Sotto il Tuo Manto

Giovedi, 5 giugno 2025 - San Bonifacio (Letture di oggi)

Dopo l'amore di nostro Signore, ti raccomando, o figliuola, quello della Chiesa, sua Sposa, di questa cara e dolce colomba, che sola può far le uova e far nascere i colombini e le colombine dello Sposo. Ringrazia Dio continuamente di essere figliuola della Chiesa, ad esempio di tante anime che ci hanno preceduto nel felice passaggio. Abbi gran compassione di tutti i pastori, predicatori e guidatori di anime, e vedi come sono sparsi su tutta la faccia della terra, poiché non vi è al mondo provincia dove non ve ne siano molti. Prega Dio per essi, acciocché salvando loro medesimi, procurino fruttuosamente la salute delle anime. (San Pio da Pietrelcina)

Liturgia delle Ore - Letture

Martedi della 31° settimana del tempo ordinario

Per questa Liturgia delle Ore è disponibile sia la versione del tempo corrente che quella dedicata alla memoria di un Santo. Per cambiare versione, clicca su questo collegamento.
Questa sezione contiene delle letture scelte a caso, provenienti dalle varie sezioni del sito (Sacra Bibbia e la sezione Biblioteca Cristiana), mentre l'ultimo tab Apparizioni, contiene messaggi di apparizioni a mistici o loro scritti. Sono presenti testi della Valtorta, Luisa Piccarreta, don Stefano Gobbi e testimonianze di apparizioni mariane riconosciute.

Vangelo secondo Marco 1

1Inizio del vangelo di Gesù Cristo, Figlio di Dio.2Come è scritto nel profeta Isaia:

'Ecco, io mando il mio messaggero davanti a te,
egli ti preparerà la strada.'
3'Voce di uno che grida nel deserto:
preparate la strada del Signore,
raddrizzate i suoi sentieri',

4si presentò Giovanni a battezzare nel deserto, predicando un battesimo di conversione per il perdono dei peccati.5Accorreva a lui tutta la regione della Giudea e tutti gli abitanti di Gerusalemme. E si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati.6Giovanni era vestito di peli di cammello, con una cintura di pelle attorno ai fianchi, si cibava di locuste e miele selvatico7e predicava: "Dopo di me viene uno che è più forte di me e al quale io non son degno di chinarmi per sciogliere i legacci dei suoi sandali.8Io vi ho battezzati con acqua, ma egli vi battezzerà con lo Spirito Santo".

9In quei giorni Gesù venne da Nàzaret di Galilea e fu battezzato nel Giordano da Giovanni.10E, uscendo dall'acqua, vide aprirsi i cieli e lo Spirito discendere su di lui come una colomba.11E si sentì una voce dal cielo: "Tu sei il Figlio mio prediletto, in te mi sono compiaciuto".

12Subito dopo lo Spirito lo sospinse nel deserto13e vi rimase quaranta giorni, tentato da satana; stava con le fiere e gli angeli lo servivano.

14Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù si recò nella Galilea predicando il vangelo di Dio e diceva:15"Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al vangelo".

16Passando lungo il mare della Galilea, vide Simone e Andrea, fratello di Simone, mentre gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori.17Gesù disse loro: "Seguitemi, vi farò diventare pescatori di uomini".18E subito, lasciate le reti, lo seguirono.19Andando un poco oltre, vide sulla barca anche Giacomo di Zebedèo e Giovanni suo fratello mentre riassettavano le reti.20Li chiamò. Ed essi, lasciato il loro padre Zebedèo sulla barca con i garzoni, lo seguirono.

21Andarono a Cafàrnao e, entrato proprio di sabato nella sinagoga, Gesù si mise ad insegnare.22Ed erano stupiti del suo insegnamento, perché insegnava loro come uno che ha autorità e non come gli scribi.23Allora un uomo che era nella sinagoga, posseduto da uno spirito immondo, si mise a gridare:24"Che c'entri con noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci! Io so chi tu sei: il santo di Dio".25E Gesù lo sgridò: "Taci! Esci da quell'uomo".26E lo spirito immondo, straziandolo e gridando forte, uscì da lui.27Tutti furono presi da timore, tanto che si chiedevano a vicenda: "Che è mai questo? Una dottrina nuova insegnata con autorità. Comanda persino agli spiriti immondi e gli obbediscono!".28La sua fama si diffuse subito dovunque nei dintorni della Galilea.

29E, usciti dalla sinagoga, si recarono subito in casa di Simone e di Andrea, in compagnia di Giacomo e di Giovanni.30La suocera di Simone era a letto con la febbre e subito gli parlarono di lei.31Egli, accostatosi, la sollevò prendendola per mano; la febbre la lasciò ed essa si mise a servirli.

32Venuta la sera, dopo il tramonto del sole, gli portavano tutti i malati e gli indemoniati.33Tutta la città era riunita davanti alla porta.34Guarì molti che erano afflitti da varie malattie e scacciò molti demòni; ma non permetteva ai demòni di parlare, perché lo conoscevano.

35Al mattino si alzò quando ancora era buio e, uscito di casa, si ritirò in un luogo deserto e là pregava.36Ma Simone e quelli che erano con lui si misero sulle sue tracce37e, trovatolo, gli dissero: "Tutti ti cercano!".38Egli disse loro: "Andiamocene altrove per i villaggi vicini, perché io predichi anche là; per questo infatti sono venuto!".39E andò per tutta la Galilea, predicando nelle loro sinagoghe e scacciando i demòni.

40Allora venne a lui un lebbroso: lo supplicava in ginocchio e gli diceva: "Se vuoi, puoi guarirmi!".41Mosso a compassione, stese la mano, lo toccò e gli disse: "Lo voglio, guarisci!".42Subito la lebbra scomparve ed egli guarì.43E, ammonendolo severamente, lo rimandò e gli disse:44"Guarda di non dir niente a nessuno, ma va', presentati al sacerdote, e offri per la tua purificazione quello che Mosè ha ordinato, a testimonianza per loro".45Ma quegli, allontanatosi, cominciò a proclamare e a divulgare il fatto, al punto che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma se ne stava fuori, in luoghi deserti, e venivano a lui da ogni parte.


Esdra 2

1Questi sono gli abitanti della provincia che ritornarono dall'esilio, i deportati che Nabucodònosor re di Babilonia aveva condotti in esilio a Babilonia.
Essi tornarono a Gerusalemme e in Giudea, ognuno alla sua città;2vennero con Zorobabèle, Giosuè, Neemia, Seraia, Reelaia, Mardocheo, Bilsan, Mispar, Bigvai, Recun, Baana.
Computo degli uomini del popolo d'Israele:
3Figli di Paros: duemilacentosettantadue.
4Figli di Sefatia: trecentosettantadue.
5Figli di Arach: settecentosettantacinque.
6Figli di Pacat-Moab, cioè i figli di Giosuè e di Ioab: duemilaottocentodieci.
7Figli di Elam: milleduecentocinquantaquattro.
8Figli di Zattu: novecentoquarantacinque.
9Figli di Zaccai: settecentosessanta.
10Figli di Bani: seicentoquarantadue.
11Figli di Bebai: seicentoventitré.
12Figli di Azgad: milleduecentoventidue.
13Figli di Adonikam: seicentosettantasei.
14Figli di Bigvai: duemilacinquantasei.
15Figli di Adin: quattrocentocinquantaquattro.
16Figli di Ater, cioè di Ezechia: novantotto.
17Figli di Bezài: trecentoventitré.
18Figli di Iora: centododici.
19Figli di Casum: duecentoventitré.
20Figli di Ghibbar: novantacinque.
21Figli di Betlemme: centoventitré.
22Uomini di Netofa: cinquantasei.
23Uomini di Anatòt: centoventotto.
24Figli di Azmàvet: quarantadue.
25Figli di Kiriat-Iearìm, di Chefira e di Beeròt: settecentoquarantatré.
26Figli di Rama e di Gheba: seicentoventuno.
27Uomini di Micmas: centoventidue.
28Uomini di Betel e di Ai: duecentoventitré.
29Figli di Nebo: cinquantadue.
30Figli di Magbis: centocinquantasei.
31Figli di un altro Elam: milleduecentocinquantaquattro.
32Figli di Carim: trecentoventi.
33Figli di Lod, Cadid e Ono: settecentoventicinque.
34Figli di Gèrico: trecentoquarantacinque.
35Figli di Senaa: tremilaseicentotrenta.
36I sacerdoti:
Figli di Iedaia della casa di Giosuè: novecentosettantatré.
37Figli di Immer: millecinquantadue.
38Figli di Pascur: milleduecentoquarantasette.
39Figli di Carìm: millediciassette.
40I leviti:
Figli di Giosuè e di Kadmiel, di Binnui e di Odavia: settantaquattro.
41I cantori:
Figli di Asaf: centoventotto.
42I portieri:
Figli di Sallùm, figli di Ater, figli di Talmon, figli di Akkub, figli di Catita, figli di Sobài: in tutto centotrentanove.
43Gli oblati:
Figli di Zica, figli di Casufa,
figli di Tabbaot,44figli di Keros,
figli di Siaà, figli di Padon,
45figli di Lebana, figli di Cagabà,
figli di Akkub,46figli di Cagàb,
figli di Samlai, figli di Canan,
47figli di Ghiddel, figli di Gacar,
figli di Reaia,48figli di Rezin,
figli di Nekoda, figli di Gazzam,
49figli di Uzza, figli di Paseach,
figli di Besai,50figli di Asna,
figli di Meunim, figli dei Nefisim,
51figli di Bakbuk, figli di Cakufa,
figli di Carcur,52figli di Bazlut,
figli di Mechida, figli di Carsa,
53figli di Barkos, figli di Sisara,
figli di Temach,54figli di Nesiach,
figli di Catifa.
55Figli dei servi di Salomone:
Figli di Sotai, figli di Assofèret,
figli di Peruda,56figli di Iaalà,
figli di Darkon, figli di Ghiddel,
57figli di Sefatia, figli di Cattil,
figli di Pochéret Azzebàim, figli di Ami.
58Totale degli oblati e dei figli dei servi di Salomone: trecentonovantadue.
59I seguenti rimpatriati da Tel-Melach, Tel-Carsa, Cherub-Addàn, Immer, non potevano dimostrare se il loro casato e la loro discendenza fossero d'Israele:
60figli di Delaia, figli di Tobia, figli di Nekodà: seicentoquarantadue.
61Tra i sacerdoti i seguenti:
figli di Cobaià, figli di Akkoz, figli di Barzillài, il quale aveva preso in moglie una delle figlie di Barzillài il Galaadita e aveva assunto il suo nome,62cercarono il loro registro genealogico, ma non lo trovarono; allora furono esclusi dal sacerdozio.63Il governatore ordinò loro che non mangiassero le cose santissime, finché non si presentasse un sacerdote con 'Urim' e 'Tummim'.
64Tutta la comunità così radunata era di quarantaduemilatrecentosessanta persone;65inoltre vi erano i loro schiavi e le loro schiave: questi erano settemilatrecentotrentasette; poi vi erano i cantori e le cantanti: duecento.
66I loro cavalli: settecentotrentasei.
I loro muli: duecentoquarantacinque.
67I loro cammelli: quattrocentotrentacinque.
I loro asini: seimilasettecentoventi.
68Alcuni capifamiglia al loro arrivo al tempio che è in Gerusalemme, fecero offerte volontarie per il tempio, perché fosse ripristinato nel suo stato.69Secondo le loro forze diedero al tesoro della fabbrica: oro: dramme sessantunmila; argento: mine cinquemila; tuniche da sacerdoti: cento.
70Poi i sacerdoti, i leviti, alcuni del popolo, i cantori, i portieri e gli oblati si stabilirono nelle rispettive città e tutti gli Israeliti nelle loro città.


Salmi 81

1'Al maestro del coro. Su "I torchi...". Di Asaf.'

2Esultate in Dio, nostra forza,
acclamate al Dio di Giacobbe.
3Intonate il canto e suonate il timpano,
la cetra melodiosa con l'arpa.
4Suonate la tromba
nel plenilunio, nostro giorno di festa.

5Questa è una legge per Israele,
un decreto del Dio di Giacobbe.
6Lo ha dato come testimonianza a Giuseppe,
quando usciva dal paese d'Egitto.
Un linguaggio mai inteso io sento:

7"Ho liberato dal peso la sua spalla,
le sue mani hanno deposto la cesta.
8Hai gridato a me nell'angoscia
e io ti ho liberato,
avvolto nella nube ti ho dato risposta,
ti ho messo alla prova alle acque di Meriba.

9Ascolta, popolo mio, ti voglio ammonire;
Israele, se tu mi ascoltassi!
10Non ci sia in mezzo a te un altro dio
e non prostrarti a un dio straniero.
11Sono io il Signore tuo Dio,
che ti ho fatto uscire dal paese d'Egitto;
apri la tua bocca, la voglio riempire.

