Liturgia delle Ore - Letture
Sabato della 26° settimana del tempo ordinario (San Francesco)
Vangelo secondo Matteo 7
1Non giudicate, per non essere giudicati;2perché col giudizio con cui giudicate sarete giudicati, e con la misura con la quale misurate sarete misurati.3Perché osservi la pagliuzza nell'occhio del tuo fratello, mentre non ti accorgi della trave che hai nel tuo occhio?4O come potrai dire al tuo fratello: permetti che tolga la pagliuzza dal tuo occhio, mentre nell'occhio tuo c'è la trave?5Ipocrita, togli prima la trave dal tuo occhio e poi ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall'occhio del tuo fratello.
6Non date le cose sante ai cani e non gettate le vostre perle davanti ai porci, perché non le calpestino con le loro zampe e poi si voltino per sbranarvi.
7Chiedete e vi sarà dato; cercate e troverete; bussate e vi sarà aperto;8perché chiunque chiede riceve, e chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto.9Chi tra di voi al figlio che gli chiede un pane darà una pietra?10O se gli chiede un pesce, darà una serpe?11Se voi dunque che siete cattivi sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro che è nei cieli darà cose buone a quelli che gliele domandano!
12Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro: questa infatti è la Legge ed i Profeti.
13Entrate per la porta stretta, perché larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione, e molti sono quelli che entrano per essa;14quanto stretta invece è la porta e angusta la via che conduce alla vita, e quanto pochi sono quelli che la trovano!
15Guardatevi dai falsi profeti che vengono a voi in veste di pecore, ma dentro son lupi rapaci.16Dai loro frutti li riconoscerete. Si raccoglie forse uva dalle spine, o fichi dai rovi?17Così ogni albero buono produce frutti buoni e ogni albero cattivo produce frutti cattivi;18un albero buono non può produrre frutti cattivi, né un albero cattivo produrre frutti buoni.19Ogni albero che non produce frutti buoni viene tagliato e gettato nel fuoco.20Dai loro frutti dunque li potrete riconoscere.
21Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli.22Molti mi diranno in quel giorno: Signore, Signore, non abbiamo noi profetato nel tuo nome e cacciato demòni nel tuo nome e compiuto molti miracoli nel tuo nome?23Io però dichiarerò loro: Non vi ho mai conosciuti; allontanatevi da me, voi operatori di iniquità.
24Perciò chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, è simile a un uomo saggio che ha costruito la sua casa sulla roccia.25Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa non cadde, perché era fondata sopra la roccia.26Chiunque ascolta queste mie parole e non le mette in pratica, è simile a un uomo stolto che ha costruito la sua casa sulla sabbia.27Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa cadde, e la sua rovina fu grande".
28Quando Gesù ebbe finito questi discorsi, le folle restarono stupite del suo insegnamento:29egli infatti insegnava loro come uno che ha autorità e non come i loro scribi.
Secondo libro di Samuele 10
1Dopo il re degli Ammoniti morì e Canùn suo figlio regnò al suo posto.2Davide disse: "Io voglio usare a Canùn figlio di Nacàs la benevolenza che suo padre usò a me". Davide mandò alcuni suoi ministri a fargli le condoglianze per suo padre. Ma quando i ministri di Davide furono giunti nel paese degli Ammoniti,3i capi degli Ammoniti dissero a Canùn, loro signore: "Credi tu che Davide ti abbia mandato consolatori per onorare tuo padre? Non ha piuttosto mandato da te i suoi ministri per esplorare la città, per spiarla e distruggerla?".4Allora Canùn prese i ministri di Davide, fece loro radere la metà della barba e tagliare le vesti a metà fino alle natiche, poi li lasciò andare.5Quando fu informato della cosa, Davide mandò alcuni incontro a loro, perché quegli uomini erano pieni di vergogna. Il re fece dire loro: "Restate a Gèrico finché vi sia cresciuta di nuovo la barba, poi tornerete".
6Gli Ammoniti, vedendo che si erano attirati l'odio di Davide, mandarono a prendere al loro soldo ventimila fanti degli Aramei di Bet-Recòb e degli Aramei di Zobà, mille uomini del re di Maacà e dodicimila uomini della gente di Tob.7Quando Davide sentì questo, inviò contro di loro Ioab con tutto l'esercito dei prodi.8Gli Ammoniti uscirono e si schierarono in battaglia all'ingresso della porta della città, mentre gli Aramei di Zobà e di Recòb e la gente di Tob e di Maacà stavano soli nella campagna.9Ioab vide che quelli erano pronti ad attaccarlo di fronte e alle spalle. Scelse allora un corpo tra i migliori Israeliti, lo schierò in ordine di battaglia contro gli Aramei10e affidò il resto del popolo al fratello Abisài, per tener testa agli Ammoniti.11Disse ad Abisài: "Se gli Aramei sono più forti di me, tu mi verrai in aiuto; se invece gli Ammoniti sono più forti di te, verrò io in tuo aiuto.12Abbi coraggio e dimostriamoci forti per il nostro popolo e per le città del nostro Dio. Il Signore faccia quello che a lui piacerà".13Poi Ioab con la gente che aveva con sé avanzò per attaccare gli Aramei, i quali fuggirono davanti a lui.14Quando gli Ammoniti videro che gli Aramei erano fuggiti, fuggirono anch'essi davanti ad Abisài e rientrarono nella città. Allora Ioab tornò dalla spedizione contro gli Ammoniti e venne a Gerusalemme.
15Gli Aramei, vedendo che erano stati battuti da Israele, si riunirono insieme.16Hadad-Èzer mandò messaggeri e schierò in campo gli Aramei che abitavano oltre il fiume e quelli giunsero a Chelàm con alla testa Sobàk, capo dell'esercito di Hadad-Èzer.17La cosa fu riferita a Davide, che radunò tutto Israele, passò il Giordano e giunse a Chelàm. Gli Aramei si schierarono in battaglia contro Davide.18Ma gli Aramei fuggirono davanti a Israele: Davide uccise agli Aramei settecento pariglie di cavalli e quarantamila uomini; batté anche Sobàk capo del loro esercito, che morì in quel luogo.19Quando tutti i re vassalli di Hadad-Èzer si videro sconfitti da Israele, fecero pace con Israele e gli rimasero sottoposti. Gli Aramei non osarono più venire in aiuto degli Ammoniti.
Giobbe 22
1Elifaz il Temanita prese a dire:
2Può forse l'uomo giovare a Dio,
se il saggio giova solo a se stesso?
3Quale interesse ne viene all'Onnipotente che tu sia
giusto
o che vantaggio ha, se tieni una condotta integra?
4Forse per la tua pietà ti punisce
e ti convoca in giudizio?
5O non piuttosto per la tua grande malvagità
e per le tue iniquità senza limite?
6Senza motivo infatti hai angariato i tuoi fratelli
e delle vesti hai spogliato gli ignudi.
7Non hai dato da bere all'assetato
e all'affamato hai rifiutato il pane,
8la terra l'ha il prepotente
e vi abita il tuo favorito.
9Le vedove hai rimandato a mani vuote
e le braccia degli orfani hai rotto.
10Ecco perché d'intorno a te ci sono lacci
e un improvviso spavento ti sorprende.
11Tenebra è la tua luce e più non vedi
e la piena delle acque ti sommerge.
12Ma Dio non è nell'alto dei cieli?
Guarda il vertice delle stelle: quanto sono alte!
13E tu dici: "Che cosa sa Dio?
Può giudicare attraverso la caligine?
14Le nubi gli fanno velo e non vede
e sulla volta dei cieli passeggia".
15Vuoi tu seguire il sentiero d'un tempo,
già battuto da uomini empi,
16che prima del tempo furono portati via,
quando un fiume si era riversato sulle loro
fondamenta?
17Dicevano a Dio: "Allontànati da noi!
Che cosa ci può fare l'Onnipotente?".
18Eppure egli aveva riempito le loro case di beni,
anche se i propositi degli empi erano lontani da lui.
19I giusti ora vedono e ne godono
e l'innocente si beffa di loro:
20"Sì, certo è stata annientata la loro fortuna
e il fuoco ne ha divorati gli avanzi!".
21Su, riconcìliati con lui e tornerai felice,
ne riceverai un gran vantaggio.
22Accogli la legge dalla sua bocca
e poni le sue parole nel tuo cuore.
23Se ti rivolgerai all'Onnipotente con umiltà,
se allontanerai l'iniquità dalla tua tenda,
24se stimerai come polvere l'oro
e come ciottoli dei fiumi l'oro di Ofir,
25allora sarà l'Onnipotente il tuo oro
e sarà per te argento a mucchi.
26Allora sì, nell'Onnipotente ti delizierai
e alzerai a Dio la tua faccia.
27Lo supplicherai ed egli t'esaudirà
e tu scioglierai i tuoi voti.
28Deciderai una cosa e ti riuscirà
e sul tuo cammino splenderà la luce.
29Egli umilia l'alterigia del superbo,
ma soccorre chi ha gli occhi bassi.
30Egli libera l'innocente;
tu sarai liberato per la purezza delle tue mani.
Salmi 35
1'Di Davide.'
Signore, giudica chi mi accusa,
combatti chi mi combatte.
2Afferra i tuoi scudi
e sorgi in mio aiuto.
3Vibra la lancia e la scure
contro chi mi insegue,
dimmi: "Sono io la tua salvezza".
4Siano confusi e coperti di ignominia
quelli che attentano alla mia vita;
retrocedano e siano umiliati
quelli che tramano la mia sventura.
5Siano come pula al vento
e l'angelo del Signore li incalzi;
6la loro strada sia buia e scivolosa
quando li insegue l'angelo del Signore.
7Poiché senza motivo mi hanno teso una rete,
senza motivo mi hanno scavato una fossa.
8Li colga la bufera improvvisa,
li catturi la rete che hanno tesa,
siano travolti dalla tempesta.
9Io invece esulterò nel Signore
per la gioia della sua salvezza.
10Tutte le mie ossa dicano:
"Chi è come te, Signore,
che liberi il debole dal più forte,
il misero e il povero dal predatore?".
11Sorgevano testimoni violenti,
mi interrogavano su ciò che ignoravo,
12mi rendevano male per bene:
una desolazione per la mia vita.
13Io, quand'erano malati, vestivo di sacco,
mi affliggevo col digiuno,
riecheggiava nel mio petto la mia preghiera.
14Mi angustiavo come per l'amico, per il fratello,
come in lutto per la madre mi prostravo nel dolore.
15Ma essi godono della mia caduta, si radunano,
si radunano contro di me per colpirmi all'improvviso.
Mi dilaniano senza posa,
16mi mettono alla prova, scherno su scherno,
contro di me digrignano i denti.
17Fino a quando, Signore, starai a guardare?
Libera la mia vita dalla loro violenza,
dalle zanne dei leoni l'unico mio bene.
18Ti loderò nella grande assemblea,
ti celebrerò in mezzo a un popolo numeroso.
19Non esultino su di me i nemici bugiardi,
non strizzi l'occhio chi mi odia senza motivo.
20Poiché essi non parlano di pace,
contro gli umili della terra tramano inganni.
21Spalancano contro di me la loro bocca;
dicono con scherno: "Abbiamo visto con i nostri occhi!".
22Signore, tu hai visto, non tacere;
Dio, da me non stare lontano.
23Dèstati, svègliati per il mio giudizio,
per la mia causa, Signore mio Dio.
24Giudicami secondo la tua giustizia, Signore mio Dio,
e di me non abbiano a gioire.
25Non pensino in cuor loro: "Siamo soddisfatti!".
Non dicano: "Lo abbiamo divorato".
26Sia confuso e svergognato chi gode della mia sventura,
sia coperto di vergogna e d'ignominia chi mi insulta.
27Esulti e gioisca chi ama il mio diritto,
dica sempre: "Grande è il Signore
che vuole la pace del suo servo".
28La mia lingua celebrerà la tua giustizia,
canterà la tua lode per sempre.
Geremia 17
1Il peccato di Giuda è scritto
con uno stilo di ferro,
con una punta di diamante
è inciso sulla tavola del loro cuore
e sugli angoli dei loro altari,
2come per ricordare ai loro figli
i loro altari e i loro pali sacri presso gli alberi verdi,
sui colli elevati,
3sui monti e in aperta campagna.
"I tuoi averi e tutti i tuoi tesori
li abbandonerò al saccheggio,
a motivo di tutti i peccati
che hai commessi in tutti i tuoi territori.
4Tu dovrai ritirare la mano dall'eredità
che ti avevo data;
ti farò schiavo dei tuoi nemici
in un paese che non conosci,
perché avete acceso il fuoco della mia ira,
che arderà sempre".
Così dice il Signore:
5"Maledetto l'uomo che confida nell'uomo,
che pone nella carne il suo sostegno
e il cui cuore si allontana dal Signore.
6Egli sarà come un tamerisco nella steppa,
quando viene il bene non lo vede;
dimorerà in luoghi aridi nel deserto,
in una terra di salsedine, dove nessuno può vivere.
7Benedetto l'uomo che confida nel Signore
e il Signore è sua fiducia.
8Egli è come un albero piantato lungo l'acqua,
verso la corrente stende le radici;
non teme quando viene il caldo,
le sue foglie rimangono verdi;
nell'anno della siccità non intristisce,
non smette di produrre i suoi frutti.
9Più fallace di ogni altra cosa
è il cuore e difficilmente guaribile;
chi lo può conoscere?
10Io, il Signore, scruto la mente
e saggio i cuori,
per rendere a ciascuno secondo la sua condotta,
secondo il frutto delle sue azioni.11Come una pernice che cova uova da lei non deposte
è chi accumula ricchezze, ma senza giustizia.
A metà dei suoi giorni dovrà lasciarle
e alla sua fine apparirà uno stolto".
12Trono di gloria, eccelso fin dal principio,
è il luogo del nostro santuario!
13O speranza di Israele, Signore,
quanti ti abbandonano resteranno confusi;
quanti si allontanano da te saranno scritti nella polvere,
perché hanno abbandonato
la fonte di acqua viva, il Signore.
14Guariscimi, Signore, e io sarò guarito,
salvami e io sarò salvato,
poiché tu sei il mio vanto.
15Ecco, essi mi dicono:
"Dov'è la parola del Signore?
Si compia finalmente!".
16Io non ho insistito presso di te nella sventura
né ho desiderato il giorno funesto, tu lo sai.
Ciò che è uscito dalla mia bocca è innanzi a te.
17Non essere per me causa di spavento,
tu, mio solo rifugio nel giorno della sventura.
18Siano confusi i miei avversari ma non io,
si spaventino essi, ma non io.
Manda contro di loro il giorno della sventura,
distruggili, distruggili per sempre.
