Liturgia delle Ore - Letture
Sabato della 26° settimana del tempo ordinario
Vangelo secondo Marco 16
1Passato il sabato, Maria di Màgdala, Maria di Giacomo e Salome comprarono oli aromatici per andare a imbalsamare Gesù.2Di buon mattino, il primo giorno dopo il sabato, vennero al sepolcro al levar del sole.3Esse dicevano tra loro: "Chi ci rotolerà via il masso dall'ingresso del sepolcro?".4Ma, guardando, videro che il masso era già stato rotolato via, benché fosse molto grande.5Entrando nel sepolcro, videro un giovane, seduto sulla destra, vestito d'una veste bianca, ed ebbero paura.6Ma egli disse loro: "Non abbiate paura! Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. È risorto, non è qui. Ecco il luogo dove l'avevano deposto.7Ora andate, dite ai suoi discepoli e a Pietro che egli vi precede in Galilea. Là lo vedrete, come vi ha detto".8Ed esse, uscite, fuggirono via dal sepolcro perché erano piene di timore e di spavento. E non dissero niente a nessuno, perché avevano paura.
9Risuscitato al mattino nel primo giorno dopo il sabato, apparve prima a Maria di Màgdala, dalla quale aveva cacciato sette demòni.10Questa andò ad annunziarlo ai suoi seguaci che erano in lutto e in pianto.11Ma essi, udito che era vivo ed era stato visto da lei, non vollero credere.
12Dopo ciò, apparve a due di loro sotto altro aspetto, mentre erano in cammino verso la campagna.13Anch'essi ritornarono ad annunziarlo agli altri; ma neanche a loro vollero credere.
14Alla fine apparve agli undici, mentre stavano a mensa, e li rimproverò per la loro incredulità e durezza di cuore, perché non avevano creduto a quelli che lo avevano visto risuscitato.
15Gesù disse loro: "Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura.16Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato.17E questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno i demòni, parleranno lingue nuove,18prenderanno in mano i serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno, imporranno le mani ai malati e questi guariranno".
19Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu assunto in cielo e sedette alla destra di Dio.
20Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore operava insieme con loro e confermava la parola con i prodigi che l'accompagnavano.
Secondo libro dei Maccabei 5
1In questo periodo di tempo Antioco organizzò la seconda spedizione in Egitto.2Sopra tutta la città per circa quaranta giorni apparivano cavalieri che correvano per l'aria con auree vesti, armati di lance roteanti e di spade sguainate,3e schiere di cavalieri disposti a battaglia e attacchi e scontri vicendevoli e trambusto di scudi e selve di aste e lanci di frecce e bagliori di bardature d'oro e corazze d'ogni specie.4Per questo tutti pregarono che l'apparizione fosse di buon augurio.
5Essendosi diffusa la falsa notizia che Antioco era passato all'altra vita, Giàsone, prendendo con sé non meno di mille uomini, sferrò un assalto alla città. Si accese la lotta sulle mura e, quando la città era ormai presa, Menelao si rifugiò nell'acròpoli.6Giàsone fece strage dei propri concittadini senza pietà, non comprendendo che un successo contro i propri connazionali era il massimo insuccesso, e credendo di riportare trofei sui nemici e non sulla propria gente.7Non riuscì però ad impadronirsi del potere e alla fine, conscio della vergogna del tradimento, corse di nuovo a rifugiarsi nell'Ammanìtide.8Da ultimo incontrò una pessima sorte. Imprigionato presso Areta, re degli Arabi, fuggendo poi di città in città, perseguitato da tutti e odiato come traditore delle leggi, riguardato con orrore come carnefice della patria e dei concittadini, fu spinto in Egitto;9colui che aveva mandato in esilio numerosi figli della sua patria morì presso gli Spartani, fra i quali si era ridotto quasi a cercare riparo in nome della comunanza di stirpe.10E ancora, colui che aveva lasciato insepolta una moltitudine di gente, finì non pianto da alcuno, privo di esequie ed escluso dal sepolcro dei suoi padri.
11Quando il re venne a conoscenza di questi fatti, concluse che la Giudea stava ribellandosi. Perciò tornando dall'Egitto, furioso come una belva, prese la città con le armi12e diede ordine ai soldati di colpire senza risparmio quanti capitavano e di uccidere quelli che si rifugiavano nelle case.13Vi fu massacro di giovani e di vecchi, sterminio di uomini, di donne e di fanciulli, stragi di fanciulle e di bambini.14Ottantamila in quei tre giorni furono spacciati, quarantamila nel corso della lotta e in numero non inferiore agli uccisi furono quelli venduti schiavi.
15Non sazio di questo, Antioco osò entrare nel tempio più santo di tutta la terra, avendo a guida quel Menelao che si era fatto traditore delle leggi e della patria,16e afferrò con empie mani gli arredi sacri; quanto dagli altri re era stato deposto per l'abbellimento e lo splendore del luogo e per segno d'onore, egli lo saccheggiò con le sue mani sacrileghe.
17Antioco si inorgoglì, non comprendendo che il Signore si era sdegnato per breve tempo a causa dei peccati degli abitanti della città e per questo c'era stato l'abbandono di quel luogo.18Se il popolo non si fosse trovato implicato in molti peccati, come era avvenuto per Eliodòro, mandato dal re Seleuco a ispezionare la camera del tesoro, anche costui al suo ingresso sarebbe stato colpito da flagelli e sarebbe stato distolto dalla sua audacia.19Ma il Signore aveva eletto non già il popolo a causa di quel luogo, ma quel luogo a causa del popolo.20Perciò anche il luogo, dopo essere stato coinvolto nelle sventure piombate sul popolo, da ultimo ne condivise i benefici; esso, che per l'ira dell'Onnipotente aveva sperimentato l'abbandono, per la riconciliazione del grande Sovrano fu ripristinato in tutta la sua gloria.
21Antioco dunque portando via dal tempio milleottocento talenti d'argento, fece ritorno in fretta ad Antiochia, convinto nella sua superbia di aver reso navigabile la terra e transitabile il mare, per effetto del suo orgoglio.22Egli lasciò sovrintendenti per opprimere la nazione: in Gerusalemme Filippo, frigio di stirpe, ma nei modi più barbaro di chi l'aveva nominato;23sul Garizim Andronìco; oltre a loro Menelao, il quale più degli altri era altezzoso con i concittadini, nutrendo una ostilità dichiarata contro i Giudei.
24Mandò poi il misarca Apollonio con un esercito di ventiduemila uomini, e con l'ordine di uccidere quanti erano in età adulta e di vendere le donne e i fanciulli.25Costui, giunto a Gerusalemme e fingendo intenzioni pacifiche, si tenne quieto fino al giorno sacro del sabato. Allora sorpresi i Giudei in riposo, comandò ai suoi una parata militare26e trucidò quanti uscivano per assistere alla festa; poi, scorrendo con gli armati per la città, mise a morte un gran numero di persone.
27Ma Giuda, chiamato anche Maccabeo, che faceva parte di un gruppo di dieci, si ritirò nel deserto, vivendo tra le montagne alla maniera delle fiere insieme a quelli che erano con lui; e vivevano cibandosi di alimenti erbacei, per non contrarre contaminazione.
Salmi 56
1'Al maestro del coro. Su "Jonat elem rehoqim".'
'Di Davide. Miktam. Quando i Filistei lo tenevano prigioniero in Gat.'
2Pietà di me, o Dio, perché l'uomo mi calpesta,
un aggressore sempre mi opprime.
3Mi calpestano sempre i miei nemici,
molti sono quelli che mi combattono.
4Nell'ora della paura,
io in te confido.
5In Dio, di cui lodo la parola,
in Dio confido, non avrò timore:
che cosa potrà farmi un uomo?
6Travisano sempre le mie parole,
non pensano che a farmi del male.
7Suscitano contese e tendono insidie,
osservano i miei passi,
per attentare alla mia vita.
8Per tanta iniquità non abbiano scampo:
nella tua ira abbatti i popoli, o Dio.
9I passi del mio vagare tu li hai contati,
le mie lacrime nell'otre tuo raccogli;
non sono forse scritte nel tuo libro?
10Allora ripiegheranno i miei nemici,
quando ti avrò invocato:
so che Dio è in mio favore.
11Lodo la parola di Dio,
lodo la parola del Signore,
12in Dio confido, non avrò timore:
che cosa potrà farmi un uomo?
13Su di me, o Dio, i voti che ti ho fatto:
ti renderò azioni di grazie,
14perché mi hai liberato dalla morte.
Hai preservato i miei piedi dalla caduta,
perché io cammini alla tua presenza
nella luce dei viventi, o Dio.
Salmi 41
1'Al maestro del coro. Salmo. Di Davide.'
2Beato l'uomo che ha cura del debole,
nel giorno della sventura il Signore lo libera.
3Veglierà su di lui il Signore,
lo farà vivere beato sulla terra,
non lo abbandonerà alle brame dei nemici.
4Il Signore lo sosterrà sul letto del dolore;
gli darai sollievo nella sua malattia.
5Io ho detto: "Pietà di me, Signore;
risanami, contro di te ho peccato".
6I nemici mi augurano il male:
"Quando morirà e perirà il suo nome?".
7Chi viene a visitarmi dice il falso,
il suo cuore accumula malizia
e uscito fuori sparla.
8Contro di me sussurrano insieme i miei nemici,
contro di me pensano il male:
9"Un morbo maligno su di lui si è abbattuto,
da dove si è steso non potrà rialzarsi".
10Anche l'amico in cui confidavo,
anche lui, che mangiava il mio pane,
alza contro di me il suo calcagno.
11Ma tu, Signore, abbi pietà e sollevami,
che io li possa ripagare.
12Da questo saprò che tu mi ami
se non trionfa su di me il mio nemico;
13per la mia integrità tu mi sostieni,
mi fai stare alla tua presenza per sempre.
14Sia benedetto il Signore, Dio d'Israele,
da sempre e per sempre. Amen, amen.
Ezechiele 24
1Il dieci del decimo mese, dell'anno nono, mi fu rivolta questa parola del Signore:2"Figlio dell'uomo, metti per iscritto la data di oggi, di questo giorno, perché proprio oggi il re di Babilonia punta contro Gerusalemme.3Proponi una parabola a questa genìa di ribelli dicendo loro: Così dice il Signore Dio:
Metti su la pentola,
mettila e versavi acqua.
4Mettici dentro i pezzi di carne,
tutti i pezzi buoni, la coscia e la spalla,
e riempila di ossi scelti;
5prendi il meglio del gregge.
Mettici sotto la legna e falla bollire molto,
sì che si cuociano dentro anche gli ossi.
6Poiché dice il Signore Dio:
Guai alla città sanguinaria,
alla pentola arrugginita,
da cui non si stacca la ruggine!
Vuotala pezzo per pezzo, senza fare le parti,
7poiché il suo sangue è dentro,
lo ha versato sulla nuda roccia,
non l'ha sparso in terra per ricoprirlo di polvere.
8Per provocare la mia collera,
per farne vendetta,
ha posto il suo sangue
sulla nuda roccia, senza ricoprirlo.
9Perciò dice il Signore Dio:
Guai alla città sanguinaria!
Anch'io farò grande il rogo.
10Ammassa la legna,
fa' divampare il fuoco,
fa' consumare la carne,
riducila in poltiglia
e le ossa siano riarse.
11Vuota la pentola sulla brace,
perché si riscaldi
e il rame si arroventi;
si distrugga la sozzura che c'è dentro
e si consumi la sua ruggine.
12Quanta fatica!
Ma l'abbondante sua ruggine non si stacca,
non scompare da essa neppure con il fuoco.
13La tua immondezza è esecrabile: ho cercato di purificarti, ma tu non ti sei lasciata purificare. Perciò dalla tua immondezza non sarai purificata finché non avrò sfogato su di te la mia collera.14Io, il Signore, ho parlato! Questo avverrà, lo compirò senza revoca; non avrò né pietà, né compassione. Ti giudicherò secondo la tua condotta e i tuoi misfatti". Oracolo del Signore Dio.
15Mi fu rivolta questa parola del Signore:16"Figlio dell'uomo ecco, io ti tolgo all'improvviso colei che è la delizia dei tuoi occhi: ma tu non fare il lamento, non piangere, non versare una lacrima.17Sospira in silenzio e non fare il lutto dei morti: avvolgiti il capo con il turbante, mettiti i sandali ai piedi, non ti velare fino alla bocca, non mangiare il pane del lutto".
18La mattina avevo parlato al popolo e la sera mia moglie morì. La mattina dopo feci come mi era stato comandato19e la gente mi domandava: "Non vuoi spiegarci che cosa significa quello che tu fai?".20Io risposi: "Il Signore mi ha parlato:21Annunzia agli Israeliti: Così dice il Signore Dio: Ecco, io faccio profanare il mio santuario, orgoglio della vostra forza, delizia dei vostri occhi e amore delle vostre anime. I figli e le figlie che avete lasciato cadranno di spada.22Voi farete come ho fatto io: non vi velerete fino alla bocca, non mangerete il pane del lutto.23Avrete i vostri turbanti in capo e i sandali ai piedi: non farete il lamento e non piangerete: ma vi consumerete per le vostre iniquità e gemerete l'uno con l'altro.24Ezechiele sarà per voi un segno: quando ciò avverrà, voi farete in tutto come ha fatto lui e saprete che io sono il Signore.25Tu, figlio dell'uomo, il giorno in cui toglierò loro la loro fortezza, la gioia della loro gloria, l'amore dei loro occhi, la brama delle loro anime, i loro figli e le loro figlie,26allora verrà a te un profugo per dartene notizia.27In quel giorno la tua bocca si aprirà per parlare con il profugo, parlerai e non sarai più muto e sarai per loro un segno: essi sapranno che io sono il Signore".
Atti degli Apostoli 8
1Saulo era fra coloro che approvarono la sua uccisione. In quel giorno scoppiò una violenta persecuzione contro la Chiesa di Gerusalemme e tutti, ad eccezione degli apostoli, furono dispersi nelle regioni della Giudea e della Samarìa.2Persone pie seppellirono Stefano e fecero un grande lutto per lui.3Saulo intanto infuriava contro la Chiesa ed entrando nelle case prendeva uomini e donne e li faceva mettere in prigione.
4Quelli però che erano stati dispersi andavano per il paese e diffondevano la parola di Dio.
5Filippo, sceso in una città della Samarìa, cominciò a predicare loro il Cristo.6E le folle prestavano ascolto unanimi alle parole di Filippo sentendolo parlare e vedendo i miracoli che egli compiva.7Da molti indemoniati uscivano spiriti immondi, emettendo alte grida e molti paralitici e storpi furono risanati.8E vi fu grande gioia in quella città.
9V'era da tempo in città un tale di nome Simone, dedito alla magia, il quale mandava in visibilio la popolazione di Samarìa, spacciandosi per un gran personaggio.10A lui aderivano tutti, piccoli e grandi, esclamando: "Questi è la potenza di Dio, quella che è chiamata Grande".11Gli davano ascolto, perché per molto tempo li aveva fatti strabiliare con le sue magie.12Ma quando cominciarono a credere a Filippo, che recava la buona novella del regno di Dio e del nome di Gesù Cristo, uomini e donne si facevano battezzare.13Anche Simone credette, fu battezzato e non si staccava più da Filippo. Era fuori di sé nel vedere i segni e i grandi prodigi che avvenivano.
14Frattanto gli apostoli, a Gerusalemme, seppero che la Samarìa aveva accolto la parola di Dio e vi inviarono Pietro e Giovanni.
