Liturgia delle Ore - Letture
Martedi della 32° settimana del tempo ordinario (San Martino di Tours)
Vangelo secondo Luca 16
1Diceva anche ai discepoli: "C'era un uomo ricco che aveva un amministratore, e questi fu accusato dinanzi a lui di sperperare i suoi averi.2Lo chiamò e gli disse: Che è questo che sento dire di te? Rendi conto della tua amministrazione, perché non puoi più essere amministratore.3L'amministratore disse tra sé: Che farò ora che il mio padrone mi toglie l'amministrazione? Zappare, non ho forza, mendicare, mi vergogno.4So io che cosa fare perché, quando sarò stato allontanato dall'amministrazione, ci sia qualcuno che mi accolga in casa sua.5Chiamò uno per uno i debitori del padrone e disse al primo:6Tu quanto devi al mio padrone? Quello rispose: Cento barili d'olio. Gli disse: Prendi la tua ricevuta, siediti e scrivi subito cinquanta.7Poi disse a un altro: Tu quanto devi? Rispose: Cento misure di grano. Gli disse: Prendi la tua ricevuta e scrivi ottanta.8Il padrone lodò quell'amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza. I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce.
9Ebbene, io vi dico: Procuratevi amici con la disonesta ricchezza, perché, quand'essa verrà a mancare, vi accolgano nelle dimore eterne.
10Chi è fedele nel poco, è fedele anche nel molto; e chi è disonesto nel poco, è disonesto anche nel molto.
11Se dunque non siete stati fedeli nella disonesta ricchezza, chi vi affiderà quella vera?12E se non siete stati fedeli nella ricchezza altrui, chi vi darà la vostra?
13Nessun servo può servire a due padroni: o odierà l'uno e amerà l'altro oppure si affezionerà all'uno e disprezzerà l'altro. Non potete servire a Dio e a mammona".
14I farisei, che erano attaccati al denaro, ascoltavano tutte queste cose e si beffavano di lui.15Egli disse: "Voi vi ritenete giusti davanti agli uomini, ma Dio conosce i vostri cuori: ciò che è esaltato fra gli uomini è cosa detestabile davanti a Dio.
16La Legge e i Profeti fino a Giovanni; da allora in poi viene annunziato il regno di Dio e ognuno si sforza per entrarvi.
17È più facile che abbiano fine il cielo e la terra, anziché cada un solo trattino della Legge.
18Chiunque ripudia la propria moglie e ne sposa un'altra, commette adulterio; chi sposa una donna ripudiata dal marito, commette adulterio.
19C'era un uomo ricco, che vestiva di porpora e di bisso e tutti i giorni banchettava lautamente.20Un mendicante, di nome Lazzaro, giaceva alla sua porta, coperto di piaghe,21bramoso di sfamarsi di quello che cadeva dalla mensa del ricco. Perfino i cani venivano a leccare le sue piaghe.22Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli nel seno di Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto.23Stando nell'inferno tra i tormenti, levò gli occhi e vide di lontano Abramo e Lazzaro accanto a lui.24Allora gridando disse: Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell'acqua la punta del dito e bagnarmi la lingua, perché questa fiamma mi tortura.25Ma Abramo rispose: Figlio, ricordati che hai ricevuto i tuoi beni durante la vita e Lazzaro parimenti i suoi mali; ora invece lui è consolato e tu sei in mezzo ai tormenti.26Per di più, tra noi e voi è stabilito un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi non possono, né di costì si può attraversare fino a noi.27E quegli replicò: Allora, padre, ti prego di mandarlo a casa di mio padre,28perché ho cinque fratelli. Li ammonisca, perché non vengano anch'essi in questo luogo di tormento.29Ma Abramo rispose: Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro.30E lui: No, padre Abramo, ma se qualcuno dai morti andrà da loro, si ravvederanno.31Abramo rispose: Se non ascoltano Mosè e i Profeti, neanche se uno risuscitasse dai morti saranno persuasi".
Primo libro di Samuele 11
1Circa un mese dopo, Nacas l'Ammonita si mosse e pose il campo contro Iabes di Gàlaad. Tutti i cittadini di Iabes di Gàlaad dissero allora a Nacas: "Vieni a patti con noi e ti saremo sudditi".2Rispose loro Nacas l'Ammonita: "A queste condizioni mi alleerò con voi: possa io cavare a tutti voi l'occhio destro e porre tale gesto a sfregio di tutto Israele".3Di nuovo chiesero gli anziani di Iabes: "Lasciaci sette giorni per inviare messaggeri in tutto il territorio d'Israele. Se nessuno verrà a salvarci, usciremo incontro a te".4I messaggeri arrivarono a Gàbaa di Saul e riferirono quelle parole davanti al popolo e tutto il popolo levò la voce e pianse.5Or ecco Saul veniva dalla campagna dietro l'armento. Chiese dunque Saul: "Che ha il popolo da piangere?". Riferirono a lui le parole degli uomini di Iabes.6Lo spirito di Dio investì allora Saul ed egli, appena udite quelle parole, si irritò molto.7Poi prese un paio di buoi, li fece a pezzi e ne inviò in tutto il territorio d'Israele mediante messaggeri con questo proclama: "Se qualcuno non uscirà dietro Saul e dietro Samuele, la stessa cosa avverrà dei suoi buoi". Si sparse lo spavento del Signore nel popolo e si mossero come un sol uomo.8Saul li passò in rassegna a Bèzek e risultarono trecentomila Israeliti e trentamila di Giuda.9Dissero allora ai messaggeri che erano giunti: "Direte ai cittadini di Iabes di Gàlaad: Domani, quando il sole comincerà a scaldare, avverrà la vostra salvezza".
I messaggeri partirono e riferirono agli uomini di Iabes, che ne ebbero grande gioia.10Allora gli uomini di Iabes diedero risposta a Nacas: "Domani usciremo incontro a voi e ci farete quanto sembrerà bene ai vostri occhi".11Il giorno dopo Saul divise il grosso in tre schiere e irruppe in mezzo al campo nemico sul far del mattino; batterono gli Ammoniti finché il giorno si fece caldo. Quelli che scamparono furono dispersi talmente che non ne rimasero due insieme.
12Il popolo allora disse a Samuele: "Chi ha detto: Dovrà forse regnare Saul su di noi? Consegnaci costoro e li faremo morire".13Ma Saul disse: "Oggi non si deve far morire nessuno, perché in questo giorno il Signore ha operato una liberazione in Israele".14Samuele ordinò al popolo: "Su, andiamo a Gàlgala: là inaugureremo il regno".15Tutto il popolo si portò a Gàlgala e là davanti al Signore in Gàlgala riconobbero Saul come re; qui ancora offrirono sacrifici di comunione davanti al Signore e qui fecero grande festa Saul e tutti gli Israeliti.
Siracide 10
1Un governatore saggio educa il suo popolo,
l'autorità di un uomo assennato sarà ben ordinata.
2Quale il governatore del popolo, tali i suoi ministri;
quale il capo di una città, tali tutti gli abitanti.
3Un re senza formazione rovinerà il suo popolo;
una città prospererà per il senno dei capi.
4Il governo del mondo è nelle mani del Signore;
egli vi susciterà al momento giusto l'uomo adatto.
5Il successo dell'uomo è nelle mani del Signore,
che investirà il magistrato della sua autorità.
6Non crucciarti con il tuo prossimo per un torto
qualsiasi;
non far nulla in preda all'ira.
7Odiosa al Signore e agli uomini è la superbia,
all'uno e agli altri è in abominio l'ingiustizia.
8L'impero passa da un popolo a un altro
a causa delle ingiustizie, delle violenze e delle
ricchezze.
9Perché mai si insuperbisce chi è terra e cenere?
Anche da vivo le sue viscere sono ripugnanti.
10La malattia è lunga, il medico se la ride;
chi oggi è re, domani morirà.
11Quando l'uomo muore eredita insetti, belve e vermi.
12Principio della superbia umana è allontanarsi dal
Signore,
tenere il proprio cuore lontano da chi l'ha creato.
13Principio della superbia infatti è il peccato;
chi vi si abbandona diffonde intorno a sé l'abominio.
Per questo il Signore rende incredibili i suoi castighi
e lo flagella sino a finirlo.
14Il Signore ha abbattuto il trono dei potenti,
al loro posto ha fatto sedere gli umili.
15Il Signore ha estirpato le radici delle nazioni,
al loro posto ha piantato gli umili.
16Il Signore ha sconvolto le regioni delle nazioni,
e le ha distrutte fin dalle fondamenta della terra.
17Le ha estirpate e annientate,
ha fatto scomparire dalla terra il loro ricordo.
18Non è fatta per gli uomini la superbia,
né per i nati di donna l'arroganza.
19Quale stirpe è onorata? La stirpe dell'uomo.
Quale stirpe è onorata? Coloro che temono il Signore.
20Quale stirpe è ignobile? La stirpe dell'uomo.
Quale stirpe è ignobile?
Coloro che trasgrediscono i comandamenti.
21Tra i fratelli è onorato il loro capo,
ma coloro che temono il Signore lo sono ai suoi occhi.
22Uno ricco, onorato o povero,
ponga il proprio vanto nel timore del Signore.
23Non è giusto disprezzare un povero assennato
e non conviene esaltare un uomo peccatore.
24Il nobile, il giudice e il potente sono onorati;
ma nessuno di loro è più grande di chi teme il Signore.
25Uomini liberi serviranno un servo sapiente;
un uomo intelligente non mormora per questo.
26Non fare il saccente nel compiere il tuo lavoro
e non gloriarti al momento del bisogno.
27Meglio uno che lavora e abbonda di tutto
che chi va in giro vantandosi e manca di cibo.
28Figlio, con modestia glorifica l'anima tua
e rendile onore secondo che merita.
29Chi darà ragione a uno che si dà torto da sé?
Chi stimerà uno che si disprezza?
30Un povero è onorato per la sua scienza,
un ricco è onorato per la sua ricchezza.
31Chi è onorato nella povertà,
quanto più lo sarà nella ricchezza?
Chi è disprezzato nella ricchezza,
quanto più lo sarà nella povertà?
Salmi 120
1'Canto delle ascensioni.'
Nella mia angoscia ho gridato al Signore
ed egli mi ha risposto.
2Signore, libera la mia vita
dalle labbra di menzogna,
dalla lingua ingannatrice.
3Che ti posso dare, come ripagarti,
lingua ingannatrice?
4Frecce acute di un prode,
con carboni di ginepro.
5Me infelice: abito straniero in Mosoch,
dimoro fra le tende di Cedar!
6Troppo io ho dimorato
con chi detesta la pace.
7Io sono per la pace, ma quando ne parlo,
essi vogliono la guerra.
Isaia 33
1Guai a te, che devasti e non sei stato devastato,
che saccheggi e non sei stato saccheggiato:
sarai devastato, quando avrai finito di devastare,
ti saccheggeranno, quando avrai finito di saccheggiare.
2Signore, pietà di noi, in te speriamo;
sii il nostro braccio ogni mattina,
nostra salvezza nel tempo dell'angoscia.
3Al rumore della tua minaccia fuggono i popoli,
quando ti levi si disperdono le nazioni.
4Si ammucchia la preda come si ammucchiano le cavallette
vi si precipita sopra come vi si precipitano le locuste.
5Eccelso è il Signore poiché dimora lassù;
egli riempie Sion di diritto e di giustizia.
6C'è sicurezza nelle sue leggi,
ricchezze salutari sono sapienza e scienza;
il timore di Dio è il suo tesoro.
7Ecco gli araldi gridano di fuori,
i messaggeri di pace piangono amaramente.
8Sono deserte le strade,
non c'è chi passi per la via.
Egli ha violato l'alleanza,
ha respinto i testimoni,
non si è curato di alcuno.
9La terra è in lutto e piena di squallore,
si scolora il Libano e intristisce;
la pianura di Saron è simile a una steppa,
brulli sono il Basan e il Carmelo.
10"Ora mi alzerò", dice il Signore,
"ora mi innalzerò, ora mi esalterò.
11Avete concepito fieno, partorirete paglia;
il mio soffio vi divorerà come fuoco.
12I popoli saranno fornaci per calce,
spini tagliati da bruciare nel fuoco.
13Sentiranno i lontani quanto ho fatto,
sapranno i vicini qual è la mia forza".
14Hanno paura in Sion i peccatori,
lo spavento si è impadronito degli empi.
"Chi di noi può abitare presso un fuoco divorante?
Chi di noi può abitare tra fiamme perenni?".
