Sotto il Tuo Manto

Martedi, 9 settembre 2025 - San Pietro Claver Sacerdote (Letture di oggi)

Figlia mia, prendi come tema di meditazione: chi è colui al quale il tuo cuore sta tanto intimamente unito?... Prima che io creassi il mondo ti amai di quell'amore che il tuo cuore oggi sperimenta e che mai non muterà  per l'avvenire. Medita la vita divina che scorre nella Chiesa per la salvezza e la santificazione delle anime (cf. i due raggi dell'immagine!). Rifletti se da questi tesori di grazia e da queste manifestazioni del mio amore hai saputo cogliere i frutti che aspettavo. (Santa Faustina Kowalska)

Liturgia delle Ore - Letture

Martedi della 27° settimana del tempo ordinario

Per questa Liturgia delle Ore è disponibile sia la versione del tempo corrente che quella dedicata alla memoria di un Santo. Per cambiare versione, clicca su questo collegamento.
Questa sezione contiene delle letture scelte a caso, provenienti dalle varie sezioni del sito (Sacra Bibbia e la sezione Biblioteca Cristiana), mentre l'ultimo tab Apparizioni, contiene messaggi di apparizioni a mistici o loro scritti. Sono presenti testi della Valtorta, Luisa Piccarreta, don Stefano Gobbi e testimonianze di apparizioni mariane riconosciute.

Vangelo secondo Luca 20

1Un giorno, mentre istruiva il popolo nel tempio e annunziava la parola di Dio, si avvicinarono i sommi sacerdoti e gli scribi con gli anziani e si rivolsero a lui dicendo:2"Dicci con quale autorità fai queste cose o chi è che t'ha dato quest'autorità".3E Gesù disse loro: "Vi farò anch'io una domanda e voi rispondetemi:4Il battesimo di Giovanni veniva dal Cielo o dagli uomini?".5Allora essi discutevano fra loro: "Se diciamo "dal Cielo", risponderà: "Perché non gli avete creduto?".6E se diciamo "dagli uomini", tutto il popolo ci lapiderà, perché è convinto che Giovanni è un profeta".7Risposero quindi di non saperlo.8E Gesù disse loro: "Nemmeno io vi dico con quale autorità faccio queste cose".

9Poi cominciò a dire al popolo questa parabola: "Un uomo 'piantò una vigna', l'affidò a dei coltivatori e se ne andò lontano per molto tempo.10A suo tempo, mandò un servo da quei coltivatori perché gli dessero una parte del raccolto della vigna. Ma i coltivatori lo percossero e lo rimandarono a mani vuote.11Mandò un altro servo, ma essi percossero anche questo, lo insultarono e lo rimandarono a mani vuote.12Ne mandò ancora un terzo, ma anche questo lo ferirono e lo cacciarono.13Disse allora il padrone della vigna: Che devo fare? Manderò il mio unico figlio; forse di lui avranno rispetto.14Quando lo videro, i coltivatori discutevano fra loro dicendo: Costui è l'erede. Uccidiamolo e così l'eredità sarà nostra.15E lo cacciarono fuori della vigna e l'uccisero. Che cosa farà dunque a costoro il padrone della vigna?16Verrà e manderà a morte quei coltivatori, e affiderà ad altri la vigna". Ma essi, udito ciò, esclamarono: "Non sia mai!".17Allora egli si volse verso di loro e disse: "Che cos'è dunque ciò che è scritto:

'La pietra che i costruttori hanno scartata,
è diventata testata d'angolo'?

18Chiunque cadrà su quella pietra si sfracellerà e a chi cadrà addosso, lo stritolerà".19Gli scribi e i sommi sacerdoti cercarono allora di mettergli addosso le mani, ma ebbero paura del popolo. Avevano capito che quella parabola l'aveva detta per loro.

20Postisi in osservazione, mandarono informatori, che si fingessero persone oneste, per coglierlo in fallo nelle sue parole e poi consegnarlo all'autorità e al potere del governatore.21Costoro lo interrogarono: "Maestro, sappiamo che parli e insegni con rettitudine e non guardi in faccia a nessuno, ma insegni secondo verità la via di Dio.22È lecito che noi paghiamo il tributo a Cesare?".23Conoscendo la loro malizia, disse:24"Mostratemi un denaro: di chi è l'immagine e l'iscrizione?". Risposero: "Di Cesare".25Ed egli disse: "Rendete dunque a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio".26Così non poterono coglierlo in fallo davanti al popolo e, meravigliati della sua risposta, tacquero.

27Gli si avvicinarono poi alcuni sadducei, i quali negano che vi sia la risurrezione, e gli posero questa domanda:28"Maestro, Mosè ci ha prescritto: Se a qualcuno muore un fratello che ha moglie, ma senza figli, suo fratello si prenda la vedova e dia una discendenza al proprio fratello.29C'erano dunque sette fratelli: il primo, dopo aver preso moglie, morì senza figli.30Allora la prese il secondo31e poi il terzo e così tutti e sette; e morirono tutti senza lasciare figli.32Da ultimo anche la donna morì.33Questa donna dunque, nella risurrezione, di chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l'hanno avuta in moglie".34Gesù rispose: "I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito;35ma quelli che sono giudicati degni dell'altro mondo e della risurrezione dai morti, non prendono moglie né marito;36e nemmeno possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, essendo figli della risurrezione, sono figli di Dio.37Che poi i morti risorgono, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando chiama il Signore: 'Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe'.38Dio non è Dio dei morti, ma dei vivi; perché tutti vivono per lui".39Dissero allora alcuni scribi: "Maestro, hai parlato bene".40E non osavano più fargli alcuna domanda.

41Egli poi disse loro: "Come mai dicono che il Cristo è figlio di Davide,42se Davide stesso nel libro dei Salmi dice:

'Ha detto il Signore al mio Signore:
siedi alla mia destra,'
43'finché io ponga i tuoi nemici
come sgabello ai tuoi piedi?'

44Davide dunque lo chiama Signore; perciò come può essere suo figlio?".

45E mentre tutto il popolo ascoltava, disse ai discepoli:46"Guardatevi dagli scribi che amano passeggiare in lunghe vesti e hanno piacere di esser salutati nelle piazze, avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei conviti;47divorano le case delle vedove, e in apparenza fanno lunghe preghiere. Essi riceveranno una condanna più severa".


Numeri 1

1Il Signore parlò a Mosè, nel deserto del Sinai, nella tenda del convegno, il primo giorno del secondo mese, il secondo anno dell'uscita dal paese d'Egitto, e disse:2"Fate il censimento di tutta la comunità degli Israeliti, secondo le loro famiglie, secondo il casato dei loro padri, contando i nomi di tutti i maschi, testa per testa,3dall'età di venti anni in su, quanti in Israele possono andare in guerra; tu e Aronne ne farete il censimento, schiera per schiera.4A voi si associerà un uomo per ciascuna tribù, un uomo che sia capo del casato dei suoi padri.
5Questi sono i nomi degli uomini che vi assisteranno. Di Ruben: Elisur, figlio di Sedeur;6di Simeone: Selumiel, figlio di Surisaddai;7di Giuda: Nacason, figlio di Amminadab;8di Issacar: Netanaeel, figlio di Suar;9di Zàbulon: Eliab, figlio di Chelon;10dei figli di Giuseppe, per Efraim: Elisama, figlio di Ammiud; per Manasse: Gamliel, figlio di Pedasur;11di Beniamino: Abidan, figlio di Ghideoni;12di Dan: Achiezer, figlio di Ammisaddai;13di Aser: Paghiel, figlio di Ocran;14di Gad: Eliasaf, figlio di Deuel;15di Nèftali: Achira, figlio di Enan".16Questi furono i prescelti della comunità, erano i capi delle loro tribù paterne, i capi delle migliaia d'Israele.17Mosè e Aronne presero questi uomini che erano stati designati per nome18e convocarono tutta la comunità, il primo giorno del secondo mese; furono registrati secondo le famiglie, secondo i loro casati paterni, contando il numero delle persone dai venti anni in su, uno per uno.19Come il Signore gli aveva ordinato, Mosè ne fece il censimento nel deserto del Sinai.
20Figli di Ruben, primogenito d'Israele, loro discendenti secondo le loro famiglie, secondo i loro casati paterni, contando i nomi di tutti i maschi, uno per uno, dall'età di vent'anni in su, quanti potevano andare in guerra:21i registrati della tribù di Ruben risultarono quarantaseimilacinquecento.
22Figli di Simeone, loro discendenti secondo le loro famiglie, secondo i loro casati paterni, contando i nomi di tutti i maschi, uno per uno, dall'età di vent'anni in su, quanti potevano andare in guerra:23i registrati della tribù di Simeone risultarono cinquantanovemilatrecento.
24Figli di Gad, loro discendenti secondo le loro famiglie, secondo i loro casati paterni, contando i nomi di quelli dall'età di vent'anni in su, quanti potevano andare in guerra:25i registrati della tribù di Gad risultarono quarantacinquemilaseicentocinquanta.
26Figli di Giuda, loro discendenti secondo le loro famiglie, secondo i loro casati paterni, contando i nomi di quelli dall'età di vent'anni in su, quanti potevano andare in guerra:27i registrati della tribù di Giuda risultarono settantaquattromilaseicento.
28Figli di Issacar, loro discendenti secondo le loro famiglie, secondo i loro casati paterni, contando i nomi di quelli dall'età di vent'anni in su, quanti potevano andare in guerra:29i registrati della tribù di Issacar risultarono cinquantaquattromilaquattrocento.
30Figli di Zàbulon, loro discendenti secondo le loro famiglie, secondo i loro casati paterni, contando i nomi di quelli dall'età di vent'anni in su, quanti potevano andare in guerra:31i registrati della tribù di Zàbulon risultarono cinquantasettemilaquattrocento.
32Figli di Giuseppe: figli di Efraim, loro discendenti secondo le loro famiglie, secondo i loro casati paterni, contando i nomi di quelli dall'età di vent'anni in su, quanti potevano andare in guerra:33i registrati della tribù di Efraim risultarono quarantamilacinquecento.
34Figli di Manasse, loro discendenti secondo le loro famiglie, secondo i loro casati paterni, contando i nomi di quelli dall'età di vent'anni in su, quanti potevano andare in guerra:35della tribù di Manasse i registrati risultarono trentaduemiladuecento.
36Figli di Beniamino, loro discendenti secondo le loro famiglie, secondo i loro casati paterni, contando i nomi di quelli dall'età di vent'anni in su, quanti potevano andare in guerra:37i registrati della tribù di Beniamino risultarono trentacinquemilaquattrocento.
38Figli di Dan, loro discendenti secondo le loro famiglie, secondo i loro casati paterni, contando i nomi di quelli dall'età di vent'anni in su, quanti potevano andare in guerra:39i registrati della tribù di Dan risultarono sessantaduemilasettecento.
40Figli di Aser, loro discendenti secondo le loro famiglie, secondo i loro casati paterni, contando i nomi di quelli dall'età di vent'anni in su, quanti potevano andare in guerra:41i registrati della tribù di Aser risultarono quarantunmilacinquecento.
42Figli di Nèftali, loro discendenti secondo le loro famiglie, secondo i loro casati paterni, contando i nomi di quelli dall'età di vent'anni in su, quanti potevano andare in guerra:43i registrati della tribù di Nèftali risultarono cinquantatremilaquattrocento.
44Di quelli Mosè e Aronne fecero il censimento, con i dodici uomini capi d'Israele: ce n'era uno per ciascuno dei loro casati paterni.45Tutti gli Israeliti dei quali fu fatto il censimento secondo i loro casati paterni, dall'età di vent'anni in su, cioè tutti gli uomini che in Israele potevano andare in guerra,46quanti furono registrati risultarono seicentotremilacinquecentocinquanta.47Ma quanti erano leviti, secondo la loro tribù paterna, non furono registrati insieme con gli altri.
48Il Signore disse a Mosè:49"Della tribù di Levi non farai il censimento e non unirai la somma a quella degli Israeliti;50ma incarica tu stesso i leviti del servizio della Dimora della testimonianza, di tutti i suoi accessori e di quanto le appartiene. Essi porteranno la Dimora e tutti i suoi accessori, vi presteranno servizio e staranno accampati attorno alla Dimora.51Quando la Dimora dovrà partire, i leviti la smonteranno; quando la Dimora dovrà accamparsi in qualche luogo, i leviti la erigeranno; ogni estraneo che si avvicinerà sarà messo a morte.52Gli Israeliti pianteranno le tende ognuno nel suo campo, ognuno vicino alla sua insegna, secondo le loro schiere.53Ma i leviti pianteranno le tende attorno alla Dimora della testimonianza; così la mia ira non si accenderà contro la comunità degli Israeliti. I leviti avranno la cura della Dimora".54Gli Israeliti si conformarono in tutto agli ordini che il Signore aveva dato a Mosè e così fecero.