12Ma il mio popolo non ha ascoltato la mia voce,
Israele non mi ha obbedito.
13L'ho abbandonato alla durezza del suo cuore,
che seguisse il proprio consiglio.

14Se il mio popolo mi ascoltasse,
se Israele camminasse per le mie vie!
15Subito piegherei i suoi nemici
e contro i suoi avversari porterei la mia mano.

16I nemici del Signore gli sarebbero sottomessi
e la loro sorte sarebbe segnata per sempre;
17li nutrirei con fiore di frumento,
li sazierei con miele di roccia".


Salmi 108

1'Canto. Salmo. Di Davide.'

2Saldo è il mio cuore, Dio,
saldo è il mio cuore:
voglio cantare inni, anima mia.
3Svegliatevi, arpa e cetra,
voglio svegliare l'aurora.

4Ti loderò tra i popoli, Signore,
a te canterò inni tra le genti,
5perché la tua bontà è grande fino ai cieli
e la tua verità fino alle nubi.
6Innàlzati, Dio, sopra i cieli,
su tutta la terra la tua gloria.

7Perché siano liberati i tuoi amici,

8Dio ha parlato nel suo santuario:
"Esulterò, voglio dividere Sichem
e misurare la valle di Succot;
9mio è Gàlaad, mio Manasse,
Èfraim è l'elmo del mio capo,
Giuda il mio scettro.
10Moab è il catino per lavarmi,
sull'Idumea getterò i miei sandali,
sulla Filistea canterò vittoria".

11Chi mi guiderà alla città fortificata,
chi mi condurrà fino all'Idumea?
12Non forse tu, Dio, che ci hai respinti
e più non esci, Dio, con i nostri eserciti?
13Contro il nemico portaci soccorso,
poiché vana è la salvezza dell'uomo.
14Con Dio noi faremo cose grandi
ed egli annienterà chi ci opprime.


Geremia 37

1Sedecìa figlio di Giosia divenne re al posto di Conìa figlio di Ioiakìm; Nabucodònosor re di Babilonia lo nominò re nel paese di Giuda.2Ma né lui né i suoi ministri né il popolo del paese ascoltarono le parole che il Signore aveva pronunziate per mezzo del profeta Geremia.
3Il re Sedecìa inviò allora Iucàl figlio di Selemia e il sacerdote Sofonia figlio di Maasià dal profeta Geremia per dirgli: "Prega per noi il Signore nostro Dio".
4Geremia intanto andava e veniva in mezzo al popolo e non era stato ancora messo in prigione.
5Però l'esercito del faraone era uscito dall'Egitto e i Caldei, che assediavano Gerusalemme, appena ne avevano avuto notizia, si erano allontanati da Gerusalemme.
6Allora la parola del Signore fu rivolta al profeta Geremia:7 "Dice il Signore Dio di Israele: Riferite al re di Giuda, che vi ha mandati da me per consultarmi: Ecco l'esercito del faraone, uscito in vostro aiuto, ritornerà nel suo paese d'Egitto;8i Caldei ritorneranno, combatteranno contro questa città, la prenderanno e la daranno alle fiamme".
9Dice il Signore: "Non illudetevi pensando: Certo i Caldei si allontaneranno da noi, perché non se ne andranno.10Anche se riusciste a battere tutto l'esercito dei Caldei che combattono contro di voi, e ne rimanessero solo alcuni feriti, costoro sorgerebbero ciascuno dalla sua tenda e darebbero alle fiamme questa città".
11Quando l'esercito dei Caldei si allontanò da Gerusalemme a causa dell'esercito del faraone,12Geremia uscì da Gerusalemme per andare nella terra di Beniamino a prendervi una parte di eredità tra i suoi parenti.
13Ma, quando fu alla porta di Beniamino, dove era un incaricato del servizio di guardia chiamato Ieria figlio di Selemia, figlio di Anania, costui arrestò il profeta Geremia dicendo: "Tu passi ai Caldei!".14Geremia rispose: "È falso! Io non passo ai Caldei"; ma egli non gli diede retta. E così Ieria prese Geremia e lo condusse dai capi.15I capi erano sdegnati contro Geremia, lo percossero e lo gettarono in prigione nella casa di Giònata lo scriba, che avevano trasformato in un carcere.16Geremia entrò in una cisterna sotterranea a volta e rimase là molti giorni.
17Il re Sedecìa mandò a prenderlo e lo interrogò in casa sua, di nascosto: "C'è qualche parola da parte del Signore?". Geremia rispose: "Sì" e precisò: "Tu sarai dato in mano al re di Babilonia".
18Geremia poi disse al re Sedecìa: "Quale colpa ho commesso contro di te, i tuoi ministri e contro questo popolo, perché mi abbiate messo in prigione?19E dove sono i vostri profeti, che vi predicevano: Il re di Babilonia non verrà contro di voi e contro questo paese?20Ora, ascolta, re mio signore; la mia supplica ti giunga gradita. Non rimandarmi nella casa di Giònata lo scriba, perché io non vi muoia".
21Il re Sedecìa comandò di custodire Geremia nell'atrio della prigione e gli fu data ogni giorno una focaccia di pane proveniente dalla via dei Fornai, finché non fu esaurito tutto il pane in città.
Così Geremia rimase nell'atrio della prigione.


Apocalisse 2

1All'angelo della Chiesa di Èfeso scrivi:
Così parla Colui che tiene le sette stelle nella sua destra e cammina in mezzo ai sette candelabri d'oro:2Conosco le tue opere, la tua fatica e la tua costanza, per cui non puoi sopportare i cattivi; li hai messi alla prova - quelli che si dicono apostoli e non lo sono - e li hai trovati bugiardi.3Sei costante e hai molto sopportato per il mio nome, senza stancarti.4Ho però da rimproverarti che hai abbandonato il tuo amore di prima.5Ricorda dunque da dove sei caduto, ravvediti e compi le opere di prima. Se non ti ravvederai, verrò da te e rimuoverò il tuo candelabro dal suo posto.6Tuttavia hai questo di buono, che detesti le opere dei Nicolaìti, che anch'io detesto.
7Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese: Al vincitore darò da mangiare dell'albero della vita, che sta nel paradiso di Dio.

8All'angelo della Chiesa di Smirne scrivi:
Così parla il Primo e l'Ultimo, che era morto ed è tornato alla vita:9Conosco la tua tribolazione, la tua povertà - tuttavia sei ricco - e la calunnia da parte di quelli che si proclamano Giudei e non lo sono, ma appartengono alla sinagoga di satana.10Non temere ciò che stai per soffrire: ecco, il diavolo sta per gettare alcuni di voi in carcere, per mettervi alla prova e avrete una tribolazione per dieci giorni. Sii fedele fino alla morte e ti darò la corona della vita.
11Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese: Il vincitore non sarà colpito dalla seconda morte.

12All'angelo della Chiesa di Pèrgamo scrivi:
Così parla Colui che ha la spada affilata a due tagli:13So che abiti dove satana ha il suo trono; tuttavia tu tieni saldo il mio nome e non hai rinnegato la mia fede neppure al tempo in cui Antìpa, il mio fedele testimone, fu messo a morte nella vostra città, dimora di satana.14Ma ho da rimproverarti alcune cose: hai presso di te seguaci della dottrina di Balaàm, il quale insegnava a Balak a provocare la caduta dei figli d'Israele, spingendoli a mangiare carni immolate agli idoli e ad abbandonarsi alla fornicazione.15Così pure hai di quelli che seguono la dottrina dei Nicolaìti.16Ravvediti dunque; altrimenti verrò presto da te e combatterò contro di loro con la spada della mia bocca.
17Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese: Al vincitore darò la manna nascosta e una pietruzza bianca sulla quale sta scritto un nome nuovo, che nessuno conosce all'infuori di chi la riceve.

18All'angelo della Chiesa di Tiàtira scrivi:
Così parla il Figlio di Dio, Colui che ha 'gli occhi' fiammeggianti come 'fuoco e i piedi simili a bronzo splendente'.19Conosco le tue opere, la carità, la fede, il servizio e la costanza e so che le tue ultime opere sono migliori delle prime.20Ma ho da rimproverarti che lasci fare a Iezabèle, la donna che si spaccia per profetessa e insegna e seduce i miei servi inducendoli a darsi alla fornicazione e a mangiare carni immolate agli idoli.21Io le ho dato tempo per ravvedersi, ma essa non si vuol ravvedere dalla sua dissolutezza.22Ebbene, io getterò lei in un letto di dolore e coloro che commettono adulterio con lei in una grande tribolazione, se non si ravvederanno dalle opere che ha loro insegnato.23Colpirò a morte i suoi figli e tutte le Chiese sapranno che io sono Colui che scruta gli affetti e i pensieri degli uomini, e darò a ciascuno di voi secondo le proprie opere.24A voi di Tiàtira invece che non seguite questa dottrina, che non avete conosciuto le profondità di satana - come le chiamano - non imporrò altri pesi;25ma quello che possedete tenetelo saldo fino al mio ritorno.26Al vincitore che persevera sino alla fine nelle mie opere,

darò autorità sopra 'le nazioni;'
27'le pascolerà con bastone di ferro
e le frantumerà come vasi di terracotta',

28con la stessa autorità che a me fu data dal Padre mio e darò a lui la stella del mattino.29Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese.


Capitolo X: Astenersi dai discorsi inutili

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1.     Per quanto possibile, stai lontano dall'agitarsi che fa la gente. Infatti, anche se vi si attende con purezza di intenzione, l'occuparsi delle faccende del mondo è un grosso impaccio, perché ben presto si viene inquinati dalle vanità, e fatti schiavi. Più di una volta vorrei essere stato zitto, e non essere andato in mezzo alla gente.

2.     Ma perché andiamo parlando e chiacchierando così volentieri con altri, anche se poi è raro che, quando torniamo a star zitti, non abbiamo qualche guasto alla coscienza? Parliamo così volentieri perché, con queste chiacchiere, cerchiamo di consolarci a vicenda, e speriamo di sollevare il nostro animo oppresso dai vari pensieri. Inoltre molto ci diletta discorrere e fantasticare delle cose che amiamo assai e che desideriamo, o di ciò che sembra contrastarci. Ma spesso purtroppo tutto questo è vano e inutile; giacché una simile consolazione esteriore va molto a scapito di quella interiore e divina.  

3.     Non dobbiamo passare il nostro tempo in ozio, ma in vigilie e in orazioni; e, se possiamo o dobbiamo parlare, dire cose edificanti. Infatti, mentre il malvezzo e la trascuratezza del nostro progresso spirituale ci induce facilmente a tenere incustodita la nostra lingua, giova assai al nostro profitto interiore una devota conversione intorno alle cose dello spirito; tanto più quando ci si unisca, nel nome di Dio, a persone animate da pari spiritualità.


LIBRO TERZO

Sul battesimo contro i Donatisti - Sant'Agostino

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Si segua l'esempio di Cipriano nel mantenere l'unità.

1. 1. Penso che ormai possa essere a tutti evidente, che l'autorità del beato Cipriano nel conservare il vincolo della pace e non violare in nessun modo la carità salutare per l'unità della Chiesa, sia da proporsi più a favore nostro che dei Donatisti. Se infatti essi cercano di avvalersi dell'esempio di Cipriano per ribattezzare i Cattolici, in quanto ritenne che gli eretici andassero ribattezzati nella Cattolica, noi preferiamo avvalerci dell'altro suo esempio: quello con cui stabilì, molto chiaramente, che dalla comunione cattolica, cioè, dai cristiani sparsi in tutto il mondo, compresi i cattivi e i sacrileghi riammessi, non bisognava allontanarsi per nessuno motivo, con la rottura della comunione. Perciò egli non ha voluto allontanare dal diritto della comunione neppure quelli che, a suo avviso, ricevevano nella comunione cattolica i non battezzati e i sacrileghi, ed ha detto: Non giudicare nessuno, né allontanare dal diritto della comunione, chi avesse idee diverse 1.

Risposta alla domanda sulla consuetudine introdotta da Agrippino.

2. 2. Ma io vedo che mi si può chiedere ancora una cosa, e cioè, di rispondere alle apparenti ragioni dalle quali furono mossi, prima Agrippino, poi Cipriano stesso e quanti lo sostenevano in Africa e, forse, anche alcuni che si trovavano nei territori d'oltremare e più lontani, e senza che vi sia stato nessun concilio, né plenario e né, almeno, regionale, ma solo una corrispondenza epistolare, tanto da ritenere di dover introdurre una prassi che la primitiva consuetudine della Chiesa non aveva, e che, in seguito, il mondo cattolico, con un consenso solidissimo e fermo, ha escluso. Così che l'errore, che attraverso tali discussioni aveva incominciato ad insinuarsi nelle menti di alcuni, lo guarisse una verità più forte e una medicina universale proveniente dalla salvezza dell'unità. Ed ora vedano, essi, con che serenità io affronto questo discorso. Se io non riuscirò a dimostrare come vanno confutate le affermazioni che essi prendono dal concilio di Cipriano e dai suoi scritti, e cioè che il battesimo di Cristo non può essere dato dagli eretici, rimarrò tranquillo in quella Chiesa, nella cui comunione rimase Cipriano con quanti non condividevano il suo pensiero.

