Sotto il Tuo Manto

Giovedi, 26 giugno 2025 - San Rodolfo (Letture di oggi)

Queste parole: Se anche Dio mi uccidesse, io spererei in lui (Giob. 13, 15), mi hanno rapita fin da bambina. Però ho passato tanto tempo prima di stabilirmi in questo grado di abbandono. Ora ci sono! Dio misericordioso mi ha preso tra le braccia e mi ha posta là . (Santa Teresina di Lisieux)

Liturgia delle Ore - Letture

Venerdi della 33° settimana del tempo ordinario

Per questa Liturgia delle Ore è disponibile sia la versione del tempo corrente che quella dedicata alla memoria di un Santo. Per cambiare versione, clicca su questo collegamento.
Questa sezione contiene delle letture scelte a caso, provenienti dalle varie sezioni del sito (Sacra Bibbia e la sezione Biblioteca Cristiana), mentre l'ultimo tab Apparizioni, contiene messaggi di apparizioni a mistici o loro scritti. Sono presenti testi della Valtorta, Luisa Piccarreta, don Stefano Gobbi e testimonianze di apparizioni mariane riconosciute.

Vangelo secondo Luca 3

1Nell'anno decimoquinto dell'impero di Tiberio Cesare, mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea, Erode tetrarca della Galilea, e Filippo, suo fratello, tetrarca dell'Iturèa e della Traconìtide, e Lisània tetrarca dell'Abilène,2sotto i sommi sacerdoti Anna e Caifa, la parola di Dio scese su Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto.3Ed egli percorse tutta la regione del Giordano, predicando un battesimo di conversione per il perdono dei peccati,4com'è scritto nel libro degli oracoli del profeta Isaia:

'Voce di uno che grida nel deserto:
Preparate la via del Signore,
raddrizzate' i suoi 'sentieri!'
5'Ogni burrone sia riempito,
ogni monte e ogni colle sia abbassato;
i passi tortuosi siano diritti;
i luoghi impervi spianati.'
6'Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio!'

7Diceva dunque alle folle che andavano a farsi battezzare da lui: "Razza di vipere, chi vi ha insegnato a sfuggire all'ira imminente?8Fate dunque opere degne della conversione e non cominciate a dire in voi stessi: Abbiamo Abramo per padre! Perché io vi dico che Dio può far nascere figli ad Abramo anche da queste pietre.9Anzi, la scure è già posta alla radice degli alberi; ogni albero che non porta buon frutto, sarà tagliato e buttato nel fuoco".
10Le folle lo interrogavano: "Che cosa dobbiamo fare?".11Rispondeva: "Chi ha due tuniche, ne dia una a chi non ne ha; e chi ha da mangiare, faccia altrettanto".12Vennero anche dei pubblicani a farsi battezzare, e gli chiesero: "Maestro, che dobbiamo fare?".13Ed egli disse loro: "Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato".14Lo interrogavano anche alcuni soldati: "E noi che dobbiamo fare?". Rispose: "Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno, contentatevi delle vostre paghe".15Poiché il popolo era in attesa e tutti si domandavano in cuor loro, riguardo a Giovanni, se non fosse lui il Cristo,16Giovanni rispose a tutti dicendo: "Io vi battezzo con acqua; ma viene uno che è più forte di me, al quale io non son degno di sciogliere neppure il legaccio dei sandali: costui vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco.17Egli ha in mano il ventilabro per ripulire la sua aia e per raccogliere il frumento nel granaio; ma la pula, la brucerà con fuoco inestinguibile".
18Con molte altre esortazioni annunziava al popolo la buona novella.

19Ma il tetrarca Erode, biasimato da lui a causa di Erodìade, moglie di suo fratello, e per tutte le scelleratezze che aveva commesso,20aggiunse alle altre anche questa: fece rinchiudere Giovanni in prigione.

21Quando tutto il popolo fu battezzato e mentre Gesù, ricevuto anche lui il battesimo, stava in preghiera, il cielo si aprì22e scese su di lui lo Spirito Santo in apparenza corporea, come di colomba, e vi fu una voce dal cielo: "Tu sei il mio figlio prediletto, in te mi sono compiaciuto".

23Gesù quando incominciò il suo ministero aveva circa trent'anni ed era figlio, come si credeva, di Giuseppe, figlio di Eli,24figlio di Mattàt, figlio di Levi, figlio di Melchi, figlio di Innài, figlio di Giuseppe,25figlio di Mattatìa, figlio di Amos, figlio di Naum, figlio di Esli, figlio di Naggài,26figlio di Maat, figlio di Mattatìa, figlio di Semèin, figlio di Iosek, figlio di Ioda,27figlio di Ioanan, figlio di Resa, figlio di Zorobabèle, figlio di Salatiel, figlio di Neri,28figlio di Melchi, figlio di Addi, figlio di Cosam, figlio di Elmadàm, figlio di Er,29figlio di Gesù, figlio di Elièzer, figlio di Iorim, figlio di Mattàt, figlio di Levi,30figlio di Simeone, figlio di Giuda, figlio di Giuseppe, figlio di Ionam, figlio di Eliacim,31figlio di Melèa, figlio di Menna, figlio di Mattatà, figlio di Natàm, figlio di Davide,32figlio di Iesse, figlio di Obed, figlio di Booz, figlio di Sala, figlio di Naàsson,33figlio di Aminadàb, figlio di Admin, figlio di Arni, figlio di Esrom, figlio di Fares, figlio di Giuda,34figlio di Giacobbe, figlio di Isacco, figlio di Abramo, figlio di Tare, figlio di Nacor,35figlio di Seruk, figlio di Ragau, figlio di Falek, figlio di Eber, figlio di Sala,36figlio di Cainam, figlio di Arfàcsad, figlio di Sem, figlio di Noè, figlio di Lamech,37figlio di Matusalemme, figlio di Enoch, figlio di Iaret, figlio di Malleèl, figlio di Cainam,38figlio di Enos, figlio di Set, figlio di Adamo, figlio di Dio.


Levitico 5

1Se una persona pecca perché nulla dichiara, benché abbia udito la formula di scongiuro e sia essa stessa testimone o abbia visto o sappia, sconterà la sua iniquità.2Oppure quando qualcuno, senza avvedersene, tocca una cosa immonda, come il cadavere d'una bestia o il cadavere d'un animale domestico o quello d'un rettile, rimarrà egli stesso immondo e colpevole.3Oppure quando, senza avvedersene, tocca una immondezza umana - una qualunque delle cose per le quali l'uomo diviene immondo - quando verrà a saperlo, sarà colpevole.4Oppure quando uno, senza badarvi, parlando con leggerezza, avrà giurato, con uno di quei giuramenti che gli uomini proferiscono alla leggera, di fare qualche cosa di male o di bene, se lo saprà, ne sarà colpevole.
5Quando uno dunque si sarà reso colpevole d'una di queste cose, confesserà il peccato commesso;6porterà al Signore, come riparazione della sua colpa per il peccato commesso, una femmina del bestiame minuto, pecora o capra, come sacrificio espiatorio; il sacerdote farà per lui il rito espiatorio per il suo peccato.
7Se non ha mezzi per procurarsi una pecora o una capra, porterà al Signore, come riparazione della sua colpa per il suo peccato, due tortore o due colombi: uno come sacrificio espiatorio, l'altro come olocausto.8Li porterà al sacerdote, il quale offrirà prima quello per l'espiazione: gli spaccherà la testa vicino alla nuca, ma senza staccarla;9poi spargerà il sangue del sacrificio per il peccato sopra la parete dell'altare e ne spremerà il resto alla base dell'altare. Questo è un sacrificio espiatorio.10Dell'altro uccello offrirà un olocausto, secondo le norme stabilite. Così il sacerdote farà per lui il rito espiatorio per il peccato che ha commesso e gli sarà perdonato.
11Ma se non ha mezzi per procurarsi due tortore o due colombi, porterà, come offerta per il peccato commesso, un decimo di 'efa' di fior di farina, come sacrificio espiatorio; non vi metterà né olio né incenso, perché è un sacrificio per il peccato.12Porterà la farina al sacerdote, che ne prenderà una manciata come memoriale, facendola bruciare sull'altare sopra le vittime consumate dal fuoco in onore del Signore. È un sacrificio espiatorio.13Così il sacerdote farà per lui il rito espiatorio per il peccato commesso in uno dei casi suddetti e gli sarà perdonato. Il resto sarà per il sacerdote, come nell'oblazione".
14Il Signore aggiunse a Mosè:15"Se qualcuno commetterà una mancanza e peccherà per errore riguardo a cose consacrate al Signore, porterà al Signore, in sacrificio di riparazione, un ariete senza difetto, preso dal gregge, che valuterai in sicli d'argento in base al siclo del santuario;16risarcirà il danno fatto al santuario, aggiungendovi un quinto, e lo darà al sacerdote, il quale farà per lui il rito espiatorio con l'ariete offerto come sacrificio di riparazione e gli sarà perdonato.17Quando uno peccherà facendo, senza saperlo, una cosa vietata dal Signore, sarà colpevole e dovrà scontare la mancanza.18Presenterà al sacerdote, come sacrificio di riparazione, un ariete senza difetto, preso dal bestiame minuto, secondo la tua stima; il sacerdote farà per lui il rito espiatorio per l'errore commesso per ignoranza e gli sarà perdonato.19È un sacrificio di riparazione; quell'individuo si era certo reso colpevole verso il Signore".
20Il Signore disse a Mosè:21"Quando uno peccherà e commetterà una mancanza verso il Signore, rifiutando al suo prossimo un deposito da lui ricevuto o un pegno consegnatogli o una cosa rubata o estorta con frode22o troverà una cosa smarrita, mentendo a questo proposito e giurando il falso circa qualcuna delle cose per cui un uomo può peccare,23se avrà così peccato e si sarà reso colpevole, restituirà la cosa rubata o estorta con frode o il deposito che gli era stato affidato o l'oggetto smarrito che aveva trovato24o qualunque cosa per cui abbia giurato il falso. Farà la restituzione per intero, aggiungendovi un quinto e renderà ciò al proprietario il giorno stesso in cui offrirà il sacrificio di riparazione.25Porterà al sacerdote, come sacrificio di riparazione in onore del Signore, un ariete senza difetto, preso dal bestiame minuto secondo la tua stima.26Il sacerdote farà il rito espiatorio per lui davanti al Signore e gli sarà perdonato, qualunque sia la mancanza di cui si è reso colpevole".