15Essi discesero e pregarono per loro perché ricevessero lo Spirito Santo;16non era infatti ancora sceso sopra nessuno di loro, ma erano stati soltanto battezzati nel nome del Signore Gesù.17Allora imponevano loro le mani e quelli ricevevano lo Spirito Santo.
18Simone, vedendo che lo Spirito veniva conferito con l'imposizione delle mani degli apostoli, offrì loro del denaro19dicendo: "Date anche a me questo potere perché a chiunque io imponga le mani, egli riceva lo Spirito Santo".20Ma Pietro gli rispose: "Il tuo denaro vada con te in perdizione, perché hai osato pensare di acquistare con denaro il dono di Dio.21Non v'è parte né sorte alcuna per te in questa cosa, perché 'il tuo cuore non è retto davanti a Dio'.22Pèntiti dunque di questa tua iniquità e prega il Signore che ti sia perdonato questo pensiero.23Ti vedo infatti chiuso 'in fiele amaro e in lacci d'iniquità'".24Rispose Simone: "Pregate voi per me il Signore, perché non mi accada nulla di ciò che avete detto".25Essi poi, dopo aver testimoniato e annunziato la parola di Dio, ritornavano a Gerusalemme ed evangelizzavano molti villaggi della Samarìa.
26Un angelo del Signore parlò intanto a Filippo: "Alzati, e va' verso il mezzogiorno, sulla strada che discende da Gerusalemme a Gaza; essa è deserta".27Egli si alzò e si mise in cammino, quand'ecco un Etìope, un eunuco, funzionario di Candràce, regina di Etiopia, sovrintendente a tutti i suoi tesori, venuto per il culto a Gerusalemme,28se ne ritornava, seduto sul suo carro da viaggio, leggendo il profeta Isaia.29Disse allora lo Spirito a Filippo: "Va' avanti, e raggiungi quel carro".30Filippo corse innanzi e, udito che leggeva il profeta Isaia, gli disse: "Capisci quello che stai leggendo?".31Quegli rispose: "E come lo potrei, se nessuno mi istruisce?". E invitò Filippo a salire e a sedere accanto a lui.32Il passo della Scrittura che stava leggendo era questo:
'Come una pecora fu condotto al macello
e come un agnello senza voce innanzi a chi lo tosa,
così egli non apre la sua bocca.'
33'Nella sua umiliazione il giudizio gli è stato
negato,
ma la sua posterità chi potrà mai descriverla?
Poiché è stata recisa dalla terra la sua vita.'
34E rivoltosi a Filippo l'eunuco disse: "Ti prego, di quale persona il profeta dice questo? Di se stesso o di qualcun altro?".35Filippo, prendendo a parlare e partendo da quel passo della Scrittura, gli annunziò la buona novella di Gesù.36Proseguendo lungo la strada, giunsero a un luogo dove c'era acqua e l'eunuco disse: "Ecco qui c'è acqua; che cosa mi impedisce di essere battezzato?".37.38Fece fermare il carro e discesero tutti e due nell'acqua, Filippo e l'eunuco, ed egli lo battezzò.39Quando furono usciti dall'acqua, lo Spirito del Signore rapì Filippo e l'eunuco non lo vide più e proseguì pieno di gioia il suo cammino.40Quanto a Filippo, si trovò ad Azoto e, proseguendo, predicava il vangelo a tutte le città, finché giunse a Cesarèa.
Capitolo III: Dare umile ascolto alla parola di Dio, da molti non meditata a dovere
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1. Ascolta, figlio, le mie parole; parole dolcissime, più alte di tutta la dottrina dei filosofi e dei sapienti di questo mondo. "Le mie parole sono spirito e vita" (Gv 6,63), e non vanno valutate secondo l'umano sentire. Non si debbono convertire in vano compiacimento; ma si debbono ascoltare nel silenzio, accogliendole con tutta umiltà e con grande amore. E dissi: "Beato colui che sarà stato formato da te, o Signore, e da te istruito intorno alla legge, così che gli siano alleviati i giorni del dolore" ed egli non sia desolato su questa terra (Sal 93,12s). Io, dice il Signore, fin dall'inizio ammaestrai i profeti, e ancora non manco di parlare a tutti. Ma molti sono sordi e duri alla mia voce. Numerosi sono coloro che ascoltano più volentieri il mondo che Dio, e seguono più facilmente i desideri della carne che la volontà di Dio. Il mondo promette cose da poco e che durano ben poco; eppure ci si fa schiavi del mondo, con grande smania. Io prometto cose grandissime ed eterne; eppure il cuore degli uomini resta torbido. Chi mai mi obbedisce e mi serve con tanto zelo, come si serve al mondo a ai suoi padroni? "Arrossisci, o Signore, così dice il mare" (Is 23,4). E se vuoi sapere il perché, ascolta. Per uno scarso vantaggio si percorre un lungo cammino; ma. Per la vita eterna, molti a stento alzano da terra un piede. Si corre dietro ad un modesto guadagno; talora, per un soldo, si litiga vergognosamente; per una cosa da nulla e dietro una piccola speranza non si esita a faticare giorno e notte; ma - cosa spudorata - per un bene che non viene meno, per un premio inestimabile, per l'onore più grande e la gloria che non ha fine, si stenta a faticare anche un poco.
2. Arrossisci, dunque, servo pigro e lamentoso; ché certuni sono più pronti ad andare alla perdizione di quanto non sia pronto tu ad andare alla vita: trovano essi più gioia in cose false di quanta ne trovi tu nella verità. Eppure essi sono ben spesso traditi dalla loro speranza, mentre la mia promessa non delude nessuno, né lascia a mani vuote colui che confida in me. Quel che ho promesso, darò; quel che ho detto adempirò, purché uno sia rimasto costante, sino alla fine, nel mio amore. Io sono colui che compenserà tutti i buoni e metterà severamente alla prova tutte le persone devote. Scrivi le mie parole nel tuo cuore e meditale attentamente; ti saranno molto utili nell'ora della tentazione. Quello che non avrai capito alla prima lettura, lo comprenderai nel giorno in cui io verrò a te. Due sono i modi con i quali io visito i miei eletti; la tentazione e la consolazione. Due sono le lezioni che io do loro ogni giorno; una, rimproverando i loro vizi, l'altra, esortandoli a rafforzare le loro virtù. Colui che, avendo ricevuto "le mie parole, le disprezza, avrà chi lo giudica". Nell'ultimo giorno (Gv 12,48).
Preghiera per chiedere la grazia della devozione.
3. Signore mio Dio, tu sei tutto il mio bene. E io, chi sono per osare di rivolgermi a te? Sono il tuo miserabile piccolo servo, un abietto vermiciattolo, molto più misero e disprezzabile di quanto io stesso non capisca e non osi confessare. Tuttavia, Signore, ricordati di me, che sono un nulla, nulla ho e nulla valgo. Tu solo sei buono, giusto e santo; tutto puoi e ogni cosa viene da te; tutto tu colmi, soltanto il peccatore tu lasci a mani vuote. Ricordati della tua misericordia (Sal 24,6) e riempi il mio cuore con la tua grazia; tu, che non permetti che resti vana la tua opera. Come potrò sopportare me stesso, in questa misera vita, se tu non mi conforterai con la tua pietà e con la grazia? Non distogliere da me la tua faccia, non tardare con la tua visita, non farmi mancare la tua grazia, affinché l'anima mia non divenga per te come una terra arida (Sal 142,6). Signore, insegnami a fare la tua volontà (Sal 142,10); insegnami a stare degnamente e umilmente accanto a te. Tutto tu sai di me, poiché mi conosci nell'intimo; anzi mi conoscevi prima che il mondo esistesse, prima che io fossi nato.
La Genesi alla lettera: Libro terzo
La Genesi alla lettera - Sant'Agostino
Leggilo nella BibliotecaCreazione degli animali dall'acqua e dalla terra: relazione tra questi elementi.
1. 1. E Dio disse: Le acque produrranno rettili dotati di anime viventi e uccelli che volino lungo il firmamento del cielo al di sopra della terra. E ciò avvenne. Dio creò anche i grandi cetacei e tutti i rettili prodotti dalle acque secondo la loro specie e i volatili alati secondo la loro specie. E Dio vide che sono esseri buoni. Dio li benedisse dicendo: Crescete e moltiplicatevi e riempite le acque nel mare, e i volatili si moltiplichino sulla terra. E venne sera e poi venne mattina: il quinto giorno 1. Vengono ora creati, nella parte inferiore del mondo, gli esseri che sono mossi dallo spirito vitale, e in primo luogo quelli che vivono nelle acque, l'elemento più vicino alla natura propria dell'aria, poiché l'aria è così vicina al cielo, ove sono i luminari, che ha ricevuto anch'essa il nome di "cielo"; ma non so se può chiamarsi anche "firmamento". Il termine "cielo" al plurale si usa per denotare la medesima identica realtà che viene denotata con il termine "cielo" al singolare. Sebbene, infatti, in questo libro il cielo, che divide le acque superiori da quelle inferiori, sia usato al singolare, tuttavia nel Salmo è detto: Le acque che sono al di sopra dei cieli, lodino il nome del Signore 2, e l'espressione "cielo dei cieli", se ben comprendiamo, denota la regione siderale superiore dei cieli inferiori. Questi cieli l'intendiamo così anche nel medesimo Salmo ove è detto: Lodatelo, cieli dei cieli 3. È ben evidente che l'aria della nostra atmosfera è chiamata dalla Scrittura non solo "cielo" ma anche "cieli"; allo stesso modo che noi diciamo anche "le terre" volendo indicare soltanto quella che chiamiamo "terra" al singolare quando diciamo "globo delle terre" e "globo della terra".
Difficoltà a proposito del diluvio.
2. 2. In una delle lettere chiamate canoniche leggiamo che anche i cieli dell'atmosfera andarono distrutti a causa del diluvio 4. Infatti l'elemento liquido, che era cresciuto tanto da superare di quindici cubiti le cime delle montagne più alte 5, non poté raggiungere gli astri. Ma poiché esso aveva riempito tutto o quasi tutto lo spazio di quest'atmosfera d'aria più umida in cui volano gli uccelli, quella lettera scrive che perirono quelli ch'erano stati i cieli. Io non so come si possa intendere ciò se non nel senso che quest'aria nello stato più denso fu trasformata in acqua, altrimenti questi cieli non sarebbero scomparsi allora ma sarebbero stati elevati più in alto quando l'acqua occupava il loro spazio. Attenendoci pertanto all'autorità di quella lettera noi preferiamo credere che quei cieli andarono distrutti e che altri cieli, come in essa sta scritto, furono messi al loro posto 6 dopo essersi naturalmente diffusi i vapori umidi, anziché credere che quei cieli furono spinti in alto in modo da occupare lo spazio ch'è proprio del cielo superiore.
Affinità di natura dell'acqua e dell'aria.
2. 3. In rapporto alla creazione degli esseri destinati ad abitare questa parte inferiore del mondo denotata spesso globalmente con il nome di terra, era conveniente che prima fossero prodotti gli animali tratti dalle acque e poi quelli tratti dalla terra; e ciò per il fatto che l'acqua è tanto simile all'aria che, secondo i dati dell'esperienza, si condensa a causa dei suoi vapori e produce il soffio delle tempeste, cioè il vento, e addensa le nubi e può sostenere il volo degli uccelli. È vero pertanto, come dice uno dei nostri poeti pagani, che l'Olimpo sorpassa le nubi e sulle sue vette regna la pace 7. Si dice infatti che sulla vetta dell'Olimpo l'aria sia tanto rarefatta che non è né offuscata da nubi né turbata dal vento né può sostenere il volo degli uccelli e che, se alcuni salgono per caso fin lassù, l'aria non è abbastanza densa per mantenerli in vita, come invece sono abituati [a vivere] nell'aria di quaggiù; ma ciononostante è anch'essa aria e perciò si mescola con le acque per la sua natura ch'è simile a quelle e pertanto si crede che anch'essa si mutasse nella sostanza liquida al tempo del diluvio. Poiché non è pensabile ch'essa occupasse una parte del cielo sidereo allorché l'acqua arrivò a sorpassare i monti più alti.
Mutua trasformazione degli elementi, secondo l'opinione di alcuni.
3. 4. Riguardo alla trasmutazione degli elementi esiste d'altronde una discussione non piccola anche tra coloro stessi che hanno esaminato questi fenomeni con gran diligenza senz'essere occupati in altre faccende. Alcuni infatti dicono che tutto può mutarsi e trasformarsi in tutto; altri al contrario affermano che ciascun elemento ha qualcosa di esclusivamente proprio, che non può in alcun modo trasformarsi nella natura d'un altro elemento. Di questo problema tratteremo forse a suo tempo, se piacerà al Signore; adesso invece, per quanto concerne l'argomento che stiamo trattando, ho creduto opportuno di farne solo un cenno per far capire che nella narrazione dei fatti è stato osservato un ordine secondo il quale era conveniente narrare la creazione degli animali acquatici prima di quelli terrestri.
I quattro elementi.
3. 5. Non si deve però pensare affatto che la Scrittura abbia omesso di parlare d'alcun elemento di questo mondo, che - come tutti ritengono per certo - risulta dei quattro elementi ben noti, per il fatto che in questo passo la Scrittura sembra ricordare solo il cielo, l'acqua e la terra, senza invece dire nulla dell'aria. Le nostre Scritture infatti sono solite chiamare il mondo con i termini di cielo e terra o aggiungere talvolta anche il mare. Si comprende quindi che l'aria fa parte del cielo, negli spazi perfettamente sereni e tranquilli dei suoi strati superiori, o fa parte della terra a causa di questa nostra zona soggetta alle tempeste e nuvolosa, la quale si condensa a causa dei suoi vapori umidi, sebbene anch'essa molto spesso sia denotata con il nome di "cielo". Ecco perché la Scrittura non dice: "Le acque producano rettili dotati d'anime viventi", e poi: "L'aria produca volatili che volino al di sopra della terra", ma narra che entrambe le specie di animali furono prodotte dalle acque. Tutta la massa delle acque, dunque, sia quella scorrente in forma di fluide onde, sia quella leggera e sospesa sotto forma di vapore - quella essendo destinata ai rettili dotati d'anime viventi, questa ai volatili - nell'uno e nell'altro stato è tuttavia considerata come sostanza liquida.
Relazione dei cinque sensi dell'uomo con i quattro elementi.
4. 6. Ci sono perciò anche degli scrittori che, in base a sottilissime considerazioni, distinguono [i caratteri essenziali dei] nostri cinque sensi, a tutti ben noti, in relazione ai quattro elementi comunemente conosciuti, dicendo che gli occhi hanno relazione con il fuoco, gli orecchi con l'aria. I sensi dell'odorato e del gusto li mettono in rapporto con l'elemento liquido; l'odorato in rapporto con l'esalazioni umide che rendono densa l'aria in cui volano gli uccelli; il gusto con le molecole fluide dei liquidi. Infatti tutto ciò che si gusta nella bocca si mescola proprio con la saliva della bocca perché abbia sapore anche se quando vi s'introduce sembra secco. Il fuoco tuttavia penetra ogni corpo per produrvi il movimento. D'altra parte un liquido si congela per mancanza di calore ma, laddove tutti gli altri elementi possono riscaldarsi, il fuoco non può raffreddarsi, perché più facilmente si spegne cessando d'essere fuoco anziché restar freddo o intepidirsi a contatto con qualche sostanza fredda. Quanto invece al tatto, il quinto dei sensi, esso ha maggiore attinenza con l'elemento terrestre; ciò spiega perché ogni sensazione tattile si estende a tutto il corpo animato risultante soprattutto di terra. [Quei filosofi] dicono inoltre che senza fuoco non si può veder nulla, e senza terra non si può toccar nulla, e perciò ogni elemento è presente in tutti gli altri, ma ciascuno ha ricevuto il nome dalla sua proprietà fisica predominante. Ecco perché quando il corpo si raffredda eccessivamente per mancanza di calore, il senso s'intorpidisce poiché diviene più tardo il moto inerente al corpo ed è prodotto dal calore, dal momento che il fuoco influisce sull'aria, l'aria sull'elemento liquido, questo su tutti gli elementi terrestri, per il fatto che gli elementi più sottili penetrano in quelli più densi.