La Chiesa non poté né contaminarsi e né scomparire in forza della consuetudine di non ribattezzare.

2. 3. Ora essi dicono che allora la Chiesa cattolica esisteva, in quanto vi erano pochi o, se così credono, molti, che disapprovavano il battesimo dato presso gli eretici, e battezzavano quanti provenivano dall'eresia. E allora? Prima di Agrippino, dal quale ebbe inizio, diciamo così, la nuova norma contrastante con la consuetudine, la Chiesa non esisteva? E che? In seguito, dopo Agrippino, quando, se non si fosse ritornati alla antica consuetudine, Cipriano non avrebbe dovuto riunire un altro concilio, che forse la Chiesa non esisteva, visto che dappertutto vigeva la consuetudine di ritenere il battesimo di Cristo, soltanto come battesimo di Cristo, anche se si provava che era stato dato presso gli eretici o gli scismatici? Che se poi la Chiesa esisteva anche allora, e l'eredità di Cristo, non essendo stata interrotta, non era perita, ma sussisteva e cresceva in tutte le nazioni, è norma sicurissima restare nella consuetudine, che allora riuniva in un solo abbraccio, buoni e cattivi. Se invece allora la Chiesa non esisteva più, in quanto si riammettevano, senza battesimo, sacrileghi eretici, e questa era una consuetudine universalmente osservata, da dove è apparso Donato? Da quale terra è spuntato? Da quale mare è emerso? Da quale cielo è caduto?. Pertanto noi, come stavo dicendo, restiamo al sicuro nella comunione di quella Chiesa, nella cui universalità ora si fa ciò che si faceva universalmente anche prima di Agrippino e tra Agrippino e Cipriano, e la cui universalità non abbandonarono né Agrippino, né Cipriano, né i loro sostenitori, quantunque la pensassero in modo diverso dagli altri, ma rimasero nella stessa comunione di unità insieme a quelli dai quali avevano idee diverse. Siano essi, invece, a considerare dove sono; essi che non possono dire né da dove si sono propagati, se è vero che, fin da allora, gli eretici e gli scismatici riammessi senza battesimo, avevano fatto perire la Chiesa con il contagio della loro comunione, e né, d'altra parte, sono d'accordo con Cipriano stesso. Infatti, mentre Cipriano professò di voler restare nella comunione con quelli che avevano accolto gli eretici e gli scismatici, e quindi anche con quelli che erano stati accolti, i Donatisti invece, per via del nome di traditori, con cui infamarono alcuni in Africa, ma senza riuscire a dimostrarlo nel concilio d'oltremare, si sono separati dalla comunione col mondo, benché siano molto più gravi i crimini dell'eresia e dello scisma che i crimini che rinfacciavano, anche se veri. Quindi, quelli che vennero senza il battesimo, come Cipriano pensava, e che furono ammessi nella comunione cattolica, non per mezzo del battesimo, non poterono macchiare Cipriano. Ma neppure in ciò che dicono di imitare Cipriano, essi sanno che rispondere sulla questione di avere accettato il battesimo dei Massimianisti, ritornati con alcuni di quelli che, condannati dal loro concilio plenario, e perseguitati perfino dal tribunale delle autorità terrene, essi hanno poi riammesso nella loro comunione con la stessa dignità episcopale nella quale li avevano condannati. Di conseguenza, se al tempo di Cipriano, la comunione coi cattivi ha fatto perire la Chiesa, la comunione dei Donatisti non ha un'origine. Se invece non l'ha fatta perire, essi non hanno alcuna giustificazione per il loro scisma. E si aggiunga, che non seguono né l'esempio di Cipriano, poiché hanno infranto il vincolo dell'unità, e né il suo concilio, poiché hanno accettato il battesimo dei Massimianisti.

Lettera di Cipriano a Giubaiano sul battesimo degli eretici.

3. 4. ora noi quindi, pur seguendo l'esempio di Cipriano, esaminiamo anche il concilio di Cipriano. Che dice Cipriano? Voi avete ascoltato, carissimi colleghi, la lettera scrittami da Giubaiano, nostro collega nell'episcopato, per consultare la nostra pochezza sull'illecito ed empio battesimo degli eretici, ed anche ciò che io ho risposto ribadendogli, naturalmente, il mio parere espresso più volte, che gli eretici e scismatici che vengono alla Chiesa, vanno battezzati e santificati con il battesimo della Chiesa. Vi è stata poi letta anche un'altra lettera di Giubaiano, nella quale egli, da uomo sincero, religioso e devoto, rispondendo alla nostra lettera, non solo si dichiara d'accordo, ma ringrazia anche delle istruzioni ricevute 2. Da queste parole del beato Cipriano, apprendiamo che egli è stato consultato da Giubaiano, che questi gli ha risposto e che lo ha ringraziato per le istruzioni ricevute. Dobbiamo forse essere ritenuti ostinati, se vogliamo esaminare questa stessa lettera, che ha persuaso Giubaiano? Finché in effetti non persuaderà anche noi, se può farlo con ragioni convincenti, ci assicura il diritto alla comunione cattolica, lo stesso Cipriano.

Continua ancora la lettera.

3. 5. Egli infatti continua dicendo: Ci resta da esprimere, su questa questione, le nostre personali opinioni, senza giudicare nessuno, né allontanare qualcuno dal diritto della comunione, se avesse idee diverse 3. Egli quindi, non solo mi concede di continuare a cercare la verità, fatto salvo il diritto della comunione, ma anche di avere opinioni diverse. Nessuno di noi, infatti, viene costituito vescovo dei vescovi, né costringe i suoi colleghi al dovere dell'obbedienza con il terrore dei tiranni 4. Che c'è di più mite? Che di più umile? Sicuramente nessuna autorità ci distoglie dal cercare la verità Egli dice: poiché ogni vescovo, grazie alla sua libertà e potestà, ha un proprio giudizio; e come non può essere giudicato dagli altri, così non può giudicare gli altri 5. Io penso che si riferisca alle questioni non ancora discusse e studiate a fondo. Egli infatti sapeva che la Chiesa intera era allora impegnata a cercare, in una serie di discussioni, tutta la profondità del sacramento, e lasciava piena libertà di ricerca, affinché la verità, una volta conosciuta, fosse diffusa. Egli non mentiva e non pensava di catturare con questo discorso i suoi colleghi più ingenui, in modo che, una volta che avessero espresso le loro opinioni contrarie, avrebbe deciso, in contrasto con la sua promessa, che dovevano essere scomunicati. Lungi da un'anima così santa questa crudele perfidia! E quanti, di un uomo così grande pensano questo, sia pure per fargli un elogio, non fanno altro che ammettere di essere loro dei perfidi. Per parte mia, che Cipriano, vescovo cattolico e martire cattolico, il quale, quanto più era grande tanto più si mostrava umile con tutti, per trovare grazia 6 presso Dio, abbia fatto uscire dalla sua bocca, soprattutto nel santo concilio e davanti ai suoi colleghi, una cosa diversa da quella che sentiva nel cuore, non posso crederlo nel modo più assoluto. Specie se consideriamo queste altre parole: Ma restiamo tutti in attesa del giudizio del Signore nostro Gesù Cristo, che è l'unico e il solo ad avere il potere sia di porci a capo del governo della sua Chiesa e sia di giudicare le nostre azioni 7. Ora, nel ricordo di questo grande giudizio, in attesa di ascoltare la verità dai suoi colleghi, poteva, egli per primo, dare un esempio di menzogna? Tenga Dio lontano questa follia da ogni cristiano e molto più da Cipriano! Dunque, abbiamo libera facoltà di ricerca: a concedercela è Cipriano stesso, con un discorso molto mite e sincero.

La lettura di questa lettera non è persuasiva.

4. 6. Ed ora cominciano i suoi colleghi a esprimere le proprie opinioni; ma essi hanno ascoltato la lettera a Giubaiano; in effetti è stata letta, come è stato ricordato all'inizio. La si legga quindi anche a noi, perché anche noi vediamo, con l'aiuto del Signore, che cosa bisogna pensare. Forse mi si dirà: " Come, solo ora tu vieni a conoscere ciò che ha scritto Cipriano a Giubaiano? ". L'ho già letta, lo confesso, e mi sarei orientato senz'altro verso la stessa opinione, se non mi avesse richiamato ad una più attenta riflessione, la grande autorità di quelli che gli sono uguali per il dono della dottrina, o, forse, sono anche più dotti, e che la Chiesa diffusa nel mondo, ha potuto generare in tante nazioni Latine, Greche, barbare e nella stessa nazione ebraica; quella Chiesa che ha generato anche lui; e non mi è mai parso che questi abbiano rifiutato senza motivo di seguire l'opinione di Cipriano, e non già perché non sarebbe possibile che in una questione molto oscura, uno o pochi abbiano le idee più esatte di molti, ma perché non bisogna facilmente dare un parere a favore di uno o di pochi, contro gli innumerevoli personaggi di una stessa religione e di una stessa unità, dotati di grande ingegno e di ricca dottrina, se non dopo avere esaminato le questioni con tutte le forze e averle approfondite. Pertanto, a chi mi chiede con insistenza se anche gli scritti di Cipriano mi hanno suggerito qualcosa a favore dell'opinione che, oggi, la Chiesa cattolica sostiene, e cioè che il battesimo di Cristo va riconosciuto e approvato, non per i meriti di colui che lo dà ma per la virtù di colui di cui è stato detto: Questi è colui che battezza 8, sarà l'argomento stesso a fornirgli una risposta nel prosieguo del nostro discorso. Diamo dunque per scontato che la lettera di Cipriano a Giubaiano è stata letta anche a noi, come è stata letta nel concilio. La legga, prima di tutto, chi si appresta a leggere quanto io dirò, perché non pensi che io ne abbia omesso qualche brano essenziale. Sarebbe troppo lungo, infatti, e non pertinente allo svolgimento del nostro compito, citarne ora il testo parola per parola.

Il punto di partenza di Agostino circa questa questione.

5. 7. Se poi uno mi chiede quale sia il mio pensiero, mentre sto trattando questa questione, innanzitutto rispondo che è stata appunto la lettera di Cipriano a suggerirmelo, in attesa di vedere ciò che cominciò più tardi ad essere discusso. Dice, infatti, Cipriano: Si dirà: che ne sarà, dunque, di coloro che in passato, venendo dall'eresia alla Chiesa, sono stati ammessi senza battesimo? 9 Ma se davvero questi erano senza battesimo o se sono stati ammessi perché chi li ammetteva si rendeva conto che lo avevano, lo esamineremo presto. Nondimeno Cipriano mostra con chiarezza quale fosse, nella Chiesa, la consuetudine vigente: egli dice che in passato, quanti dall'eresia passavano alla Chiesa, erano ammessi senza battesimo.

Non si deve disprezzare la verità.

5. 8. Nel concilio Casto di Sicca dice: Chi, disprezzata la verità, presume di seguire una consuetudine, o è invidioso e maligno verso i fratelli, ai quali la verità si rivela, o è ingrato verso Dio, che con la sua ispirazione ammaestra la sua Chiesa 10. Se la verità è stata scoperta, lo verificheremo presto; ma che fosse un'altra la consuetudine della Chiesa, lo ammette anche lui.

La consuetudine deve cedere alla verità.

6. 9. Dice Liboso di Vaga: Nel Vangelo il Signore dice: " Io sono la verità " 11. Non dice: Io sono la consuetudine. Quindi, una volta scoperta la verità, la consuetudine deve cedere alla verità 12. Certo, e chi oserà dubitare che la consuetudine deve cedere alla verità scoperta? Ma di questa scoperta della verità vedremo; per ora anche costui rivela che la consuetudine era un'altra.

Dopo la rivelazione della verità, l'errore segni il passo.

7. 10. Così, Zosimo di Tarassa dice: Scoperta la verità, l'errore ceda alla verità; infatti anche Pietro, che prima sosteneva la circoncisione, si arrese a Paolo che predicava la verità 13. Costui ha preferito non parlare di consuetudine, ma di errore; tuttavia dicendo: Anche Pietro, infatti, che prima sosteneva la circoncisione, si arrese a Paolo che predicava la verità, mostra chiaramente che sulla questione del battesimo la prassi era un'altra. Ma allo stesso tempo ci avverte che non fu impossibile per Cipriano avere sul battesimo un parere diverso dalla verità che la Chiesa aveva seguito prima e dopo di lui, se anche Pietro poté avere un'idea diversa dalla verità che abbiamo appresa dall'apostolo e maestro Paolo 14.

