diffìcile a capirsi, ed è come sia possibile che gli uomini possano rimettere i peccati agli altri uomini, come appunto avviene nella confessione; che cosa si potrebbe rispondere in proposito?
C. Non si è mai insegnato nella Chiesa che i sacerdoti rimettano i peccati in virtù propria, ma li rimettono in virtù dell'autorità ricevuta da G. C. che loro dice: i peccati sono rimessi a quelli, a cui li rimetterete, e sono ritenuti a quelli a cui li riterrete. L'uomo confessa i peccati, il sacerdote assolve, Iddio perdona; ma ciò tutto si fa in nome di G. C.. Vi scrivo, figliuoli, dice S. Gioanni, che i peccati sono rimessi a voi pel nome di Lui, cioè di G. C.; Scribo vobis, filioli, quoniam peccata remittuntur propter nomen ejus. (Joan. Ep. 1 a, cap. 2, v.12). {40 [184]}
Da chi adunque sono rimessi i peccati, Remittuntur peccata?
A. Sono rimessi da quelli a cui disse G. C.: tutto ciò che scioglierete in terra, sarà sciolto in cielo: i peccati sono rimessi a quelli, cui li rimtterete.
C. Non può essere altrimenti. I peccati sono rimessi dai successori degli Apostoli secondo l'autorità ricevuta da G. C. e pel nome di Lui, propter nomen ejus.
V. La confessione nei primi tempi della Chiesa.
A. C'è qui un libro, signor Curato, che questo mio amico ha comperato ieri, e colui che lo ha venduto accertò che contiene la pura parola di Dio. Questo libro assicura…
C. Ahi! ahi! caro Andrea, quei libri che si vanno vendendo or qua or là con promessa che contengano la pura parola di Dio, per lo più sono libri protestanti. Ci son proprio venditori pagati per questo infame mestiere, ed essi per un vil guadagno tradiscono la Religione, e spargono libri e fogli volanti per sedurre i semplici e gli ignoranti. Ciò posto, ditemi: quanto ho detto finora non è la pura parola di Dio? {41 [185]}
A. Non ne ho alcun dubbio.
C. Dunque è in mala fede chi dice il contrario di quanto dico io; è un ingannatore che si sforza d'ingannare gli altri. Tuttavia, accennatemi qual singolarità trovate in questo libro.
A. Questo libro dice che nei primi tempi della Chiesa non si è mai parlato di confessione.
C. Quand'anche non se ne fosse parlato nei primi tempi, non si può conchiudere che non siasi praticata. Perciocché sono molte cose scritte e che dipoi si sono perdute, e molte altre sono state praticate e che vennero scritte dipoi. Ma sappiate che il vostro libro mentisce, perciocché abbiamo moltissime testimonianze da cui siamo assicurati essere stata praticata la confessione nei primitivi tempi della Chiesa. Per un cristiano dovrebbe bastare quanto leggiamo nel Vangelo e negli scritti e negli atti degli Apostoli. Nulladimeno per soprappiù posso assicurarvi che la storia Ecclesiastica è piena di questi esempi.
A. Ascoltiamo questi esempi.
C. Eccovene alcuni. S. Barnaba che fu compagno degli Apostoli e viveva nel primo secolo della Chiesa, dice in una lettera: «voi confesserete i vostri peccati.» S. Clemente {42 [186]} papa, che fu discepolo degli Apostoli, scrivendo ai fedeli di Corinto dice: È meglio all'uomo confessare i proprii peccati che indurare il suo cuore, siccome quelli, i quali eccitarono sedizioni contro a Mosè ministro di Dio.» Ed altrove: «Quando saremo partiti da questo mondo non havvi più luogo per noi nè alla confessione, nè alla penitenza.» Sul finir del secondo secolo Tertulliano, dottissimo ecclesiastico di Africa, scrive molte cose intorno alla confessione, e tra le altre dice: «Se rifuggi dalla confessione, medita nel tuo cuore l'inferno. Ma sapendo tu dopo il Battesimo esserci altri sussidi nella confessione, a che abbandoni la tua salvezza? perchè non prendi quel rimedio che sai poterli salvare?» Le medesime cose lasciarono scritte S. Ireneo vescovo di Lione, S. Zefirino sommo pontefice, S. Policarpo ed altri molti che fiorirono nel secondo secolo della Chiesa.
A. Ma ciò che mi avete detto riguarda al primo e secondo secolo della Chiesa: ed io credo che non siasi più parlato di confessione nei secoli seguenti.
C. L’essersene parlato nel I e nel II secolo non è forse motivo certo per conchiudere essere la confessione istituita da G. C. medesimo? Posso però accertarvi che nei {43 [187]} secoli posteriori di mano in mano si dilatava il cristianesimo, e moltiplicavansi gli scrittori ecclesiastici: venne viepiù conosciuta la pratica della confessione. Il solo Origène, che visse nel terzo secolo, tenne moltissimi ragionamenti sopra la confessione, in cui dimostra la sua divina istituzione, e la pratica costante nella Chiesa di dichiarare le proprie colpe al sacerdote. «La confessione dei peccati, dice egli, ha il merito della remissione. Imperciocché il demonio prevenuto nell'accusa non potrà più accusarti. I sacerdoti rimettono i peccati non di qualsiasi persona, ma de' buoni, cioè, che hanno buona volontà di mutar vita.» (V. Orig. omel. 3. 5. 4. 5).
Il medesimo Origène dice altrove: «Siccome quelli che hanno lo stomaco sopraccarico di alimenti indigesti, rimangono oppressi, e se loro riesce di vomitare, restano all'istante sollevati; così il peccatore che nasconde e ritiene in sè le sue colpe, ne è intieramente oppresso e soffocato; ma divenga egli suo accusatore, confessi il suo stato, vomiti tosto il peccato. Abbiate soltanto cura di conoscere a qual medico dobbiate esporre la vostra infermità; un medico {44 [188]} che sappia farsi infermo cogl'infermi, piangere con quelli che piangono.»
Per questo terzo secolo aggiungo ancora quanto dice S. Cipriano, il quale espone il modo di confessare le colpe ed il gran fervore con cui i cristiani del suo tempo confessavano i loro peccati; quindi continua: «confessi ciascuno di voi, ve ne prego, fratelli dilettissimi, confessi il suo peccato, mentre siete in vita, mentre è tempo per la confessione. La soddisfazione e la remissione fatta dal sacerdote è accetta a Dio.» (S. Cip. de Lapsis).
Conchiudo questo trattenimento colle parole dì S. Ambrogio, il quale visse nel quarto secolo della Chiesa. Parlando egli della confessione scriveva: «noi dobbiamo assolutamente astenerci da ogni sorta di vizio, perchè non sappiamo se avremo tempo di confessarci a Dio ed al prete.» Ed altrove: È prescritto evidentissimamente dalla parola del Signore, che si dia la grazia del celeste Sacramento anche a quelli che sono colpevoli di gravissimo peccato, purchè di tutto cuore e con manifesta confessione del peccato ne facciano la penitenza. De poenit. c. 3. {45 [189]}
Io mi accorgo, miei amici, che vi ho trattenuto forse troppo col recarvi le autorità de' padri e degli scrittori dei primi secoli. Ho creduto bene di ciò fare perchè conosciate quanto sian lontani dalla verità coloro, i quali dicono che nei primi secoli della Chiesa non si è mai parlato di confessione. Notate però, che vi sono ancora moltissime altre autorità che per brevità io tralascio; le quali sono tutte d'accordo nel magnificare la bontà di Dio, per avere istituito questo sacramento, pel gran vantaggio che gli uomini ne possono ricavare, e attestando in pari tempo la pratica non mai interrotta nei primi secoli della Chiesa.
VI. La confessione praticata dal IV secolo fino al Concilio Lateranese celebrato nel 1215.
A. Mi fate veramente stupire, sig. Curato: pare che abbiate tutti i Santi Padri a memoria. Voi riferiste molti brani di Santi Padri, i quali si accordano tutti nell'attestare la costante pratica della confessione ne' primi secoli della Chiesa. {46 [190]}
Tuttavia questo mio libro dice che niuno di quei Santi Padri, niuno di quegli antichi Solitarii, Martiri, Penitenti si è mai confessato.
C. Rispondo parola per parola a quanto voi dite. Se gli antichi Padri parlano della confessione come un mezzo necessario per riconciliarsi con Dio, se espongono il modo con cui i Penitenti devono confessare le loro colpe, ed i Sacerdoti impartire l'assoluzione; è certo ed evidente che la confessione era praticata, altrimenti avrebbero date norme inutili e intorno a cose non esistenti.
A. Questo è vero: ma intanto non si legge che gli antichi si confessassero: il mio libro dice precisamente che Giobbe e David non si confessavano ed erano gran Santi.
C. Il vostro libro dicendo tali cose si burla della vostra buona fede. La confessione sacramentale fu istituita da Gesù Cristo perciò non poteva essere praticata da Giobbe e da Davidde che vissero oltre mille anni prima.
A. Ma nemmeno i primi Santi della Chiesa si confessavano.
C. Avete voi letto le vite di tutti i Santi?
A. No certamente; sapete bene che ho poco tempo. {47 [191]}
C. Dunque può essere che quelli, di cui non leggeste la vita, abbiano praticata la confessione. Altronde dovete notare che le vite di que' Santi non si scrivevano corredate di minute circostanze come si fa oggidì. Sceglievansi i principali e più luminosi tratti della loro vita, come la chiamata alla fede, le loro austerità, il loro martirio.
Perciò fra le cose che non furono scritte può darsi, come lo è di fatti, che ci siano le loro confessioni. È forse scritto nella loro vita che facessero il segno della Santa Croce prima e dopo il cibo? offerissero a Dio i loro lavori?
A. Non mi ricordo di averlo letto.
C. Pure questo era l'uso costante de' primi Cristiani. Avete forse letto che facessero le loro preghiere mattina e sera?
A. Nemmeno ciò mi ricordo di aver letto.
C. Eppure tanto il segno della Santa Croce prima e dopo il cibo, quanto le preghiere del mattino e della sera erano le cose maggiormente praticate da quei Santi. E siccome dal non parlarsi di ciò nella lor vita non si può dire che eglino non pregassero, non offrissero le loro azioni, le loro pene, il loro riposo a Dio, così neppure dal silenzio della loro confessione {48 [192]} si può dedurre che essi non si confessassero. Debbo però notarvi due cose importantissime: la prima si è che in quei primi tempi le pratiche religiose si compivano in segreto a motivo della persecuzione. Perciò molte cose erano praticate, di cui non si scriveva parola. Inoltre quei fedeli Cristiani non avevano la facilità di potersi indirizzare ai preti a motivo dei rigori con cui erano cercati a morte. Perciò, ove non avessero potuto avere confessori, loro bastava il desiderio della Confessione congiunto ad un perfetto pentimento dei peccati. Chi ci ha detto che i Santi, di cui parliamo, non abbiano desiderato di confessarsi, se non potevano farlo? Notate in secondo luogo che i Santi Padri non solo ci lasciarono scritti che raccomandano la Confessione, ma riferiscono molti fatti di confessioni fatte nei tempi antichi.
A. Se ci sono questi fatti, perchè non raccontarli subito? La quistione sarebbe stata finita.
C. Ho voluto farvi ragionare sopra questi fatti per farvi notare i molti errori che contiene il vostro libro, e persuadervi che il non essere scritto nelle vite dei Santi, se si confessarono o no, nulla {49 [193]} prova contro alla pratica della confessione.
A. Dunque recatemi alcuni esempi di confessioni fatte anticamente.
C. Pei quattro primi secoli potrebbero bastare le testimonianze degli Apostoli e di quei Santi Padri, di cui vi ho poco fa parlato. Tuttavia voglio ancora riferirvi un fatto tale quale è raccontato da S. Ireneo, che fiorì nel secondo secolo, e fu discepolo di S. Policarpo, il quale conversò con S. Giovanni Evangelista, e però in tempi purissimi della Chiesa antica. Egli racconta come alcune donne sedotte da un eretico di nome Marco, volendo ritornare alla Chiesa di Dio, cogli altri errori confessarono anche questo. Racconta inoltre che una donna caduta eziandio in peccato dichiarò in confessione tutto l'avvenuto, anche ciò che era passato nel suo interno vale a dire i peccati di pensiero.