19Il Signore mi disse: "Va' a metterti alla porta dei Figli del popolo, per la quale entrano ed escono i re di Giuda, e a tutte le porte di Gerusalemme.20Dirai loro: Ascoltate la parola del Signore, o re di Giuda e voi tutti Giudei e abitanti di Gerusalemme, che entrate per queste porte.21Così dice il Signore: Per amore della vostra vita guardatevi dal trasportare un peso in giorno di sabato e dall'introdurlo per le porte di Gerusalemme.22Non portate alcun peso fuori dalle vostre case in giorno di sabato e non fate alcun lavoro, ma santificate il giorno di sabato, come io ho comandato ai vostri padri.23Ma essi non vollero ascoltare né prestare orecchio, anzi indurirono la loro cervice per non ascoltarmi e per non accogliere la lezione.24Ora, se mi ascolterete sul serio - dice il Signore - se non introdurrete nessun peso entro le porte di questa città in giorno di sabato e santificherete il giorno di sabato non eseguendo in esso alcun lavoro,25entreranno per le porte di questa città i re, che siederanno sul trono di Davide, su carri e su cavalli, essi e i loro ufficiali, gli uomini di Giuda e gli abitanti di Gerusalemme. Questa città sarà abitata per sempre.26Verranno dalle città di Giuda e dai dintorni di Gerusalemme, dalla terra di Beniamino e dalla Sefèla, dai monti e dal meridione presentando olocausti, sacrifici, offerte e incenso e sacrifici di lode nel tempio del Signore.27Ma se non ascolterete il mio comando di santificare il giorno di sabato, di non trasportare pesi e di non introdurli entro le porte di Gerusalemme in giorno di sabato, io accenderò un fuoco alle sue porte; esso divorerà i palazzi di Gerusalemme e mai si estinguerà".
Lettera agli Ebrei 11
1La fede è fondamento delle cose che si sperano e prova di quelle che non si vedono.2Per mezzo di questa fede gli antichi ricevettero buona testimonianza.
3Per fede noi sappiamo che i mondi furono formati dalla parola di Dio, sì che da cose non visibili ha preso origine quello che si vede.
4Per fede Abele offrì a Dio un sacrificio migliore di quello di Caino e in base ad essa fu dichiarato giusto, attestando Dio stesso di gradire i suoi doni; per essa, benché morto, parla ancora.
5Per fede Enoch fu trasportato via, in modo da non vedere la morte; e 'non lo si trovò più, perché Dio lo aveva portato via'. Prima infatti di essere trasportato via, ricevette la testimonianza di 'essere stato gradito a Dio'.6Senza la fede però è impossibile essergli graditi; chi infatti s'accosta a Dio deve credere che egli esiste e che egli ricompensa coloro che lo cercano.
7Per fede Noè, avvertito divinamente di cose che ancora non si vedevano, costruì con pio timore un'arca a salvezza della sua famiglia; e per questa fede condannò il mondo e divenne erede della giustizia secondo la fede.
8Per fede Abramo, chiamato da Dio, obbedì partendo per un luogo che doveva ricevere in eredità, e partì senza sapere dove andava.
9Per fede soggiornò nella terra promessa come in una regione straniera, abitando sotto le tende, come anche Isacco e Giacobbe, coeredi della medesima promessa.10Egli aspettava infatti la città dalle salde fondamenta, il cui architetto e costruttore è Dio stesso.
11Per fede anche Sara, sebbene fuori dell'età, ricevette la possibilità di diventare madre perché ritenne fedele colui che glielo aveva promesso.12Per questo da un uomo solo, e inoltre già segnato dalla morte, nacque una discendenza numerosa 'come le stelle del cielo e come la sabbia innumerevole che si trova lungo la spiaggia del mare'.
13Nella fede morirono tutti costoro, pur non avendo conseguito i beni promessi, ma avendoli solo veduti e salutati di lontano, dichiarando di essere stranieri e pellegrini sopra la terra.14Chi dice così, infatti, dimostra di essere alla ricerca di una patria.15Se avessero pensato a quella da cui erano usciti, avrebbero avuto possibilità di ritornarvi;16ora invece essi aspirano a una migliore, cioè a quella celeste. Per questo Dio non disdegna di chiamarsi loro Dio: ha preparato infatti per loro una città.
17Per fede Abramo, 'messo alla prova, offrì Isacco' e proprio lui, che aveva ricevuto le promesse, offrì 'il suo unico figlio',18del quale era stato detto: 'In Isacco avrai una discendenza che porterà il tuo nome'.19Egli pensava infatti che Dio è capace di far risorgere anche dai morti: per questo lo riebbe e fu come un simbolo.
20Per fede Isacco benedisse Giacobbe ed Esaù anche riguardo a cose future.
21Per fede Giacobbe, morente, benedisse ciascuno dei figli di Giuseppe e 'si prostrò, appoggiandosi all'estremità del bastone'.
22Per fede Giuseppe, alla fine della vita, parlò dell'esodo dei figli d'Israele e diede disposizioni circa le proprie ossa.
23Per fede Mosè, appena nato, fu tenuto nascosto per tre mesi dai suoi genitori, perché videro che il bambino era bello; e non ebbero paura dell'editto del re.
24Per fede Mosè, divenuto adulto, rifiutò di esser chiamato figlio della figlia del faraone,25preferendo essere maltrattato con il popolo di Dio piuttosto che godere per breve tempo del peccato.26Questo perché stimava l'obbrobrio di Cristo ricchezza maggiore dei tesori d'Egitto; guardava infatti alla ricompensa.
27Per fede lasciò l'Egitto, senza temere l'ira del re; rimase infatti saldo, come se vedesse l'invisibile.
28Per fede celebrò la pasqua e fece l'aspersione del sangue, perché lo sterminatore dei primogeniti non toccasse quelli degli Israeliti.
29Per fede attraversarono il Mare Rosso come fosse terra asciutta; questo tentarono di fare anche gli Egiziani, ma furono inghiottiti.
30Per fede caddero le mura di Gèrico, dopo che ne avevano fatto il giro per sette giorni.
31Per fede Raab, la prostituta, non perì con gl'increduli, avendo accolto con benevolenza gli esploratori.
32E che dirò ancora? Mi mancherebbe il tempo, se volessi narrare di Gedeone, di Barak, di Sansone, di Iefte, di Davide, di Samuele e dei profeti,33i quali per fede conquistarono regni, esercitarono la giustizia, conseguirono le promesse, chiusero le fauci dei leoni,34spensero la violenza del fuoco, scamparono al taglio della spada, trovarono forza dalla loro debolezza, divennero forti in guerra, respinsero invasioni di stranieri.35Alcune donne riacquistarono per risurrezione i loro morti. Altri poi furono torturati, non accettando la liberazione loro offerta, per ottenere una migliore risurrezione.36Altri, infine, subirono scherni e flagelli, catene e prigionia.37Furono lapidati, torturati, segati, furono uccisi di spada, andarono in giro coperti di pelli di pecora e di capra, bisognosi, tribolati, maltrattati -38di loro il mondo non era degno! -, vaganti per i deserti, sui monti, tra le caverne e le spelonche della terra.
39Eppure, tutti costoro, pur avendo ricevuto per la loro fede una buona testimonianza, non conseguirono la promessa:40Dio aveva in vista qualcosa di meglio per noi, perché essi non ottenessero la perfezione senza di noi.
Capitolo LV: La corruzione della natura e la potenza della grazia divina
Leggilo nella Biblioteca1. O Signore mio Dio, che mi hai creato a tua immagine e somiglianza, concedimi questa grazia grande, indispensabile per la salvezza, come tu ci hai rivelato; così che io possa superare la mia natura, tanto malvagia, che mi trae al peccato e alla perdizione. Ché, nella mia carne, io sento, contraria alla "legge della mia ragione, la legge del peccato" (Rm 7,23), la quale mi fa schiavo e di frequente mi spinge ad obbedire ai sensi. E io non posso far fronte alle passioni peccaminose, provenienti da questa legge del peccato, se non mi assiste la tua grazia santissima, infusa nel mio cuore, che ne avvampa. Appunto una tua grazia occorre, una grazia grande, per vincere la natura, sempre proclive al male, fin dal principio. Infatti, per colpa del primo uomo Adamo, la natura decadde, corrotta dal peccato; e la triste conseguenza di questa macchia passò in tutti gli uomini, talché quella "natura", da te creata buona e retta, ormai è intesa come "vizio e debolezza della natura corrotta". Così, per la libertà che le è lasciata, la natura trascina verso il male e verso il basso. E quel poco di forza che rimane nella natura è come una scintilla coperta dalla cenere. E' questa la ragione naturale, che, pur se circondata da oscurità, è ancora capace di giudicare il bene ed il male, e di separare il vero dal falso; anche se non riesce a compiere tutto quello che riconosce come buono, anche se non possiede la pienezza del lume della verità e la perfetta purezza dei suoi affetti. E' per questo, o mio Dio, che "nello spirito, mi compiaccio della tua legge" (Rm 7,22), sapendo che il tuo comando è buono, giusto e santo, tale che ci invita a fuggire ogni male e ogni peccato. Invece, nella carne, io mi sottometto alla legge del peccato, obbedendo più ai sensi che alla ragione. E' per questo che "volere il bene mi è facile, ma a compiere il bene non riesco" (Rm 7,18). E' per questo che vado spesso proponendomi molte buone cose; ma mi manca la grazia che mi aiuti nella mia debolezza, e mi ritiro e vengo meno anche per una piccola difficoltà. E' per questo che mi avviene di conoscere la via della perfezione e di vedere con chiarezza quale debba essere la mia condotta; ma poi, schiacciato dal peso della corruzione dell'umanità, non riesco a salire a cose più elevate.
2. La tua grazia, o Signore, mi è davvero massimamente necessaria per cominciare, portare avanti e condurre a compimento il bene: "senza di essa non posso far nulla" (Gv 15,5), "mentre tutto posso in te" che mi dai forza, con la tua grazia (Fil 4,13). Grazia veramente di cielo, questa; mancando la quale i nostri meriti sono un nulla, e un nulla si devono considerare anche i doni naturali. Abilità e ricchezza, bellezza e forza, intelligenza ed eloquenza, nulla valgono presso di te, o Signore, se manca la grazia. Ché i doni di natura li hanno sia i buoni che i cattivi; mentre dono proprio degli eletti è la grazia, cioè l'amore di Dio. Rivestiti di tale grazia, gli eletti sono ritenuti degni della vita eterna. Tutto sovrasta, questa grazia; tanto che né il dono della profezia, né il potere di operare miracoli, né la più alta contemplazione non valgono nulla, senza di essa. Neppure la fede, neppure la speranza, né le altre virtù sono a te accette, senza la carità e la grazia.
3. O grazia beata, che fai ricco di virtù chi è povero nello spirito e fai ricco di molti beni chi è umile di cuore, vieni, discendi in me, colmami, fin dal mattino della tua consolazione, cosicché l'anima mia non venga meno per stanchezza e aridità interiore! Ti scongiuro, o Signore: che io trovi grazia ai tuoi occhi. La tua gloria mi basta (2Cor 12,9), pur se non otterrò tutto quello cui tende la natura umana. Anche se sarò tentato e angustiato da molte tribolazioni, non temerò alcun male, finché la tua grazia sarà con me. Essa mi dà forza, guida ed aiuto; vince tutti i nemici, è più sapiente di tutti i sapienti. Essa è maestra di verità e di vita, luce del cuore, conforto nell'afflizione. Essa mette in fuga la tristezza, toglie il timore, alimenta la pietà, genera le lacrime. Che cosa sono io mai, senza la grazia, se non un legno secco, un ramo inutile, da buttare via? "La tua grazia, dunque, o Signore, mi preceda sempre e mi segua, e mi conceda di essere sempre pronto a operare, per Gesù Cristo, Figlio tuo. Amen. (Messale Romano, oremus della XVI domenica dopo Pentecoste).
DISCORSO 255/A NEI GIORNI DI PASQUA SULL'ALLELUIA
Discorsi - Sant'Agostino
Leggilo nella Biblioteca
Sull'Alleluia.
1. È opportuno che noi eleviamo al nostro Creatore tutte le lodi che possiamo. Difatti, carissimi fratelli, tutte le volte che lodiamo il Signore procuriamo dei vantaggi a noi stessi, in quanto progrediamo nel suo amore. Abbiamo infatti cantato l'Alleluia, e l'Alleluia è un canto nuovo.
La Chiesa nutre i figli che ha generati a Dio.
2. Ma questo canto nuovo lo canta l'uomo nuovo. Noi l'abbiamo cantato, e l'avete cantato anche voi, bambini rinnovati recentemente da lui. Noi l'abbiamo cantato insieme con voi, in quanto siamo stati riscattati dallo stesso prezzo. Secondo le esigenze della carità fraterna voglio darvi degli avvertimenti; e non soltanto a voi, ma estenderò i miei ammonimenti a tutti coloro che mi ascoltano, considerando tutti come fratelli e figli: fratelli in quanto generati da quell'unica madre che è la Chiesa, figli in quanto sono stato io che mediante il Vangelo vi ho generati 1. Figli dilettissimi, conducete una vita buona, di modo che dal grande sacramento che avete ricevuto possiate ricavare incentivi per il bene. Siano corretti i vizi, sia dato un buon ordine ai costumi, siano acquistate le virtù! Costituiscano l'ornamento di ciascuno di voi la pietà, la santità, la castità, l'umiltà, la sobrietà, sicché, potendo offrire a Dio di tali frutti, egli trovi in voi il suo beneplacito e voi in lui la gioia. Lasciate che anche noi godiamo per il progresso della vostra speranza, vedendo in voi i frutti che ci ricompensino di quanto abbiamo sperato. Amate il Signore poiché egli vi ama; frequentate questa madre che vi ha generati. Riflettete sui doni che vi ha fatti questa madre quando da creature vi ha resi un tutt'uno col Creatore, da servi vi ha resi figli di Dio, da schiavi del demonio vi ha resi fratelli di Cristo. Non sarete ingrati a benefici così insigni se mediante la vostra presenza presterete a lei l'ossequio che merita, sapendo che nessuno può incontrare la benevolenza di Dio Padre se disprezza la Chiesa madre. Questa madre santa e spirituale ogni giorno vi prepara cibi spirituali con i quali ristora non il vostro corpo ma la vostra anima. Vi offre il pane del cielo, vi permette di bere al calice della salvezza. Non vuole che alcuno dei suoi figli sia spiritualmente affamato. Per parte vostra, o carissimi, fate di tutto per non abbandonare una madre così generosa. Saziatevi all'abbondanza della sua casa; lasciatevi dissetare al torrente delle sue delizie 2; permettetele di presentare a Dio Padre dei figli degni, figli che si lasciano piamente nutrire e che ella può condurre incolumi e liberi alla vita eterna.
1 - Cf. 1 Cor 4, 15.
2 - Cf. Sal 35, 9.
Cenni storici sulla vita del chierico Luigi Comollo morto nel seminario di Chieri ammirato da tutti per le sue singolari virtù
San Giovanni Bosco - San Giovanni Bosco
Leggilo nella BibliotecaAi signori seminaristi di Chieri
Siccome l'esempio delle azioni virtuose vale assai più di un qualunque elegante discorso, così non sarà fuor di ragione, che a voi si presenti un cenno storico sulla vita di colui, il quale essendo visuto nello stesso luogo, e sotto la medesima disciplina che voi vivete, vi può servire di vero modello perché possiate rendervi degni del fine sublime a cui aspirate, e riuscire poi un dì ottimi leviti nella vigna del Signore.