4. 7. Ora, quanto più sottile è un elemento di natura materiale, tanto più si avvicina alla natura spirituale, sebbene sia di specie molto differente, dal momento che l'uno è materia e l'altro no.
La sensazione in rapporto ai quattro elementi.
5. 7. Per conseguenza, poiché il sentire non è una proprietà del corpo ma dell'anima per mezzo del corpo, per quanto si cerchi di dimostrare con acuti ragionamenti che i sensi del corpo sono distribuiti in relazione ai diversi elementi materiali, la facoltà di sentire è tuttavia nell'anima che però, non essendo materiale, esercita questa sua facoltà mediante un corpo più sottile. Essa quindi comincia il movimento riguardo a tutti i sensi servendosi della sottigliezza del fuoco ma non in tutti arriva al medesimo effetto. Nella vista infatti arriva fino alla luce del fuoco sopprimendone il calore; nell'udito, mediante il calore del fuoco, penetra fino all'aria più pura; nell'odorato invece attraversa l'aria pura e arriva fino all'esalazioni umide che rendono più densa l'aria dell'atmosfera che noi respiriamo; nel gusto oltrepassa l'esalazioni umide e arriva fino alle molecole umide più corpulente; dopo averle penetrate e attraversate, quando arriva alla densità pesante della terra, mette in moto il tatto, l'ultimo dei sensi.
L'aria in rapporto al cielo e all'acqua.
6. 8. Non ignorava dunque né la natura né la serie ordinata degli elementi colui che, mettendoci sotto gli occhi la creazione degli esseri visibili, che per la loro natura si muovono entro gli elementi di questo mondo, ricorda dapprima i luminari del cielo, poi gli animali acquatici e infine quelli terrestri. Non ha certo tralasciato di menzionare l'aria, ma se vi sono regioni d'aria, assolutamente priva di nubi e calma ove si dice che non possono volare gli uccelli, esse sono congiunte al cielo superiore e le Scritture chiamandole con il termine di "cielo" ci fanno capire che fanno parte della regione superiore del mondo; perciò con il termine "terra" s'intende in genere tutto il nostro mondo di quaggiù, partendo dal quale [il Salmista] procedendo dall'alto verso il basso dice: Lodate il Signore fuoco, grandine, neve, ghiaccio, venti di tempesta e tutti gli abissi 8 finché si giunge all'asciutto cioè alla terra propriamente detta. Pertanto l'aria dell'atmosfera superiore, sia perché - fa parte della zona celeste di questo mondo, sia perché non è abitata da nessun essere visibile di cui adesso parla il narratore, non è stata passata sotto silenzio per il fatto ch'egli la denota con il termine "cielo", ma non l'annovera tra gli elementi in cui saranno creati gli animali. L'aria dell'atmosfera inferiore, al contrario, che s'impregna delle evaporazioni umide del mare e della terra e in una certa misura si condensa affinché possa sostenere gli uccelli, non possiede se non animali nati dalle acque. Ciò che c'è d'umido sostiene il corpo degli uccelli che si servono delle ali nel volare, come i pesci si servono di pinne, simili ad ali nel nuotare.
Perché la Genesi dice che gli uccelli sono nati dalle acque.
7. 9. Ecco perché a ragion veduta lo Spirito di Dio, in quanto ispirava lo scrittore sacro, dice che gli uccelli nacquero dalle acque. Queste, benché siano di una stessa natura, ebbero in sorte due zone differenti, cioè una inferiore per le acque che sono labili, e una superiore per l'aria ove soffiano i venti: quella destinata agli animali che nuotano, questa agli animali che volano. Così pure vediamo che agli animali furono dati anche due sensi confacenti a questo elemento: l'odorato per fiutare i vapori, il gusto per assaggiare i liquidi. In realtà, che noi possiamo percepire le acque e i venti anche con il tatto si deve al fatto che la sostanza compatta dalla terra risulta un miscuglio di tutti gli elementi, ma viene percepita maggiormente negli elementi più densi in modo che, toccandoli, si possono anche palpare. Ecco perché, a proposito delle due parti più grandi del mondo, anche l'aria umida e l'acqua vengono riunite sotto il nome comprensivo di "terra", come è mostrato dal Salmo quando enumera tutte le realtà esistenti nelle regioni superiori dicendo al principio: Lodate il Signore dall'alto dei cieli 9, e tutte le altre realtà inferiori, dicendo al principio della seconda parte: Lodate il Signore dalla terra 10, ove sono nominati anche i venti delle bufere e tutti gli abissi e anche il fuoco di quaggiù che brucia chi lo tocca, poiché nasce dai moti dell'elemento terrestre e di quello liquido per trasformarsi poi a sua volta nell'altro elemento. Sebbene, inoltre, con il salire in alto il fuoco mostri la sua tendenza naturale, non potrebbe tuttavia salire fino alla regione serena del cielo superiore perché, essendo sopraffatto dalla gran massa d'aria e trasformandosi in essa, si spegnerebbe. Per conseguenza in questa regione del creato più corruttibile e più pesante è agitato da moti burrascosi adatti a temperare il freddo della terra per essere utile ai mortali e incutere ad essi terrore.
Perché la Genesi chiama gli uccelli: volatili del cielo.
7. 10. Poiché dunque il flusso delle onde e il soffio dei venti possono percepirsi anche per mezzo del tatto, la cui caratteristica è d'essere legato strettamente alla terra, per conseguenza anche gli stessi animali acquatici non solo si nutrono di alimenti terrestri, ma anche, specialmente gli uccelli, si riposano e si riproducono sulla terra; in effetti una parte dell'umidità che esala in vapori si estende anche al di sopra della terra. Ecco perché la Scrittura, dopo aver detto: Le acque producano rettili dotati d'anima vivente e i volatili che volano al di sopra della terra, aggiunge esplicitamente: lungo il firmamento 11, inciso dal quale può apparire più chiaro quanto prima pareva oscuro. In realtà non dice: "Nel firmamento del cielo", come aveva detto dei luminari, ma dice: I volatili che volano al di sopra della terra lungo il firmamento del cielo, cioè: "presso il firmamento, poiché questa nostra regione caliginosa e umida in cui volano gli uccelli è naturalmente contigua alla regione ove non possono volare e, in virtù della sua calma e serenità, fa già parte del firmamento del cielo. Gli uccelli dunque volano sì nel cielo ma in questo che il Salmo denota globalmente con il nome di "terra". Proprio in relazione a quel cielo in molti passi della Scrittura gli uccelli vengono chiamati "creature volanti del cielo", non tuttavia "nel firmamento", ma "lungo il firmamento".
Perché i pesci sono chiamati: rettili d'animali viventi. Prima opinione.
8. 11. Alcuni pensano che i pesci sono stati chiamati non "esseri viventi dotati di anima", ma rettili d'esseri viventi dotati di anima, per il fatto che i loro sensi sono rudimentali. Ma se fossero stati chiamati così per questo motivo, agli uccelli sarebbe stato dato il nome di "esseri viventi dotati di anima". Allo stesso modo che quelli sono stati chiamati "rettili", rimanendo sottinteso "di esseri viventi dotati di anima"; si deve quindi ammettere, a mio giudizio, che la Scrittura s'è espressa così, come se si fosse detto: "I rettili e i volatili che sono tra gli esseri animati viventi", allo stesso modo che si potrebbe dire: "i plebei tra gli uomini" per indicare tutti gl'individui che tra gli uomini sono plebei. Sebbene infatti vi siano anche degli animali terrestri che strisciano sulla terra, tuttavia sono molto più numerosi quelli che si muovono con i loro piedi, e quelli che strisciano sulla terra sono forse tanto pochi quanto quelli che si muovono nelle acque.
Seconda opinione.
8. 12. Alcuni pensatori invece credono che i pesci sono stati chiamati non "anime viventi" ma rettili d'anime viventi perché sono affatto privi di memoria e d'una esperienza che rassomigli in qualche modo alla ragione. Costoro però s'ingannano perché manca loro una sufficiente esperienza dei fatti. Quanto dico è provato dal fatto che alcuni hanno lasciato scritte molte meravigliose osservazioni che poterono fare nei vivai dei pesci. Ma anche se per caso hanno scritto delle cose prive di fondamento, è tuttavia certissimo che i pesci hanno memoria. Ciò l'ho constatato io stesso e potrebbero constatarlo anche quanti ne hanno la possibilità e la volontà. C'è infatti una grande sorgente nelle parti di Bulla Regia rigurgitante di pesci. La gente, che li guarda dall'alto, è solita gettar loro qualche briciola: i pesci accorrono in frotta per afferrarla per primi o lottano tra di loro per strapparsela. Abituati a un tal pasto, mentre la gente cammina al margine della sorgente, anch'essi nuotando in frotta, vanno e vengono, con la gente, in attesa che coloro, dei quali avvertono la presenza, gettino loro qualche boccone. Non mi pare dunque che gli animali acquatici siano stati chiamati "rettili" senza ragione, come sono stati chiamati "volatili" gli uccelli; la ragione è la seguente: nell'ipotesi che ai pesci non fosse stato dato il nome di "anime viventi" perché sono affatto privi di memoria o perché hanno una conoscenza sensibile piuttosto tarda, questo nome sarebbe stato dato almeno agli uccelli che vivono sotto i nostri occhi e non solo sono dotati di memoria e sono garruli, ma sono anche abilissimi a costruirsi i nidi e ad allevare i loro piccoli.
Ripartizione degli animali secondo gli elementi.
9. 13. Non ignoro, inoltre, che alcuni filosofi hanno distribuito gli esseri viventi secondo l'elemento proprio di ciascuna loro famiglia, affermando che sarebbero terrestri non solo gli animali che strisciano e camminano sulla terra, ma anche gli uccelli, per il fatto che anch'essi vi si posano quando si sono stancati nel volare; gli esseri viventi dell'aria invece sarebbero i demoni, e quelli del cielo gli dèi; noi tuttavia chiamiamo una parte di essi luminari, un'altra parte angeli. I medesimi, tuttavia, attribuiscono alle acque i pesci e gli altri mostri marini, sicché nessun elemento è privo dei propri esseri viventi, come se sotto le acque non ci fosse che terra o come se potessero provare che i pesci non vi si riposino e non vi ristorino le loro forze per nuotare, allo stesso modo che gli uccelli ristorano le forze per volare. Sennonchè i pesci forse vi si riposano più raramente perché l'acqua è più resistente dell'aria per portare i corpi, tanto da sostenere anche gli animali terrestri quando nuotano, sia che abbiano imparato a farlo con l'esercizio come gli uomini, sia che l'abbiano imparato per istinto naturale come i quadrupedi e i serpenti. Oppure, se non credono che i pesci siano animali terrestri perché non hanno le zampe, neppure i vitelli marini e le foche sono animali acquatici, né sono animali terrestri i serpenti e le chiocciole poiché quelli hanno zampe e questi altri, privi di zampe, non dico che riposano sulla terra ma che appena o mai s'allontanano da essa. Quanto poi ai draghi si dice che sono privi di zampe e si sollevano nell'aria; benché siano difficilmente conosciuti, non tacciono di questa specie d'animali non solo le nostre sacre Scritture ma nemmeno gli scritti dei pagani.
Il "luogo" dei demoni.
10. 14. Per questo motivo, anche se i demoni sono esseri viventi dell'aria, poiché sono dotati di corpi di natura aerea, e perciò non finiscono nella dissoluzione causata dalla morte per il fatto che prevale in essi un elemento più adatto ad essere attivo che ad essere passivo, superiore agli altri due elementi, cioè all'acqua e alla terra, ma inferiore all'altro ch'è il fuoco sidereo - infatti due elementi, cioè l'acqua e la terra, sono classificati tra quelli soggetti a essere passivi; gli altri due invece, e cioè l'aria e il fuoco, hanno la proprietà d'essere attivi -; se dunque essi sono di natura aerea, questo carattere distintivo non è affatto in contraddizione con la nostra Scrittura, la quale c'insegna che i volatili sono stati prodotti a partire non dall'aria ma dall'acqua. Il ruolo assegnato ai volatili è costituito in effetti da evaporazioni diffuse nell'aria, poco dense - è vero - ma tuttavia prodotte dall'acqua. L'aria inoltre si estende dalla linea di confine del cielo pieno di luce fino alle acque fluide e alle terre nude; tuttavia i vapori umidi non offuscano tutto lo spazio occupato dall'aria ma fino alla linea di confine ove comincia già quella che il Salmo chiama "terra", là ove dice: Lodate il Signore dalla terra 12. La parte superiore dell'aria, al contrario, a causa della sua assoluta tranquillità, è unita, con una pace abituale, al cielo con il quale essa confina e di cui condivide lo stesso nome. Se in questa parte superiore dell'aria prima della loro ribellione v'erano gli angeli prevaricatori insieme con il loro capo, adesso diavolo, allora angelo - alcuni scrittori cristiani infatti pensano ch'essi non erano angeli dei cieli o dei cieli più sublimi - non c'è da stupirsi che dopo il loro peccato furono cacciati giù in questa regione inferiore caliginosa ove tuttavia non solo c'è l'aria ma essa è anche impregnata di vapori leggeri: se è agitata con più violenza produce anche fulmini con lampi e tuoni, se è condensata produce le nubi, se compressa produce la pioggia, quando le nubi si congelano produce la neve; quando poi le nubi più dense si congelano con un movimento più turbinoso produce la grandine; quando si è rarefatta produce il sereno. Tutto ciò avviene per effetto dell'occulta volontà e dell'azione di Dio che governa tutte le sue creature, dalle più eccelse alle infime. Ecco perché nel Salmo succitato, dopo aver enumerato il fuoco, la grandine, la neve, il ghiaccio, il vento delle bufere 13, perché non si pensasse che quei fenomeni avvengano o siano eccitati senza l'intervento della divina provvidenza, il Salmista soggiunge immediatamente: che ubbidite al suono della sua parola 14.
Il corpo aereo dei demoni.
10. 15. Se gli angeli ribelli prima della loro ribellione avevano un corpo celeste, non c'è nemmeno da stupire che esso per castigo si sia mutato in un corpo aereo in modo da poter provare qualche tormento da parte del fuoco, d'un elemento cioè di natura superiore, per sua natura, a quella dell'aria; ma non è stato loro nemmeno permesso di abitare nelle regioni più alte e più serene dell'atmosfera ma in queste caliginose di quaggiù che, in rapporto alla loro natura, sono per essi come una specie di prigione fino al giorno del giudizio. Se però occorre fare indagini più accurate su questi angeli ribelli, si faranno più opportunamente se ci si presenterà qualche altro passo della Scrittura. Per ora quindi ci basterà dire: se queste regioni burrascose e tempestose, per la natura dell'atmosfera che si estende fino alle acque e alle terre, possono sostenere corpi aerei, possono sostenere anche il corpo degli uccelli, prodotti a partire dalle acque, grazie ai leggeri vapori che esalano dalle acque; questi vapori, cioè, esalando penetrano nell'aria medesima che circola presso le acque e le terre ed è perciò assegnata alla parte più bassa e terrestre del mondo e con l'aria forma il complesso dell'atmosfera. Le suddette esalazioni rese pesanti dal freddo della notte si depositano anche in gocce sotto forma di rugiada quando è sereno e, se il freddo è più acuto, sotto forma di brina biancheggiante.