Siracide 10

1Un governatore saggio educa il suo popolo,
l'autorità di un uomo assennato sarà ben ordinata.
2Quale il governatore del popolo, tali i suoi ministri;
quale il capo di una città, tali tutti gli abitanti.
3Un re senza formazione rovinerà il suo popolo;
una città prospererà per il senno dei capi.
4Il governo del mondo è nelle mani del Signore;
egli vi susciterà al momento giusto l'uomo adatto.
5Il successo dell'uomo è nelle mani del Signore,
che investirà il magistrato della sua autorità.

6Non crucciarti con il tuo prossimo per un torto
qualsiasi;
non far nulla in preda all'ira.
7Odiosa al Signore e agli uomini è la superbia,
all'uno e agli altri è in abominio l'ingiustizia.
8L'impero passa da un popolo a un altro
a causa delle ingiustizie, delle violenze e delle
ricchezze.
9Perché mai si insuperbisce chi è terra e cenere?
Anche da vivo le sue viscere sono ripugnanti.
10La malattia è lunga, il medico se la ride;
chi oggi è re, domani morirà.
11Quando l'uomo muore eredita insetti, belve e vermi.
12Principio della superbia umana è allontanarsi dal
Signore,
tenere il proprio cuore lontano da chi l'ha creato.
13Principio della superbia infatti è il peccato;
chi vi si abbandona diffonde intorno a sé l'abominio.
Per questo il Signore rende incredibili i suoi castighi
e lo flagella sino a finirlo.
14Il Signore ha abbattuto il trono dei potenti,
al loro posto ha fatto sedere gli umili.
15Il Signore ha estirpato le radici delle nazioni,
al loro posto ha piantato gli umili.
16Il Signore ha sconvolto le regioni delle nazioni,
e le ha distrutte fin dalle fondamenta della terra.
17Le ha estirpate e annientate,
ha fatto scomparire dalla terra il loro ricordo.
18Non è fatta per gli uomini la superbia,
né per i nati di donna l'arroganza.

19Quale stirpe è onorata? La stirpe dell'uomo.
Quale stirpe è onorata? Coloro che temono il Signore.
20Quale stirpe è ignobile? La stirpe dell'uomo.
Quale stirpe è ignobile?
Coloro che trasgrediscono i comandamenti.
21Tra i fratelli è onorato il loro capo,
ma coloro che temono il Signore lo sono ai suoi occhi.
22Uno ricco, onorato o povero,
ponga il proprio vanto nel timore del Signore.
23Non è giusto disprezzare un povero assennato
e non conviene esaltare un uomo peccatore.
24Il nobile, il giudice e il potente sono onorati;
ma nessuno di loro è più grande di chi teme il Signore.
25Uomini liberi serviranno un servo sapiente;
un uomo intelligente non mormora per questo.

26Non fare il saccente nel compiere il tuo lavoro
e non gloriarti al momento del bisogno.
27Meglio uno che lavora e abbonda di tutto
che chi va in giro vantandosi e manca di cibo.
28Figlio, con modestia glorifica l'anima tua
e rendile onore secondo che merita.
29Chi darà ragione a uno che si dà torto da sé?
Chi stimerà uno che si disprezza?
30Un povero è onorato per la sua scienza,
un ricco è onorato per la sua ricchezza.
31Chi è onorato nella povertà,
quanto più lo sarà nella ricchezza?
Chi è disprezzato nella ricchezza,
quanto più lo sarà nella povertà?


Salmi 18

1'Al maestro del coro. Di Davide, servo del Signore, che rivolse al Signore le parole di questo canto, quando il Signore lo liberò dal potere di tutti i suoi nemici,2 e dalla mano di Saul. Disse dunque:'

Ti amo, Signore, mia forza,
3Signore, mia roccia, mia fortezza, mio liberatore;
mio Dio, mia rupe, in cui trovo riparo;
mio scudo e baluardo, mia potente salvezza.
4Invoco il Signore, degno di lode,
e sarò salvato dai miei nemici.

5Mi circondavano flutti di morte,
mi travolgevano torrenti impetuosi;
6già mi avvolgevano i lacci degli inferi,
già mi stringevano agguati mortali.
7Nel mio affanno invocai il Signore,
nell'angoscia gridai al mio Dio:
dal suo tempio ascoltò la mia voce,
al suo orecchio pervenne il mio grido.

8La terra tremò e si scosse;
vacillarono le fondamenta dei monti,
si scossero perché egli era sdegnato.
9Dalle sue narici saliva fumo,
dalla sua bocca un fuoco divorante;
da lui sprizzavano carboni ardenti.
10Abbassò i cieli e discese,
fosca caligine sotto i suoi piedi.

11Cavalcava un cherubino e volava,
si librava sulle ali del vento.
12Si avvolgeva di tenebre come di velo,
acque oscure e dense nubi lo coprivano.
13Davanti al suo fulgore si dissipavano le nubi
con grandine e carboni ardenti.
14Il Signore tuonò dal cielo,
l'Altissimo fece udire la sua voce:
grandine e carboni ardenti.
15Scagliò saette e li disperse,
fulminò con folgori e li sconfisse.
16Allora apparve il fondo del mare,
si scoprirono le fondamenta del mondo,
per la tua minaccia, Signore,
per lo spirare del tuo furore.

17Stese la mano dall'alto e mi prese,
mi sollevò dalle grandi acque,
18mi liberò da nemici potenti,
da coloro che mi odiavano
ed eran più forti di me.
19Mi assalirono nel giorno di sventura,
ma il Signore fu mio sostegno;
20mi portò al largo,
mi liberò perché mi vuol bene.

21Il Signore mi tratta secondo la mia giustizia,
mi ripaga secondo l'innocenza delle mie mani;
22perché ho custodito le vie del Signore,
non ho abbandonato empiamente il mio Dio.
23I suoi giudizi mi stanno tutti davanti,
non ho respinto da me la sua legge;
24ma integro sono stato con lui
e mi sono guardato dalla colpa.
25Il Signore mi rende secondo la mia giustizia,
secondo l'innocenza delle mie mani davanti ai suoi occhi.

26Con l'uomo buono tu sei buono
con l'uomo integro tu sei integro,
27con l'uomo puro tu sei puro,
con il perverso tu sei astuto.
28Perché tu salvi il popolo degli umili,
ma abbassi gli occhi dei superbi.
29Tu, Signore, sei luce alla mia lampada;
il mio Dio rischiara le mie tenebre.
30Con te mi lancerò contro le schiere,
con il mio Dio scavalcherò le mura.

31La via di Dio è diritta,
la parola del Signore è provata al fuoco;
egli è scudo per chi in lui si rifugia.
32Infatti, chi è Dio, se non il Signore?
O chi è rupe, se non il nostro Dio?
33Il Dio che mi ha cinto di vigore
e ha reso integro il mio cammino;
34mi ha dato agilità come di cerve,
sulle alture mi ha fatto stare saldo;
35ha addestrato le mie mani alla battaglia,
le mie braccia a tender l'arco di bronzo.

36Tu mi hai dato il tuo scudo di salvezza,
la tua destra mi ha sostenuto,
la tua bontà mi ha fatto crescere.
37Hai spianato la via ai miei passi,
i miei piedi non hanno vacillato.
38Ho inseguito i miei nemici e li ho raggiunti,
non sono tornato senza averli annientati.
39Li ho colpiti e non si sono rialzati,
sono caduti sotto i miei piedi.
40Tu mi hai cinto di forza per la guerra,
hai piegato sotto di me gli avversari.

41Dei nemici mi hai mostrato le spalle,
hai disperso quanti mi odiavano.
42Hanno gridato e nessuno li ha salvati,
al Signore, ma non ha risposto.
43Come polvere al vento li ho dispersi,
calpestati come fango delle strade.
44Mi hai scampato dal popolo in rivolta,
mi hai posto a capo delle nazioni.
Un popolo che non conoscevo mi ha servito;
45all'udirmi, subito mi obbedivano,
stranieri cercavano il mio favore,
46impallidivano uomini stranieri
e uscivano tremanti dai loro nascondigli.

47Viva il Signore e benedetta la mia rupe,
sia esaltato il Dio della mia salvezza.
48Dio, tu mi accordi la rivincita
e sottometti i popoli al mio giogo,
49mi scampi dai nemici furenti,
dei miei avversari mi fai trionfare
e mi liberi dall'uomo violento.

50Per questo, Signore, ti loderò tra i popoli
e canterò inni di gioia al tuo nome.
51Egli concede al suo re grandi vittorie,
si mostra fedele al suo consacrato,
a Davide e alla sua discendenza per sempre.


Ezechiele 4

1"Tu, figlio dell'uomo, prendi una tavoletta d'argilla, mettila dinanzi a te, disegnaci sopra una città, Gerusalemme,2e disponi intorno ad essa l'assedio: rizza torri, costruisci terrapieni, schiera gli accampamenti e colloca intorno gli arieti.3Poi prendi una teglia di ferro e mettila come muro di ferro fra te e la città, e tieni fisso lo sguardo su di essa, che sarà assediata, anzi tu la assedierai! Questo sarà un segno per gli Israeliti.
4Mettiti poi a giacere sul fianco sinistro e sconta su di esso la iniquità d'Israele. Per il numero di giorni in cui giacerai su di esso, espierai le sue iniquità:5io ho computato a te gli anni della sua espiazione come un numero di giorni. Per centonovanta giorni tu espierai le iniquità degli Israeliti.
6Terminati questi, giacerai sul fianco destro e sconterai l'iniquità di Giuda per quaranta giorni, computando un giorno per ogni anno.7Terrai fisso lo sguardo contro il muro di Gerusalemme, terrai il braccio disteso e profeterai contro di essa. Ecco ti ho cinto di catene,8in modo che tu non potrai voltarti né da una parte né dall'altra finché tu non abbia compiuto i giorni della tua reclusione.
9Prendi intanto grano, orzo, fave, lenticchie, miglio e spelta, mettili in un recipiente e fattene del pane: ne mangerai durante tutti i giorni che tu rimarrai disteso sul fianco, cioè per centonovanta giorni.10Il cibo che ti prenderai sarà del peso di venti sicli al giorno: lo consumerai nelle ventiquattr'ore.11Anche l'acqua che berrai sarà razionata: un sesto di 'hin', nelle ventiquattro ore.12Mangerai questo cibo in forma di una schiacciata d'orzo, che cuocerai sopra escrementi umani davanti ai loro occhi.13In tal maniera, mi disse il Signore, mangeranno gli Israeliti il loro pane impuro, in mezzo alle genti fra le quali li disperderò".
14Io esclamai: "Ah, Signore Dio, mai mi sono contaminato! Dall'infanzia fino ad ora mai ho mangiato carne di bestia morta o sbranata, né mai è entrato nella mia bocca cibo impuro".15Egli mi rispose: "Ebbene, invece di escrementi umani ti concedo sterco di bue; lì sopra cuocerai il tuo pane".
16Poi soggiunse: "Figlio dell'uomo, ecco io tolgo a Gerusalemme la riserva del pane; mangeranno il pane a razione e con angoscia e berranno l'acqua a misura in preda all'affanno;17così, mancando pane e acqua, languiranno tutti insieme e si consumeranno nella loro iniquità.


Apocalisse 22

1Mi mostrò poi 'un fiume d'acqua viva' limpida come cristallo, che scaturiva dal trono di Dio e dell'Agnello.2'In mezzo' alla piazza della città e 'da una parte e dall'altra del fiume si trova un albero di vita' che da' dodici raccolti e produce frutti ogni 'mese; le foglie' dell'albero servono 'a guarire' le nazioni.

3E non vi sarà più maledizione.
Il trono di Dio e dell'Agnello
sarà in mezzo a lei e i suoi servi lo adoreranno;
4'vedranno la sua faccia'
e porteranno il suo nome sulla fronte.
5Non vi sarà più notte
e non avranno più bisogno di luce di lampada,
né di luce di sole,
perché 'il Signore Dio li illuminerà
e regneranno nei secoli dei secoli'.