È vero che a questo scritto mancano due cose molto notevoli quali sono uno stile forbito, un'elegante dicitura; perciò ho indugiato finora, perché penna migliore che la mia non è, volesse assumersi un tale incarico; ma scorgendo vana la mia dilazione, mi son determinato di farlo io stesso nel miglior modo a me possibile, indotto dalle replicate instanze fattemi da diversi miei colleghi, e da altre persone ragguardevoli, persuaso che la tenerezza che verso questo degnissimo compagno vostro mostraste, e la distinta vostra pietà sapranno {3[3]} condonare, anzi suppliranno alla pochezza del mio ingegno.
Benché però non possa allettarvi colla bellezza del dire, mi consola assai il potervi con tutta sincerità promettere che scrivo cose vere, le quali tutte ho io stesso vedute; o udite, o apprese da persone degne di fede, del che ne potrete giudicare anche voi che pur ne foste in parte testimonii oculari.
Che se scorrendo questo scritto vi sentirete animati a seguire qualcheduna delle accennate virtù, rendetene gloria a Dio, al quale, mentre lo prego vi sia ognor propizio, questa mia fatica unicamente consacro. {4[4]}
Capo primo. Fanciullezza di Luigi Comollo
Nacque Luigi Comollo il 7 aprile 1817, nel territorio di Cinzano, in una borgata detta la Pra, da Carlo e Gioanna Comollo, i quali sebbene di non molto distinta condizione, hanno però quei beni assai più delle ricchezze pregievoli i veri caratteri di pietà, e di timor di Dio. Sortì il nostro Luigi dalla natura un'anima buona, cuore arrendevole, indole docile, e mansueta. Giunto appena all'uso di ragione tosto si videro allignare in lui quei primi semi di pietà, e divozione che mirabilmente spiegò in tutto il corso del viver suo. Come potè apprendere a pronunziare i SS. nomi di Gesù e di Maria, gli furono ognor l'oggetto di sua tenerezza, e riverenza; non mostrava già quella nausea, o svogliatezza nel pregare che {5[5]} è propria dei ragazzi; anzi quanto più erano prolungate le preghiere, tanto più erane allegro, e contento. Apprese con facilità a leggere e scrivere, e se ne servì ben tosto a proprio, e altrui spirituale vantaggio, giacché nei giorni festivi, principalmente, che quelli di sua età andavano qua e là a trastullarsi, egli raccoltine alcuni insieme si tratteneva coi medesimi leggendo, e spiegando loro quel tanto che sapeva, oppure raccontando un qualche edificante esempio. Questo gli procurò la stima, e la venerazione dei coetanei in guisa, che, lui presente, niuno ardiva prorompere in parole sconcie, o men che oneste, il che se inavvedutamente avveniva, tosto l’un l'altro avvertiva: «zitto che c'è Luigi che sente » sopraggiungendo egli, ogni discorso men buono era interrotto. All'udire parole disdicevoli ai buoni costumi, o alle cose di religione «non parlar così, tosto» colla ammirabile sua affabilità diceva, «questo non istà bene nella bocca di un giovane Cristiano.» Secondochè esigeva la condizione sua, conduceva bestiami al pascolo, ma sempre lontano da persone {6[6]} di diverso sesso, e con libretti spirituali tra le mani che leggeva da se solo, o con altri. Con questo tenor di vita mentre edificava i suoi compagni, era l'ammirazione delle persone provette, le quali stupivano a tanta virtù in un giovanetto di prima età.
« Io aveva un figlio, afferma un padre, di cui non sapeva più che farmene, l'aveva trattato con dolcezza, e con rigore, e tutto indarno; mi venne in mente mandarlo con Luigi, se mai gli fosse riuscito di renderlo alquanto docile, e più non mi fosse cagione di amaro disgusto. Il mio monello da prima mostravasi ritroso nel dover frequentare chi sì poco secondava le sue mire, ma ben presto allettato dalle attrattive di Luigi gli divenne amico, e compagno delle sue virtù, in guisa, che al presente dimostra ancor la morigeratezza e la docilità che ebbe da quell'anima buona succhiata. »
Singolare era l'obbedienza verso i suoi genitori; sempre pronto, e attento a quanto veniva da loro ordinato, da ogni lor cenno pendeva anzioso, studiandosi con tutta {7[7]} sollecitudine di prevenire anzi i comandi che gli dovevano imporre. Qualora al sopravvenire di qualche siccità, grandine, o perdita di bestiami i suoi parenti mostravansi afflitti, Luigi era colui che li confortava a prendere come favor del Signore quanto accadeva; «anche di questo avevamo bisogno, egli diceva, ogni qualvolta la mano del Signore ci tocchi son sempre tratti di sua bontà, è segno che si ricorda di noi, e vuole che noi pure ci ricordiamo di lui.» Non era mai che si allontanasse da' suoi genitori senza l'espressa loro licenza, di cui ne era tanto geloso osservatore, che una volta essendo andato a visitare certi parenti con limitata licenza, essi, (allettati dall'amabilità del suo edificante parlare) non permettendogli di partirsene per tempo, si ritirò in disparte a piangere nel vedersi a disubbidienza costretto, e come giunse a casa, tosto dimandò perdono della disubbidienza suo malgrado commessa. Si assentava alle volte dalla presenza altrui, e questo affine di ritirarsi in qualche cantuccio a pregare, o far meditazione. Più {8[8]} volte il vidi, mi afferma una persona che fu con lui allevata, mangiare in fretta, sbrigarsi di alcune occupazioni impostegli, e mentre altri godevano un pò di ricreazione, sotto qualche pretesto andarsi a nascondere in fosso da vite se era in campagna, sul fenile se era in casa, per ivi trattenersi in preghiere vocali, o leggere libretti di meditazione. Tanto è vero che anche fra le glebe Iddio sa guidare i rozzi, e gli indotti per le sublimi vie della virtù.
A questi bei semi di virtù andavano strettamente uniti i veri caratteri di divozione, e grande tenerezza per le cose di religione. Il che dimostrò fin da che fece la sua prima confessione. Fatto un accurato esame di sua coscienza, si presentò al Confessore, innanzi a cui, tra per la confusione, congiunta colla riverenza a quel Sacramento, e l’apprensione che per le sue colpe provava, (se pur colpa aveva) sì grave dolore lo assalì, che proruppe in un profluvio di lagrime, ed ebbe bisogno di conforto a dar principio, e continuare la dichiarazione di sue colpe. Con pari edificazione {9[9]} degli astanti partecipò la prima volta del Corpo di Cristo. Dal qual tempo in poi tanto si affezionò a questi due Sacramenti, che nello accostarvisi provava la più grande consolazione; nè mai lasciava sfuggire occasione senza che ne approfittasse; ma siccome per quantunque frequente gli si permettesse l'uso della Comunione non bastava a saziare l'amore onde tutto ardeva per Gesù, trovò modo di provvedervi bellamente colla Comunione Spirituale, al quale proposito anche quando già Chierico trovavasi nel Seminario udivasi più volte a dire: fu per l'insigne opera di s. Alfonso che ha per titolo: visite al SS. Sacramento, che imparai a fare la Comunione spirituale, la quale posso dire essere stato il mio sostegno in tutti i pericoli, cui andava soggetto finché fui vestito da secolare.
Alla Comunione spirituale, e Sacramentale univa frequenti visite a Gesù sacramentato, dell'amore di cui talmente sentivasi penetrato che ben sovente giungeva a passare ore intiere sfogando i suoi fervorosi e teneri affetti coll'amato suo Gesù. {10[10]} Spesso era mandato in Chiesa a far quelle cose di cui suo zio Prevosto gli dava incumbenza, spesso egli medesimo visi recava sotto pretesto avervi che fare, ma non ne usciva mai senza prima trattenersi alquanto col suo Gesù, e raccomandarsi alla cara sua madre Maria. Non correva solennità, non si faceva catechismo, o predica, non si dava benedizione, nè altra funzione facevasi in Chiesa a cui egli non intervenisse con animo allegro, e contento a prestar quei servizi di cui era capace.
L'essere il Comollo alieno affatto dalle bambolinaggini che son proprie di quell'età, sofferente, e tranquillo a cheecchè potessegli accadere, affabile cogli uguali, modesto, e rispettoso con chiunque gli fosse superiore, ubbidiente, tutto dato alla divozione, prontissimo nel prestare quei servigi che in Chiesa gli erano permessi; tutto questo insieme era bel presagio che il Signore lo voleva a stato di maggior perfezione. Su di che già più volte aveva consultato il suo direttore spirituale, e avutane risposta per quanto potevasi conoscere, averlo Iddio chiamato allo stato Ecclesiastico {11[11]} ne rimase al sommo contento, essendo pur tale la sua determinazione. Il suo zio Rettore di Cinzano (di cui Luigi ne andava ognor copiando le virtù) al vedere rampollo sì vigoroso, e che prometteva sì bei frutti, volle pure secondarlo nelle sue risoluzioni. Chiamatolo pertanto a sè un giorno: hai dunque, gli disse, vera volontà di farti prete? È appunto questo che io desidero e null'altro, rispose. E perchè? Perchè essendo i preti quelli che aprono il paradiso agli altri, spero che lo potrò poi anche aprire per me.
A tal fine fu mandato a fare il corso di Grammatica in Caselle presso Ciriè, dove perfezionando sempre più le accennate virtù, fu della più grande ammirazione a tutti quelli che in qualche modo ebbero occasione di conoscerlo; quivi spiegò particolarmente uno spirito di mortificazione. Già da piccolino soleva far fioretti alla Madonna coll'astinenza di qualche porzione di cibo, o di frutta che gli si donava per companatico; questo diceva, bisogna regalarlo a Maria. Quivi in Caselle andò più avanti; oltrecchè offriva ogni settimana digiuni {12[12]} a Maria, nei pranzi stessi, e nelle cene, sovente sotto specioso pretesto si toglieva da tavola nel meglio del mangiare; bastava portare a tavola qualche pietanza che fosse di special suo gusto, perché non ne mangiasse, e questo sempre per amor di Maria.
Capo secondo. Va a studiare in Chieri
Sul cominciare dell'anno scolastico 1835 trovatomi in una casa di pensione in Chieri, udii il padrone a dire: «mi fu detto, che a casa del tale vi deve andare uno studente santo ». Io feci un sorriso prendendo la cosa per facezia. «È appunto così, soggiunse, ei deve essere il nipote del Prevosto di Cinzano, giovine di segnalata virtù ». Non feci gran caso allora di queste parole, ma un fatto assai rimarchevole me le fece assai bene ricordare. Erano già più giorni che io vedeva uno studente (senza saperne il nome) che tanta compostezza, e modestia dimostrava camminando per le contrade, tanto affabile, e cortese con chi gli parlava, che io ne {13[13]} era del tutto maravigliato. Crebbe poi questa meraviglia allorchè osservava l'esattezza colla quale interveniva alla scuola, dove appena giunto si metteva al suo posto, nè più mai si muoveva, se non per fare cosa, che il proprio dovere gli prescrivesse. Egli è consueto costume degli studenti di passare il tempo d'ingresso in ischerzi, giuochi, e salti, alle volte anche pericolosi; a ciò pure era invitato il Comollo; ma esso sempre si scusava col dire che non era pratico, non aveva destrezza; nulla meno un giorno un suo compagno gli si avvicinò, e colle parole, e con importuni scuotimenti voleva costringerlo a prender parte di quei salti smoderati che nella scuola si facevano; «no, mio caro, dolcemente rispondeva Luigi, non sono esperto, mi espongo a far topica. » Indispettito l'impertinente compagno, quando vide che non voleva arrendersi, con insolenza intollerabile gli diede un gagliardo schiaffo sul volto. Io raccapricciai a tal vista, e siccome l'oltraggiatore era d'età, e di forze inferiore all'oltraggiato, attendeva che gli fosse resa la pariglia; ma fu ben altro lo {14[14]} spirito del Comollo; egli rivolto a chi l'avea percosso si contentò di dirgli «se sei pago di questo, vattene pure in pace che io ne son contento ». Questo mi fece ricordare di quanto aveva udito, che vi doveva venire un giovane santo alle scuole, e chiestane la patria, e il nome, conobbi essere appunto quello di cui aveva sì lodevolmente inteso a parlare.
Come poi nel rimanente si diportasse in fatto di studio e di diligenza, io nol saprei meglio esprimere che colle parole stesse dell'ottimo suo Professore, il quale si degnò scrivermi del seguente tenore:
« Benchè il carattere, e l'indole dell'ottimo giovane Comollo possano essere meglio conosciuti a V. S. che l'ebbe per condiscepolo, e potè più da vicino osservarlo, di quello che non lo siano a me stesso, tuttavia assai di buon grado le mando in questa lettera il giudicio che io me n' era formato infin d'allora quando l'ebbi a scolare pel corso de' due anni 1835, e 1836 nello studio dell'Umanità, e della Rettorica nel Collegio di Chieri. Esso fu giovine d'ingegno, e fregiato dalla {15[15]} natura di un'indole dolcissima. Coltivò con ammirabile diligenza lo studio, e la pietà, e sempre si mostrò attentissimo ad ogni insegnamento, ed era così scrupoloso, e vigilante nell'adempimento del suo dovere, che non mi ricordo di averlo mai avuto a rimproverare della benché menoma negligenza. Egli poteva essere proposto ad esemplare ad ogni giovane per la intemerata sua condotta, per l'ubbidienza, per la docilità; onde io meco stesso m'aveva fatto un ottimo augurio allorchè seppi che era entrato nella carriera Ecclesiastica. Nol vidi mai altercare con alcuno dei suoi compagni, il vidi bensì alle ingiurie, ed alle derisioni rispondere coli' affabilità, e colla pazienza. Io lo guardava come destinato a confortare la vecchiaia del venerando suo zio, il degno Prevosto di Cinzano, che lo amava teneramente, ed aveva così di buon ora saputo seminare nel cuore di lui tante rare, e singolari virtù. Mi giunse perciò oltremodo dolorosa la notizia della sua morte, e solo mi confortai nel pensiero che in breve tempo aveva con le sue virtù compiuta anticipatamente una {16[16]} lunga carriera, mentre Iddio forse lo volle a se chiamare con immatura morte, perché lo vedeva oltre la sua età provveduto di buoni meriti, e noi dobbiamo, in ciò venerare la divina volontà. Ella mi chiede che io le dica qualche singolarità in lui osservata, ma quale cosa potrò io dirle che sia più singolare della sua uniformità, e costanza in una età che è tanto leggiera, e vaga di novità e mutazioni? Dal primo giorno che entrò nella mia scuola sino all'ultimo pel corso di due anni egli fu sempre a se stesso uguale, sempre buono, e sempre intento ad esercitare la sua virtù, la sua pietà, la sua diligenza »... Così il suo Professore.
