Sotto il Tuo Manto

Giovedi, 5 giugno 2025 - San Bonifacio (Letture di oggi)

Oggi il Signore mi disse: «Squarciai il mio cuore come sorgente di misericordia, affinché tutte le anime vi attingano la vita. S'accostino, dunque, tutti con fiducia illimitata a questo oceano di pura bontà . I peccatori ne conseguiranno la giustificazione e i giusti saranno confermati nel bene. Nell'ora della morte, colmerò con la mia divina pace l'anima che avrà  collocato la sua fiducia nella mia pura bontà . Ai sacerdoti che annunceranno la mia misericordia, concederò una forza singolare e darò efficacia alle loro parole, commovendo i cuori di coloro ai quali essi si rivolgeranno». (Santa Faustina Kowalska)

Liturgia delle Ore - Letture

Martedi della 27° settimana del tempo ordinario

Per questa Liturgia delle Ore è disponibile sia la versione del tempo corrente che quella dedicata alla memoria di un Santo. Per cambiare versione, clicca su questo collegamento.
Questa sezione contiene delle letture scelte a caso, provenienti dalle varie sezioni del sito (Sacra Bibbia e la sezione Biblioteca Cristiana), mentre l'ultimo tab Apparizioni, contiene messaggi di apparizioni a mistici o loro scritti. Sono presenti testi della Valtorta, Luisa Piccarreta, don Stefano Gobbi e testimonianze di apparizioni mariane riconosciute.

Vangelo secondo Luca 24

1Il primo giorno dopo il sabato, di buon mattino, si recarono alla tomba, portando con sé gli aromi che avevano preparato.2Trovarono la pietra rotolata via dal sepolcro;3ma, entrate, non trovarono il corpo del Signore Gesù.4Mentre erano ancora incerte, ecco due uomini apparire vicino a loro in vesti sfolgoranti.5Essendosi le donne impaurite e avendo chinato il volto a terra, essi dissero loro: "Perché cercate tra i morti colui che è vivo?6Non è qui, è risuscitato. Ricordatevi come vi parlò quando era ancora in Galilea,7dicendo che bisognava che il Figlio dell'uomo fosse consegnato in mano ai peccatori, che fosse crocifisso e risuscitasse il terzo giorno".8Ed esse si ricordarono delle sue parole.

9E, tornate dal sepolcro, annunziarono tutto questo agli Undici e a tutti gli altri.10Erano Maria di Màgdala, Giovanna e Maria di Giacomo. Anche le altre che erano insieme lo raccontarono agli apostoli.11Quelle parole parvero loro come un vaneggiamento e non credettero ad esse.

12Pietro tuttavia corse al sepolcro e chinatosi vide solo le bende. E tornò a casa pieno di stupore per l'accaduto.

13Ed ecco in quello stesso giorno due di loro erano in cammino per un villaggio distante circa sette miglia da Gerusalemme, di nome Èmmaus,14e conversavano di tutto quello che era accaduto.15Mentre discorrevano e discutevano insieme, Gesù in persona si accostò e camminava con loro.16Ma i loro occhi erano incapaci di riconoscerlo.17Ed egli disse loro: "Che sono questi discorsi che state facendo fra voi durante il cammino?". Si fermarono, col volto triste;18uno di loro, di nome Clèopa, gli disse: "Tu solo sei così forestiero in Gerusalemme da non sapere ciò che vi è accaduto in questi giorni?".19Domandò: "Che cosa?". Gli risposero: "Tutto ciò che riguarda Gesù Nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo;20come i sommi sacerdoti e i nostri capi lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e poi l'hanno crocifisso.21Noi speravamo che fosse lui a liberare Israele; con tutto ciò son passati tre giorni da quando queste cose sono accadute.22Ma alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; recatesi al mattino al sepolcro23e non avendo trovato il suo corpo, son venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo.24Alcuni dei nostri sono andati al sepolcro e hanno trovato come avevan detto le donne, ma lui non l'hanno visto".
25Ed egli disse loro: "Sciocchi e tardi di cuore nel credere alla parola dei profeti!26Non bisognava che il Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?".27E cominciando da Mosè e da tutti i profeti spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui.28Quando furon vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano.29Ma essi insistettero: "Resta con noi perché si fa sera e il giorno già volge al declino". Egli entrò per rimanere con loro.30Quando fu a tavola con loro, prese il pane, disse la benedizione, lo spezzò e lo diede loro.31Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma lui sparì dalla loro vista.32Ed essi si dissero l'un l'altro: "Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi lungo il cammino, quando ci spiegava le Scritture?".33E partirono senz'indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro,34i quali dicevano: "Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone".35Essi poi riferirono ciò che era accaduto lungo la via e come l'avevano riconosciuto nello spezzare il pane.

36Mentre essi parlavano di queste cose, Gesù in persona apparve in mezzo a loro e disse: "Pace a voi!".37Stupiti e spaventati credevano di vedere un fantasma.38Ma egli disse: "Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro cuore?39Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa come vedete che io ho".40Dicendo questo, mostrò loro le mani e i piedi.41Ma poiché per la grande gioia ancora non credevano ed erano stupefatti, disse: "Avete qui qualche cosa da mangiare?".42Gli offrirono una porzione di pesce arrostito;43egli lo prese e lo mangiò davanti a loro.

44Poi disse: "Sono queste le parole che vi dicevo quando ero ancora con voi: bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella Legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi".45Allora aprì loro la mente all'intelligenza delle Scritture e disse:46"Così sta scritto: il Cristo dovrà patire e risuscitare dai morti il terzo giorno47e nel suo nome saranno predicati a tutte le genti la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme.48Di questo voi siete testimoni.49E io manderò su di voi quello che il Padre mio ha promesso; ma voi restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall'alto".

50Poi li condusse fuori verso Betània e, alzate le mani, li benedisse.51Mentre li benediceva, si staccò da loro e fu portato verso il cielo.52Ed essi, dopo averlo adorato, tornarono a Gerusalemme con grande gioia;53e stavano sempre nel tempio lodando Dio.


Primo libro dei Re 5

1(4,21)Salomone esercitava l'egemonia su tutti i regni, dal fiume alla regione dei Filistei e al confine con l'Egitto. Gli portavano tributi e servirono Salomone finché visse.
2(22)I viveri di Salomone per un giorno erano trenta 'kor' di fior di farina e sessanta 'kor' di farina comune,3(23)dieci buoi grassi, venti buoi da pascolo e cento pecore, senza contare i cervi, le gazzelle, le antilopi e i volatili da stia.4(24)Egli, infatti, dominava su tutto l'Oltrefiume, da Tipsach a Gaza su tutti i re dell'Oltrefiume, ed era in pace con tutti i confinanti all'intorno.5(25)Giuda e Israele erano al sicuro; ognuno stava sotto la propria vite e sotto il proprio fico - da Dan fino a Bersabea - per tutta la vita di Salomone.
6(26)Salomone possedeva quattromila greppie per i cavalli dei suoi carri e dodicimila cavalli da sella.7(27)Quei prefetti, ognuno per il suo mese, provvedevano quanto serviva al re Salomone e a quelli che erano ammessi alla sua tavola; non facevano mancare nulla.8(28)Portavano l'orzo e la paglia per i cavalli da tiro e da sella nel luogo ove si trovava ognuno secondo la propria mansione.
9(29)Dio concesse a Salomone saggezza e intelligenza molto grandi e una mente vasta come la sabbia che è sulla spiaggia del mare.10(30)La saggezza di Salomone superò la saggezza di tutti gli orientali e tutta la saggezza dell'Egitto.11(31)Egli fu veramente più saggio di tutti, più di Etan l'Ezrachita, di Eman, di Calcol e di Darda, figli di Macol; il suo nome divenne noto fra tutti i popoli limitrofi.12(32)Salomone pronunziò tremila proverbi; le sue poesie furono millecinque.13(33)Parlò di piante, dal cedro del Libano all'issòpo che sbuca dal muro; parlò di quadrupedi, di uccelli, di rettili e di pesci.14(34)Da tutte le nazioni venivano per ascoltare la saggezza di Salomone; venivano anche i re dei paesi ove si era sparsa la fama della sua saggezza.
15(5,1)Chiram, re di Tiro, mandò i suoi ministri da Salomone, perché aveva sentito che era stato consacrato re al posto di suo padre; ora Chiram era sempre stato amico di Davide.16(2)Salomone mandò a dire a Chiram:17(3)"Tu sai che Davide mio padre non ha potuto edificare un tempio al nome del Signore suo Dio a causa delle guerre che i nemici gli mossero da tutte le parti, finché il Signore non li prostrò sotto la pianta dei suoi piedi.18(4)Ora il Signore mio Dio mi ha dato pace da ogni parte e non ho né avversari né particolari difficoltà.19(5)Ecco, ho deciso di edificare un tempio al nome del Signore mio Dio, come ha detto il Signore a Davide mio padre: Tuo figlio, che io porrò al tuo posto sul tuo trono, edificherà un tempio al mio nome.20(6)Ordina, dunque, che si taglino per me cedri del Libano; i miei servi saranno con i tuoi servi; io ti darò come salario per i tuoi servi quanto fisserai. Tu sai bene, infatti, che fra di noi nessuno è capace di tagliare il legname come sanno fare quelli di Sidone".
21(7)Quando Chiram udì le parole di Salomone, gioì molto e disse: "Sia benedetto, oggi, il Signore che ha dato a Davide un figlio saggio per governare questo gran popolo".22(8)Chiram mandò a dire a Salomone: "Ho ascoltato il tuo messaggio; farò quanto desideri riguardo al legname di cedro e al legname di abete.23(9)I miei servi lo caleranno dal Libano al mare; io lo metterò in mare su zattere fino al punto che mi indicherai. Là lo scaricherò e tu lo prenderai. Quanto a provvedere al mantenimento della mia famiglia, tu soddisferai il mio desiderio".24(10)Chiram fornì a Salomone legname di cedro e legname di abete, quanto ne volle.25(11)Salomone diede a Chiram ventimila 'kor' di grano, per il mantenimento della sua famiglia, e venti 'kor' di olio d'olive schiacciate; questo dava Salomone a Chiram ogni anno.
26(12)Il Signore concesse a Salomone la saggezza come gli aveva promesso. Fra Chiram e Salomone regnò la pace e i due conclusero un'alleanza.
27(13)Il re Salomone reclutò il lavoro forzato da tutto Israele e il lavoro forzato era di trentamila uomini.28(14)Ne mandò a turno nel Libano diecimila al mese: passavano un mese nel Libano e due mesi nelle loro case. Adoniram sovrintendeva al loro lavoro.29(15)Salomone aveva settantamila operai addetti al trasporto del materiale e ottantamila scalpellini a tagliar pietre sui monti,30(16)senza contare gli incaricati dei prefetti, che erano tremilatrecento, preposti da Salomone al comando delle persone addette ai lavori.
31(17)Il re diede ordine di estrarre grandi massi, tra i migliori, perché venissero squadrati per le fondamenta del tempio.32(18)Gli operai di Salomone, gli operai di Chiram e di Biblos li sgrossavano; furono anche preparati il legname e le pietre per la costruzione del tempio.