15Chi cammina nella giustizia e parla con lealtà,
chi rigetta un guadagno frutto di angherie,
scuote le mani per non accettare regali,
si tura gli orecchi per non udire fatti di sangue
e chiude gli occhi per non vedere il male:
16costui abiterà in alto,
fortezze sulle rocce saranno il suo rifugio,
gli sarà dato il pane, avrà l'acqua assicurata.
17I tuoi occhi vedranno un re nel suo splendore,
contempleranno un paese sconfinato.
18Il tuo cuore si chiederà nei suoi terrori:
"Dov'è colui che registra?
Dov'è colui che pesa il denaro?
Dov'è colui che ispeziona le torri?".
19Non vedrai più quel popolo straniero,
popolo dal linguaggio oscuro, incomprensibile,
dalla lingua barbara che non si capisce.
20Guarda Sion,
la città delle nostre feste!
I tuoi occhi vedranno Gerusalemme,
dimora tranquilla, tenda che non sarà più rimossa,
i suoi paletti non saranno divelti,
nessuna delle sue cordicelle sarà strappata.
21Poiché se là c'è un potente,
noi abbiamo il Signore,
al posto di fiumi e larghi canali;
non ci passerà nave a remi
né l'attraverserà naviglio più grosso.
22Poiché il Signore è nostro giudice,
il Signore è nostro legislatore,
il Signore è nostro re;
egli ci salverà.
23a Sono allentate le sue corde,
23b non tengono più l'albero diritto,
23c non spiegano più le vele.
23d Allora anche i ciechi divideranno una preda enorme
23e gli zoppi faranno un ricco bottino.
24Nessuno degli abitanti dirà:
"Io sono malato";
il popolo che vi dimora
è stato assolto dalle sue colpe.
Lettera agli Ebrei 10
1Avendo infatti la legge solo un'ombra dei beni futuri e non la realtà stessa delle cose, non ha il potere di condurre alla perfezione, per mezzo di quei sacrifici che si offrono continuamente di anno in anno, coloro che si accostano a Dio.2Altrimenti non si sarebbe forse cessato di offrirli, dal momento che i fedeli, purificati una volta per tutte, non avrebbero ormai più alcuna coscienza dei peccati?3Invece per mezzo di quei sacrifici si rinnova di anno in anno il ricordo dei peccati,4poiché è impossibile eliminare i peccati con il sangue di tori e di capri.5Per questo, entrando nel mondo, Cristo dice:
'Tu non hai voluto né sacrificio né offerta,
un corpo invece mi hai preparato'.
6'Non hai gradito
né olocausti né sacrifici per il peccato'.
7'Allora ho detto: Ecco, io vengo
- poiché di me sta scritto nel rotolo del libro -
per fare, o Dio, la tua volontà'.
8Dopo aver detto prima 'non hai voluto e non hai gradito né sacrifici né offerte, né olocausti né sacrifici per il peccato', cose tutte che vengono offerte secondo la legge,9soggiunge: 'Ecco, io vengo a fare la tua volontà'. Con ciò stesso egli abolisce il primo sacrificio per stabilirne uno nuovo.10Ed è appunto per quella volontà che noi siamo stati santificati, per mezzo dell'offerta del corpo di Gesù Cristo, fatta una volta per sempre.
11Ogni sacerdote si presenta giorno per giorno a celebrare il culto e ad offrire molte volte gli stessi sacrifici che non possono mai eliminare i peccati.12Egli al contrario, avendo offerto un solo sacrificio per i peccati una volta per sempre 'si è assiso alla destra di Dio',13aspettando ormai solo che 'i suoi nemici vengano posti sotto i suoi piedi'.14Poiché con un'unica oblazione egli ha reso perfetti per sempre quelli che vengono santificati.15Questo ce lo attesta anche lo Spirito Santo. Infatti, dopo aver detto:
16'Questa è l'alleanza che io stipulerò' con loro
'dopo quei giorni, dice il Signore:
io porrò le mie leggi nei loro cuori
e le imprimerò nella loro mente',
17dice:
'E non mi ricorderò più dei loro peccati e delle loro
iniquità'.
18Ora, dove c'è il perdono di queste cose, non c'è più bisogno di offerta per il peccato.
19Avendo dunque, fratelli, piena libertà di entrare nel santuario per mezzo del sangue di Gesù,20per questa via nuova e vivente che egli ha inaugurato per noi attraverso il velo, cioè la sua carne;21avendo noi un sacerdote grande sopra la casa di Dio,22accostiamoci con cuore sincero nella pienezza della fede, con i cuori purificati da ogni cattiva coscienza e il corpo lavato con acqua pura.23Manteniamo senza vacillare la professione della nostra speranza, perché è fedele colui che ha promesso.
24Cerchiamo anche di stimolarci a vicenda nella carità e nelle opere buone,25senza disertare le nostre riunioni, come alcuni hanno l'abitudine di fare, ma invece esortandoci a vicenda; tanto più che potete vedere come il giorno si avvicina.
26Infatti, se pecchiamo volontariamente dopo aver ricevuto la conoscenza della verità, non rimane più alcun sacrificio per i peccati,27ma soltanto una terribile attesa del giudizio e la vampa di un fuoco che dovrà divorare i ribelli.28Quando qualcuno ha violato la legge di Mosè, 'viene messo a morte' senza pietà 'sulla parola di due o tre testimoni'.29Di quanto maggior castigo allora pensate che sarà ritenuto degno chi avrà calpestato il Figlio di Dio e ritenuto profano quel sangue dell'alleanza dal quale è stato un giorno santificato e avrà disprezzato lo Spirito della grazia?30Conosciamo infatti colui che ha detto: 'A me la vendetta! Io darò la retribuzione!' E ancora: 'Il Signore giudicherà il suo popolo'.31È terribile cadere nelle mani del Dio vivente!
32Richiamate alla memoria quei primi giorni nei quali, dopo essere stati illuminati, avete dovuto sopportare una grande e penosa lotta,33ora esposti pubblicamente a insulti e tribolazioni, ora facendovi solidali con coloro che venivano trattati in questo modo.34Infatti avete preso parte alle sofferenze dei carcerati e avete accettato con gioia di esser spogliati delle vostre sostanze, sapendo di possedere beni migliori e più duraturi.35Non abbandonate dunque la vostra franchezza, alla quale è riservata una grande ricompensa.36Avete solo bisogno di costanza, perché dopo aver fatto la volontà di Dio possiate raggiungere la promessa.
37Ancora 'un poco', infatti, 'un poco appena,
e colui che deve venire, verrà e non tarderà'.
38'Il mio giusto vivrà mediante la fede;
ma se indietreggia, la mia anima non si compiace in lui'.
39Noi però non siamo di quelli che indietreggiano a loro perdizione, bensì uomini di fede per la salvezza della nostra anima.
Capitolo XVII: Affidare stabilmente in Dio ogni cura di noi stessi
Leggilo nella Biblioteca1. Figlio, lascia che io faccia con te quello che voglio: io so quello che ti è necessario. Tu hai pensieri umani e i tuoi sentimenti seguono spesso suggestioni umane. Signore, è ben vero quanto dici. La tua sollecitudine per me è più grande di ogni premura che io possa avere per me stesso. In verità, chi non rimette in te tutte le sue preoccupazioni si affida proprio al caso. Signore, purché la mia volontà sia continuamente retta e ferma in te, fai di me quello che ti piace. Giacché, qualunque cosa avrai fatto di me non può essere che per il bene. Se mi vuoi nelle tenebre, che tu sia benedetto; e se mi vuoi nella luce, che tu sia ancora benedetto. Se ti degni di darmi consolazione, che tu sia benedetto; e se mi vuoi nelle tribolazione, che tu sia egualmente benedetto.
2. Figlio, se vuoi camminare con me, questo deve essere il tuo atteggiamento. Devi essere pronto a patire, come pronto a godere; devi lietamente essere privo di tutto e povero, come sovrabbondante e ricco. Signore, qualunque cosa vorrai che mi succeda, la sopporterò di buon grado per tuo amore. Con lo stesso animo voglio accettare dalla tua mano bene e male, dolcezza e amarezza, gioia e tristezza; e voglio renderti grazie per ogni cosa che mi accada. Preservami da tutti i peccati, e non temerò né la morte né l'inferno. Purché tu non mi respinga per sempre cancellandomi dal libro della vita, qualunque tribolazione mi piombi addosso non mi farà alcun male.
Protreptico ai Greci
San Clemente Alessandrino - San Clemente Alessandrino
Leggilo nella Biblioteca
Capitolo 1
Amfione tebano e Arione di Metimna furono, tutti e due, abili nel canto, e, tutti. e due, mito e ancora questo loro canto è... argomento di canto per il coro degli Elleni - a causa dell'arte musicale per la quale l'uno adescò un pesce, l'altro cinse di mura Tebe. Un altro cantore, un trace (altro mito ellenico, questo), ammansiva le fiere col semplice canto e trapiantava da un posto all'altro gli alberi, i faggi, per mezzo della musica. Potrei narrarti anche un altro mito, fratello di questi, e parlarti di un altro cantore, Eunomo locrese, e della cicala Pitica. Era raccolta a Pito una solenne adunanza di Elleni, per celebrare la morte del serpente, ed era Eunomo che cantava il canto funebre del rettile; se questo canto fosse un inno o un lamento funebre sul serpente non saprei dire: quello che è certo è che vi era una gara, ed Eunomo suonava la cetra nell'ora della calura, quando le cicale, scaldate dal sole, cantavano sotto le foglie, su per i monti. Esse cantavano certamente, non in onore del serpente morto, del Pitico, ma del Dio sapientissimo un canto sciolto da ogni legge, migliore dei canti di Eunomo, regolati da leggi. Ed ecco si spezza una corda al Locrese, la cicala vola sul giogo della cetra, trillava sopra lo strumento musicale come su di un ramo: e il cantore, adattato il suo al canto della cicala, suppl in tal modo la corda mancante. Non fu dunque la cicala a essere attirata dal canto di Eunomo, come vuole il mito, che innalzò a Pito una statua di bronzo raffigurante Eunomo con la sua cetra, e la alleata del Locrese nella gara: ma spontaneamente essa vola sulla cetra, e canta spontaneamente, mentre agli Elleni, invece, sembra che essa non abbia fatto che rispondere alla musica di quello. Come dunque avete potuto prestar fede a vane favole, fino a supporre che gli animali siano affascinati dalla musica? Invece, solo il volto luminoso della verità (a quanto pare) vi sembra imbellettato, ed è guardato da voi con diffidenza. E cosi, il Citerone e l'Elicona e i monti degli Odrisi e dei Traci, luoghi di iniziazione all'errore, a causa dei misteri sono stati consacrati e celebrati con inni. Io, sebbene non si tratti che di favole, mi commuovo alle tante sventure, che sogliono essere argomento di tragedie: per voi invece le storie luttuose sono diventate drammi, e gli attori dei drammi spettacolo di gioia. Ma i drammi, e i poeti concorrenti alle Lenee, e già completamente ebbri, recingiamoli magari di edera, mentre essi delirano stranamente nel celebrare il bacchico rito, ma... rinchiudiamoli, insieme coi satiri e il tiaso furente e col restante coro di demoni, nei già invecchiati Elicona e Citerone. E facciamo scendere, invece, dall'alto, dal cielo, la Verità, insieme con la splendidissima Sapienza, verso il monte sacro di Dio e il coro sacro dei profeti. Ed essa, brillando di una luce che splende quanto più lontano è possibile, illumini dappertutto coloro che si rotolano nelle tenebre, e liberi gli uomini dall'errore, tendendo la sua altissima mano, cioè l'intelligenza, verso la salvezza. Ed essi, rialzate le loro teste, e levati gli occhi verso l'alto, lascino il Citerone e l'Elicona ed abitino Sion: "Da Sion infatti uscirà la Legge e il Verbo del Signore da Gerusalemme", cioè il Verbo celeste, il genuino competitore, incoronato nel teatro di tutto il mondo. E il mio Eunomo canta, non sul modo di Terpandro Nè su quello di Capione, e neppure su quello frigio o lidio o dorico, ma sull'eterno modo della nuova armonia, che ha nome da Dio, "il canto nuovo", il canto levitico: che duolo ed ira lenisce e dà l'oblio d'ogni male. Dolce e verace farmaco contro il dolore è stato infuso in questo canto. Mi sembra perciò che quel Trace e il Tebano e il Metimneo siano stati una sorta di uomini che non sono uomini, degli impostori, e che col pretesto della musica avendo corrotto la vita umana, per mezzo di qualche abile incantesimo essendo invasati dal demone, per condurre gli uomini alla rovina, celebrando delle efferatezze nei riti dei misteri e facendo dei lutti l'oggetto di onori divini, per primi abbiano tratto gli uomini al culto degli idoli: e con pietre e con tavole, cioè con statue e pitture, abbiano posto le fondamenta alla balordaggine della consuetudine, aggiogando alla estrema schiavitù, coi loro canti e i loro incantamenti, quella libertà veramente bella, di coloro che sono liberi cittadini sotto il cielo. Ma non tale è il mio cantore, Nè è giunto per sciogliere in lungo tempo l'amara schiavitù dei demoni che ci tiranneggiano: ma facendoci passare dal giogo dei demoni al giogo mite e filantropico della pietà, di nuovo richiama verso il cielo quelli che sono stati scagliati sulla terra. Solo lui infatti, fra quanti mai furono, mansuefaceva le fiere più selvagge di tutte, cioè gli uomini: mansuefaceva volatili, cioè gli uomini leggeri, rettili, cioè gli ingannatori, leoni, cioè gli iracondi, porci, cioè gli uomini dediti ai piaceri, lupi, cioè gli uomini rapaci. Pietre e legno sono gli inintelligenti, ma anche più insensibile delle pietre è l'uomo immerso nell'ignoranza. Testimone venga a noi la voce profetica, che s'accorda col canto della verità, voce che compiange coloro che si son consumati nell'ignoranza e nella follia: "Dio è capace di far sorgere da queste pietre dei figli ad Abramo ": Dio, il quale, avendo commiserato la grande stupidità e la durezza di cuore di quelli che sono diventati pietre rispetto alla verità, destò il