Non preferire la consuetudine alla ragione.

8. 11. Così, Felice da Buslacca: Nell'ammettere gli eretici senza il battesimo della Chiesa, nessuno deve anteporre una consuetudine alla ragione e alla verità: la ragione e la verità, infatti, escludono sempre la consuetudine 15. Se si tratta di ragione e di verità, benissimo, e lo vedremo presto; per il momento, l'esistenza di una diversa consuetudine traspare anche dalle parole di Felice.

Anteporre la verità alla consuetudine.

9. 12. Così, Onorato di Tucca: Poiché Cristo è la verità, noi dobbiamo seguire più la verità che la consuetudine 16. In tutti questi interventi si dichiara che noi non siamo fuori dalla comunione della Chiesa, finché la verità, che a loro dire va preferita alla consuetudine, non brillerà con chiarezza. Ma se la verità rivelerà che bisogna seguire quanto aveva prescritto la consuetudine, sarà evidente che essa non venne introdotta e consolidata senza motivo, e sarà più chiaro, anche dopo queste dispute, che la salutarissima osservanza di un sacramento tanto grande, la Chiesa cattolica non avrebbe potuta cambiarla, ma, una volta confermata anche dalla forza maggiore dei concili, conservarla con la massima religiosità.

Gli eretici non hanno potere e diritto sul battesimo.

10. 13. Scrive dunque Cipriano a Giubaiano, sul battesimo degli eretici che, postisi fuori e stabilitisi fuori della Chiesa, gli sembravano rivendicare una cosa di cui non avevano né diritto e né potere. Egli dice: Questo battesimo non possiamo ritenerlo né valido e né legittimo, dal momento che presso di loro, come si sa, è illecito 17. Neppure noi neghiamo che quando uno si battezza presso gli eretici o in qualche scisma, fuori dalla comunione della Chiesa, il battesimo non gli giova nella misura in cui egli approva la perversità degli eretici e degli scismatici; come non neghiamo che coloro che battezzano, benché diano il vero ed autentico sacramento del battesimo, agiscono legittimamente, raccolgono fuori della Chiesa e pensano contro la Chiesa. Ma, un conto è non possedere un bene, e un conto è possederlo senza averne diritto o appropriarsene illecitamente. Quindi, non che non siano più sacramenti di Cristo e della Chiesa, solo perché li usano illecitamente, non solo gli eretici, ma anche tutti i malvagi e gli empi. Ciononostante, questi vanno corretti e puniti, e i sacramenti riconosciuti e venerati.

Su questa questione si tennero due concili in Africa.

10. 14. Ha ragione Cipriano nel dire che su questo problema si sono tenuti non uno, ma due e più concili; ma tutti in Africa. Egli poi ricorda che in uno di questi erano presenti settantuno vescovi 18. Ma all'autorità di tutti questi, noi non esitiamo ad anteporre quella della Chiesa universale, diffusa in tutto il mondo con molti più vescovi; pur restando in pace con Cipriano, che della Chiesa universale amava essere un membro indissolubile.

L'acqua del battesimo non è profana e adultera.

10. 15. Non è poi acqua profana e adultera, quella su cui si invoca il nome di Dio, anche se ad invocarlo sono dei profani e degli adulteri, poiché non sono adulteri né la creatura e né il nome. In realtà il battesimo di Cristo, consacrato dalle parole del Vangelo, anche se dato mediante gli adulteri e se lo hanno gli adulteri, è sempre santo, quantunque costoro siano impudichi e immondi, in quanto la sua santità non può essere macchiata e la potenza di Dio è presente nel suo sacramento, e per la salvezza di quanti l'usano bene e per la rovina di quanti l'usano male. O forse la luce del sole o di una lucerna, diffondendosi sulle sozzure, non contrae nessuna sporcizia, e il battesimo di Cristo può essere macchiato dai delitti di qualsiasi uomo? Certo, se prestiamo attenzione agli elementi visibili di cui i sacramenti sono costituiti, chi non sa che sono corruttibili? Se invece pensiamo alla potenza che opera per loro tramite, come non vedere che i sacramenti non possono corrompersi, anche se gli uomini, mediante i quali essa opera, per la loro condotta, o ricevono dei premi o subiscono dei castighi?

L'esempio dei Novaziani non conta.

11. 16. Giustamente Cipriano non si è fatto commuovere da ciò che ha scritto Giubaiano: che i Novaziani ribattezzavano quanti dalla Cattolica passavano a loro 19. In effetti, non tutto ciò che gli eretici imitano in modo distorto, i cattolici non debbono farlo, perché lo fanno anche loro. Ora, altro è il motivo per cui non devono ribattezzare gli eretici, e altro quello per cui non deve battezzare la Cattolica. Gli eretici infatti, non dovrebbero farlo neppure se si dovesse fare nella Cattolica, poiché dicono che tra i Cattolici non si trova ciò che essi, quando c'erano, hanno ricevuto, e quando se ne sono separati, hanno portato via. La Cattolica, poi, non deve ripetere il battesimo, dato presso gli eretici, proprio per non far pensare che essa consideri dei Donatisti ciò che è di Cristo, oppure che essi non abbiano ciò che, avendo ricevuto dentro, non potevano certamente perdere uscendo fuori. In effetti, Cipriano con tutti gli altri 20, ha anche stabilito che se dall'eresia ritornavano alla Chiesa quelli che vi erano stati battezzati, non fossero ricevuti più per mezzo del battesimo, ma della penitenza. Donde risulta che essi non possono perdere, andandosene, ciò che non ricevono, ritornando. Tuttavia, non significa che com'è loro l'eresia, com'è loro l'errore, com'è loro il sacrilegio dello scisma, così anche il battesimo, che è di Cristo, deve dirsi loro. Perciò, mentre quei mali, che sono loro, quando essi ritornano, si correggono, di ciò che invece non è loro, si deve riconoscere Colui di cui è.

Cipriano non stabilì improvvisamente una usanza nuova.

12. 17. San Cipriano mostra di non essere stato lui a stabilire una nuova e inattesa usanza, in quanto essa era già iniziata con Agrippino: " Sono trascorsi molti anni e un lungo periodo, da quando, sotto la presidenza di Agrippino, uomo di santa memoria, molti vescovi si riunirono e la stabilirono " 21. Quindi, la novità è stata introdotta dallo stesso Agrippino. Come poi Cipriano possa dire: " E da allora ad oggi, tante migliaia di eretici, tornati alla Chiesa nelle nostre province, non l'hanno rifiutata e né esitato, anzi, l'hanno abbracciata con saggezza e buona volontà, per ottenere la grazia del lavacro di vita e del battesimo salutare " 22, io non lo so; a meno che, con la frase " da allora ad oggi ", egli intenda dire che, nei riguardi degli eretici non era sorto, da quando nella Chiesa, grazie al concilio di Agrippino, sono stati battezzati, nessun problema di scomunica. Del resto, se la consuetudine di battezzare quanti venivano dagli eretici era in vigore da Agrippino a Cipriano, a che scopo Cipriano ha convocato, su questa questione, due concili? A che scopo egli dice a Giubaiano, di non essere stato lui a introdurre una novità inattesa, ma che l'aveva introdotta Agrippino? Perché Giubaiano era turbato da questa novità, tanto che fu necessario guarirlo citandogli l'autorità di Agrippino, se da Agrippino a Cipriano la Chiesa già la seguiva? E perché infine, tanti suoi colleghi dissero, in concilio che la ragione e la verità vanno anteposte alla consuetudine, mentre avrebbero fatto meglio a dire che quanti volevano fare una cosa diversa, la facevano sia contro la verità che contro la consuetudine?

Si tratta ancora della remissione dei peccati mediante il battesimo.

13. 18. Riguardo alla remissione dei peccati, se cioè presso gli eretici avviene con il battesimo, il mio parere l'ho espresso già in un'altra opera; ma lo richiamo brevemente anche qui. Se da loro la remissione dei peccati si realizza per la santità del battesimo, i debiti ritornano per la loro ostinazione loro nell'eresia o nello scisma, e quindi, queste persone hanno urgente bisogno di venire alla pace cattolica, per cessare di essere eretici e scismatici, e per meritare la purificazione dei peccati, ritornati in loro, mediante la carità operante nel vincolo dell'unità. Se invece, il battesimo di Cristo, quantunque presso gli eretici e gli scismatici sia lo stesso, ma per la sconcezza della discordia e per l'iniquità della divisione non vi opera la remissione dei peccati, questo stesso battesimo inizia ad operare la remissione dei peccati, quando loro vengono alla pace della Chiesa; di modo che, davvero rimessi, i peccati non sono ritenuti; né si disapprova il primo battesimo come estraneo o diverso, per darne un altro, ma si accetta quello stesso che, fuori, per via della discordia, procurava la morte, dentro, per via della pace, procura la salvezza. Era senza dubbio lo stesso profumo, quello di cui l'Apostolo dice: Siamo il buon profumo di Cristo, dappertutto, eppure ha detto: In quelli che si salvano e in quelli che si perdono, per gli uni è profumo di vita per la vita, per gli altri è profumo di morte per la morte 23. Ora, anche se questo testo riguarda un'altra cosa, io l'ho messo qui, perché si capisca che un bene, non solo può procurare la vita a quanti ne usano bene, ma anche la morte a quanti ne usano male.

Rapporto tra chi ha una fede erronea e il battesimo.

14. 19. Quando poi si tratta dell'integrità e della santità del sacramento, non importa ciò che crede e di quale fede è imbevuto chi lo riceve. Certo, la fede conta moltissimo per la via della salvezza, ma per la questione del sacramento, non conta niente. Può infatti capitare che uno abbia il sacramento integro e la fede distorta; come pure che sappia esattamente le parole del Simbolo, ma che non abbia una fede giusta sulla Trinità, o sulla risurrezione o su qualche altra verità. Non che sia di poco conto avere, anche nella Cattolica, una fede integra, e quindi credere assolutamente, non di una creatura, ma di Dio stesso, nient'altro che la verità. E allora? Se un uomo, battezzato nella Cattolica, in seguito viene a sapere, tramite letture, ascolto, serene discussioni, o per illuminazione del Signore, di aver creduto in passato una verità diversa da quella che avrebbe dovuto credere, lo si deve ribattezzare? Ma quale uomo carnale e naturale non si abbandona a rappresentazioni immaginarie del suo cuore, e si crea un Dio a suo piacimento, secondo la sua carnale sensibilità, finendo per credere una realtà ben diversa dal vero Dio, quanto la vanità è diversa dalla verità? Quanta verità c'è in queste parole dell'Apostolo, pieno della luce della verità: L'uomo naturale non comprende le cose dello Spirito di Dio 24. Eppure parlava di quelli che erano stati già battezzati, come rivela egli stesso. È a loro, infatti, che dice: È stato forse crocifisso per voi Paolo? O è nel nome di Paolo che siete stati battezzati? 25 Essi quindi avevano il sacramento del battesimo, ciononostante nella loro sapienza carnale, che cosa potevano credere di Dio, se non ciò che suggeriva il loro senso carnale, nel quale l'uomo naturale non comprende le cose dello Spirito di Dio? Ed è agli uomini carnali che l'Apostolo dice: Non ho potuto parlarvi come ad uomini spirituali, ma come ad esseri carnali. Come a bambini in Cristo vi ho dato da bere latte, e non un nutrimento solido, perché non ne eravate capaci. Ma non lo siete neppure ora, perché siete ancora carnali 26. Costoro sono portati qua e là da ogni vento di dottrina, e di loro dice: Perché non siamo più bambini, sballottati dalle onde e portati qua e là da qualsiasi vento di dottrina 27. Che forse se costoro crescono fino alla maturità spirituale dell'uomo interiore e vengono a conoscere, con la chiarezza dell'intelligenza, quanto è diverso ciò che, a causa dei loro fantasmi, hanno creduto di Dio, da ciò che la verità richiedeva, vanno ribattezzati? Ma può anche accadere questo: che un catecumeno cattolico si imbatta nel libro di un eretico, e, non sapendo discernere l'errore dalla verità, creda una cosa contraria alla fede cattolica, ma si tratta di un errore non in contraddizione con le parole del Simbolo: in verità sotto le stesse parole sono sorti innumerevoli errori degli eretici! Ora, se costui crede che il libro è di qualche autorevole e dotto cattolico e se, pur credendo questo, viene battezzato nella Cattolica, ma in seguito ad una ricerca viene a conoscere che cosa deve credere e, abbracciata la fede cattolica respinge con forza l'errore, che forse, se confessa questo, bisogna ribattezzarlo? Oppure, se prima che egli lo sappia e lo confessi, ci si accorge che ha queste idee e lo si istruisce sugli errori da rinnegare e sulle verità da apprendere, e risulta evidente che egli è stato battezzato con una fede falsa, deve essere di nuovo battezzato? Perché no? Perché la santità del sacramento, consacrata dalle parole del vangelo, restava in lui integra come l'aveva ricevuta, anche se egli, immerso nelle fantasticherie della mente carnale, quando veniva battezzato credeva diversamente da come avrebbe dovuto credere. È quindi evidente, che anche senza una fede integra, in un uomo può restare integro il sacramento del battesimo. Ecco perché, tutto ciò che si dice sulla varietà dei diversi eretici, non tocca questa questione. In ogni uomo, infatti, va corretto ciò che viene conosciuto come sbagliato da parte di chi lo corregge, va guarito ciò che è malato e gli va dato ciò che non ha, soprattutto la carità della pace, senza la quale tutti gli altri doni non possono giovargli. Se però questo c'è, non gli va dato come se non ci fosse, ma fatto in modo che lo abbia con frutto e non con danno, mediante il vincolo della pace e la sublimità della carità.