Proverbi 16

1All'uomo appartengono i progetti della mente,
ma dal Signore viene la risposta.
2Tutte le vie dell'uomo sembrano pure ai suoi occhi,
ma chi scruta gli spiriti è il Signore.
3Affida al Signore la tua attività
e i tuoi progetti riusciranno.
4Il Signore ha fatto tutto per un fine,
anche l'empio per il giorno della sventura.
5È un abominio per il Signore ogni cuore superbo,
certamente non resterà impunito.
6Con la bontà e la fedeltà si espia la colpa,
con il timore del Signore si evita il male.
7Quando il Signore si compiace della condotta di un uomo,
riconcilia con lui anche i suoi nemici.
8Poco con onestà è meglio
di molte rendite senza giustizia.
9La mente dell'uomo pensa molto alla sua via,
ma il Signore dirige i suoi passi.
10Un oracolo è sulle labbra del re,
in giudizio la sua bocca non sbaglia.
11La stadera e le bilance giuste appartengono al Signore,
sono opera sua tutti i pesi del sacchetto.
12È in abominio ai re commettere un'azione iniqua,
poiché il trono si consolida con la giustizia.
13Delle labbra giuste si compiace il re
e ama chi parla con rettitudine.
14L'ira del re è messaggera di morte,
ma l'uomo saggio la placherà.
15Nello splendore del volto del re è la vita,
il suo favore è come nube di primavera.
16È molto meglio possedere la sapienza che l'oro,
il possesso dell'intelligenza è preferibile all'argento.
17La strada degli uomini retti è evitare il male,
conserva la vita chi controlla la sua via.
18Prima della rovina viene l'orgoglio
e prima della caduta lo spirito altero.
19È meglio abbassarsi con gli umili
che spartire la preda con i superbi.
20Chi è prudente nella parola troverà il bene
e chi confida nel Signore è beato.
21Sarà chiamato intelligente chi è saggio di mente;
il linguaggio dolce aumenta la dottrina.
22Fonte di vita è la prudenza per chi la possiede,
castigo degli stolti è la stoltezza.
23Una mente saggia rende prudente la bocca
e sulle sue labbra aumenta la dottrina.
24Favo di miele sono le parole gentili,
dolcezza per l'anima e refrigerio per il corpo.
25C'è una via che pare diritta a qualcuno,
ma sbocca in sentieri di morte.
26L'appetito del lavoratore lavora per lui,
perché la sua bocca lo stimola.
27L'uomo perverso produce la sciagura,
sulle sue labbra c'è come un fuoco ardente.
28L'uomo ambiguo provoca litigi,
chi calunnia divide gli amici.
29L'uomo violento seduce il prossimo
e lo spinge per una via non buona.
30Chi socchiude gli occhi medita inganni,
chi stringe le labbra ha già commesso il male.
31Corona magnifica è la canizie,
ed essa si trova sulla via della giustizia.
32Il paziente val più di un eroe,
chi domina se stesso val più di chi conquista una città.
33Nel grembo si getta la sorte,
ma la decisione dipende tutta dal Signore.


Salmi 77

1'Al maestro del coro. Su "Iditum". Di Asaf. Salmo.'
2La mia voce sale a Dio e grido aiuto;
la mia voce sale a Dio, finché mi ascolti.
3Nel giorno dell'angoscia io cerco il Signore,
tutta la notte la mia mano è tesa e non si stanca;
io rifiuto ogni conforto.
4Mi ricordo di Dio e gemo,
medito e viene meno il mio spirito.

5Tu trattieni dal sonno i miei occhi,
sono turbato e senza parole.
6Ripenso ai giorni passati,
ricordo gli anni lontani.
7Un canto nella notte mi ritorna nel cuore:
rifletto e il mio spirito si va interrogando.

8Forse Dio ci respingerà per sempre,
non sarà più benevolo con noi?
9È forse cessato per sempre il suo amore,
è finita la sua promessa per sempre?
10Può Dio aver dimenticato la misericordia,
aver chiuso nell'ira il suo cuore?

11E ho detto: "Questo è il mio tormento:
è mutata la destra dell'Altissimo".
12Ricordo le gesta del Signore,
ricordo le tue meraviglie di un tempo.
13Mi vado ripetendo le tue opere,
considero tutte le tue gesta.

14O Dio, santa è la tua via;
quale dio è grande come il nostro Dio?
15Tu sei il Dio che opera meraviglie,
manifesti la tua forza fra le genti.
16È il tuo braccio che ha salvato il tuo popolo,
i figli di Giacobbe e di Giuseppe.

17Ti videro le acque, Dio,
ti videro e ne furono sconvolte;
sussultarono anche gli abissi.
18Le nubi rovesciarono acqua,
scoppiò il tuono nel cielo;
le tue saette guizzarono.
19Il fragore dei tuoi tuoni nel turbine,
i tuoi fulmini rischiararono il mondo,
la terra tremò e fu scossa.

20Sul mare passava la tua via,
i tuoi sentieri sulle grandi acque
e le tue orme rimasero invisibili.
21Guidasti come gregge il tuo popolo
per mano di Mosè e di Aronne.


Amos 4

1Ascoltate queste parole,
o vacche di Basàn,
che siete sul monte di Samaria,
che opprimete i deboli, schiacciate i poveri
e dite ai vostri mariti: Porta qua, beviamo!
2Il Signore Dio ha giurato per la sua santità:
Ecco, verranno per voi giorni,
in cui sarete prese con ami
e le rimanenti di voi con arpioni da pesca.
3Uscirete per le brecce, una dopo l'altra
e sarete cacciate oltre l'Ermon,
oracolo del Signore.

4Andate pure a Betel e peccate!
A Gàlgala e peccate ancora di più!
Offrite ogni mattina i vostri sacrifici
e ogni tre giorni le vostre decime.
5Offrite anche sacrifici di grazie con lievito
e proclamate ad alta voce le offerte spontanee
perché così vi piace di fare, o Israeliti,
dice il Signore.
6Eppure, vi ho lasciato a denti asciutti
in tutte le vostre città
e con mancanza di pane
in tutti i vostri villaggi:
e non siete ritornati a me,
dice il Signore.
7Vi ho pure rifiutato la pioggia
tre mesi prima della mietitura;
facevo piovere sopra una città
e non sopra l'altra;
un campo era bagnato di pioggia,
mentre l'altro, su cui non pioveva, seccava;
8due, tre città si muovevano titubanti
verso un'altra città per bervi acqua,
senza potersi dissetare:
e non siete ritornati a me,
dice il Signore.
9Vi ho colpiti con ruggine e carbonchio,
vi ho inaridito i giardini e le vigne;
i fichi, gli oliveti li ha divorati la cavalletta:
e non siete ritornati a me,
dice il Signore.
10Ho mandato contro di voi la peste,
come un tempo contro l'Egitto;
ho ucciso di spada i vostri giovani,
mentre i vostri cavalli diventavano preda;
ho fatto salire il fetore dei vostri campi
fino alle vostre narici:
e non siete ritornati a me,
dice il Signore.
11Vi ho travolti
come Dio aveva travolto Sòdoma e Gomorra;
eravate come un tizzone
strappato da un incendio:
e non siete ritornati a me
dice il Signore.
12Perciò ti tratterò così, Israele!
Poiché questo devo fare di te,
prepàrati all'incontro con il tuo Dio, o Israele!

13Ecco colui che forma i monti e crea i venti,
che manifesta all'uomo qual è il suo pensiero,
che fa l'alba e le tenebre
e cammina sulle alture della terra,
Signore, Dio degli eserciti è il suo nome.


Lettera agli Ebrei 3

1Perciò, fratelli santi, partecipi di una vocazione celeste, fissate bene lo sguardo in Gesù, l'apostolo e sommo sacerdote della fede che noi professiamo,2il quale è fedele a colui che l'ha costituito, come lo fu anche 'Mosè in tutta la sua casa'.3Ma in confronto a Mosè, egli è stato giudicato degno di tanta maggior gloria, quanto l'onore del costruttore della casa supera quello della casa stessa.4Ogni casa infatti viene costruita da qualcuno; ma colui che ha costruito tutto è Dio.5In verità Mosè fu 'fedele in tutta la sua casa' come 'servitore', per rendere testimonianza di ciò che doveva essere annunziato più tardi;6Cristo, invece, lo fu come figlio costituito sopra la sua propria casa. E la sua casa siamo noi, se conserviamo la libertà e la speranza di cui ci vantiamo.

7Per questo, come dice lo Spirito Santo:

'Oggi, se udite la sua voce,'
8'non indurite i vostri cuori come nel giorno della ribellione,
il giorno della tentazione nel deserto,'
9'dove mi tentarono i vostri padri mettendomi alla prova,
pur avendo visto per quarant'anni le mie opere.'
10'Perciò mi disgustai di quella generazione
e dissi: Sempre hanno il cuore sviato.
Non hanno conosciuto le mie vie.'
11'Così ho giurato nella mia ira:
Non entreranno nel mio riposo'.

12Guardate perciò, fratelli, che non si trovi in nessuno di voi un cuore perverso e senza fede che si allontani dal Dio vivente.13Esortatevi piuttosto a vicenda ogni giorno, finché dura quest''oggi', perché nessuno di voi si indurisca sedotto dal peccato.14Siamo diventati infatti partecipi di Cristo, a condizione di mantenere salda sino alla fine la fiducia che abbiamo avuta da principio.15Quando pertanto si dice:

'Oggi, se udite la sua voce,
non indurite i vostri cuori come nel giorno della ribellione',

16chi furono quelli che, dopo aver udita la sua voce, si ribellarono? Non furono tutti quelli che erano usciti dall'Egitto sotto la guida di Mosè?17E chi furono coloro di cui si 'è disgustato per quarant'anni'? Non furono quelli che avevano peccato e poi caddero 'cadaveri nel deserto'?18E a chi 'giurò che non sarebbero entrati nel suo riposo', se non a quelli che non avevano creduto?19In realtà vediamo che non vi poterono entrare a causa della loro mancanza di fede.


