Sotto il Tuo Manto

Martedi, 9 settembre 2025 - San Pietro Claver Sacerdote (Letture di oggi)

Non vi sia alcuna gloria nel vostro successo, ma attribuite tutto a Dio con il più profondo senso di gra­titudine. D'altro canto, nessun insuccesso vi scoragge­rà  finché avrete coscienza di aver fatto del vostro me­glio. Umanamente parlando, se una Sorella fallisce nella sua opera siamo propensi ad attribuirlo a tutti i fattori dell'umana debolezza... non ha intelligenza, non ha saputo fare del suo meglio, eccetera. Tuttavia agli occhi di Dio non ha fallito se ha fatto tutto quan­to era capace. E, nonostante tutto, una sua coopera­trice. (Madre Teresa di Calcutta)

Liturgia delle Ore - Letture

Sabato della 28° settimana del tempo ordinario

Per questa Liturgia delle Ore è disponibile sia la versione del tempo corrente che quella dedicata alla memoria di un Santo. Per cambiare versione, clicca su questo collegamento.
Questa sezione contiene delle letture scelte a caso, provenienti dalle varie sezioni del sito (Sacra Bibbia e la sezione Biblioteca Cristiana), mentre l'ultimo tab Apparizioni, contiene messaggi di apparizioni a mistici o loro scritti. Sono presenti testi della Valtorta, Luisa Piccarreta, don Stefano Gobbi e testimonianze di apparizioni mariane riconosciute.

Vangelo secondo Giovanni 10

1"In verità, in verità vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore per la porta, ma vi sale da un'altra parte, è un ladro e un brigante.2Chi invece entra per la porta, è il pastore delle pecore.3Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore una per una e le conduce fuori.4E quando ha condotto fuori tutte le sue pecore, cammina innanzi a loro, e le pecore lo seguono, perché conoscono la sua voce.5Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei".6Questa similitudine disse loro Gesù; ma essi non capirono che cosa significava ciò che diceva loro.
7Allora Gesù disse loro di nuovo: "In verità, in verità vi dico: io sono la porta delle pecore.8Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati.9Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvo; entrerà e uscirà e troverà pascolo.10Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza.11Io sono il buon pastore. Il buon pastore offre la vita per le pecore.12Il mercenario invece, che non è pastore e al quale le pecore non appartengono, vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge e il lupo le rapisce e le disperde;13egli è un mercenario e non gli importa delle pecore.14Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me,15come il Padre conosce me e io conosco il Padre; e offro la vita per le pecore.16E ho altre pecore che non sono di quest'ovile; anche queste io devo condurre; ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge e un solo pastore.17Per questo il Padre mi ama: perché io offro la mia vita, per poi riprenderla di nuovo.18Nessuno me la toglie, ma la offro da me stesso, poiché ho il potere di offrirla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo comando ho ricevuto dal Padre mio".
19Sorse di nuovo dissenso tra i Giudei per queste parole.20Molti di essi dicevano: "Ha un demonio ed è fuori di sé; perché lo state ad ascoltare?".21Altri invece dicevano: "Queste parole non sono di un indemoniato; può forse un demonio aprire gli occhi dei ciechi?".

22Ricorreva in quei giorni a Gerusalemme la festa della Dedicazione. Era d'inverno.23Gesù passeggiava nel tempio, sotto il portico di Salomone.24Allora i Giudei gli si fecero attorno e gli dicevano: "Fino a quando terrai l'animo nostro sospeso? Se tu sei il Cristo, dillo a noi apertamente".25Gesù rispose loro: "Ve l'ho detto e non credete; le opere che io compio nel nome del Padre mio, queste mi danno testimonianza;26ma voi non credete, perché non siete mie pecore.27Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono.28Io do loro la vita eterna e non andranno mai perdute e nessuno le rapirà dalla mia mano.29Il Padre mio che me le ha date è più grande di tutti e nessuno può rapirle dalla mano del Padre mio.30Io e il Padre siamo una cosa sola".
31I Giudei portarono di nuovo delle pietre per lapidarlo.32Gesù rispose loro: "Vi ho fatto vedere molte opere buone da parte del Padre mio; per quale di esse mi volete lapidare?".33Gli risposero i Giudei: "Non ti lapidiamo per un'opera buona, ma per la bestemmia e perché tu, che sei uomo, ti fai Dio".34Rispose loro Gesù: "Non è forse scritto nella vostra Legge: 'Io ho detto: voi siete dèi'?35Ora, se essa ha chiamato dèi coloro ai quali fu rivolta la parola di Dio (e la Scrittura non può essere annullata),36a colui che il Padre ha consacrato e mandato nel mondo, voi dite: Tu bestemmi, perché ho detto: Sono Figlio di Dio?37Se non compio le opere del Padre mio, non credetemi;38ma se le compio, anche se non volete credere a me, credete almeno alle opere, perché sappiate e conosciate che il Padre è in me e io nel Padre".39Cercavano allora di prenderlo di nuovo, ma egli sfuggì dalle loro mani.

40Ritornò quindi al di là del Giordano, nel luogo dove prima Giovanni battezzava, e qui si fermò.41Molti andarono da lui e dicevano: "Giovanni non ha fatto nessun segno, ma tutto quello che Giovanni ha detto di costui era vero".42E in quel luogo molti credettero in lui.