Riferisce per ultimo, che molte povere donne ingannate da altri eretici fecero pure manifesta confessione dei loro peccati. Altre poi non osando ciò fare si ritirarono confuse, altre apostatarono pienamente, ed altre stettero esitanti tra l'uno e l'altro partito. Eccovi adunque {50 [194]} nel secondo secolo la Confessione già in uso, e però proveniente dal primo secolo. E lo stesso S. Ireneo ci fa notare che la confessione era distinta, vale a dire si confessavano i peccati di opere e di pensieri. Pei primi secoli troppo lungo sarebbe il dirne di più. Pei secoli seguenti, cioè dal quarto secolo in su, potrei dirvi come S. Agostino vescovo nell'Africa, S. Gioanni Grisostomo, S. Basilio ambidue vescovi nell'Asia, S. Girolamo e S. Ambrogio vescovo di Milano fecero molte prediche, e lasciarono parecchi trattati intorno al Sacramento della Penitenza, nei quali si parla a lungo del fervore dei Cristiani dei loro tempi, e della premura che avevano di accostarsi a questo Sacramento, appena si sentivano aggravati dal peccato. Parlano altresì delle penitenze, che s'imponevano ai penitenti, alle quali penitenze quei fervorosi fedeli di buon grado si sottomettevano per ottenere il perdono delle loro colpe. Ciò non ostante, quasi per ricrearci, voglio tesservi una serie di fatti particolari che dimostrino l'uso non interrotto della Confessione. Ai tempi di S. Gioanni Grisostomo gran numero di eretici lacerarono acerbamente la Chiesa, {51 [195]} ma a disinganno de' deboli e conforto dei buoni, ed anche per far ravveder i colpevoli molti furono da Dio terribilmente puniti. Uno di quegli infelici perturbatoci della Chiesa fu punito nella lingua sicchè divenne mutolo. Mosso da pentimento e colla lingua, perchè gonfia, non potendo articolare parola per confessar il suo peccato, lo scrisse sopra una tavoletta, soddisfacendo in tal guisa all'obbligo della Confessione praticato nella Chiesa per poter così riconciliarsi con Dio. Palladio Diacono. Vita di San Gioanni Grisostomo. A. Permettetemi un riflesso, sig. Curato: voi mi avete nominato S. Gio. Grisostomo ed appunto il mio libro cita questo santo come colui che condannò la Confessione; come va questo affare? Uno dice che questo Santo Dottore condannò la Confessione, l'altro mi dice che l'approva ...
C. Il vostro libro poco fa diceva che nella Chiesa antica non si è mai parlato di Confessione; ora dice che S. Gio. Grisostomo condannò la Confessione. Quante contraddizioni contiene questo vostro libro.
A. È adunque vero che S. Gioanni Grisostomo condannò la confessione?
C. Tutto all'opposto, e posso assicurarvi {52 [196]} che questo santo fu unozelante difensore della sacramentale confessione. In un suo libro Del Sacerdozio egli loda la dignità dei sacerdoti, ed esalta particolarmente il potere che essi hanno di rimettere i peccati, potere che non hanno nè anco i Principi e gl'Imperatori della terra. Anzi dice precisamente che il potere di rimettere i peccati fu conferito ai Sacerdoti, ma non agli Angeli od agli Arcangeli. Egli medesimo era confessore molto benigno e accoglieva con gran bontà i penitenti.
E di questa sua bontà e sollecitudine nel confessare sono testimoni i suoi medesimi nemici. Perciocché in un conciliabolo tenuto a Querco, fra le altre accuse gli eretici gli mossero questa: Che congedasse quei che peccavano dicendo così: Se hai nuovamente peccato, pentiti di nuovo, e quante volte peccherai, vieni da me ed io ti assolverò.
Un dotto scrittore ecclesiastico di quei tempi, di nome Socrate, dopo di avere a lungo lodato lo zelo di questo santo, asserì che egli era solito d'incoraggiare i peccatori dicendo: ancorchè abbi peccato le mille volte accostati a confessarti. {53 [197]}
Da ciò voi vedete quanta ignoranza o mala fede ci sia nell'autore del vostro libro. Si serve dell'autorità del più zelante confessore per fargli dire che egli disapprovava la confessione. Vi assicuro, miei cari, che questa ignoranza o mala fede, esiste in tutti i libri dei protestanti che scrivono contro al Sacramento della Confessione.
A. Ma almeno credo che sia certo che s. Agostino non faccia parola della Confessione.
C. Altro giuoco di mala fede o d'ignoranza dell'autore del vostro libro. S. Agostino era egli confessore ed incoraggiva i cristiani a non differire la penitenza dicendo fra le altre cose queste precise parole: Se il peccatore sarà ostinato fino all'ultimo della vita, non so se potrà ricevere la penitenza e confessare i suoi peccati a Dio, e al Sacerdote.
A. Io non mi pensava che nei libri dei protestanti ci fosse tanta mala fede e tanta ignoranza. Adesso continuate quei fatti, che vi ho fatto interrompere per farmi dilucidare quanto riguarda S. Agostino e S. Gioanni Grisostomo.
C. Continuerò a recarvi detti e fatti che dimostrano la pratica costante della Confessione {54 [198]} nella Chiesa Cattolica dai quattro primi secoli fino al Concilio lateranese.
S. Girolamo, gran dottore di santa Chiesa e contemporaneo di s. Gioanni Grisostomo, per eccitare i cristiani alla confessione dice che il confessare la colpa è la seconda tavola dopo il naufragio. Vale a dire: chi dopo il battesimo cadde in gravi peccati, non ha più altro mezzo per ritornare in amicizia con Dio, se non la confessione. Secunda tabula post naufragium est culpam simpliciter confiteri.
S. Ambrogio, di cui vi ho poco fa parlato, era assiduo nell'udire le confessioni dei fedeli. Quel gran vescovo non poteva ascoltare le confessioni senza spargere copiose lagrime; la qual cosa faceva che i medesimi penitenti piangessero con lui, e di ciò che udiva in confessione ne parlava solamente con Dio. (V. san Paolino).
Il famoso Alarico sul principio del quinto secolo scrive ai giovani della scuola di san Martino in Francia, dimostrando la necessità della confessione, esortando vivamente quegli studenti a frequentare questo tanto utile Sacramento. {55 [199]}
S. Eligio che tenne uno dei primi posti alla corte di Dagoberto re d'Italia, nel 630, pervenuto ad età avanzata volle tranquillare la sua coscienza; e fatto venire a lui un prete fece la confessione generale cominciando dalla sua fanciullezza in poi.
L'Imperatore Carlo Magno verso l’anno 800 decretò che ci fosse un competente numero di cappellani destinati a provvedere ai bisogni spirituali delle truppe, e leggiamo che quei sacerdoti passavano spesso le notti intiere a confessare i soldati prima che venissero a battaglia.
Nell'anno 870 Ildebordo, vescovo di Soissons, trasmise in iscritto una confessione generale ad Incmaro suo arcivescovo. Quel prelato lodò molto l'umiltà di quel servo di Dio, ma gli rispose che doveva ancora confessare i suoi peccati a viva voce ad un Sacerdote.
Se non temessi di annoiarvi vorrei eziandio esporvi come i preti della Chiesa antica pregavano in maniera particolare nella messa per coloro che si erano da essi confessati. Vi erano i confessori dei Principi, dei Re, e degli Imperatori. Nel sesto secolo san Gioanni il Digiunatore, vescovo di Costantinopoli, ci ha lasciato {56 [200]} una formola d'interrogazione pei penitenti al tutto simile a quella che si legge nei nostri libri di divozione per l'esame di coscienza. Varii antichi Concili hanno stabilito che i Vescovi nella visita delle diocesi interrogassero, se tutti i fedeli si fossero confessati almeno una volta all'anno. Tutte le sette antiche orientali ancora superstiti, come sono i Nestoriani, gli Eutichiani, i Giacobitì, i Greci che da oltre dieci secoli sonosi separati dalla Chiesa Cattolica, tengono l'uso e la necessità di confessarsi al prete. (V. Renaudosio, Morino, Martenio, ed altri).
A. Basta, basta, signor Curato, voi ci recitate tutta la storia Ecclesiastica, io non posso a meno di convenire con voi essere la confessione stata praticata nei primi tempi della Chiesa. Ma non so darmi pace come il mio libro, che mi assicura contenere la pura verità, mi dica che la confessione fu inventata dai preti circa mille anni sono.
C. Voi avete già potuto conoscere come il vostro libro mentisca dicendo tali cose, perciocché, la confessione cominciò ad essere praticata ai tempi degli Apostoli mille ottocento anni fa. Dal tempo di Tertulliano e di Origène, i quali vissero {57 [201]} mille e seicent'anni prima di noi, e troviamo nella storia che i cristiani si sono sempre confessati, epperciò fu sempre obbligatoria la confessione sin dai tempi di Gesù Cristo.
VII. La confessione nel Concilio Lateranese e nel Concilio Tridentino.
A. Un mio compagno mi ha fatto vedere un libro che dice la confessione essere stata stabilita nel secolo 13°,cinquecento cinquant’anni fa, nel Concilio di Laterano, e che solamente d'allora in poi fu imposto l'obbligo di confessarsi almeno una volta l'anno, e comunicarsi alla Pasqua di risurrezione: a parlare schiettamente io non saprei dire che cosa siasi trattato in questo Concilio.
C. Se la confessione fu stabilita nel secolo decimoterzo, secondochè asserisce il libro del vostro compagno, come va che il vostro libro dice che fu inventata ottocento anni prima? Quando fu accusato Gesù Cristo, il Vangelo fa notare che i testimoni non erano d'accordo per dimostrare che mentivano. E voi per certo non ignorate che {58 [202]} la discordanza dei testimoni è ancora oggidì una prova della falsità di quanto viene asserito. Applicate questa osservazione ai vostri libri protestanti.
A. Anch'io ho già osservato questo, e qualche volta ho detto tra me stesso: questi libri mi dicono che la confessione non fu istituita da Gesù Cristo; e intanto uno mi dice che fu istituita mille anni sono; un altro mi dice che lo fu cinquecento cinquant'anni prima di noi: ma se si sa con certezza una cosa non ci dovrebbe essere lo sbaglio di cinquecent'anni. Tuttavia ditemi, come va che tutto dì si viene citando il Concilio Laleranese?
C. I protestanti vanno citando il Concilio di Laterano, e ciò fanno con mala fede e con desiderio d'ingannare; voglio che voi medesimo ne siate giudice.
A. Sì, ma cominciatemi adire che cosa siasi trattato in questo Concilio di Laterano?
C. Credo che nei vostri studi legali abbiate rilevato che per Concilio generale s'intende una riunione di vescovi legittimamente convocati, a cui sono invitati quelli di tutto il mondo cattolico. Il Papa presiede in persona o per mezzo dei suoi legati. In quelle adunanze si decidono le questioni risguardanti alla fede {59 [203]} ed al governo della Chiesa. La promessa fatta da Gesù Cristo di assistere la sua Chiesa tutti i giorni fino alla fine del mondo rende tali decisioni infallibili. Ora nel 1215 ebbe luogo una di queste radunanze generali di vescovi sotto la presidenza del Papa in Roma, in una chiesa dedicata a s. Gioanni, e situata in un quartiere chiamato Laterano, d'onde venne il nome Concilio di Laterano.
A. Oh Deo gratias! ora comprendo onde è venuta la parola Laterano. Ebbene che cosa si trattò in quel Concilio? forse fu colà istituita la confessione?
C. In quel Concilio non fu istituita la confessione, ma fu imposto ai Cristiani di confessarsi almeno una volta l'anno. In que' tempi, miei cari amici, erano molti cristiani, come pur troppo ce ne sono ai giorni nostri, i quali trascuravano di confessarsi esponendosi così a pericolo di eterna dannazione. Il Concilio, cioè i capi della Chiesa colà radunati, ordinarono a tutti i cristiani di confessarsi almeno una volta all'anno e comunicarsi alla Pasqua. Così che non istabilirono la confessione, la quale esisteva già prima di loro, ma stabilirono solamente l'obbligazione {60 [204]} di non lasciar passare un anno senza accostarsi al Sacramento della Penitenza e della Comunione. Che anzi fu aggiunta una pena a quelli che avessero trascurato tal comando della Chiesa, cioè che i trasgressori di tale precetto, lasciando passare un anno senza confessarsi e comunicarsi, non fossero più considerati come cristiani; e morendo senza dar segni di ravvedimento non erano più riconosciuti come cristiani dalla Chiesa; erano scomunicati e privati della sepoltura ecclesiastica.
A. Adesso ho capito sopra quali ragioni si fondano coloro che dicono la confessione essere stata istituita nel Concilio Lateranese. Nulladimeno parmi di vedere qualche fondamento nella loro asserzione. In quel Concilio non fu stabilita la confessione, ma l'obbligo di confessarsi, dunque in certa maniera fu instituita la confessione medesima.
C. Per farmi strada a dilucidare la vostra difficoltà rispondetemi a quanto vi dimando. Venticinque anni fa la giustizia fra di noi era amministrata?
A. Chi ne dubita! Venticinque anni fa vi erano già i tribunali, i giudici e le pene stabilite contro ai colpevoli. {61 [205]}
C. Il modo di amministrare la giustizia era quello stesso d'oggidì!
A. Come avvocato posso rispondervi categoricamente. Si amministrava la giustizia ma in modo diverso; i processi erano più lunghi, più spendiosi, ed anche molto più complicate le questioni.