Capitolo XI: Il Corpo di Cristo e la Sacra Scrittura, necessarissimi all’anima devota

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Parola del discepolo

1.  O soave Signore Gesù, quanto è dolce all'anima devota sedere alla tua mensa, al tuo convito, nel quale le viene presentato come cibo nient'altro all'infuori di te, unico suo amato, desiderabile più di ogni desiderio del suo cuore. Anche per me sarebbe cosa soave sciogliermi in pianto, con profonda commozione, dinanzi a te, e, con la Maddalena amorosa, bagnare di lacrime i tuoi piedi. Ma dove è tanto slancio di devozione; dove è una tale profusione di lacrime sante? Eppure, alla tua presenza e alla presenza dei tuoi angeli, dovrei ardere tutto nell'intimo e piangere di gioia; giacché nel Sacramento ti possiedo veramente presente, per quanto nascosto sotto altra apparenza. Infatti i miei occhi non ti potrebbero sostenere, nella tua luce divina; anzi neppure il mondo intero potrebbe sussistere, dinanzi al fulgore della tua maestà. Tu vieni incontro, dunque, alla mia debolezza, nascondendoti sotto il Sacramento. Possiedo veramente ed adoro colui che gli angeli adorano in cielo. Io lo adoro per ora nella fede; gli angeli, invece, faccia a faccia, senza alcun velo. Io devo starmene nel lume della fede, e camminare in essa, finché appaia il giorno dell'eterna luce e venga meno il velo delle figure simboliche (cf. Ct 2,17; 4,6). "Quando poi verrà il compimento di tutte le cose" (1Cor 13,10), cesserà l'uso dei segni sacramentali. Nella gloria del cielo, i beati non hanno bisogno infatti del rimedio dei sacramenti: il loro gaudio non ha termine, essendo essi alla presenza di Dio, vedendo essi, faccia a faccia, la sua gloria. Passano di luce in luce fino agli abissi della divinità, e gustano appieno il verbo di Dio fatto carne, quale fu all'inizio e quale rimane in eterno. Conscio di queste cose meravigliose, trovo molesta persino ogni consolazione spirituale: infatti tutto ciò che vedo e odo quaggiù lo considero un niente, fino a che non veda manifestamente il mio Signore, nella sua gloria. Tu mi sei testimone, o Dio, che non c'è cosa che mi possa dare conforto, non c'è creatura che mi possa dare contentezza, all'infuori di te, che bramo contemplare in eterno. Ma ciò non è possibile mentre sono in questa vita mortale; e perciò occorre che mi rassegni a una grande pazienza e mi sottometta a te in tutti i miei desideri. Anche i tuoi santi, o Signore, che ora esultano in te nel regno dei cieli, aspettarono l'evento della tua gloria, mentre erano in questa vita, con fede e con pazienza grande. Ciò che essi credettero, credo anch'io; ciò che essi sperarono, spero anch'io; dove essi giunsero, confido, per la tua grazia, di giungere anch'io. Frattanto, camminerò nella fede, irrobustito dagli esempi dei santi. Terrò poi, "come conforto" (1Mac 12,9) e specchio di vita, i libri santi; soprattutto terrò, come unico rimedio e come rifugio, il tuo Corpo santissimo.

2. In verità, due cose sento come massimamente necessarie per me, quaggiù; senza di esse questa vita di miserie mi sarebbe insopportabile. Trattenuto nel carcere di questo corpo, di due cose riconosco di avere bisogno, cioè di alimento e di luce. E a me, che sono tanto debole, tu hai dato, appunto come cibo il tuo santo corpo, e come lume hai posto dinanzi ai miei piedi "la tua parola" (Sal 118,105). Poiché la parola di Dio è luce dell'anima e il tuo Sacramento è pane di vita, non potrei vivere santamente se mi mancassero queste due cose. Le quali potrebbero essere intese come le "due mense" (Ez 40,40) poste da una parte e dall'altra nel prezioso tempio della santa Chiesa; una, la mensa del sacro altare, con il pane santo, il prezioso corpo di Cristo; l'altra la mensa della legge di Dio, compendio della santa dottrina, maestra di vera fede, e sicura guida, al di là del velo del tempio, al sancta sanctorum (Eb 6,19s; 9,3).

3. Ti siano, dunque, rese grazie, o Signore Gesù, che brilli di eterna luce, per questa mensa della santa dottrina, che ci hai preparato per mezzo dei tuoi servi, i profeti, gli apostoli e gli altri dottori. Ti siano rese grazie, Creatore e Redentore degli uomini, che, per dimostrare al mondo intero il tuo amore, hai preparato la grande cena, in cui disponesti come cibo, non già il simbolico agnello, ma il tuo corpo santissimo e il tuo sangue, inebriando tutti i tuoi fedeli al calice della salvezza e colmandoli di letizia al tuo convito: il convito che compendia tutte le delizie del paradiso e nel quale banchettano con noi, e con più dolce soavità, gli angeli santi. Quale grandezza, quale onore, nell'ufficio dei sacerdoti, ai quali è dato di consacrare, con le sacre parole, il Signore altissimo; di benedirlo con le proprie labbra, di tenerlo con le proprie mani; di nutrirsene con la propria bocca e di distribuirlo agli altri. Quanto devono essere pure quelle mani; quanto deve essere pura la bocca, e santo il corpo e immacolato il cuore del sacerdote, nel quale entra tante volte l'autore della purezza. Non una parola, che non sia santa, degna e buona, deve venire dalle labbra del sacerdote, che riceve così spesso il Sacramento; semplici e pudichi devono essere gli occhi di lui, che abitualmente sono fissi alla visione del corpo di Cristo; pure ed elevate al cielo devono essere le mani di lui, che sovente toccano il Creatore del cielo e della terra. E' proprio per i sacerdoti che è detto nella legge: "siate santi, perché io, il Signore Dio vostro, sono santo" (Lv 19,2). Onnipotente Iddio, venga in nostro soccorso la tua grazia, affinché noi, che abbiamo assunto l'ufficio sacerdotale, sappiamo stare intimamente vicini a te, in modo degno, con devozione, in grande purezza di cuore e con coscienza irreprensibile. Che se non possiamo mantenerci in così piena innocenza di vita, come dovremmo, almeno concedi a noi di piangere sinceramente il male che abbiamo compiuto; concedi a noi di servirti, per l'avvenire, più fervorosamente, in spirito di umiltà e con proposito di buona volontà.


DISCORSO 341/A SULL'UMILTÀ DI NOSTRO SIGNORE GESÙ CRISTO.

Discorsi - Sant'Agostino

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Umiltà dell'incarnazione.

1. Vogliamo raccomandarvi, dilettissimi fratelli, l'umiltà di nostro Signore Gesù Cristo; è lui stesso che la manifesta a tutti noi. Osservate quanta umiltà. Il profeta Isaia proclama; Ogni uomo è come l'erba e tutta la sua gloria è come un fiore del campo; l'erba diventa secca, il fiore appassisce, ma la Parola di Dio dura sempre 1. A qual punto egli disprezza e ritiene inferiore la carne! A qual punto dà pregio e lode alla Parola di Dio! Insisto, fate ancora attenzione, guardate il suo disprezzo per la carne: Ogni uomo è come l'erba e tutta la sua gloria è come un fiore di campo. Che cos'è l'erba? Che cos'è il fiore del campo? Vuoi sapere che cos'è l'erba? Lo dice di seguito: L'erba diventa secca, il fiore appassisce. E la Parola di Dio invece? Rimane in eterno. Riconosciamo questa Parola che resta in eterno. Ascoltiamo l'Evangelista che esalta questa Parola: In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Egli era in principio presso Dio; tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto. Ciò che è stato fatto in lui era la vita: e la vita era la luce degli uomini 2. Grande lode, appropriata al Verbo eterno. Eccelsa lode appropriata al Verbo di Dio che permane in eterno. Ma che cosa dice poco dopo l'Evangelista? E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi 3. Anche se il Verbo Dio avesse fatto appena questo, di diventare carne, sarebbe un'incredibile umiltà; e beati sono quelli che credono questa cosa incredibile. La nostra fede infatti consta di realtà incredibili. Il Verbo di Dio divenne come l'erba, morì, risorse; pur essendo Dio fu crocifisso. Sono tutte cose incredibili: il fatto è che la tua malattia era diventata tanto grande, che poteva essere risanata solo da cose incredibili. Così venne quel Medico umile, trovò il malato giacente, si fece partecipe della sua debolezza, chiamandolo alla sua divinità; entrò nel terreno delle passioni uccidendo le passioni e fu steso sulla croce, morendo per uccidere la morte. Divenne per noi alimento, da assumere, per essere risanati. Che cos'è questo alimento e chi nutre? Quelli che imitano l'umiltà del Signore. Ma tu non sai imitare questa umiltà. Tanto meno la divinità. Prova ad imitare l'umiltà, se ci riesci. Non sai quando, non sai da che parte? Egli, Dio, si è fatto uomo; tu, uomo, almeno riconosci di essere uomo. Almeno riconoscessi quello che egli si è fatto per te! Riconosci te attraverso lui. Considera che sei uomo e che tuttavia vali tanto che per te Dio si è fatto uomo. E non attribuire ciò a te con superbia ma alla sua misericordia; ci ha redento col suo sangue il nostro Signore Dio e volle che prezzo delle nostre anime fosse il suo sangue, sangue innocente.

L'animale e l'uomo, l'uomo e Dio.

2. Come avevo incominciato a dire, fratelli, se Dio si è tanto umiliato da farsi uomo, chi potrebbe aspettarsi da lui qualcosa di più? Tu infatti non ti abbasseresti mai al punto di passare da uomo a bestia. E tuttavia non c'è confronto. Se tu fossi arrivato al punto di passare da uomo a bestia, non avresti superato tanta distanza quanta ne ha superata Dio abbassandosi fino a noi. L'uomo che diventasse animale, passa sì dal razionale all'irrazionale, tuttavia mortali sono l'uno e l'altro: mortale è l'uomo, mortale la bestia; come nasce l'uomo così nasce l'animale; l'uomo è concepito così com'è concepito l'animale. L'uomo si alimenta di cibi materiali e così cresce, come l'animale. Quante cose ha in comune con gli animali! Soltanto la ragione ha di diverso, lì dove è posta l'immagine del Creatore. Ma Dio che si è fatto uomo, l'Eterno fatto mortale, si rivestì di una carne presa, escluso il peccato, dalla nostra discendenza; si è fatto uomo, è nato, assumendo una condizione in cui potesse patire per noi. Ma consideralo quando ancora non ha patito: guarda che cosa è diventato per te prima ancora di patire. E` forse poca umiltà questa? Dio si è fatto uomo. O uomo, considera che sei uomo. Per te Dio è uomo, e tu non vuoi riconoscere i tuoi limiti di uomo? Vediamo, fratelli, chi sono coloro che non vogliono riconoscere di essere uomini. Chi non vuol riconoscere di essere uomo? Chi giustifica se stesso e incolpa Dio. Se l'uomo patisce qualcosa di duro, di aspro in questa vita, null'altro ha pronto sulla lingua che incolpare Dio e lodare se stesso; e protestando e indignandosi per la sua sofferenza non ammette i suoi peccati, ma esalta i suoi meriti e dice: " Dio, che cosa ti ho fatto? Perché patisco così? ". L'uomo dice a Dio: " Che cosa ti ho fatto? ". Dio potrebbe rispondergli: " Dici bene: Che cosa ti ho fatto? Tu infatti per me non hai fatto nulla, mentre io ho fatto tutto per te ". Se facessi qualcosa per Dio, faresti qualcosa che gli sarebbe gradito: questo è fare qualcosa per lui. Ma ora tu, tutto quello che hai fatto lo hai fatto per te, perché, seguendo la tua volontà, hai disprezzato il suo comando. Se intendi in questo senso, certo, hai detto giusto. Ma che cosa puoi fare a Dio quando gridi: " Che cosa ti ho fatto? ". Chi scaglia una pietra verso il cielo, la getta in cielo o contro di sé? Ciò che hai buttato non aderisce lassù, ritorna a te; così tutte le bestemmie che tu scagli contro Dio, così tutte le ingiurie, qualunque cosa stimoli la tua sacrilega, empia e superba mente, quando scagli in alto, con tanto maggior peso ricade sopra di te.