Proverbi 16

1All'uomo appartengono i progetti della mente,
ma dal Signore viene la risposta.
2Tutte le vie dell'uomo sembrano pure ai suoi occhi,
ma chi scruta gli spiriti è il Signore.
3Affida al Signore la tua attività
e i tuoi progetti riusciranno.
4Il Signore ha fatto tutto per un fine,
anche l'empio per il giorno della sventura.
5È un abominio per il Signore ogni cuore superbo,
certamente non resterà impunito.
6Con la bontà e la fedeltà si espia la colpa,
con il timore del Signore si evita il male.
7Quando il Signore si compiace della condotta di un uomo,
riconcilia con lui anche i suoi nemici.
8Poco con onestà è meglio
di molte rendite senza giustizia.
9La mente dell'uomo pensa molto alla sua via,
ma il Signore dirige i suoi passi.
10Un oracolo è sulle labbra del re,
in giudizio la sua bocca non sbaglia.
11La stadera e le bilance giuste appartengono al Signore,
sono opera sua tutti i pesi del sacchetto.
12È in abominio ai re commettere un'azione iniqua,
poiché il trono si consolida con la giustizia.
13Delle labbra giuste si compiace il re
e ama chi parla con rettitudine.
14L'ira del re è messaggera di morte,
ma l'uomo saggio la placherà.
15Nello splendore del volto del re è la vita,
il suo favore è come nube di primavera.
16È molto meglio possedere la sapienza che l'oro,
il possesso dell'intelligenza è preferibile all'argento.
17La strada degli uomini retti è evitare il male,
conserva la vita chi controlla la sua via.
18Prima della rovina viene l'orgoglio
e prima della caduta lo spirito altero.
19È meglio abbassarsi con gli umili
che spartire la preda con i superbi.
20Chi è prudente nella parola troverà il bene
e chi confida nel Signore è beato.
21Sarà chiamato intelligente chi è saggio di mente;
il linguaggio dolce aumenta la dottrina.
22Fonte di vita è la prudenza per chi la possiede,
castigo degli stolti è la stoltezza.
23Una mente saggia rende prudente la bocca
e sulle sue labbra aumenta la dottrina.
24Favo di miele sono le parole gentili,
dolcezza per l'anima e refrigerio per il corpo.
25C'è una via che pare diritta a qualcuno,
ma sbocca in sentieri di morte.
26L'appetito del lavoratore lavora per lui,
perché la sua bocca lo stimola.
27L'uomo perverso produce la sciagura,
sulle sue labbra c'è come un fuoco ardente.
28L'uomo ambiguo provoca litigi,
chi calunnia divide gli amici.
29L'uomo violento seduce il prossimo
e lo spinge per una via non buona.
30Chi socchiude gli occhi medita inganni,
chi stringe le labbra ha già commesso il male.
31Corona magnifica è la canizie,
ed essa si trova sulla via della giustizia.
32Il paziente val più di un eroe,
chi domina se stesso val più di chi conquista una città.
33Nel grembo si getta la sorte,
ma la decisione dipende tutta dal Signore.


Salmi 99

1Il Signore regna, tremino i popoli;
siede sui cherubini, si scuota la terra.
2Grande è il Signore in Sion,
eccelso sopra tutti i popoli.

3Lodino il tuo nome grande e terribile,
perché è santo.
4Re potente che ami la giustizia,
tu hai stabilito ciò che è retto,
diritto e giustizia tu eserciti in Giacobbe.

5Esaltate il Signore nostro Dio,
prostratevi allo sgabello dei suoi piedi,
perché è santo.

6Mosè e Aronne tra i suoi sacerdoti,
Samuele tra quanti invocano il suo nome:
invocavano il Signore ed egli rispondeva.
7Parlava loro da una colonna di nubi:
obbedivano ai suoi comandi
e alla legge che aveva loro dato.
8Signore, Dio nostro, tu li esaudivi,
eri per loro un Dio paziente,
pur castigando i loro peccati.
9Esaltate il Signore nostro Dio,
prostratevi davanti al suo monte santo,
perché santo è il Signore, nostro Dio.


Daniele 4

1Io Nabucodònosor ero tranquillo in casa e felice nella reggia,2quando ebbi un sogno che mi spaventò. Le immaginazioni che mi vennero mentre ero nel mio letto e le visioni che mi passarono per la mente mi turbarono.3Feci un decreto con cui ordinavo che tutti i saggi di Babilonia fossero condotti davanti a me, per farmi conoscere la spiegazione del sogno.
4Allora vennero i maghi, gli astrologi, i caldei e gli indovini, ai quali esposi il sogno, ma non me ne potevano dare la spiegazione.5Infine mi si presentò Daniele, chiamato Baltazzàr dal nome del mio dio, un uomo in cui è lo spirito degli dèi santi, e gli raccontai il sogno6dicendo: "Baltazzàr, principe dei maghi, poiché io so che lo spirito degli dèi santi è in te e che nessun segreto ti è difficile, ecco le visioni che ho avuto in sogno: tu dammene la spiegazione".
7Le visioni che mi passarono per la mente, mentre stavo a letto, erano queste:

Io stavo guardando
ed ecco un albero di grande altezza in mezzo alla terra.
8Quell'albero era grande, robusto,
la sua cima giungeva al cielo
e si poteva vedere fin dall'estremità della terra.
9I suoi rami erano belli e i suoi frutti abbondanti
e vi era in esso da mangiare per tutti.
Le bestie della terra si riparavano alla sua ombra
e gli uccelli del cielo facevano il nido fra i suoi rami;
di lui si nutriva ogni vivente.
10Mentre nel mio letto stavo osservando
le visioni che mi passavano per la mente,
ecco un vigilante, un santo, scese dal cielo
11e gridò a voce alta:
"Tagliate l'albero e stroncate i suoi rami:
scuotete le foglie, disperdetene i frutti:
fuggano le bestie di sotto e gli uccelli dai suoi rami.
12Lasciate però nella terra il ceppo con le radici,
legato con catene di ferro e di bronzo
fra l'erba della campagna.
Sia bagnato dalla rugiada del cielo
e la sua sorte sia insieme con le bestie sui prati.
13Si muti il suo cuore e invece di un cuore umano
gli sia dato un cuore di bestia:
sette tempi passeranno su di lui.
14Così è deciso per sentenza dei vigilanti
e secondo la parola dei santi.

Così i viventi sappiano che l'Altissimo domina sul regno degli uomini e che egli lo può dare a chi vuole e insediarvi anche il più piccolo degli uomini".
15Questo è il sogno, che io, re Nabucodònosor, ho fatto. Ora tu, Baltazzàr, dammene la spiegazione. Tu puoi darmela, perché, mentre fra tutti i saggi del mio regno nessuno me ne spiega il significato, in te è lo spirito degli dèi santi.

16Allora Daniele, chiamato Baltazzàr, rimase per qualche tempo confuso e turbato dai suoi pensieri. Ma il re gli si rivolse: "Baltazzàr, il sogno non ti turbi e neppure la sua spiegazione". Rispose Baltazzàr: "Signor mio, valga il sogno per i tuoi nemici e la sua spiegazione per i tuoi avversari.17L'albero che tu hai visto, grande e robusto, la cui cima giungeva fino al cielo e si poteva vedere da tutta la terra18e le cui foglie erano belle e i suoi frutti abbondanti e in cui c'era da mangiare per tutti e sotto il quale dimoravano le bestie della terra e sui cui rami facevano il nido gli uccelli del cielo,19sei tu, re, che sei diventato grande e forte; la tua grandezza è cresciuta, è giunta al cielo e il tuo dominio si è esteso sino ai confini della terra.
20Che il re abbia visto un vigilante, un santo che scendeva dal cielo e diceva: Tagliate l'albero, spezzatelo, però lasciate nella terra il ceppo delle sue radici legato con catene di ferro e di bronzo fra l'erba della campagna e sia bagnato dalla rugiada del cielo e abbia sorte comune con le bestie della terra, finché sette tempi siano passati su di lui,21questa, o re, ne è la spiegazione e questo è il decreto dell'Altissimo, che deve essere eseguito sopra il re, mio signore:22Tu sarai cacciato dal consorzio umano e la tua dimora sarà con le bestie della terra; ti pascerai d'erba come i buoi e sarai bagnato dalla rugiada del cielo; sette tempi passeranno su di te, finché tu riconosca che l'Altissimo domina sul regno degli uomini e che egli lo da' a chi vuole.
23L'ordine che è stato dato di lasciare il ceppo con le radici dell'albero significa che il tuo regno ti sarà ristabilito, quando avrai riconosciuto che al Cielo appartiene il dominio.24Perciò, re, accetta il mio consiglio: sconta i tuoi peccati con l'elemosina e le tue iniquità con atti di misericordia verso gli afflitti, perché tu possa godere lunga prosperità".

25Tutte queste cose avvennero al re Nabucodònosor.
26Dodici mesi dopo, passeggiando sopra la terrazza della reggia di Babilonia,27il re prese a dire: "Non è questa la grande Babilonia che io ho costruito come reggia per la gloria della mia maestà, con la forza della mia potenza?".
28Queste parole erano ancora sulle labbra del re, quando una voce venne dal cielo: "A te io parlo, re Nabucodònosor: il regno ti è tolto!29Sarai cacciato dal consorzio umano e la tua dimora sarà con le bestie della terra; ti pascerai d'erba come i buoi e passeranno sette tempi su di te, finché tu riconosca che l'Altissimo domina sul regno degli uomini e che egli lo da' a chi vuole".
30In quel momento stesso si adempì la parola sopra Nabucodònosor. Egli fu cacciato dal consorzio umano, mangiò l'erba come i buoi e il suo corpo fu bagnato dalla rugiada del cielo: il pelo gli crebbe come le penne alle aquile e le unghie come agli uccelli.
31"Ma finito quel tempo, io Nabucodònosor alzai gli occhi al cielo e la ragione tornò in me e benedissi l'Altissimo; lodai e glorificai colui che vive in eterno,

la cui potenza è potenza eterna
e il cui regno è di generazione in generazione.
32Tutti gli abitanti della terra
sono, davanti a lui, come un nulla;
egli dispone come gli piace delle schiere del cielo
e degli abitanti della terra.
Nessuno può fermargli la mano e dirgli: Che cosa fai?

33In quel tempo tornò in me la conoscenza e con la gloria del regno mi fu restituita la mia maestà e il mio splendore: i miei ministri e i miei prìncipi mi ricercarono e io fui ristabilito nel mio regno e mi fu concesso un potere anche più grande.34Ora io, Nabucodònosor, lodo, esalto e glorifico il Re del cielo: tutte le sue opere sono verità e le sue vie giustizia; egli può umiliare coloro che camminano nella superbia".