6Poi mi disse: "Queste parole sono certe e veraci. Il Signore, il Dio che ispira i profeti, ha mandato il suo angelo per mostrare ai suoi servi ciò che deve accadere tra breve.7Ecco, io verrò presto. Beato chi custodisce le parole profetiche di questo libro".
8Sono io, Giovanni, che ho visto e udito queste cose. Udite e vedute che le ebbi, mi prostrai in adorazione ai piedi dell'angelo che me le aveva mostrate.9Ma egli mi disse: "Guardati dal farlo! Io sono un servo di Dio come te e i tuoi fratelli, i profeti, e come coloro che custodiscono le parole di questo libro. È Dio che devi adorare".
10Poi aggiunse: "Non mettere sotto sigillo le parole profetiche di questo libro, perché il tempo è vicino.11Il perverso continui pure a essere perverso, l'impuro continui ad essere impuro e il giusto continui a praticare la giustizia e il santo si santifichi ancora.
12Ecco, io verrò presto e porterò con me il mio salario, 'per rendere a ciascuno secondo le sue opere'.13Io sono l'Alfa e l'Omega, il Primo e l'Ultimo, il principio e la fine.14Beati coloro che lavano le loro vesti: avranno parte all'albero della vita e potranno entrare per le porte nella città.15Fuori i cani, i fattucchieri, gli immorali, gli omicidi, gli idolàtri e chiunque ama e pratica la menzogna!

16Io, Gesù, ho mandato il mio angelo, per testimoniare a voi queste cose riguardo alle Chiese. Io sono la radice della stirpe di Davide, la stella radiosa del mattino".
17Lo Spirito e la sposa dicono: "Vieni!". E chi ascolta ripeta: "Vieni!". Chi ha sete venga; chi vuole attinga gratuitamente l'acqua della vita.
18Dichiaro a chiunque ascolta le parole profetiche di questo libro: a chi vi aggiungerà qualche cosa, Dio gli farà cadere addosso i flagelli descritti in questo libro;19e chi toglierà qualche parola di questo libro profetico, Dio lo priverà dell'albero della vita e della città santa, descritti in questo libro.
20Colui che attesta queste cose dice: "Sì, verrò presto!". Amen. Vieni, Signore Gesù.21La grazia del Signore Gesù sia con tutti voi. Amen!


Capitolo XVIII: L’uomo non si ponga ad indagare, con animo curioso, intorno al Sacramento, ma si faccia umile imitatore di Cristo e sottometta i suoi sensi alla santa fede

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Parola del Diletto

1. Se non vuoi essere sommerso nell'abisso del dubbio, devi guardarti dall'indagare, con inutile curiosità intorno a questo altissimo Sacramento. "Colui che pretende di conoscere la maestà di Dio, sarà schiacciato dalla grandezza di lui" (Pro 25,27). Dio può fare cose più grandi di quanto l'uomo possa capire All'uomo è consentita soltanto una pia ed umile ricerca della verità, sempre pronta ad essere illuminata, e desiderosa di muoversi entro i salutari insegnamenti dei Padri. Beata la semplicità, che tralascia le ardue strade delle disquisizioni e prosegue nel sentiero piano e sicuro dei comandamenti di Dio. Sono molti quelli che, volendo indagare cose troppo sublimi, perdettero la fede. Da te si esigono fede e schiettezza di vita, non altezza d'intelletto e capacità di penetrare nei misteri di Dio. Tu, che non riesci a conoscere e a comprendere ciò che sta più in basso di te, come potresti capire ciò che sta sopra di te? Sottomettiti a Dio, sottometti i tuoi sensi alla fede, e ti sarà dato lume di conoscenza, quale e quanto potrà esserti utile e necessario. Taluni subiscono forti tentazioni circa la fede e il Sacramento; sennonché, non a loro se ne deve fare carico, bensì al nemico. Non soffermarti su queste cose; non voler discutere con i tuoi stessi pensieri, né rispondere ai dubbi insinuati dal diavolo. Credi, invece alle parole di Dio; affidati ai santi e ai profeti (2Cor 20,20), e fuggirà da te l'infame nemico. Che il servo di Dio sopporti tali cose, talora è utile assai. Il diavolo non sottopone alle tentazioni quelli che non hanno fede, né i peccatori, che ha già sicuramente in sua mano; egli tenta, invece, tormenta, in vario modo, le persone credenti e devote.

2.  Procedi, dunque, con schietta e ferma fede; accostati al Sacramento con umile venerazione. Rimetti tranquillamente a Dio, che tutto può, quanto non riesci a comprendere: Iddio non ti inganna; mentre si inganna colui che confida troppo in se stesso. Dio cammina accanto ai semplici, si rivela agli umili, "dà lume d'intelletto ai piccoli" (Sal 118,130), apre la mente ai puri di cuore; e ritira la grazia ai curiosi e ai superbi. La ragione umana è debole e può sbagliare, mentre la fede vera non può ingannarsi. Ogni ragionamento, ogni nostra ricerca deve andare dietro alla fede; non precederla, né indebolirla. Ecco, predominano allora la fede e l'amore, misteriosamente operanti in questo santissimo ed eccellentissimo Sacramento. Il Dio eterno, immenso ed onnipotente, fa cose grandi e imperscrutabili, in cielo e in terra; e a noi non è dato investigare le meravigliose sue opere. Ché, se le opere di Dio fossero tali da poter essere facilmente comprese dalla ragione umana, non si potrebbero dire meravigliose e ineffabili.


Omelia 56: La lavanda dei piedi.

Commento al Vangelo di San Giovanni - Sant'Agostino d'Ippona

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1. Essendosi messo a lavare i piedi dei discepoli, il Signore venne a Simon Pietro, il quale gli dice: Signore, tu lavare i piedi a me? (Gv 13, 6). Chi non si spaventerebbe nel vedersi lavare i piedi dal Figlio di Dio? Sebbene sia segno di temeraria audacia per il servo contraddire il Signore, per l'uomo opporsi a Dio, tuttavia Pietro preferì questo piuttosto che lasciarsi lavare i piedi dal suo Signore e Dio. Né dobbiamo credere che Pietro sia stato il solo a spaventarsi e a rifiutare il gesto del Signore, quasi che gli altri, prima di lui, avessero accettato volentieri e senza scomporsi quel servizio. Le parole del Vangelo, veramente, si lascerebbero più facilmente intendere nel senso che Gesù comincia a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli col panno di cui si era cinto, e subito dopo viene a Simon Pietro, facendo supporre che il Signore avesse già lavato i piedi a qualcuno, e che, dopo, fosse arrivato al "primo" degli Apostoli. Chi non sa infatti che il beatissimo Pietro era il primo degli Apostoli? In realtà non è da pensare che sia arrivato a lui dopo aver lavato i piedi ad altri, ma che abbia cominciato da lui. Quando, dunque, cominciò a lavare i piedi dei discepoli, si appressò a colui dal quale doveva cominciare, cioè a Pietro; e allora Pietro rimase senza fiato, come sarebbe rimasto senza fiato qualsiasi altro di loro, e disse: Signore, tu lavare i piedi a me? Tu? A me? E' meglio meditare che tentare di spiegare queste parole, nel timore che la lingua sia incapace di esprimere quanto l'anima è riuscita a concepire.

[La protesta di Pietro.]

2. Ma Gesù risponde, e gli dice: Ciò che io faccio, tu adesso non lo comprendi: lo comprenderai dopo. E tuttavia, sgomento per l'altezza di quel gesto del Signore, Pietro non lascia fare ciò di cui ancora non comprende il motivo: ancora non accetta, ancora non tollera che Cristo si umili ai suoi piedi. Non mi laverai - gli dice - i piedi in eterno. Che significa in eterno? Significa: mai accetterò, mai sopporterò, mai permetterò una cosa simile. Si dice infatti che una cosa non accadrà in eterno se non accadrà mai. Allora il Salvatore vince la riluttanza del malato spaventandolo col pericolo che corre la sua salute. Gli risponde: Se non ti laverò, non avrai parte con me. Gli dice: Se non ti laverò, pur trattandosi soltanto dei piedi, così come si usa dire: "mi calpesti", quando soltanto i piedi vengono calpestati. Ma Pietro combattuto fra l'amore e il timore, spaventato più all'idea di perdere Cristo che di vederselo umiliato ai suoi piedi, Signore - dice - non soltanto i piedi, ma anche le mani e il capo! (Gv 13, 7-9). Cioè, davanti a questa minaccia, io ti do da lavare tutte le mie membra; non solo non ti sottraggo più quelle inferiori, ma ti presento altresì quelle superiori. Purché tu non mi rifiuti di aver parte con te, non ti rifiuto nessuna parte del mio corpo che tu voglia lavare.

3. Gli risponde Gesù: Chi si è lavato, non ha bisogno che di lavarsi i piedi; ed è tutto mondo (Gv 13, 10). Può darsi che qualcuno colpito, si domandi: Se è del tutto mondo, che bisogno ha di lavarsi i piedi? Il Signore però sapeva quel che diceva, anche se la nostra debolezza non riesce a penetrare i suoi segreti. Tuttavia, nella misura che egli si degna istruirci ed educarci con la sua legge, per quel poco che mi è dato di capire e di esprimere, tenterò con il suo aiuto, di dare una risposta a questo problema profondo. Anzitutto non mi è difficile dimostrare che nelle parole del Signore non vi sono contraddizioni. Non si può forse dire, parlando correttamente, che uno è del tutto mondo eccetto che nei piedi? Sarebbe più elegante dire: è del tutto mondo, ma non i piedi; il che è lo stesso. E' questo che il Signore dice: Non ha bisogno che di lavarsi i piedi, perché è del tutto mondo. Vale a dire: è interamente pulito, eccetto i piedi, oppure: ha bisogno di lavarsi soltanto i piedi.

4. Ma perché questa frase? che vuol dire? e perché è necessario ricercarne il significato? E' il Signore che così si esprime, è la verità che parla: anche chi è pulito ha bisogno di lavarsi i piedi. A che cosa vi fa pensare, fratelli miei? A che cosa se non a questo, che l'uomo nel santo battesimo è lavato tutto intero compresi i piedi, tutto completamente; ma siccome poi deve vivere nella condizione umana, non può fare a meno di calcare con i piedi la terra? Gli stessi affetti umani, di cui non si può fare a meno in questa vita mortale, sono come i piedi con cui ci mescoliamo alle cose terrene; talmente che, se ci dicessimo immuni dal peccato, inganneremmo noi stessi e la verità non sarebbe in noi (cf. 1 Io 1, 8). Ogni giorno ci lava i piedi colui che intercede per noi (cf. Rm 8, 34); e ogni giorno noi abbiamo bisogno di lavarci i piedi, cioè di raddrizzare i nostri passi sulla via dello spirito, come confessiamo quando nell'orazione del Signore diciamo: Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori (Mt 6, 12). Se infatti - come sta scritto - confessiamo i nostri peccati, colui che lavò i piedi ai suoi discepoli senza dubbio è fedele e giusto da rimetterceli e purificarci da ogni iniquità (1 Io 1, 9), cioè da purificarci anche i piedi con cui camminiamo sulla terra.

[Cristo purifica la sua Chiesa.]

5. La Chiesa dunque, che Cristo purifica con il lavacro dell'acqua mediante la parola, è senza macchia e senza rughe (cf. Ef 5, 26-27) in coloro che subito dopo il lavacro di rigenerazione vengono sottratti al contagio di questa vita, cosicché, non calpestando la terra, non hanno bisogno di lavarsi i piedi; non solo: lo è pure in coloro ai quali la misericordia del Signore ha concesso di emigrare da questo mondo anche con i piedi lavati. Ma anche ammesso che la Chiesa sia pura in coloro che dimorando in terra vivono degnamente, questi tuttavia hanno bisogno di lavarsi i piedi, non essendo del tutto senza peccato. Perciò il Cantico dei Cantici dice: Mi son lavati i piedi; dovrò ancora sporcarmeli? (Ct 5, 3). La Sposa dice così in quanto, per raggiungere Cristo, deve camminare sulla terra. Si presenta qui un'altra difficoltà. Cristo non è forse lassù in alto? Non è forse asceso in cielo, dove siede alla destra del Padre? Non esclama l'Apostolo: Se siete risuscitati con Cristo, cercate le cose che stanno in alto, dove si trova Cristo assiso alla destra di Dio; abbiate la mente alle cose dell'alto, non a quelle della terra (Col 3, 1-2)? Come mai allora, per raggiungere Cristo, siamo costretti a camminare coi piedi in terra, dal momento che occorre piuttosto avere il cuore in alto verso il Signore, per poter essere sempre con lui? Vedete bene, o fratelli, che oggi non abbiamo il tempo per affrontare con calma una tale questione. Anche se voi non ve ne rendete conto, io vedo che occorre un serio approfondimento. Perciò vi chiedo di rimandarla piuttosto che trattare la questione con fretta e superficialmente, non defraudando ma rinviando la vostra attesa. Il Signore, che oggi ci fa vostri debitori, ci concederà di pagare il debito.