Secondo libro dei Re 5

1Nàaman, capo dell'esercito del re di Aram, era un personaggio autorevole presso il suo signore e stimato, perché per suo mezzo il Signore aveva concesso la vittoria agli Aramei. Ma questo uomo prode era lebbroso.2Ora bande aramee in una razzia avevano rapito dal paese di Israele una giovinetta, che era finita al servizio della moglie di Nàaman.3Essa disse alla padrona: "Se il mio signore si rivolgesse al profeta che è in Samaria, certo lo libererebbe dalla lebbra".4Nàaman andò a riferire al suo signore: "La giovane che proviene dal paese di Israele ha detto così e così".5Il re di Aram gli disse: "Vacci! Io invierò una lettera al re di Israele". Quegli partì, prendendo con sé dieci talenti d'argento, seimila sicli d'oro e dieci vestiti.6Portò la lettera al re di Israele, nella quale si diceva: "Ebbene, insieme con questa lettera ho mandato da te Nàaman, mio ministro, perché tu lo curi dalla lebbra".7Letta la lettera, il re di Israele si stracciò le vesti dicendo: "Sono forse Dio per dare la morte o la vita, perché costui mi mandi un lebbroso da guarire? Sì, ora potete constatare chiaramente che egli cerca pretesti contro di me".
8Quando Eliseo, uomo di Dio, seppe che il re si era stracciate le vesti, mandò a dire al re: "Perché ti sei stracciate le vesti? Quell'uomo venga da me e saprà che c'è un profeta in Israele".9Nàaman arrivò con i suoi cavalli e con il suo carro e si fermò alla porta della casa di Eliseo.10Eliseo gli mandò un messaggero per dirgli: "Va', bagnati sette volte nel Giordano: la tua carne tornerà sana e tu sarai guarito".11Nàaman si sdegnò e se ne andò protestando: "Ecco, io pensavo: Certo, verrà fuori, si fermerà, invocherà il nome del Signore suo Dio, toccando con la mano la parte malata e sparirà la lebbra.12Forse l'Abana e il Parpar, fiumi di Damasco, non sono migliori di tutte le acque di Israele? Non potrei bagnarmi in quelli per essere guarito?". Si voltò e se ne partì adirato.13Gli si avvicinarono i suoi servi e gli dissero: "Se il profeta ti avesse ingiunto una cosa gravosa, non l'avresti forse eseguita? Tanto più ora che ti ha detto: bagnati e sarai guarito".14Egli, allora, scese e si lavò nel Giordano sette volte, secondo la parola dell'uomo di Dio, e la sua carne ridivenne come la carne di un giovinetto; egli era guarito.
15Tornò con tutto il seguito dall'uomo di Dio; entrò e si presentò a lui dicendo: "Ebbene, ora so che non c'è Dio su tutta la terra se non in Israele". Ora accetta un dono dal tuo servo".16Quegli disse: "Per la vita del Signore, alla cui presenza io sto, non lo prenderò". Nàaman insisteva perché accettasse, ma egli rifiutò.17Allora Nàaman disse: "Se è no, almeno sia permesso al tuo servo di caricare qui tanta terra quanta ne portano due muli, perché il tuo servo non intende compiere più un olocausto o un sacrificio ad altri dèi, ma solo al Signore.18Tuttavia il Signore perdoni il tuo servo se, quando il mio signore entra nel tempio di Rimmòn per prostrarsi, si appoggia al mio braccio e se anche io mi prostro nel tempio di Rimmòn, durante la sua adorazione nel tempio di Rimmòn; il Signore perdoni il tuo servo per questa azione".19Quegli disse: "Va' in pace". Partì da lui e fece un bel tratto di strada.
20Ghecazi, servo dell'uomo di Dio Eliseo, disse fra sé: "Ecco, il mio signore è stato tanto generoso con questo Nàaman arameo da non prendere quanto egli aveva portato; per la vita del Signore, gli correrò dietro e prenderò qualche cosa da lui".21Ghecazi inseguì Nàaman. Questi, vedendolo correre verso di sé, scese dal carro per andargli incontro e gli domandò: "Tutto bene?".22Quegli rispose: "Tutto bene. Il mio signore mi ha mandato a dirti: Ecco, proprio ora, sono giunti da me due giovani dalle montagne di Èfraim, da parte dei figli dei profeti. Dammi per essi un talento d'argento e due vestiti".23Nàaman disse: "È meglio che tu prenda due talenti" e insistette con lui. Legò due talenti d'argento in due sacchi insieme con due vestiti e li diede a due dei suoi giovani, che li portarono davanti a Ghecazi.24Giunto all'Ofel, questi prese dalle loro mani il tutto e lo depose in casa, quindi rimandò gli uomini, che se ne andarono.25Poi egli andò a presentarsi al suo padrone. Eliseo gli domandò: "Ghecazi, da dove vieni?". Rispose: "Il tuo servo non è andato in nessun luogo".26Quegli disse: "Non era forse presente il mio spirito quando quell'uomo si voltò dal suo carro per venirti incontro? Era forse il tempo di accettare denaro e di accettare abiti, oliveti, vigne, bestiame minuto e grosso, schiavi e schiave?27Ma la lebbra di Nàaman si attaccherà a te e alla tua discendenza per sempre". Egli si allontanò da Eliseo, bianco come la neve per la lebbra.


Giobbe 31

1Avevo stretto con gli occhi un patto
di non fissare neppure una vergine.
2Che parte mi assegna Dio di lassù
e che porzione mi assegna l'Onnipotente dall'alto?
3Non è forse la rovina riservata all'iniquo
e la sventura per chi compie il male?
4Non vede egli la mia condotta
e non conta tutti i miei passi?
5Se ho agito con falsità
e il mio piede si è affrettato verso la frode,
6mi pesi pure sulla bilancia della giustizia
e Dio riconoscerà la mia integrità.
7Se il mio passo è andato fuori strada
e il mio cuore ha seguito i miei occhi,
se alla mia mano si è attaccata sozzura,
8io semini e un altro ne mangi il frutto
e siano sradicati i miei germogli.
9Se il mio cuore fu sedotto da una donna
e ho spiato alla porta del mio prossimo,
10mia moglie macini per un altro
e altri ne abusino;
11difatti quello è uno scandalo,
un delitto da deferire ai giudici,
12quello è un fuoco che divora fino alla
distruzione
e avrebbe consumato tutto il mio raccolto.
13Se ho negato i diritti del mio schiavo
e della schiava in lite con me,
14che farei, quando Dio si alzerà,
e, quando farà l'inchiesta, che risponderei?
15Chi ha fatto me nel seno materno, non ha fatto
anche lui?
Non fu lo stesso a formarci nel seno?
16Mai ho rifiutato quanto brama il povero,
né ho lasciato languire gli occhi della vedova;
17mai da solo ho mangiato il mio tozzo di pane,
senza che ne mangiasse l'orfano,
18poiché Dio, come un padre, mi ha allevato fin
dall'infanzia
e fin dal ventre di mia madre mi ha guidato.
19Se mai ho visto un misero privo di vesti
o un povero che non aveva di che coprirsi,
20se non hanno dovuto benedirmi i suoi fianchi,
o con la lana dei miei agnelli non si è riscaldato;
21se contro un innocente ho alzato la mano,
perché vedevo alla porta chi mi spalleggiava,
22mi si stacchi la spalla dalla nuca
e si rompa al gomito il mio braccio,
23perché mi incute timore la mano di Dio
e davanti alla sua maestà non posso resistere.
24Se ho riposto la mia speranza nell'oro
e all'oro fino ho detto: "Tu sei la mia fiducia";
25se godevo perché grandi erano i miei beni
e guadagnava molto la mia mano;
26se vedendo il sole risplendere
e la luna chiara avanzare,
27si è lasciato sedurre in segreto il mio cuore
e con la mano alla bocca ho mandato un bacio,
28anche questo sarebbe stato un delitto da tribunale,
perché avrei rinnegato Dio che sta in alto.
29Ho gioito forse della disgrazia del mio nemico
e ho esultato perché lo colpiva la sventura,
30io che non ho permesso alla mia lingua di peccare,
augurando la sua morte con imprecazioni?
31Non diceva forse la gente della mia tenda:
"A chi non ha dato delle sue carni per saziarsi?".
32All'aperto non passava la notte lo straniero
e al viandante aprivo le mie porte.
33Non ho nascosto, alla maniera degli uomini, la mia
colpa,
tenendo celato il mio delitto in petto,
34come se temessi molto la folla,
e il disprezzo delle tribù mi spaventasse,
sì da starmene zitto senza uscire di casa.
35Oh, avessi uno che mi ascoltasse!
Ecco qui la mia firma! L'Onnipotente mi risponda!
Il documento scritto dal mio avversario
36vorrei certo portarlo sulle mie spalle
e cingerlo come mio diadema!
37Il numero dei miei passi gli manifesterei
e mi presenterei a lui come sovrano.
38Se contro di me grida la mia terra
e i suoi solchi piangono con essa;
39se ho mangiato il suo frutto senza pagare
e ho fatto sospirare dalla fame i suoi coltivatori,
40in luogo di frumento, getti spine,
ed erbaccia al posto dell'orzo.