seme della pietà, dotato del sentimento della virtù, da quelle pietre, cioè, dalle genti che hanno creduto nelle pietre. Un'altra volta, in un certo punto ha chiamato "prole di vipere" certi ipocriti velenosi e versipelle, che tendono insidie alla giustizia. Ma anche di questi serpenti, se qualcuno di sua volontà si penta, seguendo il Verbo, diventa "uomo di Dio ". Altri chiama allegoricamente "lupi", vestiti di pelli di pecore, intendendo significare i rapaci in forme di uomini. E tutte queste selvaggissime fiere, e le consimili pietre, lo stesso canto celeste le trasformò in uomini mansueti. "Eravamo infatti, eravamo una volta anche noi dissennati, disobbedienti, erranti, schiavi di piaceri e desideri vani, viventi nella malizia e nell'invidia, odiosi e odiantici l'un l'altro", come dice la Scrittura Apostolica, "ma quando apparve la bontà e la filantropia di Dio, nostro Salvatore, essa ci salvò, non per effetto delle opere che noi compiemmo in giustizia, ma secondo la sua misericordia". Vedi quanto potè il nuovo canto! Esso ha fatto uomini dalle pietre e uomini dalle fiere. Quelli che erano altrimenti morti, perchè non erano partecipi di quella che è veramente vita, solo ch'ebbero ascoltato il canto, rivissero. Questo canto anche ordinò armoniosamente l'universo, e accordò la dissonanza degli elementi in un ordine di consonanza, affinchè l'intero cosmo si armonizzasse con esso: e lasciò andare libero il mare, ma gli imped di invadere la terra, e rese ferma, al contrario, la terra, che prima era mobile, e la fissò come confine del mare. E calmò l'impeto del fuoco con l'aria, quasi che temperasse l'armonia dorica con la lidia; e mitigò il rigido freddo dell'aria con la mescolanza del fuoco, temperando armonicamente queste estreme note dell'universo. E questo canto incorrotto - sostegno del tutto e armonia dell'universo - che si estese dal centro alle estremità e dai vertici al centro, armonizzò questo tutto, non secondo la musica tracia, che è simile a quella di Iubal, ma secondo la paterna volontà di Dio, che David emulò. Il Verbo di Dio, nato da David ed esistente prima di lui, disprezzò la lira e la cetra, strumenti inanimati, e, avendo armonizzato collo Spirito Santo questo mondo, ed il piccolo mondo, cioè l'uomo, la sua anima come il suo corpo, suona a Dio per mezzo di questo strumento di molte voci, e canta con questo strumento che è l'uomo: " Giacchè tu sei per me cetra e flauto e tempio ": cetra, per l'armonia, flauto, per lo spirito, tempio, per il Verbo, affinchè l'una risuoni, l'altro spiri, e l'altro comprenda il Signore. Appunto David, il re, il citarista, di cui poco fa abbiamo fatto menzione, esortava alla verità, distoglieva dagli idoli, e molto era lontano dal celebrare i demoni, i quali anzi erano scacciati da lui con la musica verace, con la quale egli col solo canto guar Saul, quando questi era posseduto da essi. Il Signore fece l'uomo bello, spirante strumento, fatto a sua immagine: e certamente Egli stesso è uno strumento di Dio: strumento in tutto armonico, ben accordato e santo, sapienza che è sopra questo mondo, Verbo celeste. Che cosa vuole dunque questo strumento, il Verbo di Dio, il Signore, e il Nuovo Canto? Schiudere gli occhi dei ciechi e aprire le orecchie dei sordi e guidare verso il cammino della giustizia quelli che zoppicano o errano, mostrare Dio agli uomini dissennati, far cessare la corruzione, vincere la morte, riconciliare col Padre i figli disobbedienti. Lo strumento di Dio è filantropico: il Signore compassiona, castiga, esorta, ammonisce, salva, custodisce, e, per di più, come ricompensa della nostra istruzione, promette il regno dei cieli, questo solo guadagno traendo di noi, cioè la nostra salvezza. Il vizio infatti si nutre della rovina degli uomini, la verità, invece, come l'ape, senza guastare nessuna delle cose esistenti, non si allieta che della salvezza degli uomini. Tu hai dunque la promessa di Dio, hai la sua filantropia: partecipa della grazia. E il mio canto salutare non crederlo nuovo nello stesso senso in cui si dice nuovo un utensile o una casa: giacchè esso era "prima della stella del mattino" e "nel principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio e Dio era il Verbo ". Ma antico l'errore, e cosa nuova la verità sembra essere. Sia dunque che l'antichità dei Frigi sia dimostrata da mitiche capre, o, al contrario, che quella degli Arcadi sia dimostrata dai poeti che li dichiarano anteriori alla luna, o ancora, che quella degli Egiziani sia dimostrata da coloro che sognano che la terra di costoro sia stata la prima a produrre dei ed uomini: ma nessuno di costoro è anteriore a questo mondo, noi, invece, siamo anteriori alla fondazione del cosmo, in quanto a che, per il fatto di essere destinati ad essere in Lui, siamo stati generati anteriormente da Dio, noi, le creature razionali del Verbo di Dio, per il quale esistiamo dal principio, perchè il "Verbo era nel principio". Ma in quanto il Verbo era dall'origine, era ed è principio divino di ogni cosa, ma in quanto ora prese il nome - anticamente santificato, e degno della potenza: Cristo - il Verbo è stato da me chiamato Nuovo Canto. Il Verbo dunque, cioè Cristo, è la causa, e del nostro essere anticamente (era infatti in Dio) e del nostro esser bene, ed ora è apparso personalmente agli uomini questo Verbo, il solo che è tutte e due le cose, Dio e uomo, causa per noi di tutti i beni, dal quale imparando il vivere rettamente, siamo avviati verso la vita eterna. Infatti, secondo quel divino Apostolo del Signore, "la grazia salutare di Dio apparve a tutti gli uomini istruendoci, affinchè, rifiutata l'empietà e i desideri mondani, vivessimo sobriamente e giustamente e piamente nel mondo di ora, aspettando la beata speranza e l'apparizione della gloria del grande Dio e Salvatore nostro Gesù Cristo ". Questo è il Canto Nuovo, cioè l'apparizione, che fra di noi ha brillato soltanto ora, del Verbo che era nel principio, e perciò preesisteva: apparve sulla terra da poco il preesistente Salvatore, apparve Colui che esiste in Colui che esiste (perchè " il Verbo era presso Dio "), come Maestro; apparve il Verbo dal quale sono state create tutte le cose, e dopo averci dato nel principio il vivere, mediante la creazione, come Demiurgo, ci insegnò il ben vivere, apparsoci come Maestro; per poterci procurare dopo, come Dio, il vivere eternamente. Egli però non ora per la prima volta ebbe compassione di noi, per il nostro errore, ma già prima, dal principio, ne aveva avuto compassione, ed ora Egli, essendo apparso, ci ha salvati mentre eravamo già sul punto di perire. Giacchè ancora la maligna e strisciante fiera, con le sue arti magiche rende schiavi gli uomini e li supplizia, vendicandosi su di essi, come a me pare, al modo dei barbari, che si dice leghino gli schiavi di guerra ai cadaveri, finchè insieme putrefacciano. Questo maligno tiranno, infatti, questo serpente, avvinti a pietre e tavole e statue e altrettali idoli, mediante l'infelice vincolo della superstizione, quegli uomini che riesce a far suoi finì dalla nascita, li porta, proprio secondo il detto, a seppellire vivi insieme con quelli, finchè insieme con quelli periscano. Perciò (Poichè uno solo è l'ingannatore, che nel principio trasse Eva verso la morte, e ora vi trae anche gli altri uomini), uno anche è il soccorritore e ausiliatore nostro, il Signore, che dal principio preannunziava profeticamente e ora già anche chiaramente ci invita alla salvezza. Fuggiamo dunque, ubbidendo al precetto dell'Apostolo, "il principe della potestà dell'aria, dello spirito che ora opera nei figli della disobbedienza ", e accorriamo presso il Salvatore, il Signore, che ora e sempre esortava gli uomini alla salvezza, per mezzo dei prodigi e dei segni in Egitto, e nel deserto per mezzo del rovo e della nuvola che in grazia della Sua filantropia seguiva, come una ancella, gli Ebrei. Col timore destato da queste cose egli incitava gli uomini dal cuore indurito, ma in seguito anche per mezzo del sapientissimo Mosè e dell'amante della verità, Isaia, e di tutto il coro profetico, Egli converte al Verbo in modo più razionale quelli che hanno orecchie per udire; e qualche volta insulta, qualche volta anche minaccia, su alcuni degli uomini anche piange, per altri canta: e fa come un buon medico, che cura i corpi ammalati, applicando ad alcuni cataplasmi, per altri ricorrendo a frizioni, e per altri a lavaggi, e alcuni aprendo col ferro, altri bruciando, qualche volta anche amputando, se mai sia possibile che l'uomo, anche a costo di perdere qualche parte o membro, ricuperi la salute. Di molte voci è il Salvatore, e di molti modi, per ottenere la salvezza degli uomini: minacciando ammonisce, insultando converte, lamentando compassiona, suonando esorta, per mezzo del rogo parla (perchè quelli avevano bisogno di segni e di prodigi) e col fuoco spaventa gli uomini, facendo suscitare in cima a una colonna la fiamma, segno insieme di grazia e di terrore: per gli obbedienti, luce, per i disobbedienti, fuoco. Ma Poichè la carne è più pregevole della colonna e del rovo, dopo quelle cose parlano i profeti, il Signore stesso che parla in Isaia, Egli stesso in Elia, Egli stesso nella bocca dei profeti. Ma se tu non credi nei profeti e ritieni una favola così gli uomini come il fuoco, ti parlerà il Signore stesso, " il quale, essendo nella forma di Dio, non fece sua proprietà della sua uguaglianza con Dio: ma vuotò se stesso ", il Dio misericordioso che desidera salvare l'uomo. E lo stesso Verbo ormai ti parla chiaramente, riempiendo di vergogna la vostra incredulità, s, dico, il Verbo di Dio diventato uomo, affinchè anche tu da un uomo possa imparare come un uomo diventi Dio. Quindi non è assurdo, o amici, che, mentre Dio sempre ci esorta alla virtù, noi, invece, rifiutiamo l'aiuto e rimandiamo la salvezza? Non ci esorta dunque alla salvezza anche Giovanni e non è egli interamente una voce esortatrice? Interroghiamo dunque lui stesso: " Chi sei? di quale paese?" Non dirà di essere Elia, negherà di essere Cristo, ma confesserà di essere voce gridante nel deserto. Chi è dunque Giovanni? Per abbracciarlo in una immagine, sia lecito dirlo "una voce del Verbo esortatrice, gridante nel deserto". Che cosa gridi, o voce? " Dillo anche a noi". " Fate diritte le vie del Signore ". Precursore è Giovanni e la sua voce è precorritrice del Verbo, voce incitatrice, che prepara alla salvezza, voce esortatrice alla eredità dei cieli, voce per la quale la terra sterile e deserta finisce di essere infeconda. Questa fertilità secondo me la predisse la voce dell'Angelo; precorritrice del Signore era anche quella, la quale dava la buona novella alla donna sterile, come Giovanni al deserto. Per questa voce del Verbo, dunque, la donna sterile diventa feconda di figli e la terra deserta produce frutti. Le due voci precorritrici del Signore, quella dell'Angelo e quella di Giovanni, vogliono significare, secondo me, la salvezza riposta in serbo per noi, cosicchè, dopo l'apparizione di questo Verbo, noi riportiamo il frutto della fecondità, cioè la vita eterna. La Scrittura, infatti, col mettere insieme le due voci, chiarisce il tutto: " Ascolti, colei che non partorisce; parli, colei che non ha i dolori del parto, Poichè più numerosi saranno i figli della derelitta, che di colei che ha il marito " . E a noi che l'Angelo recava la buona novella, noi che Giovanni esortava a conoscere l'agricoltore, a cercare l'uomo. Il marito della sterile e il coltivatore della terra deserta sono infatti una stessa persona, la quale riemp della divina potenza così la donna sterile come la terra deserta. Poichè molti erano i figli della donna di nobile nascita, ma era in seguito senza figli a causa della sua incredulità (cioè, la donna ebrea, che in origine aveva avuto molti figli), la donna sterile riceve il marito, la terra deserta l'agricoltore; quindi ambedue diventarono madri l'una di frutti, l'altra di figli credenti, in virtù del Verbo; ma ancora per gli increduli rimane sterile e deserta. Giovanni, l'araldo del Verbo, in questo modo esortava ad essere preparati per la venuta di Dio, cioè di Cristo: e questo era ciò che voleva significare il silenzio di Zacharia: silenzio, che aspettava il frutto precursore di Cristo, affinchè la luce della verità, cioè il Verbo, rompesse, divenuto buona novella, il mistico silenziò dei profetici enigmi. Ma tu, se desideri vedere veramente Dio, ricorri a purificazioni, che si addicono a Dio, non a foglie di alloro e a bende adornate di lana e di porpora, ma incoronato di giustizia e cinto delle foglie della temperanza, cerca con ogni cura Cristo. "Giacchè io sono la porta", dice in un luogo, la quale bisogna che imparino coloro che vogliono conoscere Dio, affinchè egli ci apra tutte le porte dei cieli; giacchè sono razionali le porte del Verbo, e non le apre che la chiave della fede. " Nessuno conobbe Dio se non il Figlio e colui al quale l'abbia rivelato il Figlio ". Io so bene che Colui che apre questa porta, sinora chiusa, dopo rivela le cose che son dentro e ci mostra quelle cose che non era possibile prima conoscere, se non da coloro che siano entrati per mezzo di Cristo, ch’è il solo per mezzo del quale si possa contemplare Dio.