Nè queste belle doti erano meno esercitate fuori di scuola. «Io conobbi, dice il padrone di sua pensione, nel giovane Comollo il complesso di tutte le virtù proprie non solo dell'età sua, ma di persona lungo tempo nelle medesime esercitata. D'umore sempre uguale, ed allegro, imperturbabile ad ogni avvenimento, non dava mai a conoscere quello che fosse di special suo gusto, sempre contento di {17[17]} quanto se gli offriva, non mai si sentì da lui profferire, questo è troppo salso, o troppo insipido, oppure fa molto caldo, o molto freddo; non mai si udì dalla sua bocca una parola meno che onesta, o moderata; parlava volentieri delle cose di religione, e se qualcheduno metteva fuori discorso, o racconto spettante alla religione pretendeva sempre che si parlasse con massima riverenza e rispetto dei sacri ministri. Amantissimo del ritiro, non mai usciva senza licenza, dicendo il tempo, il luogo, e il motivo per cui si assentava. In tutto il tempo che dimorò in questa casa, fu di grande stimolo per gli altri a vivere da virtuoso, e riuscì a tutti di gran dispiacere allorchè dovette cangiare luogo per vestire l'abito chiericale, e recarsi nel Seminario, privandoci colla sua persona di un raro modello di virtù. »
Io pure posso dire lo stesso, giacchè in varie occasioni, che gli parlai, o trattai insieme, non l'udii mai querelarsi delle vicende del tempo, o delle stagioni, del troppo lavoro, o del troppo studio; anzi qualora avesse avuto qualche tempo vacante, {18[18]} tosto recavasi da qualche compagno per farsi rischiarire alcune difficoltà, o conferire qualche cosa spettante allo studio, o alla pietà.
Non minore era l'impegno per le osservanze religiose, e per la vigilanza in tutto ciò che riguardava alle cose di pietà: ecco quanto scrive il signor Direttore spirituale delle scuole, che di certo potè intimamente conoscerlo. «Mi ha fatta inchiesta la S. V. di darle notizie di un figliuolo del quale mi è carissima la memoria, e dolcissima cosa il risponderle. Non è il giovane Comollo Luigi un di quelli, in riguardo di cui io debba usare espressioni evasive, oppure che io tema di esaggerare nel rendergliene la più lodevole testimonianza. Ella ben sa che appartenne ad una classe fra le altre distinta di studenti dati alla pietà, ed allo studio, ma tra questi brillava, e primeggiava il nostro Comollo; mi rincresce che ci tocchi già lamentare la morte del Prefetto delle scuole, il quale e dello studio, e della regolarissima sua condotta anche fuori di collegio potrebbe farne le più belle testimonianze. {19[19]} Quanto a me oltre il poterla rassicurare di non avere mai avuto motivo di rimproverare alcuna mancanza nemmeno leggiera, posso asserirle, che assiduo alle congregazioni, compostissimo, sempre attento alla divina parola, divotissimo nell'assistere alla santa messa, ed ai divini uffizi, frequente ai santi sacramenti della Confessione, e Comunione, veramente diligentissimo ad ogni dovere di pietà, esemplarissimo in ogni atto di virtù, l'avrei di buon grado proposto a tutti gli altri studenti qual luminoso specchio, e raro modello di virtù. Per quanto lo comportava la sua classe, l'anno di Rettorica fu nominato a carica, quale si concede solamente a' studenti più distinti per pietà, e studio; si desiderava allora, e si desidera ancora al presente un giovane studente, d'indole, e costumi simile al Comollo Luigi. Il nostro s. Luigi ricordava nel suo nome, e pareva che molte sue virtù volesse ricopiare nei fatti. Non mi si dimandò mai notizia di altro studente, che più volentieri io abbia reso di questa; posso dirle tutto il bene possibile in un giovine. {20[20]} Raptus est ne malitia mutaret intellectum eius. Spero che ora in Cielo preghi per me. » Sin qui il suo Direttore spirituale.
Io non saprei più che aggiungervi alle sovra esposte dichiarazioni, se non quel tanto che nella sua condotta esterna ho osservato. Terminati appena gli esercizi di pietà che nei giorni festivi nella capella della congregazione si facevano, ben lungi dall'andarsene al passeggio, o a qualche altro lecito divertimento, egli tosto portavasi al catechismo dei fanciulli solito a farsi nella Chiesa dei PP. Gesuiti, al quale, come pure a tutte le altre sacre funzioni, divotamente assisteva. Quella stessa curiosità, ed anzietà di vedere, e sentire generalmente comune a tutti quelli che da paesi vengono nelle città, il che d'altronde è proprio di quell'età, o fosse benefizio dell'indole felice sortita dalla natura, o merito di virtù, pareva che in lui fosse affatto estinta. Quindi il suo andare, e venire dalla scuola era tutto raccoglimento, e modestia, nè mai andava qua, e là vagando o collo sguardo, o colla persona; eccettochè per prestare il debito rispetto {21[21]} ai Superiori, alle Chiese, a qualche immagine, o pittura della B. V., dinanzi cui non fu mai che passasse, senzachè con rispetto non si traesse il capello.
A tal proposito più volte nell'accompagnarlo mi avvenne che il vedeva scoprirsi il capo senza saperne il perchè; ma guardando poscia attento scorgeva quinci, o quindi in qualche muro dipinta l'immagine della Madonna. Era ormai sul finir del corso di Rettorica, che io l'interrogava sulle cose più curiose, o sui monumenti più ragguardevoli della Città, ed egli rispondeva di non ne essere punto informato, come se fosse stato del tutto forestiero. Quanto più poi era alieno dalle vicende, e occupazioni temporali, tanto più era informato, e instrutto delle cose di Chiesa. Non facevasi esposizione delle Quarantore, o di altra funzione di Chiesa che egli nol sapesse, e se il tempo gliel permetteva non v'intervenisse. Aveva il suo orario per la preghiera, lettura spirituale, visita a Gesù sacramentato, e ciò era scrupolosamente osservato. Alcune mie circostanze vollero che per più mesi ad {22[22]} ora determinata mi recassi al Duomo, e questa era appunto l'ora che il Comollo andava a trattenersi col suo Gesù. Piacemi pertanto descriverne l'atteggiamento; ponevasi in qualche canto presso l'altare quanto poteva, ginocchione colle mani giunte, e incrocicchiate alquanto prostese, col capo mediocremente inclinato, cogli occhi bassi, e tutto immobile della persona; insensibile a qualsivoglia voce, e rumore. Non di rado mi occorreva che compiuto quello che toccavami fare, voleva invitarlo che meco venisse per essere da lui accompagnato a casa; pel che aveva bel far cenno col capo, passandogli vicino, o tossire perchè egli si movesse, ma era sempre lo stesso, finché io non mi accostava toccandolo; e allora quasi si risvegliasse dal sonno tutto si scuoteva, e sebbene a mal in cuore aderiva al mio invito. Serviva molto volentieri alla santa Messa anche ne'giorni di scuola quanto poteva, ma nei giorni di vacanza servirne quattro o cinque era cosa ordinaria.
Benché poi fosse cosi concentrato nelle cose di spirito, non vedevasi mai rannuvolato {23[23]} in volto, o tristo, ma sempre ilare, e contento rallegrava colla dolcezza del suo parlare, e suoleva dire che gli piacevano grandemente quelle parole del profeta David: Servile Domino in laetitia; parlava volentieri di storia, di poesia, delle difficoltà della lingua latina o italiana, e questo in maniera docile, e gioviale, sì, che mentre profferiva il proprio sentimento, mostrava sempre di sottometterlo all'altrui.
Aveva un compagno di special confidenza per conferire di cose spirituali, il trattare, e parlare delle quali gli era di grande consolazione. Parlava con trasporto dell'immenso amor di Gesù nel darsi a noi in cibo nella santa Comunione: quando discorreva della Madonna, tutto si vedeva compreso di tenerezza, e dopo d'avere raccontato, o udito raccontare qualche grazia concessa dalla Madonna a favore del corpo, egli sul finir tutto rosseggiava in volto, e alle volte rompendo anche in lagrime esclamava: se Maria cotanto favorisce questo miserabile corpo, quanti non saranno i favori che sarà per concedere a pro delle anime di chi la invoca? {24[24]} Tanta era la stima che aveva delle cose di religione, che non solo non poteva patire se ne parlasse con disprezzo, ma nemmeno con indifferenza; a me stesso una volta accadde che scherzando, mi servii di parole della sacra scrittura, e ne fui vivamente ripreso, dicendomi non doversi faceziare colle parole del Signore.
Quando alcuno voleva raccontare qualche cosa riguardante i Sacerdoti, tosto premetteva o doversene parlar bene, o tacere affatto, perché erano Ministri di Dio. In simil guisa andava il nostro Luigi preparandosi alla vestizione Chiericale, e quando ne parlava mostravasi tutta gioia, e contento. «Possibile suoleva dire, che io miserabile guardiano di buoi, abbia a diventare Prete pastore delle anime? eppure a niun'altra cosa mi sento inclinazione, questo mi dice il Confessore, mel dice la volontà, solo i miei peccati mi dicono il contrario; n'andrò a subire l'esame, l'esito del quale mi sarà qual arbitro della volontà Divina sulla mia vocazione ». Si raccomandava anche spesso ad alcuni suoi colleghi che pregassero, perché il Signore {25[25]} lo illuminasse, e gli facesse conoscere se fosse, o no chiamato allo stato Ecclesiastico. Così fra la stima dei compagni, fra l'amore dei superiori, onorato, e tenuto da tutti qual vero modello d'ogni virtù compiva il corso di Rettorica l'anno 1836.
Capo terzo. Veste l’abito Chiericale va nel Seminario di Chieri
Come ebbe subito l'esame suddetto, e sortitone favorevole esito, si preparava per la vestizione. Qui io non saprei come chiaramente esprimere tutti gli affetti di tenerezza che ebbe a provare in tal circostanza. Pregava egli, faceva pregare altri per lui, digiunava, prorompeva sovente in lagrime, si tratteneva molto in Chiesa, sinchè giunto il giorno di sua festa (così chiamava il giorno di sua vestizione chiericale) fece la sua confessione, e comunione, e contento assai più che se fosse sublimato a qualunque più onorevole carica, tutto compreso di santa apprensione, tutto concentrato {26[26]} in sentimenti di religione, raccolto, e modesto che pareva un angioletto, fu insignito del tanto rispettato, e desiderato abito ecclesiastico. Tal giorno fu sempre mai per lui memorando, e suoleva dire essersi il suo cuore totalmente cangiato, di pensoso, e rannuvolato, divenuto tutto ilare, e gioviale, e che ogni qual volta rammentava un tal giorno sentivasi di tenera gioia innondare il cuore.
Venne intanto il giorno dell'apertura del Seminario, dove egli puntualmente recandosi fece campeggiare le sue non istraordinarie, ma compiute virtù. Quello poi che in ispecial modo lo distinse, fu un esatto adempimento de' suoi doveri di pietà, e studio, un ardente spirito di mortificazione. Aveva letto nella vita di sant' Alfonso, come esso aveva fatto quel gran voto di non perdere mai tempo, la qual cosa era al Comodo motivo di alta ammirazione, e studiavasi con tutto l’impegno d' imitarlo; perciò fin dal suo primo entrare nel Seminario, s' appigliò con tal diligenza alle cose di studio, e di pietà, che di tutte le occasioni, e di tutti i mezzi {27[27]} approffittava, che al suo scopo tendessero, all'esatta occupazione del tempo. Suonato il campanello subito interrompeva checchè facesse per rispondere alla voce di Dio (così chiamava il suono del campanello) che lo chiamava al suo dovere, e m'accertò più volte, che dato un tocco il campanello gli era impossibile il continuare ciò che aveva fra le mani, perchè rimaneva tutto confuso, e non sapeva più che si facesse. Tanto radicata era in lui la virtù dell'ubbidienza. Non parlo dei Superiori, ai quali ubbidiva ciecamente senza mai dimandar conto, o ragione di ciò che gli era ingiunto; ma agli stessi colleghi assistenti, anche agli uguali mostravasi attento, docile ad ogni loro ordine, e consiglio non altrimenti che ai Superiori medesimi. Dato il segno di studio puntualissimo v' interveniva, e in raccolto atteggiamento composto si applicava in maniera che a qualunque rumore, chiacchera, leggerezza, che da altri si facesse; pareva fosse insensibile, nè punto più della persona si moveva, se non al segno del campanello. Un dì, che {28[28]} un compagno passandogli dietro gettogli a terra il mantello; esso si contentò di fargli un semplice motto, acciocchè meglio si guardasse altra volta, il compagno indispettito rispose con viso alterato, e con parole offensive; allora il Comollo s'appoggiò di nuovo sulla tavola, e tutto tranquillo si pose a studiare, come se nulla a lui fosse stato detto o fatto.
Nella ricreazione, nei circoli, nei tempi di passeggiata desiderava sempre discorrere di cose scientifiche, anzi suoleva in tempo di studio formarsi nella mente una serie delle cose che meno intendeva per quindi tosto comunicarle in tempo libero ad un compagno, con cui aveva special confidenza, onde averne nel miglior modo possibile, la dichiarazione.
Nel mentre che animava le conversazioni con varie utili ricerche, e racconti, osservava tuttora in pratica quel non mai abbastanza encomiato tratto di civiltà: di tacere quando taluno parlava: pel che non di rado avvenivagli di troncare a mezzo la parola, onde dar campo che altri liberamente parlasse. {29[29]}
Abborriva grandemente lo spirito di critica, o di censura sulle persone altrui, parlava dei Superiori, ma sempre con riverenza, e rispetto; parlava dei compagni, ma sempre con carità, e moderazione; parlava dell'orario delle costituzioni, o regolamenti del Seminario, degli apprestamenti di tavola, ma sempre con espressioni di soddisfazione, e di contento; di modo che io posso con tutta schiettezza affermare, che nei due anni e mezzo che lo frequentai nel Seminario, non lo intesi mai a proferire parola, che fosse contraria a quel principio che fisso teneva nella sua mente: degli altri o parlarne bene o tacerne affatto. Qualora poi fosse stato costretto a dare il proprio giudizio sui fatti altrui, procurava sempre interpretarli nel senso migliore, dicendo avere imparato dal suo zio, che un'azione di cento aspetti, novantanove cattivi, uno buono, si doveva prendere sotto l'aspetto buono e giudicare bene di tale azione. Per l'opposto parlando di se stesso, taceva tutto quello che poteva tornare in sua lode, non faceva mai parola di carica, onore, o premio {30[30]} a lui compartito, che anzi avvenendo che taluno il lodasse, mettevane la lode in facezia, abbassando così se stesso mentre altri l'esaltava.
Quei bei fiori di tenera divozione onde noi l'abbiamo veduto adorno tra le glebe, e i pascoli; negli studi, ben lungi dall'appassire cogli anni, pervennero a mostrarsi in tutta loro bellezza, e compiuta perfezione. Dato il segno della preghiera, o di qualunque altra sacra funzione, accorreva immantinente colla più esatta diligenza, e composto nella persona, col massimo edificante raccoglimento di tutti i suoi sensi, si faceva a favellare col Signore, nè mai si ravvisò nel Comollo il menomo rincrescimento a portarsi in Capella, o altro luogo ad assistere a cose di divozione. Bensì il mattino al primo tocco del campanello tosto si alzava da letto, e aggiustato quanto era di dovere, recavasi un quarto d'ora prima degli altri in Chiesa a preparare l'anima sua per l'orazione.