Esame di coscienza. La fuga verso Dio.

3. Che cosa volevi fare per Dio? Per lui avresti fatto qualcosa se avessi realizzato la sua parola. Se avessi fatto quello che egli comanda, bene diresti: " Che cosa ho fatto per te? ". E invece esamina la tua giustizia, esamina la tua coscienza, entra nel tuo cuore, non star fuori a gridare, guarda dentro, entra nei segreti del tuo cuore. Vedi se veramente non hai fatto nulla di male; vedi se ciò che hai sofferto non è corrispondente a ciò che hai fatto, qualunque sia la tribolazione che ti affligge. Al peccatore non è dovuto altro che una punizione di fuoco ardente ed eterno. Hai abbandonato il tuo Dio, hai assecondato le tue voluttà. Che cosa è la tua sofferenza quando sei colpito? E` una correzione, non una condanna. Se Dio ti punisce in questa vita, non è segno che egli sia irato contro di te. Non offenderlo se ti punisce, non provocarlo. Così ti perdonerà. Se tu lo provochi con le tue mormorazioni, egli ti allontana. E invece rifugiati sotto la punizione di lui che ti corregge. Non fuggire dalla punizione; va' verso di essa. Dove punisce là corri. Egli sa dove colpire, dove trovarti; tu, senza motivo, vuoi nasconderti ai suoi occhi, mentre egli è ovunque. Vuoi fuggire dal Dio irato? Rifugiati presso il Dio placato: via da lui in nessun altro luogo se non presso di lui. Tu credevi di sfuggirgli quando ergevi la tua superba fronte contro di lui; abbàssala e fuggi verso di lui. Egli punisce ogni figlio che ama 4. Non vuoi essere punito? E allora non voler essere neppure erede. Ti insegna ad essere pronto per l'eredità il tuo Padre buono; buono quando perdona, buono quando punisce; in ogni caso veramente misericordioso.

 


1 - Is 40, 6-8.

2 - Gv 1, 1-4.

3 - Gv 1, 14.

4 - Prv 3, 12.


Vita di San Policarpo

San Giovanni Bosco - San Giovanni Bosco

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Prefazione

 

            S. Policarpo illustrò la Chiesa di G. C. sulla fine del primo secolo e sul principio del secondo, ed è annoverato fra i Padri che si chiamano Apostolici. Egli è da osservare che nella Chiesa cattolica si onorano col titolo di Padri quegli scrittori i quali vissero nei tempi antichi, si segnalarono per santità di vita, e scrissero libri per difendere o anche solo per ispiegare le dottrine cattoliche. Si chiamano poi Padri Apostolici quelli, i quali ebbero per maestri o gli Apostoli stessi o i loro primi discepoli. Ora S. Policarpo è riverito siccome uno {III [99]} de' Padri Apostolici, perchè egli diede in luce varii scritti in favore delle verità della fede, e fu un modello di virtù ed ebbe per maestro S. Giovanni l'Evangelista. Dopo gli Apostoli egli tiene uno dei primi posti nella gerarchia dei vescovi e dei martiri. È vero che Dell'esporre le azioni dei Papi abbiamo più volte avuto occasione di parlare di questo luminare della Chiesa; tuttavia ci sembrò conveniente che di lui si parlasse più appositamente: che anzi giustizia voleva, che, per quanto era in noi, procacciassimo di rendere ai meriti di questo gran martire tutto l'onore che si deve, ravvivando la divozione dei fedeli verso di un santo il quale e colle sue fatiche episcopali e collo spargimento del suo sangue tanto fece per quella Chiesa di cui siamo figli. {IV [100]}

 

 

Capo I. Memorie antichissime che si hanno di S. Policarpo.

 

            S. Policarpo fu così celebre nella Chiesa, che si hanno di lui memorie antichissime. Non appena questo santo vescovo ebbe finita la sua carriera episcopale col morire per Gesù Cristo, che la chiesa di Smirne, di cui egli era stato pastore per tanti anni, scrisse una lettera a tutte le altre chiese, nella quale descrive minutamente il suo martirio. Questa lettera essendo giunta sino a noi, noi la riprodurremo alla fine, ove parleremo del martirio di questo santo vescovo. S. Girolamo nel suo Catalogo degli scrittori ecclesiastici (cap. 47), ci dà un breve ragguaglio delle gesta, degli scritti, del martirio del nostro santo. E prima di S. Girolamo, S. Policarpo era stato lodato diffusamente e dal suo discepolo S. Ireneo nella lettera a Fiorino, e da Eusebio di Cesarea nella sua storia ecclesiastica (anno VII dell'impero di Marco Aurelio) e dalla Cronaca di Alessandria d'Egitto. Un certo Pionio {5 [101]} poi fa così zelante dell'onore di S. Policarpo, che ne scrisse in lingua greca la vita, la quale giunse sino a noi.

            Questo Pionio, a quel che pare, visse poco dopo il Concilio Niceno, epperò nella prima parte del secolo quarto. Ma benchè tra esso e il nostro santo siavi la distanza di oltre a 150 anni, pure egli attinse da fonti sicure quanto ci lasciò scritto di lui. Imperocchè in fine egli dichiara, che tutte le cose narrate di San Policarpo, egli le ricavò dal libro di un certo Socrate di Corinto, il quale Socrate assicura di averle estratte dagli scritti di un certo Cajo. Questi le aveva imparate da S. Ireneo, che era stato, (come lo vediemo a suo tempo) discepolo di San Policarpo, conciossiachè esso Cajo avesse conversato con S. Ireneo.

            Pionio soggiugne, che S. Policarpo stesso gli era apparso e gli aveva rivelato, essere sua intenzione, che la sua vita scritta da Socrate, e che era caduta in dimenticanza, fosse richiamata in memoria; e che Pionio dalle cose rivelategli in quell' apparizione, potè esaminare la verità di quanto Socrate aveva scritto. {6 [102]}

            Possiamo quindi ragionevolmente dedurne, che ogni cosa scritta da Pionio intorno a S. Policarpo è vera: conciossiachè egli la trovò scritta da Socrate, e la imparò da S. Policarpo stesso per rivelazione (vedi i Bollandisti al mese di gennaio, tomo n).

 

 

Capo II. Primi anni di S. Policarpo.

 

            Smirne, città della Ionia nell'Asia minore, e situata sul mare mediterraneo, era a quei tempi rinomatissima per bellezze e per commercio. Essa aveva avuto la sorte invidiabile di ricevere assai di buon' ora la luce del Vangelo o dagli Apostoli stessi o da alcuno dei loro discepoli mandato da essi medesimi a predicarvi la fede. Pionio dice, che l'apostolo S. Paolo dopo essere stato nella Galazia, essendo venuto nell'Asia minore, si fermò qualche tempo a Smirne prima di ritornare a Gerusalemme, e che mentre stette a Smirne prese albergo presso a un certo Stratea, già discepolo di San Paolo in Pamfilia. Egli era figliuolo di Eunice, la cui {7 [103]} madre era quella Loide, che l'apostolo commenda nella sua prima lettera a Timoteo (cap. 5), quindi ne viene in conseguenza che questo Stratea era fratello di Timoteo. Ora a quei tempi essendo vescovo di Smirne un certo Bucolo, in quella città viveva una donna assai pia, timorata di Dio, e dedita ad opere buone, per nome Callista. Una notte essa videsi apparire innanzi un angelo mandato a lei da Dio, che le disse: «levati su, Callista, e va alla porta che conduce verso Efeso; là vedrai due uomini venirti incontro, conducendo per mano un figliuolino, per nome Policarpo. Domanda se questi sia da vendere[1], e udito che si, pagane il prezzo, e menalo con te a casa; sappi che esso è nato nell'Oriente.» Ciò udito, Callista tutta piena di gioia immantinenti si alzò, e venuta là ove l'angelo avevale indicato, trovò ogni cosa appuntino come erale stato detto. Avendo poi sborsato il prezzo che le fu chiesto, tutta lieta si condusse {8 [104]} a casa Policarpo. E siccome questi mostrava una grande inclinazione alla pietà, ed era docile assai e modesto, così ella gli prese amore di madre: ed avendo dovuto assentarsi da casa per qualche tempo, lo fece amministratore generale e dispensiere d'ogni suo avere.

            Policarpo, come è l'uso di tutti i cristiani veramente pii, sentivasi in cuore una viva compassione dei poveri, e cercava di alleviarne le miserie. Quindi è. che quando usciva di casa, vedove, orfani e poveri d' ogni specie s'accostavano a lui, e lo pregavano di soccorrerli. Ed egli lasciandosi vincere dalla pietà, loro distribuiva olio, vino, pane e danaro, confidando che la sua padrona non lo avrebbe a male, veggendo che essa era di cuore assai pio e inclinato al bene. Ma avendo continuato a largheggiare in queste elemosine senza porvi alcun limite, avvenne che tutte le provvigioni ben tosto furono esauste, e non ne rimase più nulla nelle celle. Frattanto Callista ritornò: ed ecco uno dei servi pieno di livore nell'animo avvicinarsi a lei, e avvertirla, che Policarpo, in cui essa aveva messo cotanta fiducia, aveva dato fondo ad ogni {9 [105]} cosa. Le quali infauste notizie commossero si fattamente Callista e accesero tale sdegno nell' animo di lei, che pensando non fosse Policarpo avesse sprecato tutte le sue ampie provvigioni in stravizzi e bagordi, appena entrata in casa, lo chiamò, e fattesi dare le chiavi entrò nelle celle a farne diligente esame. Ma quale non fu il suo stupore, quando le vide ripiene come le aveva lasciate alla sua partenza? Allora lo sdegno concepito contro il suo giovane servo convertissi in collera sfrenata contro chi glielo aveva denunziato siccome scialacquatore, ed essa stava per punirvelo severamente; ma Policarpo si intromise in favore del suo accusatore, dichiarando, che realmente egli aveva distribuito ai poveri la roba di lei, ma che Iddio aveva mandato il suo angelo e per mezzo di lui avevale restituito ogni cosa. Callista in udire ciò, rimase piena di maraviglia, e imparando vie più a stimare Policarpo, lo adottò per figliuolo, e morendo gli lasciò in eredità tutto il suo avere. {10 [106]}

 

 

Capo III.Progressi di S. Policarpo nella virtù e nella scienza.