C. Fino a quando durò tal maniera di amministrare la giustizia?
A. Finché fu pubblicato il codice civile di Carlo Alberto.
C. Prima di questo codice era amministrata la giustizia?
A. Sì, ma si seguivano le norme stabilite dalle regie costituzioni.
C. Direste voi che Carlo Alberto col suo codice ha inventata la giustizia e che prima di lui essa non esisteva?
A. No certamente. Con quel codice non fu inventata la giustizia, ma furono stabilite norme per amministrarla.
C. Ora siccome eranvi leggi e tribunali prima del codice civile, e che con esso non si fece altro che regolare l'ordine e l'amministrazione della giustizia; parimenti i Padri del Concilio di Laterano col loro comando non fecero che regolare e stabilire un mezzo più adattato per l'amministrazione del Sacramento {62 [206]} della Penitenza, imponendo a ciascun cristiano di confessarsi almeno una volta all'anno e comunicarsi alla Pascqua. Da quanto vi ho detto, amici miei, voi potete facilmente comprendere come la confessione sia sempre stata praticata nella Chiesa; nè trovarsi alcun tempo in cui i fedeli non si siano serviti di questo Sacramento come unico mezzo stabilito da Dio per ottenere il perdono dei peccati commessi dopo il battesimo.
I protestanti più eruditi convengono coi cattolici intorno a questa verità. Leibnizio, dotto protestante degli ultimi tempi, non esita di affermare che la istituzione della confessione deve ripetersi dai tempi di G. C., che ne fu l'autore. Un altro protestante di nome Gibbone, dopo aver attentamente considerato ciò che si dice intorno alla pratica della confessione de' primi tempi, fu costretto a dichiarare: «L'uomo istrutto «non può resistere all'evidenza storica, «la quale stabilisce che la confessione «fu uno dei principali punti di credenza «della Chiesa in tutto il periodo dei «quattro primi secoli» cioè nel corso di quattrocento anni che seguirono dopo Gesù Cristo. {63 [207]}
A. Ancora una cosa e poi vi lascio in pace. Non ho più alcun dubbio che la confessione siasi sempre praticata nella Chiesa; ma siccome più tardi celebrossi il Concilio Tridentino, in cui si trattò di quanto si praticava nella Chiesa, parmi che non si dovrebbe aver taciuto della confessione, tanto più che in quel tempo i protestanti parlavano molto contro a questo Sacramento.
C. Comincio per dirvi che posto eziandio il silenzio del Concilio Tridentino su tale materia, quel Concilio approvando la dottrina della Chiesa, senza nulla rinnovare, approvava eziandio la pratica costante della Chiesa intorno al Sacramento della Confessione. Però io posso assicurarvi che nel Concilio Tridentino, così detto perchè tenuto nella città di Trento, si trattò molto della confessione.
A. Che cosa adunque si è detto intorno alla confessione nel Concilio Tridentino?
C. I Padri di quel Concilio, specialmente nella sessione decimaquarta, dopo di aver trattato di molte cose riguardanti al Sacramento della Penitenza, conchiusero così: «Se alcuno oserà di affermare che la confessione sacramentale non è necessaria, o non fu istituita dal Nostro Signor {64 [208]} G. C, o dirà che il modo di confessare i peccati segretamente al solo Sacerdote, siccome la Chiesa fin dai primi tempi ha sempre praticato e pratica ancora oggidì, o dirà la confessione non essere Sacramento istituito da Nostro Signor G. C, sia scomunicato: Anathema sit. (Sess., 14, Can. VI.)
A. Come adunque regolarci per l'avvenire con coloro che torneranno a dirci che la confessione è stata inventata dai preti?
C. Costoro debbono essere da noi compatiti nella loro ignoranza, quindi dobbiamo animarli ad istruirsi sopra una materia così importante, e se il tempo lo permette, far loro osservare come gli stessi gentili e pagani, e assai meglio gli ebrei ebbero sempre in uso la confessione, la quale fu da G. C. elevata alla dignità di Sacramento, praticata dai tempi degli Apostoli fino ai nostri giorni.
VIII. La confessione praticata presso ai gentili.
A. Mi pare che vogliate partire.
C. Vedo che si avvicina la notte, e temo {65 [209]} di avervi già forse troppo trattenuti col mio ragionamento.
A. Avete cominciata l'impresa e dovete finirla. Vi lasciaste sfuggire alcune espressioni che mi paiono nuove. Diceste la confessione essere stata praticata dai gentili e dagli ebrei. Questa è una novità che mi sorprende.
C. Se così vi piace, mi tratterrò ancora alquanto per appagarvi in questi vostri desideri. Per farvi comprendere come la confessione sia anche stata praticata presso ai gentili è bene riflettere che l'uomo, essendo da Dio creato per la virtù, prova grande soddisfazione quando pratica il bene; inoltre ha una coscienza che lo accompagna ovunque, e gli fa sentire i più vivi rimorsi, quando opera male, ed agisce contro alla legge della giustizia. L'uomo agitato dal rimorso della colpa conosce di aver offeso il Creatore, e l'unico conforto per lui si è un amico cui possa palesare i segreti del suo cuore per avere gli opportuni consigli, e così riconciliarsi colla Suprema Divina Maestà.
Il bisogno pertanto di manifestare le cose che amareggiano il nostro cuore è naturale all'uomo, perciò è cosa naturale {66 [210]} agli stessi pagani la pratica della confessione.
A. Questo appunto desidero di sapere, perciocché non mi ricordo di aver letto che qualcuno degli antichi filosofi ed oratori siansi confessati.
C. Nei vostri studi avrete certamente osservato che per certi peccati si facevano pubbliche emendazioni e pubblici sacrifizi.
A. Mi ricordo d'aver ciò letto degli antichi Romani, dei Greci e di altri popoli, ma questo non è confessione.
C. A che tendevano quei riti e quei sacrifizi?
A. Per espiare i loro peccati e placare lo sdegno degli dei.
C. Quel mezzo di espiazione con cui palesavano i peccati non si può forse chiamare confessione che ha molta analogia con quella dei cristiani? Per esempio leggiamo presso i più antichi scrittori (come Erodoto, Omero, Virgilio) che dai tempi più remoti i Galli, ora Francesi, i Britanni, ora Inglesi, gli Italiani, i Greci, gli Egiziani, commesso appena un delitto, avevano obbligazione di fare alle loro divinità un sagrifizio piccolo o grande secondo la specie e la gravità del peccato. {67 [211]}
Tale sagrifizio doveva compiersi per mano dei sacerdoti chiedendo umile perdono. Ovidio dice esplicitamente: I nostri antenati hanno sempre creduto che per mezzo detta purgazione ossia confessione potevasi cancellare ogni peccato ed ogni cagione di male:
Omne nefas, omnemque mali purgamine causam
Credebant nostri tollere posse senes.
Fastor. lib. II.
A. Forsechè si danno esempi d'uomini gentili che siansi confessati?
C. Se ne danno moltissimi. Racconta Plutarco del filosofo Pitagora, come egli non ammettesse alcun allievo nella sua scuola, se prima non facevagli una generale confessione di tutta la vita passata. Si legge pure che un certo Lisandro essendo andato a consultare un oracolo, che era una divinità dei gentili, il sacerdote che aveva cura del tempio gli comandò di confessare tultte le ingiustizie che egli aveva commesso nelle sue azioni. Al che rispose Lisandro: È questo ordine tuo, oppure ordine degli Dei? Soggiunse il sacerdote: Tale è l'ordine degli Dei. Il medesimo Plutarco riferisce altrove, che {68 [212]} un uomo volendo iniziarsi nei misteri sacerdotali fu obbligato dal sacerdote a fare la confessione dei peccati suoi.
Se poi vogliamo fatti più recenti, li abbiamo nelle relazioni dei missionari. Raccontano essi che quei popoli, ignari affatto del cristianesimo, quando qualche misfatto aggrava loro la coscienza, vanno dai loro magi per confessare i loro peccati, e così consigliarsi sul modo di placare lo sdegno degli dei.
A. Mi riescono veramente curiosi questi fatti: qualche cosa aveva già letto anch'io, ma non ci badava. Si vede proprio che i gentili avevano la confessione. Ma con queste loro confessioni potevano forse ottenere il perdono dei peccati?
C. Con queste loro confessioni i gentili si credevano di ottenere il perdono dei peccati; ma la sbagliavano in ciò che i loro peccati oltraggiavano Iddio Creatore e supremo Signore, ed eglino chiedevano perdono alle loro divinità, le quali altro non erano che misere statue fatte dalle mani degli uomini. Perciò la loro confessione non poteva ottenere il perdono dei peccati. Tuttavia tali fatti dimostrano, che i gentili, o guidati dal solo lume della ragione o che abbiano tra di {69 [213]} loro conservato un piccolo raggio della rivelazione fatta ai loro padri, erano persuasi che gli uomini colla confessione avrebbero potuto ottenere il perdono dei peccati. Pertanto nella confessione dei pagani noi rileviamo due importanti verità: una profonda venerazione di tutti i popoli verso le persone consacrate al divin culto, cioè i sacerdoti; una costante persuasione che i sacerdoti fossero mediatori tra Dio e gli uomini, e che confessando loro le proprie colpe, gli uomini venissero riconciliati con Dio.
IX. La confessione praticata presso agli ebrei.
A. Se la Confessione dei Gentili era cosa naturale fra gli uomini, pare che avrebbe dovuto essere maggiormente praticata presso agli Ebrei, i quali avevano i libri sacri contenenti la divina Rivelazione. Ma io non mi ricordo di aver letto in tutta la Bibbia che qualche ebreo o qualche giudeo siasi confessato.
C. Forse voi, Andrea, avrete semplicemente letto qualche compendio della Storia Sacra; ma se leggeste il testo della Bibbia, {70 [214]} trovereste la confessione praticata presso agli Ebrei con assai più di vantaggio che non appresso ai Gentili. Questo apparisce dai sagrifizi che si facevano in pubblico in espiazione dei peccati commessi. (Vedi Bellarmino della penit. cap. 3).
A. Ci sono riti, cerimonie, sagrifizi, espiazioni, lo so; ma credo che non si parli di confessione.
C. Si parla propriamente di confessione. Aprite la Bibbia, leggete nel libro del Levitico cap. IV: colà troverete che Mosè dopo aver numerato parecchi casi in cui l'uomo avrebbe potuto peccare, dice queste precise parole: accadrà che taluno del popolo peccherà in alcuni di questi casi, e allora confesserà sopra di che ha mancato, ed offrirà il sacrifizio della sua colpa al Signore, e per opera del Sacerdote sarà mondato dal suo peccato.
Nel libro de' Proverbi leggiamo che: chi nasconde i suoi peccati, non avrà bene, ma chi li confessa e li abbandona, otterrà misericordia; cap. XXVIII, v. 13.
Potrei addurvi altri testi della Bibbia, ma questi mi paiono tanto chiari, che giudico inutile il riferirne di più.
A. Non pare forse che le parole accennate vogliano significare la confessione da farsi {71 [215]} a Dio, piuttosto che quella da farsi al sacerdote?
C. Troppo chiare mi sembrano queste parole: per opera del sacerdote sarà mondato dal suo peccato. Essere mondato per opera del sacerdote viene a significare due cose: che gli Ebrei confessavano i loro peccati ad un sacerdote, e che erano eziandio persuasi che il sacerdote fosse mediatore tra Dio e gli uomini, autorizzato ad ottenere loro da Dio medesimo il perdono.
A. Se si fosse praticata la confessione presso agli Ebrei antichi, parmi che si praticherebbe ancora oggidì; ma io credo che presentemente niuno degli Ebrei vada a confessarsi.
C. Fino alla venuta del Messia gli Ebrei praticarono la confessione nel modo accennato. Ma dopo la venuta dei Messia, quando al Pontefice della legge antica sottentrò il Pontefice eterno, il Figlio di Dio vivo, il Salvator nostro G. C. e stabilì una nuova Chiesa; quando, dico, gli Ebrei senza Pontefice, senza capo, vennero dispersi per le varie parti del mondo, allora caddero in moltissimi e madornali errori in fatto di religione, e segnatamente intorno alle cose che riguardano alla confessione. Tuttavia gli Ebrei dei nostri {72 [216]} tempi conservano ancora una specie di confessione sebbene ridicola.
A. Diteci come si confessano gli Ebrei d'oggidì.
C. Gli Ebrei de' nostri tempi quando si accorgono di essere colpevoli di qualche delitto, pensano di riconciliarsi con Dio con una preghiera, confessandosi in un angolo della sinagoga o delle proprie case, esclusa la presenza del sacerdote. Così quel popolo mentre conserva ancora i libri che contengono il precetto di confessare i peccati al sacerdote, affinchè per opera di Lui vengano rimessi, egli appoggiato alle strane favole di un libro che chiamano Talmud, trascura la parola di Dio per seguire i capricci degli uomini.
Debbo però farvi notare che i più dotti Rabbini antichi e moderni vanno d'accordo sul precetto della Confessione, da farsi al sacerdote, tale quale fu comandata da Mosè. Sentite ciò che dice un dotto Rabbino di nome Maimonide accreditatissimo fra gli Ebrei. Chiunque avrà trasgredito i comandamenti della santa legge o per errore o per presunzione, allorchè pentito si convertirà del suo peccato è tenuto di fare la confessione. Chiunque farà l'offerta pel peccato commesso per {73 [217]} ignoranza o per malizia non otterrà il perdono della colpa fintanto che non abbia fatto la confessione orale. E chiunque è reo di morte, o condannato dal sinedrio (dal senato) alla flagellazione, non si rimette il peccato colla morte o colla flagellazione, se il penitente non fa la confessione. Così quel Rabbino interpreta le parole del Levitico da noi sopra riferite. (V. cap. 1, della Tesvuà.)
