Liturgia delle Ore - Letture
Sabato della 28° settimana del tempo ordinario
Vangelo secondo Matteo 25
1Il regno dei cieli è simile a dieci vergini che, prese le loro lampade, uscirono incontro allo sposo.2Cinque di esse erano stolte e cinque sagge;3le stolte presero le lampade, ma non presero con sé olio;4le sagge invece, insieme alle lampade, presero anche dell'olio in piccoli vasi.5Poiché lo sposo tardava, si assopirono tutte e dormirono.6A mezzanotte si levò un grido: Ecco lo sposo, andategli incontro!7Allora tutte quelle vergini si destarono e prepararono le loro lampade.8E le stolte dissero alle sagge: Dateci del vostro olio, perché le nostre lampade si spengono.9Ma le sagge risposero: No, che non abbia a mancare per noi e per voi; andate piuttosto dai venditori e compratevene.10Ora, mentre quelle andavano per comprare l'olio, arrivò lo sposo e le vergini che erano pronte entrarono con lui alle nozze, e la porta fu chiusa.11Più tardi arrivarono anche le altre vergini e incominciarono a dire: Signore, signore, aprici!12Ma egli rispose: In verità vi dico: non vi conosco.13Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l'ora.
14Avverrà come di un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni.15A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, a ciascuno secondo la sua capacità, e partì.16Colui che aveva ricevuto cinque talenti, andò subito a impiegarli e ne guadagnò altri cinque.17Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due.18Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone.19Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò, e volle regolare i conti con loro.20Colui che aveva ricevuto cinque talenti, ne presentò altri cinque, dicendo: Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque.21Bene, servo buono e fedele, gli disse il suo padrone, sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone.22Presentatosi poi colui che aveva ricevuto due talenti, disse: Signore, mi hai consegnato due talenti; vedi, ne ho guadagnati altri due.23Bene, servo buono e fedele, gli rispose il padrone, sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone.24Venuto infine colui che aveva ricevuto un solo talento, disse: Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso;25per paura andai a nascondere il tuo talento sotterra; ecco qui il tuo.26Il padrone gli rispose: Servo malvagio e infingardo, sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso;27avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l'interesse.28Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti.29Perché a chiunque ha sarà dato e sarà nell'abbondanza; ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha.30E il servo fannullone gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti.
31Quando il Figlio dell'uomo verrà nella sua gloria con tutti i suoi angeli, si siederà sul trono della sua gloria.32E saranno riunite davanti a lui tutte le genti, ed egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri,33e porrà le pecore alla sua destra e i capri alla sinistra.34Allora il re dirà a quelli che stanno alla sua destra: Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo.35Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato,36nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi.37Allora i giusti gli risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo veduto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, assetato e ti abbiamo dato da bere?38Quando ti abbiamo visto forestiero e ti abbiamo ospitato, o nudo e ti abbiamo vestito?39E quando ti abbiamo visto ammalato o in carcere e siamo venuti a visitarti?40Rispondendo, il re dirà loro: In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me.41Poi dirà a quelli alla sua sinistra: Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli.42Perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare; ho avuto sete e non mi avete dato da bere;43ero forestiero e non mi avete ospitato, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato.44Anch'essi allora risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo visto affamato o assetato o forestiero o nudo o malato o in carcere e non ti abbiamo assistito?45Ma egli risponderà: In verità vi dico: ogni volta che non avete fatto queste cose a uno di questi miei fratelli più piccoli, non l'avete fatto a me.46E se ne andranno, questi al supplizio eterno, e i giusti alla vita eterna".
Numeri 32
1I figli di Ruben e i figli di Gad avevano bestiame in numero molto grande; quando videro che il paese di Iazer e il paese di Gàlaad erano luoghi da bestiame,2i figli di Gad e i figli di Ruben vennero a parlare a Mosè, al sacerdote Eleazaro e ai principi della comunità e dissero:3"Atarot, Dibon, Iazer, Nimra, Chesbon, Eleale, Sebam, Nebo e Beon,4terre che il Signore ha sconfitte alla presenza della comunità d'Israele, sono terre da bestiame e i tuoi servi hanno appunto il bestiame".5Aggiunsero: "Se abbiamo trovato grazia ai tuoi occhi, sia concesso ai tuoi servi il possesso di questo paese: non ci far passare il Giordano".
6Ma Mosè rispose ai figli di Gad e ai figli di Ruben: "Andrebbero dunque i vostri fratelli in guerra e voi ve ne stareste qui?7Perché volete scoraggiare gli Israeliti dal passare nel paese che il Signore ha dato loro?8Così fecero i vostri padri, quando li mandai da Kades-Barnea per esplorare il paese.9Salirono fino alla valle di Escol e, dopo aver esplorato il paese, scoraggiarono gli Israeliti dall'entrare nel paese che il Signore aveva loro dato.10Così l'ira del Signore si accese in quel giorno ed egli giurò:11Gli uomini che sono usciti dall'Egitto, dall'età di vent'anni in su, non vedranno mai il paese che ho promesso con giuramento ad Abramo, a Isacco e a Giacobbe, perché non mi hanno seguito fedelmente,12se non Caleb, figlio di Iefunne, il Kenizzita, e Giosuè figlio di Nun, che hanno seguito il Signore fedelmente.13L'ira del Signore si accese dunque contro Israele; lo fece errare nel deserto per quarant'anni, finché fosse finita tutta la generazione che aveva agito male agli occhi del Signore.14Ed ecco voi sorgerete al posto dei vostri padri, razza di uomini peccatori, per aumentare ancora l'ira del Signore contro Israele.15Perché se voi non volete più seguirlo, il Signore continuerà a lasciarlo nel deserto e voi farete perire tutto questo popolo".
16Ma quelli si avvicinarono a lui e gli dissero: "Costruiremo qui ovili per il nostro bestiame e città per i nostri fanciulli;17ma, quanto a noi, ci terremo pronti in armi, per marciare davanti agli Israeliti, finché li avremo condotti al luogo destinato loro; intanto, i nostri fanciulli dimoreranno nelle fortezze per timore degli abitanti del paese.18Non torneremo alle nostre case finché ogni Israelita non abbia preso possesso della sua eredità;19non possiederemo nulla con loro al di là del Giordano e più oltre, perché la nostra eredità ci è toccata da questa parte del Giordano, a oriente".
20Allora Mosè disse loro: "Se fate questo, se vi armate per andare a combattere davanti al Signore,21se tutti quelli di voi che si armeranno passeranno il Giordano davanti al Signore finché egli abbia scacciato i suoi nemici dalla sua presenza,22se non tornerete fin quando il paese vi sarà sottomesso davanti al Signore, voi sarete innocenti di fronte al Signore e di fronte a Israele e questo paese sarà vostra proprietà alla presenza del Signore.23Ma, se non fate così, voi peccherete contro il Signore; sappiate che il vostro peccato vi raggiungerà.24Costruitevi pure città per i vostri fanciulli e ovili per i vostri greggi, ma fate quello che la vostra bocca ha promesso".
25I figli di Gad e i figli di Ruben dissero a Mosè: "I tuoi servi faranno quello che il mio signore comanda.26I nostri fanciulli, le nostre mogli, i nostri greggi e tutto il nostro bestiame rimarranno qui nelle città di Gàlaad;27ma i tuoi servi, tutti armati per la guerra, andranno a combattere davanti al Signore, come dice il mio signore".
28Allora Mosè diede per loro ordini al sacerdote Eleazaro, a Giosuè figlio di Nun e ai capifamiglia delle tribù degli Israeliti.29Mosè disse loro: "Se i figli di Gad e i figli di Ruben passeranno con voi il Giordano tutti armati per combattere davanti al Signore e se il paese sarà sottomesso davanti a voi, darete loro in proprietà il paese di Gàlaad.30Ma se non passano armati con voi, avranno la loro proprietà in mezzo a voi nel paese di Canaan".31I figli di Gad e i figli di Ruben risposero: "Faremo come il Signore ha ordinato ai tuoi servi.32Passeremo in armi davanti al Signore nel paese di Canaan, ma il possesso della nostra eredità resti per noi di qua dal Giordano".
33Mosè dunque diede ai figli di Gad e ai figli di Ruben e a metà della tribù di Manàsse, figlio di Giuseppe, il regno di Sicon, re degli Amorrei, e il regno di Og, re di Basan: il paese con le sue città comprese entro i confini, le città del paese che si stendeva intorno.34I figli di Gad ricostruirono Dibon, Atarot, Aroer,35Aterot-Sofan, Iazer, Iogbea,36Bet-Nimra e Bet-Aran, fortezze, e fecero ovili per i greggi.37I figli di Ruben ricostruirono Chesbon, Eleale, Kiriataim,38Nebo e Baal-Meon, i cui nomi furono mutati, e Sibma e diedero nomi alle città che avevano ricostruite.39I figli di Machir, figlio di Manàsse, andarono nel paese di Gàlaad, lo presero e ne cacciarono gli Amorrei che vi abitavano.40Mosè allora diede Gàlaad a Machir, figlio di Manàsse, che vi si stabilì.41Anche Iair, figlio di Manàsse, andò e prese i loro villaggi e li chiamò villaggi di Iair.42Nobach andò e prese Kenat con le dipendenze e la chiamò Nobach.
Giobbe 29
1Giobbe continuò a pronunziare le sue sentenze e disse:
2Oh, potessi tornare com'ero ai mesi di un tempo,
ai giorni in cui Dio mi proteggeva,
3quando brillava la sua lucerna sopra il mio capo
e alla sua luce camminavo in mezzo alle tenebre;
4com'ero ai giorni del mio autunno,
quando Dio proteggeva la mia tenda,
5quando l'Onnipotente era ancora con me
e i giovani mi stavano attorno;
6quando mi lavavo in piedi nel latte
e la roccia mi versava ruscelli d'olio!
7Quando uscivo verso la porta della città
e sulla piazza ponevo il mio seggio:
8vedendomi, i giovani si ritiravano
e i vecchi si alzavano in piedi;
9i notabili sospendevano i discorsi
e si mettevan la mano sulla bocca;
10la voce dei capi si smorzava
e la loro lingua restava fissa al palato;
11con gli orecchi ascoltavano e mi dicevano felice,
con gli occhi vedevano e mi rendevano testimonianza,
12perché soccorrevo il povero che chiedeva aiuto,
l'orfano che ne era privo.
13La benedizione del morente scendeva su di me
e al cuore della vedova infondevo la gioia.
14Mi ero rivestito di giustizia come di un
vestimento;
come mantello e turbante era la mia equità.
15Io ero gli occhi per il cieco,
ero i piedi per lo zoppo.
16Padre io ero per i poveri
ed esaminavo la causa dello sconosciuto;
17rompevo la mascella al perverso
e dai suoi denti strappavo la preda.
18Pensavo: "Spirerò nel mio nido
e moltiplicherò come sabbia i miei giorni".
19La mia radice avrà adito alle acque
e la rugiada cadrà di notte sul mio ramo.
20La mia gloria sarà sempre nuova
e il mio arco si rinforzerà nella mia mano.
21Mi ascoltavano in attesa fiduciosa
e tacevano per udire il mio consiglio.
22Dopo le mie parole non replicavano
e su di loro scendevano goccia a goccia i miei detti.
23Mi attendevano come si attende la pioggia
e aprivano la bocca come ad acqua primaverile.
24Se a loro sorridevo, non osavano crederlo,
né turbavano la serenità del mio volto.
25Indicavo loro la via da seguire e sedevo come capo,
e vi rimanevo come un re fra i soldati
o come un consolatore d'afflitti.
Salmi 102
1'Preghiera di un afflitto che è stanco'
'e sfoga dinanzi a Dio la sua angoscia'.
2Signore, ascolta la mia preghiera,
a te giunga il mio grido.
3Non nascondermi il tuo volto;
nel giorno della mia angoscia
piega verso di me l'orecchio.
Quando ti invoco: presto, rispondimi.
4Si dissolvono in fumo i miei giorni
e come brace ardono le mie ossa.
5Il mio cuore abbattuto come erba inaridisce,
dimentico di mangiare il mio pane.
6Per il lungo mio gemere
aderisce la mia pelle alle mie ossa.
7Sono simile al pellicano del deserto,
sono come un gufo tra le rovine.
8Veglio e gemo
come uccello solitario sopra un tetto.
9Tutto il giorno mi insultano i miei nemici,
furenti imprecano contro il mio nome.
10Di cenere mi nutro come di pane,
alla mia bevanda mescolo il pianto,
11davanti alla tua collera e al tuo sdegno,
perché mi sollevi e mi scagli lontano.
12I miei giorni sono come ombra che declina,
e io come erba inaridisco.
13Ma tu, Signore, rimani in eterno,
il tuo ricordo per ogni generazione.
14Tu sorgerai, avrai pietà di Sion,
perché è tempo di usarle misericordia:
l'ora è giunta.
15Poiché ai tuoi servi sono care le sue pietre
e li muove a pietà la sua rovina.
16I popoli temeranno il nome del Signore
e tutti i re della terra la tua gloria,
17quando il Signore avrà ricostruito Sion
e sarà apparso in tutto il suo splendore.
18Egli si volge alla preghiera del misero
e non disprezza la sua supplica.
19Questo si scriva per la generazione futura
e un popolo nuovo darà lode al Signore.
20Il Signore si è affacciato dall'alto del suo santuario,
dal cielo ha guardato la terra,
21per ascoltare il gemito del prigioniero,
per liberare i condannati a morte;
22perché sia annunziato in Sion il nome del Signore
e la sua lode in Gerusalemme,
23quando si aduneranno insieme i popoli
e i regni per servire il Signore.
24Ha fiaccato per via la mia forza,
ha abbreviato i miei giorni.
25Io dico: Mio Dio,
non rapirmi a metà dei miei giorni;
i tuoi anni durano per ogni generazione.
26In principio tu hai fondato la terra,
i cieli sono opera delle tue mani.
27Essi periranno, ma tu rimani,
tutti si logorano come veste,
come un abito tu li muterai
ed essi passeranno.
28Ma tu resti lo stesso
e i tuoi anni non hanno fine.
29I figli dei tuoi servi avranno una dimora,
resterà salda davanti a te la loro discendenza.
Geremia 15
1Il Signore mi disse: "Anche se Mosè e Samuele si presentassero davanti a me, io non mi piegherei verso questo popolo. Allontanali da me, se ne vadano!"2Se ti domanderanno: "Dove andremo?" dirai loro: Così dice il Signore:
Chi è destinato alla peste, alla peste,
Chi alla spada, alla spada,
chi alla fame, alla fame,
chi alla schiavitù, alla schiavitù.
3Io manderò contro di loro quattro specie di mali - parola del Signore -: la spada per ucciderli, i cani per sbranarli, gli uccelli dell'aria e le bestie selvatiche per divorarli e distruggerli.4Li renderò oggetto di spavento per tutti i regni della terra a causa di Manàsse figlio di Ezechia, re di Giuda, per ciò che egli ha fatto in Gerusalemme.
5Chi avrà pietà di te, Gerusalemme,
chi ti compiangerà?
Chi si volterà
per domandarti come stai?
6Tu mi hai respinto,
dice il Signore,
mi hai voltato le spalle
e io ho steso la mano su di te per annientarti;
sono stanco di avere pietà.
7Io li ho dispersi al vento con la pala
nelle città della contrada.
Ho reso senza figli e ho fatto perire il mio popolo,
perché non abbandonarono le loro abitudini.
8Le loro vedove sono diventate
più numerose della sabbia del mare.
Ho mandato sulle madri e sui giovani
un devastatore in pieno giorno;
d'un tratto ho fatto piombare su di loro
turbamento e spavento.
9È abbattuta la madre di sette figli,
esala il suo respiro;
il suo sole tramonta quando è ancor giorno,
è coperta di vergogna e confusa.
Io consegnerò i loro superstiti alla spada,
in preda ai loro nemici". Oracolo del Signore.
10Me infelice, madre mia, che mi hai partorito
oggetto di litigio e di contrasto per tutto il paese!
Non ho preso prestiti, non ho prestato a nessuno,
eppure tutti mi maledicono.
11Forse, Signore, non ti ho servito del mio meglio,
non mi sono rivolto a te con preghiere per il mio nemico,
nel tempo della sventura e nel tempo dell'angoscia?
12Potrà forse il ferro spezzare
il ferro del settentrione e il bronzo?
13"I tuoi averi e i tuoi tesori
li abbandonerò al saccheggio,
non come pagamento, per tutti i peccati
che hai commessi in tutti i tuoi territori.
14Ti renderò schiavo dei tuoi nemici
in una terra che non conosci,
perché si è acceso il fuoco della mia ira,
che arderà contro di voi".
15Tu lo sai, Signore,
ricordati di me e aiutami,
vendicati per me dei miei persecutori.
Nella tua clemenza non lasciarmi perire,
sappi che io sopporto insulti per te.
16Quando le tue parole mi vennero incontro,
le divorai con avidità;
la tua parola fu la gioia e la letizia del mio cuore,
perché io portavo il tuo nome,
Signore, Dio degli eserciti.
17Non mi sono seduto per divertirmi
nelle brigate di buontemponi,
ma spinto dalla tua mano sedevo solitario,
poiché mi avevi riempito di sdegno.