Uniformità alla volontà di Dio

Sant'Alfonso Maria de Liguori - Sant'Alfonso Maria de Liguori

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Tutta la nostra perfezione consiste nell’amare il nostro amabilissimo Dio: Charitas est vinculum perfectionis. (Col. 3.14). Ma tutta poi la perfezione dell’amore a Dio consiste nell’unire la nostra alla sua santissima volontà. Questo già è il principale effetto dell’amore, dice S. Dionigi Areopagita (de Div. Nom. c. 4.) l’unire le volontà degli amanti, sicchè abbiano lo stesso volere. E perciò quanto più alcuno sarà unito alla divina volontà, tanto sarà maggiore il suo amore. Piacciono sibbene a Dio le mortificazioni, le meditazioni, le communioni, le opere di carità verso il prossimo; ma quando? quando sono secondo la sua volontà; ma quando non vi è la volontà di Dio, non solamente egli non le gradisce, ma le abbomina, e le castiga. Se mai vi sono due servi, l’un de’ quali fatica tutto il giorno senza riposare, ma vuol fare ogni cosa a suo modo, l’altro fatica meno, ma ubbidisce in tutto: certamente il padrone amerà questo secondo, e non il primo. Che servono l’opere nostre allà gloria di Dio, quando non sono secondo il suo beneplacito? Non vuole il Signore sacrifici (dice il Profeta a Saulle), ma l’ubbidienza ai suoi voleri: Numquid vult Dominus holocausta, et victimas, et non potius, ut obediatur voci Domini? . . Quasi scelus idolatriae est nolle acquiescere. (1 Reg. 15.22) L’uomo, che vuole operare per propria volontà senza quella di Dio, commette una specie d’Idolatria, poiché allora in vece di adorare la volontà divina, adora in certo modo la sua.

Questa dunque è la maggior gloria, che noi possiamo dare a Dio, l’adempire in tutto i suoi santi voleri. Il nostro Redentore, che venne in terra a stabilire la divina gloria, questo principalmente venne ad insegnarci col suo esempio. Padre: Hostiam et oblationem noluisti, corpus autem aptasti mihi; tunc dixi ecce venio, ut faciam, Deus, voluntatem tuam. (Heb. 10.5) Voi avete rifiutate le vittime, che v’ hanno offerte gli uomini; voi volete, ch’ io vi sacrifichi il corpo, che m’ avete dato, eccomi pronto a fare la vostra volontà. E di ciò si protestò più volte, ch’ egli era venuto in terra non a fare la sua, ma solamente la volontà del suo Padre: Descendi de caelo, non ut faciam voluntatem meam, sed voluntatem ejus qui misit me. (Jo 6.38) Ed in ciò volle, che’ l mondo avesse conosciuto l’amore, che gli portava al suo Genitore, in ubbidire alla sua volontà, che lo volea sagrificato sulla croce per la salute degli uomini; così appunto disse nell’orto, allorchè andò all’incontro ai suoi nemici, che venivano a prenderlo per condurlo alla morte: Ut cognoscat mundus, quia diligo Patrem, et sicut mandatum dedit Pater, sic facio; surgite, eamus hinc. (Jo 14.31) Ed in ciò disse, ch’ egli riconoscea che fosse suo fratello, chi avesse fatta la divina volontà: Qui fecerit voluntatem Patris mei. (Matth 12.50) ipse meus frater.

Tutti i Santi in ciò hanno avuta sempre fissa la mira in fare la divina volontà, ben intendendo, che qui consiste tutta la perfezione d’un’anima.. Diceva il B. Errico Susone (l. 2. c. 4) Dio non vuole, che noi abbondiamo de’ lumi, ma che in tutto ci sottomettiamo alla sua volontà. E S. Teresa: Tutto quello, che dee procurare chi si esercita nell’orazione, è di conformare la sua volontà alla divina; e si assicuri, che in questo consiste la più alta perfezione. Chi più eccellentemente la praticherà, riceverà da Dio i più gran doni, e farà più progressi nella vita interiore. La B. Stefana da Soncino Domenicana essendo un giorno in visione condotta in cielo vide alcune persone defonte, ch’ ella avea conosciute, collocate tra i Serafini, e le fu detto, che quelle erano state sublimate a tanta gloria per la perfetta uniformità, che aveano avuta in terra alla volontà di Dio, che un Serafino colla mia.

In questa terra dobbiamo apprendere dai Beati del cielo come abbiamo da amare Dio. L’amor puro, e perfetto, che i Beati in cielo hanno per Dio, è nell’unirsi perfettamente alla sua volontà. Se i Serafini intendessero esser suo volere, che s’ impiegassero per tutta l’eternità ad ammucchiare le arene de’ lidi, o a svellere l’erbe de’ giardini, volentieri lo farebbero con tutto il lor piacere. Più; se Dio facesse loro intendere, che andassero ad ardere nel fuoco dell’Inferno, immediatamente si butterebbero in quell’abisso per fare la divina volontà. E questo è quello, che c’ insegnò a pregare Gesù Cristo, cioè l’eseguire la volontà divina in terra, come la fanno i santi in cielo: Fiat voluntas tua sicut in caelo et in terra. (Matth. 6.9)

Il Signore chiamava David l’uomo secondo il suo cuore, perché David adempiva tutti i suoi voleri: Inveni virum secundum cor meum, qui faciet omnes voluntates meas. (Act 13.22) Davide stava sempre apparecchiato ad abbracciare la divina volontà, come spesso si protestava: Paratum cor meum. Deus, paratum cor meum. (Ps. 58.8 et Ps. 107.1) E d’altro non supplicava il Signore, che d’insegnarli a fare la sua volontà: Doce me facere voluntatem tuam. (Ps. 142.10) Un atto di perfetta uniformità al divino volere basta a fare un santo. Ecco Saulo mentre va perseguitando la Chiesa, Gesù Cristo l’illumina, e lo converte. Che fa Saulo? che dice? non fa altro, che offerirsi a fare la sua vonontà: Domine, quid me vis facere? (Act 9.6) Ed ecco, che’ l Signore lo dichiara vaso d’elezione, ed Apostole deele genti: Vas ecectionis est mihi iste, ut portet nomen meum coram gentibus. (Act 9.15) Sì perché quegli, che dà la sua volontà a Dio, gli dà tutto; chi gli dà le robe colle limosine, il sangue col flagellarsi, i cibi co’ digiuni, dona a Dio parte di ciò, che tiene; ma chi gli dona la sua volontà, gli dona tutto, onde può dirgli: Signore, io son povero, ma vi dono tutto quel che posso; dandovi la mia volontà, non ho più che darvi. Ma questo appunto è il tutto, che da noi pretende il nostro Dio: Fili mi, praebe cor tuum mihi. (Prov 23.1) Figlio, dice il Signore a ciascuno, figlio, dammi il tuo cuore, cioè la tua volontà. Nihil gratius Deo (parla S. Agostino) possumus ei offerre, quam ut dicamus ei: Posside nos. No, che non possiamo offerire a Dio cosa più cara, che con dirgli: Signore possedeteci voi; noi vi doniamo tutta la nostra volontà, fateci intendere quello che da noi volete, e noi l’eseguiremo.

Se dunque vogliamo compiacere appieno il cuore di Dio, procuriamo in tutto di conformarci alla sua divina volontà; e non solo di conformarci, ma uniformarci a quanto Dio dispone. La conformità importa, che noi congiungiamo la nostra volontà alla volontà di Dio; ma l’uniformità importa di più, che noi della volontà divina, e della nostra ne facciamo una sola, sì che non vogliamo altro se non quello, che vuole Dio, e la sola volontà di Dio sia la nostra. Ciò è il sommo della perfezione, a cui dobbiamo sempre aspirare; questa ha da esser la mira di tutte le nostre opere, di tutti i desideri, meditazione, e preghiere. In ciò abbiamo da pregare ad ajutarci tutti i nostri santi Avvocati, i nostri Angeli Custodi, e sopratutto la divina Madre Maria, la quale perciò fu la più perfetta di tutti i Santi, perché più perfettamente ella abbracciò sempre la divina volontà.

Ma il forte sta nell’abbracciare la volontà di Dio in tutte le cose che avvengono o prospere, o avverse ai nostri appetiti. Nelle cose prospere anche i peccatori ben sanno uniformarsi alla divina volontà; ma i santi si uniformano anche nelle contrarie, e dispiacenti all’amor proprio. Qui si vede la perfezione del nostro amore a Dio. Diceva il V. S. Giovanni Avila: Vale più un benedetto sia Dio nelle cose avverse, che sei milia ringraziamenti nelle cose a voi dilettevoli.

Di più bisogna uniformarci al divina volere, non solo nelle cose avverse, che ci vengono direttamente da Dio, come sono le infermità, le desolazioni di spirito, la povertà, laorte de’ parenti, e simili; ma ancora in quelle, che ci vengono per mezzo degli uomini, come sono i dispregi, l’infamie, l’ingiustizie, i furti, e tutte le sorte di persecuzioni. In ciò bisogna intendere, che quando noi siamo offesi da alcuno nella fama, nell’onore, ne’ beni, benchè il Signore non voglia il peccato di colui, vuole nondimeno la nostra umiliazione, la nostra povertà, e mortificazione. E’ certo, e di fede, che quanto avviene nel mondo, tutto avviene per divina volontà. Ego Dominus formans lucem et tenebras, faciens pacem, et creans malum. (Is. 45.7) Da Dio vengono tutti i bene e tutti i mali, cioè tutte le cose a noi contrarie, che noi chiamiamo falsamente mali; perché in verità sono beni, quando noi gli prendiamo dalle sue mani. Si erit malum in civitate, quod Dominus non fecerit? disse il Profeta Amos 3.6. E prima lo disse il Savio; Bona et mala, vita et mors a Deo sunt. (Eccl. 12.14) E’ vero, come ho detto, che allorchè un uomo ti offende ingiustamente, Dio non vuole il peccato di colui, nè concorre alla malizia della di lui volontà; ma ben concorre col concorso generale all’azione materiale, colla quale quel tale ti percuote, ti ruba o t’ ingiuria; sì che l’offesa, che tu patisci, certamente la vuole Dio, e dalle sue mani ti viene. Perciò il Signore disse a Davide, ch’ egli era l’autore dell’ingiurie, che dovea fargli Assalonne, sino a torgli le mogli davanti ai suoi occhi; e ciò in castigo de’ suoi peccati: Ecce ego suscitabo super te malum de domo tua, et tollam uxores tuas in oculis tuis, et dabo proximo tuo. (2 Reg. 12.11) Perciò disse anche agli Ebrei, che in pena delle loro iniquità avrebbe mandati gli Assiri a spogliarli, e rovinarli: Assur virga furoris mei . . . mandabo illi ut auferat spolia, et diripiat praedam. (Is. 10.5) Spiega S. Agostino: Impietas eorum tamquam securis Dei facta est. (In Ps. 37) Dio si servì dell’iniquità degli Assiri, come d’una mannaja per castigare gli Ebrei. E Gesù medesimo disse a S. Pietro, che la sua passione, et morte, non tanto gli veniva dagli uomini, quanto dal suo medesimo Padre: Calicem quem dedit mihi Pater, non vis ut bibam illum?

Giobbe allorchè venne il nunzio (che vogliono essere stato il demonio) a dirgli, che i Sabei si aveano tolte tutte le di lui robe, e gli aveano uccisi i figli; il Santo che rispose: Dominus dedit, Dominus abstulit. (1.21) Non disse il Signore m’ ha dati i figli, i beni, ed i Sabei me gli han tolti; ma il Signore me gli ha dati, ed il Signore gli ha tolti; perché bene intendeva, che quella perdita era voluta da Dio, e perciò soggiunse: Sicut Domino placuit, ita factum est: sit nomen Domini benedictum. (ibid) Non bisogna dunque prendere i travagli, che ci avvengono, come succeduti a saco, o per sola colpa degli uomini, bisogna star persuaso, che quanto ci accade, tutto accade per volontà divina: quicquid hic accedit contra voluntatem nostram, noveris non accidere nisi de voluntate Dei. (D. August. in Ps. 148. Epitetto, ed Atone, Rosweid. l.1), felici Martiri di Gesù Cristo, posti dal Tiranno alla tortura, stracciati con uncini di ferro, brustoliti con torce ardenti, altro non diceano: Signore, si faccia in noi la tua volontà. E giunti al luogo del supplicio, proferirono ad alta voce: Siate benedetto, o Dio eterno, poiché la vostra volontà è stata in noi adempita in tutto.