Vi ho parlato volentieri della confessione praticata dagli antichi Pagani e dagli Ebrei, perchè così potrete sempre più notare l'ignoranza di coloro che dicono, la confessione essere stata un'invenzione introdotta nella Chiesa cattolica. Noi diciamo pertanto la confessione essere stata praticata in tutta l'antichità, specialmente presso agli Ebrei. Però la legge antica essendo una figura di quanto dovea compiersi alla venuta del Messia, era perciò riserbato a G. C. l'innalzare la confessione alla dignità di Sacramento; col quale Sacramento applicando alle anime nostre i meriti della sua passione e morte, ci ha somministrato un mezzo assai facile per ottenere il perdono dei peccati e conseguire la vita eterna. {74 [218]}
X. La confessione è un gran conforto al cristiano ed un mezzo efficace per fuggire il male e praticare il bene.
A. Vi assicuro, sig. Curato, che io ammiro la vostra memoria e la vostra erudizione: io non saprei più che cosa opporre contro all'obbligo della Confessione. Solamente vi debbo dire, che a me riesce di gran peso l'andarmi a confessare. E ci sono alcuni miei compagni d'uffizio, i quali asseriscono essere per loro una vera tortura il confessarsi.
C. Nelle cose stabilite da Dio non dobbiamo cercare ciò che pare grave al nostro intelletto; ma rispettare e venerare quanto Iddio ha stabilito per nostro bene. Perciocché essendo egli l'offeso e noi gli offensori non è giusto che ci sottoponiamo alle condizioni a lui benevise per rientrare in grazia sua? Per me poi vi assicuro che non capisco come la confessione possa essere una tortura; a meno che si voglia chiamare tortura quel rimedio che fa guarire un'infermità.
A. Ciò non voglio supporre; perciocché sebbene {75 [219]} un rimedio sia di cattivo gusto, agiti molto il corpo, e produca dolorose sensazioni, nulla di meno trattandosi di guarire si prende comunque siasi.
C. Applicate la similitudine della malattia corporale alla malattia spirituale. L'uomo pel peccato contrae un male che lo strascinerebbe alla morte eterna. L'unico rimedio per guarire da questa malattia è la confessione. Notate però bene che coloro i quali sono più assidui al Sacramento della confessione, sono appunto quelli che hanno vie più il cuore contento e vivono giorni di pace e di tranquillità. Al contrario quelli che chiamano tortura la confessione e che più di ogni altro avrebbero bisogno di confessarsi, recano poco disturbo ai confessori.
A. Quelli che frequentano la confessione vivono allegri perchè non hanno peccati che pesino sull'anima; ma datemi un uomo che abbia una serie di peccati da confessare, come appunto è un cotale avvocato che vi parla, povero lui! che peso enorme sentirebbesi nel doverli manifestare!
C. Questo peso, mio caro, è piuttosto immaginario che reale. Faccia costui la sua confessione, e poi vedrà da quale peso, da quali angoscie si sentirà liberato. Ho sentito {76 [220]} più volte uomini a dire che il giorno più bello, più felice di loro vita era stato quello in cui avevano aggiustate le cose di loro coscienza.
A. Comunque sia, niuno può negarmi che la confessione sia un peso.
C. Voi ripetete sempre le medesime cose. Volete voi dunque rigettare tutto ciò che pesa? Getterete via il danaro perchè pesa? Rifiuterete il cibo perchè pesa?
A. No certamente, perchè il danaro è necessario per comperarci quanto ci occorre per la vita, e il cibo è necessario per vivere.
C. Ma la confessione è necessaria per redimerci dalla sentenza di perdizione, per comperarci l'amicizia di Dio, e per acquistarci la vita eterna. La confessione è un cibo, un nutrimento indispensabile per la vita spirituale dell'anima, senza di che essa morrebbe e sarebbe eternamente perduta; onde possiamo dire che la confessione ben lungi dall'essere all'uomo una tortura, è piuttosto un balsamo salutare per le sue piaghe, un gran sollievo ai suoi mali. E una grande consolazione, quando agitato dai rimorsi della coscienza egli trova nella confessione un mezzo onde calmarsi gli affanni dell'anima e rassicurarsi di aver ristabilita la sua amicizia con Dio. {77 [221]}
Che se taluno prova una qualche ripugnanza nel confessare le proprie colpe, ciò torna di grande vantaggio. Mette un ritegno a non commettere certi peccati, in cui l'uomo forse cadrebbe se non fosse di poi obbligato a manifestarli in confessione. Tale ripugnanza è già una penitenza che contribuisce assai ad avere un buon dolore dei peccati per chi sa vincersi e confessarli con sincerità.
Altronde, cari amici, se ad un reo condannato a morte, nell'atto che sta per essere eseguita la sentenza, il Re mandasse un suo ministro a dirgli: «Se tu confessi schiettamente il tuo delitto a qualche tuo amico, sei immediatamente posto in libertà» forse ricuserebbe la proposta?
A. Per non andare sulla forca io credo che farebbe una confessione generale in faccia a tutto il mondo.
C. Questo colpevole siamo noi quando cadiamo in peccato mortale. Il Re è Dio, che manda i suoi Ministri, i Sacerdoti, a dire ai peccatori: Io vi assolvo dalla morte eterna, e vi restituisco in libertà e vi ridono l'amicizia col supremo Re del cielo e della terra; ed affinchè non dubitiate della mia asserzione ecco il decreto con cui io sono stato delegato per {78 [222]} eseguire questi ordini: quorum remiseritis peccata, remittuntur eis; quorum retinueritis, retenta sunt. (Joan. c. 20).
A. Voi mi dite parole che mi convincono e mi persuadono sempre più dell'importanza della confessione; ma se è di tanta importanza la confessione, come va che i preti non si confessano?
C. Chi vi disse che i preti non si confessano?
A. lo non vidi mai alcun prete a confessarsi.
C. Forse non capitaste mai trovarvi in Chiesa in circostanza che i preti si confessassero. Altronde i preti avendo molte occupazioni riguardanti al sacro loro ministero devono scegliere quei luoghi, quel tempo, quei confessori che loro riescono di maggior comodità. Ma ritenete bene che il precetto della confessione stringe tutti gli uomini del mondo, Monache, Frati, Preti, vescovi o cardinali, Generali d'armata, Principi, Re ed Imperatori, e lo stesso Sommo Pontefice, se vogliono ottenere il perdono dei loro peccati, non hanno altro mezzo fuori della confessione.
Pietro. Il Papa! il Papa! ... E da chi andrà a confessarsi? {79 [223]}
C. Il Papa medesimo va a confessarsi, e si confessa da un sacerdote; perchè un sacerdote approvato per udire le confessioni dei fedeli cristiani è in grado di confessare qualsiasi uomo della terra anche elevato alle più grandi dignità. Il Papa si confessa, e di Pio IX in particolare posso accertarvi che si confessa assai spesso ed anche più volte per settimana. Nè ciò deve farvi maraviglia. Perciocché la Confessione scancella i peccati e nel tempo stesso porge aiuto efficace a perseverare nel bene. Sicché vi sono molte persone pie, le quali per assicurarsi la via della salute, vanno assai spesso a confessarsi, quando anche la loro coscienza non li rimproveri di alcuna colpa. E ciò fanno per ottenere dal Signore grazie e benedizioni onde perseverare nel bene. Così fecero s. Carlo Borromeo, s. Francesco di Sales e tanti altri siccome attesta la storia.
A. Tuttavia manifestare i miei segreti ad un uomo come sono io!
C. Non è vero che il Confessore sia un uomo nel modo che dite voi. Se volete dire che sia un uomo composto di carne e di ossa pari a noi, vel concedo; ma non è certamente pari agli altri uomini {80 [224]} nella dignità di Ministro di Dio. Per farvi ben capire quanto vi dico, voglio servirmi di una similitudine. Il soldato che fa la guardia al palazzo del Re è simile agli altri uomini?
A. In alcune cose è simile agli altri uomini, ma non in tutto?
C. In che cosa è differente?
A. È differente nelle divise che indossa, nelle armi che maneggia.
C. Non in altre cose?
A. E distinto anche in ciò che può usare le armi, e tenere lontano chi volesse entrare contro agli ordini ricevuti dal Sovrano.
C. Volete dire che ha le divise, le armi, l'autorità di lasciar entrare o non lasciar entrare secondo gli ordini ricevuti.
A. Appunto così.
C. Facciamo ora l'applicazione. Il confessore sebbene sia simile agli altri uomini quando è nel tribunale di penitenza, tuttavia oltre le divise di ministro di Dio, è insignito di carattere sacerdotale, che lo costituisce in autorità di rimettere o ritenere i peccati. Dobbiamo piuttosto in ciò ammirare la bontà di Dio di aver destinato i Sacerdoti come Ministri degli ordini suoi e del perdono dei peccati. Perciocché se noi avessimo {81 [225]} dovuto confessare le nostre colpe ad un angelo mandato dal cielo, ne avremmo avuto terrore e spavento al pensare che quelli sono purissimi spiriti non soggetti ad alcuna miseria umana.
A. Tutto va bene: quasi quasi mi risolvete di andarmi a confessare, nè saprei quale cosa opporre se non quella che si dice comunemente, cioè che quelli che si confessano sono peggiori degli altri. Così dice il mio libro.
C. Miei cari amici, è questa un'espressione che i maligni pronunziano in discredito di nostra Santa Religione. Discorriamo alquanto sopra questo madornale sproposito. Asseriscono che coloro i quali si confessano spesso sono peggiori degli altri. Ditemi, sono gli uomini più onesti della società quelli che rubano, bestemmiano, maledicono, assassinano?
A. Non dirò mai questo.
C. Sono forse costoro che frequentano la Confessione?
A. Nemmeno. Per lo più costoro o non vanno in chiesa, o vanno soltanto per avere occasione di tirare qualche borsa o togliere qualche fazzoletto.
C. Quei cristiani che sparlano delle cose sante, violano i voti fatti a Dio, rinnegano {82 [226]} la loro religione per secondare le loro passioni, sono quelli che si confessano spesso?
A. Io credo che tal razza di cristiani rechi poco disturbo ai confessori.
C. Dunque secondo voi costoro non si confessano, e sono già uomini malvagi. Ditemi ancora: quei padri e quelle madri che non hanno cura della figliuolanza, passano il giorno festivo dandosi al bel tempo, mangiando, bevendo, giuocando, cagionando così scandalo e miseria nella famiglia, forsechè sono costoro assidui a confessarsi?
A. Nemmeno potrò dir questo, perchè costoro appena conoscono la strada che conduce alla chiesa?
C. Quelli poi che accudiscono i loro affari, vanno spesso in chiesa, si confessano e seguono gli avvisi del confessore; accudiscono la loro figliuolanza, si guardano dai disordini, amano il prossimo, non toccano la roba altrui, direste voi costoro peggiori degli altri?
A. No certamente.
C. Chiamereste voi peggiori, vale a dire più scostumati degli altri quelle giovani, quei giovanetti, tutti quei buoni cristiani che frequentano spessissimo e con esemplarità la confessione? {83 [227]}
A. Costoro per lo più sanno neppure come si facciano i peccati.
C. Ditemi ancora, tutti quelli che sono rinchiusi nelle carceri, quelli che di quando in quando sentite a dire essere condannati al patibolo, che propriamente voi chiamerete i peggiori, cioè i più malvagi degli uomini, erano forse cristiani fervorosi frequenti alla confessione?
A. Basta, basta, signor Curato, avete ragione, sono cose che ho letto nel mio libro, che conosco sempre più essere una raccolta di spropositi. Mi sono accorto che i protestanti per sedurre i cattolici per prima cosa si mettono a sparlare della confessione, perchè se non riescono di allontanare i loro allievi dalla confessione, torna inutile ogni loro cura. Tuttavia io posso assicurarvi di aver conosciuto cristiani che si confessano spessissimo, e tengono una pessima condotta.
C. Ciò può darsi perchè non avvi cosa buona e santa, di cui l'uomo non possa abusare; ma è sempre vera la regola generale che i migliori cristiani sono quelli che frequentano la confessione, perchè, come convenite anche voi, in generale si prova col fatto che i migliori e i più onesti uomini della società sono {84 [228]} quelli che frequentano la confessione; al contrario i più malvagi sono coloro che o non si confessano, o si confessano male.
A. Mi pare però che in molti la facilità di ottenere il perdono dia ansa a commettere nuovi peccati.
C. Se si desse l'assoluzione a tutti quelli che si presentano al tribunale di penitenza, forse la facilità di ottenere il perdono potrebbe dare ansa al peccato: ma dovete ritenere che il confessore non dà l'assoluzione se non quando scorge le dovute disposizioni nel penitente, tra le quali vi deve essere un fermo proponimento, cioè una sincera promessa di non offendere più Iddio in avvenire: p. es. chi avesse rubato non può ottenere la assoluzione senza che faccia una sincera promessa di non più rubare e di restituire il mal tolto; e spesso non si dà l'assoluzione finchè non siasi restituito intieramente ciò che si è rubato.