Salmi 132

1'Canto delle ascensioni.'

Ricordati, Signore, di Davide,
di tutte le sue prove,
2quando giurò al Signore,
al Potente di Giacobbe fece voto:
3"Non entrerò sotto il tetto della mia casa,
non mi stenderò sul mio giaciglio,
4non concederò sonno ai miei occhi
né riposo alle mie palpebre,
5finché non trovi una sede per il Signore,
una dimora per il Potente di Giacobbe".

6Ecco, abbiamo saputo che era in Èfrata,
l'abbiamo trovata nei campi di Iàar.
7Entriamo nella sua dimora,
prostriamoci allo sgabello dei suoi piedi.

8Alzati, Signore, verso il luogo del tuo riposo,
tu e l'arca della tua potenza.
9I tuoi sacerdoti si vestano di giustizia,
i tuoi fedeli cantino di gioia.
10Per amore di Davide tuo servo
non respingere il volto del tuo consacrato.

11Il Signore ha giurato a Davide
e non ritratterà la sua parola:
"Il frutto delle tue viscere
io metterò sul tuo trono!

12Se i tuoi figli custodiranno la mia alleanza
e i precetti che insegnerò ad essi,
anche i loro figli per sempre
sederanno sul tuo trono".

13Il Signore ha scelto Sion,
l'ha voluta per sua dimora:
14"Questo è il mio riposo per sempre;
qui abiterò, perché l'ho desiderato.

15Benedirò tutti i suoi raccolti,
sazierò di pane i suoi poveri.
16Rivestirò di salvezza i suoi sacerdoti,
esulteranno di gioia i suoi fedeli.

17Là farò germogliare la potenza di Davide,
preparerò una lampada al mio consacrato.
18Coprirò di vergogna i suoi nemici,
ma su di lui splenderà la corona".


Isaia 42

1Ecco il mio servo che io sostengo,
il mio eletto di cui mi compiaccio.
Ho posto il mio spirito su di lui;
egli porterà il diritto alle nazioni.
2Non griderà né alzerà il tono,
non farà udire in piazza la sua voce,
3non spezzerà una canna incrinata,
non spegnerà uno stoppino dalla fiamma smorta.
Proclamerà il diritto con fermezza;
4non verrà meno e non si abbatterà,
finché non avrà stabilito il diritto sulla terra;
e per la sua dottrina saranno in attesa le isole.
5Così dice il Signore Dio
che crea i cieli e li dispiega,
distende la terra con ciò che vi nasce,
da' il respiro alla gente che la abita
e l'alito a quanti camminano su di essa:
6"Io, il Signore, ti ho chiamato per la giustizia
e ti ho preso per mano;
ti ho formato e stabilito come alleanza del popolo
e luce delle nazioni,
7perché tu apra gli occhi ai ciechi
e faccia uscire dal carcere i prigionieri,
dalla reclusione coloro che abitano nelle tenebre.
8Io sono il Signore: questo è il mio nome;
non cederò la mia gloria ad altri,
né il mio onore agli idoli.
9I primi fatti, ecco, sono avvenuti
e i nuovi io preannunzio;
prima che spuntino,
ve li faccio sentire".

10Cantate al Signore un canto nuovo,
lode a lui fino all'estremità della terra;
lo celebri il mare con quanto esso contiene,
le isole con i loro abitanti.
11Esulti il deserto con le sue città,
esultino i villaggi dove abitano quelli di Kedàr;
acclamino gli abitanti di Sela,
dalla cima dei monti alzino grida.
12Diano gloria al Signore
e il suo onore divulghino nelle isole.
13Il Signore avanza come un prode,
come un guerriero eccita il suo ardore;
grida, lancia urla di guerra,
si mostra forte contro i suoi nemici.
14Per molto tempo, ho taciuto,
ho fatto silenzio, mi sono contenuto;
ora griderò come una partoriente,
mi affannerò e sbufferò insieme.
15Renderò aridi monti e colli,
farò seccare tutta la loro erba;
trasformerò i fiumi in stagni e gli stagni farò inaridire.
16Farò camminare i ciechi per vie che non conoscono,
li guiderò per sentieri sconosciuti;
trasformerò davanti a loro le tenebre in luce,
i luoghi aspri in pianura.
Tali cose io ho fatto e non cesserò di farle.
17Retrocedono pieni di vergogna
quanti sperano in un idolo,
quanti dicono alle statue: "Voi siete i nostri dèi".

18Sordi, ascoltate,
ciechi, volgete lo sguardo per vedere.
19Chi è cieco, se non il mio servo?
Chi è sordo come colui al quale io mandavo araldi?
Chi è cieco come il mio privilegiato?
Chi è sordo come il servo del Signore?
20Hai visto molte cose, ma senza farvi attenzione,
hai aperto gli orecchi, ma senza sentire.
21Il Signore si compiacque, per amore della sua giustizia,
di dare una legge grande e gloriosa.22Eppure questo è un popolo saccheggiato e spogliato;
sono tutti presi con il laccio nelle caverne,
sono rinchiusi in prigioni.
Furono saccheggiati e nessuno li liberava;
furono spogliati, e nessuno diceva: "Restituisci".
23Chi fra di voi porge l'orecchio a ciò,
vi fa attenzione e ascolta per il futuro?
24Chi abbandonò Giacobbe al saccheggio,
Israele ai predoni?
Non è stato forse il Signore contro cui peccarono,
per le cui vie non vollero camminare,
la cui legge non osservarono?
25Egli, perciò, ha riversato su di esso
la sua ira ardente e la violenza della guerra.
L'ira divina lo ha avvolto nelle sue fiamme
senza che egli se ne accorgesse,
lo ha bruciato, senza che vi facesse attenzione.


Prima lettera ai Tessalonicesi 5

1Riguardo poi ai tempi e ai momenti, fratelli, non avete bisogno che ve ne scriva;2infatti voi ben sapete che come un ladro di notte, così verrà il giorno del Signore.3E quando si dirà: "Pace e sicurezza", allora d'improvviso li colpirà la rovina, come le doglie una donna incinta; e nessuno scamperà.4Ma voi, fratelli, non siete nelle tenebre, così che quel giorno possa sorprendervi come un ladro:5voi tutti infatti siete figli della luce e figli del giorno; noi non siamo della notte, né delle tenebre.6Non dormiamo dunque come gli altri, ma restiamo svegli e siamo sobrii.
7Quelli che dormono, infatti, dormono di notte; e quelli che si ubriacano, sono ubriachi di notte.8Noi invece, che siamo del giorno, dobbiamo essere sobrii, 'rivestiti con la corazza' della fede e della carità e avendo come 'elmo' la speranza 'della salvezza'.9Poiché Dio non ci ha destinati alla sua collera ma all'acquisto della salvezza per mezzo del Signor nostro Gesù Cristo,10il quale è morto per noi, perché, sia che vegliamo sia che dormiamo, viviamo insieme con lui.11Perciò confortatevi a vicenda edificandovi gli uni gli altri, come già fate.