Prima lettera di Giovanni 5

1Chiunque crede che Gesù è il Cristo, è nato da Dio; e chi ama colui che ha generato, ama anche chi da lui è stato generato.2Da questo conosciamo di amare i figli di Dio: se amiamo Dio e ne osserviamo i comandamenti,3perché in questo consiste l'amore di Dio, nell'osservare i suoi comandamenti; e i suoi comandamenti non sono gravosi.4Tutto ciò che è nato da Dio vince il mondo; e questa è la vittoria che ha sconfitto il mondo: la nostra fede.

5E chi è che vince il mondo se non chi crede che Gesù è il Figlio di Dio?6Questi è colui che è venuto con acqua e sangue, Gesù Cristo; non con acqua soltanto, ma con l'acqua e con il sangue. Ed è lo Spirito che rende testimonianza, perché lo Spirito è la verità.7Poiché tre sono quelli che rendono testimonianza:8lo Spirito, l'acqua e il sangue, e questi tre sono concordi.9Se accettiamo la testimonianza degli uomini, la testimonianza di Dio è maggiore; e la testimonianza di Dio è quella che ha dato al suo Figlio.10Chi crede nel Figlio di Dio, ha questa testimonianza in sé. Chi non crede a Dio, fa di lui un bugiardo, perché non crede alla testimonianza che Dio ha reso a suo Figlio.11E la testimonianza è questa: Dio ci ha dato la vita eterna e questa vita è nel suo Figlio.12Chi ha il Figlio ha la vita; chi non ha il Figlio di Dio, non ha la vita.
13Questo vi ho scritto perché sappiate che possedete la vita eterna, voi che credete nel nome del Figlio di Dio.

14Questa è la fiducia che abbiamo in lui: qualunque cosa gli chiediamo secondo la sua volontà, egli ci ascolta.15E se sappiamo che ci ascolta in quello che gli chiediamo, sappiamo di avere già quello che gli abbiamo chiesto.
16Se uno vede il proprio fratello commettere un peccato che non conduce alla morte, preghi, e Dio gli darà la vita; s'intende a coloro che commettono un peccato che non conduce alla morte: c'è infatti un peccato che conduce alla morte; per questo dico di non pregare.17Ogni iniquità è peccato, ma c'è il peccato che non conduce alla morte.

18Sappiamo che chiunque è nato da Dio non pecca: chi è nato da Dio preserva se stesso e il maligno non lo tocca.19Noi sappiamo che siamo da Dio, mentre tutto il mondo giace sotto il potere del maligno.20Sappiamo anche che il Figlio di Dio è venuto e ci ha dato l'intelligenza per conoscere il vero Dio. E noi siamo nel vero Dio e nel Figlio suo Gesù Cristo: egli è il vero Dio e la vita eterna.
21Figlioli, guardatevi dai falsi dèi!


Capitolo XI: scarso è il numero di coloro che amano la croce di Gesù

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1. Oggi, di innamorati del suo regno celeste, Gesù ne trova molti; pochi invece ne trova di pronti a portare la sua croce. Trova molti desiderosi di consolazione, pochi desiderosi della tribolazione, molti disposti a sedere a mensa, pochi disposti a digiunare. Tutti desiderano godere con Lui, pochi vogliono soffrire per Lui. Molti seguono Gesù fino alla distribuzione del pane, pochi invece fino al momento di bere il calice della passione. Molti guardano con venerazione ai suoi miracoli, pochi seguono l'ignominia della croce. Molti amano Iddio fin tanto che non succedono avversità. Molti lo lodano e lo benedicono soltanto mentre ricevono da lui qualche consolazione; ma, se Gesù si nasconde e li abbandona per un poco, cadono in lamentazione e in grande abbattimento. Invece coloro che amano Gesù per Gesù, non già per una qualche consolazione propria, lo benedicono nella tribolazione e nella angustia del cuore, come nel maggior gaudio spirituale. E anche se Gesù non volesse mai dare loro una consolazione, ugualmente vorrebbero sempre lodarlo e ringraziarlo.  

2. Oh!, quanta è la potenza di un amore schietto di Gesù, non commisto con alcun interesse ed egoismo! Forse che non si debbono definire quali mercenari tutti quelli che vanno sempre cercando consolazione? Forse che non si dimostrano più innamorati di sé che di Cristo quelli che pensano sempre al proprio utile e al proprio vantaggio? Dove si troverà uno che voglia servire Iddio senza ricompensa? E' difficile trovare chi sia spiritualmente così alto da voler essere spogliato di ogni cosa. Invero, chi lo troverà uno veramente povero nello spirito e distaccato da ogni creatura? Il suo pregio è come quello di cose provenienti da lontano, dagli estremi confini della terra (Pro 31,10). Anche se uno si spogliasse di tutte le sue sostanze (Ct 8,7), non è ancor nulla; anche se facesse grande penitenza, è ancora poca cosa; anche se avesse appreso ogni scienza, egli è ancora ben lungi dalla meta; anche se avesse grande virtù e fervente devozione, ancora gli manca molto: cioè la sola cosa, che gli è massimamente necessaria. Che cosa dunque? Che, abbandonato tutto, abbandoni anche se stesso, ed esca totalmente da sé, senza che gli rimanga un briciolo di amore di sé; che, dopo aver compiuto tutto quello che riconosce suo dovere, sia persuaso di non aver fatto niente; che non faccia gran conto di ciò che pur possa sembrare grande, ma sinceramente si proclami servo inutile, come dice la Verità stessa: "Quando avrete fatto tutto ciò che vi è stato comandato, dite: siamo servi inutili" (Lc 17,10). Allora sì, che uno potrà essere davvero povero e nudo spiritualmente, e dire col profeta: "Sono abbandonato e povero" (Sal 24,16). Ma nessuno è più ricco, nessuno più potente, nessuno più libero di costui, che sa abbandonare se stesso e ogni cosa e porsi all'ultimo posto.


Le Confessioni - Libro primo: nascita, infanzia e fanciullezza invocazione a Dio

Le confessioni - Sant'Agostino d'Ippona

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Come invocare Dio?
1. 1. Tu sei grande, Signore, e ben degno di lode; grande è la tua virtù, e la tua sapienza incalcolabile. E l’uomo vuole lodarti, una particella del tuo creato, che si porta attorno il suo destino mortale, che si porta attorno la prova del suo peccato e la prova che tu resisti ai superbi. Eppure l’uomo, una particella del tuo creato, vuole lodarti. Sei tu che lo stimoli a dilettarsi delle tue lodi, perché ci hai fatti per te, e il nostro cuore non ha posa finché non riposa in te. Concedimi, Signore, di conoscere e capire se si deve prima invocarti o lodarti, prima conoscere oppure invocare. Ma come potrebbe invocarti chi non ti conosce? Per ignoranza potrebbe invocare questo per quello. Dunque ti si deve piuttosto invocare per conoscere? Ma come invocheranno colui in cui non credettero? E come credere, se prima nessuno dà l’annunzio?. Loderanno il Signore coloro che lo cercano?, perché cercandolo lo trovano, e trovandolo lo loderanno. Che io ti cerchi, Signore, invocandoti, e t’invochi credendoti, perché il tuo annunzio ci è giunto. T’invoca, Signore, la mia fede, che mi hai dato e ispirato mediante il tuo Figlio fatto uomo, mediante l’opera del tuo Annunziatore.

Perché invocare Dio?
2. 2. Ma come invocare il mio Dio, il Dio mio Signore? Invocarlo sarà comunque invitarlo dentro di me; ma esiste dentro di me un luogo, ove il mio Dio possa venire dentro di me, ove possa venire dentro di me Dio, Dio, che creò il cielo e la terra? C’è davvero dentro di me, Signore Dio mio, qualcosa capace di comprenderti? Ti comprendono forse il cielo e la terra, che hai creato e in cui mi hai creato? Oppure, poiché senza dite nulla esisterebbe di quanto esiste, avviene che quanto esiste ti comprende? E poiché anch’io esisto così, a che chiederti di venire dentro di me, mentre io non sarei, se tu non fossi in me? Non sono ancora nelle profondità degli inferi, sebbene tu sei anche là, e quando pure sarò disceso all’inferno, tu sei là. Dunque io non sarei, Dio mio, non sarei affatto, se tu non fossi in me; o meglio, non sarei, se non fossi in te, poiché tutto da te, tutto per te, tutto in te. Sì, è così, Signore, è così. Dove dunque t’invoco, se sono in te? Da dove verresti in me? Dove mi ritrarrei, fuori dal cielo e dalla terra, perché di là venga in me il mio Dio, che disse: "Cielo e terra io colmo"?

La presenza di Dio nell’universo
3.3. Ma cielo e terra ti comprendono forse, perché tu li colmi? o tu li colmi, e ancora sopravanza una parte di te, perché non ti comprendono? E dove riversi questa parte che sopravanza di te, dopo aver colmato il cielo e la terra? O non piuttosto nulla ti occorre che ti contenga, tu che tutto contieni, poiché ciò che colmi, contenendo lo colmi? Davvero non sono i vasi colmi di te a renderti stabile. Neppure se si spezzassero, tu ti spanderesti; quando tu ti spandi su di noi, non tu ti abbassi, ma noi elevi, non tu ti disperdi, ma noi raduni. Però nel colmare, che fai, ogni essere, con tutto il tuo essere lo colmi. Dunque, se tutti gli esseri dell’universo non riescono a comprendere tutto il tuo essere, comprendono dite una sola parte, e la medesima pane tutti assieme? oppure i singoli esseri comprendono una singola parte, maggiore i maggiori, minore i minori? Dunque, esisterebbero parti dite maggiori, altre minori? o piuttosto tu sei intero dappertutto, e nessuna cosa ti comprende per intero

Qualità inesprimibili di Dio
4. 4. Cosa sei dunque, Dio mio? Cos’altro, di grazia, se non il Signore Dio? Chi è invero signore all’infuori del Signore, chi Dio all’infuori del nostro Dio? O sommo, ottimo, potentissimo, onnipotentissimo, misericordiosissimo e giustissimo, remotissimo e presentissimo, bellissimo e fortissimo, stabile e inafferrabile, immutabile che tutto muti, mai nuovo mai decrepito, rinnovatore di ogni cosa, che a loro insaputa porti i superbi alla decrepitezza; sempre attivo sempre quieto, che raccogli senza bisogno; che porti e riempi e serbi, che crei e nutri e maturi, che cerchi mentre nulla ti manca. Ami ma senza smaniare, sei geloso e tranquillo, ti penti ma senza soffrire, ti adiri e sei calmo, muti le opere ma non il disegno, ricuperi quanto trovi e mai perdesti; mai indigente, godi dei guadagni; mai avaro, esigi gli interessi; ti si presta per averti debitore, ma chi ha qualcosa, che non sia tua? Paghi i debiti senza dovere a nessuno, li condoni senza perdere nulla. Che ho mai detto, Dio mio, vita mia, dolcezza mia santa? Che dice mai chi parla di te? Eppure sventurati coloro che tacciono di te, poiché sono muti ciarlieri.