Il battesimo dato nella formula del Vangelo è integro anche se la fede è imperfetta.

15. 20. Perciò, se Marcione consacrava il battesimo con le parole del Vangelo: Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo 28, il sacramento era integro, anche se la sua fede, che sotto le stesse parole coglieva un senso diverso da ciò che la verità cattolica insegna, non era integra, ma contaminata da incredibili falsità. In realtà, sotto le stesse parole: Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, non erano solo Marcione, Valentino, Ario e Eunomio, a vedervi un senso diverso, ma anche quei figli carnali della Chiesa, ai quali l'Apostolo diceva: Non vi ho potuto parlare come a uomini spirituali, ma come a uomini carnali 29; e se si potessero interrogare bene uno per uno, forse si conterebbero tanti pareri diversi quanti sono loro. L'uomo carnale, infatti, non comprende le cose dello Spirito di Dio 30. Ma per questo non ricevono il sacramento integro? Oppure se progrediscono e si emendano dalla vanità delle loro idee carnali, va ripetuto ciò che avevano ricevuto? Ciascuno riceve secondo la sua fede 31, ma nella misura in cui lo riceve sotto la guida della divina misericordia, nella quale l'Apostolo riponeva la fiducia dicendo: Se in qualche cosa pensate diversamente, in questo Dio vi illuminerà 32. Comunque i lacci degli eretici e degli scismatici sono molto dannosi agli uomini carnali, perché bloccano il loro sviluppo, rafforzano la loro vuota dottrina nei riguardi della verità cattolica, e confermano il loro astioso dissenso verso la pace cattolica. I sacramenti, però, se sono gli stessi, sono ovunque autentici, anche se mal compresi e amministrati con spirito di discordia; come del resto avviene anche del testo del Vangelo: se è sempre lo stesso, resta ovunque integro, anche se viene citato per sostenere una grande varietà di opinioni errate. Prendiamo infatti un testo di Geremia 33 : Perché quelli che mi affliggono prevalgono? La mia ferita è incurabile: come la guarirò? Mentre essa dura, è diventata per me come un'acqua ingannevole, di cui non ci si può fidare 34. Ora, se nel linguaggio figurato e allegorico della profezia, l'acqua non fosse menzionata, tranne che per significare il battesimo, faremmo fatica a cercare il senso delle parole di Geremia. Sennonché, dato che nell'Apocalisse le acque vengono citate molto chiaramente per significare i popoli 35, perché io non potrei intendere per acqua ingannevole e infida un popolo menzognero e perfido, non lo so.

Fuori dalla Chiesa la carità non c'è e senza la carità nulla vale.

16. 21. Se poi si dice che lo Spirito Santo viene dato solo nella Cattolica per l'imposizione delle mani, questo è certamente il senso che i nostri padri hanno voluto dare alle parole di Paolo: La carità di Dio è diffusa nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato 36. È questa, infatti, la carità che non possiedono quanti si sono separati dalla comunione della Chiesa cattolica, per cui, se anche parlassero le lingue degli uomini e degli angeli, se anche conoscessero tutti i misteri e tutta la scienza, se anche possedessero la profezia e la pienezza della fede, sì da trasportare le montagne e distribuire tutti i propri beni ai poveri e dare il proprio corpo alle fiamme per essere bruciato, ad essi non giova niente 37. Ma non ha la carità di Dio chi non ama l'unità della Chiesa, e quindi è giusto dire: lo Spirito Santo non si riceve che nella Cattolica. In effetti, non è con la testimonianza di miracoli temporali e visibili, che oggi viene dato lo Spirito Santo per l'imposizione delle mani, come si dava alle origini per accreditare la nuova fede e per espandere la Chiesa nascente. Chi si aspetta, oggi, che coloro ai quali si impongono le mani per ricevere lo Spirito Santo, comincino tutt'a un tratto a parlare lingue?. Ma si intende che, in virtù del vincolo della pace, la carità di Dio è inspirata invisibilmente e misteriosamente nei loro cuori, in modo da poter dire: La carità di Dio è diffusa nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato 38. Sono molte le operazioni dello Spirito Santo di cui l'Apostolo, dopo averne parlato in un passo, per quanto ha ritenuto sufficiente, ha concluso 39: Ma tutte queste cose le opera un solo e medesimo Spirito, distribuendo a ciascuno i suoi doni come vuole 40. Dunque, poiché una cosa è il sacramento, che ha potuto avere anche Simon Mago 41, una cosa è l'operazione dello Spirito, che suole operare anche nei cattivi, come in Saul che ebbe la profezia 42, e un'altra è l'operazione dello stesso Spirito, che possono avere soltanto i buoni, come è il fine del precetto, cioè la carità che sgorga da un cuore puro, da una coscienza buona e da una fede sincera 43, quale che siano i doni che gli eretici e gli scismatici possono ricevere, la carità che copre la moltitudine dei peccati 44 è il dono specifico dell'unità e della pace cattolica; non però un suo dono presente in tutti, perché non tutti sono suoi, come a suo tempo si vedrà. E al di fuori di essa non può esservi quella carità senza la quale tutti gli altri doni, anche se si possono accettare e approvare, non possono, però, né giovare e né liberare. Riguardo all'imposizione delle mani, essa non è irripetibile come il battesimo. Che altro è, infatti, se non una preghiera su un uomo?.

L'integrità del sacramento è ovunque, ma non realizza la remissione dei peccati.

17. 22. In effetti, se il Signore ha dato a Pietro, figura dell'unità, il potere di sciogliere in terra tutto quanto avesse voluto 45, è evidente che questa unità è stata chiamata anche colomba perfetta e unica 46. Che forse a questa colomba appartengono tutti gli avari di cui Cipriano ha lamentato fortemente la presenza nella Cattolica? 47 Secondo me i ladri non possono essere chiamati colombe, ma falchi. Come mai battezzavano, allora, quelli che, con inganni e raggiri, si appropriavano dei terreni e, raddoppiando gli interessi, aumentavano il loro capitale, se chi battezza è solo la colomba, cioè quell'unità che solo nei buoni può intendersi semplice, casta e perfetta? Oppure è per la preghiera dei santi e degli spirituali, che sono nella Chiesa, che si compie, come per mezzo di un incessante gemito di colomba, questo grande sacramento e la occulta dispensazione della misericordia di Dio, tanto che vengono rimessi anche i peccati di coloro che non sono stati battezzati dalla colomba, ma dal falco, purché essi si accostino a questo sacramento con la pace dell'unità cattolica? Ma se è così, perché a chi passa dall'eresia o dallo scisma alla pace cattolica, non gli sono rimessi i peccati mediante le loro preghiere? È vero che l'integrità del sacramento è riconosciuta ovunque, ma fuori dell'unità della Chiesa, essa non è efficace per ottenere l'irrevocabile remissione dei peccati. E a chi sta nell'eresia o nello scisma, le preghiere dei santi, cioè il gemito dell'unica colomba non possono essere di aiuto, come non possono esserlo a chi sta dentro se, a causa della sua pessima condotta, conserva su di sé il debito dei peccati; e questo, non solo se lo battezza il falco, ma anche se lo battezza il pio ministero della colomba.

La pace dell'unità risiede solo nei buoni.

18. 23. Come il Padre ha mandato me - disse il Signore - così anch'io mando voi. E detto questo, alitò su di loro e disse: ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati, saranno rimessi; a chi li riterrete, saranno ritenuti 48. Dunque, se gli Apostoli rappresentavano la Chiesa e il Signore ha parlato a loro come se parlasse alla Chiesa stessa, è la pace della Chiesa che rimette i peccati ed è la lontananza dalla pace della Chiesa che li ritiene, non ad arbitrio degli uomini, ma per volere di Dio e le preghiere dei santi e degli spirituali, che giudicano tutto, ma che nessuno giudica 49. È infatti la pietra che li ritiene, ed è la pietra che li rimette; è la colomba che li ritiene, ed è la colomba che li rimette; è l'unità che li ritiene, ed è l'unità che li rimette. Ma la pace di questa unità si trova solo nei buoni, o già spirituali o in cammino verso le cose spirituali con concorde obbedienza; mentre non si trova nei cattivi, sia che strepitino fuori o che siano tollerati dentro, nel pianto; e sia che battezzino o che vengano battezzati. Ma come coloro che sono tollerati dentro tra i gemiti, quand'anche non appartengano all'unità della colomba e della gloriosa Chiesa senza macchia, né ruga e né alcunché di simile, 50 se si emendano e riconoscono d'essersi accostati al battesimo con pessime disposizioni, non vengono ribattezzati, ma incominciano ad appartenere alla colomba, per il cui gemito sono rimessi i peccati a quanti erano lontani dalla sua pace. Così anche quelli che sono apertamente fuori: se hanno ricevuto gli stessi sacramenti, se si correggono e vengono all'unità della Chiesa, sono liberati non dalla ripetizione del battesimo, ma dalla legge della carità e dal vincolo dell'unità. In effetti, se solo ai capi della Chiesa, fondati sulla legge del Vangelo e sull'ordine del Signore, viene riservato il diritto di battezzare 51, li avevano questi requisiti, coloro che si appropriavano dei terreni con inganni e raggiri, e che aumentavano il loro capitale, raddoppiando gli interessi 52? Io invece credo che fondati sull'ordine del Signore, siano coloro ai quali l'Apostolo proponeva questo modello di vita: Non sia né avaro, né disonesto affarista 53. Eppure, al tempo di Cipriano, tali individui battezzavano, ed egli confessa, con grande dolore, che essi erano vescovi, suoi colleghi, e li sopporta ricevendo la grande ricompensa dovuta alla tolleranza. Tuttavia, non concedevano la remissione dei peccati, che viene concessa per le preghiere dei santi, cioè, per i gemiti della colomba - chiunque battezzi -, se coloro ai quali viene data fanno parte della sua pace. In effetti, il Signore non avrebbe mai detto ai ladroni e agli usurai: A chi rimetterete i peccati, saranno rimessi; a chi li riterrete, saranno ritenuti 54. La verità è che, fuori della Chiesa non si può né legare, né sciogliere alcunché, là dove non c'è nessuno che può legare e sciogliere 55; ma viene sciolto chi è in pace con la colomba, e legato chi non è in pace con la colomba, sia che si trovi apertamente fuori, sia che sembri stare dentro.

Gli esempi di Dathan e Abiron.

18. 24. Quanto a Dathan e ad Abiron, che cercarono di appropriarsi del diritto di offrire sacrifici contro l'unità del popolo di Dio, e ai figli di Aronne, che misero sull'altare un fuoco straniero, essi, come sappiamo, non lo fecero impunemente 56. E anche noi diciamo che questi crimini non resteranno impuniti, se i colpevoli non si ravvedono e se la pazienza di Dio, che li invita alla penitenza 57, concede loro il tempo di farlo.

L'esempio del diacono Filippo.

19. 25. Certamente quanti dicono che il battesimo non va ripetuto, perché a quelli che battezzò il diacono Filippo, fu imposta solo la mano 58, non dicono niente che attenga alla nostra questione, e quindi, lungi da noi, nella ricerca della verità, il ricorso a simili argomenti. Perciò noi non cediamo agli eretici, se diciamo che quanto essi ricevono dalla Chiesa di Cristo, non è loro, e se, a causa dei crimini dei disertori, ci rifiutiamo di disconoscere le insegne del nostro imperatore 59. E soprattutto se, visto che il Signore Dio nostro è un Dio geloso 60, tutto ciò che di suo riconosciamo in un uomo, non gli permettiamo assolutamente di considerarlo come proprio. Si sa che questo Dio geloso rimprovera la donna adultera - figura del popolo prevaricatore -, che lo ha abbandonato, dicendole che i doni suoi essa li concedeva ai suoi amanti dai quali riceveva, in contraccambio, doni che non erano loro, ma di Dio 61. Ora, se nel rapporto tra una donna adultera e suoi adulteri amanti, Dio riconosce i suoi doni, come un uomo geloso adirato 62, come possiamo dire, noi, che il battesimo consacrato dalle parole del Vangelo è degli eretici e, colpiti dai loro fatti, vogliamo attribuire ad essi anche i doni di Dio, quasi che abbiano potuto contaminarli o fare proprio ciò che è di Dio, solo perché essi non hanno voluto essere di Dio?