I seminaristi nei giorni festivi, o anche feriali in cui assistessero alle solenni funzioni di Chiesa, solevano essere dispensati {31[31]} dal recitare la corona della B. V.: il Comollo non seppe mai astenersi da siffatta special divozione, ma terminate le funzioni di Chiesa, mentre che ognuno passava il tempo nella permessa ricreazione, egli con un altro compagno si ritirava in Capella a pagare, come suoleva dire, i debiti alla sua buona Madre colla recita del SS. Rosario. Ne' giorni di vacanza e particolarmente nelle ferie del SS. Natale, di carnovale, delle solennità Pasquali, egli anche più volte al giorno lontano dai suoi comuni divertimenti andava col solito compagno a recitare, quando i salmi penitenziali, quando l’ufficio dei defunti, o quello della B. V., e questo in suffraggio delle anime del purgatorio.
Sempre amante e devoto di Gesù sacramentato oltre il fargli frequenti visite, e comunicarsi spiritualmente, approffittava pure di tutte le occasioni per comunicarsi sacramentalmente, il che faceva con grande edificazione dei circostanti. Premetteva alla Comunione un giorno di rigoroso digiuno in onore di Maria SS.; dopo la confessione non voleva più parlare d'altro, che {32[32]} di cose concernenti alla grandezza, alla bontà, all'amore del suo Gesù che si preparava a ricevere nel dì seguente, e giunta l'ora d'accostarsi alla sacra mensa, io lo scorgeva assorto nei più alti, e divoti pensieri, e composta la persona nel più divoto atteggiamento, a passo grave cogli occhi bassi dando in frequenti scuotimenti di santa commossione avvicinavasi a ricevere il Santo dei Santi. Ritiratosi poscia a suo posto pareva fosse fuor di se, tanto vivamente vedevasi commosso, e da viva divozione penetrato. Pregava, ma ne era interrotto da singhiozzi, interni gemiti, e lagrime, nè poteva acquetare i trasporti di tenera commozione, se non quando terminata la Messa si cominciava il canto del mattutino. Avvertito da me più volte a frenare quegli atti di esterna divozione, come quelli che potevano dare nell'occhio altrui, mi sento, rispondevami, mi sento una piena di tal contento nel cuore, cui se non permetto qualche sfogo pare mi voglia togliere il respiro. Nel giorno della comunione diceva altre volte, mi sento sì ripieno di dolcezza, e di contento, che {33[33]} nè so capire, nè spiegare. Da ciò ognun vede chiaramente come il Comollo fosse avvanzato nella via della perfezione, giacché quei movimenti di tenera commozione, di dolcezza, di contento per le cose spirituali sono un effetto di quella fede viva, e carità infiammata, che altamente gli era radicata nel cuore, e costantemente lo guidava in tutte le sue azioni.
A questa divozione interna andava strettamente congiunta un'esemplare mortificazione di tutti i suoi sensi esteriori. Modesto qual era negli occhi spesso gli avveniva di far passeggiate in giardini, o ville, senza che egli avesse menomamente veduto quello di più rimarchevole che tutti gli altri aveano osservato; non vagava mai qua e là collo sguardo, ma cominciato col suo compagno qualche buon discorso, attento il continuava, non mai badando a checché occorresse, e tal volta accadde, che dopo il passeggio interrogato dal compagno se avesse veduto suo padre, che pur gli era passato vicino, e l'aveva salutato, rispose di non averlo veduto. Sovente era visitato da alcune sue cugine di Chieri, e questo {34[34]} gli era un grave cruccio, dovendo trattare con persone di diverso sesso, onde appena detto quello che la stretta convenienza, e il bisogno voleva, raccomandando loro con bella maniera di venirlo a trovare il meno possibile, tosto da loro si licenziava. Richiesto alcune volte se quelle sue parenti (colle quali trattava con tanto riserbo) fossero grandi, o piccole, o di straordinaria avvenenza, rispondea che all'ombra gli parevano grandi, che più oltre nulla sapeva non avendole mai rimirate in faccia. Bell'esempio degno di essere imitato da chiunque aspira o trovasi nello stato ecclesiastico!
Era assueffatto d'incroccicchiar l'una coll'altra le gambe e di appoggiarsi col gomito quando gli veniva bene fosse a tavola, nello studio, o in iscuola. Per amor di virtù anche di questo si volle correggere, e per riuscirvi pregò instantemente un compagno, il quale ogni volta l'avesse veduto nelle succitate posizioni, acremente il dovesse ammonire, e rampognare, dandogli special penitenza. Ecco onde procedeva quell'esteriore compostezza per cui in Chiesa, nello {35[35]} studio, in iscuola o in refettorio innamorava ed edificava chiunque il rimirasse.
Le mortificazioni circa il cibo erano quotidiane: d'ordinario quando più sentivasi bisogno di far colezione era appunto allora che se ne asteneva. A tavola era parco al sommo, beveva poco vino, e quel poco adacquato. Talvolta lasciava pietanza, e vino contentandosi di mangiare pane inzuppato nell'acqua sotto lo specioso pretesto che gli tornava meglio per la corporal sanità, ma in realtà per ispirito di mortificazione; giacchè avvertito che un simile cibo poteva cagionargli male di capo, o di stomaco, rispondeva: a me basta che non possa nuocere all'anima. Nel sabbato d'ogni settimana digiunava per amor della B. V. nelle altre vigilie, nel tempo quaresimale, anche prima che fosse per età tenuto, digiunava con tal rigore, principalmente nella piccola refezione della sera, che un compagno, il quale eragli accanto a mensa, disse più volte che il Comollo voleva uccidersi. Tali sono i precipui atti di penitenza esterna che mi sono noti, dai quali lieve cosa sarà argomentare quello che ei {36[36]} nudrisse in cuore, giacchè se le azioni esteriori derivano sempre dall'abbondanza di cuore, bisogna pur dire che l'animo del Comollo fosse di continuo occupato in teneri affetti d'amor di Dio, di viva carità verso il prossimo, e di ardente desiderio di patire per amor di Gesù Cristo.
La vita che il Comollo tenne nel Seminario diede sempre (così si esprime un suo Superiore) ottima e santa idea di lui, mostrandosi in ogni occorrenza esattissimo nei suoi doveri sì di studio che di pietà, esemplare affatto nella sua moral condotta, così che tutto il suo contegno dimostrava un' indole la più docile, ubbidiente, rispettosa, e religiosa. Egli era gradevole nel parlare, epperciò chiunque fosse in tristezza, conversando con lui ne rimaneva consolato; modesto, edificante nelle parole, e nei tratti sì che anche i più indiscreti erano obbligati riconoscere in lui uno specchio di modestia, e di virtù, e un suo compagno ebbe a dire, che il Comollo era per lui una continua predica; che era un mele che raddolciva i cuori, e gli umori anche i più bizzarri. Un altro {37[37]} compagno disse più volte che voleva adoperarsi a tutta possa per farsi santo, e per riuscirvi non erasi fissato altro che seguire le traccie del Comollo; e benchè si vedesse di gran lunga indietro da lui, nulla meno essere assai contento di quel tanto che veniva in lui ricopiando.
Il tempo di vacanza per lui in quanto alla morale sua condotta era quello stesso del Seminario. Assiduo nella frequenza dei Ss. Sacramenti, nell'esercizio delle sacre funzioni, nel fare il Catechismo ai ragazzi in Chiesa, (il che faceva già sin da quando era ancora vestito da laico) ed anche per le vie quando gli avveniva d' incontrarne.
Ecco come egli stesso esprime il suo orario in una lettera diretta ad un amico. «Ho già passati circa due mesi di vacanze, i quali anche con questo caldo eccessivo m' hanno fatto assai bene per la corporale sanità. Ho già studiato quegli avvanzi di logica e d'etica che si sono ommessi nel decorso dell'anno; leggerei volentieri la storia sacra di Giuseppe Flavio che mi suggerisci, ma ho già incominciata la storia delle eresie, onde verrà a mancarmi il {38[38]} tempo. Del resto la mia stanza, è tuttora l’ameno paradiso terrestre; quivi entro, salto, rido, studio, leggo, canto, e non vi vorrebbe altro che tu per far la battuta; a tavola, in ricreazione, a passeggio sempre mi godo la compagnia del caro mio zio, il quale sebbene cadente pegl’anni è sempre giulivo, e lepido, e mi racconta ognor cose una più bella dell'altra locchè mi contenta all'estremo.
Ti attendo pel tempo stabilito, stammi allegro; e se mi vuoi bene prega il Signore per me etc. »
Affezionatissimo qual era a tutte quelle cose che riguardavano l'ecclesiastico ministero, godeva molto quando vi si poteva occupare, sicuro segno che il Signore lo chiamava allo stato a cui aspirava. Suo zio Prevosto per coltivare sì prezioso terreno, e secondare l'ottima inclinazione del nipote l'impegnò a fare un discorso in onore di Maria SS., ed ecco come egli esprime i suoi sentimenti in un'altra lettera scritta allo stesso succitato suo compagno.
« Debbo significarti un affare, che da un canto mi consola, dall'altro mi confonde. {39[39]} Il mio zio mi diede incumbenza di fare un discorso sulla gloriosa assunzione di M. V. L'essere eccitato a parlare di questa mia cara Madre tutto mi riempie di gioia il cuore. Dall'altro canto conoscendo la mia insufficienza, veggo pur chiaro quanto io sia lungi dal saperne tessere condegnamente gli encomii. Checchè ne sia, appoggiato all’aiuto di colei di cui debbo favellare mi dispongo ad ubbidire; l'ho già scritto, e mediocremente studiato; lunedì sarò da te onde l'ascolti recitare, e mi facci le osservazioni che stimerai a proposito sia riguardo al gesto, come riguardo alla materia.
Raccomandami all'Angelo Custode pel buon viaggio:... addio »
Io tengo presso di me questo discorso, nel quale quantunque siasi servito di alcuni autori, nulla meno la composizione è sua; e vi si scorgono espressi tutti quei vivi affetti onde ardeva il suo cuore verso la gran Madre di Dio. Nello esporlo poi vi riuscì mirabilmente. « Sul punto di comparire alla presenza del popolo, scriveva egli, io mi sentii mancare la forza, la {40[40]} voce, e le ginocchia non mi volean più reggere; ma tostochè Maria mi porse la mano divenni all'istante vigoroso e forte; di maniera ehe lo cominciai, lo proseguii sino alla fine senza il menomo intoppo; questo lo fece Maria, io non già, sia lode a lei. » Di lì a qualche mese essendomi recato in Cinzano, richiesi ad alcune persone che loro paresse della predica del Chierico Comollo, al che tutti mi risposero lodevolmente. Il suo zio disse che vedeva l'opera di Dio manifestata nel suo nipote: predica da santo, mi diceva taluno; oh, diceva un'altro pareva un angelo da quel pulpito, tanto era modesto, e franco nel ragionare! altri: che bella maniera di predicare... ciò dicendo ripetevano alcuni sentimenti e per fino le stesse parole che fisse ancora avevano nella memoria.
Senza dubbio sarebbe stato grande il bene che avrebbe fatto nella vigna del Signore un coltivatore di così buona volontà. Tale appunto era l'aspettazione del vecchio suo zio, tale la speranza dei genitori, tale pure il desiderio di tutti i suoi compatriotti, de'suoi superiori, de'suoi {41[41]} compagni; se non che Iddio già lo vedeva abbastanza maturo per lui, e perchè la malizia del mondo non venisse a cangiare il suo intelletto, volle compensare la sua buona volontà e chiamarlo a godere il frutto dei meriti già acquistati, e di quelli che vieppiù bramava di acquistare.
Capo quarto. Circostanze che precedono la sua Malattia
Non è mio scopo di esporre cose a cui io attribuisca del soprannaturale; io dirò solo i fatti nella maniera che sono avvenuti colla più scrupolosa esattezza, lasciando ognuno in libertà di farne quel giudizio che gli paia migliore.
Correva l'anno 1838, lorchè nelle vacanze autunnali trovatomi con lui sur un colle, ed osservando la scarsezza dei raccolti, che si vedeva in campagna: l'anno venturo, presi io a dirgli, il Signore ci donerà più abbondante vendemmia, e faremo miglior vino; lo beverai tu, rispose. Perchè? ripigliai: perchè, ei soggiunse, {42[42]} io spero di berne del migliore; strettolo a parlar più chiaro, terminò con dire che sentivasi tutto ardere di desiderio di andare a gustar l' ambrosia dei beati.
Sul finire delle stesse vacanze, recossi in Torino e dimorò più giorni in casa di una persona di molto buon giudizio, da cui rilevo, e trascrivo le seguenti parole: «Noi fummo tutti grandemente edificati dalla modestia di quel buon Luigi; cortese, affabile, semplice inspirava pietà in ogni sua azione, ma specialmente quando pregava, pareva un san Luigi. Era nostro piacere grande che si fosse trattenuto ancora qualche tempo con noi, ma ei se ne volle assolutamente partire. Nell'atto che si licenziava, addio, gli dissi, forse non ci vedrem più; no... no, rispose egli, non ci vedrem più; non è però a tuo riguardo che parlo così, io replicai, ma per la mia età già di molto avanzata, che anzi voglio, e te lo auguro che tu venga a dir Messa nuova. Allora egli con parole franche, e risolute, oh rispose, io non dirò Messa nuova; l'anno venturo Ella vi sarà ancora, e io non vi sarò più. Preghi {43[43]} intanto il Signore per me, addio. Queste ultime parole pronunziate con tanta franchezza da persona cotanto amata, ci lasciò tutti vivamente commossi, e sovente andavamo dicendo: chi sa? che quel buon Luigi sappia di dover morire? e poichè ci venne partecipata la nuova di sua morte: troppo bene ei la previde, esclamammo! »
A questo racconto io vi presto tutta credenza, essendomi stato riferito da più persone colla stessa precisione.
Finite queste ultime sue vacanze, e messosi in via per recarsi in Seminario, era giunto a tal luogo, ove progredendo perdeva di vista il suo paese. Ivi soffermatosi, disse a suo padre: non posso togliere lo sguardo da Cinzano, e interrogato che guardasse, se forse provasse rincrescimento a recarsi in Seminario; anzi, disse, desidero di arrivarvi, presto in quel luogo di pace; quel che guardo è il nostro Cinzano che lo rimiro per l'ultima volta; richiesto di nuovo se non istesse bene in salute, se volesse ritornare a casa: niente, niente, rispose, sto benissimo, andiamo allegri, il Signore ci aspetta. Queste parole, {44[44]} dice suo padre, le abbiamo più volte in casa ripetute ed ogni qual volta passo in quel luogo, anche presentemente, a stento posso trattener le lagrime. Il presente ragguaglio fu pure a me riferito prima della morte del Comollo.