18Perché il mio dolore è senza fine
e la mia piaga incurabile non vuol guarire?
Tu sei diventato per me un torrente infido,
dalle acque incostanti.
19Ha risposto allora il Signore:
"Se tu ritornerai a me, io ti riprenderò
e starai alla mia presenza;
se saprai distinguere ciò che è prezioso
da ciò che è vile,
sarai come la mia bocca.
Essi torneranno a te,
mentre tu non dovrai tornare a loro,
20ed io, per questo popolo, ti renderò
come un muro durissimo di bronzo;
combatteranno contro di te
ma non potranno prevalere,
perché io sarò con te
per salvarti e per liberarti.
Oracolo del Signore.
21Ti libererò dalle mani dei malvagi
e ti riscatterò dalle mani dei violenti".
Atti degli Apostoli 22
1"Fratelli e padri, ascoltate la mia difesa davanti a voi".2Quando sentirono che parlava loro in lingua ebraica, fecero silenzio ancora di più.3Ed egli continuò: "Io sono un Giudeo, nato a Tarso di Cilicia, ma cresciuto in questa città, formato alla scuola di Gamalièle nelle più rigide norme della legge paterna, pieno di zelo per Dio, come oggi siete tutti voi.4Io perseguitai a morte questa nuova dottrina, arrestando e gettando in prigione uomini e donne,5come può darmi testimonianza il sommo sacerdote e tutto il collegio degli anziani. Da loro ricevetti lettere per i nostri fratelli di Damasco e partii per condurre anche quelli di là come prigionieri a Gerusalemme, per essere puniti.
6Mentre ero in viaggio e mi avvicinavo a Damasco, verso mezzogiorno, all'improvviso una gran luce dal cielo rifulse attorno a me;7caddi a terra e sentii una voce che mi diceva: Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?8Risposi: Chi sei, o Signore? Mi disse: Io sono Gesù il Nazareno, che tu perseguiti.9Quelli che erano con me videro la luce, ma non udirono colui che mi parlava.10Io dissi allora: Che devo fare, Signore? E il Signore mi disse: Alzati e prosegui verso Damasco; là sarai informato di tutto ciò che è stabilito che tu faccia.11E poiché non ci vedevo più, a causa del fulgore di quella luce, guidato per mano dai miei compagni, giunsi a Damasco.
12Un certo Ananìa, un devoto osservante della legge e in buona reputazione presso tutti i Giudei colà residenti,13venne da me, mi si accostò e disse: Saulo, fratello, torna a vedere! E in quell'istante io guardai verso di lui e riebbi la vista.14Egli soggiunse: Il Dio dei nostri padri ti ha predestinato a conoscere la sua volontà, a vedere il Giusto e ad ascoltare una parola dalla sua stessa bocca,15perché gli sarai testimone davanti a tutti gli uomini delle cose che hai visto e udito.16E ora perché aspetti? Alzati, ricevi il battesimo e lavati dai tuoi peccati, invocando il suo nome.
17Dopo il mio ritorno a Gerusalemme, mentre pregavo nel tempio, fui rapito in estasi18e vidi Lui che mi diceva: Affrettati ed esci presto da Gerusalemme, perché non accetteranno la tua testimonianza su di me.19E io dissi: Signore, essi sanno che facevo imprigionare e percuotere nella sinagoga quelli che credevano in te;20quando si versava il sangue di Stefano, tuo testimone, anch'io ero presente e approvavo e custodivo i vestiti di quelli che lo uccidevano.21Allora mi disse: Va', perché io ti manderò lontano, tra i pagani".
22Fino a queste parole erano stati ad ascoltarlo, ma allora alzarono la voce gridando: "Toglilo di mezzo; non deve più vivere!".23E poiché continuavano a urlare, a gettar via i mantelli e a lanciar polvere in aria,24il tribuno ordinò di portarlo nella fortezza, prescrivendo di interrogarlo a colpi di flagello al fine di sapere per quale motivo gli gridavano contro in tal modo.
25Ma quando l'ebbero legato con le cinghie, Paolo disse al centurione che gli stava accanto: "Potete voi flagellare un cittadino romano, non ancora giudicato?".26Udito ciò, il centurione corse a riferire al tribuno: "Che cosa stai per fare? Quell'uomo è un romano!".27Allora il tribuno si recò da Paolo e gli domandò: "Dimmi, tu sei cittadino romano?". Rispose: "Sì".28Replicò il tribuno: "Io questa cittadinanza l'ho acquistata a caro prezzo". Paolo disse: "Io, invece, lo sono di nascita!".29E subito si allontanarono da lui quelli che dovevano interrogarlo. Anche il tribuno ebbe paura, rendendosi conto che Paolo era cittadino romano e che lui lo aveva messo in catene.
30Il giorno seguente, volendo conoscere la realtà dei fatti, cioè il motivo per cui veniva accusato dai Giudei, gli fece togliere le catene e ordinò che si riunissero i sommi sacerdoti e tutto il sinedrio; vi fece condurre Paolo e lo presentò davanti a loro.
Capitolo III: L'ammaestramento della verità
Leggilo nella Biblioteca 1. Felice colui che viene ammaestrato direttamente dalla verità, così come essa è, e non per mezzo di immagini o di parole umane; ché la nostra intelligenza e la nostra sensibilità spesso ci ingannano, e sono di corta veduta. A chi giova un'ampia e sottile discussione intorno a cose oscure e nascoste all'uomo; cose per le quali, anche se le avremo ignorate, non saremo tenuti responsabili, nel giudizio finale? Grande nostra stoltezza: trascurando ciò che ci è utile, anzi necessario, ci dedichiamo a cose che attirano la nostra curiosità e possono essere causa della nostra dannazione. "Abbiamo occhi e non vediamo" (Ger 5,21). Che c'importa del problema dei generi e delle specie? Colui che ascolta la parola eterna si libera dalle molteplici nostre discussioni. Da quella sola parola discendono tutte le cose e tutte le cose proclamano quella sola parola; essa è "il principio" che continuo a parlare agli uomini (Gv 8,25). Nessuno capisce, nessuno giudica rettamente senza quella parola. Soltanto chi sente tutte le cose come una cosa sola, e le porta verso l'unità e le vede tutte nell'unità, può avere tranquillità interiore e abitare in Dio nella pace. O Dio, tu che sei la verità stessa, fa' che io sia una cosa sola con te, in un amore senza fine. Spesso mi stanco di leggere molte cose, o di ascoltarle: quello che io voglio e desidero sta tutto in te. Tacciano tutti i maestri, tacciano tutte le creature, dinanzi a te: tu solo parlami.
2. Quanto più uno si sarà fatto interiormente saldo e semplice, tanto più agevolmente capirà molte cose, e difficili, perché dall'alto egli riceverà lume dell'intelletto. Uno spirito puro, saldo e semplice non si perde anche se si adopera in molteplici faccende, perché tutto egli fa a onore di Dio, sforzandosi di astenersi da ogni ricerca di sé. Che cosa ti lega e ti danneggia di più dei tuoi desideri non mortificati? L'uomo retto e devoto prepara prima, interiormente, le opere esterne che deve compiere. Così non saranno queste ad indurlo a desideri volti al male; ma sarà lui invece che piegherà le sue opere alla scelta fatta dalla retta ragione. Nessuno sostiene una lotta più dura di colui che cerca di vincere se stesso. Questo appunto dovrebbe essere il nostro impegno: vincere noi stessi, farci ogni giorno superiori a noi stessi e avanzare un poco nel bene.
3. In questa vita ogni nostra opera, per quanto buona, è commista a qualche imperfezione; ogni nostro ragionamento, per quanto profondo, presenta qualche oscurità. Perciò la constatazione della tua bassezza costituisce una strada che conduce a Dio più sicuramente che una dotta ricerca filosofica. Non già che sia una colpa lo studio, e meno ancora la semplice conoscenza delle cose - la quale è, in se stessa, un ben ed è voluta da Dio -; ma è sempre cosa migliore una buona conoscenza di sé e una vita virtuosa. Infatti molti vanno spesso fuori della buona strada e non danno frutto alcuno, o scarso frutto, di bene, proprio perché si preoccupano più della loro scienza che della santità della loro vita. Che se la gente mettesse tanta attenzione nell'estirpare i vizi e nel coltivare le virtù, quanta ne mette nel sollevare sottili questioni filosofiche non ci sarebbero tanti mali e tanti scandali tra la gente; e nei conviventi non ci sarebbe tanta dissipazione. Per certo, quando sarà giunto il giorno del giudizio, non ci verrà chiesto che cosa abbiamo studiato, ma piuttosto che cosa abbiamo fatto; né ci verrà chiesto se abbiamo saputo parlare bene, ma piuttosto se abbiamo saputo vivere devotamente. Dimmi: dove si trovano ora tutti quei capiscuola e quei maestri, a te ben noti mentre erano in vita, che brillavano per i loro studi? Le brillanti loro posizioni sono ora tenute da altri; e non è detto che questi neppure si ricordino di loro. Quando erano vivi sembravano essere un gran che; ma ora di essi non si fa parola. Oh, quanto rapidamente passa la gloria di questo mondo! E voglia il cielo che la loro vita sia stata all'altezza del loro sapere; in questo caso non avrebbero studiato e insegnato invano. Quanti uomini si preoccupano ben poco di servire Iddio, e si perdono a causa di un vano sapere ricercato nel mondo. Essi scelgono per sé la via della grandezza, piuttosto di quella dell'umiltà; perciò si disperde la loro mente (Rm 1,21). Grande è, in verità, colui che ha grande amore; colui che si ritiene piccolo e non tiene in alcun conto anche gli onori più alti. Prudente è, in verità, colui che considera sterco ogni cosa terrena, al fine di guadagnarsi Cristo (Fil 3,8). Dotto, nel giusto senso della parola, è, in verità, colui che fa la volontà di Dio, buttando in un canto la propria volontà.
Contro Cresconio grammatico donatista - Libro primo
Contro Cresconio grammatico donatista - Sant'Agostino di Ippona
Leggilo nella BibliotecaAgostino si sente in dovere di rispondere alla lettera di Cresconio.
1. 1. Ignoro, Cresconio, quando i miei libri potranno raggiungerti, ma non dispero di vederli arrivare a destinazione, poiché anche i tuoi scritti, sia pure molto tempo dopo la loro stesura, hanno potuto finalmente raggiungermi. Mi riferisco a ciò che ti sei sentito in dovere di scrivere per confutare la risposta, concisa e parziale, che ho potuto dare a Petiliano, il vostro vescovo di Cirta, il quale, cimentandosi nel sostenere la tesi della reiterazione del battesimo, anziché demolire la nostra comunione con il peso delle argomentazioni, l'ha appena scalfita con le sue malediche calunnie. Risposta parziale, perché non era ancora pervenuto fra le mie mani il testo completo della sua lettera, ma solo la breve prima parte. Reputo inutile indagare come ciò sia potuto accadere, tanto più che, quando in seguito è giunto fra le mie mani il testo completo, non mi è dispiaciuto affatto rispondere al tutto. Se d'altronde non avessi risposto alla lettera che tu mi hai inviata, forse l'avresti giudicato un gesto irriguardoso; temo comunque che quanto ti scrivo lo considererai nuovo motivo di contesa. Se poi tu, avendo constatato che la mia lettera non era indirizzata a te, in quanto sembrava confutare soltanto un vescovo del partito di Donato o il partito stesso di Donato, hai creduto tuo dovere, conscio com'eri di possedere una certa capacità, di farla tua e di pubblicare una controrisposta, dal momento che appartieni alla sua comunione, pur senza essere vincolato da una qualsiasi funzione clericale, tanto meno era lecito tacere a me, proprio in forza degli obblighi derivanti dal peso del mio ufficio, sia nei confronti di Petiliano sia di te stesso, poiché lui attaccava la Chiesa per la quale milito, e tu, con uno scritto dello stesso tipo, hai composto, presentato e redatto un testo diretto espressamente a me.
Differenza tra la loqacità e l'eloquenza.
1. 2. Nella prima parte dello scritto ti sei sforzato di rendere sospetta l'eloquenza agli occhi degli uomini. Infatti, lodando apparentemente la mia arte oratoria, e come se temessi in certo qual modo che io mi servissi di quest'arte per ingannare te o qualche altro inducendovi in errore, ti sei lanciato ad accusare l'eloquenza in se stessa, utilizzando contro di essa un testo delle sante Scritture, ove secondo te si dice: Nella molta eloquenza non sfuggirai il peccato 1. Ora, lì non è detto: nella molta eloquenza, ma nel multiloquio. La loquacità infatti è un flusso di parole superflue, cioè il vizio che si contrae per il culto eccessivo della parola. Per lo più infatti amano parlare anche coloro che non sanno che cosa dire e come dirlo, sia che si tratti di esprimere correttamente il proprio pensiero sia di rispettare i principi grammaticali per quanto attiene la retta e ordinata pronunzia delle parole. Invece l'eloquenza è la capacità di parlare, esprimendo in modo appropriato ciò che sentiamo dentro, della quale dobbiamo servirci quando pensiamo cose giuste. Non così se ne sono serviti gli eretici. Infatti, se avessero veramente pensato in maniera corretta, non solo non avrebbero potuto dire nulla di male, ma avrebbero potuto spiegare anche il bene in forma eloquente. Pertanto hai accusato a sproposito l'eloquenza richiamando alla mente queste esemplificazioni. Non si deve smettere infatti di armare i soldati in difesa della patria per il solo fatto che molti hanno impugnato le armi contro la patria; così pure i medici valenti e dotti non devono tralasciare di utilizzare gli strumenti chirurgici per salvare la vita per il solo fatto che anche gli incompetenti e i senza scrupoli se ne sono serviti per rovinare la salute. Chi non sa che, come la medicina è utile o inutile nella misura in cui persegue ciò che è utile o inutile, così l'eloquenza, cioè la conoscenza pratica e la facilità di parola è utile o inutile a seconda dell'utilità o inutilità di ciò che si dice? Suppongo che neppure tu ignori questo.
Mestiere malefico del sofista.
2. 3. Penso comunque che tu, constatando che molti mi considerano eloquente, per distogliere da me l'interesse del lettore o dell'ascoltatore, hai creduto bene di attaccare la mia eloquenza; così chiunque, insospettito dalla tua affermazione, non presterà più attenzione a ciò che dico; e, per il fatto stesso che mi esprimo in modo eloquente, mi prenderà per un tipo da evitare e fuggire. Vedi, dunque, se questo tuo modo di agire non appartenga a quella cosiddetta "arte perversa che molti" - secondo la tua citazione di Platone - "a buon diritto hanno giudicato bene di bandire dalla città e dal consorzio del genere umano 2". Qui non si tratta di quell'eloquenza, che davvero vorrei augurarmi di possedere per esprimere secondo il mio gusto ciò che sento; si tratta invece del mestiere malefico del sofista, che si propone di sostenere in tutto e per tutto i pro e i contro, non secondo la sua convinzione personale, ma per spirito di polemica o per interesse personale. Ecco che cosa ne dice la santa Scrittura: Chi parla come il sofista è odioso 3. Sono convinto che l'apostolo Paolo voglia distogliere da questa occupazione la giovinezza di Timoteo, quando dice: Evita le vane discussioni, che non giovano a nulla, se non alla perdizione di chi le ascolta; ma, per non dare l'impressione che gli abbia interdetto l'arte dell'eloquenza, aggiunge subito dopo: Sfòrzati di presentarti davanti a Dio come un operaio degno di approvazione, che tratta come si conviene la parola della verità 4. È questo, senza dubbio, il sentimento che si è insinuato nel tuo animo: per il gusto di contraddire - questo infatti non era il tuo modo di sentire, ma piuttosto volevi distogliere da noi l'interesse di colui che è assetato di istruzione - tu mi hai etichettato eloquente, ma vituperando l'eloquenza. Ora, come posso credere che tu abbia agito così per intima convinzione, sapendo bene quanto ci teniate a decantare l'eloquenza di Donato, di Parmeniano e di altri membri del vostro partito? Potrebbe esserci qualcosa di più utile di essa, se riversasse le sue onde tanto copiose a favore dell'unità, della verità, della carità? Ma perché devo parlare degli altri? Non sei proprio tu la prova vivente che, non per convinzione ma per spirito di contraddizione, ti sei eretto a censore per vituperare l'eloquenza? Infatti tutto ciò che hai scritto in seguito, non lo hai forse fatto per tentare da una parte di convincere il lettore attraverso l'eloquenza, e dall'altra di accusare eloquentemente la stessa eloquenza?
Cresconio invitato a desiderare di essere istruito.
3. 4. Dimmi: perché mai dichiari "di non poter competere con me sul piano dell'eloquenza e di non possedere una conoscenza approfondita dei modelli della legge cristiana"? Ti ho forse costretto io a replicare ai miei scritti? È per questo motivo che cerchi di esimerti e scusarti? Se non possiedi un'adeguata preparazione, perché allora non taci, o piuttosto perché non parli come se desiderassi di essere istruito? Affermi che "io insisto e sfido continuamente i vostri a discettare con me per chiarire ulteriormente la questione della verità, mentre i vostri lo fanno con maggiore cautela e pazienza, poiché istruiscono i loro fedeli soltanto in chiesa sui precetti della Legge, senza preoccuparsi di rispondere a noi, ben sapendo che, se la Legge di Dio e tanti documenti delle Scritture canoniche non possono indurci ad accettare ciò che è più buono e più vero, giammai un'autorità umana, dissolto l'errore, potrà richiamarci alla norma della verità". Perché, allora, hai pensato bene di parlare contro di noi, mentre essi tacciono? Se essi fanno bene, perché non li imiti? E se fanno male, perché li lodi?