12Vi preghiamo poi, fratelli, di aver riguardo per quelli che faticano tra di voi, che vi sono preposti nel Signore e vi ammoniscono;13trattateli con molto rispetto e carità, a motivo del loro lavoro. Vivete in pace tra voi.14Vi esortiamo, fratelli: correggete gli indisciplinati, confortate i pusillanimi, sostenete i deboli, siate pazienti con tutti.15Guardatevi dal rendere male per male ad alcuno; ma cercate sempre il bene tra voi e con tutti.16State sempre lieti,17pregate incessantemente,18in ogni cosa rendete grazie; questa è infatti la volontà di Dio in Cristo Gesù verso di voi.19Non spegnete lo Spirito,20non disprezzate le profezie;21esaminate ogni cosa, tenete ciò che è buono.22Astenetevi da ogni specie di male.
23Il Dio della pace vi santifichi fino alla perfezione, e tutto quello che è vostro, spirito, anima e corpo, si conservi irreprensibile per la venuta del Signore nostro Gesù Cristo.24Colui che vi chiama è fedele e farà tutto questo!
25Fratelli, pregate anche per noi.
26Salutate tutti i fratelli con il bacio santo.27Vi scongiuro, per il Signore, che si legga questa lettera a tutti i fratelli.
28La grazia del Signore nostro Gesù Cristo sia con voi.


Capitolo V: La lettura dei libri di devozione

Leggilo nella Biblioteca

Nei libri di devozione si deve ricercare la verità, non la bellezza della forma. Essi vanno letti nello spirito con cui furono scritti; in essi va ricercata l'utilità spirituale, piuttosto che l'eleganza della parola. Perciò dobbiamo leggere anche opere semplici, ma devote, con lo stesso desiderio con cui leggiamo opere dotte e profonde. Non lasciarti colpire dal nome dello scrittore, di minore o maggiore risonanza; quel che ci deve indurre alla lettura deve essere il puro amore della verità. Non cercar di sapere chi ha detto una cosa, ma bada a ciò che è stato detto. Infatti gli uomini passano, "invece la verità del Signore resta per sempre" (Sal 116,2); e Dio ci parla in varie maniere, "senza tener conto delle persone" (1Pt 1,17). Spesso, quando leggiamo le Scritture, ci è di ostacolo la nostra smania di indagare, perché vogliamo approfondire e discutere là dove non ci sarebbe che da andare avanti in semplicità di spirito. Se vuoi trarre profitto, leggi con animo umile e semplice, con fede. E non aspirare mai alla fama di studioso. Ama interrogare e ascoltare in silenzio la parola dei santi. E non essere indifferente alle parole dei superiori: esse non vengono pronunciate senza ragione.


Le Confessioni - Libro secondo: il sedicesimo anno l’adolescenza inquieta

Le confessioni - Sant'Agostino d'Ippona

Leggilo nella Biblioteca

Scopo di un ricordo disgustoso
1. 1. Voglio ricordare il mio sudicio passato e le devastazioni della carne nella mia anima non perché le ami, ma per amare te, Dio mio. Per amore del tuo amore m’induco a tanto, a ripercorrere le vie dei miei gravi delitti. Vorrei sentire nell’amarezza del mio ripensamento la tua dolcezza, o dolcezza non fallace, dolcezza felice e sicura, che mi ricomponi dopo il dissipamento ove mi lacerai a brano a brano. Separandomi da te, dall’unità, svanii nel molteplice quando, durante l’adolescenza, fui riarso dalla brama di saziarmi delle cose più basse e non ebbi ritegno a imbestialirmi in diversi e tenebrosi amori. La mia bella forma si deturpò e divenni putrido marciume ai tuoi occhi, mentre piacevo a me stesso e desideravo piacere agli occhi degli uomini

Fermenti oscuri
2. 2. Che altro mi dilettava allora. se non amare e sentirmi amato? Ma non mi tenevo nei limiti della devozione di anima ad anima, fino al confine luminoso dell’amicizia. Esalavo invece dalla paludosa concupiscenza della carne e dalle polle della pubertà un vapore, che obnubilava e offuscava il mio cuore. Non si distingueva più l’azzurro dell’affetto dalla foschia della libidine. L’uno e l’altra ribollivano confusamente nel mio intimo, e la fragile età era trascinata fra i dirupi delle passioni, sprofondata nel gorgo dei vizi. La tua collera si era aggravata su di me senza che me ne avvedessi. Assordato dallo stridore della catena della mia mortalità, con cui era punita la superbia della mia anima, procedevo sempre più lontano da te, ove mi lasciavi andare, e mi agitavo, mi sperdevo, mi spandevo, smaniavo tra le mie fornicazioni; e tu tacevi. O mia gioia tardiva, tacevi allora, mentre procedevo ancora più lontano da te moltiplicando gli sterili semi delle sofferenze, altero della mia abiezione e insoddisfatto della mia spossatezza.

– 3. Chi avrebbe potuto temperare il mio affanno, volgere in un bene per me le fugaci bellezze delle creature più basse, proporre una meta ai piaceri che ne traevo, in modo che i flutti della mia età non montassero oltre il lido del matrimonio, contenendosi, se non potevano placarsi, entro i termini della procreazione di una prole secondo il precetto della tua legge? Tu, Signore, regoli anche i tralci della nostra morte e sai porre una mano leggera sulle spine bandite dal tuo paradiso, per smussarle. La tu~ onnipotenza non è lontana da noi neppure quando noi siamo lontani da te. Oh, almeno fossi stato più desto ad ascoltare i tuoni delle tue nubi: In questo stato soffriranno tuttavia le tribolazioni della carne che io vorrei invece risparmiarvi; e: Chi non ha moglie, pensa alle cose di Dio, come piacere a Dio, chi invece è vincolato dal matrimonio, pensa alle cose del mondo, come piacere alla moglie. Più desto ad ascoltare queste voci e mutilato per amore del regno dei cieli, avrei atteso più lietamente i tuoi amplessi.

– 4. Invece mi scatenai, sventurato, abbandonandomi all’impeto della mia corrente e staccandomi da te; superai tutti i limiti della tua legge senza sfuggire, naturalmente, alle tue verghe: e quale mortale vi riuscirebbe? Tu eri sempre presente con i tuoi pietosi tormenti, cospargendo delle più ripugnanti amarezze tutte le mie delizie illecite per indurmi alla ricerca della delizia che non ripugna. Dove l’avessi trovata, non avrei trovato che te, Signore, te, che dài per maestro il dolore e colpisci per guarire e ci uccidi per non lasciarci morire senza di te. Dove ero, in quale esilio remoto dalle dolcezze della tua casa trascorsi quel sedicesimo anno di età della mia carne, quando prese il dominio su di me, ed io mi arresi a lei totalmente, la follia della libidine, ammessa dall’onorabilità pervertita degli uomini, ma non dalle tue leggi? I miei genitori non si curarono di contenere quella frana col matrimonio; si curarono unicamente che imparassi a comporre i migliori sermoni e a convincere con belle parole.