Narra Cesario (lib. 10, c.6) che un certo Religioso, benchè non fosse punto differente dagli altri nell’esterno, non però era giunto a tal santità, che col solo tatto delle sue vesti guariva gl’infermi. Il suo Superiore di ciò maravigliandosi gli disse un giorno, come mai facesse tali miracoli, non facendo una vita più esemplare degli altri. Quegli rispose, che ancor esso se ne maravigliava, e che non ne sapeva il perché. Ma qual divozione voi praticate, ripigliò l’Abbate? Rispose il buon Religioso ch’ egli niente o poco faceva, se non che aveva sempre avuta un gran cura di volere solo ciò, che Dio voleva, e che il Signore gli aveva fatta questa grazia, di tenere abbandonata la sua volontà totalmente in quella di Dio. La prosperità (disse) non mi solleva, nè l’avversità mi abbatte, perché io prendo ogni cosa dalle mani di Dio, ed a questo fine tendono tutte le mie orazioni, cioè, che la sua volontà perfettamente in me si adempia. E di quel danno (ripigliò il Superiore), che l’altr’ jeri ci fece quel nostro nemico in toglierci il nostro sostentamento, mettendo fuoco al podere dov’ erano le nostre biade, i nostri bestiami, voi non aveste alcun risentimento? No, Padre mio, egli rispose; ma al contrario ne rendei grazie a Dio, come lo soglio fare in simili accidenti, sapendo che Dio tutto fa, o permette per gloria sua, e per nostro maggio bene, e con ciò vivo sempre contento per ogni cosa, che avviene. Ciò inteso l’Abbate, vedendo in quell’anima tanta uniformità alla volontà divina, non restò più maravigliato, che facesse sì gran miracoli.

Chi fa così, non solo si fa santo, ma gode ancora in terra una pace perpetua. Alfonso il grande (Panorm. in Vita) Re di Aragona, Principe savissimo, interogato un giorno, qual’uomo stimasse più felice in questo mondo? Rispose, quello il quale si abbandona nella volontà di Dio, e che riceve tutte le cose prospere, ed avverse dalle sue mani. Diligentibus Deum omnia cooperantur in bonum. (Rom 8) Gli amanti di Dio vivon sempre contenti, perché tutto il loro piacere è di adempire anche nelle cose contrarie la divina volontà; onde gli stessi travagli si convertono loro in contenti, pensando che con accettarli dan gusto al loro amato Signore: Non contristabit justum quidquid ei acciderit. (Prov 10.11) Ed in fatti qual maggior contento può mai provare un uomo, che in veder adempiuto quanto egli vuole? Or quando alcuno non vuole se non quello, che vuole Dio, avvenendo già sempre tutto ciò, che avviene nel mondo (fuori del peccato) per volontà di Dio, avviene in conseguenza quanto esso vuole. Si narra nelle Vite de’ Padri d’un contadino, i cui terreni rendeano maggior frutto degli altri; dimandato questi, come ciò accadesse, rispose, che di ciò non si maravigliassero, perch’ egli avea sempre i tempi, come li voleva; e come? Sì, replicò, perché io non voglio altro tempo, se non quello, che vuole Dio, e conforme io voglio quel, che Dio vuole, così egli mi dà i frutti, come li vogl’io. L’anime rassegnate, dice il Salviano, se sono umiliate, questo vogliono: se patiscono povertà, vogliono esser povere; in somma quanto gli avviene, tutto lo vogliono: e perciò sono in questa vita felici: Humiles sunt, hoc volunt; paperes sunt, paupertate delectantur; itaque beati dicendi sunt. Viene il freddo, il caldo, la pioggia, il vento, che piova, perché così vuole Dio. Viene la povertà, la persecuzione, l’infermità, la morte, ed io voglio (colui dice) esser povero, perseguitato, infermo; voglio anche morire, perché così vuole Dio.

Questa è la bella libertà, che godono i Figli di Dio, che vale più delle Signorie, e di tutti i Regni della terra. Questa è la gran pace, che provano i Santi, la quale exuperat omnem sensum. (Eph. 3.2), avanza tutti i piaceri de’ sensi, tutti i festini, i banchetti, gli onori, e tutte l’altre soddisfazioni del mondo, le quali, perché sono vane, e caduche, benchè allettano il senso per quei momenti in cui si assagiano, nondimeno non contentano, ma affliggono lo spirito, dove sta il vero contento; che perciò Salomone, dopo aver goduto al sommo di tai diletti mondani, esclamava afflitto: Sed et hoc vanitas, et afflictio spiritus. (Ecclesiast. 4.6) Stultus (dice lo Spirito Santo) sicut luna mutatur, sapiens in sapientia manet sicut vult. . . (Eccl. 27.12) Lo stolto, cioè il peccatore si muta come la luna, ch’ oggi cresce domani manca: oggi lo vedrai ridere, domani piangere: oggi mansueto, domani stizzato, come una tigre; e perché? perché la sua contezza dipende dalle prosperità, o avversità, che incontra, e perciò si muta, come si mutano le cose che gli accadono. Ma il giusto è come il sole sempre uguale nella sua serenità, in qualsivoglia cosa, che succede; perché il suo contento è nell’uniformarsi alla divina volontà, e perciò gode una pace imperturbabile. Et in terra pax hominibus bonae vluntatis (Luc. 2.15), disse l’Angelo ai Pastori. E chi mai sono quest’ uomini di buona volontà, se non coloro, che stan sempre uniti alla volontà di Dio, ch’ è sommamente buona, e perfetta? Voluntas Dei bona, beneplacens, et perfecta. Sì, perché Dio non vuole, che’ l meglio, e’ l più perfetto.

I Santi in questa terra nell’uniformarsi alla volontà divina han goduto un Paradiso anticipato. I Padri antichi, dice S. Doroteo, che così si conservavano in gran pace, con prendere ogni cosa dalle mani di Dio. S. Maria Madalena de’ Pazzi in sentir solamente nominare Volontà di Dio, si sentiva consolare, che usciva fuor di se in astasi d’amore. Non mancheranno per altro le punture delle cose avverse a farsi sentire dal senso, ma tutto ciò non avverrà, che nella parte inferiore; ma nella superiore dello spirito regnerà la pace, e la tranquillità, stando la volontà unita a quella di Dio. Gaudium vestrum (disse il Redentore agli Apostoli) nemo tollet a vobis. Gaudium vestrum sit plenum. (Jo 16.22) Chi sta sempre uniformato alla divina volontà, ha un gaudio pieno, e perpetuo: pieno, perché ha quanto vuole, come di sopra s’ è detto: perpetuo, perché un tal gaudio niuno ce lo può togliere, mentre niuno può impedire, che non avvenga quel, che Dio vuole.

Il P. Giovan Taulero (appresso il P. Sangiurè Erar. to 3, e’ l P. Nieremb. Vita Div.) narra di se stesso, che avendo egli pregato per molti anni il Signore a mandargli chi gli insegnasse la vera vita spirituale, un giorno udì una voce, che gli disse: Va alla tal Chiesa, ed alla porta trova un misero mendico, scalzo, e tutto lacero; lo saluta: Buon giorno, amico. Il povero risponde: Signor maestro, io non mi ricordo giammai d’aver avuto un giorno cattivo. Il Padre replicò: Iddio vi dia una felice vita. Ripigliò quegli; Ma io non sono stato mai infelice. E poi soggiunse: Udite, Padre mio, non a caso io ho detto non aver avuto alcun giorno cattivo, perché quando ho fame, io lodo Dio; quando fa neve, o pioggia io lo benedico: se alcuno mi disprezza, mi scaccia, se provo altra miseria, io sempre ne do gloria al mio Dio. Ho detto poi, che non sono stato mai infelice, e ciò anch’ è vero, poich’ io sono avvezzo a volere tutto ciò, che vuole Dio senza reserba; perciò tutto quel, che m’ avviene o di dolce, o di amaro, io lo ricevo dalla sua mano con allegrezza, come il meglio per me, e questa è la mia felicità.E se mai, ripigliò il Taulero, Dio vi volesse dannato, voi che direste? Se Dio ciò volesse (rispose il mendico), io coll’umiltà, e coll’amore mi abbraccierei col mio Signore, e lo terrei sì forte, che se egli volesse precipitarmi all’Inferno, sarebbe necessitato a venir meco, e così poi mi sarebbe più dolce essere con lui nell’inferno, che posseder senza lui tutte le delizie del cielo. Dove avete trovato voi Dio, disse il Padre? E quegli: Io l’ho trovato, dove ho lasciate le creature. Voi chi siete? E’ l povero: Io sono Re. E dove sta il vostro Regno? Sta nell’anima mia, dove io tengo tutto ordinato, le passioni ubbidiscono alla ragione, e la ragione a Dio. Finalmente il Taulero gli domandò, che cosa l’avea condotto a tanta perfezione? E’ stato (rispose) il silenzio, tacendo cogli uomini per parlare con Dio; e l’unione, che ho tenuta col mio Signore, in cui ho trovata, e trovo tutta la mia pace. Tale in somma fu questo povero per l’unione, ch’ ebbe colla divina volontà; egli fu certamente nella sua povertà più ricco, che tutti i Monarchi della terra, e ne’ suoi patimenti più felice che tutti i mondani colle loro delizie terrene.

Oh la gran pazzia è quella di coloro, che ripugnano alla divina volontà; hanno già essi da soffrire i travagli, perché niuno mai può impedire, che non si eseguiscano i divini decreti. Voluntati ejus quis resistet? (Rom 9.19) Ed all’incontro l’han da soffrire senza frutto, anzi con tirarsi sopra maggiori castighi per l’altra vita, e maggior inquietudine in questa. Quis restitit ei, et pacem habuit? (Job 24) Gridi quanto vuole quell’infermo ne’ suoi dolori, quel povero nelle sue miserie si lamenti di Dio, si arrabbi, bestemmi quanto gli piace, che ne caverà, se non far doppio il suo male? Quid quaeris homuncio quaerendo bona? (dice S. Agostino) quare unum bonum, in quo sunt omnia bona. Che vai cercando, omicciuolo, fuori del tuo Dio? trova Dio, unisciti, stringiti colla sua volontà, e viverai sempre felice in questa, e nell’altra vita.

E che altro in somma vuole il nostro Dio, se non il nostro bene? Chi mai possiamo trovare, che ci ami più di Dio? Altra non è la sua volontà, non solo che niuno si perda, ma che tutti si salvino, e si facciano santi. Nolens aliquos perire, sed omnes ad poenitentiam reverti. (2 Petr. 3.9) Voluntas Dei sanctificatio vestra. (1 Thess. 4.3) Iddio nel nostro bene ha collocata la sua gloria, poiché essendo egli per sua natura bontà infinita, come dice S. Leone, Deus cujus natura bonitas; e la bontà desiderando per sua natura di diffondersi, Iddio ha un sommo desiderio di far participi l’anime de’ suoi beni, e della sua felicità. E se ci manda tribulazioni in questa vita, tutte sono per nostro bene. Omnia cooperantur in bonum. (ad Rom. 8.28) Ancora i castighi, come disse la santa Giuditta, non ci vengono da Dio per la nostra rovina, ma affinchè ci emendiamo, e salviamo: Ad emendationem, non ad perditionem nostram evenisse credamus. (Jud. 8.17) Il Signore affin di salvarci dai mali eterni, ne circonda colla sua buona volontà. Domine ut scuto bonae voluntatis tuae coronasti nos. (Ps 5.1) Egli non solamente desidera, ma è sollecito della nostra salute. Deus solicitus est mei. (Ps 29.18) E qual cosa ha donato il suo medesimo Figlio? Qui proprio Filio suo non pepercit, sed pro nobis omnibus tradidit illum; quomodo non etiam cum illo omnia nobis donavit? (Rom 8.32) Con questa confidenza dunque dobbiamo abbandonarci nelle divine disposizioni, che tutte sono per nostro bene. Diciamo sempre in ogni cosa, che ci avviene: In pace in idipsum dormiam, et requiescam, quoniam tu, Domine, singulariter in spe constituisti me. (Ps 4) Mettiamci pure tutti in mano sua, perch’ egli certamente avrà cura di noi: Omnem sollicitudinem vestram projicientes in eum, quoniam ipsi cura est de vobis. (1 Petr. 5.7) Pensiamo poi a Dio, ad adempire la sua volontà, ch’ egli penserà a noi, ed al nostro bene. Figlia (disse il Signore a S. Caterina di Siena) pensa tu a me, ed io penserò sempre a te. Diciamo sovente colla sacra Sposa: Dilectus meus mihi, et ego illi. (Cant. 2.6) L’amato mio pensa al mio bene, io non voglio pensare ad altro, che a dargli gusto, e ad uniformarmi in tutto ai suoi santi voleri. Dicea il santo Abbate Nilo, che non dobbiamo già noi pregare il Signore, che faccia succedere quello, che noi vogliamo, ma che si adempisca in noi la sua volontà. E quando poi ci accadono le cose avverse, accettiamole tutte dalle divine mani, non solo con pazienzia, ma con allegrezza, ad esempio degli Apostoli, che ibant gaudentes a conspectu concilii, quoniam digni habiti sunt pro nomine Jesu contumeliam pati. (Act 5.41) E qual maggior contento d’un’anima, che soffrendo qualche travaglio, sa, che col soffrirlo di buona voglia, dà il maggior gusto a Dio, che possa dargli! Dicono i Maestri di spirito, che sebbene gradisce Iddio il desiderio, che hanno alcune anime di patire per dargli gusto, più nondimeno gli piace l’uniformità di quelle, che non vogliono nè godere, nè patire; ma tutte rassegnate nel suo santo volere altro non desiderano, che di adempiere quel ch’ egli vuole.