 

            Dopo la morte di Callista, Policarpo rimasto pienamente libero di se stesso, diedesi vie maggiormente a Dio. Il gran pensiero dell'eterna vita gli stava sempre fisso nella mente; e non cessava mai dal riflettere, che noi siamo fatti per l'eternità, e che siamo quaggiù solo per qualche tempo, e come pellegrini, mentre la nostra patria è la Gerusalemme celeste. Quindi egli spendeva ogni dì lunghe ore nella meditazione delle S. Scritture, e faceva molta orazione, e donava ai poveri quanto più poteva, convertendo in loro soccorso non solo i suoi averi, ma anche il frutto della sua industria. Anzi per potere essere liberale verso dei poveri egli scarseggiava verso di se stesso; poichè si contentava di cibo semplice assai, e nelle vesti mirava solo a ripararsi dal freddo, aborrendo da ogni vanità.

            Quantunque giovane, aveva nell' aspetto la serietà di un uomo maturo, e {11 [107]} nel camminare era grave, e come di persona avanzata in età, e il cuore aveva pienamente libero da ogni affetto alle cose terrestri. Era così modesto, che se alcuno fissava in lui gli occhi, la sua verecondia ne pativa: e si guardava attentamente da coloro che erano vani e ciarlieri; che se non li poteva schivare, procurava di parlare solo quanto bastava alle regole della prudenza, e poi taceva. Ma dalla gente malvagia tenevasi lontano come da cani rabbiosi. Che se conosceva taluno, dalle cui parole od azioni sperasse trarre profitto, allora egli lo frequentava e procurava di imitarne i buoni esempi.

            Era cosi caritatevole, che quando fuori di città incontrava poveri, specialmente vecchi, che portavano legna al mercato, egli sentendo compassione della loro fatica, loro dimandava se speravano di vendere quella legna appena che fossero entrati in città. E avutone per risposta che spesso non riusciva loro di venderla prima della sera, egli la comperava, e pagatone il prezzo, faceva portare quella legna alle vedove che abitavano presso alle porte della città.

            Come poi giunse all' età virile, fecesi {12 [108]} ad amare la virtù con ardore più intenso. Imperocchè decise di rimanere celibe e consacrarsi a Dio colla castità perfetta, onde potere liberamente servirlo e amarlo con tutto il suo cuore.

 

 

Capo IV. È promosso al sacro ordine del Diaconato e del Sacerdozio.

 

            A quei tempi era vescovo di Smirne un certo Bucolo, il quale accortosi della pietà, della modestia e purità e altre belle doti di Policarpo, e veduto come esso desiderasse ardentemente d'istruirsi nelle scienze sacre, gli prese un amore singolare e lo guardava come suo figlio. Anche Policarpo amava il suo vescovo con amore di figlio, e lo teneva in conto di padre, recandosi spesso a udirne le prediche, e a riceverne le lezioni, e procurando di portargli ogni riverenza che potesse[2]. Bucolo pertanto animato da {13 [109]} vivissimo desiderio di provvedere alla Chiesa dei sacerdoti pieni di zelo, pose gli occhi su Policarpo; e pensò che i fedeli e la causa di Dio ne guadagnerebbero assai ove Policarpo assumesse sopra di sè 1' esercizio del santo ministero. Epperò chiamatolo a sè, alla presenza dei cattolici, che tutti di comune accordo diedero la loro approvazione, gli conferì l'ordine sacro del Diaconato.

            L'uffizio dei diaconi a quei tempi era assai {14 [110]} più importante, che non è al presente. Imperocchè essi dovevano aiutare il vescovo nell'amministrazione della diocesi e nella cura spirituale e anche temporale del gregge. Era loro dovere l'istruire non solo i fedeli, ma anche gli idolatri, che mostravano inclinazione a farsi cristiani: epperò era necessario che conoscessero a fondo tutte le dottrine del S. Vangelo, e sapessero esporle bene e con frutto di chi li ascoltava. Era pure loro dovere lo assistere alla celebrazione dei santi misteri, lo invigilare che nei luoghi sacri ogni cosa procedesse con ordine, lo amministrare il santo Battesimo, il portare il SS. Viatico agli infermi, visitare i cristiani che erano in carcere per causa della fede, e loro procurare tutti i soccorsi spirituali e corporali che loro occorrevano. Era infine obbligo dei diaconi il ricevere le oblazioni dei fedeli, e con queste sovvenire alle necessità dei poveri, specialmente quando erano ammalati, e sovrattutto aiutare le vedove e gli orfani. Egli è chiaro che il diacono allora non poteva riuscire bene nel suo santo ministero, senza, essere una persona gradita a tutti: ed è per questo che i vescovi usavano allora chiedere {15 [111]} una buona testimonianza dei fedeli prima di promnovere alcuno a un uffizio sì delicato. Egli è chiaro altresì, che a compiere tutti gli obblighi di un tale ministero si richiedevano persone fornite di gran zelo, gran carità, gran prudenza e pietà, e soprattutto ben fondate nella santa castità, acciocchè potessero star saldi in mezzo a tutti i pericoli fra i quali dovevano trovarsi. Ora da ciò si può intendere quale grande stima Bucolo e tutti i cattolici di Smirne facessero delle virtù di Policarpo, eleggendolo a un uffizio sì importante. Ma non è da stupire che ed il vescovo e i fedeli concorressero in questa scelta, mentre Pionio ci dice, che Iddio stesso aveva fatto palese la santità di Policarpo coll'operare prodigi a intercessione di lui, e concedergli la grazia di risanare molti infermi e cacciare lo spirito infernale da molti indemoniati.

            Fatto diacono, confermò pienamente colla sua santa condotta le speranze concepite da lui; e mostrandosi pieno dello stesso spirito, di cui era stato ripieno il diacono S. Stefano, con gran libertà confatava i Giudei, i Gentili e gli Eretici, e arrendendoci alla persuasione del suo {16 [112]} vescovo, benchè per modestia vi sentisse gran ripugnanza, fecesi pure a predicare i santi misteri agli stessi cattolici. Ad essi esponeva le cose sì chiaramente, che i suoi uditori attestavano che loro pareva di vedere cogli occhi propri, non che udire, quanto il santo diacono loro predicava.

            Il sacerdozio a que' tempi si conferiva solo a un'età già avanzata, acciocchè coloro che ne venivano insigniti potessero avere la maturità e prudenza necessaria, ed è per questo che i sacerdoti erano chiamati preti, parola che significa persone attempate.[3] Bucolo faceva tanta stima di Policarpo, che avrebbe voluto ordinarlo sacerdote molti anni prima, se le leggi della Chiesa non gliel' avessero proibito: ma subitochè questi arrivò all'età fissata, che a quei tempi era verso i 30 anni, e i capelli, che già incominciavano a imbianchire erano prova, ch'esso era uomo maturo, Bucolo si fece premura di promuovere il suo caro discepolo alla dignità altissima e sovrumana di sacerdote di Gesù Cristo. Tutti i fedeli di Smirne applaudivano {17 [113]} alla intenzione del loro pastore; e tutti ardentemente desideravano di vedere il loro diletto Policarpo adorno del carattere sacerdotale. V'era però un solo, che si opponeva, e che contrastava al desiderio comune; e questi era Policarpo, che quanto più era realmente degno di quell'onore, altrettanto se ne riputava indegno. Egli tremava al pensiero, che Iddio potesse punirlo, ove senza le disposizioni richieste egli osasse avanzarsi a tanta dignità. Ma una visione celeste venne a confortarlo, e a renderlo persuaso essere volere di Dio, che esso cedesse alle esortazioni dei buoni, e si lasciasse ordinare sacerdote.

            Poichè Policarpo si vide sollevato a tanto onore, si accese di zelo vie più fervente, e si pose a predicare Gesù Cristo con tanta efficacia, che molti idolatri illuminati dalle sue istruzioni, aprirono gli occhi della mente, e abbracciarono la fede cristiana.

 

 

Capo V. È fatto Vescovo di Smirne, suo zelo nell'episcopato.

 

            Frattanto Bucolo. breve tempo appresso, dopo aver lungamente governato la chiesa {18 [114]} di Smirne, fu chiamato a ricevere il premio delle sue fatiche: ma prima che passasse da questa all'altra vita, il Signore lo consolò col rivelargli che Policarpo gli succederebbe nella carica. La qual còsa recò tanta gioia al buon vecchio, che quando era sul morire, si prese la mano di Policarpo, e se la pose sul petto e poi sul volto, per mostrargli com'egli trasmettesse a lui il potere di fare tuttociò ch'egli aveva fatto colle facoltà dell' anima e del corpo per la gloria di Dio. Quei che erano presenti alla morte del loro pastore già cominciavano a tenere tra loro ragionamenti sull'eleggergli per successore Policarpo, benchè questi non vi pensasse per nulla, come quegli, la cui mente era del continuo assorbita dalle cose eterne. Ma venuta l' ora di rendere gli ultimi uffizii al vescovo defunto, e portatone il cadavere al cimitero della Basilica detta Efesiaca, tutti concordemente fecero istanza a Policarpo che celebrasse la messa in suffragio dell'anima del loro pastore; il che era un dirgli che volevano lui per successore. Vennero poscia i vescovi delle città vicine per fare la elezione; o insieme coi vescovi venne molta gente da varie {19 [115]} parti, perocchè molti conoscevano già Policarpo, molti desideravano di vedere un personaggio, di cui udivano magnificarsi i meriti; e tutti si aspettavano di vederlo promosso alla dignità vescovile. I vescovi si radunarono nel luogo ove la elezione doveva farsi, e coi vescovi erano tutti i preti e diaconi di Smirne insieme con gran numero di fedeli. Dicesi che uno splendore insolito venisse dal cielo, e agli occhi degli astanti rendesse Policarpo radiante d'una luce sovrumana, e il mostrasse come ammantato di ricca porpora, con una bianchissima colomba sovra il capo. Si fece orazione, si lessero le Sante Scritture, e si tenne un sermone. I vescovi e gli altri ecclesiastici quivi presenti, non poterono a meno di approvare tale elezione, veggendo che la volontà di Dio erasi manifestata in modo cosi sensibile; epperò di comune consenso, Policarpo, che probabilmente aveva poco più di 30 anni, fu chiamato ad essere vescovo di Smirne. Non è a dire le lagrime che sparse Policarpo quando si vide innalzato a un posto che è formidabile agli stessi angeli: ma benchè egli tremasse al pensiero di un {20 [116]} carico sì pesante, pure dovette sottoporvi le spalle e lasciare che ì vescovi presenti lo consacrassero, imponendogli le mani.