Non ostante tutti questi presentimenti del fine del suo viver mortale, che il Comollo aveva in più circostanze esternati, con la solita sua tranquillità, e pacatezza con aria sempre uguale, e imperturbata continuò seriamente ad applicarsi a tutti i suoi doveri di studio, e di pietà, talchè all'esame solito a subirsi alla metà dell’anno conseguì (come l'anno antecedente) il premio che si suole compartire a quelli del corso che in modo speciale per scienza, e virtù si distinguono. Io però che osservava tutti i suoi andamenti, lo vedeva oltre l'usato attento nella preghiera, e in tutto il resto delle cose di pietà; voleva sovente discorrere dei martiri del Tonchino; «quelli, diceva, sono veramente pastori del gregge di G. C., i quali danno la loro vita per la salvezza delle pecore smarrite; quanta gloria sarà loro compartita {45[45]} in paradiso. » Altre volte diceva: «oh potessi almeno, quando sarò per partire da questo mondo, sentirmi, sebben senza merito, dal Signore un consolante euge serve bone.
Discorreva con grande trasporto di gioia del Paradiso; e fra le belle cose che suoleva dire una fu questa; «sovente m'avviene di essere solo, e disoccupato, o di non potermi addormentare lungo la notte, ed è appunto in quel tempo che io faccio le amene, e deliziose mie passeggiate. Suppongo trovarmi sur un'alta montagna, dalla cima di cui mi sia dato scoprire tutte le bellezze della natura, contemplo il mare, la terra, paesi, città, con quanto di più magnifico in essi si trova; levo quindi lo sguardo pel sereno cielo, miro il firmamento, che tutto di stelle tempestato forma il più maraviglioso spettacolo; a questo vi aggiungo ancora l'idea di una soave musica, che a voce, e a suono faccia eccheggiare di lieti evviva valli, e monti, e così deliziando la mente con questa mia immaginazione, mi volgo in altra parte, {46[46]} alzo gli occhi, ed eccomi innanzi la Città di Dio; la miro all'esterno, poscia mi avvicino, e penetro dentro, qui pensa tu alle cose, che senza numero io faccio passare a rassegna »; e proseguendo nella sua passeggiata raccontava cose le più curiose, ed edificanti che egli fingevasi di vedere nelle varie sessioni del Paradiso.
Fu pure in quest'anno che gli cavai il secreto come egli facesse lunghe preghiere senza veruna distrazione; «vuoi che io ti dica, dicevami, come io mi metta a pregare, ella è un'immagine tutta materiale che ti farà ridere: «chiudo gli occhi, col pensiero mi porto entro una grande sala adornata nella maniera la piu squisita, in fondo alla quale si erge un maestoso trono su cui siede l'Onnipotente, dopo di lui tutti i cori dei beati comprensori, quivi mi prostro, e con tutto il rispetto a me possibile faccio la mia preghiera».
Questo dimostra secondo le regole dei maestri di spirito quanto la mente del Comollo fosse staccata dalle cose sensibili, e {47[47]} quanto ei fosse padrone di raccogliere a beneplacito le intellettuali sue facoltà.
Suoleva leggere in tempo di Messa nei giorni feriali le meditazioni sull'inferno del P. Pinamonti, intorno a che l'udii più volte a dire «nel decorso di quest' anno lessi sempre in Capella meditazioni sull'inferno, le ho già lette, e le leggo di nuovo, e benché trista e spaventosa ne sia la materia, pure vi voglio persistere, affinché considerando mentre vivo l'intensità di quelle pene, non le abbia ad esperimentare sensibilmente dopo morte.»
Coi sentimenti della più viva penetrazione nel corso della quaresima di quest'anno fece altresì i santi spirituali esercizi; finiti i quali, quasi più nulla si dovesse aspettare in questo mondo, dimostrava che il più grande di tutti i favori che il Signore gli potesse concedere era quello degli esercizi spirituali. Ella è grazia la più grande, diceva con trasporto ai suoi compagni, che Dio possa fare ad un cristiano accordandogli un tal mezzo onde trattare, e disporre delle cose dell'anima sua con piena cognizione, con tutto l'agio, e con soccorso di circostanze {48[48]} sì favorevoli, quali sono meditazioni, istruzioni, letture, buoni esempi. Oh quanto siete buono Signore verso di noi; che ingratitudine non sarebbe mai per chi non corrispondesse a tanta bontà di un Dio»!
Così mentre egli s'andava perfezionando nella virtù, e arrichiva l'anima sua di meriti dinanzi al suo Signore, s'approssimava il tempo in cui doveva riceverne la ricompensa come pare egli abbia in più guise antiveduto.
Capo quinto. Diviene infermo, muore
Un'anima sì pura, e di sì belle virtù adorna qual era quella del Comollo, direbbesi nulla dover paventare, alt' avvicinarsi l'ora della morte. Eppure ne provò pur egli grande apprensione. Ahi che sarà del peccatore se anche le anime buone temono pur cotanto al doversi presentare al cospetto del divin Giudice a rendere conto dell'operato! Era il mattino del 25 marzo 1839, {49[49]} giorno della SS. Annunziata, che io nell'andare in Capella lo[1] incontrai pei corridoi che mi stava aspettando, e come l'ebbi interrogato del buon riposo, mi rispose francamente essere per lui spedita. Ne fui molto sorpreso, stante che il giorno avanti avevamo passeggiato buon tempo insieme, e sentivasi in perfetto essere di salute; onde chiesta la cagione di un tal parlare «Sento, rispose egli, sento un freddo che m'occupa tutte le membra, mi duole alquanto il capo, lo stomaco è impedito, del male però poco mi do pena, quello che mi atterrisce (ciò diceva con voce seria) si è il dovermi presentare al grande Giudizio di Dio » Esortandolo io a non volersi così affannare, essere queste certamente cose remote, e avere tutto il tempo a prepararsi, entrammo in Chiesa. Ascoltò ancora la santa Messa, dopo la quale venne sorpreso da uno sfinimento di forze, per cui dovette tosto mettersi a letto. Terminate che furono le funzioni di Capella mi recai a visitarlo nella propria {50[50]} camerata, dove appena mi vide tra gli astanti, fece segno che gli m'approssimassi e fattomi chinare il capo, come se avesse a manifestarmi cosa di grande importanza, così prese a dire «Mi diceste; che era cosa remota e che eravi ancor tempo a prepararmi prima d'andarmene, ma non è così; so certo che debbo presentarmi presto al cospetto di Dio; poco tempo mi resta a dispormi; vuoi che ti dica di più? Abbiamo da lasciarci » Io lo esortava tuttavia a non inquietarsi, e non affannarsi con tali idee; non m'inquieto, interrompendomi disse, nè m'affanno, solo penso che debbo andare al gran Giudizio, e Giudizio inappellabile, e questo agita tutto il mio interno. Tali parole mi colpirono al vivo, e mi resero assai inquieto; perciò ogni momento desiderava sapere delle sue nuove, e ogni volta che io lo visitava mi ripeteva sempre le stesse parole. S' avvicina il tempo che debbo presentarmi al divin Giudizio, dobbiamo lasciarci » talmente che nel decorso di sua malattia mi furono non una, ma più di quindici volte ripetute. Locchè sin dal primo giorno di malattia manifestò anche a {51[51]} più altri suoi colleghi nell'occasione che da loro era stato visitato. Disse pure che il suo male sarebbe inteso al rovescio dai medici, che operazioni, e medicine non gli avrebbero prodotto verun giovamento; Il che tutto avvenne. Queste cose che dapprima io attribuiva a mero timore dei Giudizi divini, al vedere poi che s'andavano avverando di tratto in tratto, le palesai ad alcuni compagni, quindi allo stesso nostro signor Direttore Spirituale, il quale benchè sulle prime ne facesse poco conto, rimase poi molto maravigliato dacché ne vide gli effetti.
Frattanto il Comollo si stette il lunedì febbricitante in letto, il martedì, e mercoledì passolli fuori di letto, però sempre tristo, e melanconico assorto nel pensiero dei Giudizi divini. Alla sera del mercoledì si pose di nuovo a letto come infermo per non levarsi più. Fra il giovedì, venerdì, sabbato della stessa settimana (santa) gli furon fatti tre salassi, prese vari medicinali, ruppe in copioso sudore, il che non gli recò alcun giovamento. Il sabbato a sera, vigilia di Pasqua, andatolo a visitare, « poichè, mi {52[52]} disse, dobbiamo lasciarci, e fra poco io debbo presentarmi al Giudizio, avrei caro che tu vegliassi meco questa notte, perciò dimanderò licenza, e spero mi sarà concesso ». Come ebbe parlato col signor Direttore, il quale tosto conobbe alcuni sintomi del peggio di sua malattia, mi diede licenza di passare coll'infermo la notte del 30 marzo precedente al solenne giorno di Pasqua. Verso le otto mi accorsi che la febbre facevasi più violenta, alle otto e un quarto l’assali un accesso di febbre convulsiva si gagliardo, che gli tolse l'uso della ragione. Sulle prime faceva un lamento clamoroso, come se fosse stato atterrito da qualche spaventevole oggetto; da li a mezza' ora tornato alquanto in se, e guardando fisso gli astanti, proruppe in tale esclamazione, ahi Giudizio! Quindi cominciò a dibattersi con forze tali, che cinque, o sei che eravamo astanti appena lo potevamo trattenere in letto.
Tali dibattimenti durarono per ben tre ore, dopo i quali ritornò in piena cognizione di se stesso. Stette lunga pezza pensieroso, come occupato in seria riflessione, {53[53]} quindi deposta quell'aria di mestizia, e terrore che da più giorni dimostrava pei Giudizi Divini, comparve tutto tranquillo, e placido, parlava, rideva, rispondeva a tutte le interrogazioni, che gli venivano fatte. Gli fu chiesto da che provenisse un tale cangiamento, poc'anzi sì tristo poscia sì gioviale, e affabile. A tale dimanda mostrossi dapprima imbrogliato a rispondere, poscia rivolto qua, e là lo sguardo se da nissuno fosse udito, prese a parlare sotto voce con uno degli astanti: « fin ora paventai di morire pel timore dei Giudizi Divini; questo tutto m' atterriva, ma ora sono tranquillo, e nulla più temo per le seguenti cose, che in amichevole confidenza ti racconto; mentre era estremamente agitato pel timore del giudizio divino, parvemi in un istante essere stato trasportato in una profonda, ed ampia valle, in cui lo squilibrio dell’aria, e le bufere del vento furioso toglievano ogni forza, e vigore a chiunque colà capitava. Nel centro di questa valle v'era un profondo abisso a guisa di fornace, onde uscivano fiamme avvampanti.... A {54[54]} tal vista spaventato mi posi a gridare per timore di dovere in quella voragine precipitare. Quindi mi voltai all'indietro per fuggire, ed ecco un'innumerevole turba di mostri di forma spaventevole, e diversa, che tentava urtarmi in quell'abisso.... Allora gridai più forte, e tutto confuso, senza sapere che mi fare, feci il segno della santa Croce, alla qual vista quei mostri volevano chinare il capo, ma non potevano, perciò si contorcevano scostandosi alquanto da me. Tuttavia non poteva ancora fuggire, e liberarmi da quel mal'augurato luogo; allorchè vidi una mano di forti guerrieri venire in mio soccorso. Essi assalirono vigorosamente quei mostri, alcuni dei quali rimasero sbranati, altri stesi a terra, altri si diedero a vergognosa fuga. Liberato da tale frangente presi a camminare per quella spaziosa valle, finché giunsi ai piedi di un' alta montagna, su cui solo si poteva salire per una scala i cui scaglioni erano occupati da tanti serpenti, pronti a divorare chiunque vi ascendesse. Non v'era altro passaggio che salire su quella scala, a salire la quale non osava inoltrarmi, temendo essere da {55[55]} que'serpenti divorato; quivi abbattuto dalle angustie, e dagli affanni, privo di forze già veniva meno, quando una donna che io giudico essere la comune nostra Madre, vestita nella più gran pompa, mi prese per mano, fecemi rizzare in piedi e dicendomi di andare con lei s'incamminava qual guida su per quella scala. Come essa pose il piede sugli scaglioni tutti quei serpenti voltavano altrove la mortifera loro testa, nè si volgevano verso di noi sinchè non fummo alquanto da loro lontani. Giunti in cima a quella scala mi trovai in un deliziosissimo giardino, dove io vidi cose che non mi sono giammai immaginato che esistessero. Questo appagò talmente il mio cuore, e mi rese sì tranquillo, che ben lungi dal temere la morte, io la desidero che venga presto, affine di potermi unire col mio Signore.» Sin qui l'infermo.
Checchè se ne voglia dire dell'esposizione del sovraesposto racconto, il fatto fu che quanto grande era prima lo spavento, e il timore di comparire innanzi a Dio, altrettanto più allegro mostravasi di poi, e desideroso che giugnesse un tal momento; {56[56]} non più tristezza, o malinconia in volto, ma un aspetto tutto ridente, e gioviale, in guisa che sempre voleva cantare salmi inni, o laudi spirituali. Intanto avvertito l'infermo essere cosa buona che in quel giorno ricevesse i ss. Sacramenti, occorrendo appunto la solennità di Pasqua, « volontieri ripigliò, e poichè dicono che il Signore risuscitò dal sepolcro in circa quest'ora (erano le quattro, e mezzo del mattino) vorrei che risuscitasse anche nel mio cuore coll'abbondanza della sua grazia. Non ho alcuna cosa di presente che m'inquieti la coscienza, nullameno atteso lo stato in cui mi trovo, ho piacere di parlare col mio confessore prima di ricevere la santa comunione ». La è pur questa cosa degna d' osservazione; un figlio vissuto nel secolo, sul vigore di sua età, persuaso doversi fra poco presentare al giudizio, dire francamente nulla fargli pena alla coscienza... essere tranquillo. Forza è pur dire che ben regolata sia stata la sua vita, puro il cuore, e pura l'anima sua
Spettacolo poi veramente edificante, e maraviglioso fu la sua comunione. Terminata {57[57]} la confessione, fatta la preparazione per ricevere il SS. Viatico, già il signor Direttore, che ne era il ministro, seguito dai Seminaristi entrava nella camera d'infermeria; al suo primo comparire, l'infermo tutto turbato, cangia colore, muta d'aspetto, e pieno di santo trasporto esclama: «oh bella vista... giocondo vedere...! Mira come risplende quel sole! Quante belle stelle gli fanno corona! Quanti prostrati a terra l’adorano e non osano alzar la chinata fronte, deh! lascia che io vada inginocchiarmi con loro, e adori anch'io quel non mai veduto sole». Mentre tali cose diceva, voleva rizzarsi, e con forti slanci tentava portarsi verso il SS. Sacramento; io mi sforzava onde trattenerlo in letto; mi cadevan le lagrime dagli occhi per tenerezza, e stupore, non sapeva che dire, nè che rispondergli; ed egli vieppiù si dibatteva onde portarsi verso il SS. Viatico; nè s'acquetò finché non l'ebbe ricevuto. Dopo la Comunione tutto nei più affettuosi sentimenti concentrato verso il suo Gesù, stette alcun tempo immobile, quindi ripieno di meraviglia « oh.... portento {58[58]} d'amore, esclamava! Chi mai son io per essere fatto degno di tesoro sì prezioso! oh! esultino pure gli Angeli del cielo, ma ben con più di ragione ho io di che allegrarmi, giacchè colui che gli Angeli prostrati mirano rispettosamente in Cielo svelato, io lo custodisco nel seno: quem Coeli capere non possunt meo gremio confero: magnificavit Deus facere nobiscum; oprò il Signore con me le sue meraviglie, e ne fui di celeste gioia, e di divina consolazione ripieno, et facti sumus laetantes ». Queste, ed altre simili giaculatorie andò pronunziando per buon tratto di tempo. In fine sommessa la voce chiamommi a se, e mi pregò a non parlargli più d'altro che di cose spirituali, dicendo essere troppo preziosi quegli ultimi momenti che gli restavano ancor di vita, doverli tutti impiegare a glorificare il suo Dio; perciò non darebbe più alcuna risposta, qualora fosse intorno ad altre cose interrogato.