Gli animali terrestri.
11. 16. E Dio disse: La terra faccia uscire esseri viventi secondo la loro specie: quadrupedi e rettili e fiere terrestri secondo la loro specie, animali domestici secondo la loro specie. E così avvenne. E Dio fece le fiere terrestri secondo la loro specie, gli animali domestici secondo la loro specie e tutti i rettili della terra secondo la loro specie. E Dio vide che sono cose buone 15. Era logico che ormai Dio dotasse di esseri viventi appropriati la seconda parte più bassa nel mondo, cioè la terra propriamente detta, sebbene in altri passi la Scrittura denoti globalmente con il termine "terra" tutta la regione più bassa con tutti gli abissi e l'atmosfera in cui si formano le nubi. Sono d'altronde ben note le specie degli animali fatte uscire dalla terra in virtù della parola di Dio. Ma poiché sovente sotto il nome di "animali domestici" o di "fiere" si è soliti intendere tutti gli animali privi di ragione, possiamo chiederci giustamente quali sono qui chiamate "fiere" e quali "animali domestici" in senso proprio. Non c'è dubbio che per animali striscianti e rettili della terra la Scrittura vuole intendere ogni specie di serpenti, sebbene possano chiamarsi anche fiere ma nel linguaggio comune non si adatta ai serpenti il nome di animali domestici. Per contro, ai leoni, ai leopardi, alle tigri, ai lupi, alle volpi, perfino ai cani e alle scimmie e a tutti gli altri animali dello stesso genere si adatta secondo l'uso comune della lingua il nome di "fiere". Il nome di "animali domestici", invece, siamo soliti applicarlo in senso più appropriato agli animali che sono al servizio degli uomini sia per aiutarli nei lavori, come i buoi, i cavalli e gli altri animali di tal genere, sia per dare la lana e il nutrimento, come le pecore e i maiali.
I quadrupedi.
11. 17. Che cosa sono dunque i quadrupedi? Poiché, sebbene tutti questi animali camminino su quattro zampe, eccettuati alcuni che strisciano, tuttavia, qualora [l'agiografo] non avesse voluto denotare con questo termine alcune specie determinate di animali, quantunque non ne parli più nel ripetere l'elenco. Sono forse chiamati quadrupedi in senso proprio i cervi, i caprioli, gli asini selvatici e i cinghiali - non possono infatti annoverarsi nella categoria delle belve in cui sono annoverati i leoni e, sebbene simili agli animali domestici, non sono tuttavia come quelli oggetto delle cure dell'uomo - come se questi animali fossero i rimanenti ai quali sarebbe data quella denominazione che in genere denota molti animali - è vero - a causa d'un certo numero di zampe, ma che ha tuttavia un significato speciale? Oppure, dato che ripete tre volte: secondo la loro specie 16, c'invita forse a considerare tre specie d'animali? Dapprima i quadrupedi e i rettili secondo la loro specie: [l'agiografo] indicherebbe, a mio avviso, quelli da essa chiamati quadrupedi, quelli cioè annoverati nella classe dei rettili come le lucertole, le tarantole e altri dello stesso genere. Ecco perché nel ripetere l'enumerazione non ripete una seconda volta il termine "quadrupedi" poiché, probabilmente, li comprende sotto il nome di "rettili" e perciò nel ripetere l'enumerazione non dice semplicemente "i rettili", ma dice: tutti i rettili della terra 17, ove aggiunge della terra perché vi sono anche i rettili delle acque e aggiunge: tutti poiché vi sono anche quelli che camminano su quattro zampe e che prima erano stati indicati col nome di "quadrupedi". Le fiere, invece, di cui [l'agiografo] dice ugualmente: secondo la loro specie, comprenderebbero, a eccezione dei serpenti, tutti gli animali che aggrediscono con i denti o con gli artigli. Al contrario gli animali di cui per la terza volta [lo scrittore sacro] dice: secondo la loro specie, sarebbero quelli che non feriscono né con i denti né con gli artigli o con le corna o neppure con queste. Ho già detto più sopra infatti che il termine "quadrupedi" è molto generico e si applica facilmente a tutti gli animali riconoscibili dalle quattro zampe e ho detto anche che sotto il nome di animali domestici e di fiere sono compresi talora tutti gli animali privi di ragione. Ma anche il termine fera ("belva, bestia selvatica") ha spesso in latino il medesimo significato. Io non dovevo tuttavia trascurare di esaminare come questi termini, che non senza motivo sono usati in questo passo delle Scritture, possono essere destinati a indicare anche un senso preciso e speciale che si può riconoscere facilmente nel linguaggio comune d'ogni giorno.
La formula: secondo la loro specie e le ragioni eterne.
12. 18. Anche il lettore non senza motivo resta imbarazzato nel risolvere il quesito se [lo scrittore sacro], senza un'intenzione particolare e, diciamo così, per caso o per una ragione speciale, usi la formula: secondo la loro specie, come se le specie esistessero anche prima degli esseri di cui è narrata la creazione la prima volta. O si deve forse pensare che quelle specie esistevano nelle regioni superiori ossia spirituali, conformi alle quali sono creati gli esseri di quaggiù? Ma se la cosa stesse in questi termini, la stessa formula sarebbe stata usata a proposito della luce, del cielo, delle acque e delle terre e dei luminari del cielo. Qual è infatti, tra quelli suddetti, l'essere la cui eterna e immutabile ragione di esistere non risieda con la sua potenzialità nella stessa Sapienza di Dio, la quale si estende da un confine all'altro con forza e governa tutto con bontà 18? Ora, [l'agiografo] usa questa formula per la prima volta quando parla delle erbe e degli alberi fino a quando narra la creazione degli animali terrestri. D'altra parte, benché la formula non ricorra nella prima menzione degli animali che Dio creò traendoli dalle acque, tuttavia nella ripetizione della frase si trova detto: E Dio fece i grandi mostri marini e ogni essere vivente degli animali che strisciano, fatti uscire dalle acque secondo la loro specie e tutti i volatili pennuti secondo la loro specie 19.
Altre spiegazioni possibili.
12. 19. Forse per il fatto che questi esseri furono creati perché da essi ne nascessero altri e nella successione conservassero la stessa natura originaria, [l'agiografo] usa la formula: secondo la loro specie per indicare la propagazione della stirpe grazie alla quale erano destinati a perdurare com'erano stati creati? Ma per qual motivo, a proposito degli alberi e delle erbe non solo è usata l'espressione: secondo la loro specie, ma anche quest'altra: a loro somiglianza, sebbene anche gli animali, tanto acquatici che terrestri, generino i discendenti a loro somiglianza? O forse perché la somiglianza è una conseguenza di una data specie, [lo scrittore sacro] non ha voluto ripetere la seconda formula? In realtà non sempre ha ripetuto neanche il termine "seme", pur essendo insìto non solo nelle erbe e negli alberi ma anche negli animali, anche se non in tutti; poiché è stato osservato che alcuni animali nascono dalle acque o dalla terra senza avere alcun sesso e perciò il loro seme non è insito in essi ma negli elementi da cui nascono. La formula: secondo la loro specie è dunque da intendersi solo riguardo agli animali che hanno sia il potere del seme per riprodursi sia la somiglianza di quelli che succedono a quelli che scompaiono, poiché nessuno di essi è stato creato in modo da esistere una volta per sempre, tanto se destinato a perdurare quanto se destinato a sparire senza alcuna discendenza.
Perché quella formula non è usata per l'uomo.
12. 20. E allora per qual motivo anche dell'uomo non è detto: "Facciamo l'uomo a nostra immagine e somiglianza secondo la propria specie", essendo evidente che anche l'uomo si riproduce? Forse perché Dio aveva creato l'uomo in modo che non dovesse morire, qualora avesse voluto osservare il precetto e perciò non era necessario chi succedesse a lui una volta scomparso? Ma dopo il peccato l'uomo fu paragonato e divenne simile agli animali privi di ragione 20, di modo che ormai i figli di quel mondo generano e sono generati affinché la specie dei mortali possa sussistere col mantenere la discendenza. Che significa, dunque, la benedizione pronunciata dopo la creazione dell'uomo [nei seguenti termini]: Crescete e moltiplicatevi, riempite la terra, dato che ciò poteva avvenire [solo] con la generazione? Dobbiamo forse astenerci dall'avventare alcune ipotesi in proposito finché non arriveremo a quel passo della Scrittura ove tale problema dev'essere esaminato e spiegato con maggior attenzione? Per adesso infatti potrebbe forse essere sufficiente pensare che a proposito dell'uomo sarebbe stata omessa l'espressione: secondo la sua specie, per il fatto ch'egli fu creato da solo, mentre da lui fu tratta anche la donna quando fu creata. In realtà non vi sono molte specie di uomini come invece ve ne sono d'erbe, di alberi, di pesci, di volatili, di serpenti, d'animali domestici, di belve. Per conseguenza l'espressione: secondo la loro specie la dovremmo intendere nel senso di: "per via della riproduzione" per distinguere dalle altre creature gl'individui simili tra loro e che derivano da un unico germe originale.
Perché la benedizione fu da Dio impartita, oltre all'uomo, ai soli animali acquatici.
13. 21. Viene posto anche quest'altro quesito: per qual motivo gli animali prodotti dalle acque meritarono un sì grande onore di ricevere, da parte del Creatore, soltanto essi la benedizione come gli uomini? Dio infatti benedisse anch'essi dicendo: Crescete e moltiplicatevi e riempite le acque del mare, e i volatili si moltiplichino sulla terra 21. Secondo questa ipotesi la benedizione avrebbe dovuto essere pronunciata per la prima creatura capace di riprodursi, vale a dire per l'erba e per l'albero. O forse il Creatore pensò che la benedizione espressa con le parole: Crescete e moltiplicatevi fosse fuor di proposito se rivolta a creature in cui non esiste alcun desiderio di propagare la prole e generano senza alcuna coscienza, mentre, per gli animali che hanno siffatto desiderio, il Creatore avrebbe pronunciato per la prima volta la detta benedizione in modo che, senz'essere ripetuta, la s'intendesse valida anche per gli animali terrestri? Sarebbe invece stato necessario ch'essa fosse ripetuta per l'uomo affinché non si dicesse che nella funzione di generare i figli c'è qualche peccato come invece è non solo nella passione carnale della fornicazione ma anche nell'uso smodato dello stesso matrimonio.
I problemi relativi agli insetti.
14. 22. C'è ancora un altro problema riguardante certi animali piccolissimi, se cioè furono creati al principio della corruzione o derivarono in seguito dalla corruzione degli esseri mortali. La maggior parte d'essi infatti nasce o da alterazioni patologiche dei corpi viventi o dai loro escrementi o dalle loro esalazioni oppure dai cadaveri putrefatti, alcuni altri nascono anche dalle parti marcite della legna e delle erbe, alcune dal marciume dei frutti. A proposito di tutti questi animaletti non abbiamo tuttavia il diritto di dire che non ne sia creatore Dio, poiché tutti hanno una sorta di bellezza naturale propria della loro specie, una bellezza tale da suscitare una meraviglia maggiore in chi li considera attentamente e da far lodare di più l'Artefice onnipotente che tutto ha fatto mediante la Sapienza 22 la quale, estendendosi da un confine all'altro e governando tutto con bontà 23, non lascia allo stato informe neppure gl'infimi esseri della natura, che si corrompono conforme al grado della loro specie - la cui dissoluzione c'inorridisce a causa del castigo che ci ha resi mortali -, crea però animali dal corpo piccolissimo ma dai sensi acuti sicché, se li osservassimo con maggiore attenzione, dovremmo stupirci più dell'agilità d'una mosca che vola anziché della potenza d'un giumento che cammina e dovremmo ammirare di più le opere delle formiche che non i carichi pesanti portati dai cammelli.
La creazione degli insetti e il problema della generazione spontanea.
14. 23. Ma veniamo al problema già accennato, se cioè dobbiamo pensare che questi esseri piccolissimi furono creati anch'essi nella prima creazione delle cose, o come conseguenza della decomposizione dei corpi corruttibili. Si può tuttavia dire che gli esseri piccolissimi, che traggono origine dall'acqua e dalla terra, furono fatti nella creazione primitiva. Tra essi non è illogico annoverare altresì quelli che nascono dalle piante, prodotte dalla forza generatrice della terra, sia perché queste creature avevano preceduto la creazione non solo degli animali ma anche dei luminari, sia perché mediante la stretta connessione delle radici sono collegate alla terra, dalla quale spuntarono il giorno in cui apparve la terra asciutta. Dovremmo per conseguenza pensare che questi animali minutissimi sono un'integrazione della terra abitabile piuttosto che appartenenti al numero degli abitanti. Quanto invece a tutti gli altri esseri che nascono dal corpo degli animali e soprattutto dai cadaveri è del tutto irragionevole affermare che furono creati contemporaneamente ai medesimi animali se non nel senso che in tutti i corpi animati erano insiti una certa potenza naturale e i germi, diciamo così, seminati in antecedenza e in certo qual modo abbozzati degli animali futuri destinati a nascere - ciascuno conforme alla propria specie e alle proprie caratteristiche - dalla corruzione di quei corpi grazie all'ineffabile governo del Creatore che tutto muove senza subire mutamenti.
Perché furono creati gli animali nocivi.
15. 24. Anche a proposito delle specie degli animali velenosi e nocivi si suol porre il quesito se furono creati dopo il peccato dell'uomo allo scopo di punirlo o se invece, creati dapprima innocenti, solo in seguito cominciarono a esser nocivi per i peccatori. Ma neppure ciò deve sorprenderci, dal momento che nel corso di questa vita, piena d'affanni e d'afflizioni, nessuno è talmente virtuoso da osare di dirsi perfetto, come attesta sinceramente l'Apostolo che dice: Non ch'io abbia conquistato il premio o sia già arrivato alla perfezione 24. Inoltre tentazioni e molestie corporali sono ancora necessarie per esercitare e perfezionare la virtù nella debolezza, come dichiara ancora il medesimo Apostolo, il quale dice che, affinché non montasse in superbia per le grandi rivelazioni, gli fu messa una spina nella carne, un angelo di Satana perché lo schiaffeggiasse e, pur avendo pregato per tre volte il Signore d'allontanarlo da lui, ebbe la seguente risposta: Ti basta la mia grazia, perché la mia potenza si manifesta appieno nella debolezza 25; ciononostante anche il servo di Dio, Daniele, visse senza paura e incolume in mezzo ai leoni 26; eppure egli nella preghiera innalzata a Dio, confessa schiettamente non solo i peccati del suo popolo, ma anche i suoi personali 27; e così pure una vipera morse lo stesso Apostolo senza però fargli alcun male 28. Questi animali, dunque, anche se creati all'origine del mondo, sarebbero potuti essere innocui, se non vi fosse stato alcun motivo di far temere e punire i vizi o di mettere alla prova e portare a perfezione la virtù, poiché è necessario mostrare esempi di pazienza per il progresso spirituale degli altri; l'uomo inoltre nelle prove acquista una migliore conoscenza di se stesso; è infine giusto che la salvezza eterna, perduta vergognosamente a causa del piacere, venga recuperata coraggiosamente mediante il dolore.
Perché furono create le bestie che si danneggiano a vicenda.