            S. Girolamo, la cronaca delle chiese d'Alessandria in Egitto, Usuardo nel suo martirologio, ed altri ci dicono che Policarpo fu ordinato vescovo di Smirne da s. Giovanni l'evangelista. Bisogna perciò conchiudere che, o s. Giovanni mandò l'ordine di eleggere Policarpo, o egli stesso intervenne a quella adunanza, od approvò la elezione fatta dai vescovi. È cosa chiara, che siccome s. Giovanni aveva cura speciale delle chiese dell' Asia, così finchè egli visse, nessuno fu ordinato vescovo di alcune di quelle chiese senza che egli in qualche modo concorresse a quell' ordinazione o almeno vi desse il suo consenso.

            Appena fu consacrato, incominciò ad esercitare il suo uffizio col predicare al popolo che era accorso alla sua elezione, e nella predica, dopo avere parlato della difficoltà estrema che incontrasi nel compiere esattamente gli obblighi di vescovo, si raccomandò caldamente alle preghiere di tutti, ed esortò i sacerdoti e diaconi della sua diocesi ad aiutarlo col loro zelo nel grave incarico. Nè Pionio, nè altri, non {21 [117]} ci lasciarono scritto minutamente le molte cose che Policarpo deve avere fatto pel bene delle anime, mentre che esso fu vescovo; nulladimeno egli è chiaro, che un uomo cosi zelante, cosi pio e casto, cosi umile e modesto, e che aveva adempito gli obblighi di diacono e sacerdote con tanta edificazione e tanta soddisfazione di tutti i fedeli, non poteva a meno di essere tutto fervore per la conversione degli idolatri e dei peccatori. Infatti Pionio ci dice, che esso visitava tutte le chiese della sua diocesi, a fine di provvedere, che il culto divino si esercitasse ovunque in regola e si amministrassero i sacramenti. Stabilì varii diaconi, dando loro la cura delle chiese, e tra gli altri ordinò diacono un certo Camerio, il quale gli succedette poi nel vescovato dopo un certo Papizio; e a questo Camerio egli affidò la cura delle chiese della campagna. Il santo vescovo predicava spesso e sempre con una eloquenza da apostolo, e si adoperava col massimo calore, perchè si mantenesse viva la fede, e si osservassero i dì festivi, e si abbonisse il peccato.

            Iddio accresceva la efficacia della predicazione del santo vescovo col dono dei {22 [118]} miracoli, tra i quali si annovera specialmente, l'avere fermato un incendio che minacciava di recare guasti orribili; di avere fatto venire la pioggia in tempo di siccità, e di avere fatto cessare la inondazione delle acque ed ottenuta la serenità del cielo.

            E non è a stupire che Iddio si degnasse di onorare lo zelo e la santità di questo gran vescovo col dargli il potere di operare cose al dissopra delle forze della natura, dacchè Esso, quando mandò gli apostoli a predicare il vangelo agli idolatri, aveva detto loro: guarite gli infermi, risuscitate i morti, mondate i lebbrosi, cacciate i demoni[4].

            Mentre era vescovo, ebbe la consolazione di dare ospitalità al suo caro condiscepolo s. Ignazio, vescovo di Antiochia, quando questi essendo tratto a Roma, per essere esposto alle fiere, ebbe da soffermarsi a Smirne. E chi può imaginare il trasporto d'affetto di questi due santi vescovi e martiri, quando si abbracciarono a vicenda?

            Tra le altre cure che s. Policarpo si {23 [119]} prese sommamente a cuore, una si fu quella di allevarsi dei discepoli pieni di zelo, scienza e virtù, i quali propagassero l'evangelo, convertendo idolatri e confutando gli eretici. E si dà per certo, che Policarpo mandò varii de' suoi discepoli nelle Gallie (che sono la Francia attuale), i quali tutti dopo avere predicato in quei paesi idolatri la fede cristiana, terminarono il loro apostolato col martirio. Fra questi discepoli di s Policarpo, il più illustre fu s. Ireneo, vescovo di Lione. Questo Santo ci narra, che il suo maestro fece un viaggio a Roma per ristabilire la pace della Chiesa, la quale era alquanto turbata da ciò, che non tutti andavano d'accordo sul giorno in cui dovevasi celebrare la solennità della Pasqua: mentre altri la celebravano il giorno 14 della luna di marzo, in qualunque dì della settimana esso potesse cadere, e altri la celebravano la domenica seguente, secondo la pratica introdotta da s. Pietro ed osservata costantemente a Roma. S. Policarpo, a cui nulla stava più a cuore che la pace, la buona armonia e la carità, fece dal canto suo quanto potè per impedire, che i fedeli fossero divisi tra di loro, e onde riuscirvi, {24 [120]} determinò di abboccarsi col Sommo Pontefice, s. Aniceto, epperò di intraprendere il viaggio di Roma. A quei tempi simile viaggio era assai lungo e faticoso per tutti, ma lo era assai più per Policarpo, che allora già toccava oltre i 90 anni dell'età sua. Arrivato a Roma si portò dal Vicario di Gesù Cristo, e trattò con lui lungamente sul giorno, che i cristiani avevano da celebrare la Pasqua: e quantunque la questione per allora non potesse ricevere lo scioglimento che poi ricevette nell' anno 325, quando il Concilio di Nicea decretò che la Pasqua aveva da essere solennizzata da tutti la prima domenica dopo il plenilunio di marzo; tuttavia s. Policarpo ottenne da papa Aniceto, che non venissero scomunicati quei che osservavano una pratica diversa; e che per questo punto di disciplina ecclesiastica, la Chiesa non avesse ad essere turbata da scismi.

            S. Policarpo, mentre si prendeva cura di questo affare, non cessava di esercitare il suo zelo nella conversione degli eretici, epperò s. Ireneo ci assicura, che durante il suo soggiorno in Roma, esso convertì molta gente che si erano lasciati ingannare dagli eretici Marcione e Valentino, {25 [121]} i quali insegnavano non esservi un Dio solo, ma molti dei. Il suo attaccamento alla fede cattolica, e il suo orrore per gli eretici era tale, che un dì mentre era in Roma l'eretico Mansione, essendosi avvicinato al santo vescovo, e avendo osato domandargli: «Mi conosci tu, e sai tu chi io sono?» S. Policarpo immantinenti risposegli: «si, ti conosco, e bene assai, imperocchè io so che tu sei il primogenito di Satanasso».

            Questo era uno dei punti essenzialissimi, sui quali s. Policarpo era pieno di attività e di fuoco, cioè il procurare che i cattolici conservassero la fede illibata, e per conseguenza stessero lontani dagli eretici. Per questo egli continuamente si adoperava per inspirare un grande orrore all' eresia, e soleva raccontare, che l'apostolo s. Giovanni, un dì trovandosi ad Efeso, ed essendo entrato in un bagno, vi trovò là l'eretico Cerinto. Tale incontro lo colpì di tal timore, che immantinenti uscì, affermando, che siccome là entro era Cerinto, nemico della verità, così vi correva gran pericolo che l'edifizio crollasse in un istante e cadesse a terra.

            Non contento di propagare e difendere {26 [122]} la fede cristiana colla parola, si adoperò di propagarla e difenderla cogli scritti: e per questo scrisse molte lettere sia a persone private, sia alle chiese dell'Asia e di altri luoghi, in cui espose i dogmi della fede, con grande erudizione e forza. Peccato che di tutti i suoi scritti non ci rimane che una lettera ai cristiani di Filippi, detta da s. Girolamo utile assai.

            Non è senza probabilità, che quando l'apostolo ed evangelista s. Giovanni scrisse il libro dell'Apocalisse, s. Policarpo fosse vescovo di Smirne: epperò egli è a questo santo vescovo che dovrebbe riferirsi il magnifico elogio, che Gesù Cristo stesso fa di lui in questo libro, al capo secondo, ove così comanda a s. Giovanni: «E all'angelo[5] della chiesa di Smirne scrivi: queste cose dice Quegli che è il Primo e l'Ultimo, era morto ed ora è vivo; io conosco la tua tribolazione, e la tua povertà; ma tu sei ricco: e tu sei bestemmiato da coloro che chiamano se stessi giudei[6], ma non lo {27 [123]} sono, sibbene essi sono la sinagoga di Satanasso. Non temere alcuna delle cose che avrai da soffrire. Ecco che il diavolo getterà alcuni di voi in prigione, acciocchè voi siate provati; e voi avrete tribolazione per dieci giorni. Sii fedele sino alla morte, ed io ti darò la corona della vita». Dalle quali parole del nostro Redentore vedesi chiaro come s. Policarpo menava vita povera assai, mentre era ricco di meriti, ed era come nel crogiuolo della tribolazione, per parte degli idolatri e degli eretici, che lo perseguitavano a morte. Ma egli era fermo nel servizio di Dio, e pronto a tutto patire, e a morire mille volte piuttosto che tradire la fede, o mancare al suo dovere. Quindi è che rincuorato da questa raccomandazione del suo divin Salvatore, terminò la sua carriera mortale con un glorioso martìrio. Imperocchè Marco Aurelio, imperatore dei Romani, avendo emanate leggi di sangue contro i cristiani, e specialmente contro i loro sacerdoti e vescovi, gli idolatri e Giudei di Smirne ne presero occasione per chiedere la morte di s. Policarpo al proconsole, e ottenere che esso fosse consegnato alle fiamme; in questa maniera procurarono il martirio di molti seguaci di G. C. {28 [124]}

            I fedeli di Smirne, come dicemmo sul principio, scrissero una lettera a quei di Filadelfia, e ai cristiani di tutto il mondo, nella quale descrivono minutamente la santa morte del loro pastore: la quale lettera è così bella e cosi edificante, che noi crediamo di far cosa gradita ai nostri lettori col riprodurla quasi per intero.

 

 

Capo VI. Martirio di s. Policarpo, quale è descritto nella lettera dei fedeli di Smirne.