Difatti in tutto il tempo de' suoi convulsivi dibattimenti se veniva interrogato intorno a cose temporali vaneggiava, se intorno {59[59]} alle cose spirituali dava le più sode risposte.
Il male intanto andava ognora più crescendo, si fece consulto, si proposero medicinali, s'eseguirono varie operazioni, insomma si operò quanto l’arte dei medici, e dei chirurghi poteva, ma tutto senza effetto, avverandosi cosi ogni cosa nel modo, e nelle circostanze dall'infermo prenunziate.
In questo mentre trovandosi in libertà onde poter ragionare confidenzialmente con un suo amico (giacché gli altri seminaristi erano andati tutti al Duomo) tenne un ragionamento, che per essere tutto pieno di tenerezza e di religiosi sentimenti io trascrivo alla lettera tale quale mi viene presentato «Con voce che indicava particolarità così prese parlare: Eccoci, diceva al suo amico, eccoci adunque prossimi al momento in cui noi dobbiamo per alcun tempo lasciarci, ascolta pertanto i ricordi che un amico può lasciare ad un altro amico. Non è solo dovere dell'amico, far quello che l'amico richiede mentre ambi vivono, ma eseguire altresì quanto a vicenda raccomandasi da effettuarsi dopo la morte. Perciò a seconda {60[60]} del patto che abbiamo fatto colle più obbliganti promesse, cioè oremus ad invicem ut salvemur, non solo voglio che si estenda sino alla morte dell'uno, o dell'altro, ma di ambidue; onde finché tu condurrai i tuoi giorni quaggiù, prometti, e giura di pregar per me. Benchè in udir tali parole, asserisce l'amico, mi sentimi forzato a piangere, pure frenai le lacrime, e promisi nel modo richiesto quanto voleva. Or bene l'infermo proseguiva, ecco quello che io posso dire a tuo riguardo: Non sai ancora se brevi, o lunghi saranno i giorni di tua vita; ma checchè ne sia sull' incertezza dell'ora, n' è certa la venuta; perciò fa in maniera che tutto il tuo vivere altro non sia che una preparazione alla morte al Giudizio.... Gli uomini pensano di quando in quando alla morte, credono che verrà quella non voluta ora, ma non vi si dispongono, epperciò allorchè s' appressa il momento rimangono confusi, e chi muore in confusione per lo più va eternamente confuso! Felici quelli che passando i loro giorni in opere sante, e pie si trovano apparecchiati per quel momento. Se poi sarai chiamato dal {61[61]} Signore a divenir guida delle anime altrui, inculca mai sempre il pensiero della morte, del Giudizio, rispetto alle Chiese; poiché si vedono pur troppo anche persone d'abito distinto che hanno poca riverenza alla casa di Dio, perciò alle volte avviene che un uomo della plebe, una vil donniciuola stia colle più sante disposizioni, mentre il ministro del Santuario vi sta svagato senza riflettere che si trova nella casa del Dio vivente!
Siccome poi per tutto il tempo che militiamo in questo mondo di lacrime, non abbiamo patrocinio più possente che quello di Maria SS., devi perciò averle una special divozione. Oh! se gli uomini potessero essere persuasi qual contento arrechi in punto di morte essere stati divoti di Maria, tutti a gara cercherebbero nuovi modi con cui offrirle speciali onori. Sarà pur dessa, che col suo figlio tra le braccia formerà la nostra difesa contro il nemico dell'anima nostra all'ora estrema; s'armi pur tutto contro di noi l’inferno, con Maria in nostra difesa, nostra sarà la vittoria. Guardati però bene dall'essere di quei tali, che per recitare a {62[62]} Maria qualche preghiera, per offrirle qualche mortificazione credono essere da lei protetti, mentre conducono una vita tutta libera, e scostumata. A vece di essere di tali divoti, è meglio non esserlo, perché se si mostrano tali, è puro effetto d'ipocrisia per essere favoriti nei loro cattivi disegni, e quello che è più, se fosse possibile, farle approvare la loro vita sregolata. Sii tu sempre dei veri divoti di Maria coll’imitare le di lei virtù e proverai i dolci effetti di sua bontà, ed amore.
Aggiungi a questo la frequenza dei sacramenti della confessione, e Comunione, che sono i due istrumenti ossia le due armi colle quali si superano tutti gli assalti del comun nemico, e tutti gli scogli di questo borrascoso mare del mondo. Avverti finalmente con chi tratti,parli,e chi tu frequenti. Non parlo già delle persone di sesso diverso od altre persone secolari, che siano per noi d'evidente pericolo, le quali si devono affatto fuggire; ma parlo degli stessi compagni chierici, e anche seminaristi; alcuni di essi sono cattivi, altri non sono cattivi, ma non molto buoni, altri poi sono veramente buoni. {63[63]} I primi si devono assolutamente fuggire, coi secondi solo trattare qualora si dia il bisogno, ma non formare alcuna famigliarità, gli ultimi poi si devono frequentare, e questi sono quelli da cui si riporta l'utilità spirituale, e temporale. Egli è vero, questi compagni sono pochi, ed è appunto per questo che devesi usare la più guardinga cautela, e trovatine alcuni frequentarli, e formare quella spirituale famigliarità dalla quale si ricava tanto profitto. Coi buoni sarai buono coi cattivi sarai cattivo.
Una cosa ho ancora da dimandarti, di cui ti prego cordialmente, cioè quando andrai al passeggio, passando presso il luogo di mia tomba udrai i compagni dire qui sta sepolto il nostro collega Comollo; allora tu suggerisci in prudente maniera a ciascheduno da parte mia che mi recitino un pater ed un requiem; In tal guisa io sarò dalle pene del purgatorio liberato. Molte cose ti direi ancora, ma m' accorgo che il male prende forza, e m' opprime, perciò raccomandami alle preghiere degli amici, prega il Signore per me, Iddio ti accompagni e ti benedica, e ci rivedremo quando egli vorrà. {64[64]} Questi sentimenti, esternati in quei momenti in cui si manifesta tutto l'intrinseco del cuore formano il vero ritratto dell'animo suo. Il pensiero delle massime eterne, frequenza dei sacramenti, tenera divozione verso la Madonna, fuggire i compagni pericolosi, cercare quelli da cui sperava ricavare qualche giovamento per le cose di studio, e di pietà formavano lo scopo di tutte le sue azioni.
Sorpreso verso la sera del giorno di Pasqua da violento accesso di febbre accompagnato dalle più dolorose convulzioni, a stento si poteva trattenere; se non che trovossi uno spediente efficacissimo per acquetarlo. Comunque fuori di se, e agitato dalla gagliardia del male: dettogli appena: Comollo: per chi bisogna soffrire? Egli subito ritornava in se, e tutto gioviale, e ridente, quasi tali parole gli alleviassero il male: per Gesù Crocifisso, rispondeva. In simile stato senza mai profferire un lamento per l’intensità del male, passò la notte, e quasi intiero il giorno susseguente. In questo frattempo fu visitato da suoi genitori, i quali conobbe appieno, e raccomandò loro a rassegnarsi {65[65]} alla divina volontà, e non dimenticarsi di lui nelle loro preghiere. Di quando in quando si metteva a cantare con voce ordinaria, e così sostenuta, che l’avresti detto nel perfetto suo essere di salute; il suo canto era il Miserere, le litanie della Madonna, l'Ave Maris Stella, laudi spirituali. Ma siccome il cantare di troppo lo stancava e gli aumentava il male, si cercò anche un mezzo per farlo tacere, che fu di suggerirgli la recita di qualche preghiera, e così egli cessava di cantare, e diceva quello che gli veniva suggerito.
Alle sette di sera 1. aprile andando le cose ognor in peggio, il signor Direttore spirituale stimò bene amministrargli l'Olio Santo, nel qual tempo pareva perfettamente guarito; rispondeva opportunamente a quanto abbisognava, talchè il Sacerdote ebbe a dire essere cosa del tutto singolare, che mentre pochi momenti prima pareva in agonia potesse con tanta precisione far l'assistente al ministro, rispondendo a tutte le preci e responsori che in tale amministrazione occorrono. Lo stesso avvenne alle undici, e mezzo quando il signor Rettore al {66[66]} vedere che un freddo sudore cominciava coprirgli il pallido volto gli comparti la papale benedizione.
Amministrati così tutti i santi sacramenti non pareva più un infermo, ma uno che stesse in letto per riposo; era del tutto consapevole di se stesso con animo pacato, e tranquillo, tutto allegro, altro non faceva che fervorose giaculatorie a Gesù Crocifisso, a Maria Santissima, ai Santi; perlocchè il signor Rettore ebbe a dire che non abbisognava che altri gli raccomandasse l'anima essendo sufficiente per se medesimo. Un' ora dopo la mezzanotte del 2 aprile, dimandò ad uno degli astanti, quanto tempo v' era ancora: gli fu risposto: v'è ancor mezz'ora. C'è ancora di più soggiunse l’infermo. Sì, ripigliò l'altro credendo che vaneggiasse; ancor mezz'ora, poi andremo alla ripetizione. Eh, ripigliò l'infermo sorridendo, bella ripetizione!... v'è altro che ripetizione. Richiesto da un compagno, se sarebbesi ricordato di lui quando fosse in paradiso, rispose: mi ricorderò dì tutti, ma in modo particolare di quelli {67[67]} che m'aiuteranno ad uscir presto dal purgatorio. Ad un tocco e mezzo benchè conservasse sempre la solita serenità nel volto, apparve talmente estenuato di forze, che sembrava mancargli il respiro; rinvenuto poscia un tantino, raccolto quanto di vigor aveva, con voce franca, con gli occhi elevati in alto proruppe in tali accenti: «Vergine santa Madre Benigna, cara madre del mio amato Gesù, Voi che fra tutte le creature sola foste degna di portarlo nel Vergineo ed immacolato Seno, Deh per quel amore con cui l'allattaste lo stringeste amorosamente fra le vostre braccia, per quel che soffriste allorchè gli foste compagna nella sua, povertà, allorchè lo vedeste fra gli strapazzi, sputi, flagelli, e finalmente spasimare morendo in Croce; Deh per tutto questo ottenetemi il dono della fortezza, viva fede, ferma speranza, infiammata Carità, con sincero dolore dei miei peccati, ed ai favori che mi avete ottenuti in tutto il tempo di mia vita, aggiungete la grazia che io possa fare una santa morte. Sì cara Madre pietosa {68[68]} assistetemi in questo punto che stò per presentare l'anima mia al Divin giudizio, presentatela Voi medesima nelle braccia del Vostro Divin Figlio; che se tanto mi promettete, ecco io con animo ardito, e franco appoggiato alla vostra clemenza, e bontà, presento per mezzo delle vostre mani, quest'anima mia a quella Maestà Suprema, la cui misericordia conseguire spero». Tali furono le precise parole da lui pronunciate con tanta enfasi, e penetrazione, che commossero tutti gli astanti, sino a trarre le lacrime.
Terminata questa fervorosa preghiera pareva venir sorpreso da un letargo mortale, onde per tenerlo in sentimento gli dimandai se sapeva qual età avesse San Luigi, quando morì, alla qual domanda scossosi, « S. Luigi, rispose, aveva ventitre anni compiuti, io muoio che non ne ho ancora nemmen ventidue » Vedendolo intanto estremamente sfinito di forze, venirgli meno il polso, m'accorsi appressarsi il momento che egli doveva dare l'ultimo abbandono al mondo, ed ai compagni; perciò presi a suggerirgli quel tanto {69[69]} che venivami a proposito in simili circostanze, ed egli tutto attento a ciò che gli si diceva, col volto, e colle labbra ridenti, conservando l'inalterabile sua tranquillità fissi gli occhi nel Crocifisso che stretto teneva tra le mani giunte innanzi al petto, si sforzava di ripettere ogni parola che gli veniva suggerita. Circa dieci minuti prima del suo spirare chiamò uno degli astanti, se vuoi gli disse, qualchè cosa per l'eternità, io.... addio me ne parto. Queste furono le ultime sue parole. Quindi per la durezza delle labbra e lo spessore della lingua, non potendo più colla voce pronunziare le giaculatorie suggerite le componeva, e articolava colle labbra. Eranvi altresì due Diaconi che gli leggevano il proficiscere, il quale terminato, mentre l'anima sua si raccomandava alla Vergine Santissima, agli Angeli onde fosse da loro offerta nel cospetto dell'Altissimo, nell’atto che si pronunciavano i nomi di Gesù, e di Maria, sempre sereno, e ridente in volto, movendo egli un dolce sorriso a guisa di chi resta sorpreso alla vista di un maraviglioso, e giocondo {70[70]} oggetto, senza far alcun movimento l'anima sua bella si separò dal corpo volando, come piamente si spera, a riposare nella pace del Signore; le due pomezzanotte prima che sorgesse l’aurora del due aprile 1839 in età d'anni 22 meno 5 giorni. Così morì il giovine chierico Comollo Luigi, il quale seppe gettare nel suo cuore i semi della virtù nelle più rozze occupazioni, coltivarli in mezzo alle lusinghe del mondo, perfezionarli con due anni, e mezzo circa di chiericato, facendoli venire a tutta maturazione con una penosa malattia, e mentre che ognuno si stimava contento di averlo chi per modello, chi per guida nei consigli, altri per amico leale, egli tutti lasciò nel mondo per andarci a proteggere, come fondatamente si spera, in Cielo.