Capitolo 2
Non state dunque a cercare i penetrali dei templi, dove non è Dio, e le bocche dei baratri, piene di ciurmeria, o il lebete Thesprotio o il tripode Cirrheo o il vaso di bronzo di Dodona. La "vecchia quercia" venerata dalle sabbie deserte e l'oracolo ch’è ivi, marcito insieme con la quercia, abbandonateli alle leggende che hanno fatto già il loro tempo. Ha taciuto così la fonte di Castalia, e l'altra fonte di Colofone e le altre acque profetiche ugualmente son morte: e, benchè tardi, si sono tuttavia rivelate finalmente vuote del loro vano orgoglio, dopochè si dispersero insieme colle leggende che loro erano proprie. Esponici, anche, della restante vaticinazione o piuttosto farneticazione, i responsi... che non rispondono: l'oracolo Clario, il Pitico, il Didimeo, Amfiarao, Apollo, e Amfiloco; e, se vuoi, consacra insieme con essi gli osservatori dei prodigi, e gli auguri e gli interpreti dei sogni. Va' a porre nello stesso tempo presso il Pitio gli aleuromanti e i crithomanti e i ventriloqui, che son tenuti tuttora in grande onore presso il popolo. E i santuari degli Egiziani e le necromanzie dei Tirreni siano abbandonati alle tenebre. Vere scuole di inganno degli uomini non credenti, e bische di pretto errore, sono queste, in tutto piene di follia. Compagni di questo genere di ciurmeria sono le capre, esercitate alla vaticinazione, e i corvi educati dagli uomini a dare responsi. E che diresti se ti esponessi i misteri? Non ne farò la parodia, come dicono abbia fatto Alcibiade, ma metterò a nudo assai bene, fondandomi sulla verità, la ciurmeria che è nascosta sotto di essi, e, come sulla scena della vita, presenterò per mezzo dell'encyclema agli spettatori della verità gli stessi vostri così detti dei, ai quali appartengono le mistiche iniziazioni. Dioniso furente i Baccanti lo adorano col rito della pazzia sacra, la quale consiste nel divoramento di carni crude, per il quale essi compiono la distribuzione rituale delle carni delle vittime, incoronati di serpenti, invocando col nome di Evan quella Eva, a causa della quale l'errore tenne dietro da presso; e simbolo dei riti bacchici è un serpente consacrato. Ora, va notato che, secondo l'esatta voce degli Ebrei, il nome Evia, con lo spirito aspro, significa serpente femina; Demetra e Core sono diventate già l'argomento di un dramma mistico, e l'errare e il ratto e il lutto delle due li celebra Eleusi alla luce delle fiaccole. Ora, mi sembra che l'etimologia delle parole orgia e mysteria sia, per la prima, da org‚ (= ira) - dall'ira, cioè, che Demetra concep contro Zeus -, per l'altra da mysos - dalla contaminazione cioè, che si verificò nei riguardi di Dioniso -. Ma se anche derivi da un certo Myunte attico, che Apollodoro dice essere perito in una caccia, io non ho alcuna difficoltà: vuol dire che i vostri misteri sono stati glorificati con onori sepolcrali. Puoi seguire altra via, e intendere mysteria - Poichè le lettere si corrispondono - come mytheria: giacchè, se mai altri, proprio questi tali miti vanno a caccia dei più barbari dei Traci, dei più insensati dei Frigi, dei superstiziosi tra gli Elleni. Perisca dunque colui che fu l'iniziatore di questo inganno per gli uomini: sia esso Dardano, che introdusse i misteri della Madre degli dei, sia Eetione, che fondò le cerimonie e i riti dei Samotraci, sia quel Frigio, Mida, che imparò dall'Odrisio, e quindi diffuse tra i suoi sudditi, l'abile inganno. Giacchè, quanto a me, non mi potrebbe mai persuadere coi suoi inganni il ciprio isolano, Cinyra, il quale, nell'ambizione di divinizzare una meretrice del suo paese, osò portare dalla notte alla luce del giorno gli osceni riti di Afrodite. Melampo, il figlio di Amythaone, fu, secondo altri, quegli che trasportò dall'Egitto nell'Ellade le feste di Demetra, cioè un lutto celebrato con inni. Per conto mio, questi uomini, padri di empi miti e di perniciosa superstizione, io li chiamerei originatori di mali, Poichè furono essi che piantarono nella vita umana quel seme di male e di rovina che sono i misteri. Ma ormai, giacchè è giunto il momento, dimostrerò che piene di inganno e di ciurmeria sono le vostre stesse cerimonie: e se voi siete stati iniziati, ancora di più riderete di queste vostre venerate leggende. Parlerò apertamente delle cose che voi tenete nascoste, senza vergognarmi di dire quello che voi non vi vergognate di adorare. Quella aphrogenes (0= nata dalle spume), dunque, e kyprogenes (= nata a Cipro), l'amante di Cinyra (dico Afrodite, la " philomedes, perchè nacque dai medea ", da quei genitali amputati di Urano, da quei genitali libidinosi, che dopo il taglio fecero violenza all'onda), in quanto è per voi degno frutto delle parti salaci, nei riti in cui si celebra questa voluttà marina un grano di sale, come simbolo della sua nascita, e un fallo sono dati in regalo a coloro che si iniziano nell'arte della fornicazione; e questi nell'essere iniziati, pagano ad essa il tributo di una moneta, come gli amanti all'amica. I misteri di Deo non sono altro che gli amorosi amplessi di Zeus con la madre Demetra, e l'ira di Deo (che non so se in seguito debba chiamare ancora madre o moglie) a causa delfa quale si dice sia stata chiamata Brimo, e le supplicazioni di Zeus, e la bevanda di fiele e lo strappamento del cuore delle vittime e le altre operazioni nefande. I medesimi riti compiono i Frigi in onore di Attis e di Cibele e dei Coribanti. Essi hanno diffuso la storia di Zeus, come egli, strappati i testicoli di un montone, sia andato a gettarli in mezzo al seno di Deo, pagando così una finta pena dell'amplesso violento, col simulare di aver mutilato se stesso. I simboli di questa iniziazione, quando io ve li abbia, per soprappiù, esposti, vi muoveranno certamente il riso, anche se non ne abbiate voglia per la condanna che loro ne deriva. " Mangiai dal timpano, bevvi dal cembalo, portai il cerno, mi introdussi nella camera nuziale". Questi simboli non sono un obbrobrio? non sono una beffa i misteri? E che diresti se aggiungessi il resto? Diventa incinta Demetra, cresce Core e di nuovo questo Zeus, che l'aveva generata, si unisce con Persefone, con la propria figlia, dopo essersi unito con la madre Deo, dimentico della precedente contaminazione (padre e corruttore della vergine, Zeus), e si unisce in forma di serpente e così si rivelò per quello che era in realtà. è certo almeno che simbolo dei misteri Sabazii per coloro che si iniziano è il " dio che si avvolge attraverso il seno"; questo è un serpente che è fatto svolgere attraverso il seno di coloro che vengono iniziati, una prova della intemperanza di Zeus. Persefone diviene incinta di un bimbo in forma di toro; certo, dice un poeta cultore degli idoli: Padre al serpente un toro e padre al toro un serpente, sopra il monte un bifolco è il suo nascosto stimolo, con stimolo di bifolco indicando, io credo, la ferula che incoronano i Baccanti. Vuoi che ti racconti anche la raccolta dei fiori fatta da Persefone, e il suo canestro, e il ratto compiuto da Aidoneo, e la voragine apertasi nella terra, e le troie di Eubuleo, inghiottite insieme con le due dee, ch’è la ragione per la quale nelle Tesmoforie, nel visitare le sacre caverne della dea, sogliono cacciarvi dentro delle porchette?. Questo è il mito che le donne festeggiano variamente nelle città, nelle Tesmoforie, nelle Sciroforie, nelle Arretoforie, rappresentando drammaticamente in molti modi, come in una tragedia, il ratto di Persefone. I misteri di Dioniso sono addirittura inumani. Egli era ancora piccolo, e, mentre i Cureti danzavano intorno a lui una danza guerriera, i Titani essendosi introdotti con inganno, e avendolo allettato con giocattoli infantili, questi Titani dunque lo fecero a brani, che ancora era un bambino, come dice il poeta della Iniziazione, il tracio Orfeo: il turbo, il rombo, e i pupattoli dalle flessibili membra ed i begli aurei pomi delle canore Esperidi. E non è inutile, allo scopo di condannarli, esporre gli inutili simboli di questa vostra iniziazione: l'astragalo, la palla, la trottola, le mele, il rombo, lo specchio, il vello. Atena dunque, per avere sottratto il cuore di Dioniso, fu chiamata Pallade dal palpitare (p llein) del cuore. Ma i Titani che lo avevano sbranato, posto un lebete su di un tripode e gettatevi le membra di Dioniso, prima le facevano cuocere e poi, conficcatele negli spiedi, "le tenevano sopra il fuoco ". Zeus, apparso dopo (forse, Poichè era dio, per avere sentito l'odore delle carni che stavano cuocendo, che è " l'onore dovuto", che i vostri dei riconoscono " di avere avuto in sorte") fa scempio dei Titani col fulmine, e le membra di Dioniso le affida al figlio suo Apollo perchè le seppellisca. Questi, giacchè non disobbed a Zeus, le trasporta sul Parnaso e qui depone il cadavere fatto a brani. Se vuoi contemplare anche i riti dei Coribanti, sappi che questi erano tre fratelli, due dei quali, avendo ucciso il terzo, avvolsero in un drappo di porpora il capo del morto e, dopo averlo incoronato, lo seppellirono, portandolo su uno scudo di bronzo ai piedi dell'Olimpo. E questo sono i misteri, per dirla in breve, niente altro che stragi e seppellimenti; i sacerdoti di questi misteri, chiamati Anactotelesti da coloro ai quali interessa chiamarli, aggiungono altri strani portenti a questo fatto luttuoso, quando proibiscono di porre sulla tavola apio con tutte le radici; giacchè credono che l'apio appunto sia nato dal sangue coribantico versato: alla stessa guisa precisamente che le donne che festeggiano le Tesmoforie evitano di mangiare i frutti del melograno che siano caduti a terra, perchè ritengono che i melograni siano nati dalle gocce del sangue di Dioniso. Chiamando poi col nome di Cabiri i Coribanti proclamano anche il rito dei Cabiri: giacchè questi due fratricidi, presa, quasi spoglia del combattimento la cesta, nella quale erano posti i genitali di Dioniso, la portarono nella Tirrenia, mercanti di merce gloriosa; e qui prendevano dimora, essendo esuli, e trasmisero ai Tirreni il loro prezioso insegnamento di pietà, consistente nella venerazione di genitali e di una cesta. E questa fu non senza verosimiglianza la ragione per la quale alcuni vogliono dare a Dioniso il nome di Attis, perchè privato dei genitali. E che meraviglia che i Tirreni, che sono dei barbari, siano così iniziati ai misteri di vergognose passioni, quando gli Ateniesi e il resto dell'Ellade, mi vergogno perfino a dirlo, hanno miti pieni di vergogna come quelli che si riferiscono a Deo? Deo infatti, errando alla ricerca della figlia Core, presso Eleusi (questa è una località dell'Attica) è vinta dalla stanchezza, e si siede su un pozzo, in