16. 25. Qualcuno però obietterà: "Per qual motivo dunque le bestie si danneggiano a vicenda, dato ch'esse non hanno alcun peccato perché possa parlarsi d'un castigo, né acquistano alcuna virtù con l'esercizio di tale attività?". Evidentemente il motivo è che le une sono cibo delle altre e perciò avremmo torto a dire: "Non ci dovrebbero essere bestie che fossero cibo delle altre". Tutte le creature infatti, fintanto che esistono, hanno le loro misure, i loro ritmi di sviluppo, le loro leggi: tutte cose queste che, se considerate come si deve, meritano lode, e le loro trasformazioni, anche quando si tratta d'un passaggio da un bene a un altro, obbediscono all'economia specifica ma occulta della bellezza del divenire. Se queste leggi sfuggono agli stolti, appaiono invece in una luce fioca ai progredienti ma in piena luce ai perfetti. Tutte queste attività delle creature inferiori offrono all'uomo salutari ammaestramenti: gli fan capire quanto deve impegnarsi per arrivare alla salvezza eterna dell'anima, grazie alla quale egli è superiore a tutti gli animali irragionevoli, al vedere che tutte le bestie, dai più grossi elefanti ai più piccoli vermiciattoli, fanno tutto ciò di cui sono capaci sia lottando sia mettendosi in guardia per conservare l'esistenza fisica e temporale data loro in sorte dalla posizione inferiore nella graduatoria conforme alla loro specie. Questo non appare se non quando alcuni animali, cercano il ristoro per il loro corpo nel corpo degli altri, resistendo altri con tutte le forze o ricorrendo alla fuga o mettendosi al riparo nei nascondigli. In verità anche lo stesso dolore fisico in ogni essere animato è una grande e meravigliosa potenza dell'anima in quanto mantiene in vita la compagine corporea in virtù della sua misteriosa fusione e la riduce a una certa unità conforme alla propria natura, poiché soffre non con indifferenza ma, per così dire, con indignazione che tale unità venga alterata e dissolta.
Perché gli animali dilaniano i cadaveri per cibarsene.
17. 26. Uno forse potrebbe fare anche un'altra obiezione, e cioè: ammettiamo pure che gli animali nocivi facciano del male alle persone viventi per castigarle o le esercitino ai fini della loro salvezza o le mettano alla prova per loro vantaggio o le istruiscano a loro insaputa; ma per quale motivo dilaniano perfino i cadaveri umani per cibarsene? Come se importasse alcunché alla nostra utilità sapere per quali vie la nostra carne esanime vada nelle segrete profondità della natura dalle quali dovrà poi essere tirata fuori per essere formata di nuovo dalla mirabile potenza del Creatore! Anche da questo fatto, peraltro, si può trarre un ammonimento per i saggi: quello cioè d'affidarsi alla fedeltà del Creatore, il quale con ordini misteriosi governa gli esseri tutti, dai più piccoli ai più grandi, e conosce perfino il numero dei capelli della nostra testa 29, e ciò affinché non abbiano orrore d'alcun genere di morte a causa di vane preoccupazioni per i propri cadaveri, ma non siano esitanti a preparare il vigore della fortezza prodotta dalla fede per affrontare qualsiasi evenienza.
Perché e quando furono creati i rovi e le spine.
18. 27. Una simile questione suole sorgere anche a proposito delle spine e dei rovi oltre che di certi alberi non fruttiferi e cioè per qual motivo e quando sono stati creati, dal momento che Dio disse: La terra produca l'erba commestibile avente in sé il seme e alberi fruttiferi che producano frutti 30. Ma coloro che si lasciano impressionare da questa obiezione non comprendono nemmeno quale senso ha il termine "usufrutto" nelle comuni formule del diritto umano. Con il termine "frutto", s'intende infatti qualsiasi utilità derivante a chi usa qualcosa. Orbene dei numerosi vantaggi, sia palesi che occulti, di tutto ciò che la terra produce e nutre mediante le radici, alcuni possono vederli da se stessi, mentre riguardo agli altri si possono informare da coloro che li conoscono.
Una risposta più esauriente sui rovi.
18. 28. Quanto alle spine e ai rovi si può dare una risposta ancor più esauriente, poiché dopo il peccato, a proposito della terra, fu detto all'uomo: Spine e rovi produrrà per te 31. Non si deve tuttavia affermare senz'altro che la terra cominciò a produrli solo allora. Infatti, poiché anche tra le varie specie di semi si trovano molte utilità, forse potevano aver il loro posto nella natura senza costituire alcun castigo per l'uomo. Ma quanto al fatto che le spine nascessero anche nei campi in cui ormai l'uomo era condannato a lavorare, si può pensare che ciò fosse un aggravio del suo castigo, poiché sarebbero potute nascere in altri luoghi sia per nutrimento degli uccelli e del bestiame, sia per altri bisogni degli stessi uomini. C'è pertanto un'altra interpretazione che non è incompatibile con queste parole: produrrà per te spine e rovi, se le prendiamo nel senso che la terra avrebbe prodotto spine anche prima del peccato per procurare non già afflizione all'uomo ma un nutrimento adatto ad ogni sorta d'animali: ce ne sono infatti alcuni che si cibano di questa specie di piante, siano esse tenere o secche, come d'un nutrimento adatto e gradito. Il suolo al contrario avrebbe cominciato a produrre queste spine per procurare una fatica penosa all'uomo quando, dopo il peccato, cominciò a lavorare la terra. Non già che le spine in precedenza nascessero in altri luoghi e dopo il peccato nei campi coltivati dall'uomo per raccoglierne le messi, ma sia prima che dopo nascevano nei medesimi luoghi; tuttavia non nascevano per l'uomo in precedenza, ma in seguito, essendo ciò indicato dall'inciso aggiunto alla frase, poiché la Scrittura non dice solo: spine e rovi produrrà, ma: produrrà per te, vale a dire: "queste spine cominceranno a nascere per te al fine di procurarti fatica, mentre prima nascevano solo per essere il nutrimento di altri animali".
Perché solo quando creò l'uomo Dio disse: Facciamo...
19. 29. E Dio disse: Facciamo l'uomo a nostra immagine e somiglianza e domini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su tutto il bestiame, su tutta la terra e su tutti i rettili che strisciano sulla terra. E Dio creò l'uomo, lo creò a immagine di Dio, maschio e femmina li creò. E Dio li benedisse dicendo: Crescete e moltiplicatevi e riempite la terra e assoggettatela e dominate sui pesci del mare e su gli uccelli del cielo, su tutto il bestiame, su tutta la terra e su tutti i rettili che strisciano sulla terra. E Dio disse: Ecco, io vi ho dato ogni erba commestibile che produce seme che si trova su tutta la terra, e ogni albero che ha in sé frutto produttore di seme: sarà cibo per voi e per tutte le bestie della terra, per tutti gli uccelli del cielo e per tutti i rettili che strisciano sulla terra, e hanno il soffio vitale, e così per nutrimento [vi do] ogni specie d'erba verdeggiante. E così avvenne. E Dio vide tutte le cose che aveva fatte ed ecco: sono cose molto buone. E fu sera e mattina: il sesto giorno 32. Avremo in seguito più volte occasione più opportuna di considerare e discutere con maggior attenzione la natura dell'uomo. Per adesso tuttavia, al fine di concludere la nostra investigazione e la nostra spiegazione sulle opere dei sei giorni, diciamo anzitutto, brevemente, che si deve porre in rilievo il significato del fatto che, mentre a proposito delle altre opere la Scrittura dice: Dio disse: Sia fatto, qui invece dice: Dio disse: Facciamo l'uomo a nostra immagine e somiglianza, allo scopo naturalmente d'indicare, per così dire, la pluralità delle persone a motivo del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Tuttavia, per ricordarci che quella pluralità dobbiamo intenderla come l'unità divina, [l'agiografo] soggiunge immediatamente: E Dio fece l'uomo a immagine di Dio, e non come se il Padre lo [avesse fatto] a immagine del Figlio o il Figlio a immagine del Padre - altrimenti l'espressione: a nostra immagine non sarebbe giusta se l'uomo fosse stato fatto a immagine del solo Padre o del solo Figlio - ma la Scrittura dice: Dio lo fece a immagine di Dio, come se dicesse: "Dio lo fece a sua immagine". Ma poiché ora dice: a immagine di Dio, dopo aver detto poco prima: a immagine nostra, vuole indicarci che la pluralità delle persone non deve indurci a dire o credere o intendere che ci siano più dèi, ma dobbiamo intendere che il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo - cioè la Trinità a cui si riferisce l'espressione: a nostra immagine - sono un solo Dio conforme all'espressione: a immagine di Dio.
Rispetto a che cosa l'uomo è immagine di Dio.
20. 30. A questo punto non si deve neppure passare sotto silenzio che, dopo aver detto: a nostra immagine, la Scrittura soggiunge immediatamente: e abbia dominio sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo 33 e su tutti gli altri animali privi di ragione, per farci intendere, appunto che l'uomo è fatto a immagine di Dio in relazione alla facoltà per cui è superiore agli animali privi di ragione. Orbene, questa facoltà è proprio la ragione o mente o intelligenza o con qualunque altro nome voglia chiamarsi questa facoltà. Ecco perché l'Apostolo dice: Rinnovatevi nello spirito della vostra mente e rivestitevi dell'uomo nuovo 34, che si rinnova per la conoscenza di Dio secondo l'immagine di Colui che l'ha creato 35. Queste espressioni mostrano assai bene in rapporto a che cosa l'uomo è stato creato a immagine di Dio, e cioè non rispetto alle fattezze del corpo ma alla natura - diciamo così - intelligibile dell'anima quando è stata illuminata.
Perché nella creazione dell'uomo non fu detto: e così avvenne.
20. 31. Ecco perché la Scrittura non dice: " E così fu fatto ", per ripetere: E Dio fece, come dice a proposito della luce primordiale - se è giusto pensare che, mediante quel termine è denotata la luce intellettuale, partecipe dell'eterna e immutabile sapienza di Dio - poiché, come abbiamo spiegato nella misura della nostra capacità, non aveva luogo alcuna conoscenza del Verbo di Dio nella prima creatura, affinché in seguito a quella conoscenza fosse creato quaggiù ciò ch'era creato nel Verbo; ma in primo luogo veniva creata la luce mediante la quale potesse avvenire la conoscenza del Verbo di Dio, per mezzo del quale veniva creata, conoscenza consistente precisamente nel volgersi dal proprio stato informe verso Dio, che la formava, e nell'essere, così, creata e formata. In seguito, però, a proposito della creazione degli altri esseri, la Scrittura dice: E così fu fatto, espressione con cui si vuole indicare che la conoscenza del Verbo di Dio fu effettuata prima in quella luce, vale a dire nella creatura intellettuale; quando poi in seguito essa dice: E Dio fece, mette in evidenza che viene creata la specie della stessa creatura pronunciata nel Verbo di Dio e predestinata a esser fatta. Questa formula è conservata anche a proposito della creazione dell'uomo. Dio infatti disse: Facciamo l'uomo a nostra immagine e somiglianza 36, ecc.; ma in seguito l'agiografo non dice: E così fu fatto, ma aggiunge: E Dio fece l'uomo a immagine di Dio, poiché anche questa stessa natura è intellettuale come la [prima] luce, e di conseguenza per essa l'essere fatta è lo stesso che riconoscere il Verbo di Dio, mediante la quale è stata creata.
E così avvenne indica la conoscenza degli esseri irrazionali nel Verbo.
20. 32. Se infatti la Scrittura avesse detto: E così fu fatto e poi avesse aggiunto: E Dio fece, si sarebbe potuto intendere che quell'essere fu dapprima creato nella conoscenza della creatura razionale e in seguito in qualche altra creatura che non sarebbe stata razionale; ma, poiché anche l'anima è una creatura razionale, è anch'essa fatta perfetta in virtù della medesima conoscenza. In effetti, allo stesso modo che dopo la caduta a causa del peccato l'uomo è rinnovato nella conoscenza di Dio per essere immagine di Colui che lo ha creato, così è stato creato nella stessa conoscenza prima che invecchiasse a causa del peccato, condizione questa da cui esce rinnovato per la medesima conoscenza. Riguardo invece a certe creature che sono state create senza questa conoscenza, perché si trattava d'anime irrazionali, la loro conoscenza fu prodotta dapprima nella creatura intellettuale dal Verbo, mediante il quale fu detto: "Esistano". A proposito di questa conoscenza la Scrittura dice dapprima: E così fu fatto, per mostrare che questa conoscenza dell'essere da creare fu prodotta nella creatura ch'era capace di conoscere ciò dapprima nel Verbo di Dio; in seguito furono create le stesse creature corporee e irrazionali e per questo motivo la Scrittura aggiunge: E Dio fece.
Immortalità dell'uomo e generazione.
21. 33. Come mai però l'uomo, sebbene fosse stato creato immortale, ricevette ciononostante per alimento, come gli altri animali, l'erba dei campi produttrice di seme, i frutti degli alberi e l'erba verdeggiante, è difficile a dirsi. Se infatti l'uomo divenne mortale a causa del peccato, non aveva certamente bisogno di cibi siffatti prima del peccato, poiché il suo corpo non sarebbe potuto morire di fame. In realtà, benché sembri che l'ordine: Crescete e moltiplicatevi e riempite la terra 37, supponga che ciò non potesse avvenire senza l'amplesso coniugale del maschio e della femmina - cosa che sarebbe un altro indizio che i corpi erano mortali - si potrebbe tuttavia affermare che ci potesse essere un altro modo d'unione nei corpi mortali. In tal caso i figli sarebbero nati da un fervido sentimento d'amore di benevolenza, privo di qualsiasi sensualità del corpo corruttibile, e i genitori, senza morire, avrebbero avuto come successori i figli non destinati neppure essi a morire, fino a quando la terra non sarebbe stata ripiena d'uomini immortali: in tal modo, dopo essersi formato un popolo giusto e santo, come quello che speriamo sarà dopo la risurrezione, sarebbe stato messo anche un termine alle nascite. Una simile ipotesi potrebbe essere avanzata, ma in qual modo possa essere sostenuta è un'altra faccenda. Nessuno però oserà affermare neppure che soltanto i corpi mortali hanno bisogno di mangiare per ristorare le loro forze.
Secondo alcuni la creazione dell'anima è indicata con il verbo "fece", quella del corpo con "plasmò".