Se vuoi dunque, anima divota, piacere a Dio, e vivere in questa terra una vita contenta, unisciti sempre, ed in tutto alla divina volontà. Pensa, che tutti i peccati della tua vita sconcertata, ed amara ch’ hai fatta, son succeduti, perché ti sei scostata dalla volontà di Dio. Abbracciati da oggi avanti col divino beneplacito; e di sempre in tutto ciò, che ti accade: Ita Pater, quoniam sic fuit placitum ante te. (Matt. 11.16) Così, Signore, sia fatto, perché così è piaciuto a voi. Quando ti senti turbata da qualche avvienimento avverso, pensa che quello è venuto da Dio; onde subito dì, Così vuole Dio, e mettiti in pace. Obmutui, et non aperui os meum, quoniam tu fecisti. (Ps 38) Signore, giacchè voi l’avete fatto io non parlo, e l’accetto. A questo intento bisogna, che indrizzi tutti i tuoi pensieri, e le tue orazioni, cioè a procurare, e pregare sempre Dio, nella meditazione, nella Comunione, nella visita al Ss. Sacramento, che ti faccia adempire la sua volontà. E tu offerisciti sempre, dicendo: Mio Dio, eccomi, fanne di me, e di tuute le cose mie quel che vuoi. Questo era l’esercizio continuo di S. Teresa; almeno cinquanta volte il giorno la Santa si offeriva al Signore, acciocchè acesse di lei disposto, come gli fosse piaciuto.

Oh beato te, mio lettore, se farai sempre così! ti farai certamento santo; e farai una vita contenta, ed una morte più felice. Quando alcuno passa all’altra vita, tutta la speranza, che si concepisce della sua salvazione, si scorge dall’intendere, se quegli è morto rassegnato, o no. Se tu. come avrai abbracciato in vita tutte le cose venute da Dio, così anche abbraccierai la morte per adempire la sua divina volontà, certamente ti salverai, e morirai da santo. Abbandoniamoci dunque in tutto al beneplacito di quel Signore, ch’ essendo sapientissimo, poiché ha data la vita per nostro amore, vuol anche il meglio per noi. Siam pur sicuri, e persuasi, dice S. Basilio, che senza comparazione meglio procura Dio il nostro bene, di ciò, che noi possiamo mai fare, e desiderare.

Ma veniamo a vedere intorno alla pratica in quali cose abbiamo da uniformarci alla volontà di Dio. Per 1. dobbiamo uniformarci nelle cose naturali, che avvengono fuor di noi, come quando fa gran caldo, gran freddo, pioggia, carestia, pestilenza, e simili. Guardiamci di dire: Che caldo insopportabile! che freddo orribile! che disgrazia! che mala forte! che tempo infelice! od altri termini, che dimostrino ripugnanza alla volontà di Dio. Noi dobbiamo volere ogni cosa, com’ ella è, perché Dio è quegli, che dispone tutto. S. Francesco Borgia, andando una notte ad una casa della Compagnia, mentre fioccava, bussò più volte, ma perché i Padri dormivano, non gli fu aperto. Fatto giorno, molto si rammaricarono quelli d’averlo fatto aspettare così allo scoperto; ma il Santo disse di aver ricevuta in quel tempo una gran consolazione, in pensare, che Dio era quegli, che gli gittava addosso quei fiocchi di neve.

Per 2. dobbiamo uniformarci elle cose, che avvengono dentro di noi, come nel patir fame, sete, povertà, desolazioni, disonori. In tutto dobbiamo dir sempre: Signore fate e disfate voi, io son contento: voglio solo quel, che volete voi. E così anche dice il P. Rodriguez, che dobbiamo rispondere per quali finti casi, che il demonio ci mette alle volte in mente, affin di farci cadere in qualche cattivo consenso, o almeno per inquietarci. Se il tale ti dicesse la tal parola, se ti facesse la tale azione, che diresti? che faresti? Rispondiamo sempre: Direi, e farei quel che vuole Dio. E così ci libereremo da ogni difetto, e molestia.

Per 3. Se abbiamo qualche difetto naturale, d’anima o di corpo, mala memoria, ingegno tardo, poca abilità, membro storpio, salute debole, non ce ne lamentiamo. Che merito avevamo noi, e qual obbligo avea Dio di darci una mente più sublime, un corpo meglio fatto? non poteva egli crearci brutti? non lasciarci nel nostro niente? Chi mai riceve qualche dono, e va cercando patti? Ringraziamolo dunque di ciò, che per sua mera bontà ci ha donato, e contentiamoci del come ci ha fatti. Chi sa, se avendo noi maggior talento, sanità più forte, viso più grazioso, ci avevamo a perdere? A quanti il lor talento, e scienza è stata occasione di perdersi coll’invanirsene, e dispregiare gli altri; nel quale pericolo sono più facilmente coloro, che avanzano gli altri nelle scienze, e ne’ talenti? A quanti altri la bellezza, o la fortezza del corpo, è stata occasione di precipitare in mille scelleraggini? Ed all’incontro quanti altri per esser poveri, o infermi, o deformi di fattezze, si son fatti santi, e salvati? che se fossero stati ricchi, sani, o belli d’aspetto, si sarebbon dannati. E così contentiamoci di quel, che Dio ci ha dato. Porro unum est necessarium (Luc 10.42) Non è necessaria la bellezza, non la sanità, non l’ingegno acuto; solo il salvarci è necessario.

Per 4. bisogna, che specialmente stiamo rassegnati nelle infermità corporali, e bisogna, che l’abbracciamo volentieri, ed in quel modo, e per quel tempo, che vuole Dio. Dobbiamo sibbene adoperarvi i rimedi ordinari, perché così vuole ancora il Signore, ma se quelli non giovano, uniamoci colla volontà di Dio, che ci gioverà molto più della sanità. Signore, diciamo allora, io non voglio guarire, nè stare infermo, voglio solo quel che volete voi. Certamente è maggior virtù nelle malattie il non lamentarsi de’ dolori; ma allorchè questi fortemente ci affliggono, non è difetto il palesarli agli amici, ed anche il pregare il Signore, che ce ne liberi. Intendo ne’ dolori grandi, poiché all’incontro molto difettano in ciò alcuni altri, che ad ogni semplice dolore, o fastidio vorrebbero, che tutto il mondo venisse a compatirli, ed a pianger loro d’intorno. Del resto anche Gesù Cristo, vedendosi vicino alla sua amarissima passione, palesò la sua pena ai discepoli: Tristis est anima mea usque ad mortem. (Mat. 26.38) e pregò l’eterno suo Padre a liberarnelo; Pater mi, si possibilie est, transeat a me calix iste. (ibid 39) Ma Gesù stesso c’ insegnò quel che dobbiamo fare dopo simili preghiere, cioè rassegnarci subito nella divina volontà, col soggiungere: Verumtamen, non sicut ego volo, sed sicut tu.
 
Quale sciocchezza è poi quella coloro, che dicono desiderar la salute, non bià per patire, ma per maggiormente servire il Signore, in osservar le regole, servir la comunità, andar alla Chiesa, far la Comunione, far penitenza, studiare, impiegarsi nella salute dell’anime confessando, predicando? Ma io dimando, divoto mio, dimmi, perché tu desideri di far queste cose? per dar gusto a Dio? E che vai cercando, quando sei certo, che il gusto di Dio non è, che facci orazione, Comunioni, penitenze, studi, o prediche, ma che soffri con pazienza, quell’infermità, e quei dolori, che ti manda? Unisci allora i tuoi dolori con quelli di Gesù Cristo. Ma mi dispiace, che stando così infermo sono inutile, e di pese alla comunità, alla casa. Ma conforme voi vi rassegnate alla volontà di Dio, così dovete credere, che i vostri Superiori anch’ essi si rassegnino, vedendo che voi non per vostra pigrizia, ma per voler di Dio apportiate questo peso alla casa. Eh che questi desideri, e lamenti, non nascono dall’amore di Dio, ma dall’amor proprio che va cercando pretesti per allontanarti dalla volontà di Dio. Vogliamo dar gusto a Dio? Diciamo allora, che ci vediamo confinati in un letto, diciamo al Signore questa sola parola, fiat voluntas tua; e questa replichiamo sempre cento, e mille volte, che con questa sola daremmo più gusto a Dio, che non gli daressimo con tutte le mortificazioni, e divozioni, che possiamo fare. Non ci è meglior modo di servire a Dio, che abbracciando allegramente la sua volontà. Il V. P. M. Avila (Epist.2) scrisse ad un Sacerdote infermo: Amico non stare a fare il conto di quel, che faresti essendo sano, ma contentati di stare infermo per quanto a Dio piacerà. Se tu cerchi la volontà di Dio, che cosa più t’ importa lo istar sano, che infermo? E certamente ben disse ciò, perché Dio non viene già glorificato dalle opere nostre, ma dalla nostra rassegnazione, e conformità al suo Santo volere. Perciò diceva ancora S. Francesco di Sales, che si serve più Dio col patire, che coll’operare.

Molte volte ci mancheranno i medici, le medicine, o pure il medico non giungerà a conoscere la nostra infermità, ed in ciò anche bisogna, che ci uniformiamo alla divina volontà, la quale ciò dispone per nostro bene. Si arra d’un uomo divoto di S. Tommaso Cantuariense (l. 5, c. 1) ch’ essendo infermo andò al sepolcro del Santo per ottenere la sanità. Ritornò sano alla Patria, ma poi disse fra se: mae l’infermità più mi giovasse a salvarmi, questa sanità che mi serve? Con questo pensiero ritornò al sepolcro, e pregò il Santo, che chiedesse a Dio quello, che gli era più espediente per la salute eterna, e fatto ciò ricadde nell’infermità, ed egli se ne stette tutto ciò contento, tenendo per fermo, che Dio così disponeva per suo bene. Narra il Surio similmente, che un cieco ricevè la vista per intercessione di S. Bedasto Vescovo; ma dopo fece orazione, che se quella vista non era espediente per l’anima sua, tornasse ad esser cieco, ed avendo orato, rimase cieco, come prima. Allorchè dunque stiamo infermi, il meglio è che non cerchiamo nè l’infermità, nè la sanità, ma ci abbandoniamo nella volontà di Dio, acciò disponga di noi come li piace. Ma se vogliamo cercar la sanità, domandiamola almeno sempre con rassegnazione, e con condizione, se la sanità del corpo è conveniente alla salute dell’anima: altrimenti una tal preghiera sarà difettosa, nè sarà esaudita, poiché il Signore non esaudisce tali sorte di preghiere non rassegnate.

Il tempo dell’infermità io lo chiamo pietra di paragone degli spiriti, perché in quello si scopre di qual carato è la virtù, che possiede un’anima. Se quella non s’ inquieta, non si lamenta, non cerca, ma ubbidisce ai medici, ai Superiori, e se ne sta tranquilla, tutta rassegnata nella divina volontà, è segno, che in lei vi è fondo di virtù. Ma che deve dirsi poi d’un infermo, che si lamenta, e dice ch’ è poco assistito dagli altri? che le sue pene sono insopportabili? che non trova rimedio, che gli giovi? che il medico è ignorante; e talvolta si lagna ancora con Dio, che troppo calchi la mano? Racconta S. Bonaventura nella vita di S. Francesco (cap. 14) che stando il Santo travagliato straordinariamente da dolori, uno de’ suoi Religiosi troppo semplice gli disse: Padre, pregate Dio, che vi tratti un poco più dolce, perché pare, che calchi troppo la mano. Ciò udendo S. Francesco, diede un grido, e gli rispose: Sentite: s’io non sapesse, che ciò, che dite, nasce da semplicità, non vorrei più vedervi, avendo voi ardito di riprendere i giudizi di Dio. E ciò detto, benchè molto debole, ed estenuato dal male, si buttò dal letto in terra, e baciandola, disse: Signore, io vi ringrazio di tutti i dolori, che mi mandate. Vi supplico a mandarmene più, e così vi piace. Il mio gusto è, che voi mi affliggiate, nè mi risparmiate punto, perché l’adempimento della vostra volontà è la maggior consolazione, che posso ricevere in questa vita.