Interruzione degli studi
3. 5. Quell’anno però i miei studi erano stati interrotti. Richiamato da Madaura, una città vicina, ove in precedenza mi ero trasferito per studiare letteratura ed eloquenza, ora si andavano raccogliendo i fondi necessari al mio trasferimento in una sede più remota, Cartagine, secondo le ambizioni, piuttosto che le possibilità di mio padre, cittadino alquanto modesto del municipio di Tagaste. Ma a chi narro, questi fatti? Non certo a te, Dio mio. Rivolgendomi a te, li narro ai miei simili, al genere umano, per quella piccolissima particella che può imbattersi in questo mio scritto. E a quale scopo? All’unico scopo che io ed ogni lettore valutiamo la profonditità dell’abisso da cui dobbiamo lanciare il nostro grido verso di te. Eppure cos’è più vicino alle tue orecchie di un cuore che si confessa e di una vita sostanziata di fede? Chi non faceva allora alti elogi di un uomo, mio padre, il quale per mantenere agli studi suo figlio in una città lontana spendeva più di quanto permettesse il patrimonio familiare? Molti cittadini assai più ricchi di lui non affrontavano per i loro figli un sacrificio simile. Eppure quello stesso padre non si preoccupava di conoscere intanto come crescessi ai tuoi occhi o quanto fossi casto, purché fossi forbito nel. parlare, o piuttosto, sfornito della tua scienza, o Dio, unico vero e buon padrone del tuo campo, il mio cuore.

Nell’ozio
– 6. Quando però nel corso di quel sedicesimo anno tornai presso i miei genitori e dalle strettezze della famiglia fui ridotto all’ozio, senza alcun impegno scolastico, i rovi delle passioni crebbero oltre il mio capo senza che fosse là una mano a sradicarli. Anzi quel mio padre, al vedermi un giorno ai bagni ormai cresciuto e già ricoperto dai segni dell’adolescenza inquieta, fu come colto da una gioia smaniosa per i nipoti che gliene potevano nascere e lo riferì festante a mia madre, festante, dico, dell’ebbrezza in cui il mondo ha affogato, il ricordo di te, suo creatore, per amare in tua vece la tua creatura, ebbrezza del vino occulto della sua volontà perversamente inclinata alle bassezze. Ma nel cuore di mia madre avevi già posto mano all’erezione del tuo tempio e alle fondamenta della tua santa casa, mentre il padre era ancora catecumeno, e da poco per di più. Essa quindi trasalì in un’apprensione e trepidazione pia, paventando per me, sebbene non ancora battezzato, le vie storte in cui cammina chi volge a te la schiena e non il volto.

Ammonimenti e sollecitudini della madre
– 7. Ahimé, come oso dire che tu, Dio mio, tacesti mentre mi allontanavo da te? Tacevi davvero per me in quei. momenti? Di chi erano dunque, se non tue, le parole che facesti risuonare alle mie orecchie per la bocca di mia madre, tua fedele? Ma nessuna scese di là nel mio cuore per tradursi in pratica. Essa mi chiedeva – come ricordo dentro di me l’incalzante sollecitudine dei suoi ammonimenti! – di astenermi dagli amorazzi e specialmente dall’adulterio con qualsiasi donna. Io li prendevo per ammonimenti di donnicciuola, cui mi sarei vergognato di ubbidire. Invece venivano da te: io ignaro pensavo che tu tacessi e lei parlasse, mentre tu non tacevi per me con la sua voce, sebbene in lei io disprezzassi te, io, io, figlio suo, figlio dell’ancella tua e servo tuo. Nella mia ignoranza procedevo a capofitto verso l’abisso, tanto cieco da vergognarmi fra i miei coetanei di non essere spudorato quanto loro. Al sentirli esaltare le loro dissolutezze e tanto più gloriarsene quanto più erano indegne, cercavo di fare altrettanto, non solo per il piacere dell’atto in sé, ma altresì della lode che ne ottenevo. Che altro merita biasimo, se non il vizio? E io per evitare il biasimo m’immergevo nel vizio. Quando mancavo di colpe che mi uguagliassero ai malvagi, inventavo fatti che non avevo fatto per timore di apparire tanto più vile quanto più ero innocente e di essere giudicato tanto più spregevole quanto più ero casto.

– 8. In tale compagnia percorrevo la mia strada fra le piazze di Babilonia, avvoltolandomi nel. suo fango come fosse cinnamomo e unguenti preziosi. E per impantanarmi più tenacemente nel suo mezzo, il nemico invisibile mi calcava, seducendomi poiché mi lasciavo, facilmente sedurre. La donna che era già fuggita dal centro di Babilonia, ma ancora si attardava negli altri quartieri, la madre della mia carne, mi raccomandava sì, il pudore, ma non si curò di rinserrare nei limiti dell’affetto coniugale, se non si poteva reciderla fino al vivo, la mia virilità, di cui suo marito le aveva parlato, e che, lo sentiva, già allora funesta, sarebbe divenuta pericolosa in avvenire. Non se ne curò per timore che le pastoie coniugali inceppassero le mie prospettive, non la prospettiva della vita futura, che mia madre fondava in te, ma le prospettive degli studi, ove entrambi i miei genitori ambivano troppo che io progredissi, l’uno perché di te, non pensava quasi nulla e di me pensava delle vacuità, l’altra perché riteneva che la formazione culturale allora in voga non solo sarebbe nessun detrimento, ma anzi alcun giovamento a portarmi fino a te. A queste conclusioni, almeno, giungo oggi rievocando come posso l’indole dei miei genitori. Essi allentavano anche le briglie ai miei divertimenti oltre il tenore di una severità ragionevole, dando sfogo alle mie varie passioni; e così tutt’intorno a me si stendeva una grande foschia, che mi toglieva, Dio mio, la visione del sereno della tua verità. E come da adipe rampollava la mia iniquità.

UN FURTO DI PERE

L’impresa
4. 9. La tua legge, Signore, condanna chiaramente il furto, e così la legge scritta nei cuori degli uomini, che nemmeno la loro malvagità può cancellare. Quale ladro tollera di essere derubato da un ladro? Neppure se ricco, e l’altro costretto alla miseria. Ciò nonostante io volli commettere un furto e lo commisi senza esservi spinto da indigenza alcuna, se non forse dalla penuria e disgusto della giustizia e dalla sovrabbondanza dell’iniquità. Mi appropriai infatti di cose che già possedevo in maggior misura e molto miglior qualità; né mi spingeva il desiderio di godere ciiò che col furto mi sarei procurato, bensì quello del furto e del peccato in se stessi. Nelle vicinanze della nostra vigna sorgeva una pianta di pere carica di frutti d’aspetto e sapore per nulla. allettanti. In piena notte, dopo aver protratto i nostri giochi sulle piazze, come usavamo fare pestiferamente, ce ne andammo, giovinetti depravatissimi quali eravamo, a scuotere la pianta, di cui poi asportammo i frutti. Venimmo via con un carico ingente e non già per mangiarne noi stessi, ma per gettarli addirittura ai porci. Se alcuno ne gustammo, fu soltanto per il gusto dell’ingiusto. Così è fatto il mio cuore, o Dio, così è fatto il mio cuore, di cui hai avuto misericordia mentre era nel fondo dell’abisso. Ora, ecco, il mio cuore ti confesserà cosa andava cercando laggiù, tanto da essere malvagio senza motivo, senza che esistesse alcuna ragione della mia malvagità. Era laida e l’amai, amai la morte, amai il mio annientamento. Non l’oggetto per cui mi annientavo, ma il mio annientamento in se stesso io amai, anima turpe, che si scardinava dal tuo sostegno per sterminarsi non già nella ricerca disonesta di qualcosa, ma della sola disonestà.