Tutti i doni che hanno gli eretici vengono da Dio e sono di Dio.

19. 26. Chi è la donna adultera, che il profeta Osea ci presenta e che ha detto: Andrò dietro ai miei amanti: essi mi danno il mio pane e la mia acqua, i miei vestiti e il mio lino, e tutto ciò che mi conviene 63? Certo, questo testo possiamo intenderlo anche del popolo giudaico prevaricatore. Tuttavia, quelli che gli pseudocristiani imitano -vale a dire gli eretici e gli scismatici - chi sono se non degli pseudoisraeliti? Certo, vi erano anche dei veri Israeliti, come Natanaele, di cui il Signore stesso rende testimonianza, dicendo: Ecco un vero Israelita nel quale non c'è inganno 64. E chi sono i veri cristiani, se non coloro di cui lo stesso Signore dice: Chi mi ama, osserva i miei comandamenti 65? E che significa osservare i suoi comandamenti, se non rimanere nella carità? Perciò egli dice anche: Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate a vicenda 66, e: Da questo vi conosceranno tutti che siete miei discepoli, se vi amerete a vicenda gli uni gli altri 67. Ora, chi può dubitare che questo insegnamento non era rivolto solo a quelli che, allora, ascoltavano le parole di Colui, che era presente con il suo corpo, ma anche a quelli che per mezzo del Vangelo conoscono, ora, le parole di Colui che siede nel cielo? Il Signore infatti non è venuto per abolire la legge, ma per completarla 68; e la pienezza della legge è la carità 69, che in Cipriano, che pure sul battesimo aveva una opinione diversa, fu tanto forte, da non fargli abbandonare l'unità, e da renderlo un tralcio fruttuoso ben inserito nella vite del Signore; un tralcio che il celeste Agricoltore ha potato con il ferro del martirio, perché portasse più frutto 70. Sono invece nemici di questa carità fraterna gli pseudocristiani e gli anticristi, sia che siano apertamente fuori, sia che sembrino dentro. In realtà, essi cercano tutte le occasioni per uscire fuori, come sta scritto: Chi vuole allontanarsi dagli amici, cerca le occasioni 71. Ma anche in mancanza di occasioni, pur sembrando dentro, di fatto sono separati dall'organismo invisibile della carità. Per questo Giovanni dice: Sono usciti di mezzo a noi, ma non erano dei nostri; se fossero stati dei nostri, sarebbero certamente rimasti con noi 72. Egli non ha detto che, uscendo, sono diventati stranieri, ma che erano già stranieri, e per questo ha dichiarato che erano usciti. Anche l'Apostolo parla di alcuni che si erano allontanati dalla verità e sconvolgevano la fede di non pochi fedeli. La loro parola si propagava come una cancrena, e sebbene ordina di evitarli, fa però capire che sono tutti in un'unica grande casa, ma come vasi spregevoli. Credo che ancora non fossero usciti. Di fatto, se già erano usciti, come poté dire che erano dentro un'unica grande casa con i vasi onorevoli? Non è forse per via degli stessi sacramenti, che non cambiano neppure nelle assemblee separate degli eretici, e che appartenevano tutti, egli dice, ad un'unica grande casa, ma per scopi diversi, e cioè, alcuni per l'onore, altri per l'obbrobrio? Ecco, infatti, che cosa dice scrivendo a Timoteo: Evita, parlando, le novità profane, perché esse faranno crescere di molto l'empietà; la parola di costoro si propaga come una cancrena. Fra questi ci sono Imeneo e Fileto, i quali hanno deviato dalla verità, sostenendo che la resurrezione è già avvenuta, e così sconvolgono la fede di alcuni. Ma il fondamento gettato da Dio sta saldo e porta questo sigillo: il Signore conosce i suoi, e: Si allontani dall'iniquità chiunque pronuncia il nome del Signore. In una grande casa però, non vi sono soltanto vasi d'oro e d'argento, ma anche di legno e di coccio; alcuni sono destinati ad usi nobili, altri ad usi spregevoli. Chi, dunque, si manterrà puro da tali cose, sarà un vaso nobile, santificato, utile al padrone, pronto per ogni opera buona 73. Ma che significa mantenersi puro dagli iniqui, se non fare ciò che ha detto poco prima: Si allontani dall'iniquità, chiunque pronuncia il nome del Signore? Ed affinché nessuno credesse di poter perire in quest'unica grande casa, insieme a questi iniqui, con molta avvedutezza ha premesso: Il Signore conosce i suoi; quelli, naturalmente, che, tenendosi lontani dall'iniquità, si conservano puri dai vasi destinati ad usi spregevoli, proprio per non morire con quelli che essi sono costretti a sopportare nell'unica grande casa.

I doni di Dio non dobbiamo attribuirli agli eretici.

19. 27. I malvagi, i malfattori, gli uomini carnali, naturali e diabolici, credono di ricevere dai loro seduttori ciò che è unicamente dono di Dio: i sacramenti o alcune operazioni dello Spirito che riguardano la salvezza in questa vita. Essi non hanno l'amore verso Dio, ma sono tutti presi per coloro che li seducono con il loro orgoglio, e sono paragonati alla donna prostituta, alla quale il Profeta fa dire: Andrò dietro i miei amanti: essi mi danno il mio pane e la mia acqua; i miei vestiti e il mio lino; il mio olio e tutto ciò che mi conviene 74. Le eresie e gli scismi nascono proprio così, quando un popolo carnale, che non è fondato sull'amore di Dio, dice: Andrò dietro ai miei amanti, e con essi fornica turpemente sia per la corruzione della fede che per l'esaltazione della superbia. Ma alcuni, dopo avere sofferto le difficoltà, le strettezze e le chiusure degli insulsi ragionamenti dei loro seduttori, vengono presi dai timori e ritornano sulla via della pace, per cercare sinceramente Dio. Perciò il profeta prosegue dicendo: Ecco dunque, che io sbarro il suo cammino con pali e sto per porre sulla sua via delle spine, e lei non troverà il sentiero. Inseguirà i suoi amanti senza raggiungerli; li cercherà senza trovarli; e dirà: andrò e ritornerò al mio marito di prima, poiché stavo meglio allora di adesso 75. Quindi, perché non credano che i doni posseduti integri dai loro seduttori e che provengono dalla vera dottrina, e coi quali essi attirano la gente alle loro false dottrine e ai loro scismi; perché, ripeto, non credano che siano loro i beni che possiedono integri, il profeta ha aggiunto subito: E lei non ha compreso che sono io che le ho dato il frumento, il vino e l'olio, e che le ho moltiplicate le ricchezze; ma essa ne ha fatto vasi d'oro e di argento per Baal 76. Più su lei aveva detto: Andrò dietro ai miei amanti: sono essi che mi danno il mio pane, ecc., certamente non comprendendo che è dono di Dio e non degli uomini, tutto ciò che di integro e di legittimo hanno anche i suoi seduttori. Ma essi non si attribuirebbero e non reclamerebbero per sé questi doni come propri se, dai popoli che hanno sedotti, non fossero a loro volta sedotti, quando danno loro credito e li coprono di onori tali da permettere loro di dire tali cose e di rivendicare per sé questi doni, di chiamare verità il loro errore, e di considerare giustizia il loro crimine, grazie ai sacramenti e alle Scritture che hanno per bellezza, non per salvezza. Perciò, anche tramite Ezechiele viene detto alla prostituta: Tu hai preso i vasi che erano per la tua gloria: i vasi d'oro e d'argento che io ti avevo dato; ne hai fatto immagini di uomini e ti sei prostituita a loro. hai preso la mia veste variopinta e ne hai coperto i tuoi idoli; il mio olio e il mio incenso e lo hai posto davanti ai tuoi idoli, e i pani che io ti ho dato. Ti ho nutrito con fior di farina, con miele e con olio, ma tu hai deposto questi doni davanti ai tuoi idoli come odore olezzante; tu hai fatto queste cose 77. Ecco, ad immagine dei suoi sogni, coi quali si compiace rigirarsi, l'anima carnale trasforma tutti i sacramenti e le parole dei Libri santi. Eppure, se queste immagini sono false e sono dottrine di demoni ipocriti e mentitori 78, non per questo i sacramenti e i divini oracoli vanno disonorati fino al punto da ritenerli un bene loro, malgrado il Signore dica: Col mio oro, col mio argento, con la mia veste variopinta; col mio olio, coll'incenso e coi pani miei, ecc. O forse, dato che gli erranti pensano che questi beni sono dei loro seduttori, per questo non dobbiamo riconoscere di chi sono, visto quanto lui stesso dice: Ma essa non si è accorta che sono stato io a darle il frumento, il vino, l'olio, e a moltiplicarle le ricchezze? 79 Egli, in effetti, non dice che la sposa non aveva questi beni, poiché era una prostituta, ma si dice che li aveva e che non erano suoi, né dei suoi amanti, ma di Dio, al quale solo appartengono. Certo, lei aveva di suo solo la prostituzione, tuttavia i beni con cui la ornava, da sedotta o da seduttrice, non erano suoi ma di Dio. Ora tutte queste cose erano figura del popolo giudaico, nel quale gli Scribi e i Farisei rigettavano il comandamento di Dio per stabilire le loro tradizioni, e in un certo senso per fornicare con il popolo che abbandonava Dio. Se però tale fornicazione presente nel popolo di allora che il Signore, rimproverandola, portò allo scoperto, non ottenne l'effetto di far diventare loro i sacramenti che non erano loro ma di Dio, il quale, rivolto alla prostituta, le dice che tutti quei beni erano suoi; e se anche il Signore inviò ai sacramenti quelli che purificò dalla lebbra, perché offrissero un sacrificio per se stessi ai sacerdoti - dato che non era ancora subentrato il sacrificio che egli ha voluto che fosse celebrato nella Chiesa, in luogo di quei sacrifici, poiché tutti questi erano figura di lui -, quanto più noi, quando troviamo i sacramenti del Nuovo Testamento presso gli eretici o gli scismatici, non dobbiamo attribuirli a loro e né disapprovarli come dei doni sconosciuti; ma, anche se li possiede una donna adultera, riconoscerli come doni del legittimo sposo; quindi correggere con la parola di verità la prostituzione, che è propria di una donna impudica, e non accusare quei doni che sono propri del Signore misericordioso!

La tradizione dei Padri.

19. 28. Alla luce di queste e di altre simili considerazioni, i nostri padri, non solo prima di Cipriano e di Agrippino, ma anche dopo, conservarono questa salutarissima consuetudine: ogni elemento divino e legittimo, che trovavano integro in una eresia o in uno scisma, lo approvavano anziché condannarlo. Ogni elemento estraneo e proprio di un errore o di uno scisma, lo rimproveravano con sincerità e lo guarivano. Ma tutte le considerazioni che restano da fare sulla lettera a Giubaiano, data l'ampiezza di questo volume, penso che dobbiamo riprenderle e trattarle in un altro.

 

 

 

1 - CYPR., Sentent. episc., praef.

2 - CYPR., Sentent. episc., praef.

3 - CYPR., Sentent. episc., praef.

4 - CYPR., Sentent. episc., praef.

5 - CYPR., Sentent. episc., praef.

6 - Cf. Sir 3, 20.

7 - CYPR., Sentent. episc., praef.

8 - Gv 1, 33.

9 - CYPR., Ep. 73, 23.

10 - CYPR., Sentent. episc., 28.

11 - Gv 14, 6.

12 - CYPR., Sentent. episc. 30.

13 - CYPR., Sentent. episc. 56.

14 - Cf. Gal 2, 11-14.

15 - CYPR., Sentent. episc. 63.

16 - CYPR., Sentent. episc. 77.

17 - CYPR., Ep. 73, 1.

18 - Cf. CYPR., Ep. 73, 1.

19 - CYPR., Ep. 73, 2.

20 - Cf. CYPR., Ep. 71, 2; Sentent. episc., 8.

21 - CYPR., Ep. 73, 3.

22 - CYPR., Ep. 73, 3.

23 - 2 Cor 2, 15-16.

24 - 1 Cor 2, 14.

25 - 1 Cor 1, 13.

26 - 1 Cor 3, 1-3.

27 - Ef 4, 14.

28 - Mt 28, 19.