Agostino e i cattolici non pretendono di definire da soli i problemi.
3. 5. Tu affermi che io, "con arroganza intollerabile, credo di poter risolvere da solo una questione che agli altri è parsa inestricabile e quindi è stata rimessa al giudizio di Dio". Per questo, poco sopra, hai dichiarato che "io pretendo di dirimere, dopo tanti anni e dopo tante sentenze di giudici e arbitri, una questione che numerosi vescovi dotti di ambedue le parti hanno dibattuto davanti agli imperatori senza poterla risolvere". Ma è proprio vero che solo io mi do tanto da fare per questo? Io sarei l'unico che cerca di dibattere tale questione e desidera risolverla? A mio avviso, se tu avessi voluto incolpare i nostri di essere stati gli unici ad aver fatto questo tentativo, non avresti confessato che anche i vostri hanno tentato ciò. Ma, dal momento che non puoi rimproverare almeno i vostri di aver fatto quel tentativo, di aver avuto quella volontà e insistenza, neppure io voglio essere estraneo a un'opera tanto buona. Perché mi incolpi e mi rimproveri? Non sarà forse per gelosia? Questo non si deve credere temerariamente di te. Non resta allora che questo: tu mi incolpi, per puro spirito di polemica, di ciò che sei costretto a lodare anche nei vostri!
I cattolici non hanno mai cessato di far conoscere la soluzione della questione.
4. 6. Ma, dici, è una intollerabile arroganza presumere che uno possa risolvere da solo la questione, che molti e così qualificati individui hanno lasciato insoluta. Ti prego di non attribuire soltanto a me un simile tentativo: in molti ci adoperiamo perché essa si risolva, anzi, perché si riconosca che è già stata risolta. Infatti coloro i quali hanno sostenuto che essa non è stata ancora risolta, sono precisamente quelli che non hanno voluto accettare la soluzione e ve l'hanno tenuta nascosta, cosicché anche voi, ingannati dalla loro autorità, crediate che la questione è tuttora pendente. I nostri invece, dal momento in cui essa fu risolta, non hanno mai cessato di far conoscere tale soluzione con tutti i mezzi a loro disposizione, sia in pubblico che in privato, affinché nessuno persistesse in un errore tanto funesto e nel giorno del giudizio finale non potesse recriminare contro la negligenza dei ministri di Dio nei suoi confronti. Pertanto, non siamo noi a voler riconsiderare daccapo una questione già risolta da un pezzo, ma piuttosto vogliamo dimostrare come essa sia stata risolta, soprattutto tenendo presenti coloro che la ignorano. In tal modo, quando i difensori sono convinti del proprio errore, o anch'essi sono liberati perché si sono corretti, oppure, se questi persistono nella loro aperta ostinazione dopo essere stati confutati, coloro che amano la verità più della rivalità potranno vedere ciò che devono seguire.
Lo sforzo di predicare la verità è sempre retribuito da Dio.
5. 7. E questo lavoro non è senza frutto, come tu pensi. Infatti, se potessi vedere come questo errore era dilagato per l'Africa in lungo e in largo, e quanto poche sono le regioni che non si sono ancora emendate ritornando alla pace cattolica, tu non giudicheresti del tutto sterile e vano lo zelo dei difensori della pace e dell'unità cristiana! Ora, se questa medicina, applicata con tanta diligenza, qua e là non ha dato ancora risultati, è già sufficiente, per renderne conto a Dio, che non si sia tralasciato di impiegarla. Come infatti il maligno persuasore del peccato, anche se non riesce nel suo intento, incorre giustamente nella pena riservata al seduttore, così il fedele annunciatore della giustizia, anche se è rifiutato dagli uomini, non sia mai che possa essere defraudato presso Dio della ricompensa per il suo lavoro. Si tratta di un impegno certo per un risultato incerto; e chiamo incerto, non il premio di chi opera, ma la disposizione interiore di chi ascolta. Infatti non è certo per noi se colui, al quale viene annunciata la verità, darà il suo assenso, ma è certo che anche a tali individui è opportuno predicare la verità, come è altrettanto certo che una degna ricompensa attende coloro che la predicano fedelmente, sia che ricevano una buona accoglienza sia il disprezzo, sia che debbano soffrire per questo motivo ogni sorta di male per un certo tempo. Il Signore dice nel Vangelo: Quando voi entrate, dite: Pace a questa casa. Se coloro che vi abitano ne saranno degni, la vostra pace riposi su di loro; altrimenti ritorni a voi 5. Egli ha forse garantito loro la certezza che, coloro ai quali avrebbero predicato la loro pace, li avrebbero accolti? E tuttavia li rese pienamente consapevoli che avrebbero dovuto predicarla senza esitazione.
Noi predichiamo instancabilmente nient'altro che questo: l'utilità, la pietà, la santità dell'unità cristiana.
6. 8. Anche l'apostolo Paolo dice: Un servo del Signore non dev'essere litigioso, ma mite con tutti; atto a insegnare, paziente, dolce nel riprendere gli oppositori, nella speranza che Dio voglia loro concedere di convertirsi, perché riconoscano la verità e ritornino in sé sfuggendo ai lacci del diavolo, che li ha catturati per sottometterli alla sua volontà 6. Considera bene: lui non vuole che costui disputi, vuole piuttosto che corregga con moderazione coloro che non la pensano come lui, affinché il servo di Dio non prenda la proibizione di essere aggressivo come un pretesto per essere remissivo. È vero che molti mal sopportano e con fastidio anche una leggera correzione, sia perché giustificano i loro peccati sia perché non sanno che cosa rispondere, e tuttavia non vogliono arrendersi alla verità. Costoro trattano da litigiosi e attaccabrighe coloro che si adoperano con zelo e senza mezzi termini per convincerli del loro errore. La falsità, infatti, che teme di essere scoperta e redarguita, accusa lo zelo per la verità applicandogli il nome di quei vizi che la verità condanna. Ma, è lecito per questo motivo desistere da un simile impegno? Osserva come lo stesso Apostolo pungoli Timoteo, affinché non abbassi il tono dell'annuncio solo perché ai suoi ascoltatori non è carezzevole la predicazione della verità : Ti scongiuro - dice - davanti a Dio e a Cristo Gesù, che verrà a giudicare i vivi e i morti, per la sua manifestazione e il suo regno: annunzia la parola, insisti in ogni occasione opportuna e non opportuna, ammonisci, rimprovera, esorta con ogni magnanimità e dottrina 7. Chi mai, ascoltando queste parole, se è servo fedele di Dio, se non è operaio ipocrita, rallenterà il suo zelo e la sua costanza? Chi oserà, davanti a una simile dichiarazione, mostrarsi indolente? In questa faccenda, dunque, la tua parlantina non ci disturba affatto! Noi predichiamo nient'altro che questo, con l'aiuto del Signore nostro Dio: l'utilità, la pietà, la santità dell'unità cristiana; noi predichiamo, per chi lo vuole, in modo opportuno, e per chi si oppone, in modo inopportuno; e con tutte le forze possibili noi mostriamo che tale questione, sorta fra noi e il partito di Donato, è già stata risolta da molto tempo, e siamo in grado di dire a favore di chi e contro chi è stata data!
I Donatisti offrono il loro appoggio alla falsità o con ostinata astuzia o con gelosa presunzione.
7. 9. Riconoscano una buona volta in se stessi il nome e il crimine del loro contendere pieno di animosità, poiché o con ostinata astuzia offrono il loro appoggio alla falsità o con gelosa presunzione mettono il loro linguaggio al servizio della verità. Due modelli di contestatori che l'Apostolo ha così tratteggiato: il primo, nella persona di Alessandro, del quale dice: Alessandro, il ramaio, mi ha procurato molti mali. Il Signore gli renderà secondo le sue opere; guàrdatene anche tu, perché è stato un accanito avversario della nostra predicazione 8; il secondo, in coloro di cui dice: Alcuni, al contrario, predicano Cristo anche per invidia e spirito di contesa, con intenzione non pura, pensando di aggiungere dolore alle mie catene 9. Senza alcun dubbio questi ultimi annunziavano lo stesso messaggio di Paolo, benché non con gli stessi sentimenti, con la stessa volontà, non con la stessa carità ma per invidia, come disse lui, e per spirito di contesa, volendo nel loro orgoglio primeggiare anche nella predicazione e anteporsi all'apostolo Paolo. Il quale, da parte sua, non ne soffriva, anzi, ne gioiva vedendo che quel messaggio, che desiderava intensamente di far conoscere in un raggio sempre più ampio, era predicato da loro: Ma questo - soggiunge - che importa? Purché in ogni maniera, per ipocrisia o per sincerità, Cristo venga annunziato 10. Essi non avevano la rettitudine del suo cuore, poiché mancavano di intenzione sincera ed agivano per spirito di rivalità; tuttavia annunziavano la verità, cioè Cristo. Tu, pertanto, non potendo farti giudice delle cose intime del nostro cuore, lìmitati a controllare se resistiamo alla verità o desideriamo con tutte le forze confutare coloro che resistono alla verità. Senza alcun dubbio, se ci sforziamo di persuadere ad accogliere la verità e respingiamo l'errore, anche se lo facessimo non con la verità della propria retta intenzione, ma per ottenere un vantaggio in questo mondo e la gloria degli uomini, gli amici della verità devono rallegrarsene, perché con questo pretesto si annunzia la verità, come dice l'Apostolo: Anche di questo io mi rallegrerò 11. Se al contrario - Dio lo sa benissimo, e anche tu avresti potuto saperlo, secondo la capacità umana, se vivessi con noi - noi ci dedichiamo con sollecita carità alla fatica che reclama questo servizio, penso che sia ingiusto biasimare il nostro ministero, se lottiamo con fervore di spirito per la verità contro qualsiasi avversario della verità.
Non è contestatore o seminatore di discordie chi si impegna ad aprire o sostenere contro qualcuno una disputa animata.
8. 10. Se voi considerate contestatore e violento seminatore di discordie chi si impegna ad aprire o sostenere contro qualcuno una disputa animata, considerate allora che cosa si deve pensare dello stesso Signore Gesù Cristo e dei suoi servi, i Profeti e gli Apostoli! Il Signore stesso, il Figlio di Dio, tenne forse discorsi sulla verità solo con i discepoli o le folle che credevano in lui, oppure anche con i nemici che gli tendevano insidie, lo criticavano, l'interrogavano, lo combattevano, lo maledivano? Egli ha forse disdegnato di discutere perfino con una donna sola la questione della preghiera contro il parere o l'eresia dei samaritani 12? Ma lui sapeva in precedenza - ribatti tu - che quella avrebbe creduto. Che cosa? E quante cose non ha rinfacciato apertamente e ripetutamente contro i Giudei, i Farisei, i Sadducei che, non solo non avrebbero assolutamente creduto, ma lo avrebbero contraddetto e perseguitato con tutte le forze? Non li ha forse interrogati quando volle e su ciò che volle, per confonderli attraverso le loro risposte? Quando gli ponevano domande insidiose per metterlo in difficoltà e con la sua replica li zittiva, non ha forse risposto senza alcuna ambiguità 13? Ora, non si legge da nessuna parte che, nel corso di queste sue dispute, qualcuno di loro si sia convertito e lo abbia seguito. Certamente il Signore sapeva, nella sua prescienza, che nulla di quanto diceva ad essi, o in loro favore o contro di loro, avrebbe giovato alla loro salvezza. Ma egli, forse, ci ha confortati con il suo esempio, noi che non siamo in grado di conoscere in anticipo la futura fede o mancanza di fede degli uomini; altrimenti, se talvolta predichiamo a cuori impenetrabili e corrotti senza ottenere alcun frutto di salvezza, potremmo scoraggiarci e desistere dal predicare con insistenza, perché è una pena lavorare a vuoto. Che dire poi del diavolo stesso? Non solo Dio, ma neppure alcun uomo può dubitare che lui, mai e poi mai, si convertirà alla giustizia; eppure il Figlio di Dio, di fronte ai suoi attacchi insidiosi e alle questioni capziose che gli opponeva desumendole dalle sante Scritture, gli rispose confutandolo per mezzo delle sante Scritture, né giudicò indegno di lui, il Cristo, avere un dialogo con Satana sulle sacre Scritture 14. Non prevedeva forse con certezza che le sue parole, infruttuose per i Giudei e per il diavolo, sarebbero state di grande utilità per i pagani che avrebbero creduto?
Anche i profeti sono stati mandati per predicare la verità.
8. 11. Leggiamo che anche i Profeti furono inviati a uomini talmente disobbedienti che Dio stesso, colui appunto che inviava i Profeti, prediceva al tempo stesso che coloro ai quali Lui li inviava non avrebbero obbedito alle loro parole. Non considero il fatto che essi, in forza dello spirito profetico, prevedessero senz'altro anche questo, e cioè che sarebbero state disprezzate le loro parole; pur tuttavia essi continuavano a parlare loro con tutto il loro veemente ardore. Lo dice in modo chiarissimo il Signore al profeta Ezechiele: Va', entra nella casa d'Israele e riferisci loro le mie parole, poiché tu non sei inviato a un popolo dal linguaggio ignoto e di lingua barbara, ma alla casa d'Israele: non a grandi popoli dal linguaggio astruso e di lingua barbara, dei quali tu non comprendi le parole. Se a loro ti avessi inviato, ti avrebbero ascoltato; ma gli Israeliti non vogliono ascoltare te, perché non vogliono ascoltare me; tutta la casa d'Israele è di dura cervice e di cuore ostinato. Ma io ti ho dato una fronte dura quanto la loro fronte e renderò forte il tuo combattimento contro il loro 15. Ecco, un servo di Dio è inviato con l'ordine di parlare a individui che non lo avrebbero ascoltato, e colui che lo inviava con l'ordine di parlare era il Signore, che prediceva anche il loro rifiuto di ascoltare. Per qual motivo, per il bene di chi, per qual frutto, per quale risultato costui viene inviato al combattimento della predicazione della verità contro coloro che lo osteggeranno e gli disobbediranno? Ci sarà forse qualcuno che avrà il coraggio di dire che i santi Profeti di Dio furono oggetto dello stesso biasimo che tu hai lanciato contro di me con quelle parole: " Se tu sai che la questione di cui si tratta non può essere risolta da te, perché ti affatichi invano? Perché ti imbarchi in una impresa inutile? Perché questa diatriba del tutto superflua e senza frutto? Non è un grossolano errore voler spiegare ciò che non sei in grado di spiegare, dal momento che anche la Legge ti avverte: Non occuparti delle cose misteriose e non indagare ciò che trascende le tue capacità 16; e ancora: L'uomo litigioso prepara liti e l'uomo iracondo dilata il peccato 17 "?. Certamente non dirai queste cose a Ezechiele, il quale è inviato con la parola di Dio a dar battaglia contro coloro che si rifiutano di obbedire, contro coloro che pensano, dicono e fanno sempre il contrario. Se tu infatti gli parlassi così, forse ti risponderebbe con la risposta degli Apostoli agli stessi Giudei: A chi si deve obbedire? A Dio oppure agli uomini? 18. Questa è la risposta che anch'io darei a te.
Le Lettere degli Apostoli sono state scritte anche per noi.
9. 12. A questo punto, se mi solleciti a mostrarti quando Dio ha ordinato anche a me di fare ciò che tu mi proibisci, ricordati che le Lettere degli Apostoli non sono state scritte soltanto per coloro che le ascoltavano quando erano state composte, ma anche per noi: non per altro motivo infatti si leggono in chiesa. Considera anche ciò che dice l'Apostolo: Volete forse una prova che Cristo parla in me? 19, e ricorda adesso, non ciò che Paolo, ma ciò che Cristo ha detto per mezzo di Paolo, un testo che ho citato poco sopra: Predica la parola, insisti a tempo opportuno e inopportuno 20, con ciò che segue. Nota anche ciò che disse a Tito, quando spiegava i requisiti necessari per il vescovo: gli raccomandava anche la perseveranza nell'insegnamento conforme alla dottrina della parola autentica: Perché sia in grado di esortare con la sua sana dottrina e di confutare coloro che contraddicono. Vi sono, infatti, soprattutto fra quelli che provengono dalla circoncisione, molti spiriti insubordinati, chiacchieroni e seduttori. A questi tali bisogna chiudere la bocca 21. Non dice dunque che sono tali soltanto quelli che provengono dalla circoncisione, ma questi tali sono soprattutto loro. Tuttavia, affermò con un mandato inesorabile che il vescovo deve, secondo la sana dottrina, confutare e respingere anche i ciarlatani e gli imbroglioni. Riconosco che anche a me è stato affidato questo mandato, ed è quanto mi sforzo di fare secondo le mie forze; in questa opera insisto con perseveranza, nella misura in cui mi aiuta colui che me lo ha imposto. Perché ti opponi e fai ostruzionismo, perché proibisci e rimproveri? Si deve obbedire a te o a Dio 22?