Appunto a questo riguardo era solito a dire il dotto Silvio Pellico con un suo amico: «sono immensi i vantaggi» spirituali e temporali che apporta la» confessione! Quante famiglie rappacificate!» quanti giovani ricondotti a' loro genitori!» {85 [229]} quante risse impedite, quanti» furti riparati! e ciò tutto in grazia della» confessione.»
«Spesso avviene che un povero prete» nel tribunale della penitenza impedisce» certi mali alla società che non potrebbe» fare una polizia con tutte le» sue indagini, neppure un Re con le «sue armate.» Così parlava della confessione quel filosofo veramente cristiano. Non dite più, amici miei, che la confessione è un peso od una tortura, dite piuttosto essere la confessione un conforto pei cuori afflitti e pei cristiani agitati dai rimorsi della colpa: essere un mezzo efficacissimo per allontanarci dal male, ed avviarci al bene; insomma essere la confessione un gran bene pell'uomo privato e per la pubblica società; ed essere il gran mezzo stabilito da Dio per riconciliarci colla suprema sua divina Maestà.
XI. Paterne accoglienze del confessore. Gran segreto della confessione.
A. Ho già pensato più volte di andarmi {86 [230]} a confessare perchè alla fin dei conti son cattolico, e voglio vivere e morire nella religione cattolica; neppure vorrei differire la mia confessione fino al ponto della morte, quando uno è sforzato a confessarsi, perchè ciò che si fa per forza vale una scorza, dice il proverbio. Presto o tardi bisogna venire a questo punto. Ma che dirà il confessore in udire i mici pasticci! non sarà per farmi gravi rimproveri! Questo riflesso mi ha fatto differire l'esecuzione di tal mio divisamente.
C. Niuna di queste cose vi trattenga dall'andarvi a confessare. Io posso assicurarvi, o caro Andrea, che il confessore non sarà sorpreso da alcuno stupore, nè sarà per fare alcun rimprovero; anzi egli vi accoglierà colla bontà di padre che vede il suo figlio ravveduto; vi accoglierà come giudice che conosce le vostre colpe, ma è autorizzato dal Re a condonarvi la pena meritata; vi accoglierà come un medico che si dà cura per un ammalato, e per cui tiene pronti rimedii efficaci onde guarirlo. Insomma andandovi a confessare e dichiarando con sincerità le vostre colpe, voi procurerete grandi consolazioni al confessore. {87 [231]}
P. Volete forse dire che il confessore proverà piacere delle colpe commesse?
C. Non dico che il confessore provi con solazione per le colpe commesse, ma prova la più grande consolazione nel vedere un'anima che rompe i legami con cui era vincolata dal demonio, vede che ritorna a Dio, vede che si prepara un abitatore di più pel paradiso, e gode nell'animo suo perchè egli è l'istrumento di cui la Provvidenza si serve per compiere un'azione così avventurosa.
A. Dato che il confessore faccia buona accoglienza, non pare che si abbia a temere qualche rimprovero per quello che ha udito in confessione o forse forse che lo racconti ad altri?
C. Niun timore vi prenda di ciò: il confessore non può parlare fuori di confessione nè con voi nè con altri di cose udite in confessione. Una legge naturale ecclesiastica e divina sotto a gravissime pene lo obbliga a tenere in rigorosissimo secreto tutto ciò che ha udito in confessione.
A. Ciò va bene, ma se si trattasse di fare un buon contratto, o di qualche altro affare, credo che il confessore se ne possa servire, come difatti taluno si è già servito, siccome asserisce il mio libro. {88 [232]}
C. Siamo di nuovo al vostro libro. Da quanto vi dissi potete già sapere qual conto dobbiate fare di ciò che in esso si contiene. Credetemi; se si trattasse non solo di fare un buon contratto, ma di guadagnare tutto il mondo, il confessore non può servirsi delle notizie avute in confessione; e questo è proibito sotto pena di peccato mortale, a cui vanno annesse pene severissime.
A. Se si trattasse di salvare la vita propria, o l'onore, di far conoscere qualche società segreta, di svelare una rivoluzione non potrebbe il confessore servirsi di cose sapute in confessione?
C. Quando anche si trattasse di liberar se stesso dalla morte e nel tempo stesso liberare tutti gli uomini da qualsiasi male, da qualsiasi rivoluzione, non potrebbe giammai servirsi di alcuna notizia avuta in confessione. Perchè questo segreto è rigorosamente comandato dalla legge naturale, divina ed ecclesiastica, che obbliga in ogni tempo e luogo senza eccezione. Ciò è comprovato eziandio dalla esperienza di diciotto secoli. Io potrei addurvi molti fatti per confermare quanto vi dico; quello di s. Giovanni Nepomuceno può valere per tutti. {89 [233]}
Il Re di Boemia voleva obbligare questo santo a svelare alcune cose che supponea da lui udite in confessione dalla Regina; quel Re lo allettò con parole e con promesse; lo fece mettere in prigione e tormentare in tutte guise, e finalmente lo condannò ad una morte crudele; ma nulla mai potè cavare da quella bocca, che fu la bocca del primo martire del sigillo della confessione.
A. Se non si è mai dato che il confessore abbia svelate cose udite in confessione, come va che il mio libro dice essere ciò avvenuto le tante volte?
C. Vi ripeto che a quest'ora avete già potuto essere abbastanza convinto che il vostro libro è un impasto di menzogne. Invenzioni, calunnie, bugie tutto ivi è messo in opera purchè ridondi in discredito della confessione. Io posso però assicurarvi che sinora non si è mai dato e posso accertarvi che non si darà mai, che venga violato il sigillo della confessione. È un vero tratto della Divina Provvidenza che da G. G. fino a questi giorni non si possa addurre un fatto certo in proposito. Parecchi furono lusingati e richiesti in tempo di gravissime malattie, in tempo di frenesia, anzi alcuni preti per disgrazia {90 [234]} divenuti pazzi furono imprudentemente dimandati intorno a cose udite in confessione; ma il Signore dispose che nulla dicessero contro al sigillo sacramentale. Che più? lo stesso Lutero che pure era confessore, ed altri ecclesiastici che sgraziatamente apostatarono e rinunciarono al cattolicismo, sebbene costoro abbiano scritto e detto cose nefande contro alla religione, e contro alla confessione medesima, non mai giunsero a violare il segreto di questo sacramento. Anzi io son sicuro che il medesimo autore del vostro libro, che pure era prete e confessore, egli stesso non abbia mai rivelato, e spero che non verrà a tal punto di depravazione di rivelare alcuna cosa udita in confessione.
A. Signor Curato, io comprendo e credo quello che mi dite, ma che siano poi tutte bugie i fatti che si raccontano di cose udite in confessione e di poi svelate?
C. Caro amico, credetemi, finora non si può addurre un fatto certo contrario al sigillo della confessione. I malevoli dicono più cose per iscreditare questo Sacramento e vantano fatti di sigillo violato. Ma e con parole e con iscritti furono sempre sfidati a darci nome, cognome, {91 [235]} patria di un individuo cui sia ciò avvenuto. Finora niuno appagò questa universale aspettazione. Non è gran tempo che si presentò da me un saputello assicurandomi che egli aveva molti fatti a rimproverare su questo argomento, lo gli feci osservare che quand'anche avvenisse che qualche sacerdote tradisse il suo sacro ministero, non sarebbe punto diminuita la santità di questo Sacramento. Forsechè si possono chiamare profanatori gli Apostoli perchè ci fu un Giuda traditore? Notava di poi il mezzo provvidenziale usato da Dio per conservare un tal segreto. Ma egli insistendo sui fatti che egli diceva di sapere, io venni a questa proposta: se voi, gli dissi, o qualche vostro amico, mi potrete addurre un solo fatto di questo genere, ma che sia certo, io vi prometto cinquecento franchi. Apparecchiatemeli, soggiunse l'altro, sabato sarò da voi. Aspettate, ripigliai, ho già detto la medesima cosa ad altri e non vorrei che accadesse lo stesso a voi, cioè di non venirmi più a vedere. Verrò immancabilmente, conchiuse l'altro, vi do parola d'onore.
A. Ebbene non è egli forse ritornato?
C. Lo attendo da sui mesi e non è ritornato, {92 [236]} ed io credo che non verrà più perchè si trova nell'impossibilità di avere ciò che aveva promesso.
A. Veramente quelli che ho udito tante volte a schiamazzare contro alla confessione mi adducevano sempre fatti vaghi, senza indicare il luogo, senza dire il nome del confessore e del penitente, e cominciano sempre i loro racconti con queste parole: ho sentito a dire.
C. La qual cosa vien a significare che coloro non erano testimoni oculari, e che, se aveste loro dimandato, se gli espositori di que' fatti, li avevano uditi colle proprie orecchie, e veduti coi proprii occhi, non erano in grado di rispondere se non questo che anche eglino lo avevano sentito a dire.
A. A parlare in tutta confidenza, signor Curato, io credo quanto mi affermate, e solo fui sbalordito di quanto si dice e si stampa nei libri e nei giornali. Del resto a proposito di quanto voi dite sul segreto della confessione mi ricordo di aver letto, che se uno andasse a confessarsi e dicesse che ha messo il veleno nelle ampolle destinate per la messa, il confessore non cangierebbe nè vino, né acqua, ma direbbe la messa come se {93 [237]} nulla fosse stato messo nelle ampolle, così esponendosi ad una certa morte.
Mi ricordo pure d'un prete, mio compagno di scuola, che era andato a fare il vice-curato; e quello era veramente un buon prete! Quasi tutti andavano a confessarsi da lui. Ma quel poverino fu colto da febbri frenetiche e divenne pazzo. Un giorno eravamo parecchi amici insieme ed alcuni dimostravano compassione per lui, altri si trastullavano in udire le stravaganze che egli proferiva. Fu colà un impertinente che chiesegli se aveva udito una cotal cosa da una persona da lui confessata. - Lo credereste? Più volte interrogato non rispose mai parola. Ma l'altro instando nella dimanda, il prete senza dir nulla, dà di pìglio ad una sedia e in atto minaccioso va gridando; volete fare gli assassini? Ciò dicendo vibrò un colpo col quale poco mancò che rompesse la testa a chi aveva fatte tante importune dimande. - Ma non gli uscì mai di bocca una parola udita in confessione.
C. Godo molto, che voi medesimo siate in grado di confermare coi fatti quanto vi dico sul sigillo della confessione. Dunque, miei cari, andate pur volentieri a confessarvi, {94 [238]} che il confessore non vi farà alcun rimprovero, nè giammai gli uscirà di bocca alcuna cosa udita nelle vostre confessioni.
A. Ma quando il confessore ci vedrà non andrà almeno dicendo tra se stesso: costui mi ha confessato la tal cosa?
C. Niun timor di ciò. Quella legge che stringe con massimo rigore al sigillo sacramentale, stringe egualmente i! prete a non fare alcun riflesso su ciò che ha udito; Perciò egli è obbligato di obliare quanto gli si dice in confessione. Quando poi vede il penitente non ravvisa più in lui che un amico leale, che usò con lui confidenza, e quanto più saranno strane le cose udite in confessione, tanto più grande sarà la tenerezza pel suo penitente, perchè in esso riconosce un infermo da lui guarito, un figlio ravveduto, una persona amica che gli confida ogni segreto del suo cuore.
Altronde dovete notare che, eziandio umanamente parlando, il confessore non potrebbe ricordarsi di ciò che sente in confessione, attesa la moltitudine degli individui che a lui si prosentano, e la varietà delle cose che gli sono esposte. Ed io vi posso con tutta lealtà assicurare, che di quanti ho già confessato {95 [239]} nell'esercizio del mio ministero, non sarei in grado (anche volendo) di riferire una cosa sola all'individuo che me l'ha confidata. Perciò io dico a voi, o Andrea, e lo stesso dico ai vostri amici, che niuna cosa esce dal segreto sacramentale, niuna rimembranza rimane nel confessore di qualsiasi cosa udita in confessione.
XII. La confessione in punto di morte.
A. Ammiro, sig. Curato, la ragionevolezza di quanto ci dite; convengo sulla necessità, utilità e segretezza della confessione, e vi assicuro che dopo quello che ci avete detto sulla necessità e segretezza di questo Sacramento, non saprei più come rifiutare di andarmi a confessare, tanto più che, a dirla schiettamente, avrei materia da raccontare al confessore. Ma io vo così ragionando tra me stesso: confessarmi e poi commettere gli stessi peccati non vorrei; d'altronde io conosco la mia fragilità, ed ho ragione di temere le medesime ricadute; perciò io ho divisato di aspettare al fin della vita a fare una buona confessione. Allora {96 [240]} poi mi confesserò, poi me ne morrò senza pericolo di ricadere nel peccato. Che ve ne sembra?
C. In poche parole mi fate un mucchio di difficoltà, le quali in certa maniera mi eccitano al riso. Io vi risponderei di buon grado se la notte non mi avvisasse di recarmi frettolosamente a casa. Se così vi aggrada ritornerò altra volta.
Germano. No, signor Curato, non partite: altrimenti interrompete il punto più importante della conversazione: non vi dia pena la notte, noi vi accompagneremo fino a casa.