A ciò bisogna anche ridurre la perdita, che tal volta noi soffriamo delle persone utili al nostro profitto, o temporale, o spirituale. L’anime divote spesso fanno gran difetti circa questo punto, non rassegnandosi alle divine disposizioni. La nostra santificazione non ci ha da venire dai Padri spirituali, ma da Dio. Vuol’egli già, che noi ci vagliamo de’ Direttori per la guida dello spirito, quando ce li dà; ma quando ce li toglie, vuole che ce ne contentiamo, ed accresciamo la confidenza nella sua bontà, dicendo allora: Signore, voi me l’avete dato questo ajuto, ora me l’avete tolto, sia sempre fatta la vostra volontà; ma ora supplite voi, ed insegnatemi quel, che debbo fare per servirvi. E così similmente dobbiamo accettare dalle mani di Dio tutte l’altre croci, che ci manda. Ma tanti travagli, dite voi, sono castighi. Ma rispondo io, i castighi, che Dio manda in questa vita, non sono grazie e benefici? Se l’abbiamo offeso, dobbiamo soddisfare la divina giustizia in qualche modo, o in questa, o nell’altra vita. Perciò dobbiamo dir tutti con S. Agostino: Hic ure, hic seca, hic non parcas, ut in aeternum parcas: e col S. Giobbe; Haec sit mihi consolatio, ut affligens me dolore non parcas. (6.10) Dee pur consolarsi, chi s’ ha meritato l’Inferno, in vedere, che Dio qui lo castiga, poiché ciò dee molto animarlo a sperare, che Dio voglia liberarlo dal castigo eterno. Diciamo dunque ne’ castighi di Dio ciò, che diceva il Sacerdote Eli: Dominus est, quod bonum est in oculis suis, faciat. (Lib 2 Reg. 3.18)

Di più obbiamo star rassegnati nelle desolazioni di spirito. E’ solito il Signore, quando un’anima si dà alla vita spirituale, di abbondarla di consolatiozioni, affin di slattarla dai gusti del mondo; ma poi quando la vede più fermata nello spirito, ritira la sua mano, per provare il di lei amore, e vedere se lo serve, ed ama senza paga qui in terra di gusti sensibili. Mentre si vive (dicea S. S. Teresa), non consiste il gaudagno in procurare di godere più Dio, ma in fare la sua volontà. Ed in altro luogo: Non consiste l’amore di Dio in tenerezze, ma in servire con fortezza, ed umiltà. Ed altrove: Con aridità, e tentazioni fa pruova il Signore de’ suoi amanti. Ringrazi dunque il Signore l’anima, quando si vede accarezzata con dolcezzo, ma non si deve affliggere con impazienze, quando si vede lasciata in desolazione. Bisogna molto avvertir questo punto, perché alcune anime sciocche vedendosi aride, si pensano, che Dio l’abbia abbandonate, o pure, che non faccia per sees la vita spirituale; e così lasciano l’orazione, e perdono quanto han fatto. Non v’ è più bel tempo di esercitare la nostra rassegnazione alla volontà di Dio, che il tempo dell’aridità. Io non dico, che voi non proviate pena in vedervi lasciata dalla presenza sensibile del vostro Dio; non più sensirsi una tal pena; nè può l’anima non lagnarsene, quando lo stesso nostro Redentore se ne lagnò sulla croce: Deus meus, ut quid dereliquisti me? (Matt. 22.46) Ma nella sua pena dee sempre tutta rassegnarsi nella volontà del suo Signore. Tutti i Santi hanno patite queste desolazioni, ed abbandoni di spirito. Che durezza di cuore (dicea S. Bernardo) è quella che provo; non gusto più della lezione, non mi piace più il meditare, non più l’orare! Per lo più i Santi sono stati in aridità, non già in consolazioni sensibili. Queste il Signore non le concede, se non di rado, ed agli spiriti forse più deboli, acciò non arrestino nel cammino spirituale, le delizie, che son di premio, ce le prepara in Paradiso. Questa terra è luogo di merito, ove si merita col patire, il cielo è luogo della mercede, e del godere. Perciò in questa terra, non il fervore sensibile col godere, ma il ervore dello spirito col patire è quello, che han desiderato, e cercato i Santi. Diceva il V. Giovanni Avila (Audi fil. c. 26): Oh quanto è meglio stare in aridità, e tentazioni colla volontà di Dio, che in contemplazione senza di quella!

Ma dirai: S’io sapessi, che questa desolazione viene da Dio, mi starei contento; ma quel che mi affligge, e m’ inquieta, è il timore, che venga per colpa mia, e per castigo della mia tepidezza. Bene; togli dunque la tepidezza, ed usa più diligenza. Ma forse perché stai in oscurità, vuoi perciò inquietarti, perciò lasciare l’orazione, e così far doppio il tuo male? Venga l’aridità per tuo castigo, come dici. Ma questo castigo, non te lo manda Dio? Accettalo dunque in castigo, a te ben degno, e stringiti colla divina volontà. Non dici tu, che ti meriti l’Inferno? ed ora perché ti lamenti? forse tu meriti, che Dio ti consoli? Eh via contentati del come Dio ti tratta; prosiegui l’orazione, e’ l cammino intrapreso, e terni da oggi avanti, che i tuoi lamenti vengano da poca umiltà, e da poca rassegnazione alla volontà di Dio. Quando un’anima va all’orazione, non può cavarne maggior profitto, che unirsi alla volontà divina; onde rassegnati, e dì: Signore, io accetto questa pena dalle vostre mani, e l’accetto per quanto a voi piace; se volete ch’ io stia così afflitto per tutta l’eternità io son contento. E così quell’orazione benchè penosa to gioverà più d’ogni più dolce consolazione.

Ma bisogna pensare, che non sempre l’aridità è castigo, ma alle volte disposizione di Dio per nostro maggior profitto, e per conservarci in umiltà. Acciocchè S. Paolo non s’ invanisse de’ doni ricevuti, il Signore permettea, che fosse tormentato da tentazioni impure. Ne magnitudo revelationum extollat me, datus est mihi stimulus carnis meae, Angelus Sathanae, qui me colaphizet. (1 Cor. 17.7) Chi fa orazione con dolcezze, non fa gran cosa. Est amicus socius mensae, et non permanebit in die necessitatis. (Eccl. 6.10) Voi non terrete per vero amico, chi solo vi accompagna nella vostra mensa, ma chi vi assiste ne’ travagli, e senza suo utile. Quando Dio manda oscurità, e desolazione, allora prova i veri suoi amici. Palladio pativa gran tedio nell’orazione, andò a trovare S. Macario, e quegli gli disse: Quando il pensiero ti dice, che lasci l’orazione, rispondigli: Io per amor di Gesù Cristo mi contento di star qui a custodire le mura di questa cella. Questa dunque è la risposta, quando ti senti tentato a lasciar l’orazione; perché ti pare di perdervi il tempo, dì allora: Io sto qui per dar gusto a Dio. Dicea S. Francesco di Sales, che se nell’orazione altro non facessimo, che discacciare distrazioni, e tentazioni, pure l’orazione è ben fatta. Anzi dice il Taulero, che a chi persevera nell’orazione coll’aridità, Dio farà una grazia maggiore, che se avesse orato molto con molta divizione sensibile. Narra il P. Rodriguez d’un certo, il quale dicea, che in quaranta anni d’orazione non avea mai provata alcuna consolazione, ma che ne’ giorni che la facea, si sentiva forte nelle virtù; quando all’incontro la lasciava, in quel giorno provava una tal debolezza, che lo faceva inetto ad ogni cosa di buona. Dicono S. Bonaventura e’ l Gersone, che molti servono più Dio col non avere il raccoglimento desiderato, che se l’avessero, perché così vivono più diligenti, e più umiliati; altrimenti forse s’ invanirebbero, e sarebbero più tepidi, pensando d’aver già trovato ciò, che cercavano. E quel, che dicesi dell’aridità, dicesi ancora delle tentazioni. Dobbiamo noi procurare di schivar le tentazioni; ma se vuole Dio, o permette, che noi siamo tentati contro la fede, contro la purità, o contro altra virtù, non dobbiamo lamentarci, ma anche in ciò rassegnarci al divino volere. A S. Paolo che pregava d’esser liberato dalla tentazione d’impurità, rispose il Signore: sufficit tibi gratia mea. E così anche noi, se vediamo, che Dio non ci esaudisce in esimerci da qualche tentazione molesta, diciamo: Signore, fate voi, e permettete quel che vi piace, mi basta la vostra grazia; ma assistetemi, acciò non la perda mai. Non le tentazioni, ma il consenso alla tentazione, ci fa perdere la divina grazia. Le tentazioni quando le discacciamo, ci mantengono più umili, ci acquistano più meriti, ci fan ricorrere più spesso a Dio, e così ci conservano più lontani dall’offenderlo, e più ci uniscono al suo santo amore.

Finalmente bisogna, che ci uniamo colla volontà di Dio circa il punto della nostra morte, e per quel tempo, ed in quel modo, che Dio la manderà. S. Geltrude (l. 1. Vita c. 11) salendo un giorno una collina, sdrucciolò, e cadde in una valle. Le dimandarono poi le compagne, se avesse avuto paura di morire senza Sagramenti? Rispose la Santa: Io desidero molto di morire coi Sagramenti, ma fo più conto della volontà di Dio, perché tengo la miglior disposizione, che possa aversi a ben morire, sia di sottoporsi a ciò, che Dio vorrà; perciò io desidero qualunque morte, che piacerà di darmi al mio Signore. Narra S. Gregorio ne’ suoi Dialoghi (l. 3. c.37), che i Vandali avendo condannato a morire un certo Sacerdote chiamato Santolo, gli diedero poi facoltà di scegliersi qual sorta di morte volesse; il santo uomo ricusò di eleggere, ma disse: Io sono nelle mani di Dio, e riceverò la morte, ch’ egli permetterà, che voi mi facciate soffrire, nè io voglio altra, che quella. Quest’ atto piacque tanto al Signore, che avendo quei barbari determinato di farli tagliar la testa, fè arrestare il braccio del carnefice, e con tal miracolo quelli si piegarono a concedergli la vita. Circa dunque il modo, quella per noi dobbiamo stimate la miglior morte, che Dio ci avrà determinata. Savateci Signore (diciamo sempre, allorchè pensiamo alla nostra morte), e poi fateci morire, come a voi piace.

Così ancora dobbiamo uniformarci al quando del nostra morte. Cos’ è questa terra, se non una carcere dove stiamo a patire, ed in pericolo di perdere Dio ogni momento? Questo facea gridare a Davide: Educ de custodia animam meam. (Ps. 141.8) Questo timore facea sospirare la morte a S. Teresa, la quale sonando l’orologio, tutta si consolava, pensanso, ch’ era passata un’ora della sua vita, un’ora di pericolo di perdere Dio. Diceva il P. M. Avila, che ognuno il quale si trovasse con mediocre disposizione, dee desiderar la morte per ragion del pericolo, in che si vive di perder la divina grazia. Che cosa più cara, e più desiderabile, che con una morte assicurarci di non potere più perdere la grazia del nostro Dio? Ma io, tu dici, non ho fatto niente ancora, niente ho acquistato per l’anima. Ma se Dio vuole, che ora termini la vata, che faresti appresso, se viveresti contro la volontà di Dio? E chi sa se allora faresti quella morte, che ora puoi sperare di fare? Chi sa se mutando volontà, caderesti in altri peccati, e ti danneresti? E poi s’ altro non fosse, vivendo non puoi vivere senza peccati, almeno leggieri. Cur (dunque asclamava S. Bernardo) cur vitam desideramus, in qua quanto amplius vivimus, tanto plus peccamus? (Med. c.8) Ed è certo, che più dispiace a Dio un solo peccato veniale, che non gli piacciono tutte le opere sante, che noi possiamo fare.

Dico di più, chi poco desidera il Paradiso, dà segno di poco amore a Dio. Chi ama, desidera la presenza dell’amato; ma noi non possiamo vedere Dio, se non lasciamo la terra; e perciò tutti i Santi han sospirata la morte, per andare a vedere il loro amato Signore. Così sospirava S. Agostino. Eja moriar, ut te videam. Così S. Paolo: Desiderium habens dissolvi, et esse cum Cristo (ad Philip. 1.28) Così Davide: Quando veniam et apparebo ante faciem Dei? (Psal. 41.3) E così tutte l’anime innamorate di Dio. Narra un Autore (Flores Enrel. Graul. 4. c. 68) che andando un giorno un Cavaliere a caccia in una selva, udì un uomo, che dolcemente cantava; s’ inoltra, e trova un povero lebbroso mezzo fracido; gli dimanda s’ egli era, che cantava? Sì (rispose quegli), io sono, signore, quello, che cantava. E come mai puoi cantare, e star contento con tanti dolori, che ti van togliendo la vita? Rispose il lebbroso: Fra Dio, Signor mio, e me non v’ è altra cosa di mezzo, che questo muro di fango, che è questo mio corpo; tolto via questo impedimento, anderò a godere il mio Dio. E vedendo io, che ogni giorno mi si va disfacendo a pezzi, mi rallegro, e canto.