I precetti delle Scritture sono per tutti.
10. 13. A meno che tu non pretenda che questi testi, i quali ho tratto dalle sante Scritture, si debbano intendere in un senso che i vostri osservano di fatto e per cui li lodi, in base al quale soltanto nella Chiesa i popoli devono apprendere i precetti della Legge. Tu pensi forse che in essa si debbano correggere e convincere coloro che la pensano diversamente, cosicché ciascun dottore si accontenti di emendare l'errore dei suoi solo attraverso la discussione e la predicazione; se invece insiste nel fare altrettanto con coloro che sono al di fuori, lo si dovrà considerare un fanatico, un attaccabrighe e un litigioso: " poiché lo stesso Ezechiele - dici tu - e gli altri profeti erano inviati con le parole di Dio al loro popolo, Israeliti cioè agli Israeliti ".
Gesù ha offerto se stesso come esempio per tutti.
11. 14. Anche a questo ti rispondo. L'ho già ricordato sopra: lo stesso Signore Gesù, che si propose come esempio ai suoi discepoli, non disdegnò di esporre la verità e di rispondere sopra la Legge non solo ai Giudei, ma anche ai Farisei, ai Sadducei, ai Samaritani e allo stesso Demonio, principe di tutti gli inganni ed errori. Ma, perché tu non creda che il Signore poteva permettersi questo, mentre ai suoi servi non era concesso, ascolta ciò che si legge negli Atti degli Apostoli: Un tale Giudeo, chiamato Apollo, nativo di Alessandria, versato nelle Scritture, giunse ad Efeso. Questi era stato ammaestrato nella via del Signore e pieno di fervore parlava e insegnava esattamente ciò che si riferiva a Gesù, sebbene conoscesse soltanto il battesimo di Giovanni. Egli intanto cominciò a parlare francamente nella sinagoga. Priscilla e Aquila lo ascoltarono, poi lo presero con sé e gli esposero con maggiore accuratezza la via di Dio. Poiché egli desiderava passare nell'Acaia, i fratelli lo incoraggiarono e scrissero ai discepoli di fargli buona accoglienza. Giunto colà, fu molto utile a quelli che per opera della grazia erano divenuti credenti; confutava infatti vigorosamente i Giudei, dimostrando pubblicamente attraverso le Scritture che Gesù è il Cristo 23. Che ne dici di costui? Che ne pensi? Lo potrete forse accusare di essere un tipo litigioso, un fanatico sobillatore, un seminatore di discordia, a meno che non vogliate essere calpestati dall'autorità di un Libro così santo?
Paolo si prese cura di parlare e correggere anche i pagani.
12. 15. Non sarà forse perché costui, avendo creduto in Cristo pur essendo un Giudeo, doveva per questo ripudiare pubblicamente i Giudei che combattevano la fede cristiana e negavano che Gesù era il Cristo, mentre noi, perché non siamo mai stati membri del partito di Donato, non possiamo confutare il partito di Donato che lotta contro l'unità cristiana? L'apostolo Paolo è mai stato cultore degli idoli, ha mai seguito l'eresia degli Epicurei o degli Stoici, con i quali tuttavia né si vergognò né fu riluttante ad avere un dibattito sulla questione del Dio vivo e vero? Ascolta che cosa è scritto al riguardo nel medesimo libro: Mentre Paolo li attendeva ad Atene, fremeva nel suo spirito al vedere la città piena di idoli. Discuteva frattanto nella sinagoga con i Giudei, con i pagani e i credenti in Dio e ogni giorno sulla piazza principale con quelli che incontrava. Anche certi filosofi epicurei e stoici discutevano con lui e alcuni dicevano: "Che cosa vorrà mai insegnare questo ciarlatano? ". E altri: " Sembra essere un annunziatore di divinità straniere " 24. Come vedi, l'apostolo Paolo non disdegna di intrattenersi con gli Stoici e gli Epicurei, eresie non solo diverse dalla sua dottrina, ma anche opposte fra loro. Egli discute con essi non solo al di fuori della chiesa, ma anche al di fuori della sinagoga; e le loro credenze non lo intimoriscono affatto né gli fanno abbandonare, sotto il pretesto di evitare liti e dispute, la predicazione della verità cristiana. Infatti, osserva che cosa la santa Scrittura dice nel testo che segue: Presolo con sé, lo condussero sull'Areòpago e dissero: " Possiamo dunque sapere qual è questa nuova dottrina predicata da te? Cose strane davvero ci metti negli orecchi; desideriamo dunque conoscere di che cosa si tratta ". Tutti gli Ateniesi infatti e gli stranieri colà residenti non avevano passatempo più gradito che parlare e sentir parlare. Allora Paolo, alzatosi in mezzo all'Areòpago, disse: " Cittadini ateniesi, vedo che in tutto siete molto timorati degli dèi. Passando infatti e osservando i monumenti del vostro culto, ho trovato anche un'ara con l'iscrizione: Al Dio ignoto. Quello che voi adorate senza conoscere, io ve lo annunzio 25, ed anche ciò che segue, ma sarebbe troppo lungo citarlo per intero. Comunque, per la questione che stiamo trattando, è sufficiente che tu faccia attenzione, te ne prego, a questo fatto: un Ebreo, figlio di Ebrei, un Apostolo di Cristo parla non solo all'interno di una sinagoga ebraica, o in una chiesa cristiana, ma nell'Areopago degli Ateniesi, che fra i Greci sono veri campioni in fatto di dialettica e di empietà. Da lì sorsero le sètte filosofiche più ciarlatane, di cui molte, per esempio gli Stoici che ho appena rammentato, disputano, più che sulle idee, sulle parole: esattamente ciò che l'Apostolo ha vietato a Timoteo, dicendo che questo serve solo per la rovina dei suoi uditori 26. È di questo, tu lo sai bene, che Tullio ha detto: Le dispute verbali da molto tempo tormentano quei meschini di Greculi, più avidi di battibecchi che di verità 27. Nonostante ciò, il nostro Paolo si prese cura di parlare e correggere costoro, per nulla intimorito dal nome stesso del luogo in cui si trovava, che trae il suo nome da Marte, chiamato il dio della guerra. Là parlava intrepido, annunciando parole di pace a coloro che erano disposti a credergli; là, rivestito delle armi spirituali, espugnava errori nefasti. A quest'uomo mitissimo non facevano paura coloro che lo combattevano, né quest'uomo semplicissimo era intimidito dai sottili ragionatori con la loro dialettica.
Dialettica ed eloquenza.
13. 16. Tu sai bene come fiorì in sommo grado la dialettica presso gli Stoici, benché anche gli stessi Epicurei, che non solo non si vergognavano di ignorare le arti liberali, ma se ne compiacevano, si vantavano di possedere ed insegnare a loro volta alcuni principi della dialettica, il cui impiego avrebbe evitato ogni sorpresa. Del resto, che cosa è la dialettica, se non l'abilità nel discutere? Ho creduto opportuno fornire questa spiegazione, poiché tu mi hai rinfacciato l'uso della dialettica, quasi non sia adeguata alla verità cristiana, e pertanto i vostri dottori a buon diritto hanno pensato bene di snobbarmi, anzi di evitarmi, considerandomi un semplice dialettico, anziché pensare di confutarmi e vincermi definitivamente. Essi evidentemente non sono riusciti a convincerti, dal momento che tu non hai rinunciato a disputare con noi, anche per iscritto; tuttavia mi accusi di fare della pura dialettica al fine di confondere gli ignoranti e di lodare coloro che non hanno accettato di venire a disputare con me. Tu, naturalmente, non ti servi della dialettica scrivendo contro di noi. Ma, allora, perché ti sei cacciato in un simile pericolo di disputare, se non sai discutere? Se invece tu sai discutere, perché - come dialettico - te la prendi con la dialettica? Sei così temerario o ingrato da non riuscire a frenare una ignoranza che ti fa battere in ritirata o di accusare una scienza che ti aiuta? Io ho qui sotto gli occhi il tuo scritto, proprio quello che mi hai inviato; vedo che tu spieghi determinati concetti con stile ridondante e ricercato - diciamolo pure: eloquente - , altri invece sono sviluppati con sottile arguzia, cioè con arte dialettica, e tuttavia biasimi l'eloquenza e la dialettica. Se esse sono dannose, perché te ne servi? Se non lo sono, perché le attacchi? Ma, suvvia, non lasciamoci tormentare anche noi da una disputa sulle parole : quando si comprende bene la sostanza della cosa, non si deve penare sul nome con cui gli uomini hanno voluto chiamarla. Pertanto, se si deve chiamare eloquente non solo chi parla con parola faconda e fiorita, ma anche vera; se a sua volta si deve chiamare dialettico il filosofo che disquisisce non solo con ragionamento sottile, ma anche giusto, tu non sei né eloquente né dialettico; e non perché la tua parola sia vacua e disadorna, o la tua dialettica sia senza vigore e finezza, ma perché impieghi la stessa facondia e abilità per difendere il falso. Se, invece, si ha il diritto di parlare di eloquenza e di dialettica non solo a proposito della verità, ma anche quando si tratta una causa sbagliata in uno stile elegante e vigoroso, tu sei senz'altro eloquente e dialettico, poiché esprimi con talento idee inconsistenti e difendi con acume idee false. Ma esaminerò il tuo caso.
Anche Paolo era un dialettico.
14. 17. È un dato accertato che gli Stoici furono sommi dialettici. Perché dunque l'apostolo Paolo non avrebbe dovuto evitarli con la massima cautela per non imbattersi con le loro disquisizioni, dal momento che lodi i vostri vescovi perché non accettano di discutere con noi, come se fossimo dei dialettici? Se poi anche Paolo era un dialettico, e quindi non temeva per nulla di discutere con gli Stoici, in quanto non si limitava ad imbastire ragionamenti sottili come i loro ma anche veritieri, che essi non sapevano esprimere, guàrdati bene dall'incriminare chiunque perché usa la dialettica, che tu stesso riconosci essere stata usata dagli Apostoli. Infatti, se mi biasimi per questo, credo che tu non ti inganni per ignoranza, ma vuoi ingannare con astuzia. " Dialettica " è un vocabolo greco che, se l'uso lo ammettesse, si potrebbe forse chiamare in latino " disputatoria ", così come " grammatica " corrisponde in latino a " letteratura ", secondo la denominazione adottata dai migliori esperti delle due lingue. Come infatti le lettere dell'alfabeto hanno dato il loro nome alla grammatica, poiché in greco le " lettere " si chiamano , così pure la dialettica prende il nome da " discussione ", poiché discussione si chiama in greco o . E come il grammatico dagli antichi è stato chiamato latinamente " litterator ", così la parola greca " dialettico " si dice in latino " disputator ", vocabolo molto più usato e accolto. Non credo che ormai ti rifiuti di vedere nell'Apostolo il " disputator ", anche se rifiuti di vedere in lui il " dialettico ". Ora, riprovare in greco ciò che sei costretto ad approvare in latino, che altro è se non tentare di indurre in errore gli ignoranti e fare torto ai dotti? Se invece non vuoi vedere nell'Apostolo anche il " disputator ", che disputava in maniera così assidua ed egregia, tu non conosci né il greco né il latino, o, cosa che è più credibile, tu con una parola greca inganni coloro che ignorano il greco, e con una parola latina inganni coloro che non sanno neppure il latino. C'è qualcosa, non dico di più incolto, poiché tu non manchi di saperlo, ma di fallace dell'intendere e leggere tali e così variegati discorsi dell'Apostolo, nei quali proclama la verità e confuta l'errore, e poi negare che lui avesse l'abitudine di disputare, quando ciò non si può fare se non discutendo?
In molti testi delle divine Scritture si legge la parola dialettica.
14. 18. E se riconosci che lui lo ha fatto abitualmente, poiché le sue lettere ti obbligano ad ammetterlo, perché sostieni allora che esse non si devono chiamare discussioni, ma discorsi o epistole? E perché dovrei in tal caso dilungarmi su questo punto con te, in modo che coloro che ignorano queste distinzioni approvino uno di noi, e disapprovino l'altro? Ciò che insegno lo traggo dalle divine Scritture, davanti alle quali ti devi inchinare; cito alla lettera le stesse parole, gli stessi nomi delle cose. Ecco, nel medesimo testo degli Atti degli Apostoli che ho richiamato, hai a disposizione una frase proprio su Paolo: Discuteva frattanto nella sinagoga con i Giudei e sulla piazza principale con i pagani e i credenti in Dio 28. Ed ecco un altro testo: benché lui svolgesse la sua attività con il popolo cristiano in mezzo all'assemblea dei fratelli, così è scritto: Un ragazzo chiamato Eutico, che stava seduto sulla finestra, fu preso da un sonno profondo mentre Paolo continuava a conversare 29. Ed ecco ancora il libro dei Salmi: A lui sia gradita la mia discussione 30. Lo trovi anche nel profeta Isaia: Venite, discutiamo, dice il Signore 31. E in molti altri testi delle divine Scritture, leggi dove troverai questa parola e consulta attentamente i codici greci su queste stesse testimonianze delle sante Scritture: vedrai da dove deriva la parola " dialettica ". Anche ciò che fanno tutti i giusti con Dio, ai quali è detto: Venite, discutiamo, dice il Signore, tu non mancherai di imitare con saggezza e pietà, anziché biasimare con insulsa leggerezza.
Chi discute, lo fa per discernere il vero dal falso.
15. 19. Chi infatti discute, lo fa per discernere il vero dal falso. Coloro che non sono in grado di farlo, e tuttavia vogliono passare per dialettici, pongono domande insidiose per carpire il consenso degli incauti e trarre dalle loro risposte delle deduzioni, con cui ridicolizzarli per l'errore evidente in cui sono caduti, oppure li ingannano facendo loro credere un errore latente, che per lo più anch'essi scambiano per verità. Invece il vero dialettico, cioè colui che discerne il vero dal falso, comincia con il premunirsi interiormente dal fare false distinzioni: risultato che non può raggiungere senza l'aiuto di Dio. Poi, quando propone agli altri le sue acquisizioni personali, cerca di individuare prima di tutto le certezze che essi hanno già conosciuto, per condurli da qui verso ciò che essi o ignoravano o non volevano credere, mostrando loro che tutto ciò discendeva da quello che essi, per scienza o per fede, già possedevano. In tal modo, con simile procedimento, le verità su cui essi si trovano in pieno accordo li obbligano a riconoscere le altre verità che avevano negato; e così il vero che antecedentemente era ritenuto falso, si distingue dal falso, quando si scopre che è in accordo con quella verità che già antecedentemente si riteneva tale.
Retorica e dialettica.
16. 20. Se questo autentico dialettico fa una esposizione larga e particolareggiata, con eloquio elegante, allora riceverà un titolo più elevato: lo si chiamerà oratore piuttosto che dialettico. Ecco in proposito un testo, che l'Apostolo amplifica e sviluppa con dovizia, quando dice: In ogni cosa ci presentiamo come ministri di Dio, con molta fermezza nelle tribolazioni, nelle necessità, nelle angosce, nelle percosse, nelle prigioni, nei tumulti, nelle fatiche, nelle veglie, nei digiuni; con purezza, sapienza, pazienza, benevolenza, spirito di santità, amore sincero; con parole di verità, con la potenza di Dio; con le armi della giustizia a destra e a sinistra; nella gloria e nel disonore, nella cattiva e nella buona fama. Siamo ritenuti impostori, eppure siamo veritieri; sconosciuti, eppure siamo notissimi; moribondi, ed ecco viviamo; puniti, ma non messi a morte; afflitti, ma sempre lieti; poveri, ma facciamo ricchi molti; gente che non ha nulla e invece possediamo tutto 32. Dove trovare facilmente qualcosa in uno stile più denso e forbito, in una parola, più eloquente di questo testo dell'Apostolo?. Se invece uno ha un modo di esprimersi rapido e conciso, lo si chiama ordinariamente dialettico anziché parlatore: è lo stile dell'Apostolo, quando tratta della circoncisione e della incirconcisione del patriarca Abramo, o della distinzione tra legge e grazia. Alcuni, non comprendendolo, anzi, calunniandolo, lo accusano facendogli dire: Facciamo il male perché ne venga un bene 33. Comunque, che lui sia oratore o dialettico, non può esserci discorso senza dialettica, dal momento che anche una sovrabbondante eloquenza include il discernimento fra il vero e il falso, né può esistere discussione senza una dizione, poiché certamente lo stesso stile conciso del discorso si esprime per mezzo dei vocaboli e del linguaggio, sia che si faccia una esposizione ben articolata sia che si interroghi l'interlocutore, obbligandolo a rispondere ciò che è vero e da lì lo si conduca a una altra verità che si cercava: àmbito in cui si sostiene che la dialettica domina sovrana.
Cristo vero dialettico.