C. Giacchè così vi aggrada, io soddisfarò ancora alle difficoltà mosse dal signor Andrea. Voi mi dite, Andrea ...
A. Io dico che non voglio andarmi a confessare e poi ricadere nei medesimi peccati.
C. In ciò convengo. Perciocchè una delle più essenziali condizioni per fare una buona confessione si è un fermo proponimento di non più offendere Iddio in avvenire; nè questo proponimento si può dire fermo se non è efficace e non produce qualche mutazione di vita. Onde piuttosto di confessarci senza questo proponimento è meglio non andarci. Ma io {97 [241]} posso assicurarvi che se voi andate a confessarvi con buona volontà, e metterete in pratica gli avvisi del confessore, e se corrisponderete alla grazia che Iddio per certo non mancherà di comunicare all'anima vostra, voi non cadrete più in peccato. Che se mai non ostante ogni vostra precauzione ci cadeste nuovamente, sarebbe una pura disgrazia, cui voi potreste riparare tornandovi a confessare.
A. Ma non è meglio aspettare in fine della vita? Allora non c'è più pericolo di ricadere.
C. Quando sarà il fine di vostra vita?
A. Io non so; ma certamente verrà.
C. Certamente verrà; nol sapete, e nemmeno io lo so. Ma ditemi ancora: siete certo di aver tempo di confessarvi e comunicarvi in fine della vita?
A. Io lo spero.
C. Questa vostra speranza corre gravissimo rischio di esser delusa per mancanza di tempo. Il Signore dice a tutti: facciamo il bene mentre abbiamo tempo: Operemur bonum dum tempus habemus (Ad Gal. 10). Ci dice di conservare scrupolosamente il tempo: Fili, conserva tempus (Eccl. 4); perchè verrà l'ora che tu chiederai tempo, e Dio ti risponderà: {98 [242]} per te non v'è più tempo: tempus non erit amplius (Apoc. 13).
A. Ma lasciamo da parte il dubbio che manchi il tempo; supponiamo che Dio non voglia mandarmi all'altro mondo con morte improvvisa; quindi io venga ammalato, mi corichi nel mio letto; e chi m'impedisce di confessarmi e comunicarmi?
C. Per fare una buona confessione e una buona comunione bisogna che Dio vi conceda tempo per venire ammalato, tempo di una malattia alquanto lunga, che vi liberi da morte repentina ed improvvisa, che possiate farvi cescare un confessore; che questo confessore possa venire, e giunga ancora a tempo. Tutte queste cose sono indispensabili per fare allora una buona confessione. Chi vi assicura che Dio sia per concederle?
A. Supponiamo che il Signore le voglia concedere.
C. Anche supposto che il Signore voglia concedere tutte queste cose, ce ne mancano altre egualmente necessarie.
A. Quali sarebbero?
C. Oltre il tempo è necessaria la grazia. Senza questo aiuto della grazia di Dio noi non possiamo fare una buona confessione. {99 [243]} Da noi soli, cari amici, siamo nemmeno capaci di concepire un buon pensiero. Ogni cosa buona viene dal cielo: omne bonum desursum est, dice S. Giacomo (Ep. c. 1.) Tutte le grazie necessarie per la nostra eterna salute, il Signore ce le concede abbondantemente in tutto il corso di nostra vita mortale; ma non ci assicura di aspettarci in punto di morte. Altronde è certo che chi abusa della divina misericordia è indegno della divina misericordia, e si rende certamente indegno dei divini favori chi ne abusa finchè sta bene, aspettando poi di potersene approfittare in punto di morte.
Infatti la Bibbia ci racconta come il Re Antioco sul finire della vita voleva pentirsi e prometteva ravvedimento; ma l'enorme abuso faito in vita delle grazie di Dio, lo rese indegno dei divini favori e morì disperato. Il Salvatore ci avvisa colla similitudine dell'albero infruttuoso. Aspettò che facesse frutto, e non avendone fatto, il giardiniere non ammise più alcuna dilazione. Pose la scure alla radice, lo tagliò, lo spezzò, lo consegnò alle flamine. Vera immagine di ciò che fa Iddio verso di chi aspetta a convertirsi in punto di morte.
Perciò coloro che differiscono la loro {100 [244]} conversione in fine della vita hanno già gravissimi motivi di temere che si compiano in loro le minacce che Iddio fa a quelli che differiscono la conversione. Allora invocherai il mio aiuto, egli dice, ed io mi riderò di te. Invocabis me, et ego ridebo et subsannabo. (Proverb. 1.) Mi cercherete e non mi troverete, e morirete nel vostro peccato. Quoeretis me et non invenietis, et in peccato vestro moriemini. (Joan. 7.) E sarà quello il momento che il desiderio dei peccatori perirà. Desiderium peccatorum peribit. (Salm. 111.)
A. Adagio, sig. Curato, voi ci spaventate tutti con queste minacce; parmi che voi mettiate l'uomo alla disperazione, quasi che il Signore gli voglia negare la grazia, quand'anche la chiami: mentre si dice che fintantochè c'è fiato c'è vita.
C. Non voglio spaventarvi, ma solo esporvi una grande verità. Non dico che il Signore nieghi la grazia all'uomo mentre è in vita: io voglio solamente dire che l'abuso fatto della misericordia e della grazia di Dio, il tempo mal impiegato, o impiegato inutilmente, rendono l'uomo indegno di quei segnalati favori che in questi ultimi momenti sono indispensabili per fare una buona confessione. {101 [245]}
A. Ma facciamo Iddio più buono e supponiamo che egli ci doni tempo e grazia, come possiamo sperare dalla sua infinita bontà. Che cosa ci manca per fare una buona Confessione con una buona Comunione e morir santamente?
C. Le supposizioni che fate voi, caro Andrea, hanno già condotto, e conducono pur troppo tuttodì molti all'eterna dannazione. Ritenete essere cosa incertissima che il Signore doni tempo e grazia nei modo cho dite voi, ma supponendo ancora che Egli conceda l'uno e l'altra, pensate voi che nulla più ci manchi?
A. Parmi che sì.
C. Parmi di no. Per fare una buona confessione è necessario il tempo e la grazia, e queste due condizioni vengono dal Signore; ma è indispensabile una buona volontà dal canto nostro. La grazia di Dio è simile alla pioggia che cade nel campo. Il campo è il nostro cuore, il coltivatore del campo siamo noi medesimi. Siccome torna inutile la pioggia, ove il campo non sia coltivato, così rimane senza frutto la grazia di Dio ove noi non ci adopriamo di coltivarla nel nostro cuore con una volontà ferma e risoluta.
A. Ma questa buona volontà v'è certamente. {102 [246]}
C. Ma io temo grandemente che non ci sia.
A. Chi può saper questo?
C. L'esperienza ci ammaestra abbastanza intorno a quanto io vi dico. Se volete sapere qual conto si debba fare di questa buona volontà, cioè in qual conto si debbano tenere le confessioni fatte in punto di morte, osservate qual cangiamento succede in quelli che guariscono.
G. Sig. Curato, avete ragione. Io conosco molti che si confessarono in punto di morte; e in quel momento pareva che si volessero fare tutti santi. Guariti dalla malattia ritornarono a parlare, fare, trattare come prima.
A. Questo dimostra l'instabilità della mente umana.
C. Questo dimostra che la conversione non era sincera. Noi dobbiamo giudicare della bontà dell'albero dalla bontà dei frutti; ex fructibus eorum cognoscetis eos, dice il Salvatore. (Matt. 7.) E se, la loro confessione produsse niun frutto, havvi non leggero motivo di temere che la confessione sia stata mal fatta.
A. Se la buona volontà può tutto, perchè non potrà anche in quegli ultimi momenti confessarsi bene?
C. Che sia possibile confessarsi bene anche {103 [247]} in punto di morte, ve lo concedo, ma che ciò accada ordinariamente, ve lo nego, eccetto che vogliate dire, che colui il quale non può portare un peso quando è sano e robusto, vogliate supporlo capace di portarlo quando è sfinito di forze ed oppresso da grave malattia.
A. Io non dirò mai questo.
C. Ora applicate da voi medesimo la similitudine alla coscienza dell'uomo gravemente infermo. Di fatto ditemi in grazia vostra, come può essere che un uomo sempre stato alieno da Dio, od almeno, non curante di lui, e de' Sacramenti in tutta la sua vita, possa poi ad un tratto, colle facoltà sue intellettuali così sfinite come io saranno in quel punto, rivolgersi totalmente a lui, ricevere colle debite disposizioni i Sacramenti, cioè abborrire il peccato sempre avuto così caro, abbracciare di tutto cuore la virtù fin allora quasi sconosciuta, e ciò tutto per principio d' amore? Gli esempi che riscontriamo nelle sacre scritture sono terribili. Al Re Saulle ed al Re Salomone mancò forse tempo o grazia per convertirsi?
A. Costoro ebbero ambidue e tempo e grazia; anzi ottennero da Dio favori straordinari. {104 [248]}
C. È vero; perciocchè furono scelti in mezzo al popolo per ordine di Dio, consacrati Re per ordine di Dio; furono Re assai lungo tempo, e ricolmi da Dio di grandi benedizioni. Pure a che fine furono condotti?
A. Oh! è vero! l'uno finì con darsi volontariamente la morte, l'altro non so che fine abbia fatto.
C. L'altro, cioè Salomone, cadde in gravissimi disordini fino a piegare il ginocchio ed offrire incenso alle false divinità, e morì in tale stato da lasciar gravissimo dubbio sulla sua eterna salvezza. Ora ditemi che cosa mancò a questi due Re per fare una buona morte?
A. Io non saprei dirlo bene.
C. Ve lo dirò io: loro mancò la buona volontà. Sono questi due terribili esempi che devono spaventare coloro che differiscono la loro conversione. Credetemi, egli è un fatto provato dall'esperienza di tutti i tempi che qualis vita, finis ita. Come si vive, si muore. Posto anche e tempo e grazia, nondimeno il male, i rimorsi del passato e del presente, l'abuso fatto della grazia di Dio, il demonio, che habens iram magnam (Apoc. 12.), farà ogni sforzo per farci continuare nel male, e quindi farci morire in peccato, queste cose opprimono {105 [249]} talmente l’infermo, gli perturbano in guisa l'intelletto, e accecano così la volontà, che l'uomo non vede più altro se non uno spaventevole avvenire, che lo fa esclamare: così, morte crudele, mi separi dal mondo! Siccine separas, amara mors! (1, Reg. 15.)
A. Che non ci sia almeno almeno qualche esempio di uomini che siansi convertiti in fine della vita e siansi salvati?
C. Sì, in tutta la storia della Sacra Bibbia no abbiamo uno, ma è solo: è quello del buon ladrone. Nello spazio di quattro mila anni, di tutti quelli che si convertirono in punto di morte, sappiamo di un solo che siasi davvero convertito e siasi salvato. E voi ben sapete in qual momento egli sia morto, e da chi sia stato confortato. Egli morì in un momento che il Salvatore dava la vita, e spargeva il suo sangue per salvare tutto il genere umano; in un momento che la bontà e la misericordia Divina toccava il grado supremo; in quell'ultimo momento uno dei due ladroni commosso e pentito si volse al moribondo Gesù dicendo: «abbi di me pietà.» Il Salvatore vedendo il pentimento di lui rispose: «oggi sarai meco in Paradiso.» (Luc. 23.) A questo proposito S. Agostino dice {106 [250]} che Iddio ha voluto che nella Sacra Bibbia fosse registrato il fatto di un solo affinchè l'uomo non disperi della misericordia divina, un solo affinchè niuno si lusinghi a differire la sua conversione in fine della vita.
Del resto, miei cari, di tutti quelli che sono all'inferno posso assicurarvi che niuno voleva dannarsi, tutti avevano volontà di convertirsi prima di morire, ed intanto o sia loro mancata la grazia, o sia mancato il tempo, fatto sta che la loro volontà rimase inefficace ed ora sono dannati eternamente; e dal mezzo di quelle fiamme vanno gridando: - oh se ci fosse dato un po' di tempo per riconciliarci con Dio! Oh si daretur hora! - Ma loro si risponde per tutta l'eternità: «non vi è più tempo: tempus non erit amplius.»
Amici, seguite il mio consiglio: se volete assicurare la vostra eterna salvezza, non differite di approfittare dei mezzi di salvezza stabiliti nel Sacramento della Confessione e Comunione; non differite la conversione. Si muore una volta sola, e dal morire bene o male dipende l'essere eternamente beato o eternamente dannato, e chi oggi non è preparato a morir bene, corre grave rischio di morir male. {107 [251]}
XIII. Esempio.
C. Voglio terminare questa nostra conversazione con un fatto riguardante ad un personaggio amato e pregiato da tutti i buoni: egli è Silvio Pellico. Quest'uomo, conosciuto in tutta l'Europa pe' suoi scritti e per la sua pietà, nelle dure vicende della sua vita trovò sempre il suo conforto nella Confessione. Accadde che per affari politici egli fosse relegato a Spilbergo, che è una fortezza spaventosa dell'impero austriaco. Colà separato dagli amici, oppresso dalla sventura, quel grande ingegno pensa che è cristiano, che è cattolico, che c'è la confessione, e appunto nella confessione trova un conforto a' suoi mali. Ascoltato come egli prende a parlare del suo confessore e della confessione nel prezioso suo libro intitolato Le mie prigioni, capo 78.