Per ultimo anche ne’ gradi di grazia, e di gloria bisogna, che noi ci uniformiamo al divino volere: dobbiamo sibbene stimare le cose di gloria di Dio, ma più la sua volontà: dobbiamo desiderare d’amarlo più de’ Serafini, ma non dobbiamo poi volere altro grado d’amore, se non quello, che il Signore ha daterminato di donarci. Dice il P. M. Avila (Audi filia c.12): Io non credo, che vi sia stato Santo, che non abbia desiderato d’esser migliore di quello, ch’ era; ma ciò non togliea loro la pace, perché non lo desideravano per propria cupidità, ma per Dio, della cui distribuzione si tenevano contenti, benchè avesse dato loro meno: stimando per vero amore più il contentarsi di quel che Dio dava loro, che’ l desiderare di aver molto. Il che viene a dire, come spiega il P. Rodriguez (trat. 8. c. 30), che sebbene dobbiamo noi esser diligenti nel procurar la perfezione per quanto possiamo, affinchè non ci serva di scusa la propria tepidezza, e pigrizia, come fanno alcuni con dire: Dio me l’a da dare: io non posso più, che tanto; nondimeno quando poi manchiamo, non dobbiamo perder la pace, e la conformità alla volontà di Dio in aver permesso il nostro difetto, nè perderci d’animo; alziamoci subito allora da quello: umiliandoci col pentimento, e cercando maggior ajuto dal Signore, proseguiamo il cammino. Così parimente, ancorchè ben possiamo desiderare di giunger in cielo al coro de’ Serafini, più gloria a Dio, e per maggiormente amarlo; dobbiamo noi però rassegnarci al suo santo volere, contentandoci di quel grado, che si degnerà di darci per sua misericordia.

Sarebbe poi un difetto troppo notabile il desiderare di aver doni di orazione sovranaturale, e precisamente d’estasi, visioni, e rivelazioni; che anzi dicono i maestri di spirito, che quelle anime, le quali son favorite da Dio di simili grazie, debbono pregarlo a privarnele, acciocchè l’amino per via di pura fede, ch’ è la via più sicura. Molti sono giunti alla perfezione senza queste grazie sovranaturali, le sole virtù son quelle che sollevano l’anime alla santità, e principalmente l’uniformità alla volontà di Dio. E se Dio non vuole innalzarci a grado sublime di perfezione, e di gloria, conformiamoci in tutto al suo santo volere, pregandolo che ci salvi almeno per la sua misericordia. E facendo così, non sarà poca la mercede, che per la sua bontà ci donera il nostro buon Signore, il quale ama sopra tutto le anime rassegnate.

In somma dobbiamo mirar tutte le cose, che ci accadono, e ci avranno da accadere, come procedenti dalle divine mani. E tutte le nostre azioni dobbiamo indrizzarle a questo solo fine, di far la volontà di Dio, e farle solo perché Iddio le vuole. E per andare in ciò più sicuri, bisogna, che dipendiamo dalla guida de’ nostri Superiori in quanto all’esterno, e dai Direttori in quanto all’interno, per intender da essi ciò che vuole Dio da noi; avendo gran fede alle parole di Gesù Cristo, che ci ha detto, Qui vos audit, me audit. (Luc. 10. 16) E sopra tutto attendiamo a servire Dio per quella via, per cui vuole Dio esser da noi servito. Dico ciò, affinchè evitiamo l’inganno di taluno, che perde il tempo a pascersi col dire: Se stassi in un deserto, s’ entrassi in un Monastero, se andassi in altro luogo fuori di questa casa, lontano da questi parenti o compagni, mi farei santo, farei le tali penitenze, farei tanta orazione. Dice, farei, farei; ma frattanto, soffrendo di mala volgia quella croce, che Dio gli manda, in somma non camminando per quella via, che vuole Dio, non si fa santo, anzi va di male in peggio. Questi desideri alle volte son tentazioni del demonio, poiché non saranno secondo la volontà di Dio, onde bisogna discacciarli, ed animarci a servire il Signore per quella sola strada, che egli ci ha eletta. Facendo la sua volontà, certamente ci faremo santi in ogni stato dove il Signore ci pone. Vogliamo dunque sempre solo quel che vuole Dio, che facendo così, egli ci stringerà al suo cuore; ed a tal fine facciamoci familiari alcuni passi della Scritura,che c’ invitano ad unirci sempre più colla divina volontà. Domine, quid me vis facere? Dio mio, ditemi, che volete da me, ch’ io tutto tutto voglio farlo? Tuus sum ego, salvum me fac. (Ps. 18.94) Io non sono più mio; son vostro, o mio Signore, fatene di me quel che volete voi. Quando specialmente ci avviene qualche accersità più pesante, morte di parenti, perdita di bene, e simili: Ita Pater (diciamo sempre), ita Pater, quoniam sic fuit placitum ante te. (Matt. 11.26) Sì Dio mio, e Padre mio, così sia fatto, perché così è piacuto a voi. Sopra tutto ci sia cara l’orazione insegnataci da Gesù Cristo: Fiat voluntas tua sicut in caelo, et in terra. Disse il Signore a S. Caterina da Genova, che sempre chè dicesse il Pater noster, particolarmente sifermasse su queste parole, pregando, che la di lui santa volontà si adempisse in essa, colla stessa perfezione, con cui la fanno i Santi in cielo. Facciamo così ancora noi, e ci faremo certamento santi.

Sia sempre amata, e lodata la divina volontà, e la B. Vergine Maria immacolata.


29-11 Aprile 4, 1931 Il ti amo è tuono, la Divina Volontà è Cielo, l’umanità nostra è terra. Le pene del cuore di Gesù. Scambio di vita. La Divina Volontà principio, mezzo e fine.

Luisa Piccarreta (Libro di Cielo)

(1) Continua il mio abbandono nelle braccia della Santissima Volontà Suprema, e sebbene mi sento sotto le dense nubi di amarezze inesprimibili, le quali mi tolgono il bello della Luce divina, e se la sento sta al di dietro delle nubi, pure come dico il mio ti amo e faccio i miei atti nel Fiat, si forma il tuono e sprigionando il lampo squarcia le nubi, e da quegli squarci entra la luce fulgida nell’anima mia e mi porta la luce della verità che Gesù vuole manifestare alla sua piccola creatura. Mi sembra che quanto più ripeto il mio ti amo, tanto più spesso tuono e lampeggio, e questi lampi squarciando le nubi feriscono il mio Sommo bene Gesù, il quale ferito mi manda la sua luce come foriere della sua visitina alla sua figlia amareggiata. Onde, mentre mi trovavo in questo stato, il mio amato Gesù è venuto in uno stato compassionevole e afflitto, aveva le braccia spezzate per offese gravi ricevute, e gettandosi nelle mie braccia mi chiedeva aiuto in tante pene, io non ho saputo resistere e mentre me l’ho stretto fra le mie braccia, mi sono sentita comunicare le sue pene, ma tante da sentirmi morire, quindi sono caduta nell’abisso del mio stato doloroso. Fiat! . . . Fiat! . . . Però il pensiero di poter sollevare Gesù con le mie piccole pene mi dava la pace. E sebbene Gesù mi aveva lasciata sola nelle pene, dopo è ritornato e mi ha detto:

(2) “Figlia mia, il vero amore non sa far nulla, né soffrire, se non mette a parte colei che mi ama; com’è dolce la compagnia delle persone care nelle pene, la loro compagnia mi mitiga le pene e mi sento come se mi ridonassero la vita, e sentirmi ridonare la vita a via di pene è l’amore più grande che Io trovo nella creatura, ed Io le ridono la mia Vita per contraccambio. Sicché è tanto l’amore, che si scambiano il dono della vita l’una per l’altro. Ma sai tu chi mi ha tirato nelle tue braccia per chiederti aiuto nelle mie pene? Il continuo tuonare del tuo ti amo, che lampeggiando mi hanno tirato a venirmi a gettare nelle tue braccia per chiederti ristoro. Oltre di ciò tu devi sapere che la mia Divina Volontà è Cielo, la tua umanità è terra; ora come tu vai facendo i tuoi atti in Essa, tu prendi Cielo, e quanti più atti fai, tanto più posto prendi in questo Cielo del mio Fiat, e mentre tu prendi il Cielo, la mia Volontà prende la tua terra, e Cielo e terra si fondono insieme e restano sperduti l’una nell’altro”.

(3) Dopo di ciò continuavo il mio abbandono nel Fiat Divino, ed il benedetto Gesù è ritornato col cuore aperto, dal quale versava sangue, ed in quel cuore divino si vedevano tutte le pene di Gesù che soffriva in tutte le parti della sua Divina Persona accentrate tutte nel cuore, anzi in esso c’era la sede ed il principio di tutte le sue pene che diramandosi per tutta la sua santissima Umanità, come tanti rivoli risalivano nel suo santissimo cuore portandone lo strazio che soffriva tutta la sua Divina Persona. E Gesù ha soggiunto:

(4) “Figlia mia, quanto soffro; guarda questo mio cuore, quante ferite, quanti dolori, quante pene nasconde. Esso è il rifugio di tutte le pene, non vi è dolore, né spasimo, né offesa che non si riversa in questo mio cuore. Sono tante le mie pene, che non potendo sostenere l’acerbità vado trovando chi vuole accettare qualche piccola particella di queste pene per avere un respiro di sollievo, e quando la trovo me la tengo tanto cara, che non so lasciarla mai più, né mi sento più solo, ho a chi far comprendere le mie pene, a chi confidare i miei segreti, e a chi versare le mie fiamme d’amore che mi consumano. Perciò spesso ti chiedo che accetti parte delle mie pene, perché sono assai; e se non vado ai figli miei a chiedere sollievo, a chi devo andare? Resterei come un padre senza figli, che o non ha prole, oppure i figli ingrati lo hanno abbandonato. Ah! no, no, tu non mi abbandonerai, non è vero figlia mia? ”

(5) Ed io: Mio Gesù, giammai ti abbandonerò, ma tu mi darai grazia, mi aiuterai nelle mie condizioni presenti, che Tu sai quanto sono penose. Mio Gesù, aiutami, e anche io ti dico di cuore, deh! non mi abbandonare, non lasciarmi sola, oh! come sento al vivo il bisogno di Te. Aiutami! aiutami! E Gesù prendendo un’aspetto più dolce, prendeva la povera anima mia nelle sue mani, e nel fondo di essa scriveva: “Metto la mia Volontà Divina in questa creatura, come principio, mezzo e fine”. E poi ha ripetuto:

(6) “Figlia mia, metto la mia Divina Volontà nell’anima tua come principio di vita, dalla quale scenderanno tutti gli atti tuoi, come da un sol punto, che diffondendosi in tutto l’essere tuo, nell’anima e nel corpo, ti faranno sentire la Vita palpitante del mio Voler Divino in te, il quale nasconderà in Sé stesso, come dentro d’un sacrario, tutti gli atti tuoi, come seguito dal suo principio Divino. Ora col tenere la mia Divina Volontà come principio, resterai tutta ordinata nel tuo Creatore, e riconoscerai che ogni principio viene da Dio, e ci darai la gloria ed il contraccambio dell’amore di tutte le cose create, che hanno uscito dalle nostre mani creatrici. Col far ciò abbraccerai l’opera della Creazione, della quale fummo il principio, la vita e la conservatrice di essa.

(7) Dal principio passerai al mezzo: Tu devi sapere che l’uomo sottraendosi dalla nostra Volontà Divina disconobbe il principio e si disordinò, e restò vacillante, senza appoggio, senza forza, ad ogni passo si sentiva spinto a cadere come si sentisse mancare il terreno sotto i piedi, ed il Cielo sul capo in atto di scaricarsi sopra di lui in fiera tempesta. Ora ci voleva un mezzo per raffermare la terra e far sorridere il Cielo, ed ecco la mia venuta sulla terra come mezzo per riunire Cielo e terra, Dio e l’uomo. Quindi chi tiene la mia Divina Volontà come principio le svelerà il mezzo, e abbraccerà tutta l’opera della Redenzione e mi darà il ricambio dell’amore e la gloria di tutte le pene che soffrì per redimere l’uomo.

(8) Ora se c’è il principio ed il mezzo, ci dev’essere la fine; fine dell’uomo è il Cielo, e chi tiene la mia Divina Volontà come principio, tutti i suoi atti scorrono nel Cielo, come fino dove deve giungere l’anima sua e come principio della sua beatitudine che non avrà mai fine. E se tu avrai la mia Divina Volontà come fine, mi darai la gloria ed il contraccambio dell’amore che ho preparato una Patria Celeste alle creature per loro felice soggiorno. Perciò sii attenta figlia mia, ed Io suggello nell’anima tua la mia Divina Volontà come principio, mezzo e fine, la quale ti sarà di vita, di guida sicura, di sostegno e ti condurrà fra le sue braccia alla Patria Celeste”.