17. 21. Quando infatti uno è confutato dalle proprie risposte, se ha risposto in modo errato non deve imputar nulla all'interlocutore, ma a se stesso; se invece ha risposto bene, deve vergognarsi di continuare a resistere, non all'interlocutore, ma a se stesso. In questo settore, i Giudei, contro i quali il Signore discuteva sovente, cogliendoli in fallo attraverso le loro risposte e costringendoli ad arrendersi, non avevano seguito le vostre lezioni e non avevano appreso da voi a lanciare ingiurie, altrimenti con molto piacere e avversione lo avrebbero forse chiamato dialettico anziché samaritano 34. Come puoi pensare che fossero contorti e confusi, quando tentarono di coglierlo in fallo sulla base delle sue risposte e iniziarono a interrogarlo per sapere se era permesso pagare il tributo a Cesare? Gli tesero così un tranello con un dilemma molto stringente, per coglierlo in fallo in un modo o nell'altro: se rispondeva che era lecito, passava per colpevole davanti al popolo di Dio; se invece diceva che non era lecito, sarebbe stato punito come avversario di Cesare. A questo punto, egli chiese loro di mostrargli una moneta e domandò di chi fosse l'immagine e l'iscrizione che portava impressa. Ed essi avendo risposto: di Cesare, poiché la verità era tanto chiara che li costringeva a rispondere questo, immediatamente il Signore li acciuffò e li bloccò con la loro stessa risposta, dicendo: Rendete a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio 35. Ti chiedo: costoro furono forse veri dialettici, che tesero un tranello con le loro domande prefabbricate, cercando di sopraffarlo con l'inganno, o fu piuttosto lui che, partendo dalle loro stesse domande, gli cavò fuori la risposta vera attraverso la sua accorta interrogazione, e li costrinse a confessare direttamente la verità che pensavano di cavargli a suo rischio e pericolo?
Cristo vuole che noi pieghiamo i nemici della verità, anche dialetticamente, a dare la loro testimonianza alla verità.
18. 22. Se avessi inteso dire che costoro furono dialettici perché interrogandolo con il dolo, con la calunnia e con la malizia, tentavano di sorprenderlo in errore con le sue stesse parole - e così voi volete farci passare per tali ipocriti - , perché il Signore nonostante tutto rispose loro? Perché volle condurli a confessare la verità fornendo loro le ragioni? Come mai disse loro: Perché mi tentate, ipocriti? 36. E perché non aggiunse: " Dialettici "? Perché reclamò che gli venisse mostrata una moneta per pronunciare il suo verdetto veritiero, cogliendolo direttamente dalla bocca degli ipocriti, e non disse piuttosto: " Andatevene, non devo parlare con voi, che mi presentate questioni capziose e volete trattare con me servendovi della dialettica "? Egli non ha detto nulla di tutto ciò, né ci ha offerto un solo esempio di questo tipo nei confronti di coloro che tendono insidie con le loro domande e di coloro che registrano maliziosamente le nostre parole per poterci cogliere in fallo. No, egli vuole piuttosto che noi pieghiamo anche i nemici della verità, attraverso domande accorte e ragioni inconfutabili, a dare la loro testimonianza alla verità. Facciano altrettanto i vostri con noi, se siamo maliziosi e dialettici! O, forse, costoro vogliono indicare piuttosto che temono da parte nostra una simile operazione? Se, poi, dichiari che Cristo è un dialettico, tu loderai la dialettica, che mi rinfacci come se fosse un crimine.
Che cosa è la dialettica.
19. 23. Per non fare ciò, già intravvedo quello che tu probabilmente vuoi dire: né i Giudei, né Cristo in quella discussione si comportarono da dialettici. Se, dunque, né coloro che fanno discorsi capziosi e insidiosi per cogliere in fallo i loro interlocutori, né coloro che li sbaragliano con le loro risposte fanno dialettica, dicci una buona volta che cos'è la dialettica, insegnaci che cosa ha di male, quanto è nociva e come la si deve evitare! Poiché tu maliziosamente fai di questa parola lo spauracchio degli ignoranti, mostra anche la sua malizia al cospetto di coloro che domandano! Non vuoi riconoscere che si comporta da dialettico colui che pone le questioni con perizia e rettitudine a coloro che avversano la verità e, attraverso le loro risposte, li conduce al vero, per non dover ammettere che Cristo stesso si è servito della dialettica con i Giudei. Così pure non vuoi ammettere che si comportano secondo lo stile dialettico coloro che tendono tranelli con domande capziose, cercando di indurre in errore l'interlocutore, perché temi che qualcuno ti mostri la prova che i Giudei agirono proprio così con Cristo, il quale però non li schivò con il silenzio, ma li sconfisse piuttosto con la parola. E così ti vedi costretto ad ammettere che non si comportano correttamente i vostri vescovi, che consideri dotti e sapienti, non volendo intavolare la discussione anche con i dialettici, che sarebbe il mezzo per insegnare l'invitta verità. Noto che sei terribilmente imbarazzato nel definire il dialettico, senza farne né un abile ragionatore, cosa che ti obbligherebbe a lodare ciò che hai biasimato, né un insidioso cavillatore, perché non ti si dica: " Come Cristo trattò quei tali, così il cristiano tratti costui ". Ebbene, se vuoi uscire da questa situazione imbarazzante, definisci così il dialettico: l'uomo con il quale i periti della legge del partito di Donato non vogliono intrattenere rapporti. Che altro si può suggerire a te, uomo che ci rimprovera la dialettica e per questo va dicendo ai suoi vescovi che si rifiutino di entrare in discussione con noi?.
Differenza nella dialettica fra gli Stoici e i Giudei.
19. 24. Ma, forse, a proposito dei Giudei escogiterai come risposta che essi, malgrado la loro astuzia e malizia nel tendere insidie con le loro questioni, non erano in fondo dei dialettici. Certo degli Stoici non si può dire altrettanto, in quanto non solo furono dialettici, ma anche hanno superato tutte le altre scuole filosofiche in questa arte o abilità, che dir si voglia. Era uno stoico, ce lo ricordiamo bene, quel famoso Crisippo, a proposito del quale l'accademico Carneade riferiva questa sentenza: " Quando devo discutere con lui, devo purgare il mio spirito con l'elleboro; invece gli altri, anche dopo il pranzo, li supero senza difficoltà ". Se dunque i libri degli Stoici ci hanno fatto apprendere l'arte di discutere secondo le regole della dialettica, i vostri vescovi producano pure contro di noi la dottrina di Paolo; tuttavia accettino di sostenere un dibattito con noi, proprio come l'Apostolo che non ricusò gli stoici del suo tempo.
L'arte della dialettica non è temuta in alcun modo dalla dottrina cristiana.
20. 25. Quest'arte, dunque, che chiamano dialettica, la quale insegna nient'altro se non a dedurre le conseguenze vere dalle vere, e le false dalle false, non è temuta in alcun modo dalla dottrina cristiana, come anche l'Apostolo non temette quella degli Stoici, che non respinse quando volevano discutere con lui 37. È proprio essa a proclamare con assoluta verità che nessuno, nel corso di una discussione, può essere logicamente portato a una conclusione falsa, se prima non consente alle false premesse che, volente o nolente, conducono alla stessa conclusione. Per questo colui che teme di essere condotto dal proprio ragionamento ad ammettere suo malgrado false conclusioni, deve decisamente preoccuparsi di evitare le false premesse. Se invece ha aderito a premesse vere, quali che siano le conclusioni a cui perviene, anche se le credeva false o di esse dubitava, si senta invitato dolcemente ad abbracciarle, se è amico più della verità, sommamente pacifica, che non della vanità, irriducibilmente ostinata.
La dialettica dà torto a Cresconio.
21. 26. Avrei chiarito ben poco, se non applicassi quanto sto dicendo alla questione che stiamo trattando con la nostra conversazione. Ecco, a proposito di quella stessa questione sul battesimo, tu hai proposto il tema domandandomi dove è più conveniente per te ricevere il battesimo, se presso di noi o nel partito di Donato. E poiché la tua opinione è che convenga piuttosto farsi battezzare nel partito di Donato, hai tentato di dimostrare questa tesi partendo dal presupposto che anche noi non neghiamo che il partito di Donato possieda il battesimo. Come ben vedi, tu hai voluto partire da una nostra concessione per condurci ad ammettere una conclusione che non volevamo, cioè, poiché noi concediamo che anche il partito di Donato possiede il battesimo, siamo obbligati a concedere che anche lì un individuo possa essere battezzato.
Non c'è consequenzialità fra la premessa e le conclusioni che tira Cresconio.
22. 27. Considera attentamente se tale conseguenza sia logica, e dàtti tu stesso la risposta! Penso infatti che tu sia in grado di scoprire, appena questi dati sono sotto i tuoi occhi e data la vivacità del tuo ingegno, che non c'è consequenzialità fra la premessa e le conclusioni che tiri. Sì, noi diciamo che il battesimo esiste anche là; ma non diciamo che vi esiste per l'utilità, anzi, diciamo che esso nuoce. Ora, quando ci viene chiesto dove uno debba farsi battezzare, credo che lo si chieda in considerazione di questa parola del Signore: Se uno non rinasce da acqua e da Spirito, non entrerà nel regno dei cieli 38. Poiché dunque è in previsione di questa utilità che si deve ricevere il battesimo, quando si chiede dove si deve ricevere, non si chiede dove esso è, ma dove esso è utile per raggiungere il regno dei cieli. La conclusione sarebbe anche questa: che lo si deve ricevere ovunque risulti con certezza che esso è, se si insegna che tutti coloro che hanno qualche bene, lo hanno anche per il loro bene. Ma poiché vi sono molti, che possiedono grandi beni a proprio danno, chi non si rende conto che, quando viene chiesto dove si deve ricevere qualcosa, si intende domandare non dove è, ma dove è utile? Se tu convieni con me nell'affermare, da un lato, che l'oro è un bene, e dall'altro mi concedessi anche che i briganti hanno l'oro, non penso che saresti d'accordo con me se, da queste due premesse, concludessi: allora, chi vuol avere l'oro deve vivere in compagnia dei briganti. Così pure, quando da una parte concedo che il battesimo è un bene, e dall'altra che i Donatisti hanno il battesimo, tu non devi tirare da queste due premesse come conclusione logica: chi vuol avere il battesimo deve vivere nella società dei Donatisti!
Anche le stesse cose in sé buone e utili, tuttavia non sono utili a tutti, ma a chi se ne serve bene.
23. 28. Sono certo che, a questo punto, anche a te verranno in mente molte cose che, benché in sé siano buone e destinate ad un fine utile, tuttavia non sono utili a tutti coloro che le possiedono, ma soltanto a coloro che se ne servono bene. La stessa luce inonda gli occhi sani e gli occhi malati; ma essa è un aiuto per gli uni e una tortura per gli altri; lo stesso alimento nutre alcuni organismi, nuoce ad altri; la stessa medicina guarisce uno e indebolisce l'altro; le stesse armature proteggono gli uni e ingabbiano gli altri; le stesse vesti riparano gli uni e sono di impedimento agli altri. Così pure il battesimo: ai primi assicura il regno, agli altri la condanna.
Perfino gli stessi sacramenti non giovano a tutti.
24. 29. E qui scorgo ciò che ti potrà smuovere. Tu forse obietti che in tutti questi casi non ho fatto allusione al sacramento. Ora, il battesimo è un santo sacramento, e perciò non consegue automaticamente - se si è potuto provare dall'oro, dalla luce, dagli alimenti, dalle armature e dai vestiti che per alcuni sono convenienti, per altri non lo sono, benché siano beni istituiti per giovare in qualche modo- che anche il battesimo sia di utilità per alcuni e dannoso per altri. Resta dunque ancora da domandarsi se anche quei beni, che si riferiscono alla legge di Dio, non sempre sono utili per coloro che li posseggono. Impostata così tale questione, la nostra posizione è che anche tutti questi beni non sempre giovano a tutti i loro fruitori. Questa è la nostra tesi, ed ora osserva come la proveremo, servendoci delle vostre stesse concessioni. Voi concedete infatti che si deve credere all'apostolo Paolo su ogni questione: ed è un primo punto. Inoltre concedete che lo stesso Apostolo ha detto: La legge è buona se uno ne usa legittimamente 39. Da queste due concessioni ne consegue che la legge è un bene, ma per chi ne fa buon uso. Se, dunque, non se ne usa bene, essa in sé non diventa cattiva, ma nuocerà sicuramente ai malvagi.
L'unico sacrificio offerto per la nostra salvezza può procurare la morte.
25. 30. Forse dirai a questo punto che nessuno può essere contemporaneamente nella legalità e usare male della legge; per il fatto stesso che lui vive in modo contrario alla legge è comprovato che non è in accordo con la legge. Al contrario, io affermo che si può dare il caso di uno che è soggetto alla legge, ma non se ne serve legittimamente. Lo provo sempre attraverso le vostre concessioni. Voi ammettete che l'Apostolo citato ha fatto riferimento a un testo dei Salmi per condannare coloro che si gloriavano della legge, ma vivevano contro la legge: Secondo la Scrittura - dice - non c'è nessun giusto, nemmeno uno, non c'è sapiente, non c'è chi cerchi Dio! Tutti hanno traviato e si sono pervertiti; non c'è chi compia il bene, non ce n'è neppure uno. La loro gola è un sepolcro spalancato, tramano inganni con la loro lingua, veleno di serpenti è sotto le loro labbra, la loro bocca è piena di maledizione e di amarezza. I loro piedi corrono a versare il sangue; strage e rovina è sul loro cammino e la via della pace non conoscono. Non c'è timore di Dio davanti ai loro occhi 40. E per non far credere che questo si riferisse a coloro che non sono soggetti alla legge, soggiunge subito: Ora, noi sappiamo che tutto ciò che dice la legge lo dice per quelli che sono sotto la legge, perché sia chiusa ogni bocca e tutto il mondo sia riconosciuto colpevole di fronte a Dio 41. Ed anche poco dopo: Che diremo dunque? Che la legge è peccato? No certamente! Però io non ho conosciuto il peccato se non per la legge, né avrei conosciuto la concupiscenza, se la legge non avesse detto: Non desiderare. Prendendo pertanto occasione da questo comandamento, il peccato scatenò in me ogni sorta di desideri 42. Poco sotto dice: Il peccato infatti, prendendo occasione dal comandamento, mi ha sedotto e per mezzo di esso mi ha dato la morte. Così la legge è santa e santo e giusto e buono è il comandamento. Ciò che è bene è allora diventato morte per me? No davvero! È invece il peccato: esso per rivelarsi peccato mi ha dato la morte servendosi di ciò che è bene 43. Ti rendi conto come Paolo esalta la legge e biasima coloro che sono sotto la legge e, usandone male, da un bene ne ricavavano un male? L'Apostolo parla anche di una certa scienza che deriva dalla legge, la quale egli dice di possedere, ma che per gli altri, privi della carità, è inutile e dannosa: Quanto poi - dice - alle carni immolate agli idoli, sappiamo di averne tutti scienza. Ma la scienza gonfia, mentre la carità edifica 44. Per cui anche questa scienza, benché si riferisca alla legge di Dio, se opera in alcuno senza la carità, gonfia e nuoce. Che dico? Dello stesso corpo e sangue del Signore, l'unico sacrificio offerto per la nostra salvezza, proprio il Signore dichiarò: Chi non mangia la mia carne e non beve il mio sangue, non avrà in sé la vita 45. E lo stesso Apostolo non insegna forse che esso diventa dannoso per coloro che se ne servono male? Ecco che cosa dice: Chiunque in modo indegno mangia il pane o beve il calice del Signore, sarà reo del corpo e del sangue del Signore 46.
Il battesimo non giova a tutti.
26. 31. Ecco come le realtà divine e sante possono nuocere a chi le usa malamente: perché non dovrebbe essere così anche del battesimo? Perché non dire che gli eretici non sono buoni pur avendo ricevuto un buon battesimo, come nella Legge, che è buona, non sono buoni i Giudei? Certo, e l'ho già dimostrato, secondo le vostre concessioni voi credete a Paolo e ammettete che i testi biblici che ho citato sono stati pronunziati da Paolo; dunque ho già provato, secondo le vostre concessioni, che alcune cose legittime e buone nuocciono tuttavia a chi non le possiede e usa in modo legittimo. Perché non dire altrettanto del battesimo, il quale, per buono e legittimo che sia, non giova a tutti coloro che lo possiedono? Come mai tu presentavi questa conclusione come assolutamente certa e consequenziale, che cioè l'uomo deve essere battezzato nel partito di Donato, dal momento che noi concediamo che anche lì c'è il battesimo, senza attendere da noi una precisazione di questo tipo: che lì effettivamente si trova il battesimo di Cristo, ed esso è senz'altro giusto, santo e buono; ma è punibile, contrastante, pernicioso per i nemici del corpo di Cristo, che è la Chiesa, la quale secondo le promesse di Dio si espande in tutte le nazioni.
Dalla falsa premessa la falsa conclusione.