preda al dolore. Questo è proibito anche ora a coloro che vengono iniziati, affinchè non sembri che gli iniziati imitino la dea nel suo dolore. Abitavano in quel tempo Eleusi degli indigeni i cui nomi erano Baubò, Dysaules, Triptolemo, e inoltre Eumolpo ed Eubuleo. Bifolco era Triptolemo, pastore Eumolpo, porcaro Eubuleo; è da essi che fior in Atene questa ierofantica stirpe degli Eumolpidi e dei Keryci. Ordunque (giacchè non mi tratterrò dal dirlo) Baubò, avendo ospitato Deo, le porge un beverone, e Poichè questa rifiutava di prenderlo e non voleva bere (Poichè era in lutto), Baubò dispiaciutasi fortemente della cosa, ritenendo il rifiuto come un'offesa fatta a lei, alzate le vesti, scopre le sue vergogue, e le mostra alla dea. Essa invece, Deo, si diletta di quella vista e a stento finalmente accetta la pozione, rallegrata da quello spettacolo. Questi sono i secreti misteri degli Ateniesi. Questi misteri riferisce anche Orfeo, e io ti citerò i versi stessi di Orfeo, affinchè tu abbia nel mistagogo un testimone della loro svergognatezza: Così dicendo, i pepli si tirò in alto e mostrò un'immagine oscena del corpo; era quella di Iacco fanciullo, ridente (Poichè l'agitava) di sotto al sen di Baubò; e allora la dea, Poichè vide, sorrise dentro il suo cuore, e accettò il lucido vaso con entro la mista bevanda. E il motto dei misteri eleusinii è: " digiunai, bevvi il cyceone, presi dalla cesta, avendo fatto quello che dovevo fare, riposi nel canestro e dal canestro nella cesta ". Begli spettacoli davvero, e che si addicono a una dea! Questi riti di iniziazione sono dunque degni della notte e del fuoco e del " magnanimo", o piuttosto insensato, popolo degli Erettidi, e, inoltre, anche degli altri Elleni, cui " dopo morte attendono cose che neppure si aspettano". A chi vaticina Eraclito di Efeso? Ai " nottivaghi, ai maghi, ai baccanti, alle baccanti, ai mysti ", a costoro egli minaccia le pene dopo la morte, a costoro vaticina il fuoco; " giacchè empiamente essi si iniziano ai misteri che sono in uso fra gli uomini " . Consuetudine dunque e vana credenza sono i misteri, e cioè un inganno teso dal serpente, inganno che gli uomini venerano, allorchè con falsa pietà coltivano queste iniziazioni che non sono in realta iniziazioni e questi riti pieni di empietà. E quali sono anche le ceste mistiche! Bisogna infatti rivelare le cose sacre che si contengono in esse, e denunziare le cose non dicibili. Queste cose non sono dolci di sesamo, e piramidi e dolci in forma di gomitoli e focacce dai molti ombelichi e grani di sale e un serpente, il mistico simbolo di Dioniso Bassareo? Non sono melagrane, oltre a ciò, e rami di fico, e ferule, e tralci di edera, e oltre a ciò, focacce rotonde e papaveri? Sono queste le loro cose sacre! E, inoltre, gli ineffabili simboli di GE Temide (cioè Demetra): l'origano, la lucerna, la spada, il pettine femminile, che è, in linguaggio eufemistico e mistico, l'organo femminile. O che sfacciata impudenza! Una volta la notte, che copriva il piacere per gli uomini temperanti, era silenziosa: ora, divenuta una tentazione all'intemperanza per coloro che si iniziano, la notte è piena di voci; e il fuoco con la luce delle fiaccole rivela le oscene passioni. Spegni, o ierofante, il fuoco. Risparmia, o daduco, le lampade; la luce accusa il tuo Iacco; lascia che la notte nasconda i misteri; i riti siano onorati dalle tenebre; il fuoco non rappresenta una parte da teatro: il suo compito è di convincere e di punire. Questi, i misteri degli atei: atei giustamente io chiamo costoro, che non hanno conosciuto Colui che è veramente Dio, e venerano un bambino sbranato dai Titani e una donnetta in lutto, e le parti che veramente ma soltanto per pudore non si possono nominare. Duplice è la forma di ateismo di cui essi sono affetti, la prima consistente nel fatto che ignorano Dio, in quanto a che non riconoscono come Dio quegli che è veramente Dio; l'altra, la seconda, la quale consiste in questo errore, di credere che esistano coloro che non esistono, e di chiamare dei questi che in realtà non sono dei o piuttosto che neppure esistono, ma che non sono che semplici nomi. Per questo l'Apostolo ci biasima dicendo: " Ed eravate stranieri ai patti della promessa, non avendo la speranza, ed essendo atei nel mondo". Molti beni ricadano sul capo del re degli Sciti, chiunque mai egli sia stato! Questi trafisse con un dardo un suo concittadino, che presso gli Sciti imitava il rito della Madre degli dei, in uso presso i Ciziceni, battendo un timpano e facendo risuonare un cembalo e tenendo appese al collo immagini della dea, come un menagyrte: per la considerazione che questi, che era divenuto lui stesso effeminato presso i Greci, si faceva maestro anche agli altri Sciti di quella morbosa effeminatezza. Perciò (giacchè non bisogna affatto nasconderlo) mi vien fatto di meravigliarmi come mai abbiano chiamato atei Evemero di Agrigento e Nicanore di Cipro e Diagora e Ippone, tutti e due di Melo, e inoltre quello di Cirene (chiamato Teodoro) e molti altri, che sono vissuti saggiamente e hanno scorto più acutamente, credo, degli altri uomini l'errore riguardante questi dei. Essi, è vero, non hanno conosciuto la verità stessa, ma almeno hanno sospettato l'errore, il che non è piccola scintilla di saggezza, la quale cresce, come seme, verso la verità. Uno di essi prescrive agli Egiziani: " Se li stimate dei, non piangeteli Nè battetevi; ma se li piangete, non stimateli più dei "; un altro, avendo preso un Eracle, fatto d'un pezzo di legno (stava a cuocere qualche cosa in casa, come è verosimile), " Su dunque, o Eracle disse - ora è tempo che come ad Euristeo, così anche a noi compia questa tredicesima fatica, e a Diagora appresti il desinare! ", e quindi lo pose nel fuoco come un pezzo di legno. Punti estremi dell'ignoranza sono dunque l'ateismo e l'adorazione dei demoni, al di qua dei quali bisogna cercare in tutti i modi di mantenersi. Non vedi il santo interprete della verità, Mosè, che vieta all'eunuco e al mutilato dei genitali e inoltre al figlio della meretrice di prender parte all'assemblea?. Vuol significare oscuramente, coi due primi, il costume ateo, che è stato privato della divina e generativa potenza, con l'altro, col terzo, colui che si attribuisce molti falsi dei, invece di colui che solo è Dio, come il figlio della cortigiana si attribuisce molti padri, per ignoranza del suo vero padre. Ma vi era negli uomini una certa innata, originaria comunanza col cielo, la quale si è ottenebrata per l'ignoranza, ma improvvisamente balza fuori dalle tenebre e torna a risplendere, come mostrano, per esempio, quei versi nei quali da qualcuno è stato detto: Vedi questo infinito etere in alto che circonda la terra nel suo molle abbraccio... E questi altri: Della terra veicolo, che hai sede sopra la terra, chiunque sia, a vedere incomprensibile... E quante altre cose di tal natura cantano i figli dei poeti. Ma opinioni errate e condotte fuori dalla retta via, opinioni veramente perniciose, volsero " la pianta celeste ", l'uomo, fuori dalla vita celeste e lo piegarono sulla terra, a figure fatte di terra avendolo indotto ad attaccarsi. Alcuni infatti, facilmente ingannandosi riguardo allo spettacolo del cielo, e fidando nella sola vista, nell'osservare i movimenti degli astri, furono presi da meraviglia e divinizzarono gli astri chiamandoli dei da thein (= correre), e adorarono il sole, come gli Indi, e la luna, come i Frigi. Altri, nel cogliere i frutti coltivati delle piante, chiamarono Deo il grano, come gli Ateniesi, e Dioniso la vite, come i Tebani. Altri, avendo considerato il contraccambio che suole avere il male, divinizzano le punizioni, adorando perfino le sventure. Da qui i poeti drammatici hanno inventato le Erinni e le Eumenidi, e dei Palamnei e Prostropei e, inoltre, Alastori. Anche alcuni filosofi, seguendo l'esempio dei poeti, rappresentano, anche loro, come divinità le varie forme delle vostre passioni, il Timore, e l'Amore, e la Gioia, e la Speranza, come fece appunto anche l'antico Epimenide, che innalzò in Atene altari alla Hybris e alla Anaideia. Altri dei, derivati dagli stessi avvenimenti della vita, sono creati dagli uomini e sono rappresentati corporeamente tali sono le divinità attiche Dike e Clotho e Lachesi e Atropo, e Eimarmène, e Auxò e Thallò. Vi è una sesta maniera di introdurre l'inganno e di fornire nuovi dei, quella, in base alla quale gli uomini annoverano i dodici d‚i, dei quali Esiodo canta quella sua teogonia, e ai quali si riferisce tutto ciò che Omero dice intorno agli dei. Ne resta un'ultima (Poichè sette sono tutte queste maniere), quella che ha origine dai benefici divini che vengono agli uomini. Non conoscendo infatti il dio che li beneficava inventarono certi Dioscuri salvatori, ed Eracle allontanatore di mali e Asclepio medico. Sono queste le sdrucciolevoli e dannose trasgressioni della verità, che trascinano giù dal cielo l'uomo e lo volgono verso il baratro. Voglio ora mostrarvi da vicino gli stessi dei, perchè vediate quali siano e se veramente esistano, affinchè una buona volta cessiate dall'errore e di nuovo accorriate al cielo. " Giacchè eravamo anche noi figli dell'ira, come anche gli altri; ma Dio, che è ricco in misericordia, per il grande suo amore, col quale ci amò, quando eravamo già morti nel peccato ci fece rivivere insieme con Cristo". " Giacchè il Verbo è vivente ", e quegli che è stato sepolto insieme con Cristo è elevato insieme con Dio. Ma quelli che sono ancora non credenti, sono chiamati " figli dell'ira", allevati, cioè, per l'ira. Ma noi non siamo più creature dell'ira, perchè ci siamo staccati dall'errore, e balziamo verso la verità. In questo modo noi, che una volta eravamo figli della licenza, siamo diventati ora, grazie all'amore del Verbo per l'uomo, figli di Dio; ma è a voi che si riferisce il vostro poeta, l'agrigentino Empedocle: è per questo che voi, da gravi mali crucciati non mai dagli acerbi dolori l'animo alleggerirete. Orbene, la maggior parte delle cose riguardanti i vostri dei non sono che favole e invenzioni; ma le altre, quelle che si è creduto che siano realmente avvenute, non sono che delle notizie riferentisi a degli uomini turpi e che sono vissuti dissolutamente: Con folle orgoglio voi andate, e il dritto e giusto sentiero abbandonato, per quello partiste di rovi e di spini. A che andate errando, mortali? Cessate, o stolti, Lasciate l'oscuritd della notte, e conquistate la luce! Questo ci prescrive la profetica e poetica Sibilla, ce lo prescrive anche la Verità, la quale, spogliando da queste spaventevoli e terrificanti maschere la turba degli dei, dimostra con