29 - 1 Cor 3, 1.

30 - 1 Cor 2, 14.

31 - Cf. Mt 9, 29.

32 - Fil 3, 15.

33 - Cf. CYPR., Ep. 73, 1 e 6.

34 - Ger 15, 18.

35 - Cf. Ap 17, 15.

36 - Rm 5, 5.

37 - Cf. 1 Cor 13, 1-3.

38 - Rm 5, 5.

39 - Cf. 1 Cor 12, 8-10.

40 - 1 Cor 12, 11.

41 - Cf. At 8, 13.

42 - Cf. 1 Sam 10, 6. 10.

43 - Cf. 1 Tm 1, 5.

44 - Cf. 1 Pt 4, 8.

45 - Cf. Mt 16, 19.

46 - Cf. Ct 6, 8.

47 - Cf. CYPR., De lapsis 6.

48 - Gv 20, 21-23; cf. CYPR., Ep. 73, 7.

49 - Cf. 1 Cor 2, 15.

50 - Cf. Ef 5, 27.

51 - CYPR., Ep. 73, 7.

52 - Cf. CYPR., De lapsis 6.

53 - Tt 1, 7.

54 - Gv 20, 23.

55 - CYPR., Ep., 73, 8.

56 - Cf. Nm 16; Lv 10, 1-2.

57 - Cf.Rm 2, 4.

58 - Cf. At 8, 5-17; CYPR., Ep. 73, 9.

59 - Cf.CYPR., Ep. 73, 10, 1.

60 - Dt 4, 24.

61 - Cf. Os 2, 5; 8, 9.

62 - Cf.Os 2, 8.

63 - Os 2, 5.

64 - Gv 1, 47.

65 - Gv 14, 21.

66 - Gv 13, 34.

67 - Gv 13, 35.

68 - Cf. Mt 5, 17.

69 - Cf. Rm 13, 10.

70 - Cf. Gv 15, 1-5.

71 - Prv 18, 1.

72 - 1 Gv 2, 19.

73 - 2 Tm 2, 16-21.

74 - Os 2, 5.

75 - Os 2, 6-7.

76 - Os 2, 8.

77 - Ez 16, 17-19.

78 - Cf. 1 Tm 4, 1-2.

79 - Os 2, 8.


22 - Si celebrano le nozze di Maria santissima col santo e castissimo Giuseppe

La mistica Città di Dio - Libro secondo - Suor Maria d'Agreda

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752. Nel giorno in cui la nostra principessa Maria compiva quattordici anni, si radunarono gli uomini della tribù di Giuda e della stirpe di Davide, da cui discendeva la celeste Signora, i quali si trovavano allora in Gerusalemme. Fra gli altri fu chiamato Giuseppe nativo di Nazaret, che soggiornava nella stessa città santa, perché era uno di quelli della stirpe regale di Davide. Aveva trentatré anni, una bella figura e un aspetto attraente, ma di incomparabile modestia e serietà; dotato di santissime inclinazioni, era soprattutto castissimo nelle opere e nei pensieri e, fin dal dodicesimo anno d'età, aveva fatto voto di castità. Era parente della vergine Maria; in terzo grado, e di vita purissima, santa ed irreprensibile agli occhi di Dio e degli uomini.

753. Dopo essersi riuniti nel tempio, quegli uomini non sposati pregarono il Signore insieme con i sacerdoti, perché tutti fossero guidati dal suo divino Spirito in ciò che dovevano fare. A quel punto, l'Altissimo ispirò al cuore del sommo sacerdote di far si che a ciascuno dei giovani ivi raccolti si ponesse una verga secca nelle mani e che tutti poi domandassero con viva fede a sua Maestà di rivelare con tale mezzo chi aveva scelto come sposo di Maria. Siccome il buon odore della virtù ed onestà di questa vergine, nonché la fama della sua bellezza, dei suoi beni e della sua condizione sociale, come pure il fatto che fosse la figlia primogenita e unica nella sua casa, era già manifesto a tutti, ciascuno ambiva la buona sorte di averla come sposa. Solo l'umile e rettissimo Giuseppe, tra i presenti, si reputava indegno di un bene così grande; ricordandosi del voto di castità che egli aveva fatto e riproponendosene in cuor suo la perpetua osservanza, si rassegnò alla divina volontà, rimettendosi a ciò che volesse disporre di lui, nutrendo tuttavia venerazione e stima per l'onestissima giovane vergine Maria più di chiunque altro.

754. Mentre facevano questa orazione, tutti quelli là radunati videro fiorire solo la verga in mano a Giuseppe. Nello stesso tempo, una colomba candidissima, scendendo dall'alto circonfusa di ammirabile splendore, si posò sopra il capo del santo. Contemporaneamente Dio gli parlò nell'intimo con queste parole: «Giuseppe, servo mio, Maria sarà la tua sposa: accettala con attenzione e rispetto, perché ella è gradita ai miei occhi, giusta e purissima d'anima e di corpo, e tu farai tutto quello che ti dirà». Essendosi il cielo dichiarato con quel segno, i sacerdoti diedero alla vergine Maria san Giuseppe, come sposo eletto da Dio. Chiamandola per celebrare le nozze, la prescelta uscì fuori come il sole, più bella della luna. Alla presenza di tutti, il suo aspetto apparve superiore a quello di un angelo, di incomparabile bellezza, onestà e grazia, e i sacerdoti la sposarono con il più casto e santo degli uomini, Giuseppe.

755. La divina Principessa, più pura delle stelle del firmamento, in lacrime e seria come una regina, con umiltà ma anche con maestà - poiché Maria riuniva in sé tutte queste perfezioni - prese congedo dai sacerdoti, domandando loro la benedizione, come anche alla maestra, e perdono alle compagne, ringraziando tutti per i benefici ricevuti da loro nel tempio. Fece tutto ciò con la più profonda umiltà, misurando con molta prudenza le parole, perché in tutte le occasioni parlava poco e con molta sapienza. Si allontanò così dal tempio, non senza grande dispiacere di lasciarlo contro la propria intenzione e il proprio desiderio. In compagnia di alcuni dei ministri che tervivano nel tempio nelle cose temporali - laici dei più autorevoli - col suo sposo Giuseppe si avviò a Nazaret città ale della felicissima coppia. Sebbene san Giuseppe fosse nato in quel luogo, seguendo quanto l'Altissimo aveva disposto per mezzo di alcune vicende, era andato a vivere qualche tempo a Gerusalemme, per migliorare la sua condizione come infatti avvenne, divenendo sposo di colei che era stata scelta da Dio stesso per essere sua madre.

756. Arrivati a Nazaret, dove la Principessa del cielo aveva i suoi beni e le case dei suoi fortunati genitori, furono ricevuti e visitati da tutti gli amici e i parenti con grida di giubilo e applausi, come si usa fare in tali occasioni. Avendo santamente adempito all'obbligo naturale dei contatti e delle relazioni, i due santissimi sposi Giuseppe e Maria, liberi da impegni, restarono a casa loro. Secondo l'usanza introdotta fra gli Ebrei, nei primi giorni del matrimonio era previsto che gli sposi si prendessero un po di tempo per verificare, nella convivenza, le abitudini e l'indole di entrambi, in modo da potersi conformare meglio l'uno all'altra.

757. In tali giorni il santo Giuseppe disse alla sua sposa Maria: «Sposa e signora mia, io rendo grazie all'altissimo Dio per il favore di avermi destinato senza merito ad essere vostro sposo, mentre mi giudicavo indegno della vostra compagnia; ma sua Maestà, che quando vuole può sollevare il povero, mi ha usato questa misericordia. Quindi io desidero che voi mi aiutiate, come spero dalla vostra discrezione e virtù, a dargli il contraccambio che gli devo, servendolo con rettitudine di cuore. A tal fine mi riterrete vostro servo, e col vero affetto con cui vi stimo, vi chiedo che vogliate supplire a molta parte del capitale e di altre doti che mi mancano, le quali mi sarebbero utili per essere vostro sposo; ditemi, signora, qual è la vostra volontà perché io l'adempia».

758. La divina sposa ascoltò questo discorso con cuore umile ed affabile severità nel volto, e rispose al santo: «Signor mio, io sono lieta che l'Altissimo, per mettermi in questa condizione, si sia degnato di assegnarmi voi per sposo e signore, e che il servire voi mi sia stato confermato dalla manifestazione della sua divina volontà. Però, se me lo permettete, vi dirò le intenzioni e i pensieri, che a tal fine desidero comunicarvi». L'Altissimo intanto disponeva con la sua grazia il cuore retto e sincero di san Giuseppe e, per mezzo delle parole di Maria santissima, lo infiammò di nuovo di divino amore. Egli così le rispose: «Parlate, signora, il vostro servo vi ascolta». In questa occasione la Signora del mondo era assistita dai mille angeli della sua custodia in forma visibile, come aveva loro richiesto. Ciò era dovuto al fatto che l'Altissimo, affinché la purissima vergine operasse in tutto con maggior grazia e merito, permise che ella sentisse il rispetto e la considerazione con cui doveva parlare al suo sposo, pur lasciandola nella sua naturale ritrosia ed esitazione che sempre aveva avuto a parlare con gli uomini da sola, cosa che fino allora non aveva mai fatto, se non casualmente qualche volta col sommo sacerdote.

759. Gli angeli santi ubbidirono alla loro Regina e l'assistettero, manifestandosi solo alla sua vista. In loro compagnia parlò al suo sposo san Giuseppe, dicendo: «Signore e sposo mio, è giusto che diamo lode e gloria con ogni devozione al nostro Dio e creatore, infinito nella sua bontà e incomprensibile nei suoi giudizi, che con noi poveri ha manifestato la sua grandezza e misericordia, scegliendoci per essere al suo servizio. Io mi considero, fra tutte, la creatura più debitrice a sua Altezza e, anzi, lo sono più di tutte insieme, perché, meritando meno, ho ricevuto dalla sua liberalissima mano più di loro. Nella mia tenera età, costretta dalla forza di questa verità che la luce divina mi comunicò rivelandomi il disinganno di tutto il visibile, mi consacrai a Dio con voto perpetuo d'essere casta nell'anima e nel corpo. Sono sua, e lo riconosco mio sposo e Signore, con volontà immutabile di mantenere la mia promessa di castità. Per adempiere ciò, signor mio, desidero che mi aiutiate, perché nel resto io sarò vostra serva fedele, ed avrò cura della vostra vita quanto durerà la mia. Accettate, signore e sposo mio, questa santa determinazione e confermatela con la vostra, perché come offerta gradita al nostro Dio eterno, egli ci riceva entrambi quale sacrificio di soave odore, e ci conceda di giungere insieme ai beni eterni che speriamo».

760. Il castissimo sposo Giuseppe, pieno d'intimo giubilo per le parole della sua divina sposa, le rispose: «Signora mia, dichiarandomi i vostri pensieri e casti propositi, avete aperto e sollevato il mio cuore, che io non volli manifestarvi prima di conoscere il vostro. Anch'io mi considero, fra gli uomini, debitore al Signore più di tutte le altre creature, perché da molto tempo mi ha chiamato con la sua vera luce, affinché l'amassi con rettitudine di cuore. Voglio, signora, che sappiate che a dodici anni anch'io ho fatto promessa di servire l'Altissimo in castità perpetua. Così ora torno a confermare il medesimo voto, per non invalidare il vostro; anzi, alla presenza di sua Altezza, vi prometto di aiutarvi, per quanto dipende da me, perché in tutta purezza lo serviate e lo amiate secondo il vostro desiderio. Io sarò, con il concorso della grazia, vostro fedelissimo servo e compagno, e vi supplico che accettiate il mio casto affetto e mi riteniate vostro fratello, senza mai dar luogo ad altro lecito amore, fuorché quello che dovete a Dio e poi a me». In questo colloquio l'Altissimo riconfermò nel cuore di san Giuseppe la virtù della castità e l'amore santo e puro che doveva alla sua santissima sposa Maria. Così il santo gliene portava in grado eminentissimo, e la stessa Signora con il suo prudentissimo conversare glielo aumentava dolcemente, elevandogli il cuore.

761. Con la virtù divina con cui il braccio dell'Onnipotente operava nei due santissimi e castissimi sposi, sentirono entrambi incomparabile giubilo e consolazione. La divina Principessa offrì a san Giuseppe di corrispondere al suo desiderio, come colei che era signora delle virtù e, senza difficoltà, praticava in tutto ciò che esse hanno di più sublime ed eccellente. Inoltre l'Altissimo diede a san Giuseppe rinnovata castità e padronanza sulla natura e sulle sue passioni, perché, senza ribellione né istigazione ma con ammirabile e nuova grazia, servisse la sua sposa Maria e, in lei, la volontà e il beneplacito del Signore. Subito distribuirono i beni ereditati da san Gioacchino e da sant'Anna, genitori della santissima Signora. Ella ne offrì una parte al tempio dove era stata, l'altra la distribuì ai poveri e la terza l'assegnò al santo sposo Giuseppe, perché l'amministrasse. Per sé la nostra Regina si riservò solo la cura di servirlo e di lavorare in casa, perché, quanto agli scambi con l'esterno e alla gestione dei beni, degli acquisti o delle vendite, la vergine prudentissima se ne esentò sempre.