27. 32. Troverai qualcosa per rispondere a quanto sopra, se non che il battesimo non si deve annoverare fra quei beni che hanno un riferimento con la legge di Dio, di cui gli uomini possono fruire e non essere buoni; mentre senza dubbio la stessa legge, la scienza, il sacrificio del corpo e del sangue di Cristo sono beni tali, che gli uomini possono e avere ed essere cattivi, il battesimo invece è un bene di tale natura che chiunque lo possiede deve essere necessariamente buono? Se voi vorrete affermare questo, sosterrete un errore, pertanto fai attenzione ad un'altra falsa conseguenza, che non ricorderò per condurti dalla tua falsa premessa ad una falsa conclusione, ma perché, riconoscendo che tale conclusione è falsa, tu possa liberarti da questa ed emendarti della falsa premessa. Qual è la premessa? Tutti coloro che fra voi hanno il bene del battesimo sono buoni. Falsità manifesta. Qual è la conseguenza? Che cioè erano buoni coloro che provocavano scismi, dicendo: " Io sono di Paolo ", " Io invece sono di Apollo ", " E io di Cefa ", " E io di Cristo ". L'Apostolo li riprende dicendo: Cristo è stato forse diviso? Forse Paolo è stato crocifisso per voi, o è nel nome di Paolo che siete stati battezzati? 47 Ma è falso che costoro erano buoni, salvo quelli che dicevano: Io sono di Cristo, e tuttavia avevano ricevuto il santo battesimo di Cristo. Da dove viene dunque questa falsa conclusione? Dalla falsa premessa che tutti coloro che hanno un buon battesimo sono buoni. Dunque, si rigetti l'una e l'altra affermazione: le due sentenze devono essere corrette. È evidente che coloro che causavano scismi non erano buoni, eppure avevano ricevuto un battesimo buono; come pure è evidente che non è vero che tutti coloro che hanno un buon battesimo siano buoni. Per queste ragioni, noi non siamo tenuti a concedere la necessità di farsi battezzare nel partito di Donato, solo per il fatto di concedere che il partito di Donato, che noi diciamo malvagio, ha un buon battesimo.
C'è un unico battesimo, anche se conferito al di fuori dell'unica Chiesa.
28. 33. Tu, per vincolarmi con questa concessione a ciò che non ammetto, hai citato di nuovo il testo: Un solo Dio, una sola fede, un solo battesimo, una sola Chiesa cattolica incorrotta e vera 48. Tutto ciò lo concedo, anche se la citazione è alquanto diversa. Ma, che importa? Io te lo concedo, come ho detto. In verità ciò che tentavi di conseguire con queste argomentazioni, non consegue, cioè, la conclusione che tutti coloro che non appartengono all'unica Chiesa non possono avere un unico battesimo: cosa assolutamente falsa. Tanto meglio perché proprio tu hai presentato un testo che mi offre l'opportunità di richiamare ciò che mi preme di dire. Ebbene, tu hai categoricamente affermato, a proposito delle concessioni che ho fatto e attraverso le quali vuoi indurmi verso la tua tesi, che c'è un solo Dio, una sola fede, un solo battesimo, una sola Chiesa incorrotta e cattolica. E poiché fin qui siamo d'accordo, tu credi di poter tirare da quelle premesse ciò che non è consequenziale: presso coloro che non sono in quest'unica Chiesa, quest'unico battesimo non può esistere. Io invece sostengo che esso può esistere, se non lo si cambia, se si osserva questo medesimo rito, perciò non cessa di essere l'unico battesimo per il fatto che si trova anche presso coloro che non sono nell'unica Chiesa. Te lo dimostro, basandomi su ciò che hai affermato nella stessa citazione sull'unico Dio e sull'unica fede. Noi constatiamo infatti che il medesimo Dio è adorato al di fuori della Chiesa da coloro che l'ignorano, ma non per questo egli non è Dio; anche la fede, per cui si crede che il Cristo è Figlio del Dio vivo, noi riscontriamo che la professano anche coloro che non fanno parte delle membra della Chiesa, ma non per questo la fede non è unica. Così pure, quando vediamo che quelli che sono al di fuori della Chiesa praticano lo stesso rito del battesimo quando battezzano gli uomini, non per questo dobbiamo pensare che non è il medesimo battesimo.
Non soltanto nella Chiesa c'è l'unico battesimo, ma solo in essa lo si possiede per la salvezza.
29. 34. Forse obietterai su questo punto: è impossibile che anche al di fuori della Chiesa si adori il medesimo, lo stesso, l'unico Dio o che si incontri anche presso coloro che sono al di fuori della Chiesa la stessa fede, che ci fa riconoscere nel Cristo il Figlio di Dio e per cui Pietro è stato chiamato beato 49. Questo è ciò che mi resta da provare. Tu lo leggi nello stesso discorso del beato Paolo, che ho citato sopra dagli Atti degli Apostoli. Mentre parlava di Dio, poiché aveva trovato un altare con l'iscrizione: Al Dio ignoto, disse loro: Quello che voi adorate senza conoscere, io ve lo annunzio 50. Gli ha forse detto: " Poiché lo adorate al di fuori della Chiesa, non è Dio colui che adorate "? No; ha detto invece: Quello che voi adorate senza conoscere, io ve lo annunzio 51. Che cosa ha voluto garantire loro, se non di offrirgli la possibilità di onorare nella Chiesa con culto saggio e salutare quel Dio, che al di fuori della Chiesa adoravano senza conoscerlo e senza frutto?. Anche noi vi diciamo la stessa cosa: " Vi annunciamo la pace del battesimo che voi conservate senza conoscerlo, non perché quando verrete fra noi riceviate un altro battesimo, ma perché riceviate il frutto di ciò che già avete ". Quanto alla fede, anche l'apostolo Giacomo, parlando contro coloro che pensavano fosse sufficiente avere creduto, ma non volevano ben operare, afferma: Tu credi che c'è un Dio solo? Fai bene; anche i demòni lo credono e tremano 52. L'unità della Chiesa non comprende certo i demoni. E tuttavia non possiamo affermare che credono qualcosa di diverso, dal momento che dissero allo stesso Signore Gesù Cristo: Che c'è fra noi e te, Figlio di Dio? 53. Per questo anche l'apostolo Paolo dice: Se possedessi la pienezza della fede, così da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sono nulla 54. Ora, non credo che ci sia qualcuno così sciocco da pensare che appartenga all'unità della Chiesa chi non ha la carità. Dunque, come l'unico Dio è adorato anche al di fuori della Chiesa da coloro che non lo conoscono, senza per questo cessare di essere ciò che è; così l'unica fede è posseduta anche al di fuori della Chiesa da coloro che non hanno la carità, senza per questo cessare di essere ciò che è, così infine l'unico battesimo è posseduto anche al di fuori della Chiesa da coloro che non lo conoscono e non hanno la carità, senza per questo cessare di essere ciò che è. Infatti unico è Dio, unica la fede, unico il battesimo, unica incorrotta e cattolica la Chiesa: non in essa sola si adora l'unico Dio, ma in essa sola l'unico Dio riceve un culto giusto; né solo in essa si conserva l'unica fede, ma soltanto in essa l'unica fede è conservata con la carità; né soltanto in essa c'è l'unico battesimo, ma solo in essa si possiede l'unico battesimo per la salvezza.
Noi correggiamo gli eretici ma approviamo ciò che costoro hanno custodito così come lo hanno ricevuto.
30. 35. Dunque, tu hai proposto un solo Dio, una sola fede, un solo battesimo, una sola Chiesa incorrotta e cattolica, e noi siamo d'accordo. Ma, non solo non sei riuscito a trarre da ciò le conclusioni che ti eri proposte, anzi, ci hai aiutato molto con ciò a richiamare alla tua mente anche ciò che noi volevamo. Considera dunque quanto probante sia il criterio che noi seguiamo, quando correggiamo ciò che gli eretici o gli scismatici hanno corrotto in coloro che rientrano fra noi dalle loro file, e quando riconosciamo e approviamo ciò che costoro hanno custodito così come lo hanno ricevuto. Noi non vogliamo lasciarci influenzare dai vizi dell'uomo al di là del giusto, e fare il minimo torto ai beni di Dio, quando vediamo lo stesso Apostolo affermare, più che negare, il nome di Dio che egli ha trovato perfino sull'altare degli adoratori di idoli pagani 55. Non è necessario cambiare o riprovare il sigillo del re nell'uomo, se è stato accordato il perdono del re per la sua colpa ed è stato reintegrato nei ranghi militari, per il fatto che tale carattere, il cui fine era di riunire i soldati intorno a sé, gli è stato impresso da un disertore; né per questo si deve cambiare il marchio alle pecore, quando sono associate al gregge del Signore, perché il sigillo del Signore fu loro impresso da uno schiavo fuggitivo.
Anche la circoncisione, figura del battesimo, era irripetibile.
31. 36. Ora, se temete che queste cose siano espedienti per trarvi in inganno, poiché non sono esempi di tipo ecclesiastico, benché vi sia ben noto che le Scritture contengono alcune parabole in cui si parla di pecore e di soldati, ebbene, voglio citare un esempio dagli scritti profetici, detti dell'Antico Testamento, poiché nei libri del Nuovo Testamento, né da noi né da voi si trovano esempi che facciano al caso nostro. Suppongo che non osiate negare che la circoncisione del prepuzio è stata praticata certamente dagli antichi come figura del futuro battesimo di Cristo. Ora, se un Samaritano circonciso avesse voluto farsi Giudeo, poteva essere circonciso di nuovo? Non sarebbe stato forse riprovato l'errore di quel tale, e invece riconosciuto e approvato il sigillo della fede? Anche adesso vi sono alcuni eretici, che si chiamano Nazareni, da molti invece chiamati Simmachiani, che praticano sia la circoncisione dei Giudei sia il battesimo dei cristiani. Per questo, se uno di loro passa al giudaismo, non può essere nuovamente circonciso; se poi viene da noi, non deve essere ribattezzato. Voi però direte su questo punto: "Una cosa è la circoncisione dei Giudei, un'altra il battesimo dei cristiani ". Tuttavia, poiché essa adombrava questa realtà, perché quella circoncisione poté esistere anche presso gli eretici del giudaismo, mentre questo battesimo non può esistere fra gli eretici del cristianesimo?
Nessun caso nelle Scritture di un uomo proveniente dall'eresia che fu ribattezzato.
31. 37. Su, dalle Scritture canoniche, di cui noi vicendevolmente riconosciamo l'autorità, presentate un solo caso, in cui chi è venuto dall'eresia sia stato ribattezzato. È vero che gli Apostoli fecero battezzare nel Cristo alcuni battezzati da Giovanni, ma qui il motivo è ben altro. Giovanni non era un eretico, lui, l'amico dello Sposo 56, il più grande che sia mai sorto fra i nati di donna 57. La questione è dunque tutt'altra. D'altra parte, se Paolo battezzò dopo Giovanni, benché ambedue fossero nell'unità di Cristo, a maggior ragione i vostri vescovi, in quanto sostengono di essere nell'unità di Cristo, devono battezzare dopo i loro colleghi, nei quali colleghi essi biasimano determinati comportamenti, poiché lo ha fatto Paolo, lui che non avrebbe avuto niente da ridire su Giovanni! È dunque un altro discorso, un altro problema che sarebbe troppo lungo trattare adesso in modo particolareggiato, e su cui abbiamo già dissertato ampiamente in altre opere. Mostrateci, dunque, nelle Scritture canoniche il caso di un uomo proveniente dall'eresia che fu ribattezzato. Per parte nostra, citiamo la parola detta a Pietro: Chi ha fatto il bagno, non ha bisogno di lavarsi una seconda volta 58. Certo anche voi replicate: " Pietro non aveva ricevuto il battesimo presso gli eretici ". Allora, siccome voi non siete in grado di mostrare attraverso le Scritture, di cui noi vicendevolmente riconosciamo l'autorità, il caso di un uomo proveniente dall'eresia che sia stato ribattezzato, e neppure noi il caso che costui sia stato ricevuto così, su tale questione ci troviamo sullo stesso piano.
La dottrina cattolica è conforme alle Scritture.
32. 38. Noi invece siamo in grado di mostrare che una serie cospicua di beni, i quali si riferiscono anche alla legge di Dio, si riscontrano anche fra coloro che non sono nella Chiesa, e che nessuno di voi può negare. Ma perché non vogliate che questo riguardi anche il battesimo, francamente non riesco a capacitarmene in alcun modo e sono fermamente convinto che non siate in grado di dimostrarlo. Su questo punto è chiaro che seguiamo l'indiscussa autorità delle Scritture canoniche. E non si deve sottovalutare per nulla il fatto che, quando cominciò ad agitarsi tale questione fra i vescovi dell'epoca antecedente il sorgere del partito di Donato, ed avendo i colleghi opinioni diverse fra loro, salva sempre l'unità, piacque a tutta la Cattolica, diffusa nel mondo intero, osservare quanto anche noi riteniamo. Ora, anche voi presentate un concilio di Cipriano che, o non ha avuto luogo o meritò giustamente di essere abolito dai restanti membri dell'unità, dai quali lui non si separò. E non per questo siamo migliori del vescovo Cipriano, in quanto lui ha sostenuto che gli eretici devono essere ribattezzati, mentre noi giustamente non lo facciamo; come anche non siamo migliori dell'apostolo Pietro, per il fatto che noi non forziamo i pagani ai riti giudaici, cosa che egli fece secondo la testimonianza di Paolo, che in questo lo corresse 59, allorché la questione della circoncisione creava non poche incertezze tra gli Apostoli, simili a quelle sorte più tardi tra i vescovi intorno alla questione del battesimo.
La prassi approvata dalla Chiesa universale, che raccomanda l'autorità delle stesse Scritture.
33. 39. Per cui, benché su tale questione le Scritture canoniche non forniscano alcun esempio certo, tuttavia anche su questo argomento noi seguiamo la verità genuina delle Scritture, osservando la prassi approvata dalla Chiesa universale, che raccomanda l'autorità delle stesse Scritture. In tal modo, poiché la sacra Scrittura non può errare, chiunque teme di sbagliarsi per l'oscurità di tale questione, non ha che da consultare a tal riguardo la Chiesa stessa che la santa Scrittura designa senza alcuna ambiguità. Se invece tu esiti a credere che la sacra Scrittura raccomanda questa Chiesa, che si espande in numero incalcolabile fra tutte le nazioni - se tu non ne dubitassi, non saresti più del partito di Donato - ebbene, io ti demolirò con una serie cospicua di testimonianze inconfutabili, desunte dalla stessa autorità, affinché dalle tue stesse concessioni, a meno che non voglia aggrapparti alla tua irriducibile pervicacia, sarai condotto a questa conclusione. Ma prima ti voglio dimostrare che non hai neppure potuto rispondere alcunché di vero alla mia lettera che hai voluto controbattere.
Riassunto di questo libro.
34. 40. Per ora basti questo, poiché, per l'ostinazione ad oltranza degli uomini, ho pensato bene di doverti dire molte cose contro coloro che, difendendo sostanzialmente una causa sbagliata, vogliono indurre i giudici a non trattarla, appellandosi alla prescrizione e sostenendo che non hanno alcun obbligo di discutere con noi. Ho già dimostrato, servendomi sia della sacra Scrittura sia di argomenti di ragione i più chiari possibili, che né l'eloquenza più avvincente, né la dialettica più stringente devono intimorire i difensori della verità, impedendo loro di disputare con i sostenitori della falsità e confutarli. Ho chiarito anche quell'affermazione della mia lettera che, dicevi, ti aveva sconcertato: quanto sia illogico, se concediamo l'esistenza del battesimo nel partito di Donato, dover contemporaneamente concedere nella stessa società che ogni membro debba essere battezzato. In effetti, come il popolo giudaico, pur essendo reprobo, poté avere una legge buona, così la società degli eretici, pur essendo riprovata, può avere un buon sacramento. Ciò che viene dato in modo proprio alla Chiesa, e che non è dato assolutamente al di fuori di essa, sarà dimostrato senza alcuna difficoltà a suo luogo 60. In effetti, non ci comporteremmo correttamente nei confronti degli eretici che, lo riconosciamo, possiedono il battesimo, per farli entrare a tutti i costi nella Chiesa cattolica; e poi, una volta entrati, non ricevessero quel di più che altrimenti non potrebbero ricevere, e senza il quale possederebbero invano e a loro dànno tutti gli altri beni, pur appartenenti alla legge di Dio, in qualunque modo li abbiano potuti ricevere. Quale che sia questo bene, in base alle Scritture e a ragioni solidissime si potrà scoprire che non può essere dato o ricevuto se non nella santa Chiesa; esso apparterrà alla fontana sigillata, al pozzo d'acqua viva, al giardino paradisiaco ricco di frutti 61, di cui tu hai fatto menzione a modo tuo, dimostrando che non ne hai compreso la natura, supposto pure che pensi davvero trattarsi qui del battesimo visibile. Esso tuttavia, sebbene sia santo e non si debba in alcun modo omettere, poiché eccelle per la sua santissima realtà sacramentale, è ricevuto da tanti, e non solo dai buoni che secondo il disegno di Dio sono chiamati a riprodurre l'immagine del Figlio di Dio 62, ma anche da coloro che non possederanno il regno di Dio, fra cui l'Apostolo annovera gli ubriaconi e gli avari! 63. Sono convinto che se rifletti bene, dopo aver deposto ogni forma di pertinacia, risponderai facilmente a te stesso che io dico il vero. Allora non cercherai la fontana sigillata e il pozzo d'acqua viva se non là, dove Dio non permette che si avvicinino se non coloro che piacciono a lui.
Note:
1 - Prv 10, 19.
2 - Platone, Leggi, XI 937e-938c.
3 - Sir 37, 23.
4 - 2 Tm 2, 14-15.
5 - Mt 10, 12-13.
6 - 2 Tm 2, 24-26.