Aspirazione dell’anima a Dio
5. 5. Chi mi farà riposare in te, chi ti farà venire nel mio cuore a inebriarlo? Allora dimenticherei i miei mali, e il mio unico bene abbraccerei: te. Cosa sei per me? Abbi misericordia, affinché io parli. E cosa sono io stesso per te, perché tu mi comandi di amarti e ti adiri verso di me minacci, se non ubbidisco, gravi sventure quasi fosse una sventura lieve l’assenza stessa di amore per te? Oh, dimmi, per la tua misericordia, Signore Dio mio, cosa sei per me. Di’ all’anima mia: la salvezza tua io sono. Dillo, che io l’oda. Ecco, le orecchie del mio cuore stanno davanti alla tua bocca, Signore. Aprile e di’ all’anima mia: la salvezza tua io sono. Rincorrendo questa voce io ti raggiungerò, e tu non celarmi il tuo volto. Che io muoia per non morire, per vederlo.

– 6. Angusta è la casa della mia anima perché tu possa entrarvi: allargala dunque; è in rovina: restaurala; alcune cose contiene, che possono offendere la tua vista, lo ammetto e ne sono consapevole: ma chi potrà purificarla, a chi griderò, se non a te: "Purificami, Signore, dalle mie brutture ignote a me stesso, risparmia al tuo servo le brutture degli altri"? Credo, perciò anche parlo. Signore, tu sai: non ti ho parlato contro di me dei miei delitti Dio mio, e tu non hai assolto la malvagità del mio cuore? Non disputo con te, che sei la verità, e io, non voglio ingannare me stesso, nel timore che la mia iniquità s’inganni. Quindi non disputo con te, perché, se ti porrai a considerare le colpe, Signore, Signore, chi reggerà?.

NASCITA E INFANZIA

Il mistero della nostra origine
6. 7. Eppure lasciami parlare davanti alla tua misericordia. Sono terra e cenere, eppure lasciami parlare. Vedi, è alla tua misericordia, e non a un uomo che riderebbe di me, ch’io parlo. Forse ridi anche tu di me, ma ti volgerai e avrai misericordia di me. Non voglio dire, se non questo: che ignoro donde venni qui, a questa, come chiamarla, vita mortale o morte vitale. Lo ignoro, ma mi accolsero i conforti delle tue misericordie, per quanto mi fu detto dai genitori della mia carne, dall’uno dei quali ricavasti, mentre nell’altra mi desti una forma nel tempo; io, non ricordo. Mi accolsero dunque i conforti del latte umano, ma non erano già mia madre o le mie nutrici a riempirsene le poppe, bensì eri tu, che per mezzo loro alimentavi la mia infanzia, secondo il criterio con cui hai distribuito le tue ricchezze sino al fondo dell’universo. Tu, anche, mi davi di non desiderare più di quanto davi, e a chi mi nutriva di darmi quanto le davi. Per un sentimento ben ordinato le donne desideravano darmi ciò di cui ridondavano per grazia tua, e il bene che io traevo da loro era un bene per loro che procedeva non da loro, ma per mezzo loro. Tutti i beni derivano da te, Dio, dal mio Dio deriva l’intera mia salute. Me ne accorsi più tardi, quando la tua voce me lo gridò proprio attraverso i doni che elargisci al nostro corpo e alla nostra anima. Allora sapevo soltanto succhiare e bearmi delle gioie o piangere delle noie della mia carne, null’altro.

Natura dei bambini
– 8. Poi cominciai anche a ridere, prima nel sonno, quindi nella veglia. Così almeno mi fu riferito sul mio conto, e vi ho creduto, perché vediamo gli altri bambini comportarsi così; infatti non ricordo nulla di questi tempi miei. Ed ecco che a poco a poco incominciai ad avere anche coscienza del luogo ove mi trovavo; volevo manifestare i miei desideri alle persone che erano in grado di soddisfarli, senza esito alcuno, poiché i primi stavano nel mio interno, le seconde all’esterno e con nessuno dei loro sensi potevano penetrare nel mio animo. Perciò mi dibattevo e strillavo, esprimendo così per analogia i miei desideri, quanto poco potevo, e come potevo, in maniera, difatti, irriconoscibile. Eppure, se non ero accontentato, o per non essermi fatto intendere, o per il danno che ne avrei avuto, mi stizzivo e mi vendicavo strillando contro persone maggiori di me che non si piegavano alla mia volontà, e persone libere che non mi si facevano schiave. Tali è la natura dei bambini. La scoprii più tardi, conoscendoli. E che tale fosse anche la mia, me lo insegnarono meglio essi inconsapevolmente, che i miei educatori consapevoli.

Eternità di Dio
– 9. Ed ora, ecco la mia infanzia da gran tempo morta, e me vivo. Tu però, Signore, sempre vivo e di cui nulla muore perché prima dell’inizio dei secoli e prima di ogni cosa cui pure si potesse dare il nome di "prima" tu sei e sei Dio e Signore di tutte le cose create da te, e in te perdurano stabili le cause di tutte le cose instabili, e di tutte le cose mutabili si conservano in te immutabili i principi, e di tutte le cose irrazionali e temporali sussistono in te sempiterne le ragioni; dimmi dunque, ti supplico, Dio misericordioso verso questa tua creatura miserabile, dimmi: la mia infanzia succedette a un’altra mia età, allora già morta? A quella forse da me trascorsa nelle viscere di mia madre? Su questa mi fu dato invero qualche ragguaglio, e io stesso, del resto, vidi qualche donna incinta. Ma prima ancora di questa, o mia dolcezza, mio Dio? Fui da qualche parte, fui qualcuno? Chi potrebbe rispondermi? Non ho nessuno; né mio padre né mia madre poterono dirmelo, né l’esperienza altrui né la memoria mia. O tu ridi di me, che ti pongo tali domande, e mi ordini di lodarti piuttosto e confessarti per quanto so?

Prime forme di vita
– 10. Ti confesso, Signore del cielo e della terra dandoti lode per i primordi e l’infanzia della mia vita, che non ricordo. Tu però concedesti all’uomo di ricostruire il proprio passato dal comportamento altrui e di credere sul proprio conto molte cose persino in base alle asserzioni di alcune donnicciuole. Io dunque ero già vivo allora, e sul finire dell’infanzia cominciai a ricercare qualche segno, con cui manifestare agli altri i miei sentimenti. Un essere vivente di tal fatta da chi poteva derivare, se non da te, Signore? Potrebbe mai qualcuno essere autore della propria creazione? O fra i rigagnoli da cui fluisce a noi l’esistenza e la vita, qualcuno deriva mai da fonte diversa dalla tua creazione, Signore? Per te esistere e vivere non sono due atti distinti, poiché la massima esistenza e la massima vita sono la medesima cosa. Tu, Essere massimo, non muti, la giornata odierna non si consuma in te, sebbene in te si compia, poiché anche tutte le cose di questo mondo sono in te; non avrebbero vie per cui passare se tu non le contenessi. E poiché i tuoi anni non finiscono, i tuoi anni sono l’oggi. Per quanto numerosi, i giorni nostri e dei nostri padri passarono nel tuo oggi e di lì ricevettero la misura e il modo della loro esistenza. Altri ancora ne passeranno, e tutti riceveranno di lì ancora il modo della loro esistenza. Tu invece sei sempre il medesimo, e tutti gli atti di domani, e oltre, tutti gli atti di ieri e addietro li compirai oggi, li compisti oggi. Che posso fare io, se altri non capisce? Anch’egli si rallegri, dicendo: "Che è ciò?"; si rallegri anche così e goda di non trovarti mentre ti trova, anziché di trovarti mentre non ti trova.

I peccati dell’infanzia
7. 11. Ascolta, Dio: maledetti i peccati degli uomini! Lo dice un uomo, di cui hai pietà, perché tu lo hai creato senza creare in lui il peccato. Chi mi rammenta i peccati della mia infanzia, se nessuno innanzi a te è mondo di peccato, neppure il bimbo, che ha un giorno solo di vita sulla terra? Chi me li rammenta, se non un piccino ora grande soltanto così, in cui vedo ciò che non ricordo di me stesso? Qual era dunque il mio peccato di allora? Forse l’avidità con cui cercavo piangendo le poppe? Se oggi facessi altrettanto, cercando avidamente non più le poppe, s’intende, ma il nutrimento conveniente alla mia età, mi farei deridere e riprendere a buon diritto. Ossia, a quell’età commettevo atti riprovevoli, ma, poiché non avrei potuto comprendere i rimproveri, si evitava, come fanno tutti ragionevolmente, di rimproverarmi. Tanto è vero, che noi estirpiamo ed eliminiamo quei difetti durante la crescita, e non ho mai visto nessuno gettar via deliberatamente il buono mentre vuole estirpare il cattivo. O forse erano anche quelle azioni buone, in rapporto all’età: le implorazioni, cioè, con cui chiedevo piangendo persino doni nocivi, le aspre bizze contro persone di libera condizione e di età più grave della mia, che non si assoggettavano alla mia volontà; gli sforzi per colpire con tutte le mie forze chi mi aveva dato la vita e molte altre persone più prudenti di me, che non ubbidivano ai miei cenni, percuotendole perché non eseguivano certi ordini che si sarebbero eseguiti con mio danno? Dunque l’innocenza dei bambini risiede nella fragilità delle membra, non dell’anima. Io ho visto e considerato a lungo un piccino in preda alla gelosia: non parlava ancora e già guardava livido, torvo, il suo compagno di latte. È cosa nota, e le madri e le nutrici pretendono di saper eliminare queste pecche con non so quali rimedi; ma non si può ritenere innocente chi innanzi al fluire ubertoso e abbondante del latte dal fonte materno non tollera di condividerlo con altri, che pure ha tanto bisogno di soccorso e che solo con quell’alimento si mantiene in vita. Ciò nonostante si tollerano con indulgenza questi atti, non perché siano inconsistenti o da poco, ma perché destinati a sparire col crescere degli anni. Lo prova il fatto che gli stessi atti, sorpresi in una persona più attempata, non si possono più tollerare con indifferenza.