 

            «La chiesa di Dio, che abita a Smirne, alla chiesa di Dio che è a Filadelfia, e a tutte le parrocchie di qualunque luogo della Chiesa santa e cattolica: si moltiplichi la pace e carita da Dio Padre e da Gesù Cristo Signor nostro.

            O Fratelli, vi abbiamo scritto intorno a coloro che subirono il martirio, e riguardo al beato Policarpo, il quale in certo modo, con la sua confessione; pose il sigillo alla persecuzione, e la estinse.

            ... Chi è che non ammiri la generosita dell'anima sua, la sua costanza, la {29 [125]} sua carita verso Dio? Altri furono battuti si crudelmente da spietati colpi di sferza, che si poteva vedere l'interna struttura delle vene, delle arterie e della carne: ma essi sopportarono questo supplizio si fortemente, che gli astanti stessi ne sentivano compassione. Altri giunsero a tale costanza, che nè una parola nè un gemito uscì loro di bocca: e tutti questi martiri di Cristo, generosi oltre modo, ci mostrarono che, mentre la loro carne si trovava fra i tormenti, le loro anime in certo modo erano lontane; o piuttosto Cristo era presente e conversava con loro; ed essi obbedendo alla grazia divina, disprezzavano le torture di questo mondo, e col patire di un'ora, si riscattavano dai tormenti eterni. Il fuoco era per essi quasi un ristoro della crudele carnificina che avevano subito: imperocche la sola cosa che essi avevano in mente, era di schivare l'eterno incendio che non si spegne mai; e cogli occhi della mente già vedevano i beni che sono riservati a chi persevera. Beni, che nè occhio vide, nè orecchio udì, nè possono essere intesi dalla mente dell uomo: ma Iddio li aveva fatti loro {30 [126]} capire, come se essi fossero stati angeli e non uomini. Similmente, condannati ad essere esposti alle bestie feroci, essi sostennero dolori acerbissimi; e furono pure esposti alle spade, e sottoposti ad altri crudeli supplizi, acciocchè, se fosse stato possibile, il tiranno, colla lunghezza delle pene, li potesse costrignere a rinnegare la fede».

            «Satanasso pose in opera molti artifizii contro di essi: ma dobbiamo ringraziare Iddio che non potè prevalere contro alcuno di loro. Un certo Germanico, d'animo generosissimo, combattendo da valoroso contro le bestie feroci, colla sua costanza infuse coraggio in chi era di cuor pusillanime. Imperocchè il Proconsole volendo persuaderlo a rinnegare la fede con suggerirgli che sentisse compassione della sua età, egli stesso con dei colpi provocò una bestia feroce contro di sè per liberarsi più presto da questo mondo empio ed ingiusto. E fu allora che tutta a moltitudine ammirando la pia e religiosa magnanimità dei cristiani, gridò ad alta voce: distruggi gli empi, si cerchi di Policarpo.» {31 [127]}

            «Ma un certo cristiano per nome Quinto, che era venato di fresco dalla Frigia, vedute le fiere si sentì venir meno il coraggio; e questi di sua spontanea volontà aveva esposto se stesso ed altri al martirio: e il Proconsole esortandolo con molte ragioni, lo indusse a giurare per gli Dei, e a loro offrire sacrificio.»

            «Perlochè noi non lodiamo coloro che si offrono da loro stessi al martirio; conciossiachè questo non sia conforme all'insegnamento del Vangelo.»

            «Come l'ammirabile Policarpo udì queste cose, non si turbò punto di cuore, e sulle prime voleva rimanersi nella città. Molti però lo persuasero di allontanarsi; ed egli si ritirò in una casa di campagna non lungi dalla città, ove fermossi con pochi, e dì e notte non fece altro che pregare per le chiese di tutto il mondo, come era il suo costume. Or mentre attendeva all'orazione, tre giorni prima ch' ei fosse catturato, fu rapito in estasi, e gli parve di vedere il suo capezzale in fiamme: e voltosi agli astanti, disse, in tuono di profeta: io ho da essere abbruciato vivo. Aspettandosi coloro, che lo cercavano, {32 [128]} Policarpo passò ad un' altra casuccia; e subito si presentarono coloro che ne indagavano i pàssi; e non trovandolo, si impadronirono di due giovanetti, dei quali uno costrettovi dai tormenti scopri il luogo ove era Policarpo. Adunque avendo seco quel giovanetto, nel dì della Parasceve[7], all'ora di pranzo, i persecutori uscirono insieme con cavalieri muniti delle armi consuete, affrettandosi come se avessero da catturare un ladro. E sul far della notte arrivati ad una certa casetta, il trovarono nascosto nel soppalco superiore. Per certo egli avrebbe ancor potuto fuggirsene in altro luogo; ma non volle e disse: facciasi la volontà di Dio.

            Adunque udito ch'essi erano venuti, discese di suo spontaneo volere, e loro parlò, mentre tutti erano maravigliati della sua età e costanza; e che essi avessero usate tante cautele per catturare un vecchio. Immantinenti comandò che loro si apprestasse da mangiare e da bere quanto loro piacesse, pregandoli a concedergli una sola ora da pregare {33 [129]} in libertà. E quegli acconsentendo, esso pieno della grazia di Dio, pregò sì a lungo, che appena in due ore pote metter fine all'orazione. Coloro che erano presenti ne facevano le maraviglie, e varii di loro sentivansi pentiti d'essere venuti a prendere un vecchio cosi pio. Com'ebbe finita la preghiera. ... ed ebbe raccomandata tutta la chiesa cattolica sparsa per tutto l'universo, ed essendo venuta l'ora di partire, il posero sopra di un asino, e s' incamminarono  verso la città il dì del sabbato.»

            «Ma un Irenareo soprannominato Erode, e Nicete di lui padre gli vennero incontro dentro un carro, e presolo in mezzo a loro, si sforzavano di indurlo a fare a loro modo, dicendogli: che male vi ha mai a dire, signor Cesare, e poi offrire un sacrifìcio, e cosi salvare te stesso? Egli sulle prime non diede loro risposta, ma essi instando vie più, disse: non sarò io mai per fare quello che mi suggerite. Allora quegli delusi nella speranza che avevano di tirarlo nel loro partito, prorompono in insulti contro di lui, e lo gettano giù del carro con tal violenza, che cadendo si offese una {34 [130]} gamba e zoppicava non poco. Tuttavia per niente commosso, e come se non avesse ricevuto alcun incomodo continuò il suo viaggio verso l'anfiteatro, sforzandosi di camminare a passo spedito.

            Nell'anfiteatro vi era un grandissimo tumulto, sicchè non era possibile udire alcuna cosa. Or mentre Policarpo vi entrava, una voce udissi dal cielo: Policarpo, sta forte, combatti da valoroso: e nessuno poteva vedere quello, da cui veniva quella voce; ma la voce stessa fu udita da molti de' nostri che erano presenti. Del resto grande era il tumultuare della moltitudine per aver udito che Policarpo era stato preso. Il Proconsole, fattoselo venire innanzi, lo interroga, se esso sia Policarpo: e questi avendo risposto che si, il Proconsole lo esorta a rinnegare Cristo, dicendogli: rispetta la tua età, giura per la fortuna di Cesare, pentiti, di: distruggi gli empi, ed altre simili cose secondo il costume di costoro. Ma Policarpo con volto grave e tranquillo, fissando lo sguardo su tutta la moltitudine degli empi gentili, che erano nell'anfiteatro, stese {35 [131]} la mano verso di loro, e con gemiti alzando gli occhi al cielo, disse: disperdi gli empi. Il Proconsole poi facendo istanza, e dicendogli: giura, ed io ti lascierò andar libero, insulta a Cristo; Policarpo rispose: sono ottantasei anni che servo a lui, e non mi recò mai danno alcuno. E come potrei io bestemmiare il mio re che mi ha salvato? Il proconsole continuando a stimolarlo con dire: giura per la fortuna di Cesare; esso rispose: mi guardi Iddio dal giurare, come tu dici, per la fortuna di Cesare. Tu fingi di ignorare chi io mi sia; ascolta, che io parlerò con libertà. Io sono cristiano: e se ti aggrada: intendere la ragione della fede cristiana, dammi tempo a ciò, e ascoltami. Il Proconsole ripigliò: va ad insegnare la tua religione al popolo. Policarpo soggiunse: io stimo che si convenga di esporne la ragione a te; imperocchè ci fu insegnato che noi dovessimo stare soggetti a' magistrati e alle podestà stabilite da Dio nelle cose oneste; e loro rendere obbedienza in ciò che non rechi danno alcuno alla salvezza dell'anima nostra: ma io non stimo questa moltitudine degna che le si renda ragione {36 [132]} della nostra fede. Il Proconsole disse: io ho delle fiere e loro ti esporrò, se tu non cangi parere. Falle venir fuori, rispose Policarpo, imperocchè si deve ricusare quel pentimento che da ciò che è meglio ci conduce a ciò che è peggio. E il Proconsole: dacchè tu non fai caso delle fiere, se non mostri pentimento, ti farò consumare dal fuoco. Al che Policarpo replicò: tu minacci a me un fuoco, che arde solo per un'ora, e si spegne ben presto; imperocchè tu ignori i supplizii dell' altro mondo, e il fuoco di eterna condanna, che là sta apparecchiato agli empi.»

            «Policarpo dicendo queste ed altre cose simili, si riempì di fiducia e di gaudio, e tanta era la grazia che gli compariva sul volto, che non solo non si perdeva d'animo, nè si turbava per le cose che gli erano state dette; ma per contro lo stesso Proconsole ne era maravigliato.»

            «Questi nullàdimeno mandò un banditore in mezzo all' anfiteatro e comandogli di gridare ad alla voce per tre volte: Policarpo ha confessato d'essere cristiano. La qualcosa avendo quegli proclamato, {37 [133]} tutta la turba de' gentili e giùdei, che abitavano a Smirne; con impeto di animo sfrenato presero a gridare con quanta voce avevano in gola: questi è il maestro di empietà, questi e il padre dei cristiani, questi è lo sterminatore de' nostri dei, il quale allontanò molti dai sacrificii e dalla venerazione degli dei. Dicendo queste cose, facevano schiamazzi, e pregavano Filippo governatore dell'Asia, che mandasse un leone contro di Policarpo; ma Filippo rispose che ciò non gli era permesso, perchè i giuochi delle fiere erano già terminati. Allora tutto il popolo domandava con alte grida, che Policarpo fosse abbruciato vivo ... e appena ciò detto, tutti dalle officine e dai bagni si diedero a portar fuori legna e sermenta per farne una catasta: e coloro che in cio mostravano più calore ed attività erano secondo il solito i Giudei. Quando il rogo fu costrutto egli svestendosi da se stesso, deposto il cingolo, si adoperava a sciogliersi i calzari, il che egli non aveva mai fatto per lo innanzi perchè tutti i fedeli andavano a gara chi di loro il primo toccasse quel sacro corpo. {38 [134]} Imperocchè egli prima del martirio aveva operato cose preclare e sante; e in tutta la sua condotta aveva imitato Iddio.