Natura e moventi del peccato
5. 10. Le belle forme nei corpi e l’oro, e l’argento e ogni cosa simile attraggono gli occhi col loro aspetto; nel senso del tatto importa moltissimo la consonanza della carne e del suo oggetto, come gli altri sensi ricevono dagli oggetti una loro specifica e conveniente modificazione. Anche l’onore mondano, il potere, il dominio posseggono una loro dignità, origine fra l’altro, nell’uomo del desiderio di vendetta. Tuttavia per ottenere tutti questi beni non occorre allontanarsi da te, Signore, né deviare dalla tua legge. La vita stessa che viviamo qui sulla terra possiede un suo fascino, che le deriva da una certa misura di grazia sua propria e dall’armonia con tutte le altre minime bellezze dell’universo. E l’amicizia fra gli uomini non è forse deliziosa per l’amabile nodo, con cui unifica molte anime? Tutte: queste cose e le altre ad esse simili sono fonte di peccato soltanto nel caso che ad esse tendiamo smoderatamente e per esse, che sono beni infimi, trascuriamo gli altri migliori e sommi: te, Signore Dio nostro, e la tua verità e la tua legge. Perché, sì, anche questi infimi beni dilettano, ma non quanto il mio Dio, autore di ogni cosa, in cui appunto gode l’uomo giusto e che appunto è la delizia dei cuori retti.

– 11. Perciò nella ricerca del movente di un delitto non si è paghi di solito, se non quando si scopre la brama di ottenere l’uno o l’altro dei beni che abbiamo definito minimi, oppure il timore di perderlo, perché essi, sebbene abietti e vili a paragone dei beni superiori e beatificanti, posseggono una loro bellezza e grazia. Qualcuno ha ucciso: perché l’ha fatto? Vagheggiava la moglie o il podere del morto, oppure cercò di predare per vivere, oppure temeva di perdere uno di questi beni per mano del morto, oppure era arso dal desiderio di vendicare un affronto subito. Avrebbe mai perpetrato un omicidio senza ragione, per il solo piacere di uccidere un uomo? Chi lo crederebbe? Persino alle follie e alle crudelta estreme di un uomo, del quale fu detto che sfogava abitualmente per nulla la propria malvagità e crudeltà, fu premessa una ragione: "perché nell’inattività dice il suo storico non s’intorpidisse la mano o lo spirito". Domandati anche questo: ache scopo? perché questo? Evidentemente per ottenere mediante la pratica dei delitti e una volta padrone della città onori, potere, ricchezze; per liberarsi dal timore delle leggi e dalle angustie che gli derivavano dall’esiguità del patrimonio e dal rimorso dei delitti. Dunque neppure Catilina amò i propri delitti, ma altro: lo scopo, cioè, per cui li commetteva.

I peccati, simulazione della potenza di Dio
6. 12. Ma io sciagurato, cosa amai in te, o furto mio, o delitto notturno dei miei sedici anni? Non eri bello, se eri un furto; anzi, sei qualcosa, per cui possa rivolgerti la parola? Belli erano i frutti che rubammo, perché opera delle tue mani, o Bellezza massima fra tutte, creatore di tutto, Dio" buono, Dio sommo bene e bene mio vero. Belli, dunque, erano, quei frutti, ma non quelli bramò la mia anima. miserabile, poiché ne avevo in abbondanza di migliori. Eppure colsi proprio quelli al solo scopo di commettere un furto. E infatti appena colti li gettai senza aver assaporato che la mia cattiveria, così inebriante a praticarla. Se pure un briciolo di quei frutti entrò nella mia bocca, a insaporirlo, era il misfatto. E ora, Signore Dio mio, mi domando: cosa mi attrasse in quel furto? Non vi trovo davvero bellezza alcuna, non dico la bellezza insita nella giustizia e nella saggezza, o nell’intelletto umano, nella memoria, nella sensibilità, nella vita vegetativa, o la bellezza e la grazia propria nel loro ordine agli astri e alla terra e al mare, popolati di creature che si succedono nella nascita e nella morte, e nemmeno quella difettosa e irreale con cui ci seducono i vizi.

– 13. Infatti l’orgoglio, simula l’eccellenza, mentre il solo Dio eccelso al di sopra di tutte le cose sei tu. L’ambizione a che altro aspira, se non a onori e gloria, mentre tu solo sopra tutto meriti onore e gloria eterna? La crudeltà dei potenti mira a incutere timore; ma chi è davvero temibile, se non Dio solo, al cui potere cosa si può strappare o sottrarre, e quando o dove o come o da chi? Le seduzioni delle persone lascive, poi, mirano a suscitare amore, ma nulla è più seducente della tua carità, né vi è amore più salutare di quello della tua verità, tanto è bella e splendente oltre ogni cosa. La curiosità si atteggia a desiderio di conoscenza, mentre chi conosce tutto e in sommo grado sei tu; persino l’ignoranza e la scemplaggine si coprono col nome di semplicità e innocenza, poiché si trova nulla più semplice di te e c’è cosa più innocente di te, se ai malvagi stessi nuocciono le opere loro? La pigrizia dal canto suo sembra cercare quiete, ma esiste quiete sicura senza il Signore? Il lusso vuol essere chiamato soddisfazione e copiosità, di mezzi; sei tu però la pienezza e l’abbondanza inesauribile d’incorruttibili bellezze. La prodigalità si copre con l’ombra della liberalità, ma il più copioso dispensatore di ogni bene sei tu. L’avarizia aspira a possedere molto, mentre tu possiedi tutto. L’invidia disputa per eccellere, ma cosa eccelle più di te? L’ira vuole vendetta, ma quale vendetta è più giusta della tua? La pavidità trema, nella sua ricerca di sicurezza, dei pericoli insoliti e repentini che incombono sugli oggetti d’amore; a te infatti riesce qualcosa insolito, repentino? o qualcuno ti può privare degli oggetti del tuo amore? e dove si è saldamente sicuri, se non al tuo flanco? L’uggia si rode per la perdita dei beni, di cui si dilettava la cupidigia, poiché vorrebbe che, come a te, così a sé nulla si potesse cogliere.