22. 34. Alcuni poi hanno fatto anche un'altra ipotesi, che cioè allora fu creato solo l'uomo interiore, mentre il corpo dell'uomo sarebbe stato creato in seguito, quando la Scrittura dice: E Dio plasmò l'uomo con la polvere della terra 38, cosicché la parola fece si riferirebbe alla creazione dello spirito, plasmò invece a quella del corpo. Costoro però non hanno considerato che la creazione del maschio e della femmina non poté avvenire se non rispetto al corpo. Si potrebbe - è vero - ricorrere a una spiegazione molto sottile, che cioè l'anima dell'uomo, riguardo alla quale egli fu creato a immagine di Dio, sia una specie di vita razionale e abbia due attività distinte: quella di contemplare la verità eterna, e quella di guidare le cose temporali, e in tal modo verrebbe a essere - diciamo così - maschio e femmina, una parte prendendo le decisioni e l'altra obbedendo; tuttavia, se si accettasse questa distinzione, potrebbe chiamarsi giustamente immagine di Dio solo la parte che attende alla contemplazione della verità immutabile. Secondo questo significato simbolico l'apostolo Paolo dice che l'uomo soltanto è immagine e gloria di Dio, la donna invece - dice - è la gloria dell'uomo 39. Sebbene dunque questi due aspetti differenti che si prendono in senso figurato come presenti interiormente soltanto nell'anima dell'uomo, siano simbolizzati esternamente e fisicamente in due creature umane di sesso diverso, tuttavia anche la donna, poiché è femmina solo per il corpo, viene rinnovata anch'essa nello spirito della sua mente per la conoscenza di Dio per essere immagine di colui che l'ha creata, cosa questa per la quale non c'è né maschio né femmina. Allo stesso modo, infatti, che le donne non sono escluse da questa grazia del rinnovamento e della restaurazione dell'immagine di Dio - benché nel loro sesso fisico ci sia un diverso simbolismo nel senso che la Scrittura dice essere immagine e gloria di Dio soltanto l'uomo - così anche nella stessa prima creazione dell'uomo, in quanto la donna era anch'essa una persona umana, aveva di certo la sua anima parimenti razionale, rispetto alla quale è stata anch'essa creata a immagine di Dio. Ma a causa dell'unità [di natura] dei sessi la Scrittura dice: Dio fece l'uomo a immagine di Dio 40; affinché però non si pensasse che allora fu creato soltanto lo spirito dell'uomo - sebbene fosse creato a immagine di Dio solo quanto allo spirito - soggiunse: Dio lo fece, maschio e femmina li fece 41, per farci intendere che allora fu creato anche il corpo. D'altra parte perché non si pensasse che l'uomo fu creato in modo che i due sessi fossero sviluppati in una singola persona umana - come alle volte nascono individui chiamati androgini - la Scrittura lascia intendere d'aver usato il singolare per indicare l'unità dei due sessi, e dice che la donna fu creata venendo tratta dall'uomo, come è detto chiaramente in seguito, quando sarà spiegato più accuratamente ciò che qui è detto brevemente. Ecco perché la Scrittura subito dopo usa il plurale allorché dice: li fece e li benedisse 42. Ma, come ho già detto, esamineremo più attentamente la creazione dell'uomo nel seguito dell'esposizione della Scrittura.
A che si riferisce e che significa: così avvenne?
23. 35. Si deve ora considerare che la Scrittura, dopo aver detto: E così fu fatto, immediatamente aggiunge: E Dio vide tutto ciò che aveva fatto ed ecco è una cosa molto buona 43. Con questa frase ci fa capire che Dio diede alla materia umana il potere e la facoltà stessa di prendere per cibo l'erba dei campi e i frutti degli alberi. Per questo l'espressione: E così fu è in relazione con ciò che aveva narrato a cominciare dal passo ove dice: E Dio disse: Ecco: vi ho dato l'erba che porta il seme 44, ecc.; se infatti l'espressione: E così fu la riferissimo a tutto ciò ch'è detto prima, dovremmo ammettere anche, per conseguenza, che gli uomini erano già cresciuti e s'erano moltiplicati riempiendo la terra nel medesimo sesto giorno, mentre ciò, per attestazione della stessa Scrittura, si avverò solo dopo molti anni. Per questo motivo, dopo che fu data la facoltà di mangiare quegli alimenti e l'uomo ne ebbe conoscenza mediante la parola di Dio, la Scrittura dice: E così fu, nel senso che l'uomo n'ebbe conoscenza per mezzo della parola di Dio. Poiché se anche allora avesse compiuto quell'azione, se cioè avesse preso e mangiato quegli alimenti datigli per cibo, la Scrittura avrebbe continuato a esprimersi secondo il suo solito formulario e, per conseguenza, dopo aver detto: E così fu - che mira ad indicare la suddetta conoscenza -, avrebbe ricordato l'azione stessa e avrebbe detto: "Ne presero e ne mangiarono". La cosa avrebbe potuto essere espressa così, anche senza che venisse nominato la seconda volta Dio, come nel passo ove, dopo aver detto: L'acqua ch'è sotto il cielo s'ammassi in un sol luogo e appaia la terra asciutta 45, soggiunge: E così fu, senza dire di seguito: E Dio fece, benché ripeta: E l'acqua si ammassò nei suoi propri luoghi ecc.
Perché non è detto che l'uomo era buono.
24. 36. Si potrebbe porre poi, a buon diritto, il quesito per quale ragione, a proposito della creatura umana, la Scrittura non dice in particolare come di tutte le altre creature: E Dio vide che è una cosa buona ma, dopo aver narrato la creazione dell'uomo e il potere datogli sia di dominare che di nutrirsi, a proposito di tutte le creature soggiunge: E Dio vide tutte le cose che aveva fatte ed ecco sono assai buone 46. La Scrittura infatti avrebbe potuto esprimere dapprima per l'uomo in particolare la compiacenza espressa in particolare per gli altri esseri creati in precedenza e poi, alla fine, dire a proposito di tutte le cose create da Dio: Ed ecco che sono cose molto buone. Oppure si può pensare che, essendo stata compiuta nel sesto giorno tutta la creazione, la Scrittura doveva dire di tutte le cose: Dio vide tutte le cose che aveva create ed ecco che sono molto buone, e non in particolare degli esseri creati quello stesso giorno? Ma allora perché mai siffatta approvazione fu pronunciata a proposito del bestiame, delle bestie selvatiche e dei rettili della terra creati nel medesimo sesto giorno? Forse perché quegli animali meritarono d'essere proclamati buoni, da una parte singolarmente e riguardo alla specie di ciascuno di essi, e dall'altra globalmente con le altre creature, mentre l'uomo fatto a immagine di Dio avrebbe meritato quella approvazione solo rispetto all'insieme di tutte le altre creature? Oppure si potrebbe supporre che l'uomo non era ancora perfetto non essendo stato ancora posto nel paradiso? Come se la Scrittura quella compiacenza, omessa a questo punto, l'avesse espressa dopo che l'uomo vi fu posto.
La natura può essere deformata dal peccato, ma l'universo resta bello.
24. 37. Che diremo dunque? La spiegazione è forse che, prevedendo Dio che l'uomo avrebbe peccato e non sarebbe rimasto nella perfezione dell'immagine di Dio, l'agiografo ha voluto esprimere l'approvazione ch'esso è buono considerandolo non già nella sua individualità ma solo nell'insieme delle creature come per farci capire che cosa sarebbe avvenuto? Poiché, dal momento che le creature che sono state create, le quali rimangono nello stato in cui sono state create possedendo la perfezione da esse ricevuta - sia quelle che non peccarono, sia quelle che non possono peccare - da una parte sono buone individualmente, da un'altra sono tutte molto buone prese nel loro insieme. Non senza un motivo è stato aggiunto l'avverbio molto, poiché anche le membra del corpo sono belle anche se considerate a una a una, ma sono tuttavia molto più belle se viste tutte nell'intero organismo umano; poiché se per esempio l'occhio, attraente e ammirato, lo vedessimo separato dal corpo, non lo diremmo tanto bello quanto lo è se unito alle altre membra e se visto situato al suo posto nell'intero corpo. Al contrario le creature, le quali peccando perdono la loro propria bellezza, non causano in alcun modo la conseguenza di non essere buone anch'esse, regolate come sono con la totalità e l'insieme degli esseri. L'uomo, quindi, prima del peccato era buono anche se considerato [separatamente] nella sua propria natura specifica, ma la Scrittura tralasciò di dirlo enunciando una cosa per predire qualche altra cosa che doveva avvenire. La Scrittura infatti non dice nulla di falso a proposito dell'uomo. Poiché, se uno è buono individualmente, lo è certamente ancor di più preso in unione con tutti; ma non ne viene di conseguenza che, se uno è buono nell'insieme di tutti, lo sia anche individualmente. L'agiografo pertanto ha seguito un giusto criterio dicendo ciò ch'era vero per allora e indicando ciò che Dio prevedeva sarebbe avvenuto. Poiché Dio, creatore sommamente buono delle nature, è sommamente giusto ordinatore di quelle che peccano, in modo però che anche se alcune creature diventano individualmente brutte a causa del peccato, cionondimeno l'universo con l'inclusione di esse, resta sempre bello. Ma ora dobbiamo trattare nel seguente libro gli altri argomenti che vengono in seguito.
1 - Gn 1, 20-23.
2 - Sal 148, 4-5.
3 - Sal 148, 4.
4 - Cf. 2 Pt 3, 5-7.
5 - Cf. Gn 7, 20.
6 - Cf. 2 Pt 3, 5-7.
7 - LUCANO, Pharsalia 2, 271. 273.
8 - Sal 148, 8-9.
9 - Sal 148, 1.
10 - Sal 148, 7.
11 - Gn 1, 20.
12 - Sal 148, 7.
13 - Sal 148, 8.
14 - Sal 148, 8.
15 - Gn 1, 24-25.
16 - Gn 1, 24.
17 - Gn 1, 24.
18 - Sap 8, 1.
19 - Gn 1, 21.
20 - Cf. Sal 48, 13.
21 - Gn 1, 22.
22 - Cf. Sal 103, 24.
23 - Cf. Sap 8, 1.
24 - Fil 3, 12.
25 - 2 Cor 12, 7-9.
26 - Cf. Dn 6, 22; 14, 38.
27 - Cf. Dn 9, 4-19.
28 - Cf. At 28, 5.
29 - Cf. Lc 12, 7.
30 - Gn 1, 11.
31 - Gn 3, 18.
32 - Gn 1, 26-31.
33 - Gn 1, 28.
34 - Ef 4, 23.
35 - Col 3, 10.
36 - Gn 1, 26.
37 - Gn 1, 22.
38 - Gn 1, 27.
39 - 1 Cor 11, 7.
40 - Gn 1, 27.
41 - Gn 1, 27.
42 - Gn 1, 28.
43 - Gn 1, 30-31.
44 - Gn 1, 29.
45 - Gn 1, 9.
46 - Gn 1, 31.
5 - Maria santissima, chiamata dall'apostolo Pietro, torna da Efeso a Gerusalemme.
La mistica Città di Dio - Libro ottavo - Suor Maria d'Agreda
Leggilo nella Biblioteca456. In seguito al giusto castigo ed alla meritata condanna dell'infelice Erode, la comunità primitiva ritornò per molti giorni nella calma e nella tranquillità: benefici che acquistò dalla Vergine, con le suppliche, gli atti e le sue sollecitudini di madre. Nel contempo Barnaba e Paolo annunciavano la buona novella con mirabili risultati nelle città dell'Asia minore, ad Antiochia, Listra, Perge ed in molti altri luoghi, come è riferito nei capitoli tredicesimo e quattordicesimo degli Atti insieme alle meraviglie ed ai prodigi che lo stesso Apostolo delle genti vi compiva. San Pietro, invece, fuggito da Gerusalemme appena liberato dal carcere, si era ritirato in Asia per uscire dalla giurisdizione del tetrarca ed assistere sia coloro che si erano convertiti lì sia quelli che stavano in Palestina. Tutti lo riconoscevano come vicario di Cristo e capo dei credenti e gli obbedivano, certi che nel cielo veniva confermato quanto egli ordinava ed operava sulla terra. Con questa fede solida ricorrevano a lui, come a supremo pontefice, nelle controversie e nei dubbi che si presentavano. I suoi più intimi collaboratori lo avvisarono così della questione mossa a Paolo ed a Barnaba da alcuni giudei ad Antiochia ed a Gerusalemme, circa l'osservanza della circoncisione e dei precetti di Mosè, come dirò in seguito e come riporta san Luca.
457. In questa occasione, gli apostoli e i discepoli lo pregarono di raggiungerli nella città santa per risolvere quei problemi e disporre ciò che era opportuno, affinché la predicazione non fosse ritardata proprio nel momento in cui il popolo, con la perdita del re, non aveva chi lo proteggesse e la Chiesa godeva di una serenità più stabile. La loro petizione inoltre allegava, per i medesimi motivi, lo stesso invito a Maria poiché i devoti la desideravano con intimo affetto, fiduciosi che la sua presenza li avrebbe confermati nella consolazione dell'Altissimo e avrebbe dato prosperità a tutte le operazioni divine. Dinanzi a queste comunicazioni, Pietro decise di partire subito, ma non prima di aver scritto alla Regina la seguente lettera:
Lettera di san Pietro a Maria beatissima.
A MARIA VERGINE MADRE DI Dio Pietro, apostolo di Gesù Cristo, servo vostro e dei servi di Dio.
458. Signora, tra i fedeli sono sorti dei dubbi e delle divergenze per quanto riguarda l'insegnamento del vostro Figlio e nostro redentore e l'antica legge di Mosè: essi vogliono sapere da noi se si debba continuare ad osservare quest'ultima e chiedono che sia loro palesato quello che udimmo direttamente dalla bocca del nostro Maestro. Io ritornerò presto dai miei fratelli per consultarli; intanto vi imploriamo, a sollievo di tutti e per l'amore che portate alla comunità ecclesiale, di rientrare nella stessa città dove, dopo la scomparsa di Erode, gli ebrei vivono più pacificamente e i cattolici con maggior sicurezza. Molti seguaci del Messia bramano di incontrarvi e di essere consolati da voi. Non appena sarete arrivata, spediremo l'avviso nelle province in cui si trovano gli altri cristiani e, con la vostra assistenza, si delibererà quanto è proficuo riguardo alla fede e all'eminenza dei precetti evangelici.
459. Questo fu il tenore e lo stile della lettera. E comunemente tale forma di stesura fu emulata da tutti gli apostoli, indicando innanzitutto il nome della persona destinataria e poi quello del mittente, oppure viceversa, come si vede nelle epistole di san Pietro, san Paolo e degli altri. La decisione di chiamare la Principessa "Madre di Dio" come quella di nominarla nelle varie discussioni «Vergine e Madre» fu presa di comune accordo dai discepoli, dopo che ebbero composto il "credo"; difatti era di enorme importanza per la Chiesa consolidare nel cuore di tutti i suoi membri l'articolo della verginità e della maternità di colei che aveva generato il Salvatore. Alcuni la chiamavano "Maria di Gesù", o soltanto "Maria, quella del Nazareno"; altri meno istruiti la chiamavano "Maria, figlia di Gioacchino e di Anna". Oggi viene usato più spesso il nome che le diedero i Dodici: "Vergine e Madre di Dio", aggiungendo a questo anche altri titoli molto illustri e misteriosi. Un messo celeste portò la lettera alla Signora, rendendole noto da chi fosse stata redatta, ed ella la venerò subito inginocchiandosi e baciandola, senza aprirla perché san Giovanni si trovava fuori a predicare; ma allorché egli fu alla sua presenza, dopo avergli chiesto la benedizione - come era solita fare -, gliela consegnò, informandolo che era stata inviata dal sommo pontefice. Costui la interrogò sul contenuto ed ella rispose: «Voi, o signore, la leggerete per primo ed esporrete a me quello che riporta». E così fece l'Evangelista.
460. Non posso trattenermi dallo stupore e dall'intima confusione di fronte all'umiltà e alla sottomissione che la Maestra di tutte le virtù manifestò in questa circostanza, benché apparentemente per un istante. E difatti solo la sua prudenza superna poté ritenere opportuno, per lei Madre di Dio, non leggere ciò che il vicario del suo Unigenito le aveva mandato senza il previo permesso del ministro a cui doveva attenersi, al fine di regolarsi secondo la sua volontà. Con tale esempio viene ripresa e corretta la presunzione dei sudditi, che vanno alla ricerca di artificiosi raggiri e frivole ragioni per venir meno al rispetto che devono ai superiori; ella, invece, fu modello di santità in tutto, tanto nelle cose piccole quanto in quelle grandi. Il suo diletto, dopo aver terminato la lettura, le domandò che cosa ne pensasse, e neppure in questo ella volle mostrarsi superiore né alla pari ma soltanto obbediente, e quindi replicò: «Stabilite voi quello che vi sembra più conveniente, perché dinanzi a voi sta la vostra serva pronta ad assecondarvi». Egli disse che gli pareva giusto che si facesse il volere di san Pietro dirigendosi velocemente a Gerusalemme. «È doveroso - riprese Maria purissima - eseguire i comandi del capo dei credenti: disponete immediatamente la partenza».