«A principio, per dir vero, io diffidava di lui (del confessore), io mi aspettava di vederlo volgere la finezza del suo ingegno ad indagini sconvenienti. In un prigioniero di Stato simile diffidenza è pur troppo {108 [252]} naturale; ma, oh quanto si resta sollevato allorchè svanisce, allorchè si scopre nell'interprete di Dio niun altro zelo che quello della causa di Dio e dell'umanità!
«Egli aveva un modo a lui particolare ed efficacissimo di dar consolazioni. Io mi accusava, per esempio, di fremiti d'ira pei rigori della nostra carceraria disciplina. Ei moralizzava alquanto sulla virtù di soffrir con serenità e perdonando. Poi passava a dipingere con vivissima rappresentazione le miserie delle condizioni diverse della vita. Aveva molto vissuto in città ed in campagna, conosciuto grandi e piccoli, e meditato sulle umane ingiustizie; sapeva descrivere bene le passioni ed i costumi delle varie classi sociali. Dappertutto ei mi mostrava forti e deboli, calpestanti e calpestati; dappertutto la necessità di odiare i nostri simili, o di amarli per generosa indulgenza e per compassione. I casi che ei raccontava per rammemorarmi l'universalità della sventura, ed i buoni effetti che si possono trarre da questa, nulla aveano di singolare, erano anzi affatto ovvii; ma diceagli con parole così giuste, così potenti, che mi facevano fortemente sentire la deduzione da ricavarne.
«Ah sì! ogni volta che io aveva udito {109 [253]} quegli amorevoli rimproveri e que' nobili consigli, io ardeva d'amore della virtù, io non aborriva più alcuno, io avrei data la vita pel minimo de' miei simili, io benediceva Dio d'avermi fitto uomo.
«Ah! infelice chi ignora la sublimità della confessione! infelice chi per non parer volgare si crede obbligato di guardarla con ischerno. Non è vero che ognuno sapendo già che bisogna esser buono, sia inutile di sentirselo a dire; che bastino le proprie riflessioni ed opportune letture; no! la favella viva d'un uomo ha una possanza, che nè le letture nè le proprie riflessioni non hanno! l'anima ne è più scossa; le impressioni, che vi si fanno, sono più profonde. Nel fratello che parla, v'è una vita ed un'opportunità che sovente indarno si cercherebbero nei libri e nei nostri propri pensieri.»
Fin qui Silvio Pellico.
Nè alcuno pensi che quel grande ingegno, uscito di prigione, cangiasse modo di parlare o di operare. Conobbe il gran bene che è la confessione e la raccomandò e la praticò con assiduità in tutto il corso del viver suo. In una lettera ad un sacerdote suo amico, fra le altre {110 [254]} cose diceva: «V. S. si occupa molto «della gioventù e fa bene. Ne avrà «merito dinanzi a Dio e dinanzi agli uomini «onesti della società. Ma ritenga che i «mezzi più efficaci per infondere nei «cuori cristiani la virtù sono la «confessione e comunione. Ella riporterà «copioso frutto delle sue fatiche, se si «adoprerà di far amare e praticare «questi due mezzi di salvezza. L'assicuro «che se mai non fossi nato cattolico, «il solo bene che riconosco nella «confessione sarebbe per me motivo «sufficiente per divenirlo quando anche «non vi l'osse altro motivo. Oh «fortunati quei popoli tra cui si pratica la «confessione; fortunati quei giovinetti «che cominciano a praticarla nella «prima loro età!»
Nell'ultima sua malattia, che fatalmente il tolse di vita l'anno scorso (1854), i suoi conforti furono la contusione e comunione. Munito di questi due Sacramenti, soffrì il suo male da forte e fermo nelle promesse del Signore col riso sulle labbra spirò l'anima nel bacio del Signore dicendo: Mio Dio ... mio Salvatore ... gran Vergine Maria ... fate che io vi ami ora ed in eterno. {111 [255]}
A. Signor Curato; le ragioni da voi addotte in conferma dell'istituzione divina della confessione, e dei grandi vantaggi, che da questa se ne ricavano, mi hanno, vel'assicuro, pienamente convinto; anzi il mio cuore fin d'ora è deciso di volerne approfittare. Ringrazierò sempre la divina Bontà per tanto beneficio concesso agli uomini e ringrazierò pur sempre voi, signor Curato, per la pazienza usata verso di me insanendomi e cavandomi fuori dagli errori, che offuscavano la mia mente. Gridi pur chi vuole contro la confessione, che io dirò ancora, che così si grida per non lasciare il peccato, e per sopprimere il rimorso della coscienza.
C. Ogni ringraziamento sia al sommo Dio Datore d'ogni bene, e padre dei lumi, a cui fia onore e gloria per tutti i secoli. Il Signore vi benedica tutti, miei cari, buona notte a tutti. Addio.
Appendice sol libro intitolato: La Confessione saggio dogmatico storico.
È un fatto che i protestanti non possono fare preda fra i cattolici senza prima allontanarli dalla pratica della confessione. Perciò in ogni tempo si adoperarono e si adoperano {112 [256]} tuttora accanitamente per combatterla. Tra quelli che in questi ultimi tempi si segnalarono nello scrivere e predicare contro la confessione fu Luigi Desanctis sacerdote romano. In giovanile età egli erasi iniziato nella via ecclesiastica; poi abbracciò lo stato religioso e visse alcuni anni tra i crociferi o Ministri degl’Infermi. In quest'Ordine ottenne di essere fatto parroco di una chiesa di Roma. Erasi già segnalato in alcune opere di zelo, quando gli saltò il grillo di passare allo stato matrimoniale.
Ciò era incompatibile coi voti solenni che aveva fatto e collo stato sacerdotale. Cominciò a manifestare principii anticattolici. Fu avvisato, minacciato; egli divenne ostinato. Doveva essere sospeso dal sacro ministero quando egli troncando ogni indugio, si ribellò a quella religione che da lunga serie d'anni professava e predicava. Un abisso chiama un altro abisso; e una cosa ottima quando si corrompe diviene pessima. Il Desanctis non è più cattolico, abbandona lo stato sacerdotale, si ammoglia con una giovine protestante e diviene egli stesso protestante.
Non contento del protestantismo si la valdese e riesce a divenire ministro di Pietro Valdo. Così colui che non volle ubbidire {113 [257]} al Papa che lo trattava da padre, è costretto di soggettarsi a novelli superiori che lo fanno loro schiavo e lo avviliscono in tutte guise e finiscono col licenziarlo dalla loro comunione e scomunicarlo con modi così indegni, che tali, come dice egli stesso, non gli furono mai usati dai cattolici. Licenziato così dai valdesi, egli cercasi un'altra religione e diviene evangelico, cioè s'unisce a quella setta che pretende di non ammettere altra credenza se non il vangelo puro, e interpretato come torna più a genio di ciascheduno. E poichè questa novella religione lo mise in relazione colla Società Evangelica italiana, che mi si assicura essere un vero massonismo, a questa si unì. Presentemente il Desanctis lavora per la Società Evangelica italiana, senza però sapere a quale Chiesa, a quale comunione di credenti appartenga.
All'epoca che egli passò al protestantismo, quando (se ciò si può dire) era tutto infervorato per la novella religione, scrisse il famoso libro intitolato Saggio Dogmatico Storico intorno alla confessione. Quest'operetta che in tutto è un fascicolo di 115 paginette, racchiude tutti gli spropositi che gli increduli e gli eretici dissero contro alla confessione. Io l'ho voluto leggere attentamente da capo {114 [258]} a fondo; e sebbene provassi orrore per le nefandità ivi inserite, volli nondimeno meditarla attentamente e confrontarla cogli autori ivi citati.
Io posso accertare il lettore cho qui non si scorge più nè ragione nè religione; è l'uomo in delirio che parla. Egli si paragona a S. Paolo; rigetta l'autorità di tutti i Padri, e pretende di seguire la religione dei Padri. Da G. C. fino alla pubblicazione, del suo libro niuno intese il vangelo fuori di lui; pare anzi, secondo lui, che quasi nemmeno G. C. l'abbia inteso a dovere. Tutti i papi, tutti i concilii, tutti i vescovi, tutti i preti confrontati con lui sono altrettanti bamboli che sanno nemmeno l'abicì delle scienze. Io credo che tra tutti quelli che l'inferno eccitò contro alla S. Chiesa di G. C., niuno ve ne sia che abbia scritto più empiamente e più scelleratamente. Nè ciò deve fare maraviglia, perchè, come dissi, la corruzione di una cosa ottima diventa pessima. Noto però che l'autore non ha niente di nuovo; perciò tutti gli errori ivi contenuti sono già stati le mille volte confutati. Egli nulla risponde alle ragioni altrui, che gli turerebbono la bocca, ma rivanga quanto da altri fu detto contro alla confessione e del suo aggiunge solo {115 [259]} parole vili e dispregevoli intorno alle cose più venerande, e specialmente contro alla sacramental confessione. E poichè valenti scrittori hanno già eziandio confutato ad uno ad uno gli errori che egli seppe accumulare nel suo libretto, così io nel decorso di queste conversazioni ho procurato solo di esporre e provare la verità che egli si sforza di abbattere. La qual cosa mentre prova e conferma la dottrina cattolica serve a far conoscere l'errore e la calunnia, e porgere al cristiano quei lumi e quegli avvisi necessari per guardarsi bene dal veleno sparso in quel libro. Laonde non mi fermo a far rilevare quell'astio infernale che in ogni pagina si manifesta contro alla Chiesa Cattolica, nè il modo indegno con cui conculca e profana le cose più sante della religione; io voglio limitarmi ad accennare alcune delle molte contraddizioni ivi contenute; perciocchè la contraddizione essendo un segno positivo dell'errore, ciò provato si comprenderà che quel libro è un impasto di spropositi destinati a lusingare gli incauti, e ad ingannare gli ignoranti. - Ecco adunque alcune contraddizioni che si leggono nel libro intitolato La Confessione, Saggia Dogmatico Storico.
1o Egli vuole che ciascuno sia libero {116 [260]} nella interpretazione del vangelo, ma pretende che ciascuno debba seguire i suoi detti come norma infallibile.
2° Egli nega l'autorità dei Padri della Chiesa, e tutto ciò che egli nega o ammette si sforza di appoggiarlo sull'autorità di questi santi Padri.
3° Rigetta la confessione praticata nella Chiesa cattolica e intanto fa sperticati elogi alla confessione praticata dai protestanti.
4° Dice che la confessione è stata invenzione di Innocenzo III, e altrove dice che la confessione è stata introdotta da S. Benedetto, cioè sei secoli prima di Papa Innocenzo III.
5° Dice che la pratica della confessione nacque dodici secoli dopo gli Apostoli, cioè nel Concilio Lateranese quarto; e la stessa pratica la pone poi come introdotta dai vescovi provenienti da ordini monastici nei secoli sesto, settimo e ottavo, cioè molti secoli innanzi al Concilio Lateranese quarto.
6o Egli dice che la confessione fu inventata da S. Benedetto, nel secolo sesto, e poi dice che la confessione fu condannata da Nettario vescovo di Costantinopoli nel secolo quarto; di maniera che la confessione sarebbe stata condannata due secoli prima che esistesse. {117 [261]}
7° Dice che la confessione è stata in uso da S. Benedetto solo presso a' suoi monaci nel secolo sesto, e poi dice che la stessa confessione fu messa in uso ai tempi dell'imperatore Decio nel secolo terzo.
8° Dice che la confessione fu dai preti introdotta nel popolo per dominarlo nel secolo sesto, settimo e ottavo; e poi dice che la stessa confessione fu introdotta presso al popolo all'epoca dei Novaziani nel secolo terzo.
9° Disapprova la confessione perchè conduce all'immoralità e raccomanda quella dei protestanti, che egli medesimo conviene non essere un sacramento, nè avere un sigillo sacramentale.
10° Protesta che egli non vuole nè protestantismo, nè luteranismo, nè calvinismo, ma che vuole condurre gli italiani al puro vangelo. Intanto si sforza di condurre al protestantismo e diviene egli stesso ministro protestante nella città di Torino.
11o Nega la tradizione, e intanto più di due terzi del suo libro non contengono che cose tradizionali.
Oltre a queste e moltissime altre contraddizioni sparse in quel libro, vi si incontrano eziandio cose che non si possono attribuire se non ad ignoranza crassa o a mala fede, per esempio: {118 [262]}
1o Egli dice che le parole dette dal Salvatore: quorum remiseritis etc. con cui conferì il potere di rimettere i peccati, sono indirizzate alla turba dei fedeli; perciò secondo lui, uomini, donne, giovani e fanciulli sarebbero tutti egualmente confessori. Mentre il contesto del Vangelo, il medesimo senso letterale, l'interpretazione universale e costante di tutti i secoli riferiscono quelle parole ai soli Apostoli; siccome convengono i più dotti tra i protestanti (Vedi Rosenmullere e Kuinoel).
Di più egli passa sotto silenzio tutto quello che in questo luogo potrebbe fare contro di lui.