– 12. Perciò tu, Signore Dio mio, che desti al bimbo con la vita un corpo, che lo fornisti, come si vede, di sensi e di una compagine di membra e di un aspetto grazioso e dell’istinto a compiere tutti gli sforzi possibili a un essere animato per preservare l’incolumità del proprio organismo, tu mi ordini di lodarti per questi doni, di confessare te e inneggiare al tuo nome, Altissimo. Tu sei Dio, onnipotente e buono se anche solo avessi fatto queste cose, che nessun altro può fare all’infuori di te; unico, da cui deriva ogni norma; forma suprema, che forma ogni cosa e ordina ogni cosa secondo la propria norma. Ebbene, Signore, questa età che non ricordo di aver vissuto, di cui credo ciò che mi dicono gli altri, e che suppongo di aver trascorso solo perché la vedo negli altri infanti, per una supposizione, dunque, sebbene assai fondata, l’annovero con riluttanza fra le età della vita che vivo in questo mondo. Per oscurità e oblio non è da meno di quella che vissi nel grembo di mia madre; ma se fui concepito nell’iniquità, e mia madre mi nutrì nel suo grembo fra i peccati, dove mai, di grazia, Dio mio, dove, Signore, io, servo tuo, dove o quando fui innocente? Ma ecco, tralascio quel tempo. Che ho da spartire oggi con lui, se nessuna traccia ne ritrovo?

FANCIULLEZZA

L’acquisto della parola
8. 13. Dall’infanzia procedendo verso l’età in cui mi trovo ora, passai dunque nella fanciullezza, se non fu piuttosto la fanciullezza a raggiungermi succedendo all’infanzia. Quest’ultima non si ritrasse certamente: dove svanì? Tuttavia ormai più non era. Io non ero più un infante senza favella, ma ormai un fanciullo loquace, ben lo ricordo. Del modo come appresi a parlare mi resi conto solo più tardi. Non mi ammaestrarono gli anziani, suggerendomi le parole con un insegnamento metodico, come poco dopo per la lettura e la scrittura; ma fui io stesso il mio maestro con l’intelligenza avuta da te, Dio, mio, quando con gemiti e molteplici grida e molteplici gesti degli arti volevo manifestare i moti del mio cuore, affinché si ubbidisse alla mia volontà; ma ero incapace di manifestare tutta la mia volontà e a tutti coloro che volevo. Afferravo con la memoria: quando i circostanti chiamavano con un certo nome un certo oggetto e si accostavano all’oggetto designato, io li osservavo e m’imprimevo nella mente il fatto che, volendo designare quell’oggetto, lo chiamavano con quel suono. Che quella fosse la loro intenzione, lo arguivo dal movimento del corpo, linguaggio, per così dire, comune di natura a tutte le genti e parlato col volto, con i cenni degli occhi, con i gesti degli arti e con quelle emissioni di voce, che rivelano la condizione dell’animo cupido, pago, ostile o avverso. Così le parole che ricorrevano sempre a un dato posto nella varietà delle frasi, e che udivo di frequente, riuscivo gradatamente a capire quali oggetti designassero, finché io pure cominciavo a usarle, dopo, aver piegato la bocca ai loro suoni, per esprimere i miei desideri. Giunsi così a scambiare con le persone tra cui vivevo i segni che esprimevano i desideri, e m’inoltrai ulteriormente nel consorzio procelloso della vita umana, dipendendo dall’autorità dei genitori e dai cenni degli adulti.

A scuola busse e derisioni degli adulti
9. 14. Dio, Dio mio, quali inganni soffrii allora, quando, fanciullo, mi veniva indicata come norma di vita retta l’ubbidienza a chi voleva rendermi prospero nel mondo ed eminente nelle arti linguacciute, provveditrici di onori e ricchezze false tra gli uomini! Fui affidato alla scuola per impararvi le lettere, di cui, meschinello, ignoravo i vantaggi; eppure erano busse, se ero pigro a studiarle. Era un sistema raccomandato dai grandi, e molti fanciulli prima di noi, menando quella vita, avevano aperte le vie penose ove eravamo costretti a passare, moltiplicando la fatica e la sofferenza dei figli di Adamo. Vi trovammo per altro, Signore, alcuni uomini che ti pregavano, e da loro venimmo a conoscere, per il poco che potevamo intenderti, la tua esistenza, quale di un essere grande, che può darci ascolto e soccorso anche senza manifestarsi ai nostri sensi. Così, fanciullo, incominciai a pregarti, soccorso e rifugio mio. Scioglievo per invocarti i nodi della mia lingua, ti pregavo, piccoletto ma con non piccolo affetto, che tu mi evitassi le busse del maestro; e se non mi esaudivi, non certo, riguardo a me, per un fine stolto, gli adulti e persino, i miei genitori, i quali non volevano che mi toccasse alcun male, ridevano dei colpi che ricevevo e che costituivano allora per me una sofferenza ingente e grave.

– 15. Esiste, Signore, un cuore così grande, unito a te da straordinario amore, esiste, dico, un uomo, poiché a tanto si può anche giungere per una sorta di follia; esiste dunque alcuno, che, per essere unito devotamente a te, provi un’emozione così intensa, da fare poco conto di cavalletti e unghioni e altri simili strumenti di tortura, che in ogni parte della terra la gente atterrita ti scongiura di poter evitare; eppure nutra dell’amore verso questi altri, che ne provano un aspro terrore? Non altrimenti i nostri genitori ridevano dei castighi inflitti a noi fanciulli dai maestri. Noi infatti non li temevamo meno delle torture, né meno, t’imploravamo di risparmiarceli; eppure mancavamo o nello scrivere o nel leggere o nello studiare meno di quanto si esigeva da noi. Non che mi difettasse, Signore, la memoria o l’intelligenza: tu me ne volesti dotare a sufficienza per quell’età; ma mi piaceva il gioco e ne ero punito da chi, a buon conto, non si baloccava meno di me. Senonché i balocchi degli adulti sono chiamati affari, mentre quelli dei fanciulli, per quanto simili, sono puniti dagli adulti. E alla fine non c’è pietà per i fanciulli, o per gli altri, o per entrambi. Un giudice onesto potrebbe approvare le busse che mi si davano, poiché, se da fanciullo giocavo alla palla, il gioco m’impediva di apprendere rapidamente le lettere, grazie a cui da grande avrei eseguito più tristi giochi. Ma proprio chi mi dava le busse, agiva diversamente? Se un collega d’insegnamento lo superava in qualche futile discussione, si rodeva dalla bile e dall’invidia più di me, quando rimanevo sconfitto dal mio compagno di gioco in una partita alla palla.

Disubbidienza dello scolaro per amore del gioco
10. 16. Con tutto ciò, io peccavo, Signore Dio, ordinatore e creatore di quante cose esistono nella natura, dei peccati ordinatore soltanto. Signore Dio mio, peccavo contravvenendo ai precetti dei miei genitori e dei miei maestri di allora, perché più tardi avrei potuto giovarmi in bene dell’istruzione letteraria a cui i miei, qualunque motivo li ispirasse, volevano che attendessi; né allora disubbidivo scegliendo di meglio, ma per amore del gioco, amando le vittorie esaltanti nelle gare e lo strisciare di favole irreali nelle mie orecchie, che vi eccitava un più ardente prurito. La stessa curiosità mi sfavillava ogni giorno più negli occhi e mi trascinava agli spettacoli, giochi di adulti, che pure, chi li organizza, eccelle e fruisce di tale considerazione, da auspicarla solitamente anche per i propri figli senza per questo rammaricarsi della punizione che toccano, se dagli stessi spettacoli si lasciano distrarre dallo studio, il mezzo con cui sperano di condurli a organizzare gli spettacoli. Guarda, Signore, con misericordia a queste incoerenze e libera noi che ora t’invochiamo; liberane pure coloro che ancora non t’invocano, sì che possano invocarti ed esserne liberati.

Una grave malattia
11. 17. Avevo udito parlare sin da fanciullo della vita eterna, che ci fu promessa mediante l’umiltà del Signore Dio nostro, sceso fino alla nostra superbia; e già ero segnato col segno della sua croce, già insaporito col suo sale fino dal primo giorno in cui uscii dal grembo di mia madre, che sperò molto in te. Tu, Signore, vedesti, ancora durante la mia fanciullezza, un giorno che per un’occlusione intestinale mi assalì improvvisamente la febbre e fui lì lì per morire, vedesti, Dio mio, essendo fin d’allora il mio, custode, con quale slancio di cuore e quanta fede invocai dalla pietà di mia madre e dalla madre di noi tutti, la tua Chiesa, il battesimo del tuo Cristo, mio Dio è Signore. E già tutta sconvolta la madre della mia carne, avendo più caro di partorire dal suo, cuore, casto nella tua fede, la mia salvezza eterna, si preoccupava di affrettare la mia iniziazione ai sacramenti della salvezza, da cui fossi mondato, confessando te, Signore Gesù, per la remissione dei peccati, quando improvvisamente mi ripresi. Così la mia purificazione fu differita, quasi fosse inevitabile che la vita m’insozzasse ancora, e certamente col pensiero che dopo il lavacro del battesimo più grande e rischiosa sarebbe stata la mia colpa nelle sozzure dei peccati. Dunque allora io credevo, come mia madre è tutta la casa, eccettuato soltanto mio padre. Questi non sopraffece però nel mio, cuore i diritti dell’amore materno al punto di togliermi la fede in Cristo, fede che ancora non aveva. Lei si adoperava a fare di te, mio Dio, il mio, padre in vece sua, e tu l’aiutavi a prevalere sul marito, cui pure serviva, sebbene fosse migliore di lui, perché anche in ciò serviva te, che imponi comunque alla donna una condizione servile.

Il differimento del battesimo
– 18. Dio mio, ti prego, vorrei sapere, se pure tu lo volessi, per quale disegno fu differito allora il mio, battesimo. Fu un bene per me che mi siano state allentate per così dire, le briglie al peccato, o sarebbe stato bene il contrario? Per questa ragione dunque ancor oggi si sente dire da ogni parte dell’uno e dell’altro: "Lascialo fare: non è ancora battezzato". Eppure riguardo alla salute fisica non diciamo: "Lascia che si produca altre ferite: non è ancora guarito". Dunque sarebbe stato molto meglio, per me guarire subito; che, per me, tanto io, quanto i miei parenti avessimo posto ogni diligenza a ricuperare è a mettere la salute della mia anima al riparo sotto il tuo, riparo, che non le avresti rifiutato. Sarebbe stato meglio davvero. Invece, conoscendo i flutti delle tentazioni che già in gran numero è misura si profilavano minacciosi dietro la fanciullezza, mia Madre, e quella madre, preferì avventurarvi la terra da cui mi sarei poi formato, che subito la compiuta.