– 14. In queste forme l’anima pecca allorché si distoglie da te e cerca fuori di te la purezza e il candore, che non trova, se non tornando a te. Tutti insomma ti imitano, alla rovescia, quanti si separano, da te e si levano contro di te. Ma anche imitandoti, a loro modo, provano che tu sei il creatore dell’universo e quindi non è possibile allontanarsi in alcun modo da te. Cosa amai dunque in quel furto e in che cosa imitai, sia pure in male e alla rovescia, il mio Signore? Mi compiacqui di violare la sua legge con la malizia, non potendolo fare con la potenza? Il prigionicro voleva imitare una libertà monca, compiendo a man salva un’azione illecita con una simulazione oscura di onnipotenza? Eccolo, questo servo, fuggitivo dal suo padrone, che ha raggiunto un’ombra. Oh marcume, oh mostruosità di vita, oh abisso di morte! Potré mai piacermi l’illecito per l’illecito, e null’altro?

Perdono e pietà per il peccatore
7. 15. Come rimunerare il Signore del fatto che la mia memoria rievoca simili azioni e la mia anima non ne è turbata? lo ti amerò, Signore, ti renderò grazie e confesserò il tuo nome, poiché mi hai perdonato malvagità e delitti così grandi. Attribuisco alla tua grazia e alla tua misericordia il dileguarsi come ghiaccio dei miei peccati; attribuisco alla tua grazia anche tutto. il male che non ho commesso. Cosa non avrei potuto fare, se amai persino il delitto in se stesso? Eppure tutti questi peccati: e quelli che di mia spontanea volontà commisi, e quelli che sotto la tua guida evitai, mi furono rimessi, lo confesso. Quale uomo conscio della propria debolezza osa attribuire alle proprie forze il merito della castità e dell’innocenza che serba, e quindi ti ama meno, quasi che meno abbia avuto bisogno della misericordia con cui condoni i peccati a chi si rivolse a te? Chi dunque alla tua chiamata seguì la tua voce ed evitò le colpe che qui mi vede ricordare e confessare, non mi schernisca se, malato, fui guarito dal medico che lo preservò dai malanni, o meglio, da più gravi malanni, Perciò dovrà amarti altrettanto, anzi più davvero di me, poiché vede come da tanta prostrazione di peccati io mi libero ad opera di Colui che, come vede, in tanta prostrazione di peccati non lo lasciò avviluppare.

Le attrattive del furto
8. 16. Quale frutto raccolsi allora, miserabile, da ciò che ora rievoco non senza arrossire, e specialmente da quel furto, ove amai solo il furto e null’altro? E anch’esso era nula, quindi maggiore era la mia miseria. Tuttavia non l’avrei compiuto da solo, Ricordo bene qual era il mio animo a quel tempo, da solo non l’avrei assolutamente compiuto. In quell’azione mi attrasse anche la compagnia di coloro con cui la commisi. Dunque non amai null’altro che il furto. Ma sì, null’altro, poiché anche una tale società non è nulla. Cos’è in realtà? Chi può istruirmi in merito, se non Colui che illumina il mio cuore e ne squarcia le tenebre? Come accade che mi viene in mente d’indagare, di discutere, di considerare questi fatti? Se in quel momento avessi amato i frutti che rubai e ne avessi desiderato il sapore, avrei potuto compiere anche da solo, se si poteva da solo, quel misfatto, appagando il mio desiderio senza sfregarmi a qualche complice per inflamnare il prurito della mia brama. Senonché i frutti non avevano nessuna attrattiva per me; dunque ne aveva soltanto l’impresa e a suscitarla era la compagnia di altri che peccavano insieme con me.

Il sapore della complicità
9. 17. Quale sentimento provavo allora in cuore? Senza dubbio un sentimento proprio molto turpe, ed era una sventura per me il provarlo. Ma pure in che cosa consisteva? I peccati, chi li capisce? Era il riso che ci solleticava, per cosi dire, il cuore al pensiero di ingannare quanti non sospettavano un’azione simile da parte nostra e ne sarebbero stati fortemente contrariati. Perché dunque godevo di non agire da solo? Forse perché non è facile ridere da soli? Certo non è facile, però avviene talvolta di essere sopraffatti dal riso, anche stando soli, tra sé e sé, alla presenza di nessuno, se appare ai nostri sensi o al pensiero una cosa troppo ridicola. Invece io quell’atto da solo non l’avrei compiuto, non l’avrei assolutamente compiuto da solo. Ecco dunque davanti a te, Dio mio, il ricordo vivente della mia anima. Da solo non avrei compiuto quel furto in cui non già la refurtiva ma il compiere un furto mi attraeva; compierlo da solo non mi attraeva davvero, e non l’avrei compiuto. Oh amicizia inimicissima, seduzione inesplicabile dello spirito. avidità di nuocere nata dai giochi e dallo scherzo, sete di perdita altrui senza brama di guadagno proprio o avidità di vendetta! Uno dice: "Andiamo, facciamo", e si ha pudore a non essere spudorati.

Desiderio d’innocenza e di pace
10. 18. Chi può districare un nodo così tortuoso e aggrovigliato? È suicidio, non voglio più riflettervi, non voglio guardarlo. Voglio te, giustizia e innocenza bella e ornata delle tue pure luci e di un’insaziabile sazietà. Accanto a te una pace profonda e una vita imperturbabile. Chi entra in te, entra nel gaudio del suo Signore; non avrà timori e si troverà sommamente bene nel sommo Bene. Io mi dispersi lontano da te ed errai, Dio mio, durante la mia adolescenza per vie troppo remote dalla tua solida roccia. Così divenni per me regione di miseria