461. Quindi, Giovanni andò subito a cercare l'imbarco per la Palestina , preparando quanto era necessario per il viaggio. Mentre egli si occupava di tutto questo, la divina Regina convocò le donne di Efeso, sue conoscenti, per accomiatarsi da loro e lasciarle istruite su quello che avrebbero dovuto fare per restare salde nella fede. Costoro erano settantatré e molte, oltre alle nove salvate durante la distruzione del tempio di Diana, erano vergini; tutte erano state catechizzate e convertite dalla Signora, che aveva formato una confraternita in quella stessa abitazione dove era stata ospitata. Con loro ella incominciò ad espiare i peccati e gli abomini commessi per tanti secoli nel tempio di Diana, e diede inizio alla comune osservanza della castità in quella città in cui il demonio aveva profanato tale virtù. Su tutto ciò aveva educato le suddette discepole, benché esse non sapessero che quell'edificio era stato distrutto proprio da lei; difatti, conveniva tenere nel segreto la causa di quanto era accaduto, affinché i giudei non avessero motivo per muoversi contro la Vergine e i gentili non si sdegnassero per lo sfrenato fervore portato alla loro dea. L'Eterno dispose, perciò, che quell'evento fosse ritenuto accidentale, venisse ben presto dimenticato e non fosse narrato nei libri degli autori profani, come invece fu fatto riguardo al primo incendio.
462. La Principessa , dopo aver parlato alle sue compagne per consolarle del suo commiato, lasciò loro un foglio, scritto di sua mano, nel quale dichiarava: «Figlie mie, per volontà dell'Onnipotente, devo assolutamente ritornare a Gerusalemme. Durante la mia assenza cercate di tenere presente l'insegnamento che vi ho dato, udito direttamente dalla bocca del Redentore, che dovete riconoscere come vostro Signore e maestro, e sposo delle anime vostre, servendolo ed amandolo con tutto il cuore. Serbate nella memoria i suoi precetti, sui quali sarete illuminate dai suoi ministri e sacerdoti, che terrete in grande venerazione. Obbedite, inoltre, ai loro ordini con umiltà, senza ascoltare né ricevere altri maestri che non siano discepoli di sua Maestà o seguaci della sua dottrina. Io avrò premura che essi vi assistano e vi proteggano e non vi dimenticherò mai, intercedendo sempre a vostro favore. In vece mia resterà Maria l'antica che con sollecitudine, come ho fatto io, si prenderà cura di voi: le porterete rispetto sottomettendovi in tutto. In questa casa osserverete in modo inviolabile il ritiro e il raccoglimento. Desidero che non vi entrino mai uomini e, se sarà necessario conversare con qualcuno, ciò avvenga alla porta e davanti a tre di voi. Sarete assidue e concentrate nell'orazione, proclamerete e canterete le preghiere che troverete nella stanza dove dimoravo. Cercate di mantenere il silenzio, di essere sempre mansuete e di non fare al prossimo ciò che non vorreste fosse fatto a voi. Dite sempre la verità, ed in tutti i vostri pensieri e le vostre parole ed opere abbiate in mente Gesù crocifisso. Adoratelo e confessatelo come Creatore e salvatore del mondo; in suo nome io vi do la benedizione, supplicandolo che abiti sempre dentro di voi».
463. La purissima Madre diede queste ed altre esortazioni alla congregazione dedicata al suo unigenito e vero Dio. Quella che designò come superiora era una delle pie donne da cui era stata ospitata: una persona di governo, con la quale aveva avuto maggiore relazione istruendola più di tutte sulla legge e sui divini misteri. Veniva chiamata "Maria l'antica", perché la Regina aveva imposto nel battesimo a lei e a molte altre il suo stesso nome, comunicandone loro l'eccellenza senza invidia - come afferma il libro della Sapienza - e, poiché costei era stata la prima a ricevere questo sacramento in Efeso con tale appellativo, era detta «l'antica», a differenza delle altre, alle quali esso era stato impartito più recentemente. La suprema sovrana lasciò loro scritto il "Credo", il "Padre nostro", i "dieci comandamenti" e diverse orazioni perché le recitassero vocalmente. Inoltre, affinché eseguissero questi ed altri pii esercizi, lasciò loro una grande croce intagliata dagli spiriti superni con molta celerità. In più, per spronarle maggiormente, divise fra tutte le suppellettili e le cose che aveva, povere nel valore umano, ma ricche e di prezzo inestimabile poiché erano suoi pegni e dimostrazioni della sua tenerezza.
464. Si congedò infine con l'apprensione di abbandonare coloro che proprio ella aveva generato in Cristo. Ciascuna, pervasa dal dolore, con profondi gemiti si prostrò ai suoi piedi, come se avesse perso in un istante la consolazione, il rifugio e la gioia interiore. Tuttavia, per la premura che Maria santissima ebbe sempre di esse, le settantatré adepte perseverarono nel timore di Dio e nella fede, benché il demonio muovesse contro di loro tremende persecuzioni, sia da sé che per mezzo del popolo. Ma, prevedendo queste insidie, prima di partire elevò un'ardente implorazione, domandando a suo Figlio di salvaguardare e preservare dalle tentazioni quel piccolo gregge, destinando un custode per difenderlo da ogni pericolo di caduta. Il Signore fa esaudì in tutto e, in seguito, fu ella stessa dal cenacolo a confortare molte volte le sue compagne e ad incaricare anche i discepoli e gli apostoli che, recandosi in quella città, le accudissero; tale mansione adempì per tutto il tempo della sua vita.
465. Arrivato il giorno di dover salpare per Gerusalemme, la più umile tra le umili chiese a Giovanni la benedizione; quindi si incamminarono insieme verso il porto, dopo aver abitato ad Efeso per due anni e mezzo. All'uscire da casa, le si manifestarono tutti i suoi mille angeli in forma umana, schierati in ordine di battaglia ed armati a sua
difesa come uno squadrone. Questa novità fu per lei l'avviso di stare sempre pronta per continuare il conflitto con Lucifero e i suoi alleati. E difatti, prima di giungere alla banchina, scorse un'immensa moltitudine di legioni infernali che le venivano incontro sotto l'aspetto di figure spaventose. Seguiva un dragone con sette teste, orribile, deforme e talmente grande da superare un bastimento; solo al vederlo così feroce ed abominevole causava enorme tormento. Dinanzi a queste visioni tanto terrificanti l'invincibile Vergine si preparò con ferventissima fede, con carità, con le parole dei salmi e con altre che aveva udito dalla bocca del Maestro. Ingiunse agli esseri celesti di assisterla, perché, ovviamente, immagini tanto atroci ed agghiaccianti le suscitarono qualche timore. L'Evangelista non venne a conoscenza della lotta con i diavoli sino a quando non ne fu informato da sua Altezza, che lo illuminò su tutto.
466. Dopo il loro imbarco, le vele furono spiegate, ma a poca distanza quelle furie diaboliche, che avevano il permesso di mettere in atto la loro crudeltà, agitarono il mare scatenando una tempesta così violenta da non essere mai stata vista fino ad allora. In questa occasione l'Onnipotente volle glorificare la sua destra e la santità di Maria, consentendo a satana e ai suoi seguaci di dar prova di tutta la loro malvagità e la loro forza. Le onde si gonfiarono con terribili fragori, come se si sollevassero sui venti e apparentemente sopra le nubi, formando fra di loro delle montagne d'acqua e di schiuma: sembrava che prendessero lo slancio per rompere le carceri nelle quali stavano rinchiuse. La nave veniva sferzata e sbattuta dall'uno e dall'altro lato, destando ad ogni colpo lo stupore di non essere ridotta in pezzi. Alcune volte era innalzata verso il cielo, altre veniva fatta scendere fino a rompere le arene dell'abisso e spesso batteva con le coffe e le antenne contro le creste dei flutti. In alcuni momenti fu addirittura necessario che i santi angeli la sostenessero in aria e la mantenessero ferma fino a quando non fosse passato l'impeto del mare che, naturalmente, avrebbe dovuto sommergerla e ridurla in frantumi.
467. I marinai e i passeggeri riconoscevano l'effetto di tale beneficio, ma ne ignoravano la causa e, oppressi dall'angoscia e fuori di sé, elevavano grida e piangevano l'imminente rovina, a loro parere inevitabile. I principi delle tenebre per incrementare questo stato di afflizione assunsero forma umana e, lanciando urla come se fossero stati sopra altri bastimenti che proseguivano sicuri, consigliavano a coloro che stavano su quello della Signora di andarsene per mettersi in salvo sugli altri. Difatti, sebbene tutti i mezzi fossero colpiti dalla burrasca, i dragoni bramavano di mettere in atto la loro collera solo contro quello in cui era la loro nemica; e perciò gli altri, quantunque corressero un enorme rischio, non erano poi così molestati. Tale malizia fu nota solo alla Principessa e tutto l'equipaggio, essendone all'oscuro, credette che le voci provenissero veramente da altri naviganti. Tratta in inganno, la truppa lasciò il comando, fiduciosa di poter trovare riparo su altre imbarcazioni; ma a rimediare questo errore e a frenare l'empietà degli spiriti maligni provvidero i custodi, che assistettero la nave dove era la candidissima colomba, guidandola e reggendola allorché fu abbandonata e lasciata in balia del caso perché si fracassasse e sprofondasse a picco.
468. In mezzo ai gemiti, alla confusione e a una simile tribolazione, la purissima Madre se ne stava serena e in pace nell'oceano della sua magnanimità e delle virtù che continuava ad esercitare con atti tanto eroici quanto l'occasione e la sua sapienza richiedevano. E, avendo esperienza dei pericoli del mare che nella venuta ad Efeso aveva conosciuto solo attraverso una rivelazione, si mosse nuovamente a compassione verso tutti quelli che navigavano, rinnovando l'orazione e la supplica che aveva innalzato per loro. Si meravigliò anche della sua indomita forza, vedendo come in una creatura insensibile risplendesse lo sdegno della divina giustizia. Passando da tale considerazione a quella degli uomini peccatori meritevoli dell'ira dell'Altissimo, recitò lunghe preghiere per la conversione del mondo e la diffusione della Chiesa. A questo scopo presentò al Signore le difficoltà della navigazione in cui, nonostante la quiete della sua anima, pativa molto nel corpo e in modo incomparabile nel cuore per aver capito che coloro che erano con lei erano perseguitati dal demonio a causa sua.
469. San Giovanni, per la cura che aveva della Regina, fu partecipe di gran parte delle sue pene, che venivano ad aggiungersi a quelle sopportate da lui e, non sapendo ciò che succedeva nel suo intimo, tutto gli apparve più terribile; alcune volte cercava di consolare lei e anche se stesso, parlandole e standole accanto. Benché il viaggio da Efeso alla Palestina fosse di sei giorni, o poco più, in questa circostanza ne durò ben quindici e la tempesta quattordici. Accadde allora che il santo, estenuato dalla fatica così eccessiva e prolungata, si angustiò molto e, senza potersi trattenere, le domandò: «Signora mia, che cos'è questo? Dobbiamo morire qui? Implorate il vostro Unigenito che ci riguardi con occhi di padre e ci difenda in questi pericoli». Ella lo rassicurò: «Non vi turbate, mio diletto, perché è giunto il tempo di combattere le guerre dell'Eterno e vincere i suoi avversari con la fortezza e la pazienza. Io gli chiederò che non perisca nessuno di quelli che navigano con noi. Non dorme e non prende sonno colui che custodisce Israele: i forti della sua corte ci assistono e proteggono; soffriamo intanto noi per chi si pose sulla croce per la salvezza di tutti». A queste parole l'Evangelista riprese il nuovo coraggio di cui aveva bisogno.
470. Lucifero e le sue schiere incrementarono il loro furore e minacciando Maria le dissero che non sarebbe uscita viva dalla tempesta; ma queste ed altre intimidazioni erano saette molto deboli, alquanto disprezzate dalla prudentissima Vergine, che cercava di non farci caso distogliendo lo sguardo da essi senza aprire bocca. Nemmeno loro però poterono guardarla in faccia perché dal suo viso rifulgeva, per disposizione superna, la pienezza delle virtù. E quanto maggiore sforzo mettevano in ciò tanto meno lo conseguivano, venendo ancor più tormentati da quelle armi offensive, di cui sua Maestà l'aveva rivestita. Del resto, l'Onnipotente le tenne sempre nascosta la fine di questo lungo conflitto e non le si manifestò mai per mezzo delle visioni che ella era solita avere.
471. Tuttavia, al quattordicesimo giorno della burrasca, Gesù in persona si degnò di visitarla; scese dall'empireo ed apparendole sul mare proclamò: «Mia carissima, sono nell'angoscia insieme a voi». E benché la vista e le parole del proprio Figlio, in tutte le occasioni in cui ne godeva, le provocassero sempre ineffabile consolazione, in questa circostanza furono ancor più apprezzate. Difatti, più è grande la necessità, più è opportuno il soccorso. Ella allora lo adorò e rispose: «Dio mio e mio unico bene, voi siete colui al quale obbediscono le acque e i venti: rimirate le nostre afflizioni e fate in modo che non muoiano le creature foggiate dalle vostre mani». Egli soggiunse: «Colomba mia, da voi ricevetti sembianze umane e perciò voglio che tutti gli esseri e le cose eseguano il vostro ordine. Voi siete loro sovrana, perché alla vostra volontà sono sottoposte». La Principessa agognava che in quest'occasione Cristo stesso imponesse ai flutti la bonaccia, come aveva fatto davanti agli apostoli in Galilea. Ma la situazione era allora diversa e, in quel frangente, nessun altro aveva quell'autorità. Ella obbedì e in nome del Redentore ingiunse al drago e a tutti i principi delle tenebre di lasciare libero il Mediterraneo; subito uscirono e si recarono in Palestina poiché non era stato loro comandato di sprofondare nell'abisso, dato che la battaglia non era ancora finita. Appena questi nemici si ritirarono, intimò alle acque ed ai venti che si calmassero: immediatamente ritornarono in una pacifica tranquillità, tra lo stupore dei presenti che non penetrarono la ragione di un mutamento così repentino. Il nostro Salvatore si licenziò dalla sua santissima Madre, lasciandola piena di giubilo e assicurandole che l'indomani sarebbe scesa a terra. E così accadde: al quindicesimo giorno dall'imbarco la Regina e Giovanni giunsero al porto. Elevarono un cantico di lode all'Altissimo per aver liberato tutti da pericoli così tremendi; ella ringraziò anche l'Evangelista per averla accompagnata in quei disagi, gli domandò la benedizione e poi si incamminarono insieme verso Gerusalemme.
472. Gli angeli, come era già avvenuto all'uscita da Efeso, la assistevano sotto l'aspetto di guerrieri, perché i diavoli, dopo che ebbe messo piede al suolo, erano ancora intenti a continuare il duello. E difatti, animati da incredibile furore, l'assalirono con suggestioni e tentazioni che, però, come saette ritornavano contro di loro senza scalfire la torre di Davide, dalla quale pendevano mille scudi e tutte le armi dei prodi e il cui muro era edificato con bastioni d'argento. Appena arrivata a destinazione, la grande Signora sollecitata dalla pietà e dalla devozione desiderò visitare, prima di recarsi a casa sua, i luoghi consacrati con la nostra redenzione, come aveva fatto prima di partire; ma, poiché san Pietro da cui era stata invitata a rientrare si trovava in città, decise di anteporre l'obbedienza alla propria aspirazione, conoscendo l'ordine da rispettare. Quindi, si recò direttamente da lui al cenacolo e, postasi in ginocchio, lo supplicò di benedirla e di perdonarla se non aveva adempiuto premurosamente il suo beneplacito. Inoltre gli chiese la mano per baciargliela, come si deve ad un sommo sacerdote, e non si discolpò di aver ritardato a causa della tempesta, né proferì altro. Egli seppe i rischi che avevano corso durante la navigazione solamente da quanto gli fu riferito in seguito dall'Apostolo. Tutti ricevettero la loro Maestra con indicibile gioia, venerazione ed affetto e, prostrandosi ai suoi piedi, le resero grazie per essere tornata a riempirli di gaudio e consolazione, e per aver scelto di dimorare dove avrebbero potuto vederla e servirla.