Avversione allo studio
12. 19. Tuttavia proprio nella fanciullezza, che suscitava al mio riguardo apprensioni minori dell’adolescenza, non amavo lo studio e odiavo di esservi costretto. Vi ero però costretto, e per il mio bene, ma io non compivo del bene, perché non avrei studiato senza costrizione, e chi agisce suo, malgrado non compie del bene, per quanto sia bene quello che compie. Neppure coloro che mi costringevano compivano del bene, ma il bene mi veniva da te, Dio mio. Essi non vedevano altro scopo, cui potessi rivolgere quanto mi costringevano a imparare, se non l’appagamento delle brame inappagabili di una miseria che sembra ricchezza è di una infamia che sembra gloria. Ma tu, che conosci il numero dei nostri capelli, sfruttavi a mio, vantaggio, l’errore di tutti coloro che insistevano, per farmi studiare, come sfruttavi anche il mio, che non volevo studiare, per impormi un castigo di cui non era immeritevole quel così piccolo fanciullo e così grande peccatore. Così mi procuravi del bene non da chi compiva del bene, e del mio, stesso peccato mi ripagavi equamente. Hai stabilito, infatti, e avviene, che ogni anima disordinata sia castigo a se stessa.

Greco e latino
13. 20. Quale fosse poi la ragione per cui odiavo il greco che mi veniva insegnato da fanciullo non lo so esattamente nemmeno ora. Invece mi ero appassionato al latino, non già quello insegnato dai maestri dei primi corsi, ma dagli altri, i cosiddetti maestri di grammatica. Le prime nozioni, con cui s’impara a leggere, a scrivere e a computare, mi procuravano noia e pena non minori di quelle che mi procurò in ogni sua parte il greco; ma non era anche questa una conseguenza del peccato e della vanità della vita, per cui ero, carne e un soffio passeggero, che non torna? Quei primi studi, che via via mi mettevano, come mi misero e mi mettono tuttora in grado di leggere se trovo uno scritto, e di scrivere io stesso se voglio scrivere, erano migliori, perché più sicuri, degli altri, ove mi si costringeva a mandare a memoria gli errori di un certo Enea dimenticando i miei propri errori, e a gemere su Didone, morta suicida per amore, mentre io mi lasciavo morire tra queste fole senza di te, Dio, vita mia, ad occhi asciutti, miserrimo.

– 21. C’è in verità cosa più misera di un misero che non commisera se stesso e piange la morte di Didone, che avveniva per amore di Enea, mentre non piange sulla morte propria, che avveniva per non amare te, Dio, e lume del mio, cuore, pane della interiore della mia anima, virtù fecondatrice della mia intelligenza, grembo del mio pensiero? lo non amavo te, trescavo lontano da te, e alle mie tresche si applaudiva da ogni parte: "Bravo, bravo". L’amicizia verso questo mondo è davvero, un trescare lontano da te, cui si applaude: "Bravo, bravo", cosicché si ha vergogna a non essere come gli altri. Ebbene, io non piangevo per questo, e piangevo per Didone morta cercando col ferro il giorno estremo; anch’io cercavo le cose estreme della tua creazione, dopo aver abbandonato te, terra che si piegava verso terra; e se qualcuno mi proibiva quelle letture, mi affliggevo di non poter leggere ciò che mi affliggeva. Tali deliri si apprezzano, come studi più nobili è fruttuosi di quelli che mi insegnarono a leggere e scrivere.

La lettura dei poeti
– 22. Ma ora nell’anima mia gridi il mio Dio, la tua verità mi dica che non è così, che non è così. È certamente migliore l’altro insegnamento, il primo. Infatti eccomi ora disposto a scordare gli errori di Enea e ogni racconto del genere, piuttosto che il modo di scrivere e leggere. Sull’ingresso delle scuole di grammatica pendono alcune cortine. Esse non simboleggiano tanto la solennità dei misteri che si svolgono all’interno, quanto velano gli errori che si commettono. E non schiamazzino contro di me, che più non li temo, mentre ti confesso le aspirazioni dell’anima mia, Dio, mio, e trovo pace nel condannare le mie storte vie per innamorarmi delle tue diritte, non schiamazzino contro di me i venditori e i compratori di grammatica. Perché se io chiederò loro: "Venne mai davvero Enea a Cartagine, come asserisce il poeta?", gli indotti risponderanno di ignorarlo, i più dotti affermeranno addirittura che no davvero; se invece domanderò con quali lettere si scrive il. nome di Enea, tutti coloro che hanno appreso l’alfabeto mi risponderanno esattamente, secondo le norme con cui gli uomini convennero tra loro di fissarne i segni. Così pure, se domanderò quale di queste due conoscenze sarebbe più dannoso per la vita dimenticare, se la lettura e la scrittura oppure le invenzioni dei poeti citate sopra, chi non sa quale sarebbe la risposta di chiunque non abbia perduto completamente il senno? Io peccavo dunque da fanciullo nel prediligere le vacuità dei poeti alle arti più utili, o meglio, nell’odiare decisamente le seconde e nell’amare le prime. L’"uno più uno due, due più due quattro" era una cantilena odiosa per me, mentre era spettacolo dolcissimo, eppur vano, il cavallo di legno pieno di armati, l’incendio di Troia e l’ombra di lei, di Creusa.

Difficoltà nello studio del greco
14. 23. Come mai, dunque, provavo avversione per le lettere greche, ove pure si cantano i medesimi temi? Omero, ad esempio, è un abile tessitore di favolette del genere, dolcissimo nella sua vanità; eppure per me fanciullo era amaro. Credo avvenga altrettanto di Virgilio per i fanciulli greci, quando sono costretti a impararlo come io il loro poeta. Era cioè la difficoltà, proprio la difficoltà d’imparare una lingua straniera ad aspergere, dirò così, di fiele tutte le squisitezze greche contenute in quei versi favolosi. Io non conoscevo alcuna di quelle parole, e mi s’incalzava furiosamente per farmele imparare con minacce e castighi crudeli. rima, durante l’infanzia, anche di latino non conoscevo nessuna parola, ma con un poco di attenzione le imparai senza bisogno d’intimidazioni e torture, anzi fra carezze di nutrici, festevolezze di sorrisi e allegria di giochi. Dunque le imparai senza il peso di castighi e sollecitazioni, perché il mio cuore stesso mi sollecitava a dare alla luce i suoi pensieri. Ma non ne avrebbe avuto la via, se non avessi imparato qualche vocabolo, più che a scuola da chi insegnava, dalla voce di chi parlava, nelle cui orecchie a mia volta deponevo i miei sentimenti. Ne emerge in modo, abbastanza chiaro che per imparare queste nozioni vale più la libera curiosità che la pedante costrizione; ma il flusso della rima è contenuto dall’altra secondo le tue leggi, o Dio, le tue leggi. Dalle verghe dei maestri fino alle torture dei martiri le tue leggi sanno combinare amari salubri, che ci richiamano a te dopo le dolcezze pestifere che da te ci hanno allontanato.

Tutto al servizio di Dio
15. 24. Ascolta, Signore, la mia implorazione: non venga meno la mia anima sotto la tua disciplina, non venga meno io nel confessarti gli atti della tua commiserazione, con cui mi togliesti dalle mie pessime strade. Che tu mi riesca più dolce di tutte le attrazioni dietro a cui correvo; che io, ti ami fortissimamente e stringa con tutto il mio, intimo essere la tua mano; che tu mi scampi da ogni tentazione fino alla fine. Ecco, non sei tu, Signore, il mio re e il mio Dio? Al tuo servizio sia rivolto quanto di utile imparai da fanciullo, sia rivolta la mia capacità di parlare e scrivere e leggere e computare. Mentre io imparavo delle vanità, tu mi davi una disciplina, e i diletti peccaminosi che in quella vanità io trovai, tu me li hai perdonati. Sì, se appresi per loro mezzo molti vocaboli utili, è possibile apprenderli anche attraverso materie meno vane, e questa è la via sicura, per cui i fanciulli dovrebbero camminare.

La poesia corrotta e corruttrice
16. 25. Ma guai a te, fiumana delle consuetudini umane! Chi ti resisterà? fino a quando non ti seccherai, fino a quando travolgerai i figli di Eva nel vasto e terribile mare, che appena riescono a traversare coloro che si sono imbarcati sul legno? Non ho letto fra le tue onde di un Giove tonante e adultero? due atti che non poteva davvero compiere simultaneamente, eppure glieli fecero compiere, perché ottenesse credito il modello di un adulterio vero col lenocinio di un tuono falso. Chi però fra i maestri paludati ascolta senza alterarsi un uomo che dalla sua stessa lizza proclama ad alta voce: "Queste sono invenzioni di Omero, il quale trasferiva qualità umane agli dei. Io preferirei avesse trasferito qualità divine a noi"? I più esattamente si potrebbe però dire: Omero nell’immaginare queste vicende attribuiva qualità divine a uomini viziosi, per ottenere che i vizi non fossero ritenuti vizi, e chiunque vi si abbandonasse, sembrasse imitare non già la corruzione umana ma la celestialità divina.

– 26. Ciò nonostante i figli degli uomini sono gettati nelle tue onde, o fiumana tartarea, e si paga perché apprendano queste nozioni; e si tratta di cosa seria, se viene compiuta ufficialmente, sulla piazza principale della città, sotto gli occhi delle leggi, che assegnano ai maestri un salario pubblico in aggiunta alla mercede dei privati. Battendo contro le tue rocce, sembri dire col tuo fragore: "Qui dentro s’imparano le parole, di qui si attinge l’eloquenza, assolutamente necessaria per convincere e spiegare il proprio pensiero". Certo noi non conosceremmo parole quali "pioggia aurea", "grembo", "trucco", "templi celesti", e le altre che si trovano nel passo seguente di Terenzio, se il poeta non avesse portato in scena un giovinastro, che si propone per il proprio stupro l’esempio di Giove, mentre osserva sopra la parete un dipinto, ove era raffigurata questa scena: Giove che, come si narra, fa cadere una pioggia aurea in grembo a Danae, truccato per una donna. Guarda poi come, dietro il magistero celeste, diremmo, egli si ecciti al piacere:

"E qual dio! dice: quello che i templi celesti

con immenso fragor sconquassa.

Ed io,un povero mortal, non lo farei?

Ma io l’ho fatto, e molto volentieri".

Non è affatto vero, non è affatto vero che sconcezze simili agevolino l’apprendimento delle parole; piuttosto, grazie alle parole si eseguono più leggermente le sconcezze. Io non accuso le parole, che direi vasi eletti e preziosi, ma il vino del peccato, che in esse ci veniva propinato da maestri ebbri, e che dovevamo sorbire, pena le busse, senza possibilità di appellarci a un giudice sobrio. Eppure io, Dio mio, davanti a cui evoco ormai pacatamente questi ricordi, imparai volentieri quelle nozioni. Esse costituivano per me, sventurato, un diletto, e perciò venivo definito un fanciullo di belle speranze.