alcune somiglianze di nome la falsità delle vostre credenze. Così, per esempio: vi son di quelli i quali riferiscono che vi furono tre dei chiamati Zeus, uno, nato dall'Etere, in Arcadia, gli altri due, figli di Crono; di questi due, l'uno nato in Creta, l'altro, invece, in Arcadia. Vi sono di quelli che suppongono esseri state cinque dee chiamate Atena, l'una figlia di Efesto, la Ateniese, l'altra di Nilo, l'Egiziana, la terza di Crono, la inventrice della guerra, la quarta di Zeus, che i Messeni hanno chiamato Coryphasia dalla madre, e infine la figlia di Pallante e di Titanide figlia dell'Oceano, la quale, avendo ucciso empiamente il padre, si è adornata della pelle paterna come di un vello. Inoltre, di divinità chiamate Apollo, Aristotele ne elenca una prima, il figlio di Efesto e di Atena (qui non è più vergine Atena), una seconda in Creta, il figlio di Cyrbante, una terza, il figlio di Zeus, e una quarta, l'Arcade, il figlio di Sileno; questo è chiamato Nomio presso gli Arcadi; oltre a questi il libico, il figlio di Ammone. E il grammatico Didimo aggiunse a questi anche un sesto, il figlio di Magnete. Ma quanti Apolli vi sono anche attualmente, uomini innumerevoli, mortali e destinati a perire, i quali sono stati chiamati in modo simile a quello con cui furono chiamate le divinità sopradette? E se ti dicessi i molti Asclepii o gli Ermes che si annoverano o gli Efesti della mitologia? Non vi parrà che io faccia opera superflua, sommergendo i vostri orecchi con tutti questi nomi? Ma le patrie e le arti e le vite e, oltre a ciò, le tombe, dimostrano che essi sono stati uomini. Ares, per esempio, il quale è quanto più è possibile onorato anche presso i poeti, Ares, degli uomini peste, omicida, eversore di mura. questo " voltafaccia" e " implacabile" era, come dice Epicarmo, spartano, ma Sofocle lo sa trace ed altri arcade. Omero dice che fu tenuto incatenato per tredici mesi: Tollerò Ares, allora che Oto ed il forte Efialte, d'Aloeo figli, legaronlo in saldi nodi gagliardi; ed in prigione di bronzo fu legato per tredici mesi. Molti beni ricadano sulla testa dei Cari, i quali gli fanno sacrifizi di cani. E gli Sciti non cessino di sacrificargli gli asini, come dice Apollodoro, e Callimaco: Febo di tra iperborei sacrifizi d'asini sorge. E lo stesso poeta, altrove: Dilettan Febo le splendide immolazioni di asini. Efesto, che Zeus scagliò dall'Olimpo, " dalla soglia divina ", caduto a Lemno, faceva il fabbro ferraio, essendo storpio di tutti e due i piedi, " ma sotto, le gambe sottili movevansi agili ". Hai anche il medico, non solo il fabbro tra gli dei; e il medico era avaro, si chiamava Asclepio. E ti citerò il tuo poeta, il beota Pindaro: Indusse anche quello con grande mercede nelle mani apparsogli, l'oro; ma con le mani il Cronide lanciata la folgore traverso il petto di entrambi, lor tolse il respiro rapidamente, ed il fulmine ardente inflisse loro la morte; ed Euripide: Fu Zeus la causa, che mi uccise il figlio Asclepio, col lanciargli in cuor la folgore. Questo dunque giace fulminato nei confini di Cynosuride. Filocoro poi, dice che in Teno è onorato come medico Poseidone; e che la Sicilia è posta sopra Crono e che qui egli giace sepolto. Patrocle di Thuri e Sofocle il giovane in alcune tragedie narravano la storia dei due Dioscuri. Questi Dioscuri furono degli uomini mortali, se la testimonianza di Omero è attendibile quando dice: ormai li teneva la terra datrice di vita là in Lacedemone, nella patria terra diletta. Venga innanzi anche l'autore dei poemi Ciprii: Mortale Castore, e a lui è stato assegnato un destino di morte: immortale è invece, il rampollo d'Ares, Polluce. Questa è una menzogna poetica, ma Omero è più degno di fede di lui, quando parla di ambedue i Dioscuri, e, oltre a ciò, quando mostra che Eracle era un fantasma: " l'eroe" - dice infatti - " Eracle, di grandi opere esperto". Eracle dunque anche lo stesso Omero sa che fu uomo mortale. Il filosofo Ieronimo descrive anche la conformazione del suo corpo: piccolo, dai capelli ricci, forzuto. E Dicearco lo dice magro, muscoloso, nero, dal naso aquilino, dagli occhi cilestrini, dai capelli lunghi. Questo Eracle dunque, dopo essere vissuto cinquantadue anni, finì la vita, ed ebbe gli onori funebri per mezzo della pira dell'Eta. E le Muse, che Alcmane fa nascere da Zeus e da Mnemosyne, e gli altri poeti e prosatori divinizzano e venerano, e già anche intere città consacrano musei in loro onore, - queste non erano che delle servette Mysie, comprate da Megaclo, la figlia di Macar. Macar era re dei Lesbii, ed era sempre in lite con la moglie. Se n'affliggeva Megaclo per la madre; e che cosa non era disposta a fare? E così essa compra queste ancellette Myse, tante di numero (quante le Muse), e le chiama Moisai secondo il dialetto eolico. E insegnò loro a cantare le antiche imprese, e ad accompagnarsi con la cetra armoniosamente. Ed esse, citareggiando continuamente e bellamente affascinandolo coi loro canti, placavano l'animo di Macar e lo facevano cessare dall'ira. A ricordo di questo beneficio, Megaclo, come ringraziamento per conto della madre, innalzò statue di bronzo raffiguranti le fanciulle e ordinò che fossero onorate in tutti i templi. E tali sono le Muse; il racconto si trova presso Myrsilo di Lesbo. Udite ora gli amori dei vostri dei, le straordinarie storie della loro intemperanza e le loro ferite e le catene e le risa e le battaglie e le schiavitù e i simposi e gli amplessi e le lacrime e le passioni e le lascive voluttà. Chiamami Poseidone e lo stuolo delle fanciulle da lui corrotte, Amfitrite, Amymone, Alope, Melanippe, Alcyone, Ippothoe, Chione e le altre innumerevoli, nelle quali, pur essendo tante, non si saziavano ancora i desideri del vostro Poseidone. Chiamami anche Apollo: egli è Febo, tanto vate sacro che buon consigliere. Ma non dice così Sterope Nè Aethusa Nè Arsinoe Nè Zeuxippe, Nè Prothoe Nè Marpessa Nè Hypsipyle; giacchè Dafne riusc, solo lei, a sfuggire al vate e alla sua violenza. E venga infine lo stesso Zeus, "il padre " - secondo voi - " degli uomini e degli dei ". Tanto egli era dato ai piaceri venerei da desiderare tutte le donne e saziare in tutte il suo desiderio. Si saziava infatti di donne, non meno che di capre il becco dei Thmuiti. E io ammiro, o Omero, i tuoi versi: Disse, e col cenno delle c‹anee ciglia il Cronide assentì: le chiome divine ondeggiaron sul capo immortale del nume, e scrollò il grande Olimpo... Pieno di maestà, o Omero, tu rappresenti Zeus, e gli attribuisci un cenno del capo che è stato molto pregiato. Ma se per poco gli mostri, o uomo, il cinto (di Venere), Zeus si rivela per quello che è, e la sua chioma si copre di disonore. A qual punto di intemperanza si è spinto quello Zeus, che tante notti godette con Alcmena! Neppure, infatti, le nove notti furon lunghe per l'intemperante (ma l'intera vita, al contrario, era breve per la sua incontinenza) perchè ci procreasse il dio allontanatore di mali. Figlio di Zeus era Eracle, di Zeus veramente, egli che fu generato da una lunga notte e che compì pazientemente le dodici fatiche in lungo tempo, ma le cinquanta figlie di Thestio in una lunga notte violò, nello stesso tempo divenuto adultero e sposo di tante vergini. Non senza ragione dunque i poeti lo chiamano " infelice " e " scellerato ". Lungo sarebbe riferire i suoi adulterii d'ogni sorta e le sue corruzioni di fanciulli. Neppure, infatti, neppure dai fanciulli si astennero i vostri dei: uno amò Ila, un altro Iacintho, un altro Pelope, un altro Chrysippo, un altro Ganimede. Questi sono gli dei che le vostre donne debbono adorare, tali essi si augurino che siano i loro mariti, altrettanto temperanti, affinchè siano simili agli dei, col mostrarsi pieni di uno zelo uguale al loro. Questi dei i vostri figli si abituino a venerare, perchè diventino uomini, prendendo gli dei come un chiaro esempio di fornicazione. Ma forse, degli dei, soltanto i maschi sono infrenabili riguardo ai piaceri venerei; ma le dee, come donne, restarono in casa, ciascuna, per pudore - dice Omero, - vergognandosi, le dee, nella loro gravità, di vedere Afrodite sorpresa in adulterio. Ma esse sono più ardentemente licenziose, essendo legate in adulterio - Eos con Tithono, Selene con Endymione, Nereide con Eaco, Teti con Peleo, Demetra con Iasione, Persefone con Adoni. Afrodite, copertasi di vergogna con Ares, passò a Cinyra e sposò Anchise e insidiava Fetonte e amava Adoni, gareggiava con la boopide, e le dee, svestitesi, a causa del pomo, stavano nude, intente al pastore, per vedere quale di esse gli sembrasse bella. Su dunque, esaminiamo brevemente anche gli agoni e disperdiamo queste solenni adunanze sepolcrali, i giuochi istimici, nemei, pitici e soprattutto olimpici. A Pito dunque si venera il serpente pitico e l'adunanza tenuta in onore del serpente prende il nome di giuochi Pitici. Nell'istmo il mare sputò un miserevole rifiuto, e i giuochi Istmici piangono Melicerte. A Nemea giace sepolto un altro ragazzo, Archemoro, e la celebrazione fatta sulla tomba di questo ragazzo prende il nome di giuochi Nemei. La vostra Pisa, o Panelleni, è la tomba di un auriga frigio, e le libazioni che si fanno in onore di Pelope, cioè i giuochi Olimpici, lo Zeus di Fidia se le fa proprie. Misteri erano dunque, in origine, come sembra, gli agoni, Poichè si tenevano in onore di morti, come anche gli oracoli, e ambedue, dopo, sono divenuti pubblici. Ma i misteri che si tengono ad Agra e quelli che si tengono ad Alimunte dell'Attica sono stati limitati ad Atene; ma gli agoni e i falli che si consacrano a Dioniso, i quali hanno infestato la vita umana, sono, invece, una infamia mondiale. Bacchus enim descendendi ad Inferos desiderio flagrabat, sed viam ignorabat: hanc Prosymnus quidam promittit se monstraturum, verum non sine mercede. Merces ea in se quidem parum erat honesta, attamen honesta satis Baccho. Erat autem gratia Venerea, quam Bacchus postulabatur. Deo igitur non repugnanti petitio statim explicatur: isque iureiurando promittit, si redierit, se, quod vellet, facturum. Cum viam didicisset, abiit, rursusque rediit, nec offendit Prosymnum erat enim mortuus. Tum vero amatori ut debitum solveret, ad monumentum eius se confert, et muliebria patiendi desiderio flagrat. Cum ergo ficulneum excidisset ramum, instar virilis membri efformat; et ei insidens, promissum persolvit mortuo. Atque hoc facinus mystico ritu commemorant, qui Baccho Phallos fere per universas Graeciae urbes erigunt. " Giacchè, se non fosse in onore di Dioniso che fanno il corteo solenne e cantano l'inno alle vergogne, sarebbe vergognosissimo quello che compiono " - dice Eraclito -, " Ade è lo stesso che Dioniso, in onore del quale folleggiano e baccheggiano ", non tanto, come io credo, per l'ubbriachezza del corpo, quanto per la vergognosa rivelazione sacra della licenza. A ragione perciò questi vostri dei sono schiavi, perchè si sono resi schiavi delle passioni, chè anzi, anche prima dei così detti iloti presso i Lacedemoni, subiva il giogo servile Apollo sotto Admeto in Fere, Eracle in Sardi, sotto Omfale; Poseidone e Apollo erano servi di Laomedonte, quest'ultimo come un servo inutile, che evidentemente non aveva nemmeno potuto ottenere la libertà dal precedente padrone; in quel tempo essi anche edificarono le mura di Ilio al Frigio. Omero non si vergogna di dire che Atena faceva luce ad Ulisse, "tenendo un'aurea lucerna " nelle mani. E leggemmo di Afrodite, che, come una serviciattola impudica, portò ad Elena lo sgabello e lo pose di fronte al suo amante perche lo attirasse all'amplesso. Paniasi, inoltre, racconta che, oltre questi, moltissimi altri dei servirono ad uomini, così scrivendo: Soffrì Demetra, e il famoso dai piedi storpiati soffrì e soffrì Poseidone, soffrì Apollo dall'arco d'argento, di servir presso un uomo mortale per la durata di un anno: soffrì, costretto dal padre, anche Ares dall'animo ardente, e quello che segue. è naturale, per conseguenza, che qucsti vostri dei - dediti agli amori e soggetti alle passioni - ci siano presentati anche soggetti in tutto agli accidenti propri dell'umana natura. "Giacchè certamente ad essi mortale è la carne". Lo testimonia con molta precisione Omero, quando introduce Afrodite a lanciare alte e acute grida per la ferita, e narra che lo stesso bellicosissimo Ares fu ferito da Diomede nel fianco. Polemone poi dice che anche Atena fu ferita da Ornyto; e Omero dice inoltre che anche Aidoneo fu ferito di saetta da Eracle, e la stessa cosa narra Paniasi di Elios. Questo stesso Paniasi racconta che anche Era, la pronuba, fu ferita "in Pylo sabbiosa" dallo stesso Eracle. E Sosibio dice che anche Eracle fu ferito dagli Ippocoontidi nella mano. Se vi sono ferite, vi è anche sangue; il poetico icore infatti è anche più schifoso del sangue, giacchè per icore non si intende altro che la putrefazione del sangue. è necessario dunque offrir loro cure e cibi, di cui hanno bisogno. Per questo, banchetti e sbornie e risate e amplessi, mentre, se fossero immortali e bisognosi di niente ed esenti da vecchiaia, non godrebbero dei piaceri umani dell'amore Nè metterebbero al mondo figliuoli Nè si addormenterebbero. Lo Stesso Zeus partecipò ad una mensa umana presso gli Etiopi, e a una inumana e nefanda, invitato presso Lycaone l'arcade. Certo è che, senza volerlo, egli si riempiva di carni umane; giacchè il dio ignorava che Lycaone l'arcade, il suo ospite, aveva sgozzato il proprio figlio (si chiamava Nyctimo) e l'aveva imbandito, come piatto prelibato, a Zeus. Bello, questo Zeus, l'indovino, l'ospitale, il protettore dei supplici, il clemente, il panompheo, il vendicatore delle colpe: o, piuttosto, l'ingiusto, l'iniquo, il senza legge, l'empio, l'inumano, il violento, l'adultero, il lascivo. Ma allora egli esisteva, quando era tale, quando cioè era un uomo: ora, invece, mi pare che i anche vostri miti siano già invecchiati. Zeus non è più serpente, non cigno, non aquila, non uomo lascivo, non vola come dio, non è dato all'amore di fanciulli, non ama, non fa violenza: eppure vi sono ancora molte e belle donne, anche più belle di Leda e più floride di Semele, e giovanetti più freschi e più eleganti del frigio bifolco. Dov'èra quell'aquila? dove il cigno? dove lo stesso Zeus? Egli è invecchiato insieme con l'ala; non però si pente dei trascorsi amorosi Nè impara a essere temperante. Il mito vi è svelato nella sua nudità; morì Leda, morì il cigno, morì l'aquila. Cerchi il tuo Zeus? Non frugare il cielo, ma la terra. Te lo dirà il Cretese, nella cui terra è seppellito, come dice Callimaco nei suoi inni: ... chè il tuo sepolcro, o sovrano, l'hanno innalzato i Cretesi... è morto dunque Zeus (non dolertene, o Leda), come il cigno, come l'aquila, come l'uomo lascivo, come il serpente. Ma mi sembra che ormai anche gli stessi adoratori dei demoni, benchè a malincuore, comprendano tuttavia il loro errore riguardo agli dei: chè non son nati da antica quercia, e neppure da pietra, ma "sono della stirpe degli uomini", benchè fra poco si troverà che essi non sono che quercie e pietre. Stafilo, per esempio, racconta che a Sparta era venerato uno Zeus Agamennone. Fanocle nel libro intitolato " Gli amori o i belli" racconta che Agamennone, il re degli Elleni, è quegli che innalzò un tempio ad Argynno Afrodite, in memoria del suo amasio Argynno. Gli Arcadi, come dice Callimaco negli "Aitia", venerano una Artemide Apanchomene (strangolata). E un'altra Artemide, detta Condylitis, è onorata in Metimna. Vi è anche, nella Laconia, il tempio di un'altra Artemide, detta Podagra, come dice Sosibio. Polemone conosce una statua di Apollo "con la bocca aperta", e un'altra ancora, onorata nell'Elide, di Apollo "goloso". Qui, nell'Elide, gli Elei sacrificano a Zeus "scacciatore di mosche"; e i Romani sacrificano ad Eracle scacciatore di mosche e alla Febbre e allo Spavento, che essi mettono, anche questi, tra i compagni di Eracle. Lascio andare gli Argivi e i Laconi: gli Argivi rendono culto ad Afrodite Tymborychos (= scavatrice di sepolcri), e gli Spartani venerano Artemide Chelytis (= che tossisce), Poichè nel loro dialetto si dice chelyttein il tossire. Credi che le notizie che ti presentiamo siano desunte da noi da qualche fonte non autentica? Sembra che tu non riconosca neppure i tuoi scrittori - che io chiamo a testimoni contro la tua incredulità -, quali hanno riempito di empio ludibrio - poveri voi! tutta la vostra vita, che non merita, in realtà, di essere chiamata vita. Non sono invero onorati uno Zeus calvo, in Argo, e un altro, vendicatore, in Cipro? Non sacrificano ad Afrodite Peribaso (= divaricatrix) gli Argivi, e ad Afrodite etera gli Ateniesi, e ad Afrodite callipigia i Siracusani, quella che il poeta Nicandro ha in un punto chiamato " calliglutea"?. Taccio, infine, di Dioniso choiropsalas: adorano i Sicioni questo Dioniso, avendolo posto a presiedere agli organi femminili, venerando in questo modo, come ispettore della vergogna, il fondatore della licenza. Tali sono per gli stessi loro adoratori gli dei, e tali sono gli adoratori stessi che si fan giuoco degli dei o piuttosto beffeggiano ed oltraggiano se stessi. E quanto migliori dei Greci, che adorano tali dei, non sono gli Egiziani, che per villaggi e città venerano i bruti animali? Infatti queste divinità degli Egiziani, sebbene siano degli animali, non sono però adultere, non sono lascive e neppure una di esse va in caccia di piaceri che siano contro natura. Ma di quale natura siano invece le divinità dei Greci, che bisogno c’è ancora di dirlo, quando esse sono state già smascherate a sufficienza? Ordunque, gli Egiziani, dei quali poco fa ho fatto menzione, sono divisi secondo i loro culti. Di essi, i Syeniti venerano il pesce fagro, quelli che abitano Elefantina, il meote (altro pesce, questo), gli Oxyrynchiti, ugualmente, il pesce che prende il nome dalla loro regione; ancora, gli Eracleopolitani l'ichneumone, i Saiti e i Tebani la pecora, i Lycopolitani il lupo, i Cynopolitani il cane, il bue Api quelli di Memfi, i Mendesi il capro. Ma voi, che siete in tutto migliori degli Egiziani - esito a dirvi peggiori -, che non cessate di deridere ogni giorno gli Egiziani, come vi comportate nei riguardi degli animali irragionevoli? Tra voi, i Tessali onorano le cicogne a causa della costumanza, i Tebani le donnole a causa dalla nascita di Eracle. E che dire, per tornare ad essi, dei Tessali? Si racconta che essi venerano le formiche Poichè hanno appreso che Zeus, presa la forma di una formica, si mescolò con Eurymedusa, la figlia di Cletore, e generò Myrmidone. Polemone racconta che gli abitanti della Troade venerano i topi indigeni, che chiamano sminthi, perchè rosero le corde degli archi nemici, e da quei topi diedero ad Apollo il nome di Sminthio. Eraclide nelle sue " Fondazioni dei templi dell'Acarnania" dice che dove è il promontorio di Actio e il tempio di Apollo Actio si sacrifica prima un bue alle mosche. Nè mi dimenticherò dei Sami (i Sami, come dice Euforione, venerano la pecora) Nè dei Siri che abitano la Fenicia, dei quali alcuni venerano le colombe, altri i pesci, così esageratamente come gli Elei venerano Zeus. Ebbene dunque, dal momento che non sono dei quelli ai quali rendete culto, mi sembra opportuno esaminare quindi se essi siano in realtà demoni, iscritti, come voi dite, in questa seconda categoria. Giacchè, se essi sono realmente demoni, sono ingordi e impuri. è possibile trovare demoni indigeni, che raccolgono onore nelle varie città anche apertamente (come gli dei): presso i Cythni Menedemo, presso i Teni, Callistagora, presso i Delii, Anio, presso i Laconi, Astrabaco. è onorato anche un certo eroe a Falero " sulla poppa della nave", e la Pitia ordinò ai Plateesi di sacrificare ad Androcrate e a Democrate e a Cycleo e a Leucone nel tempo in cui le guerre mediche erano nel loro pieno. E chi è capace di fare anche un piccolo esame può abbracciare di un solo sguardo anche altri numerosissimi demoni: tre miriadi sono sulla terra nutrice di molti i demoni immortali, custodi di umani mortali. Chi siano questi custodi, o Beota, non rifiutarti di dirci. O è chiaro che essi sono questi, e quelli più onorati di essi, i grandi demoni, Apollo, Artemide, Leto, Demetra, Core, Plutone, Eracle, e lo stesso Zeus. Ma essi, o Ascreo, non ci custodiscono per impedirci di fuggire, ma forse per impedirci di peccare: essi, che certamente di peccati sono inesperti. Qui è il caso di dire il proverbio: " il padre che non si emenda, emenda il figlio". Se anche, dunque, essi sono custodi, lo fanno, non perchè si ispirino a sentimenti di benevolenza verso di voi, ma perchè, tutti intesi alla vostra rovina, a guisa di adulatori, si gettano sulla vita umana, adescati dal fumo dei sacrifizi. E i demoni stessi riconoscono in un certo punto la loro ghiottoneria quando dicono: La libazione e il fumo: è questo l'onor che sortimmo. Quali altre parole, se acquistassero la parola, direbbero gli dei degli Egiziani, quali i gatti e le donnole, se non queste parole omeriche e poetiche, e amiche dell'odore del grasso, e dell'arte della cucina? Tali sono dunque presso di voi gli dei e i demoni, e se vi sono anche altri chiamati semidei, alla stessa maniera dei semiasini. Nè infatti avete penuria di nomi per formare i composti necessari alla vostra empietà.