            Immantinenti si adoprano gli instrumenti per quel supplizio: ma quando il vollero configgere con chiodi, lasciate ciò per ora, egli disse, imperocchè chi mi diede grazia da sopportare il fuoco, mi concederà pure di rimanere immobile nel fuoco senza alcun bisogno che io sia tenuto con chiodi. Quelli poi, benchè non lo conficcassero con chiodi, pure lo legarono con catene. Adunque avendo le mani legate dietro il dorso, quasi egli fosse qualche insigne montone scelto tra un numeroso gregge, per essere offerto in olocausto accettevole, alzati gli occhi al cielo, pregò cosi: Signore Iddio onnipotente, Padre del tuo diletto e benedetto figlio Gesù Cristo, per mezzo di cui noi abbiamo ricevuto la cognizione di te, Dio degli angeli e delle podestà, e di tutte le creature, e d'ogni classe di giùsti, i quali vivono nel tuo cospetto; io ti benedico, perchè in questo giorno e in questa ora tu mi fai degno di avere parte nel numero de' tuoi martiri, nel calice di Cristo, nella risurrezione della {39 [135]} vita eterna; del corpo e dell'anima, nell' incorruzione dello Spirito Santo; tra i quali martiri fa che noi siamo oggi ricevuti al tuo cospetto quel ostia pingue ed accettevole, siccome tu, Dio pero, e scevro d' ogni menzogna, hai disposto, hai predetto e adempito. Laonde per tutte queste cose io ti lodo, benedico e glorifico insieme coll'eterno e celeste tuo figlio Gesù Cristo, col quale insieme collo Spirito Santo sia a te gloria ora e per tutti i secoli. Amen.

            «Avendo dello amen, e terminata la preghiera, i littori ai quali spettava la cura di costrurre la catasta, vi appiccarono il fuoco. Venendo poi fuori una fiamma altissima, noi vedemmo un gran miracolo, noi, ai quali fu concesso e i quali siamo riservati a narrare a tutti gli altri fedeli le cose avvenute. Imperocchè il fuoco prendendo come la forma di una volta, o quasi fosse la vela di una nave gonfiata dal vento, circondava tutto all' intorno il corpo del martire, ed esso stava in mezzo, non già come carne abbruciata, ma come pane colto, oppure oro ed argento purificato nel camino coll'ardorè {40 [136]} del fuoco. E noi sentivamo tanta fragranza di odore soavissimo come se fosse venuto da incènso od altri preziosi aromi. Finalmente gli empi vedendo che il corpo di lui non poteva essere consumato dal fuoco, taluno ordinò, che il costruttore della catasta si avvicinasse di più, e vi conficcasse la sua spada. Ciò essendo stato eseguito, videsi una colomba a volare, e uscirne fuori tanta abbondanza di sangue, che spense il fuoco, e il popolo si maravigliò, che vi fosse tanta differenza tra gli infedeli e gli eletti, al numero dei quali venne aggregato l'ammirabile martire Policarpo. A' nostri tempi egli fu vescovo della Chiesa cattolica a Smirne, e anche dottore apostolico e profetico. Imperocchè quanto usciva dalla bocca di lui, o era già stato adempito o certo doveva adempirsi.

            Ma quell'invidioso, maligno e scellerato avversario, sempre nemico della classe dei giusti, vedendo l'illustre

martirio di lui, che da' suoi primi anni aveva menata una vita irreprensibile, e lui già rimunerato colla corona dell'immortalità, e in possessione d'una palma {41 [137]} certa e durevole, si adoperò con ogni premura e sollecitudine perchè, noi non ne togliessimo le reliquie, benchè molti avessero questa intenzione per rendersi in qualche modo partecipi della sacra corona di lui. Imperocchè suggerì a Nicete padre di Erode e fratello di Alces, di pregare il prefetto di non concederne loro il corpo, acciocchè non forse, egli diceva, abbandonando il crocifìsso, lui prendano ad adorare. E queste cose disse egli, mentre i Giudei davano simili avvisi, e con calore facevano simili istanze, i quali avevano pure guardato il corpo, quando noi volemmo trarlo dal fuoco: non sapendo, che noi non possiamo giammai essere indotti ad abbandonare Cristo, il quale patì per la salute di coloro che si salvano in tutto il mondo, il giusto per gli iniqui, o che onoriamo alcun altro: poichè noi adoriamo lui che è il figlio di Dio: ma i martiri, che sono come i discepoli ed imitatori del Signore, noi li amiamo giustamente a cagione della eccellente loro carita verso il proprio Re e maestro, dei quali voglia Dio che noi possiamo essere e condiscepoli e partecipi.» {42 [138]}

            «Adunque il centurione, veduta l'ostinazione de Giudei, pose il corpo in mezzo al fuoco, e l'abbruciò. Cosicchè noi raccogliendo poi le ossa di lui siccome oggetti più preziosi delle gemme, le riponemmo in luogo conveniente, dove, quando ciò potrà farsi, Iddio ci concederà di raunarci, e celebrare il dì del martirio di lui con gaudio ed esultanza a memoria di coloro che terminarono la, loro battaglia, e ad eccitamento dei posteri, e per preparare lo spirito a cose simili.

            Tutti raccontano queste cose del beato Policarpo che insieme cogli altri dodici, che vennero da Filadelfia, subì il martirio.

            Voi certamente ci richiedeste di scrivervi a lungo le cose che accaddero: ma noi per ora ve le abbiamo indicate solo per sommi capi, mandandovi questa lettera per mezzo del nostro fratello Marco. Quando poi l'avrete letta, mandatela anche ai fratelli lontani, acciocchè essi pure diano gloria al Signore, il quale tra' suoi servi fece una simile scelta, e che colla sua grazia e col suo dono può introdurre tutti noi nel suo eterno regno per mezzo del suo unigenito Gesù {43 [139]} Cristo, a cui sia gloria, onore, imperio, maestà per tutti i secoli. Amen.

            Salutate tutti i santi: tutti quelli che sono con noi vi salutano: anche Evaristo il quale scrive la lettera, e tutta la sua famiglia.»

            Egli pare assai verisimile che il martirio di s Policarpo accadesse il 26 marzo, nel dì del sabato santo, nell'anno 169 dell'era cristiana, essendo il santo vescovo in eta di anni 102.

 

 

Capo VII. Osservazioni a farsi sulle cose sopraddette.

 

            La prima osservazione è, che dobbiamo sentire un vivissimo attaccamento alla fede cattolica, e riguardare questa fede come il tesoro più prezioso, conciossiachè senza di essa non siavi la salute eterna e per conservarci gelosamente questo tesoro, noi dobbiamo stare lontani dagli eretici, perchè venendo in contatto con essi, noi correremmo pericolo di perdere un tesoro di tanto valore. Anche s. Giovanni benchè fosse l'apostolo della carità, pure aveva gli eretici in tanto orrore, che non volle {44 [140]} rimanersi nel bagno in cui era entrato, subitochè seppe che dentro vi era l'eretico Cerinto, e s. Policaipo disse all'eretico Marcione, che esso conosceva in lui il primogenito di Satanasso.

            La seconda osservazione a farsi, è che nessuno deve mai presumere di fare cose grandi senza che Iddio ve lo chiami; altrimenti si espone al pericolo di offendere gravemente Iddio invece di onorarlo. Epperò quei cristiani, i quali da se stessi vollero esporsi al martirio, presumendo di essere più coraggiosi che non erano; non stetterò saldi in mezzo ai tormenti, e rinnegarono la fede.

            La terza osservazione è che non è lecito di procurare a noi stessi la morte senza averne licenza da Dio: epperò quel certo Germanico il quale provocò la fiera contro di se stesso, perchè lo sbranasse, bisogna dire che avesse avuto qualche lume particolare del Cielo per fare ciò, altrimenti la Chiesa non lo onorerebbe siccome martire.

            La quarta osservazione e, quanto grande fosse la premura dei fedeli di quei tempi nel raccogliere le reliquie dei martiri, e riporle in luogo conveniente: e quale riverenza {45 [141]} portassero a queste reliquie. La qual cosa dimostra quanto giustamente la Chiesa anche a dì nostri continui ad inculcare lo stesso rispetto; e quanto siano da lodare quei cristiani i quali fanno stima delle sacre reliquie.

            La quinta osservazione è, che fino da quei tempi, cioè dal principio del cristianesimo i fedeli usavano festeggiare il dì anniversario della morte dei santi, come un giorno di trionfo, e in tal giorno si radunavano intorno alle loro reliquie, e facevano memoria di essi, eccitandosi vicendevolmente ad imitare le virtù. Il che dimostra quanto rettamente la Chiesa continui a onorare i santi e a celebrarne le feste.

            L'ultima osservazione è che tutti coloro i quali vogliono seguitare Gesù Cristo furono sempre calunniati e perseguitati dal mondo, e che se vogliono salvare l'anima, non bisogna temere il mondo, sibbene guardarci da esso, perchè non ci corrompa col suo veleno; e procurare di imitare i santi, praticando le loro virtù, e domandando a Dio la grazia di perseverare sino alla fine nell'osservanza de' suoi precetti a costo di qualunque sacrifizio. {46 [142]}


RICORRI SEMPRE AL MIO SPIRITO PC–2 20 febbraio 1996

Catalina Rivas

Il Signore

Figlia Mia, nel Mio Cuore ci saranno sempre per te la Mia Misericordia e il Mio perdono, perché tu sei fedele e Mi carpisci questi sentimenti, che sono frutti dell’amore.

Voglio la serenità in te. Non voglio che tu cambi il tuo temperamento, d’altronde non potresti farlo. Parlo della serenità che poggia sulla speranza, sulla fiducia in Me e sull’abbandono senza limiti nel tuo Signore. Rimani al tuo posto, ricorri sempre al Mio Spirito che ti anima e ti guida perché, quando permetti alla tua umanità di intervenire in ciò che intraprendi, tu soffochi la Sua voce. Assumiti le tue responsabilità e lasciati contemporaneamente guidare dalla sapienza di Colui che ti guida...

Molte volte dovrai dominare il tuo cuore, per riuscire a raggiungere il Mio.

Già vedi come il Mio amore Misericordioso ha risolto i tuoi piccoli problemi. Chiunque dà un bicchiere d’acqua a uno dei Miei, riceverà il centuplo... Non puoi neppure sospettare il modo con cui Io cancellerò le tue preoccupazioni! Non le voglio nella tua testolina, salvo quelle che riguardano una sola causa: la Mia.

Questa notte, accompagnami dai moribondi...