Impiego vano di un’intelligenza eccellente
17. 27. Permettimi, Dio mio, di spendere qualche parola anche sul mio intelletto, tuo dono; di dire in quali vaneggiamenti si logorava. Mi veniva assegnato il compito, piuttosto inquietante al mio spirito per l’allettamento degli elogi e il timore delle mortificazioni e delle busse, di riferire le parole di Giunone adirata e crucciata perché non può stornare dall’Italia il re dei teucri, parole che da Giunone non avevo mai sentito pronunciare. Eppure eravamo costretti a perderci sulle orme di queste invenzioni poetiche, riferendo in prosa quanto il poeta aveva riferito in versi; e i maggiori elogi nella dizione toccavano a chi esprimeva sentimenti d’ira e cruccio più adeguati al rango del personaggio rappresentato, e rivestiva i concetti di parole più convenienti. Quale vantaggio mi recavano, o vera vita, Dio mio, gli applausi tributati alla mia recitazione più che a quella dei miei molti coetanei e condiscepoli? Non era, ecco, tutto fumo e vento? non esisteva nessun’altra materia, ove esercitare il mio intelletto e la mia lingua? Le tue lodi, Signore, le tue lodi disseminate nelle tue Scritture avrebbero ben potuto reggere il tralcio del mio cuore. Così non sarebbe stato travolto nei vuoti delle frivolezze, né sconciato da uccelli rapaci. In molti modi si sacrifica agli angeli ribelli.

Vanità degli uomini
18. 28. Ma che c’è di strano, se mi lasciavo attrarre fra le vanità e mi sviavo lontano da te, Dio mio, quando mi venivano proposti a modello certi uomini, i quali, rimproverati di essere caduti, nell’esporre alcune loro azioni non malvagie, in un barbarismo o solecismo, si turbavano; mentre, lodati per aver narrato le proprie sregolatezze con facondia ed eleganza, facendo uso di vocaboli puri e armonizzandoli a dovere, se ne gloriavano? Tu vedi queste cose, Signore, e longanime, misericordiosissimo, veritiero taci: ma sempre tacerai? ed ora trai da questo baratro spaventoso l’anima che ti cerca, assetata delle tue gioie, il cuore che ti dice: "Ho cercato il tuo volto; il tuo Volto, Signore, ricercherò", perché lontani dal tuo volto si è nelle tenebre della passione. Da te ci allontaniamo e a te torniamo senza muovere i piedi, senza attraversare spazio di luoghi; oppure bisogna intendere che il tuo figlio secondogenito, di cui parla la parabola, dovette procacciarsi davvero un cavallo, un carro, una nave, o s’involò con ali visibili, o percorse la strada col moto delle gambe per dissipare da prodigo, vivendo in un paese lontano, ciò che alla partenza gli avevi dato, padre amabile per i tuoi doni, più amabile al suo desolato ritorno. No, gli bastò vivere nella sregolatezza della passione, perché questo è davvero un vivere tenebroso, ed è vivere lontano dal tuo volto. – 29. Guarda, Signore Dio, e pazientemente, come guardi, guarda il rigore con cui da un lato i figli degli uomini osservano le leggi delle lettere e delle sillabe, ricevute da chi prima di loro usò le parole; e la noncuranza che dall’altro dimostrano verso le leggi eterne della salvezza perpetua, ricevute da te. Così se uno di coloro che conoscono e insegnano le antiche convenzioni dei suoni, pronuncia homo senza aspirare la prima sillaba a dispetto delle regole grammaticali, gli uomini ne sono urtati più che se, uomo, odia un altro uomo a dispetto del tuoi precetti: quasi che il peggiore dei nemici potesse danneggiarlo più dell’odio stesso che lo eccita contro di lui, o si potesse rovinare un estraneo perseguitandolo, più di quanto si rovini il, proprio cuore inasprendolo. Certo la scienza delle lettere non è impressa più addentro in noi di ciò che sta scritto nella nostra coscienza, cioè che agli altri non facciamo quanto non vorremmo subire. Come sei nascosto tu, che abiti tacito nei cieli più alti, Dio solo grande, che con legge instancabile spargi tenebre punitrici sulle passioni illecite, mentre un uomo in cerca di gloria nell’eloquenza, innanzi a un altro uomo in veste di giudice è in mezzo a una moltitudine di uomini che lo attorniano, si accanisce con odio bestiale contro un suo, nemico ed evita con la massima circospezione di cadere in un fallo di pronuncia, dicendo "inter omines", ma non evita di sottrarre al consorzio umano un uomo per i furori della propria mente.

I peccati del fanciullo
19. 30. Sulla soglia di una simile scuola di moralità io, povero fanciullo, ero disteso; e in una tale arena si svolgeva il mio addestramento, ov’ero più timoroso di cadere in un’improprietà di linguaggio, che attento a evitare, nel cadervi, l’invidia verso chi non vi cadeva. Dico questo, Dio mio, e ti confesso di che mi lodavano le persone, il cui compiacimento costituiva allora per me l’onore della vita. Non scorgevo la voragine d’ignominia in cui mi ero proiettato lontano dai tuoi occhi. Al loro sguardo nulla ormai doveva essere più deforme di me, se giunsi a dispiacere persino a quella gente con le innumerevoli menzogne usate per ingannare il pedagogo e i maestri e i genitori, tanto era grande il mio amore per il gioco, la mia passione per gli spettacoli frivoli e la smania d’imitare gli attori. Commisi persino qualche furto dalla dispensa e dalla tavola dei miei genitori, ora spinto dalla gola, ora per procurarmi qualcosa da distribuire agli altri fanciulli, che vendevano i loro giochi, sebbene vi trovassero un diletto pari al mio. Nel gioco stesso, dominato dal vano desiderio, di eccellere, spesso carpivo arbitrariamente la vittoria con la frode. Eppure nulla ero così restio a sopportare, e nulla redarguivo così aspramente negli altri, se li sorprendevo, come ciò che facevo loro; mentre, se ero io ad essere sorpreso e redarguito, preferivo infierire, piuttosto di cedere. E questa sarebbe l’innocenza dei fanciulli? No, Signore, non lo è, dimmelo tu, Dio mio. È sempre la stessa cosa, che dai pedagoghi e dai maestri, dalle noci e dalle pallottoline e dai passeri si trasferisce ai governatori e ai re, all’oro, ai poderi, agli schiavi, assolutamente la stessa cosa, pur nel succedersi di età più gravi, come succedono alle verghe più gravi supplizi. Perciò tu, re nostro, nella statura dei fanciulli hai approvato soltanto il simbolo dell’umiltà quando hai detto: "Di chi assomiglia a costoro è il regno dei cieli".

Ringraziamento a Dio per tutti i suoi doni
20. 31. Eppure, Signore, a te eccellentissimo, ottimo creatore e reggitore dell’universo, a te Dio nostro, grazie, anche se mi avessi voluto soltanto fanciullo. Perché anche allora esistevo, vivevo, sentivo, avevo a cuore la preservazione del mio essere, immagine della misteriosissima unità da cui provenivo; vigilavo con l’istinto interiore sull’integrità dei miei sensi, e persino in quei piccoli pensieri, su piccoli oggetti, godevo della verità; non volevo essere ingannato, avevo una memoria vivida, ero fornito di parola, m’intenerivo all’amicizia, evitavo il dolore, il disprezzo, l’ignoranza. Cosa vi era in un tale essere, che non fosse ammirevole è pregevole? E tutti sono doni del mio Dio, non io li ho dati a me stesso. Sono beni, e tutti sono io. Dunque è buono chi mi fece, anzi lui stesso è il mio bene, e io esulto in suo onore per tutti i beni di cui anche da fanciullo era fatta la mia esistenza. Il mio peccato era di non cercare in lui, ma nelle sue creature, ossia in me stesso e negli altri, i diletti, i più amati, le verità, precipitando così nei dolori, nelle umiliazioni, negli errori. A te grazie, dolcezza mia e onore mio e fiducia mia, Dio mio, a te grazie dei tuoi doni. Tu però conservameli, così conserverai me pure, e tutto ciò che mi hai donato crescerà e si perfezionerà, e io medesimo sussisterò con te, poiché tu mi hai dato di sussistere.


Capitolo 7: la strage degli innocenti

Vita della Santa Vergine Maria - Beata Anna Caterina Emmerick

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100 - Le visioni di Anna Caterina Emmerick intorno ai preparativi di Erode per la strage degli Innocenti

Sabato 10 febbraio 1821, Suor Emmerick si addormentò, dopo essere stata assai disturbata da preoccupazioni temporali relative all'abitazione. Si svegliò consolata perché aveva sognato un anziano e pio sacerdote di sua conoscenza che era venuto a confortarla.

Questo sacerdote pio e saggio mi disse: "Non curarti di nessuna abitazione, ma pensa soltanto a tener puro il tuo cuore per ricevere degnamente il Signore quando Egli viene ad abitare in te. Quando Giuseppe giunse a Betlemme non cercò abitazione per sé ma piuttosto per Gesù, allora ripulì accuratamente la Grotta del Presepio". Inoltre aggiunse: "Quando l'Angelo esortò Giuseppe a fuggire con Gesù e con Maria Santissima in Egitto, egli non si curò di cercare un'abitazione ma partì immediatamente obbedendo al comando Divino".

Lo scrittore, supponendo che l'estatica avesse anche quest'anno visioni relative alla fuga in Egitto, le domandò: "Giuseppe fuggì proprio in questo giorno in Egitto?". Lei rispose chiaramente: "No, il giorno in cui la Santa Famiglia fuggì corrisponde al nostro 29 febbraio".

In merito all'età precisa di Gesù al tempo della fuga, ella disse:

"Gesù poteva avere poco più di un anno; lo vidi giocare vicino ad un cespuglio di balsami durante una sosta".

Un'altra volta Suor Emmerick disse di aver saputo che Gesù a quell'epoca aveva l'età di nove mesi.

Domenica 25 febbraio.

Vedo la Santa Vergine lavorare all'uncinetto e tessere abitini. Tiene assicurato alla coscia destra un piccolo rotolo contenente della lana, ed in mano ha due bastoncini che mi sembrano d'osso e che portano alle estremità degli uncinetti. Il Santo Bambino giace nella culla e la Madonna lavora seduta oppure in piedi, ma sempre vicino a Lui. Giuseppe invece lavora come artigiano: intreccia delle stuoie con fili di scorza d'albero. Con queste forma delle intere tavole che servono per montare letti. In una capanna vicino alla casa egli ha immagazzinato un gran numero di simili stuoie e le ha disposte l'una sull'altra. San Giuseppe lavora con molto amore, sulle stuoie vi scolpisce anche disegni raffiguranti stelle, cuori ed altre simili immagini. Egli è lontano dall'immaginare la prossima persecuzione e la fuga in Egitto. Anna viene quasi ogni giorno a visitare la Santa Famiglia. Ebbi la visione di Erode che faceva arruolare nuove guardie: gli arruolati ricevevano equipaggiamento e armi in un grande cortile. Portavano al braccio una specie di scudo a mezzaluna e impugnavano lance e sciabole corte assai larghe, simili ai nostri coltelli da macello. Avevano in testa l'elmo e molti porta-vano legacci intorno alle gambe.