L’uomo con la lanterna

I sogni di don Bosco - San Giovanni Bosco

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Il 25 aprile 1862 moriva improvvisamente nell’Oratorio di Valdocco il giovane Maestro Vittorio. La sua morte era stata prevista da Don Bosco in questo sogno, che il Santo raccontò ai suoi giovani la sera del 21 marzo di quell’anno.
«Mi sembrava di essere appoggiato alla finestra della mia camera e di stare a osservare i miei giovani, che nei cortile si divertivano allegramente, quando vidi entrare dalla portineria un personaggio, alto di statura, con lunga barba bianca, con pochi capelli anch’essi candidi, che dal capo gli scendevano sulle spalle. Era avvolto in un lenzuolo che con la sinistra teneva stretto ai corpo; nella mano destra aveva una fiaccola con fiamma fosco-azzurra. Con passi lenti e gravi percorse il cortile facendo alcuni giri tra i giovani che giocavano, finché si ferma davanti a un giovane, gli avvicina la fiaccola alla faccia ed esclama:
— E proprio lui!
Gli presenta quindi un biglietto che trae dalle pieghe del mantello; il giovane lo legge impallidendo e tremando, e domanda:
— Quando?
Quel vecchione con voce sepolcrale, risponde:
— Vieni, per te l’ora è suonata!
— Almeno posso continuare il gioco?
— Anche giocando puoi essere sorpreso.
Il giovane tremava, voleva parlare, ma l’uomo, indicando con la mano sinistra una bara posta sotto il porticato, gli disse:
— Vedi là? Quella bara è per te. Presto, vieni!
— Non sono preparato, — gridava il giovane, — sono ancora troppo giovane —; ma lo spettro si dileguò ».
Don Bosco concluse:
— Uno di voi deve morire, io io conosco, ma non lo dirò a nessuno. Ciascuno pensi a tenersi preparato.
Sceso dalla cattedra, confidò ad alcuni che il giovane non avrebbe passato due solennità che cominciano per P (Pasqua e Pentecoste), e che la sua morte sarebbe stata improvvisa.
Circa un mese dopo, il 16 aprile, moriva il giovane Luigi Fornasio, ma Don Bosco disse chiaramente che non era questo il ragazzo del sogno. Quella stessa sera i giovani assediarono Don Bosco per sapere chi fosse il giovane che doveva morire.
— Ci dica almeno l’iniziale del nome.
— Colui che ha ricevuto il biglietto da quel misterioso vecchione — rispose Don Bosco — porta un nome che comincia con le iniziali del nome di Maria.
Si voleva indovinare, ma era difficile perché in casa più di 30 alunni avevano un nome che cominciava con la lettera M.
Un mattino Don Bosco incontrò per le scale il giovane Maestro Vittorio di Viora, Mondovì, e gli domandò a bruciapelo:
— Vuoi andare in Paradiso?
— Certo, rispose Maestro.
— Dunque preparati!
Il giovane pensò a una battuta delle solite di Don Bosco e non si turbò. Don Bosco intanto lo andava preparando e lo induceva a fare la confessione generale approfittando della Pasqua.
Ed ecco il 25 aprile morire improvvisamente, colpito da apoplessia, proprio il giovane Maestro. Quella sera Don Bosco rivelò il suo cuore di padre, perché ne parlò con tanta commozione che strappò a tutti le lacrime. Disse tra l’altro che Maestro era il giovane da lui visto nel sogno, che la sua morte era stata repentina, ma non improvvisa, perché era ben preparato. E aggiunse: « Quanto si ingannano quelli che dicono di voler aspettare ad aggiustare le cose della loro coscienza alla fine della vita! E quanto maggiore sarebbe il nostro dolore se il Signore avesse permesso che ci fossero stati tolti altri che nella casa tengono una condotta poco soddisfacente!».


16-5 Luglio 19, 1923 Prodigi del Fiat Divino nel gran vuoto dell’anima.

Luisa Piccarreta (Libro di Cielo)

(1) Stavo pregando ed abbandonandomi tutta nelle braccia della Santissima Volontà di Dio, ed il mio sempre amabile Gesù, uscendo dal mio interno e dandomi la mano, mi ha detto:

(2) “Figlia mia, vieni insieme con Me e guarda il gran vuoto che esiste tra il Cielo e la terra. Questo gran vuoto, prima che il mio Fiat si pronunziasse, era orribile a vedersi, tutto era disordine, non si vedeva né divisione di terra né di acqua, né di monti, era un ammasso che metteva spavento; non appena il mio Fiat si pronunziò, tutte le cose rotolarono, scuotendosi fra loro ed ognuna prese il suo posto, restando tutte ordinate con l’impronta del mio Fiat Eterno, e non possono spostarsi se il mio Fiat non vuole. La terra non metteva più spavento, anzi, nel vedere la vastità dei mari, le sue acque non più fangose ma cristalline, il suo dolce mormorio, come se le acque fossero voci che zitte zitte parlano tra loro, le sue onde fragorose che delle volte si alzano tanto che compariscono monti d’acqua e che poi cadono nello stesso mare, quanta bellezza non contiene, quanto ordine e quanta attenzione non riscuote dalle creature? E poi, la terra tutta verdeggiante e fiorita, quanta varietà di bellezza non contiene? Eppure è nulla ancora, il vuoto non era riempito del tutto, e come il mio Fiat aleggiò sulla terra e divise le cose ed ordinai la terra, così, aleggiando su in alto, distesi i cieli, li ornai di stelle, e per riempire il vuoto dell’oscurità creai il sole, che fugando le tenebre, riempì di luce questo gran vuoto e mise il risalto di tutta la bellezza a tutto il creato. Onde, chi fu la causa di tanto bene? Il mio Fiat onnipotente, ma questo Fiat volle il vuoto per creare questa macchina dell’universo.

(3) Ora figlia mia, vedi questo gran vuoto in cui tante cose creai? Eppure il vuoto dell’anima è più grande ancora, quello doveva servire per abitazione dell’uomo, il vuoto dell’anima doveva servire per abitazione d’un Dio. Non dovevo pronunziare per sei giorni il mio Fiat come nel creare l’universo, ma per quanti giorni contiene la vita dell’uomo, e tante volte, per quante volte mettendo da parte il suo volere fa operare il mio, quindi, dovendo il mio Fiat fare più cose che non feci nella Creazione, vi voleva più spazio, ma sai tu chi mi dà campo libero a riempire questo gran vuoto dell’anima? Chi vive nel mio Volere. I miei Fiat sono ripetutamente detti, ogni pensiero è accompagnato dalla potenza del mio Fiat, ed oh! quante stelle ornano il cielo dell’intelligenza dell’anima; le sue azioni sono seguite dal mio Fiat, ed oh! quanti soli sorgono in essa; le sue parole investite dal mio Fiat sono più dolci del mormorio delle acque del mare, dove il mare delle mie grazie scorre per riempire questo gran vuoto, ed il mio Fiat si diletta nel formare le onde che giungono fino al di là del cielo, e vi discendono più cariche, per ingrandire il mare dell’anima. Il mio Fiat soffia sul suo cuore, e dei suoi palpiti ne forma incendi d’amore; il mio Fiat non lascia nulla, investe ogni affetto, le tendenze, i desideri, e vi forma le più belle fioriture. Quante cose il mio Fiat non opera in questo gran vuoto dell’anima che vive nel mio Volere? Oh! come resta dietro tutta la macchina dell’universo, i cieli stupiscono e guardano tremebondi il Fiat onnipotente operante nella volontà della creatura e si sentono doppiamente felici ogniqualvolta questo Fiat agisce e rinnova la sua potenza creatrice, sicché sono tutti attenzione intorno a Me, per vedere quando il mio Fiat viene pronunziato, per riscuotere la loro doppia gloria e felicità; oh! se tutti conoscessero la potenza del mio Fiat, il gran bene che contiene, tutti si darebbero in preda della mia Volontà onnipotente. Eppure c’è da piangere, quante anime con questi grandi vuoti in seno, sono peggio del gran vuoto dell’universo prima che il mio Fiat fosse pronunciato? Non aleggiando in loro il mio Fiat, tutto è disordine, le tenebre sono tanto fitte che fa orrore e spavento, c’è un ammasso tutto insieme, nessuna cosa al posto, l’opera della Creazione scompigliata in loro, perché solo il mio Fiat è ordine, la volontà umana è disordine. Perciò figlia del mio Volere, se vuoi l’ordine in te, fa che il mio Fiat sia la vita di tutto in te, e mi darai il gran contento che il mio Fiat possa svolgersi, mettendo fuori i prodigi ed i beni che contiene”.