Parrebbe sulle prime che un' anima buona, sì cristianamente vissuta qual si era quella del Comollo, non avrebbe dovuto paventare tanto i giudizi divini; ma se ben si osserva, questa è la condotta ordinaria ehe tiene Iddio co'suoi eletti, i quali all'idea di doversi presentare al rigoroso {71[71]} Tribunale ne rimangono pieni di timore, e spavento; ma esso corre in loro soccorso, e in vece che lo spavento del peccatore continua in agitazioni rimorsi, e disperazione, quello dei giusti si cangia in coraggio, confidenza, e rassegnazione che produce nel loro cuore la più dolce allegrezza; e questo è veramente il punto in cui Iddio comincia a far gustare al giusto il centuplicato compenso delle opere buone che egli ha fatto secondo la promessa del Vangelo, con raddolcire le amarezze della morte per via di una pacatezza, e tranquillità d'animo, di un contento, e gaudio interno che ravviva la loro fede, conferma la speranza, infiamma la carità, a segno che il male per dir così, rallenta il suo rigore, e vi sottentra un saggio anticipato del godimento di quel bene che Iddio sta per compartir loro in eterno; il che solo, parmi dovrebbe stimarsi guiderdone sufficiente pei travagli di tutta la vita, confortarci a tollerarli con rassegnazione e regolare tutte le azioni nostre a seconda dei divini precetti. {72[72]}
Capo sesto. Suoi Funerali
Fattosi giorno, e sparsasi la voce della morte del Comollo tutto il seminario rimase nella più mesta costernazione; diceva taluno: in quest'ora Comollo è già in paradiso a pregare per noi; un altro: quanto bene previde la sua morte! Questi: visse da giusto, morì da santo; quell'altro: se dagli uomini si può giudicare che un'anima partendo dal mondo voli al paradiso, certamente si può affermare di quella del Comollo. Quindi ognuno andava a gara onde avere qualche cosa che fosse stata di sua pertinenza. Taluno fece il possibile per avere il suo Crocifisso, altri per avere devote immagini; altri poi si stimavano grandemente contenti di poter avere qualche suo librettino, e fuvvi persino chi, non potendo avere altro, prese il suo collare onde conservarsi stabile memoria di tanto amato, e venerato collega.
Il signor Rettore del seminario, mosso pur egli dalle singolari circostanze che accompagnarono {73[73]} la di lui morte, comportando a mal in cuore, che il di lui cadavere fosse portato al cimiterio comune, appena giorno si recò a Torino dalle autorità civili, ed ecclesiastiche, da cui ottenne ehe fosse sepolto nella chiesa di san Filippo aderente al Seminario medesimo. Il professore della conferenza del mattino, cominciò la scuola all'ora solita, ma venuto il tempo di spiegare, rimirando la mestizia che tutti gli uditori avevano dipinta in fronte, fu egli pure talmente commosso, che prorompendo in lacrime, e singhiozzi dovette intralasciare la scuola, non avendo più forza di proferir parola.
L'altro professore la sera venne pure in iscuola ma invece della solita spiegazione fece un patetico discorso sulla morte del Comollo, nel qual discorso, diceva essere ben giusto il dolore che ognuno esternava per la perdita di sì prezioso compagno, ma doversi dall'altro canto ognuno di noi rallegrare nella dolce speranza, che una vita sì edificante, una morte sì preziosa dovesse averci procurato un protettore in Cielo. Esortò tutti a proporselo per modello di {74[74]} virtuosa, e costumata chiericale condotta. Definì inoltre in varie maniere la sua morte; morte di un giusto, morte preziosa negli occhi del Signore, e finì con raccomandarci che ne serbassimo sempre cara memoria, e procurassimo imitarne le virtù.
Il mattino del 3 aprile coll'intervento di tutti i seminaristi, di tutti i superiori, del signor Canonico Curato colla sua comitiva fu il suo cadavere processionalmente portato per la città di Chieri, e dopo lungo giro accompagnato con funerei cantici, e pie preghiere fu portato alla suddetta Chiesa di San Filippo. Quivi giunti con lugubre musica, con nero, e pomposo apparato si cantò Messa dal signor Direttore presente cadavere; terminata la quale venne deposto in una tomba preparatagli vicino allo steccato che ne tramezza la balaustrata. Quasi che quel Gesù sacramentato, verso cui mostrò tanto amore, e sì volontieri con lui si tratteneva, vicino pure lo volesse anche dopo la morte.
Sette giorni dopo fecesi pure un solenne funerale con tutto il possibile apparato di addobbamenti, e di lumi. {75[75]} Questi furono gli ultimi onori resigli dai suoi colleghi, i quali oltremodo dolenti niente risparmiarono a favor di un compagno a tutti carissimo.
Capo settimo. Conseguenze di sua morte
Ella è verità veramente innegabile che la memoria delle anime buone non finisce colla loro morte, ma viene tramandata a posteri con loro utilità. Una malattia, e morte accompagnata da tanti belli esempi, e sentimenti di virtù e di pietà, risvegliò pure in molti seminaristi il desiderio di volernelo imitare. Perciò non pochi s'impegnarono a seguitare gli avvisi, e consigli loro dati mentre ancora viveva altri a tener dietro a' suoi esempi, e virtù, di modo che alcuni seminaristi che prima non mostravano gran fatto di vocazione allo stato cui dicevano aspirare, dopo la morte del Comollo si videro con le più ferme risoluzioni divenire modelli di virtù.
«Egli fu appunto alla morte del Comollo, {76[76]} dice un suo compagno, che mi sono risoluto di menare una vita da bravo Chierico per divenire santo ecclesiastico, e quantunque tale determinazione sia stata finora inefficace, ciò nulla meno non mi rimango, anzi voglio addoppiare vieppiù ogni giorno l'impegno.» Nè queste furono solamente determinazioni di primo movimento, ma continua ancora oggidì farsi sentire il buon odore delle virtù del Comollo. Onde il Rettore del Seminario alcuni mesi sono, m' ebbe a dire che «il cangiamento di moralità avvenuto nei nostri Seminaristi alla morte del Comollo, continua ad essere tuttodi permanente.»
Qui sarebbe opportuno osservare che tutto questo avvenne principalmente dietro a due apparizioni del Comollo seguite dopo la di lui morte; una delle quali viene testificata da un'intiera camerata d'individui; come pure sarebbe conveniente parlare di alcuni favori celesti che all'intercessione del medesimo furono ottenuti.
Io però tutto questo tralascio, contentandomi solo di chiudere questo comunque siasi ragguaglio, con due fatti, ai quali {77[77]} atteso il carattere, e la dignità delle persone che li affermano parmi potersi prestare tutta la credenza.
Una persona molto impegnata pel servizio di Dio era da lungo tempo tentata: quando con un mezzo, quando con un altro aveva sempre riuscito a vincere la tentazione; un giorno poi fu sì gagliarda, che pareva omai essere sgraziatamente vinta, e quanto più cercava d'allontanare le cattive idee dalla sua fantasia, tanto più vi correvano. Secco, arido, non poteva muoversi a pregare; allorchè volgendo lo sguardo sopra un tavolino, vide un oggetto che apparteneva al Comollo che conservava qual grata memoria di lui; « allora mi posi a gridare, afferma la persona medesima, se tu sei in paradiso, e mi puoi favorire presso il Signore pregalo che mi liberi da questo terribile frangente. Gran cosa! dette appena tali parole quasi fosse mutato in un altro cessò del tutto la non voluta tentazione e mi trovai tranquillo. D' allora in poi non tralasciai più d'invocare in mio soccorso quell'Angioletto {78[7]} di costumi ne' miei bisogni, e ne fui ognor favorito».
L'altro fatto io lo scrivo tal quale mi viene esposto da chi ne fu l’attore, e testimonio oculato. « Un mattino fui chiamato a tutta fretta a raccomandare al Signore l’anima di un mio amico il quale pativa l'ultima agonia. Là giunto lo trovai veramente qual erami stato detto; era privo dell'uso dei sensi, e della ragione, aveva gli occhi acquosi, le labbra dure, e bagnate di freddo sudore, le arterie sfinite, e mancanti sì, che avresti detto a minuto dovesse mandare l'ultimo respiro; lo dimandai più volte, ma senza pro. Non sapendo più che mi fare, dirotte mi cadevano le lacrime; e in tal frangente venutomi in mente il chierico Comollo, di cui eranmi state riferite tante belle virtù, volli a sfogo del mio dolore invocarlo. Orsù, dissi, se tu puoi qualche cosa presso il Signore, pregalo che sollevi quest'anima addolorata, e sia liberata dalle angosce di morte. Questo dissi, e l'infermo tosto lasciato andare l'estremo del lenzuolo che stretto teneva tra denti, si riscosse, {79[79]} e cominciò parlare quasi non fosse stato ammalato, e il suo miglioramento fu tale, che passati otto giorni l’infermo si trovò totalmente guarito da una malattia che esigeva più mesi di convalescenza, e potè ripigliare le primiere sue occupazioni.
Nel decorso di questo ragguaglio poco si parlò della virtù della modestia che era appunto quella, che in modo particolare caratterizzava il Comollo. Un esterno così regolato, una condotta tanto esatta, una compostezza sì edificante, una mortificazione sì compita di tutti i sensi e principalmente degli occhi fanno arguire che egli abbia una tale virtù in grado eminente posseduta: e a me pare non dire di troppo se affermo, e nutro costante opinione che egli abbia portata all' altra vita la bella stola dell'innocenza battesimale. Questo io argomento non solo dalla scrupolosa riserbatezza nel trattare, o parlare con persone di sesso diverso; ma molto più da certe materie teologiche che egli niente affatto comprendeva, da certe interrogazioni ridicole che talvolta faceva, il che mostrava la sua semplicità, e purezza. {80[80]} Mi conferma in questa opinione ciò che rilevai dal suo Direttore di spirito, il quale dopo lungo discorso meco fatto sul Comollo, conchiuse che aveva egli conosciuto in lui un Angioletto di costumi, che fervoroso, e divoto di s. Luigi sempre si studiava d'imitarne le virtù; difatti tuttavolta che di questo santo faceva parola, (oltrecchè gli offriva mattina, e sera special preghiera) parlavane sempre con trasporto di contento, e di gioia; anzi gloriavasi perchè ne portava il nome. Son Luigi di nome, diceva, ah potessi pure un giorno essere Luigi di fatti: che se studiavasi di seguire le virtù di S. Luigi gli avrà certamente tenuto dietro in quella che di tal santo è la caratteristica il candore, e purità di costumi.
Dal fin qui esposto ognun facilmente comprende come le virtù del Comollo quantunque non siano straordinarie, sono però nel loro genere singolari, e compite, di modo che parmi si possa proporre per esemplare a qualunqué persona sia secolare, che religiosa: avendo per certo che chi sarà seguace del Comollo, {81[81]} diventerà giovine virtuoso Chierico esemplare, vero, e degno ministro del Santuario.
Ecco quel tanto che mi riesci di scrivere intorno al giovane Comollo Luigi, accertando ognuno avere ciò fatto con animo di esporre niente altro che la pura verità, e appagare le varie richieste fattemi da'Colleghi, e da altre persone. Contento d' altro canto, se penna miglior della mia, servendosi di queste stesse memorie, che meschinamente ho esposte, aggiungendo, o togliendo ciò che più le torna a grado tesserà un più grazioso, compito, e ordinato racconto.
L'autore di questi cenni non intende di dare ad essi altro peso, se non quello della fede puramente umana. {82[82]}
« Credi in me! Credi che sono con te! »
Beata Alexandrina Maria da Costa
... Ho ricevuto una lettera del mio padre spirituale. Era grande la
mia ansia di riceverla; ma fu maggiore l'indifferenza, anzi la
freddezza con cui l'ho ricevuta. Mi è stata consegnata nella morte e
nella morte l'ho conservata. Sono vittima. Sia fatta la Tua volontà, se
Ti piace che io viva così. « Gesù, credo nel Tuo amore. Credo che non
mi mancherai ». Gli parlavo così, ma Gesù era lontano, molto lontano e
da lontano mi parlò con dolcezza: - Sono Amore, sono Amore, sono Amore
e sono qui, vittima e sposa Mia. Sono Amore che non senti, ma che ami.
Sono la Sapienza che non comprendi, ma in cui credi. Coraggio! La tua
vita è divina: non può essere vissuta né sentita sulla terra; sono
meraviglie della Sapienza divina. È missione tanto nobile quella che ti
ho affidato. Solo in questo stato d'animo la disimpegni con
perfezione. Coraggio! È l'ultima e tremenda fase; è vicino il Cielo.
Vivi la vita d'amore senza sentire l'amore; vivi la vita di fede
ardente, senza sentirne gli effetti. Ma si convertono i peccatori, si
salvano le anime. Soccorrile! Credi in Me e credi che sono con te.
(diario, 17-6-1955).
... La ripetizione frequente del mio « credo » mi pareva un cilindro
che misturava costantemente la massa della terra e del cielo. Ma come?
Il Cielo esiste? Vi è una eternità? Credo, Gesù, credo; questo mio «
credo » sia eterno. Lottai. Durante questa lotta indicibile venne Gesù
parlando con forza ma con dolcezza: - Avanti, eroina incomparabile!
Avanti nelle tue tenebre perché daranno luce. Avanti nella tua morte
perché darà vita. Avanti nella tua inutilità, perché tutto viene
utilizzato per la resurrezione delle anime. Avanti nel tuo amore,
unico, disinteressato della tua gloria in cielo; avanti nel tuo
martirio che è giunto al culmine: pazza per mio amore, pazza per amore
delle anime... - ... (diario, 1-7-1955).
Prepara delicatamente Deolinda alla separazione
... Io grido e grido al Cielo.
Non so chi dice: « La mia anima è triste sino a morirne, sino alla
morte ». Chi potrà essere, se io sono già morta? In me regna soltanto
la morte.
Non posso quasi più pregare e la mia unione con i miei Amori tanto cari
sembra interrotta... Sulla terra ho perduto tutto. Oh, che abbandono
completo! Non ho l'appoggio di nessuna creatura. Per me oggi è stato un
giorno di lacrime, lacrime di gioia e di pace. Le ho offerte a Gesù
sacramentato come atti d'amore. Fra queste lacrime, con angoscia
mortale, ho fatto ciò che mi piacerebbe fare nel momento della mia
morte: ho consacrato ai Cuori divini di Gesù e di Maria la mia cara
sorella. Ho chiesto Loro di non prenderla prima di me: che lasciassero
per dopo questo angelo che mi hanno affidato. Ho chiesto che fossero
Loro i suoi consolatori dopo la mia morte, perché solo in Loro potrà
sperare e soltanto Loro la comprenderanno. Quanto ho sofferto durante
questa offerta, mentre parlavo ai miei cari Amori! « Credo fermamente,
credo eternamente »... Venne Gesù, mi rialzò dal mio abisso e mi disse:
- Ascolta: c'è festa in Cielo! Sei attesa. Non immagini la tua gloria.
Il Cielo è in festa per la riparazione che gli dài... Avanti,
coraggio, tu che soffri, tu che ripari! Avanti, coraggio, voi che
lavorate per la maggiore gloria di Cristo sulla terra! Egli trionfa
sugli uomini. -
Mentre Gesù parlava io udivo lassù campane e suoni celesti. Avevo luce
nell'anima; la morte era scomparsa. Questo sollievo durò poco tempo: fu
appena un conforto. Gesù scomparve; la morte e le tenebre
ritornarono... (diario, 15-7-1955).