Lunedì 26 febbraio.

Vidi Erode assai agitato e tormentato nell'animo, come quando i Magi lo avevano interrogato se conosceva il nuovo "re dei Giudei". Egli si consigliava con "i dotti delle sacre carte", i quali studiavano i sacri Scritti contenuti in lunghe pergamene assicurate a dei bastoni lunghissimi. Siccome non si riusciva a stabilire con precisione dove fosse nato il "futuro re", Erode diede l'ordine crudele di sopprimere con cautela tutti i fanciulli minori di due anni. I nuovi soldati, che appunto erano stati addestrati ed equipaggiati, furono inviati in diversi luoghi tra Gerusalemme e dintorni. La truppa più numerosa fu mandata a Betlemme. Credo che i soldati avessero ricevuto il compito di occupare i luoghi dove passavano le madri con i propri figli dirette a Gerusalemme. Questo veniva fatto per non agire direttamente nei centri abitati, perché il tiranno temeva eventuali sommosse popolari.

Martedì 27 febbraio.

I soldati di Erode, oltre Gerusalemme e dintorni, strinsero la morsa intorno ad Hebron, Betlemme e in un altro paese che si trova presso il mar Morto. Gli abitanti di queste zone furono atterriti.

101 - Preghiera di Suor Emmerick nella ricorrenza della strage degli Innocenti: Dio salva un fanciullo per intercessione della Veggente

Ieri sera Suor Emmerick si addormentò molto agitata; improvvisamente si alzò sul letto e, raggiante in volto, così esclamò:

"11 povero fanciullo è salvo! Ho pregato molto finché la madre dopo averlo stretto a sé, ha rinunciato a gettarlo nella palude. Dio, come sono felice di ciò!".

A queste parole, lo scrittore le domandò cosa avesse voluto dire; allora la mistica di Dulmen così proseguì:

"Non molto lontano da qui, una ragazza sedotta voleva annegare il suo bambino appena nato. In seguito alle visioni sulla strage degli Innocenti ho pregato Iddio con molto fervore affinché non lasciasse morire alcun bambino senza battesimo. Quando fioriscono le rose nel giardino della Chiesa celeste bisogna coglierle sulla terra; Dio mi ha così esaudito, ed io sono stata d'aiuto a quella madre e a suo figlio".

Il giorno seguente Suor Emmerick descrisse la visione in modo più comprensibile:

"Il mio Angelo custode mi aveva condotto da una ragazza sedotta. Mi pare che fosse giunta nei pressi di una palude, a sinistra della strada che conduce a K.. Dopo aver messo alla luce il bambino lo pose nel grembiule e si avvicinò faticosamente alla palude, la cui superficie era piena di erba. Dietro a lei vidi una figura gigantesca ed oscura vestita di luce sinistra, credo che fosse uno spirito maligno. Appena avanzai, pregando ardentemente, la figura nera fuggì via. Frattanto la madre, dopo aver riabbracciato e benedetto il bambino, non ebbe più il coraggio di annegano. Era confusa e non sapeva cosa fare, pianse amaramente. Io, che ero giunta vicino a lei con lo spirito, la consolai e le suggerii di affidarsi al consiglio del suo confessore. Ella non mi vide ma il suo Angelo custode glielo riferì.

102 - Anna e la sua ancella portano sostegni alimentari alla Sacra Famiglia - Preghiera in comune

Martedì 27 ftbbraio.

Oggi ho veduto Anna e l'ancella dirette a Nazareth. L'ancella portava un involto pendente al fianco, un canestro sul capo e un altro in mano. Erano panieri rotondi, di cui uno era trasparente e conteneva alcuni uccelli. Anna provvedeva ai bisogni di sua figlia poiché Maria non aveva sempre l'occorrente nella sua abitazione.

Mercoledì 28 febbraio.

Verso sera, vidi Anna e sua figlia maggiore vicino alla Vergine. Maria Heli aveva portato anche suo nipote, il primogenito di Maria di Cleofa; il fanciullo aveva quattro o cinque anni ed era assai robusto. Gesù era l'oggetto della loro tenerezza, se lo strinsero tutte al petto e poi lo passarono nelle braccia del fanciullo. Maria Heli abitava in un piccolo villaggio situato a circa tre ore di cammino da Nazareth, verso il sud. La sua dimora, come quella di Anna, era ben curata. Un cortile murato mostrava al centro un pozzo, l'acqua zampillava in un bacino di pietra manovrando un certo dispositivo al suolo. Suo marito si chiamava Cleofa; sua figlia, Maria (Cleofa), era maritata con un certo Alfeo ed abitava all'altra estremità del villaggio. Quando di sera le donne pregavano, alla parete veniva appoggiato un tavolo coperto di stoffa rossa e bianca sul quale si trovava un rotolo. La Vergine lo svolgeva e lo appendeva alla parete sopra il tavolo: allora si mostrava una figura dai colori chiari, era assai strana, sembrava un cadavere fasciato come un bambino e avvolto in un lungo mantello bianco. ll mantello copriva anche la testa della figura, che teneva qualcosa nella mano. Vidi quest'immagine già a casa di Anna, in occasione della cerimonia di commiato per l'ingresso al tempio di Maria Santissima. Allora questa figura, che pareva tenesse in mano un calice, mi richiamò alla mente Melchisedeck; un'altra volta mi parve raffigurasse Mosè. Mentre le donne pregavano alla luce di una lampada, io mi sentii vicino a loro. La Santa Vergine e la sorella stavano davanti ad Anna, avevano le mani raccolte sul petto e poi le allargavano. Maria Santissima leggeva lentamente, quasi sussurrando, da un'antica pergamena che svolgeva a poco, a poco. Il modo e il tono con cui intonavano le preci mi rammentava il coro soave del chiostro.


9 maggio 1977 - SI', GESU' MIO, IO CREDO

Mons. Ottavio Michelini

Scrivi, figlio mio:

Credi tu che io, Gesù, Verbo Eterno di Dio fatto Carne, sono realmente presente nello stato di vittima qui dinanzi a te nel tabernacolo?

- Sì, Gesù mio, io lo credo fermamente.

- Credi tu nel Mistero della mia Incarnazione, Passione e Morte, credi nella mia Risurrezione e Ascensione al cielo?

- Sì, io lo credo.

- Credi tu, figlio mio, che la Chiesa e mistero in cui l'umano e il divino s'incontrano e si fondono, come la mia Divinità e la mia Umanità s'incontrano e si fondono nella mia Persona divina?

- Certo, Signore, io lo credo e lo voglio credere.

- Credi tu ancora che la Chiesa, mio Corpo Mistico, è uscita dal mio Cuore aperto?

- Sì, Gesù mio. Io credo

- Credi tu che la Chiesa da me voluta è sacramento di salvezza?

- Lo credo.

- Credi tu, figlio mio, che io Gesù sono realmente presente nella mia Chiesa, personalmente presente nel Sacramento Eucaristico, con la mia Parola, Io (pag. 158) sono il Verbo di Dio, sono presente ancora nel mio Vicario.

- Sì che lo credo.

- Fortunato e beato te, figlio, che credi. Beato te, figlio che la fede in te vive, ti fa vedere, ciò che molti non vedono; non vedendo non amano, non amando sono nella morte, vi può essere nel mondo sventura maggiore di questa?

- No, Signore.

- Credi tu, figlio mio, nella Missione che il Padre mio celeste mi ha affidato?

- Sì, lo credo.

 

Il più sconcertante paradosso

- Sono venuto nel mondo per adempiere la volontà del Padre mio celeste e la volontà del Padre mio era che io mi offrissi e mi offra in olocausto per strappare le anime a Satana e alle sue legioni infernali. Ma, figlio mio, se Satana con le orde infernali non esiste, se Satana è solo un tabù, inventato dalla Chiesa, falsa è la missione affidatami dal Padre, falso il mistero della mia Incarnazione, della mia Passione e morte in croce, non realtà la Chiesa, invenzione il mistero della mia Risurrezione e Ascensione al Cielo, pura invenzione la Bibbia, invenzione i miei Vangeli non vera la storicità del fulcro di tutta la storia umana, cioè il mistero della Redenzione, non veri gli insegnamenti dei Padri e dei Dottori della Chiesa, una (pag. 159) mistificazione la vita dei santi, una mistificazione il sacrificio sublime dei martiri, tutta una colossale e gigantesca bugia a cui hanno creduto le generazioni e popoli di tutta la terra.

Il filone della storia dell'umanità non sarebbe che un grande inganno compiuto a danno della stessa umanità. Questo il balordo tentativo del più acerrimo nemico dell'umanità che proprio grazie al peccato originale ha potuto piombare l'umanità mortalmente ferita nell'oscurità più profonda.

Figlio mio, che Satana il quale è oscurità sia riuscito ad ingannare popoli e nazioni è triste e doloroso ma che Satana sia riuscito ad infiltrare il suo veleno in molti Vescovi e ministri miei, questo è il più sconcertante paradosso che si potesse verificare.

 

La purificazione; ora di grande giustizia ma anche di infinita misericordia

Figlio mio, può tollerare oltre il Padre mio celeste che infinitamente mi ama ma che con pari amore ama l'umanità per la cui salvezza non ha esitato a mandare Me, suo Unigenito figlio a morire sulla croce?

Figlio mio, può il Padre mio Celeste tollerare ancora a lungo il turpe connubio di pastori e ministri miei, di anime consacrate, di comunità religiose, con le potenze oscure e malvagie dell'inferno? (pag. 160)

Hanno rifiutato la luce vera venuta in questo mondo, per lasciarsi opprimere e soffocare dalle sadiche forze del male.

Figlio mio, a te è stato concesso di vedere il baratro spaventoso in cui popoli e Chiesa stanno per precipitare. La Purificazione, peraltro in atto, sarà ora di grande giustizia, ma anche d'infinita misericordia, poiché aprirà all'umanità orizzonti prima d'ora sconosciuti.

Ti benedico figlio, voglimi bene, prega e ripara, e offri le tue sofferenze affinché il tempo sia abbreviato. Saranno le anime vittime col loro soffrire ad abbreviare i giorni oscuri della purificazione. (pag. 161)