762. Nei suoi primi anni, san Giuseppe aveva appreso il mestiere di falegname, come il più onesto e adatto per guadagnarsi da vivere, essendo povero di beni di fortuna. Perciò domandò alla sua santissima sposa se aveva piacere che egli esercitasse quel mestiere per servirla e per guadagnare qualcosa per i poveri, poiché era necessario lavorare senza vivere nell'ozio. La Vergine prudentissima diede a san Giuseppe la sua approvazione, avvertendolo che il Signore non li voleva ricchi, bensì poveri e amanti dei poveri, e che fossero loro rifugio fin dove il loro capitale lo permettesse. Fra i due santi sposi nacque presto una santa contesa, riguardo a chi dei due dovesse prestare ubbidienza all'altro come a superiore. Ma Maria santissima, che fra gli umili era umilissima, vinse in umiltà, né consenù che, essendo l'uomo il capo, si pervertisse l'ordine della natura. Così volle ubbidire in tutto al suo sposo Giuseppe, chiedendogli solamente il consenso per fare l'elemosina ai poveri del Signore; e il santo le diede il permesso di farla.

763. In questi giorni il santo Giuseppe, riconoscendo con nuova luce del cielo le doti della sua sposa Maria, la sua rara prudenza, umiltà, purezza e tutte le sue virtù superiori ad ogni suo pensare ed immaginare, ne restò nuovamente stupito e, con gran giubilo del suo spirito, non cessava con ardenti affetti di lodare il Signore, rendendo-gli ancor più grazie per avergli data tale compagnia e tale sposa superiore ad ogni suo merito. Perché poi quest'opera risultasse in tutto perfettissima, l'Altissimo fece si che la Principessa del cielo infondesse con la sua presenza, nel cuore del suo sposo, un timore ed un rispetto così grande che non è assolutamente possibile spiegare a parole. A provocare ciò in Giuseppe era un certo splendore, come raggi di luce divina, che emanava dal volto della nostra Regina, dal quale traspariva anche una maestà ineffabile che sempre la accompagnava. Le succedeva infatti come a Mosè quando scese dal monte, ma con tanta maggiore intensità, perché si intratteneva con Dio più a lungo e più intimamente.

764. Subito Maria santissima ebbe una visione divina dal Signore, in cui sua Maestà le disse: «Sposa mia dilettissima ed eletta, vedi come io sono fedele nelle mie parole con quelli che mi amano e mi temono. Corrispondi dunque ora alla mia fedeltà, osservando la legge come mia sposa, in santità, purezza e in tutta perfezione. In ciò ti aiuterà la compagnia del mio servo Giuseppe che io ti ho dato. Ubbidisci a lui come devi ed attendi alla sua consolazione, perché tale è la mia volontà». Maria santissima rispose: «Altissimo Signore, io vi lodo e magnifico per i vostri ammirabili consigli e per la vostra provvidenza verso di me, indegna e povera creatura. Il mio desiderio è di ubbidirvi e compiacervi come vostra serva più debitrice a voi di ogni altra creatura. Concedetemi dunque, Signor mio, il vostro favore divino, perché in tutto mi assista e mi governi secondo il vostro maggior compiacimento, affinché, come vostra serva, attenda anche agli obblighi dello stato in cui mi ponete, senza mai vagare fuori dai vostri ordini e dal vostro volere. Datemi la vostra approvazione e benedizione; con essa riuscirò a ubbidire al vostro servo Giuseppe e a servirlo come mi comandate voi, mio creatore e mio Signore».

765. Su questi divini appoggi si fondò la casa e il matrimonio di Maria santissima e di Giuseppe. Dall'8 settembre, data delle nozze, fino al 25 marzo dell'anno seguente, giorno in cui avvenne l'incarnazione del Verbo, i due santi sposi vissero nel modo in cui l'Altissimo li andava rispettivamente predisponendo all'opera per cui li aveva scelti. La divina Signora ordinò poi gli oggetti personali e quelli della sua casa come dirò nei capitoli seguenti.

766. A questo punto però, non posso còntenere oltre il mio affetto senza congratularmi per la fortuna del più felice degli uomini, san Giuseppe. Da dove vi è venuta, o uomo di Dio, tanta beatitudine e tale buona sorte che ha fatto sì che solo di voi, tra i figli di Adamo, si potesse dire che Dio stesso fosse vostro e così solamente vostro da essere ritenuto vostro unico figlio? L'eterno Padre vi dona sua figlia; il divin Figlio vi dona la sua vera Madre e lo Spirito Santo vi consegna e vi affida la sua sposa, ponendovi in sua vece. In tal modo tutta la santissima Trinità vi concede e vi dà in custodia per vostra legittima consorte la sua diletta, unica e fulgida come il sole. Conoscete voi, mio santo, la vostra dignità ed eccellenza? Comprendete che la vostra sposa è la Regina e signora del cielo e della terra, e voi siete depositario dei tesori inestimabili di Dio? Considerate, o uomo divino, il vostro impegno e sappiate che, se gli angeli e i serafini non sono invidiosi, sono però meravigliati ed estatici per la vostra sorte e per il mistero racchiuso nel vostro matrimonio. Ricevete dunque le congratulazioni per tanta felicità in nome di tutto il genere umano. In un certo senso, voi siete l'archivio contenente il registro delle divine misericordie, signore e sposo di colei di cui solo Dio è maggiore, per cui vi ritroverete, fra gli uomini e fra gli stessi ricco e nella prosperità. Ricordatevi però della nostra povertà e miseria, e di me, il più vile verme della terra, che desidero essere vostra fedele devota, beneficata e favorita dalla vostra potente intercessione.

 

Insegnamento della Regina del cielo

 

767. Figlia mia, dalla mia esemplare condotta nello stato del matrimonio in cui l'Altissimo mi pose, tu vedi condannati i pretesti che adducono, non essendo perfette, le anime che condividono tale condizione nel mondo. Niente è impossibile a Dio, né a chi con viva fede spera in lui e si rimette in tutto alla sua divina disposizione. Io vivevo in casa del mio sposo con la stessa perfezione con cui servivo nel tempio, perché cambiando stato non mutai l'affetto, né il desiderio e la premura di amare e servire Dio, ma anzi l'aumentai, perché niente mi trattenesse dai miei obblighi di sposa. Fu per questo che ebbi maggiore assistenza dal favore divino che, con la sua mano onnipotente, dispose ed aggiustò tutte le cose in sintonia con i miei desideri. Altrettanto farebbe il Signore con tutte le creature, se da parte loro corrispondessero adeguatamente. Esse invece incolpano lo stato del matrimonio ingannando così se stesse, perché l'impedimento a non essere perfette e sante non è dato dallo stato, ma dai pensieri e dalla sollecitudine vana ed eccessiva a cui si abbandonano, non cercando di piacere al Signore, ma preferendo il loro compiacimento.

768. Se nel mondo non vi è scusa per sottrarsi al dovere di attendere alla perfezione delle virtù, meno ve ne sarà nello stato religioso per gli uffici e i servizi che in esso si svolgono. Non ti pensare mai ostacolata dal tuo ufficio di superiora, perché Dio ti ha posto in tale stato per mezzo dell'obbedienza e non devi mai diffidare della sua assistenza e della sua protezione. Infatti quel giorno egli si fece carico di darti forze ed aiuti, perché tu potessi attendere nello stesso tempo all'obbligo di superiora e a quello particolare della perfezione con cui devi amare il tuo Dio e Signore. Fa' in modo dunque di vincolarlo col sacrificio della tua volontà, umiliandoti con pazienza in tutto ciò che ordina la sua divina Provvidenza. Se non glielo impedirai, io ti assicuro la sua protezione e che, per esperienza, conoscerai sempre la potenza del suo braccio nel guidarti e nel dirigere perfettamente tutte le tue azioni.


25 febbraio 1946

Maria Valtorta

[Della stessa data è il capitolo 392 dell'opera L'EVANGELO]
 

   Al mio risveglio alle 7,25, perché solo al mattino ho trovato riposo, è già presente S. Raffaele. Come ieri al momento della Comunione, nel quale c'era, insieme a N. Signore. Stamane è solo. Ma la prima azione dei sensi e del pensiero usciti dal sonno sono la visione, contemplazione e saluto al caro angelo, che mi sorride e mi invita ad iniziare il mio lavoro senza ascoltare la stanchezza che mi abbatte. E poi saluta e se ne va…

   Ore 17

   Una voce lieve, dolcissima, come stanca, come spossata di chi ha molto sofferto, in una luminosità candidissima che ha forma di corpo spiritualizzato. Dice:
   «Sono io. Non mi riconosci? Aglae1 sono. L'antico fango divenuto luce. Vengo per parlare ad una mia sorella, di me sempre meno infelice, ma che soffre le mie pene di un tempo, il purgatorio della carne che è avida… Le parlo attraverso a te che mi hai visto nell'abbiezione e nella redenzione e che, d'ora in poi, potrai dire di avermi visto nella gloria. Oh! testimonia come è buono il Signore per le figlie di Eva, attossicate, ma che vogliono levarsi il bruciante ardore dal sangue per amare Lui.
   Dille di amarlo, il suo purgatorio, col sopportarlo con pazienza e costanza e spirito di sacrificio per le peccatrici ostinate. Nella mia epoca penitenziale ho sofferto le sue pene. E so. Ma non mi scoraggiavo. Come uno malato di una piaga che fete, e che la deve sopportare perché meglio è che il marciume esca anziché rimanere nel sangue a corromperlo, ho sopportato con lo spirito le reminiscenze della carne, i suoi urli di follia… L'anima era più in alto, e non consentiva. La carne, come una lupa, ululava in basso. Talora l'ululo mi impediva anche di pregare. Offrivo al Signore l'orazione della sopportazione. E con gli occhi dello spirito guardavo il Salvatore e mi ripetevo, con lo spirito, le sue parole. Quando sono morta!… Un angelo, il mio, il mio che non mi aveva lasciata neppure quando ero un mostro di libidine, mi disse, raccogliendomi l'anima nelle sue mani purissime: "Più che questo martirio, ti ha fatta bianca ostia l'altro, quello ignoto, incruento, in cui t'era torturatore e carnefice il senso. Godi perché hai trionfato. Il senso non è più. È la pace". Ho sparso oli di rose nel commiato; ma l'olio della mia lotta contro il senso è stato più odoroso e gradito.
   Dillo alla sorella che è in pena. Dille che il Maestro lo ha detto2, ci ha giustificate, noi che la parte inferiore tormenta: "Non è ciò che è materiale e estraneo ciò che corrompe l'uomo, ma ciò che esce dalla volontà del suo cuore". Si distragga con ogni mezzo. Non si fermi, dopo la tentazione, a considerare se ha peccato. Sorvoli. Riguardare vuol dire aizzare di nuovo il fuoco. Baci il Redentore sul suo segno di salute. Un bacio per ogni morso della carne, e fra le fiamme del suo purgatorio terreno guardi al Cielo, al Cielo che è aperto anche a noi, dopo la cruda battaglia.
   Addio. La luce dei Cieli sia sempre su te.»
   E scompare in una luce che l'avvolge.
   Il mio interno ammonitore mi diceva, poco prima che ella mi apparisse: "Fra poco verrà a te, dal Cielo, la santa che tu hai visto peccatrice e che, se avessi un indice dei santi, troveresti nominata oggi. Solo che non è nota ai più. Ti parlerà per l'anima tentata della sorella che il Padre ti ha nominato". Ma mi sono dovuta fermare subito dopo il saluto di Aglae perché mi è venuta una crisi cardiaca forte. E le altre parole le ho messe dopo passata la crisi; sono perciò incerta se l'angelo mi ha detto che è nominata oggi 25 febbraio, o se è ancora nominata al giorno d'oggi. Tanto per amore di esattezza.
 

   [Segue, in data 3 marzo 1946, il capitolo 2 del LIBRO DI AZARIA, cui seguono gli scritti dei giorni 5, 8 e 9 che qui sotto riportiamo pur essendo cassati con tratti di penna trasversali sul quaderno autografo. Su un altro quaderno, in data 26, 27 e 28 febbraio 1946 sono i capitoli 393, 394 e 395 dell'opera L'EVANGELO]
           


   1 Aglae è un personaggio dell'opera "L'Evangelo".
           
   2 lo ha detto, in Matteo 15, 18-20; Marco 7, 20-23; Luca 6, 45.