Capitolo 3
Orbene dunque, aggiungiamo anche questo, che i vostri dei sono demoni inumani e odiatori degli uomini, che non solo sono lieti della follia degli uomini, ma, oltre a ciò, anche godono delle umane uccisioni. Essi forniscono a se stessi occasioni di godimento, ora nelle lotte armate degli stadi, ora nelle innumerevoli contese delle guerre, per avere al massimo grado di che rimpinzarsi a sazietà di sangue umano; e già essi, piombando come flagelli per città e popoli, chiesero l'offerta di libagioni crudeli. Aristomene di Messene, per esempio, sgozzò trecento uomini a Zeus di Ithome, credendo di avere buoni auspici, sacrificando tante e, insieme, tali ecatombi tra gli altri era Teopompo, il re dei Lacedemoni, nobile vittima. I popoli Tauri, che abitano intorno alla penisola taurica, sacrificano senz'altro ad Artemide Taurica quelli degli stranieri che abbiano catturati nel loro territorio, di quelli cioè che hanno fatto naufragio. Questi tuoi sacrifizi li presenta sulla scena in una tragedia Euripide. Monimo nella sua " Raccolta delle cose mirabili " racconta di un uomo, di un Acheo, sacrificato a Peleo e a Chirone in Pelle, città della Tessaglia; Anticleide nei " Ritorni " ci fa sapere che i Lyctii (sono questi una tribù di Cretesi) immolano uomini a Zeus, e Dosida dice che i Lesbi offrono un simile sacrifizio a Dioniso. Quanto ai Focesi (non tralascerò infatti neppure questi), Pitocle nel terzo libro dell'opera " Sulla Concordia ", racconta che questi offrono l'olocausto di un uomo ad Artemide Taurica. L'attico Eretteo e il romano Mario sacrificarono le loro proprie figlie, l'uno a Persefone, come narra Demarato nel primo libro della sua opera " Argomenti di tragedie ", e l'altro, Mario, agli dei allontanatori di mali, come narra Doroteo nel quarto libro della sua " Storia italica ". Filantropici davvero appaiono da questi esempi i vostri demoni: e come non dovrebbero, analogamente, apparire pii i loro adoratori? Gli uni, che sono invocati come salvatori, gli altri, che chiedono la salvezza agli insidiatori della loro salvezza. Certamente, mentre suppongono di fare a quelli un sacrifizio favorevole, non s'accorgono di sgozzare, intanto, degli uomini. Infatti un'uccisione non diventa sacrifizio in ragione del luogo in cui essa è stata consumata, neppure se uno sgozzi un uomo ad Artemide e a Zeus in un luogo in apparenza - sacro, piuttosto che per ira e cupidigia, altri demoni dello stesso genere, sugli altari piuttosto che nelle strade, e lo consacri come vittima; ma uccisione e omicidio è un tale sacrificio. Perchè dunque, o uomini sapientissimi tra tutti gli esseri viventi, fuggiamo le fiere selvagge, e se ci imbattiamo in un orso o in un leone, ci volgiamo fuori della nostra strada come chi ha visto un serpente, s'arresta ed arretra di scatto nelle gole di un monte, e trema per tutte le membra, e si ritira indietro..., e quanto ai demoni invece, pur sentendo già prima e comprendendo che essi sono esiziali e nefasti insidiatori e odiatori degli uomini e sterminatori, non cambiate strada di fronte ad essi, e non tornate indietro? Che cosa di vero potrebbero dire i malvagi o a chi potrebhero giovare? Comunque, io posso dimostrarti che l'uomo è migliore di questi vostri dei - i quali, poi, non sono che demoni - e che Ciro e Solone sono migliori di Apollo, il dio della vaticinazione. Amante dei doni è il vostro Febo, ma non amante degli uomini. Trad il suo amico Creso, e dimenticatosi della mercede che aveva ricevuto (così era amante dell'ambiguità) trasse Creso attraverso l'Aly sulla pira. Amando in questo modo, i demoni guidano verso il fuoco. Ma tu, o uomo, più filantropico e più veritiero di Apollo, abbi compassione di colui che sta legato sulla pira. E tu, o Solone, vaticina la verità, e tu, o Ciro, fa' spegnere la pira. Impara finalmente, o Creso, a essere saggio, ora che la sventura ti ha insegnato la vera saggezza. Ingrato è quello che tu adori, prende la mercede, e, dopo aver preso l'oro, in cambio, mentisce. " Vedi la fine " non è il demone a dirtelo, ma l'uomo. Non ambiguamente vaticina Solone. Questo solo oracolo troverai veritiero, o barbaro; questo tu metterai alla prova sulla pira. Da ciò mi vien fatto di domandarmi maravigliato, da quali mai fantasie siano stati indotti coloro che per primi, essendo stati essi stessi
Temporali estivi
I sogni di don Bosco - San Giovanni Bosco
Leggilo nella BibliotecaUna lunga esperienza, vissuta a contatto intimo con l’anima dei giovani,
aveva convinto Don Bosco che spesso le vacanze sono «la vendemmia del
diavolo». Questo sogno, fatto a Lanzo nel settembre del 1878, è stato
per il santo Educatore una conferma dolorosa.
«Sognai — disse — di trovarmi in un luogo a me sconosciuto, nel quale si
estendeva un giardino con accanto un vastissimo prato. In compagnia di
alcuni amici, entrai nel giardino e vidi una quantità di agnellini che
saltavano, correvano, facevano capriole. Quand’ecco si apre la porta del
giardino e la maggior parte degli agnelli si precipita nel prato. Molti
però si fermano nel giardino e continuano a brucarne l’erba, anche se
non è abbondante come nel prato. Ma improvvisamente il cielo si oscura,
lampi sinistri lo solcano, rimbomba cupo il tuono.
— Che cosa avverrà degli agnelli sparsi nel prato? — pensavo tra me —.
Facciamoli rientrare nel giardino, che siano al riparo dal
temporale.tuono.
Cominciai a chiamarli; poi con i miei compagni cercai di spingerli
verso l’entrata del giardino. Ma essi non volevano saperne di rientrare:
uno fuggiva da una parte, l’altro scappava dall’altra. Eh, sì, gli
agnellini avevano le gambe più svelte delle nostre. Frattanto cominciò a
cadere qualche raro gocciolone; poi la pioggia si fece sempre più
scrosciante. Visti inutili gli sforzi per far rientrare il gregge,
andammo in giardino. Qui vi era una fontana chiusa da un coperchio di
marmo, su cui stava scritto a caratteri cubitali: tuono.
Fons Signatus (Fontana sigillata). A un tratto si apre, l’acqua zampilla e sale in alto, dividendosi a formare un arcobaleno, ma a guisa di
volta come un porticato. tuono.
I lampi e i tuoni si erano fatti più frequenti; cominciò a cadere la
grandine. Tutti ci rifugiammo sotto quella volta meravigliosa e ci
trovammo al riparo.tuono.
— Quei poveri agnellini che stanno fuori, come se la passeranno? — mi chiedevo intanto.
Non potendo resistere, uscii fuori noncurante della pioggia, e mi si
offrì uno spettacolo desolante. La pioggia e la grandine ave vano
ridotto gli agnelli in uno stato così miserando da far pietà:
colpiti in vari modi e violentemente dalla gragnuola, erano stramazzati
a terra e, per quanti sforzi facessero, non avevano più forza di
rialzarsi e camminare verso il giardino. Intanto era cessato l’uragano.
— Osserva la fronte di quegli agnelli — mi disse la Guida.
Su ciascuna fronte si leggeva il nome di un giovane dell’Oratorio. Mi fu
quindi presentato un vaso d’oro con coperchio d’argento. La Guida mi
disse:
— Spalma un pò di quell’unguento sulle ferite degli agnelli e ne vedrai l’effetto prodigioso.
Subito mi metto all’opera; ma non appena mi avvicino a uno, esso si
trascina via. Vado da un altro, ma anche questo mi scappa. E così tutti
quelli che avvicinavo per ungerli e guarirli. Finalmente raggiungo un
agnellino più malconcio degli altri, che aveva gli occhi quasi fuori
delle orbite. Lo tocco con la mano spalmata del misterioso unguento ed
egli all’istante guarisce e torna saltellando nel giardino.
Allora molti altri agnelli, visto ciò, si lasciarono toccare e guarire
ed entrarono nel giardino. Ma ne restavano fuori molti e generalmente i
più piagati; questi non mi fu possibile avvicinarli.
— Lasciali stare — mi disse la Guida —, vedrai che verranno anche loro.
— Vedremo! — dissi io.
Deposi il vasetto d’oro e ritornai nel giardino. Questo aveva mutato
aspetto e portava sull’ingresso la scritta: ORATORIO. Appena entrato,
vedo quegli agnelli che non volevano venire, avvicinarsi, entrare di
nascosto e accantucciarsi qua e là. Neanche allora potei avvicinarli e
guarirli con l’unguento miracoloso. Anzi alcuni che lo ricevettero
contro voglia ottennero l’effetto di vedersi le piaghe peggiorate; per
essi la medicina si convertiva in veleno.
— Guarda: vedi quello stendardo? — mi disse la Guida.
Mi voltai e vidi sventolare un grande vessillo, sul quale era scritto a caratteri cubitali: VACANZE.
— Questo è l’effetto delle vacanze — mi spiegò la Guida —. I tuoi
giovani escono dall’Oratorio con buona volontà di nutrirsi della Parola
di Dio e di conservarsi buoni, ma poi sopravviene il temporale, che sono
le tentazioni; poi la pioggia, che sono gli assalti del demonio; quindi
cade la grandine, ed è quando cadono nella colpa. Alcuni guariscono
ancora con la Confessione; ma altri non fanno buon uso di questo
sacramento o non lo usano affatto. Abbilo in mente e non stancarti di
ripeterlo ai tuoi giovani, che le vacanze sono una gran tempesta per le
loro anime.
Stavo ancora curando le piaghe mortali di quegli agnelli, quando un
rumore nella camera accanto mi svegliò».
È un sogno rivelatore delle sollecitudini assidue, più che paterne, con
cui Don Bosco curava l’anima dei suoi giovani al ritorno dalle vacanze.
Oggi i mezzi di corruzione sono cresciuti; e se i giovani lasciano
l’incontro con Gesù-Pane nella Comunione e con Gesù-Medico nella
Confessione, ben difficilmente escono indenni dai pericoli dell’ozio e
delle cattive compagnie, propri delle vacanze estive.
7-54 Ottobre 14, 1906 La stima propria avvelena la Grazia. Purgatorio d’un anima per aver trascurato la comunione.
Luisa Piccarreta (Libro di Cielo)
(1) Trovandomi nel solito mio stato mi sono trovata fuori di me stessa con Gesù bambino, e pareva che diceva ad un sacerdote:
(2) “La stima propria avvelena la Grazia in te e negli altri, perché dovendo per il tuo uffizio somministrare la Grazia, se le anime avvertono, ché facilmente si avverte quando c’è questo veleno, che quello che dici e fai lo fai per essere stimato, già la Grazia non entra sola, ma insieme col veleno che hai tu; quindi, invece di risorgere alla vita, trovano la morte”.
(3) Poi ha soggiunto: “E’ necessario vuotarsi di tutto per poterti riempire del Tutto che è Iddio, e tenendo in te il Tutto, darai il Tutto a tutti quelli che verranno da te, e dando il Tutto agli altri, troverai tutto a tua disposizione, in modo che nessuno saprà negarti niente, neanche la stima, anzi da umana l’avrai divina, qual si conviene al Tutto che abita in te”.
(4) Dopo ciò vedevo un anima del purgatorio che vedendoci, si nascondeva e ci sfuggiva, ed era tale il rossore che provava che rimaneva come schiacciata. Io sono rimasta stupita, che invece di correre al bambino, sfuggiva, Gesù è scomparso ed io mi sono avvicinata domandandole la cagione di ciò, ed essa era tanto vergognosa che non poteva dir parola, ed avendola costretto mi ha detto:
(5) “Giusta giustizia di Dio, che ha suggellato sulla mia fronte la confusione e tale timore della sua presenza, che sono costretta a fuggirlo, agisco contro il mio stesso volere, ché mentre mi consumo di volerlo, un altra pena m’inonda e lo sfuggo. Oh! Dio, vederlo e fuggirlo, sono pene mortali ed inesprimibili. Però, mi ho meritato queste pene distinte dalle altre anime, ché facendo io vita devota, abusai molte volte di non fare la comunione per cose da niente, per tentazioni, per freddezze, per timori, ed anche qualche volta per poter portare ragioni al confessore e farmi sentire che non facevo la comunione. Dalle anime si tiene un niente tutto questo, ma Iddio ne fa severissimo giudizio, dandole pene che superano le altre pene, perché sono difetti più diretti all’amore. Oltre di tutto ciò, Gesù Cristo nel santissimo sacramento brucia d’amore e dal desiderio di darsi alle anime, si sente morire continuamente d’amore, e l’anima potendo accostarsi a riceverlo, e non facendolo, anzi se ne sta indifferente con tante inutili pretesti, è un’affronto e un dispiacere tale che Lui riceve, che si sente smaniare, bruciare, e alle sue vampe non può dare sfogo, si sente come soffocare dal suo amore, senza che trovi a chi farne parte, e quasi impazzito va ripetendo:
(6) “Gli eccessi dei miei amori non sono curati, anzi dimenticati, anche quelle che si dicono mie spose non hanno ansia di ricevermi e di farmi sfogare almeno con loro, ah! in niente sono contraccambiato. Ahi! ahi! ahi! non sono amato! non sono amato!”
(7) Ed il Signore per farmi purgare da questo difetto, mi ha fatto parte della pena che Lui soffre quando le anime non lo ricevono. E’ una pena, è un cruccio, è un fuoco che paragonato allo stesso fuoco del purgatorio, si può dire che questo è un niente”.
(8) Dopo ciò, mi sono trovata in me stessa, tutta stupita pensando alla pena di quell’anima, mentre da noi si tiene veramente come un niente il lasciare la santa comunione.