7 - 2 Tm 4, 1-2.
8 - 2 Tm 4, 14-15.
9 - Fil 1, 15-17.
10 - Fil 1, 18.
11 - Ibidem.
12 - Cf. Gv 4, 20-21.
13 - Cf. Mt 22, 15-23. 41-46; Lc 20, 20-27.
14 - Cf. Mt 4, 3-10.
15 - Ez 3, 4-8.
16 - Sir 3, 22.
17 - Sir 28, 11.
18 - At 5, 29.
19 - 2 Cor 13, 3.
20 - 2 Tm 4, 2.
21 - Tt 1, 9-11.
22 - Cf. At 5, 29.
23 - At 18, 24-28.
24 - At 17, 16-18.
25 - At 17, 19-23.
26 - Cf. 2 Tm 2, 14.
27 - Cicerone, De orat. 1, 11, 47.
28 - At 17, 17.
29 - At 20, 9.
30 - Sal 103, 34.
31 - Is 1, 18 (sec. LXX).
32 - 2 Cor 6, 4-10.
33 - Rm 3, 8.
34 - Cf. Gv 8, 48.
35 - Mt 22, 21; Lc 20, 25.
36 - Mt 22, 18.
37 - Cf. At 17, 16-31.
38 - Gv 3, 5.
39 - 1 Tm 1, 8.
40 - Rm 3, 10-18.
41 - Rm 3, 19
42 - Rm 7, 7-8.
43 - Rm 7, 11-13.
44 - 1 Cor 8, 1.
45 - Gv 6, 54.
46 - 1 Cor 11, 27.
47 - 1 Cor 1, 12-13.
48 - Ef 4, 5.
49 - Cf. Mt 16, 16-17.
50 - Cf. At 17, 16-23.
51 - At 17, 23.
52 - Gc 2, 19.
53 - Mc 1, 24.
54 - 1 Cor 13, 2.
55 - Cf. At 17, 23.
56 - Cf. Gv 3, 29.
57 - Cf. Mt 11, 11.
58 - Gv 13, 10.
59 - Cf. Gal 2, 14.
60 - Cf. infra 2, 16.
61 - Ct 4, 12-13.
62 - Cf. Rm 8, 29.
63 - Cf. 1 Cor 6, 10.
4 - San Giuseppe chiede perdono alla santissima sposa Maria.
La mistica Città di Dio - Libro quarto - Suor Maria d'Agreda
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407. Lo sposo Giuseppe, ravveduto, attendeva che la santissima sposa, Maria, uscisse dal ritiro. Quando fu l'ora, la Madre del Re celeste aprì la porta della povera casa, dove abitava. Subito il santo sposo si gettò ai suoi piedi e con profonda umiltà e venerazione le disse: «Signora e sposa mia, vera madre del Verbo eterno, qui sta il vostro servo, prostrato ai piedi della vostra clemenza. Per lo stesso Dio e Signore, che portate nel vostro seno verginale, vi prego di perdonare il mio ardire. Sono sicuro, o Signora, che nessuno dei miei pensieri è stato celato alla vostra sapienza e alla vostra divina luce. Grande fu la mia audacia nell'essermi deciso a lasciarvi; e non è stata meno la villania, con la quale vi ho trattata finora come inferiore a me, invece di servirvi come Madre del mio Dio e Signore. Dovete sapere, però, che feci tutto ciò per ignoranza, perché non mi erano noti il mistero del Re celeste e la grandezza della vostra dignità, sebbene venerassi in voi altri doni dell'Altissimo. Non badate, Signora mia, all'insipienza di una creatura così vile che già ravveduta offre il cuore e la vita al vostro ossequio e servizio. Non mi alzerò dai vostri piedi senza, prima, sapere se sono in grazia vostra, se ho ottenuto il perdono del mio errore e riacquistato la vostra benevolenza e benedizione».
408. Maria santissima udendo le umili parole di san Giuseppe, suo sposo, sentì dentro di sé diversi impulsi, perciò con grande tenerezza si rallegrò nel Signore vedendolo capace di penetrare i misteri dell'incarnazione e confessare questi con grande fede ed altissima umiltà. Tuttavia l'afflisse un poco la determinazione, che vide nel suo sposo, di volerla trattare per l'avvenire con il rispetto e la sottomissione che mostrava; perché con questo cambiamento pareva all'umile Signora che le sfuggisse dalle mani l'occasione di ubbidire e di umiliarsi come serva del suo sposo. E a guisa di colui che tutto ad un tratto si vede privo di qualche gioia o tesoro che molto stimava, così Maria santissima si contristò apprendendo che san Giuseppe, dopo averla conosciuta come Madre del suo Signore, non l'avrebbe più trattata come inferiore e soggetta in tutto. Fece alzare così dai suoi piedi il santo sposo e si pose ai piedi di lui; e benché questi cercasse di impedirlo, non vi riuscì, perché ella nell'umiltà era invincibile. Rispondendo allora a san Giuseppe, disse: «Signore e sposo mio, sono io che devo chiedervi perdono; e voi quello che dovete rimettere le pene e le amarezze che da me avete ricevuto. E così posta ai vostri piedi vi supplico di fare, e vi prego di obliare le sofferte sollecitudini, dal momento che l'Altissimo accettò i vostri desideri e le afflizioni che avete patito».
409. Sembrò giusto alla divina Signora consolare il suo sposo; e per questo, non per scusarsi, soggiunse: «Dell'occulto mistero, che il braccio dell'Altissimo tiene rinchiuso dentro di me, nonostante il mio desiderio, non potevo darvi alcuna notizia per sola mia decisione, perché come serva di sua Altezza divina era giusto che ottemperassi alla sua santa e perfetta volontà. E perciò non ho taciuto, perché non vi stimassi come mio signore e sposo: sempre sono e sarò fedele serva vostra, corrispondendo ai vostri santi desideri ed affetti. Quello che vi chiedo dal profondo del mio cuore, per amore del Signore che porto nel mio grembo, è che nella vostra conversazione e nel tratto non cambiate la forma e l'atteggiamento che finora avete tenuto. Il Signore non mi scelse come Madre sua per essere servita ed essere signora in questa vita, ma per divenire serva di tutti e di voi ubbidendo alla vostra volontà. Questo è, signore, il mio compito e senza di esso vivrei afflitta e sconsolata. È giusto che me lo concediate, perché così dispose l'Altissimo nel darmi il vostro patrocinio e la vostra sollecitudine, affinché io sia sicura alla vostra ombra e con il vostro aiuto possa far crescere il frutto del mio seno, il mio Dio e Signore». Con queste ragioni e con altre piene di efficacissima soavità, Maria santissima consolò e rasserenò il santo sposo Giuseppe; e quindi conferirono insieme su tutto ciò che era necessario. Così le sue parole illuminarono san Giuseppe in modo speciale, perché ella non era solo piena di Spirito Santo, ma portava con sé, come madre, il Verbo dal quale come anche dal Padre procede lo Spirito. Il santo ricevette, con grande pienezza, i divini influssi, per cui interiormente rinnovato ed infervorato disse:
410. «Benedetta siete, o Signora, tra tutte le donne; beata in tutte le nazioni e generazioni. Sia magnificato con lode eterna il Creatore del cielo e della terra, perché dal supremo trono regale vi guardò e vi elesse come sua dimora; ed in voi sola adempì per noi le antiche promesse, che fece ai nostri Padri e Profeti. Tutte le generazioni lo benedicano, perché a nessuna mostrò la sua grandezza come a voi, sua umile serva; e perché per sua bontà elesse me, il più vile dei viventi, come vostro servo». San Giuseppe in queste benedizioni fu illuminato dallo Spirito divino, alla maniera di santa Elisabetta quando rispose al saluto della nostra Regina e signora; la luce e la scienza che il santissimo sposo ricevette furono ammirabili, come conveniva alla sua dignità ed al suo ministero. La divina Signora, udendo le parole del benedetto santo, rispose similmente col canto del Magnificat; e ripetendolo, come lo aveva detto dinanzi a santa Elisabetta, aggiunse altre cose nuove in cui si sentì tanto infiammata che, sollevata in un'altissima estasi e alzata da terra in un globo di splendidissima luce, restò tutta trasfigurata.
411. Alla vista di un oggetto così divino, san Giuseppe restò meravigliato e pieno d'incomparabile giubilo, perché mai aveva visto la sua benedettissima sposa in una simile gloria e in uno stato così eminente ed eccellente. Ed allora egli riconobbe questo splendore in modo chiarissimo e perfetto, perché gli si manifestarono insieme l'integrità e la purezza della Principessa del cielo ed il mistero della sua dignità. Inoltre, vide e conobbe, nel suo seno verginale, l'umanità santissima del bambino Dio e l'unione delle due nature nella persona del Verbo. Con profonda umiltà e riverenza l'adorò e lo riconobbe come suo vero Redentore; e con atti eroici si votò completamente a lui. Il Signore pose su di lui uno sguardo colmo di bontà e dolcezza, mai usato verso altra creatura; lo accettò come padre putativo e gliene diede il titolo. Inoltre per corrispondere a questa nuova missione, gli diede tanta pienezza di scienza e doni celesti quanta la pietà cristiana può e deve presumere. Non mi prolungo, tuttavia, nel riferire quanto mi venne dichiarato circa le virtù eccellenti di san Giuseppe, perché sarebbe necessario andare oltre quello che richiede il fine di questa Storia.
412. Fu segno e chiaro indizio di insigne santità che Giuseppe non si lasciasse vincere dal dolore per la gelosia della sua amata sposa; ma di maggiore ammirazione fu il fatto che non lo avesse schiacciato la gioia improvvisa di cui il suo cuore era traboccante. Nel primo caso si scoprì la sua santità, ma nel secondo egli ricevette dal Signore altre grazie e doni tali che se Dio non gli avesse dilatato il cuore, non li avrebbe potuti ricevere né avrebbe potuto sopravvivere al giubilo del suo spirito. In tutto fu così rinnovato interiormente dalla grazia divina per poter trattare degnamente con colei che era Madre di Dio e sua sposa, e disporre insieme a lei ciò che era necessario al mistero dell'incarnazione ed alla crescita del Verbo, come si dirà in seguito. E affinché fosse in grado di comprendere e riconoscere i suoi doveri nel servire la divina sposa, gli fu dato di capire che tutti i doni e i benefici ricevuti dalla mano dell'Altissimo gli erano provenuti per mezzo di lei e a causa di lei: quelli prima di essere suo sposo per averlo elevato il Signore a questa dignità; e quelli che gli venivano, allora, conferiti per averglieli ella stessa acquistati e meritati. Conobbe anche l'incomparabile prudenza che la Signora aveva usato verso di lui, non solo nel servirlo con inviolabile ubbidienza e con profonda umiltà, ma ancora consolandolo nella tribolazione, sollecitandogli la grazia e l'assistenza dello Spirito Santo, dissimulando con somma discrezione, e poi rasserenandolo, tranquillizzandolo e disponendolo affinché fosse idoneo e capace di accogliere le ispirazioni dello Spirito divino. E come la Principessa del cielo fu lo strumento di santificazione del Battista e di sua madre, santa Elisabetta, così lo fu anche della pienezza di grazia ricevuta da san Giuseppe con abbondanza. Il fortunatissimo sposo conobbe e comprese tutto ciò, e corrispose come servo riconoscente e fedelissimo.
413. I santi Evangelisti non fecero menzione di questi misteri e di molti altri che accaddero alla nostra Regina ed al suo sposo san Giuseppe, non solo perché questi li custodirono nei loro cuori, senza manifestarli ad alcuno, ma anche perché non ritennero opportuno narrare queste meraviglie della vita di Cristo, che scrissero affinché attraverso la fede si diffondessero la nuova Chiesa e la legge della grazia. Il racconto di questi eventi, inoltre, sarebbe stato poco conveniente per la conversione dei pagani. La meravigliosa provvidenza di Dio, tra i suoi occulti giudizi e segreti imperscrutabili, riservò questi misteri per estrarre dal suo tesoro cose nuove e cose antiche', nel tempo più opportuno, previsto dalla divina sapienza: quando fondata già la Chiesa e consolidatasi la fede cattolica, i fedeli si fossero ritrovati bisognosi dell'intercessione, dell'aiuto e della protezione della loro Regina e signora. E questi, conoscendo così con nuova luce quale amorosa Madre e potente avvocata hanno nei cieli - presso il suo santissimo Figlio, al quale il Padre ha dato il potere di giudicare - potessero ricorrere a lei come unico rifugio. Se poi sono arrivati per la Chiesa i tempi tristi, lo possono testimoniare le sue lacrime e le sue tribolazioni, perché mai furono così copiose come adesso, quando i suoi stessi figli, allevati al suo petto, l'affliggono, la sconvolgono e dissipano il tesoro del sangue del suo Sposo'; e ciò con maggiore crudeltà dei più congiurati nemici. Quando, dunque, la necessità invoca aiuto, quando il sangue sparso dei figli alza la voce, ed in modo ancor più forte il sangue di Cristo nostro capo, conculcato e profanato sotto vari pretesti di giustizia, che fanno i più fedeli, i più cattolici e devoti figli di questa afflitta madre? Come mai tacciono tanto? Come non gridano a Maria santissima? Come non la invocano per meritarne le grazie? Come può meravigliare se tarda la redenzione, quando noi siamo così pigri nel cercarla e nel riconoscere questa Signora come vera madre di Dio? Confesso che si racchiudono grandi misteri in questa Città di Dio', e li predichiamo ed attestiamo con fede viva. Sono così tanti che sarà possibile comprenderli solo dopo la risurrezione universale, e i santi li conosceranno nell'Altissimo. Intanto i cuori pii e fedeli considerino la benignità di questa amantissima Regina e signora nel degnarsi di palesare alcuni di questi misteri per mezzo di un vilissimo strumento, quale sono io, tanto che nella mia debolezza e timidezza mi ha potuto incoraggiare solo il comando e il beneplacito della madre della pietà, più e più volte intimato.
Insegnamento che mi diede la Regina del cielo
414. Figlia mia, desidero che la mia vita sia specchio per la tua e che le mie opere siano regola inviolabile delle tue, e inoltre ti spiego in questa storia non solo le verità arcane e i misteri che tu scrivi, ma molte altre cose ancora, che non puoi rivelare né manifestare. Tutto ciò deve restare scolpito nelle tavole del tuo cuore; e perciò rinnovo in te la memoria della lezione, nella quale devi apprendere la scienza della vita eterna, perché io adempia le funzioni di maestra. Sii pronta nell'ubbidire e nell'eseguire, come docile e sollecita discepola; e ti serva adesso di esempio l'umile cura e vigilanza del mio sposo san Giuseppe, la sua sottomissione e la stima che ebbe della divina rivelazione. E rifletti che questa, avendo trovato in lui un cuore pronto e ben disposto ad adempiere con sollecitudine la volontà divina, lo cambiò e lo rinnovò tutto con tanta pienezza di grazia quanta conveniva per il ministero, cui l'Altissimo lo destinava. La conoscenza delle tue colpe ti serva, dunque, per umiliarti con sottomissione, e non già perché, con il pretesto di essere indegna, tu ostacoli il Signore in quello per cui vorrà servirsi di te.
415. In questa occasione voglio, però, palesarti una giusta lamentela e una grave indignazione dell'Altissimo contro i mortali. Comprenderai meglio ciò con la divina luce, vedendo l'umiltà e la mansuetudine che io esercitai verso il mio sposo Giuseppe. Questa lamentela del Signore e mia è per l'inumana perversità che hanno gli uomini di trattarsi gli uni gli altri senza carità e umiltà. Ed in questo concorrono allora tre peccati, che in sommo grado impediscono l'Altissimo e me di mostrare loro misericordia. Il primo è che, capendo gli uomini di essere tutti figli di un solo Padre che sta nei cieli, opere delle sue mani, formati della stessa natura, alimentati gratuitamente, vivificati con la sua provvidenza' e nutriti alla stessa mensa dei divini misteri e sacramenti, specialmente a quella del suo corpo e sangue, tuttavia si dimenticano di tutto ciò e non ne fanno caso fin quando si tratta di un meschino e terreno interesse. E come uomini senza ragione si turbano, cadono nello sdegno e nella rete delle discordie, dei rancori, dei tradimenti, delle mormorazioni e talvolta di empie ed inumane vendette, e di odio mortale gli uni verso gli altri. Il secondo è: quando per l'umana fragilità e poca mortificazione, turbati dalla tentazione del demonio inciampano in una di queste colpe, non si curano subito di liberarsene e riconciliarsi fra loro, come fratelli che stanno alla vista del giusto giudice, ma lo ricusano come Padre misericordioso, provocandolo anzi come giudice severo e rigido dei loro peccati. Non vi sono peccati più grandi dell'odio e della vendetta che irritano la sua giustizia. Il terzo peccato, che vivamente lo sdegna, è il seguente: quando qualcuno vuole riconciliarsi con il suo fratello, colui che si reputa offeso, non lo accoglie e pretende maggiore soddisfazione di quella che, come lui stesso sa, appaghi il Signore ed ancora di quella che pretende valersi in suo favore dinanzi a Dio. E così tutti bramano che contriti ed umiliati vengano ricevuti, accolti e perdonati dallo stesso Dio, che fu il più offeso; ed essi, che sono polvere e cenere, vogliono vendicarsi del loro fratello, e non si danno per soddisfatti con quello di cui si contenta il supremo Signore per perdonarli.