2° Per combattere la confessione egli dice che il Salvatore non ha mai confessato, senza badare che il Salvatore come Dio onnipotente e sapiente conosceva ogni segreta azione, ogni pensiero, epperciò poteva conoscere quelli che erano o non erano pentiti e dire come difatti diceva ai peccatori: remittuntur tibi peccata tua, vade in pace.
3° Fa dire a S. Tommaso e al Bellarmino cose che eglino non hanno mai immaginato nè di dire nè di scrivere.
4° Dice che S. Cipriano e S. Agostino morirono scomunicati senza confessarsi. {119 [263]} Dove egli abbia imparato questo fatto egli solo lo sa; niuno scrittore ecclesiastico ha mai fatto menzione di tale impenitenza finale di S. Agostino e di S. Cipriano.
5° Egli dice che S. Benedetto introdusse la confessione tra suoi monaci nel secolo sesto, ed egli come prete avrebbe certa mente dovuto sapere che due secoli prima S. Basilio aveva già introdotto quest'uso tra le religiose, in maniera che queste dovevano propriamente confessarsi ad un prete; e S. Basilio dà le regole come ciò abbiasi a praticare.
6° Egli cita molti santi Padri, tra cui S. Basilio, S. Giovanni Grisostomo, S. Ambrogio, S. Agostino, e si sforza di combattere la confessione coll'autorità di questi santi Dottori, mentre siamo fatti certi dalla storia ecclesiastica e dagli scritti dei medesimi Padri come essi fossero molto assidui e zelanti nell'assistere alle confessioni e raccomandassero caldamente ai cristiani di non trascurare la frequenza di questo Sacramento.
7° Accusa la chiesa cattolica perchè proibisce la lettura della Bibbia, e questa è una calunnia; perciocchè non fu mai nè Papa, nè Santo Padre, nè Concilio, da cui siasi fatta tal proibizione. Anzi la Chiesa {120 [264]} Cattolica raccomandò mai sempre la lettura della Bibbia e particolarmente del Vangelo. Egli poi come prete cattolico avrebbe dovuto sapere come la Chiesa Cattolica raccomandi egualmente la lettura e la predicazione del Vangelo, Non minus est necessaria praedicatio evangelii, quam lectio. Canc. T. sess. cap. 2.
Io potrei ancora addurre moltissimi passi che dimostrano le contraddizioni, la mala fede e l'ignoranza dell'autore. Ma basti quanto ho detto per far conoscere quanto sia infelice il cattolico che rinnega la propria religione; perciocchè l'intelletto dell'apostata diventa così oscurato e il cuore di lui così indurito, che o non più conosce o non vuole più conoscere la verità. La qual cosa mi riesce in parlicolar maniera dolorosa in questo caso; perciocchè da alcune, corrispondenze e da alcuni colloqui che taluno ebbe col Desanctis, mi risulta positivamente che non per motivi religiosi egli abbandonò il cattolicismo, e che per motivi affatto estranei alla religione continua a vivere nell'attuale sistema di credenza.
Chi desiderasse una confutazione più copiosa del libro del Desanctis potrebbe leggere l'opera del monaco Belli fiorentino, quella del T. Negri torinese, quella del {121 [265]} parroco Casaccia biellese. Il protestantismo e la regola di fede; il catechismo intorno alla Chiesa cattolica. Lezione XII del P. Perrone.
Alcuni detti proferiti da celebri protestanti intorno alla confessione.
I protestanti sul principio della loro separazione dalla Chiesa Cattolica ammettevano e praticavano la confessione. Più tardi, quando fu commesso a ciascuno di spiegare la Bibbia ad arbitrio, alcuni ammisero la confessione, altri la negarono. Però i più dotti protestanti convennero sempre sulla necessità della medesima.
Lutero stesso nel suo piccolo catechismo dice: «Noi dobbiamo palesare al confessore i «peccati che conosciamo e sentiamo nel «nostro cuore.» In altro luogo dice: «Io sarei già stato da lungo tempo «strangolato, se non fossi stato sostenuto dalla «confessione.»
L'inglese protestante William fa elogio di molte pratiche cattoliche; venendo poi a parlare della confessione si esprime cosi: «Egli è impossibile di stabilire la virtù, «la giustizia e la morale sopra basi «alquanto {122 [266]} solide (tant soit peu solides) senza «il tribunale della penitenza.»
(Lord Fitz William, Lettres Attiens.)
Andrevo vescovo protestante dice: «è chiaro, che la confessione fatta solamente a Dio non può bastare dopo la istituzione di Gesù Cristo.»
Il famoso medico Tissot, protestante, aveva notato che gli ammalati cattolici dopo essersi confessati mostravano in mezzo ai loro dolori una serenità ed una rassegnazione dolce e paziente che aiutava molto all'efficacia dei rimedi, pel che andava er sclamando: quanto mai è grande la potenza della confessione presso ai cattolici!
Nell'anno 1839 un ministro protestante in una riunione di uomini dotti, essendosi venuto a parlare della confessione, non potè a meno di rendere questa testimonianza a favore del cattolicismo: «Mi sembra che basti entrare in se stesso per comprendere come la Chiesa Romana oltre alle grazie di cui è depositaria, oltre la sua divina autorità, ella trovi eziandio grandi conforti pei bisogni più segreti dell'anima nostra. Chi non rimira con occhio d'invidia il tribunale di penitenza? Chi, nell'amarezza del rimorso, e nell'incertezza del {123 [267]} perdono divino, chi non desidererebbe di udire una bocca, che colla potenza di G. C. gli possa dire: va in pace: i tuoi peccati sono perdonati!»
(Thèse de M. Naville ministre prot.).
Si può dire che i più dotti protestanti d'oggidì approvano la confessione siccome è praticata presso ai cattolici. Valga per tutti la testimonianza di due soli: Montagne vescovo protestante lasciò scritto: «È riconosciuto che tutti i sacerdoti, ed i soli sacerdoti, hanno potere di rimettere i peccati, e che la confessione auriculare fatta ad un sacerdote è una pratica molto antica nella Chiesa.»
L'altra autorità è del vescovo protestante Sparow: «La nostra confessione, egli dice, deve essere integra et perfecta e non finta. Noi dobbiamo confessare tutti i nostri peccati. Il cielo aspetta la sentenza del sacerdote: e il Signore o lega o scioglie ciò che il suo ministro ha legato o sciolto sopra la terra.» A questi due unisconsi parecchi altri insigni dottori protestanti moderni.
Che più? la stessa liturgia anglicana generalmente seguita da tutti i pastori protestanti raccomanda la confessione soprattutto in punto di morte. Eccone le precise {124 [268]} parole: «Se l'ammalato sentesi la coscienza aggravata di qualche grave peccato sarà esortato a fare la confessione particolare dei suoi peccati. Dopo la confessione il prete gli darà l'assoluzione in questa maniera, purchè egli la dimandi con umiltà e con vero pentimento: Il nostro Signor Gesù Cristo che ha fato alla sua Chiesa la facoltà di assolvere tutti i peccatori, che sono veramente pentiti, e che credono in lui, ti voglia perdonare i tuoi peccati per la sua infinita misericordia. Ed io in virtù dell'autorità datami da lui, ti assolvo da tutti i tuoi peccati, nel nome del Padre, e del Figliuolo, e dello Spirito Santo. Così sia.»
(V. Lit. Angl. Rub).
Alle accennate autorità de' protestanti se ne potrebbe aggiugnere una lunga serie di uomini increduli, i quali nei chiari intervalli della loro mente riconobbero la santità, l'utilità, e la divina istituzione della confessione. Per non eccedere i limiti della brevità richiesta da questi libretti, arrecheremo l'autorità di due dotti increduli, che si potrebbero chiamare i più empi degli uomini: Gian Giacomo Rousseau e Voltaire.
Gian Giacomo Rousseau, uomo senza fede e senza legge, parlando della confessione {125 [269]} disse: «Quante restituzioni, quante riconciliazioni non ha ella mai fatto fare la confessione presso ai cattolici!»
Voltaire in più cose peggiore di Rousseau e gran dispregiatore di ogni cosa sacra, tuttavia non poteva a meno di lodare la confessione sacramentale. Voleva che i suoi servitori andassero regolarmente a confessarsi, e preferiva di trattare con quelli che frequentavano la confessione. «La confessione, egli diceva, può considerarsi come il più gran freno de' delitti segreti.» Altrove diceva: «la Confessione è cosa eccellentissima, è un freno alla colpa. Nella più rimota antichità regnava l'uso di confessarsi nella celebrazione di tutti gli antichi misteri. Noi abbiamo imitato e santificato quella savia costumanza, ella è ottima per condurre i cuori ulcerati da odio al perdono. - (V. Encycl. T. 3).
Egli medesimo in punto di morte non potè acquetar i suoi rimorsi senza dimandare la confessione. Potè cominciarla, ma ingannato dai suoi amici non potè terminarla e dovette morire tra i rimorsi e la disperazione. - (Baruel Storia del Giac.).
Sopra la testimonianza di Voltaire intorno la confessione, Silvio Pellico ragiona così; {126 [270]}
«Ciò di che Voltaire osa qui convenire, sarebbe vergogna che non fosse sentito da chi si onora di essere cristiano. Porgiamo ascolto alla coscienza, arrossiamo delle azioni che ci rimprovera, confessiamole per purificarci, e non cessiamo da questo santo lavacro sino alla fine dei nostri di. Sì, pentirci dei nostri fatti! la nostra vita debb'essere tutta di pentimento e d'aspirazione ad emendarci. Se al pentimento va congiunto un verace desiderio di ammenda, rida chi vuole, ma nulla vi può essere di più salutare, più sublime, più degno dell'uomo.»
(Doveri degli uomini cap. 17).
La mia anima avverte fragori di tempeste
Beata Alexandrina Maria da Costa
... Sono varie le mie sofferenze. In alcune ore il mio spirito vaga
per gli spazi sempre immerso in tenebre spaventose, senza incontrare
luogo alcuno in cui riposare un po'. Voglio salire, voglio salire,
giungere al Cielo; ma non lo vedo, non lo incontro: ora non esiste. Non
vi sono là né Gesù né Mammina; non sentono il grido che Li chiama, non
vedono le ansie ed il martirio di questo povero spirito. O mio Dio,
tutto perduto.
- O Gesù, perché tanto soffrire? Non vi è il Cielo, non vi sono anime
da salvare; tutto cessò di esistere. O Gesù, sono sempre la tua
vittima, credo nella tua esistenza; credo nel Cielo ove Tu stai e che
mi aspetta per amarti e goderti. - ... Tristi ore, tristi giorni del
mio vivere... Ore terribili di grande confusione... La mia anima
avverte fragori di tempeste... ... Mio Dio, che distruzione! Davanti a
me una spaventosa montagna: non posso salire lassù, né posso
retrocedere nemmeno di un passo. Di colpo mi sentii in ginocchio, con
gli occhi rivolti verso l'alto e invocai i nomi di Gesù e di Mammina.
Gridai forte dall'intimo della mia anima ma il mio grido non salì
lassù: si disperdeva tra le rocce della montagna, si inzuppava nel mio
sangue e nelle mie carni lacerate dalle spine, per morire lì con me.
... II demonio non mi tormenta con i suoi assalti, ma con raggiri e
parole scandalose. Viene presso di me come per aggredirmi, ma non mi
tocca. Mi minaccia dicendomi: - Devo distruggere il tuo corpo. - E
aggiunge molti atteggiamenti turpi. - Pecchi come vuoi e quando vuoi. -
Fingendosi molto soddisfatto, batte le mani, danza e sghignazza. -
Guarda: d. Umberto ed il medico non ritornano più qui; ti hanno
abbandonata; ti credevano una innocente e invece sei... - (e mi dice
ciò che vi è di peggiore). Con altre sghignazzate aggiunge: - Hanno
proibito ad essi di venire qui. - Mio Gesù, il padre della menzogna non
mi abbandona. È nemico mio, ma anche tuo. Ho bisogno di chi mi
sostenga. Dammi coraggio. Non mi lasciar peccare. Sono poverissima,
dammi la tua ricchezza; sono all'oscuro, dammi la tua luce. Sono tua,
Gesù, sono delle anime. - (diario, 14-11-1944).
Nuovi assalti del demonio: questa notte venne con tutto il furore... -
Distruggerò il tuo corpo. Puoi vivere di piacere come vivi di amore.
Peccare è molto meglio. Ti trascinerò al piacere. - E poi,
sghignazzando: - Vedi? D. Umberto ed il medico non ritornano più qui:
ne hanno avuto la proibizione. - E aggiungeva titoli sporchi.
Il demonio, qualche volta, dice la verità. Già da alcuni giorni avevo
avuto il presentimento che a d. Umberto era stato proibito di venire da
me...
La lotta contro il maledetto si protrasse per molto tempo... Rimasi
sfinita per tanto lottare. ... Il mattino seguente, alcune ore dopo la
Comunione, nel vedere i miei a consumare cibi che mi piacevano sentii
nostalgie quasi insopportabili di alimentarmi. Ma restai in silenzio
offrendo a Gesù il sacrificio e le nostalgie per il cibo per coloro che
hanno soltanto brame per il peccato e si alimentano di cose che
offendono Gesù.