416. Di tutti i peccati, che commettono i figli della Chiesa, nessuno è più odioso di questo agli occhi dell'Altissimo; e tu conoscerai ciò in Dio stesso e nella forza con cui egli nella sua divina legge comandò ad ognuno di perdonare al fratello", benché questi peccasse contro di lui settanta volte sette. E quando ogni giorno le offese siano molto più, e in tutte queste occasioni egli dica di pentirsi del fatto, il Signore comanda che il fratello offeso gli perdoni altrettante volte senza numero". E contro di quelli, che non lo faranno, stabilisce pene severe, perché scandalizzano gli altri; come si può intendere da quella minaccia che pronunziò Dio stesso dicendo: «Guai a colui che darà occasione di scandalo, e per colpa del quale avviene e succede lo scandalo! Meglio sarebbe per lui cadere nel profondo del mare con una pesante macina di mulino al collo!». E disse questo a significare il pericolo e la difficoltà del perdono di questi peccati, com'è difficile il riscatto per colui che cadesse nel mare con una ruota da mulino al collo. E con questo indica pure il castigo che riceveranno nel profondo delle pene eterne: per cui è consiglio salutare per questi fedeli cavarsi gli occhi e tagliarsi le mani" - come appunto ordinò il mio santissimo Figlio - che scandalizzare i piccoli con tali peccati.
417. Ah, figlia mia carissima! Quanto devi piangere con lacrime di sangue gli effetti dannosi di questo peccato che rattrista lo Spirito Santo", che dà superbi trionfi al demonio, che trasforma le creature razionali in mostri e cancella in esse l'immagine del loro Padre celeste. Cosa c'è di più improprio, brutto e mostruoso di vedere un uomo, il quale tiene solo corruzione e vermi, sollevarsi contro un altro suo simile con tanta superbia ed arroganza? Non troverai parole con cui descrivere questa malvagità per persuadere i mortali a temerla ed a guardarsi dall'ira del Signore". Tu intanto, o carissima, preserva il tuo cuore da questo contagio; e stampa ed imprimi in esso questa dottrina tanto utile e vantaggiosa. Né tu possa mai pensare che offendere il prossimo e scandalizzarlo sia piccola colpa, perché tali peccati pesano assai alla presenza di Dio. Frena la tua lingua e sorveglia la porta delle tue labbra e dei tuoi sensi`, per la rigorosa osservanza della carità verso le creature dell'Altissimo. Dammi questa gioia, perché ti voglio perfettissima in una virtù così eccellente e te la impongo come mio precetto; ordinandoti di non pensare, né dire, né operare mai qualcosa che possa offendere il tuo prossimo; né permettere, per qualsiasi motivo - se potrai - che lo facciano le tue suddite, né alcun altro in tua presenza. Considera bene, carissima, ciò che da te richiedo; perché questa è la scienza più divina e la meno compresa dai mortali. La mia umiltà e mansuetudine ti servano come unico ed efficace rimedio per le tue passioni e ti siano di sprone come esempio: effetto dell'amore sincero con il quale io amavo non solo il mio sposo, ma anche tutti i figli del mio Signore e Padre celeste; poiché li stimai e riguardai come redenti e comprati a caro prezzo. Insegna ciò alle tue suore con verità, fedeltà, finezza d'animo e carità; e fa riflettere loro che se da un lato la divina Maestà si dà per gravemente offesa da tutti quelli che non adempiono questo comandamento - che mio Figlio chiamò suo e nuovo` - dall'altro tanto più grande è la sua indignasere immutabile di Dio alla clemenza. L'Altissimo ascoltò questa richiesta e dispose che il santo angelo custode del benedetto sposo gli parlasse interiormente e gli dicesse ciò che segue: «Non rendere vani gli umili desideri di colei che è superiore a tutte le creature del cielo e della terra. Permetti che ti serva nelle azioni esterne e nell'interno portale somma riverenza; ed in ogni tempo e luogo rendi culto al Verbo incarnato che, come sua Madre, vuole veni& per servire e non già per essere servito; per insegnare al mondo la scienza della vita e la sublime virtù dell'umiltà. In alcune cose faticose potrai alleviarla, venerando sempre in lei il Signore di ogni cosa creata».
420. San Giuseppe dopo l'istruzione e il comando dell'Altissimo diede spazio alla divina Principessa nelle umili occupazioni; tutti e due ebbero occasione di offrire a Dio il grato sacrificio della loro volontà: Maria santissima esercitando sempre la più profonda umiltà ed obbedienza verso il suo sposo ed operando tutti gli atti di queste virtù con eroica perfezione, senza tralasciare nulla e san Giuseppe, d'altra parte, ubbidendo all'Altissimo con la prudente e santa umiliazione che gli veniva dal vedersi assistito e servito da colei che riconosceva per signora sua e di tutte le creature, e per Madre dello stesso Dio e creatore. In questo modo il prudente santo compensava l'umiltà, che non poteva esercitare, con altri atti servili ceduti alla sua sposa: questo l'umiliava ancora di più ed era per lui uno stimolo ad annientarsi nella stima di se stesso. E con tale timore contemplava Maria santissima, ed in lei il Signore che portava nel suo seno verginale, dove egli lo adorava tributandogli magnificenza e gloria. Alcune volte, come premio della sua santità e riverenza, gli si manifestava il bambino divino incarnato, in un modo straordinario; ed egli lo adorava nel seno della sua purissima Madre, come attraverso un cristallo tersissimo. La Regina trattava e conferiva ora più familiarmente con il glorioso santo intorno ai misteri dell'incarnazione, perché non temeva più di conversare con lui sulle cose divine, essendo egli già illuminato ed informato sui sublimi misteri dell'unione ipostatica delle due nature, divina ed umana, nel grembo verginale della sua sposa.
421. Quanto alle conversazioni ed ai ragionamenti celesti, che facevano Maria santissima ed il beato san Giuseppe, nessuna lingua umana è capace di esprimerli. Riferirò qualcosa nei capitoli seguenti, come sarò in grado di fare. Ma chi potrà dichiarare gli effetti che produceva nel dolcissimo e devoto cuore di questo santo, il vedersi non solo sposo di colei che era vera Madre del suo creatore, ma ancor più servito da lei, come se fosse stata un'umile serva, quando invece la stimava, in santità e dignità, superiore a tutti gli eccelsi serafini e solo a Dio inferiore? E se la divina destra arricchì con tante benedizioni la casa e la persona di Obed-Èdom, per aver ospitato alcuni mesi l'arca figurativa dell'antica alleanza', quali benedizioni non dovette dare a san Giuseppe, a cui aveva affidato la vera Arca e lo stesso legislatore che in lei stava racchiuso? Di certo fu incomparabile la sorte e la felicità di questo santo! E non solo perché nella sua casa teneva l'arca, viva e vera, della nuova alleanza, l'altare, il sacrificio e il tempio, giacché tutto gli fu consegnato; ma ancor più perché custodì tutto ciò degnamente come servo fedele e prudente. E venne preposto dallo stesso Signore sopra la sua famiglia, affinché avesse cura di tutto in tempo opportuno'. Tutte le nazioni e le generazioni dunque lo riconoscano e benedicano, e cantino le sue lodi; poiché l'Altissimo non operò con nessun altro popolo' ciò che fece con san Giuseppe. Io indegno e povero vermiciattolo alla luce di siffatti e grandi misteri, esalto e magnifico il Signore Iddio, riconoscendolo come santo, giusto, misericordioso, saggio ed ammirabile nella disposizione di tutte le sue straordinarie opere.
422. L'umile casa di Giuseppe era ripartita in tre stanze, nelle quali si svolgeva la vita ordinaria dei due sposi; e questo spazio era sufficiente per loro, perché non avevano servitori. In una stanza dormiva san Giuseppe; nell'altra egli lavorava e vi teneva gli strumenti del mestiere di falegname; e nella terza, dove c'era una predella fatta a mano da san Giuseppe, abitualmente s'intratteneva e dormiva la Regina del cielo. E da quando si sposarono e vennero ad abitare in questa casa, mantennero questo modo di vivere. Il santo sposo, prima di conoscere la dignità della sua sposa e signora, rarissime volte andava a visitarla perché, mentre ella se ne stava in ritiro, egli s'impegnava nei suoi lavori. E così non entrava nella sua stanza, se non perché mosso dalla necessità di chiederle consiglio. Dacché, però, fu informato della causa della sua felicità, cioè del mistero in lei nascosto, il santo uomo si mostrò più attento e sollecito verso di lei; e per sua consolazione si recò più spesso nella stanza della sovrana Signora per visitarla e sapere se avesse qualcosa da ordinargli. Ma lo faceva sempre con estrema umiltà e timore riverenziale; e prima di parlare spiava in silenzio se la divina Regina si trovasse affaccendata in qualche occupazione. Molte volte la vedeva in estasi, sollevata da terra, avvolta da una luce che emanava un grande splendore; altre volte la vedeva invece accompagnata dai suoi santi angeli e con loro intrattenuta in divini colloqui; ed altre volte ancora la trovava prostrata in terra a forma di croce, mentre discorreva col Signore. Di tutte queste grazie fu partecipe lo sposo Giuseppe. Quando però la celeste Signora si trovava in questo stato e in siffatte occupazioni, egli non ardiva fare altro che ammirarla con profonda riverenza; e aveva la gioia, talvolta, di sentire la soavissima armonia dei concerti celesti, che gli angeli facevano alla loro regina, e di percepire una fragranza dolcissima che lo confortava e lo riempiva di giubilo e di allegrezza spirituale.
423. Vivevano soli nella loro casa, perché come ho già riferito non tenevano alcun servo, e non solo per la loro profonda umiltà, ma anche perché sembrò loro conveniente così, affinché non vi fossero testimoni delle grandi e visibili meraviglie che succedevano fra di loro, né estranei potessero prendervi parte. E per questo la Principessa del cielo non usciva di casa, se non per l'urgentissima causa di servire Dio e beneficare il prossimo; giacché se altra cosa le era necessaria, vi accudiva quella fortunata donna, sua vicina che, come dissi sopra, servi san Giuseppe mentre Maria santissima dimorò nella casa di Zaccaria. E questa per tali servizi ricevette una ricompensa così grande che non solamente lei fu santa e perfetta, ma anche tutta la sua famiglia fu resa felice dalla protezione della Regina e signora del mondo. Inoltre, proprio perché vicina di casa, Maria santissima l'assistette e la curò nelle sue infermità; e infine colmò di celesti benedizioni lei e tutti i suoi familiari.
424. Mai san Giuseppe vide dormire la divina sposa, né seppe per esperienza se dormiva, benché il santo la supplicasse di riposarsi un po', soprattutto nel tempo della sua santa gravidanza. Il riposo della Principessa era sopra la predella, come ho già riferito, fatta a mano dallo stesso san Giuseppe; ed in essa ella teneva due coperte, con le quali s'avvolgeva per prendere un po' di santo sonno. La sua sottoveste era una tonaca o camicia di tela di bombace, più morbida del panno comune. Questa tonaca, però, mai se la cambiò, da quando uscì dal tempio, né questa si logorò, né si sporcò, né la vide alcuno, né san Giuseppe seppe se la portava. La veste esterna era di colore cenere, come ho riferito sopra; Maria santissima soleva qualche volta cambiarla insieme alle cuffie, non perché tali vesti fossero sporche, ma perché, essendo esposte agli occhi di tutti, conveniva evitare che la gente parlasse riguardo al vederla vestita sempre allo stesso modo. Nessuna cosa, infatti, di quelle che portava sopra il suo purissimo e verginale corpo si insudiciò o si macchiò, perché ella non sudava né lamentava altri disagi di cui soffrono i corpi dei figli di Adamo soggetti al peccato. Era in tutto purissima ed i lavori delle sue mani erano estremamente ordinati e puliti; con la stessa perfezione e pulizia si prendeva cura del vestiario di san Giuseppe e di tutto ciò che gli era necessario. Il suo cibo era poco e parco, e ogni giorno lo prendeva con lo stesso santo; non toccò mai carne, benché egli ne mangiasse ed ella gliela preparasse. Il suo pasto consisteva in frutta, pesce, ed ordinariamente pane ed erbe cotte; ma di tutto prendeva, con peso e misura, solamente quello, che richiedevano il sostentamento vitale ed il calore naturale, senza che avanzasse o si alterasse alcuna cosa. Lo stesso modo osservava nel bere, sebbene dagli atti fervorosi traspariva qualche ardore fuor del naturale. Quest'ordine nel cibo, quanto alla quantità, fu da lei sempre seguito; ma quanto alla qualità, per vari motivi che spiegherò in seguito, subì un cambiamento.
425. Maria purissima fu in tutto perfetta, senza che le mancasse alcuna grazia; possedeva con pienezza tutte le doti, sia naturali che soprannaturali. Ma mi mancano le parole per descrivere tale ricchezza, infatti mai mi soddisfano, constatando che non riescono ad esprimere ciò che conosco e, tanto più, ciò che un oggetto così sublime contiene in se stesso. Ho sempre timore della mia insufficienza e mi lamento dei limitati termini e delle scarse parole. Temo infatti di ardire, più di quanto non sia lecito, nel portare avanti ciò che eccede le mie forze; ma l'ubbidienza me lo fa fare, e - non so con qual soave violenza - anima la mia timidezza e mi impedisce di ritirarmi dall'impresa, come invece mi consiglierebbe l'attenta riflessione sulla grandezza dell'opera e la povertà del mio discorrere. Per l'ubbidienza opero e per essa mi vengono elargiti tanti beni: si farà innanzi per discolparmi.
Insegnamento che mi diede la Regina del cielo
426. Figlia mia, nella scuola dell'umiltà ti voglio studiosa e diligente, come ti insegnerà tutto il corso della mia vita; questo deve essere il primo e l'ultimo dei tuoi pensieri, se vuoi prepararti ai dolci amplessi del Signore, ed assicurarti i suoi favori godendo dei tesori della luce nascosta ai superbi. Infatti senza la solida garanzia dell'umiltà non si possono affidare tali ricchezze a nessuna creatura. Tutte le tue preoccupazioni voglio che consistano nell'umiliarti sempre di più nel concetto e nella stima di te stessa. Pensa come agisci e agisci come pensi di te. Insegnamento e motivo di umiliazione deve essere per te e per tutte le anime, che tengono il Signore per Padre e sposo, il vedere che la presunzione e la superbia hanno più potere sopra i figli della sapienza mondana', che non l'umiltà e la vera conoscenza di sé sopra i figli della luce. Considera gli sforzi, la sollecitudine e la vigilanza infaticabile degli uomini alteri ed arroganti. Guarda quanto si danno da fare per valere nel mondo: le loro pretese mai soddisfatte, benché vane! Guarda come operano conforme a ciò che falsamente presumono di se stessi; come presumono ciò che non sono; e mentre non sono quelli che si credono, appunto perché non lo sono, operano come se lo fossero, per acquistare quei beni terreni di cui non sono meritevoli. Sarà dunque motivo di vergogna per gli eletti che l'inganno abbia più potere sopra i figli della perdizione di quanto la verità in essi; e che siano pochi di numero nel mondo coloro che vogliono gareggiare nel servizio di Dio, loro creatore, rispetto a quelli che servono la vanità: tutti sono i chiamati e pochi gli eletti.
427. Cerca dunque, figlia mia, di guadagnare questa scienza e con essa la palma sopra i figli delle tenebre; ed in opposizione alla loro superbia considera ciò che io feci per vincerla nel mondo con l'esercizio dell'umiltà. In questo il Signore ed io ti vogliamo molto saggia e dotta. Non perdere mai l'occasione di fare opere umili, né permettere che alcuno te lo impedisca; e se ti mancheranno le occasioni per umiliarti o non le avrai tanto frequenti, vanne in cerca e chiedi a Dio che te le conceda, perché sua Maestà gradisce e desidera vedere questa sollecitudine. E solamente per questo suo compiacimento dovresti essere in ciò molto attiva e sollecita, come figlia e sposa sua, poiché a tal fine anche l'ambizione umana t'insegnerà a non essere negligente. Considera infatti l'ansia che afferra una donna nella sua casa per aumentare e migliorare la sua roba, non perdendo alcuna occasione per guadagnarne altra: niente le pare molto e se perde qualcosa, pur piccola che sia, il suo cuore va dietro ad essa9. Se l'avidità mondana insegna tanto, non è giusto che la sapienza del cielo debba essere ritenuta più sterile, a causa della negligenza di chi la riceve. E così voglio che non si trovi in te trascuratezza né alcuna dimenticanza in questa cosa che tanto ti interessa; e che non perda occasione, in cui umiliarti e lavorare per la gloria del Signore: affinché quale figlia fedelissima e sposa trovi grazia agli occhi del Signore e ai miei, come il tuo cuore desidera.
LAVORATE PER LE ANIME A.N.A. 126
Catalina Rivas
Maria
Lasciate che il Signore e Io ci prendiamo carico dei giusti, voi lavorate per i violenti e per i ciechi, per i sordi e per i tiepidi, per i malati di indifferenza.