Insegnamento della Regina del cielo
473. Carissima, bramo che richiami continuamente alla memoria il consiglio che ti ho dato sin dal principio riguardo alla narrazione dei sublimi segreti della mia vita: questi misteri non siano rivelati alla Chiesa solamente tramite uno strumento insensibile, quale può essere la semplice esposizione, ma voglio che tu sia colei che per prima e più di tutti guadagni i favori divini, eseguendo il mio insegnamento ed imitando le mie virtù. A tal fine il Signore ti ha chiamata ed io ti ho eletta come figlia e discepola. E poiché hai una degna considerazione del mio comportamento, quando non aprii la lettera del vicario di Cristo senza il permesso di Giovanni, ti manifesterò ancor più la dottrina racchiusa in questo gesto. Ti dico perciò che non è piccola cosa praticare l'umiltà e l'obbedienza, fondamenti della perfezione cristiana: entrambe sono gradite all'Altissimo e ottengono copiosa rimunerazione dalla sua liberale misericordia e dalla sua equità.
474. Ti sia, dunque, noto che per l'uomo nessuna opera è più faticosa del sottomettersi a un altro, ma nessun esercizio è più necessario di questo per domare l'altera cervice che satana pretende di fomentare in tutti i discendenti di Adamo. A tale scopo i nemici si affannano con somma astuzia per far sì che essi si attacchino al proprio parere e alla propria volontà, e usando questo inganno conseguono molti trionfi e rovinano innumerevoli anime per diverse vie, spargendo il loro veleno in tutti gli stati e le condizioni del pellegrinaggio terreno. Istigano occultamente ciascun suddito affinché persegua il suo punto di vista, non osservi la regola e disprezzi ed infranga i comandi del superiore, pervertendo le disposizioni della Provvidenza che ha stabilito tutte le cose ben ordinate. Il loro intento è che il dominio superno venga annientato e perciò il mondo è alterato, pieno di confusione e di tenebre: ognuno si governa a suo capriccio, senza avere riguardo e rispetto per Dio e per la sua legge.
475. Tuttavia, tale colpa generale, odiosa agli occhi dell'Eterno, è molto più grave nei religiosi, i quali, ritrovandosi vincolati ai voti nei loro Ordini, provano con forza ad allargare i lacci e a sciogliersi da essi. Non sto parlando di quelli che arditamente li violano nel poco o nel molto, giacché questa è una spaventevole temerarietà meritevole di dannazione; voglio ammonire, invece, quelli che incorrono nel pericolo di ottenere la salvezza raccogliendo opinioni per limitare l'obbedienza che devono all'Onnipotente attraverso i superiori, ed esaminano in questa la possibilità di agire senza permesso, secondo le proprie aspirazioni, cercando di evitare le trasgressioni. I vari tentativi non sono mai fatti per osservare i voti, ma per romperli, senza prestare ascolto alla coscienza che rimorde. Io allora desidero avvertire le anime consacrate di non persistere in tale condotta perché vanno incontro al demonio, deciso a far loro deglutire i moscerini velenosi delle colpe minori, per allenarli ad inghiottire anche i cammelli di quelle maggiori. E coloro che, tirando la corda, si affaticano sempre più a raggiungere la soglia del peccato mortale, meritano di essere scandagliati nell'intimo dal giusto giudice con la stessa minuziosità con cui si adoperarono durante la vita a rendersi meno obbligati verso di lui.
476. In verità, la ricerca di attenuazioni ai precetti divini, molto aborrita da me e da Gesù, punta a soddisfare i piaceri della carne. Difatti, è grande mancanza di carità osservarli per timore del castigo e non per amore di chi li comanda, e quindi niente si farebbe, se non vi fosse la minaccia della punizione. Tante volte il suddito, per non piegarsi al prelato inferiore, ricorre a quello superiore per avere permessi, oppure si rivolge a colui che meno può conoscere e comprendere il rischio a cui andrebbe incontro. Non si può negare che qualsiasi autorizzazione diventi un atto di obbedienza, ma è anche evidente che i raggiri si compiono per essere più liberi, incorrendo così in un pericolo più rilevante; senza dubbio, infatti, il merito aumenta nel sottomettersi a chi è inferiore, ha peggiori qualità ed è meno conforme al volere e all'inclinazione di chi deve eseguire gli ordini. Io non appresi questa indulgente dottrina dal mio Unigenito né la praticai, e perciò in tutto domandai licenza ai miei superiori, non facendo nulla senza di essi. Per aprire e leggere la lettera di san Pietro, capo della Chiesa, attesi allora la volontà del prelato inferiore, il ministro superiore più vicino a me.
477. Io non voglio, carissima, che tu segua l'esempio di quelli che si procurano i consensi per soddisfare i loro piaceri: ti ho scelta per emularmi nel cammino della santità e ti scongiuro di farlo. La sete di alleviamenti e giustificazioni rende disordinata la vita religiosa e cristiana. Sii sempre soggetta all'obbedienza, poiché non ne sei dispensata dal servizio di abbadessa, avendo anche tu confessori e superiori. E se qualche volta questi sono assenti e non puoi operare con la loro approvazione, confrontati con una delle sorelle inferiori ed attieniti al suo consiglio. Considera ognuna come tua superiora senza che ciò ti sembri gravoso: ricordarti che sei la più infima tra i mortali. Poniti sempre in stato di umiltà, se vuoi essere mia vera figlia e discepola. Inoltre, sii puntuale nel rivelarmi due volte al giorno le tue mancanze e nel chiedermi l'autorizzazione ogni volta che sarà necessario per quanto devi svolgere; in più confessa ogni giorno gli errori commessi. Io ti ammonirò e ti paleserò, direttamente o per mezzo dei ministri del Signore, quello che è maggiormente conveniente. Cerca anche di non venir meno nel manifestare le tue colpe ordinarie, affinché in tutto e con tutti ti abbassi dinanzi agli occhi dell'Altissimo e miei. Bramo che tu apprenda e insegni alle tue monache questa sapienza nascosta al mondo ed alla carne. Io, conferendotela, intendo premiare la fatica impiegata nella stesura della mia storia, con le notizie che ti ho dato riguardo ad una scienza così sublime, e indirizzarti a capire che se vuoi agire come me alla perfezione, non devi conversare, né lavorare, né scrivere, né ricevere lettera, né muoverti, né avere alcun pensiero - se è possibile - senza il benestare mio e di chi ti governa. Quelli che amano le delizie terrene chiamano queste virtù superficialità o cerimonie, ma tale insipienza tanto superba avrà il suo castigo quando alla presenza del giusto giudice si vaglieranno le verità e si vedranno quali furono gli ignoranti e quali i saggi. Allora saranno premiati quei servi leali, fedeli nel poco come nel molto', mentre gli stolti si renderanno conto, proprio nel momento in cui non ci sarà più rimedio, del danno che si sono arrecati con la prudenza carnale.
478. E, poiché appena hai saputo che io reggevo da sola quel gruppo di donne ritiratesi nella città di Efeso ti sei accesa d'invidia, ti consiglio di confessarla. Tu e le tue sorelle dovete tenere presente che mi avete eletta superiora e patrona speciale, affinché vi guidi come sovrana; vi sia noto inoltre che io ho accettato questo incarico per sempre, a condizione però che siate irreprensibili nella vocazione e dedite al vostro Dio, che vi ha scelte per sue spose. Avverti le tue religiose che si custodiscano e si distacchino dalle fatue realtà, disprezzandole di tutto cuore; infondi in esse l'anelito a conservare il raccoglimento, a mantenersi nella pace, a non degenerare dall'essere figlie mie, a mettere in pratica l'insegnamento che ti ho consegnato in questa narrazione, e a stimarlo con somma venerazione e riconoscenza, imprimendolo nel loro intimo. Nell'aver dato la mia vita, raccontata da te, come norma e orientamento delle vostre anime, compio l'ufficio di madre e superiora, affinché voi, suddite e figlie, possiate ricalcare le mie orme, imitare le mie virtù e corrispondere alla mia fedeltà ed al mio amore.
479. Un'altra importante indicazione contenuta nel presente capitolo è questa: coloro che si sottomettono a malincuore, quando vi è qualche avversità in ciò che è stato ad essi ordinato, subito si contristano, si affliggono e si turbano. Oltretutto, per giustificare la loro impazienza accusano chi ha impartito il comando, screditandolo presso i superiori o gli altri, come se questi fosse obbligato ad evitare i casi contingenti che possono sopravvenire nell'agire del suddito, e avesse a suo arbitrio il governo di tutte le cose del mondo, per disporle secondo i gusti di chi deve eseguire. Tale inganno porta fuori strada perché molte volte l'Onnipotente pone nella tribolazione colui che obbedisce per aumentargli il merito e la corona, altre volte lo castiga per la ripugnanza con cui si è assoggettato di malavoglia, ma in nessun caso ha colpa il superiore. Il Redentore disse soltanto: «Chi ascolta voi e chi a voi obbedisce, ascolta me ed obbedisce a me». Il travaglio che risulta dall'obbedire va sempre a beneficio dell'obbediente e, se questi non ne approfitta, di certo non dipende dall'autorità. Io, benché avessi tanto sofferto durante il viaggio, non rinfacciai a san Pietro di avermi invitata a ritornare a Gerusalemme, ma anzi gli domandai perdono per non aver adempiuto con maggior celerità la sua disposizione. Evita la deforme libertà di essere un grave fardello, soprattutto nei confronti dei tuoi superiori; riguardali con ossequio come coloro che occupano il posto di Cristo, e così sarà copioso il premio che ne otterrai. Per camminare in modo perfetto, segui l'esempio e i precetti che ti do.
11 settembre 1949
Maria Valtorta
"Per poter amare tutto il prossimo, vedimi in ognuno".
"È molto difficile poter vedere Te in alcuni! Tu che sei carità vera, fedele, costante, Tu che sei verità, Tu che sei giustizia, misericordia, pazienza, temperanza, tutte, tutte le virtù!".
"È vero. Troppo prossimo, anche esteriormente cristiano, è l'opposto, in tutto o in parte, di ciò che Io sono. Ma tu sfòrzati a vedere Me in ognuno. Un atto di fede che possa provocarti un atto d'amore per quelli che, in verità, non meritano il tuo amore. Ama Me nella loro anima. L'anima viene da Dio, quindi ancora da Me. L'anima, almeno per un momento, fu tempio dello Spirito di Dio, quindi sa ancora di Me. La mala volontà della creatura, lo sprezzo del primo comandamento, e indi degli altri del Decalogo, il vizio preferito alle virtù, il peccato, anzi i peccati, hanno logorato, cancellato anche, bruttato e offuscato sempre, annullato talora il segno divino negli spiriti umani. Ma quel segno può risorgere sempre. Perché solo l'impenitenza finale lo cancella totalmente e inesorabilmente. Allora in eterno Gesù non è più in quello spirito".
"Ma come fare a credere che Tu sei nelle persone, in certe persone, quando si vedono queste compiere azioni che Tu condanni, che Tu, Santità perfettissima come Gesù, Santità infinita come Verbo, mai avresti commesso quando eri il Verbo incarnato, abitante fra noi?", chiedo io.
Mi risponde:
«Sai pur credere che Io sono sotto le apparenze di un poco di farina ridotta a sottile ostia, con tutto il mio Corpo, il mio Sangue, la mia Anima e la mia Divinità! E allora ugualmente credimi celato sotto l'imperfetta materia di molti.
In alcuni sono come in sepolcro… M'hanno dentro morto, in attesa di risorgere ad un loro moto di pentimento e d'amore.
In altri sono nascosto, proprio come il Ss. Sacramento che è nei templi ma non lo si vede, celato come è dietro il velo, l'oro e la pietra del tabernacolo, dentro al metallo della pisside a sua volta velata. Ma vi sono, pronto ad apparire e a donarmi solo che la creatura, fedele e sacerdote insieme, inizi il rito della comunione col suo Gesù, amandolo con lo spostare tutti gli ostacoli materiali che nascondono Me e mi separano dall'uomo impedendomi di fondermi a lui e vivere in lui, in luogo di lui, perché il vivere di lui sia santo.
Altri mi hanno come un sole in stagione instabile. Le loro nubi, le nubi della loro incostanza, fanno sì che talora brillo in loro e talora sembra che il sole non ci sia più. Generalmente, questi incostanti sono quelli che non sono né mistici, né contemplatori, né adoratori formatisi tali attraverso anni e anni di fedele volere, di costante ascesa, sempre più rapida più il dolore, tutto il dolore che è retaggio dei veri amatori e imitatori miei, li ha oppressi…
I paradossi della vita mistica: più il dolore schiaccia e più l'anima ascende, vola, si innalza, si unisce a Me che le tendo le braccia dall'Abisso raggiante del Paradiso!
Questi… sono i "sentimentalisti" della religione, coloro che dopo una predica, una cerimonia religiosa, un ritiro, una lettura, vorrebbero emulare Paolo nell'evangelizzare le genti, Giovanni il vergine nella castità, Lorenzo nel martirio, Gerolamo nella penitenza, ma passata l'emozione ricadono nel "godimento della vita". Vogliono far diventare incendio la fiammolina che arde in loro… e nella fiammata passeggera, sforzata, distruggono anche la fiammolina…
Vogliono essere atleti, primi in tutte le manifestazioni religiose, fare, trascinare, essere insegna, faro, voce; e premono, sforzano tanto da divenire agli altri pauroso velario che mi mostra quale non sono; luce ingannevole perché illumina Me e la religione in modo irreale che sgomenta le povere anime, le più numerose, timorose tanto; catena che strozza l'amica religione, sostegno degli spiriti, e ne fa una Nemesi armata di flagelli e castighi.
E premono e sforzano sino a spossarsi e giacere, poi, esauriti, incapaci di lottare con Satana che attende quell'esaurimento per assalire e prostrare; quando, pur per reazione umana — paragonabile a quella che avviene a certe macchine troppo sforzate — non si distruggono, non precipitano in carnalità bestiali per aver voluto troppo rapidamente divenire angeli senza essere vocati a tal vocazione, e soprattutto per avere voluto divenire tali da loro, accatastando zit zit, fimbrie e telefin [1], ma dimenticando che la via per salire dove si diviene angeli è nel Vangelo vissuto.
Lunga via!! E il Vangelo insegna: carità e rinuncia, carità e sacrificio. Carità, ho detto. Non elemosina. Né a Dio, né al prossimo.
Sai quando l'uomo fa elemosina a Dio? Quando gli dà le pratiche esteriori nelle ore delle pratiche, e poi, nelle altre, è del mondo. Sai invece quando l'uomo dà carità a Dio? Quando, riducendo allo stretto necessario pratiche e preghiere vocali, opera ed òra con tutto se stesso, senza interruzione, come Io operai e orai. E uguale è per il prossimo. Lo ama veramente quando gli dà il cuore e non l'obolo, l'aiuto e non l'obolo.
E sai quando veramente l'uomo rinuncia e compie sacrificio? Non solo quando rinuncia alla vivanda di carne perché è giorno d'astinenza, ma quando soprattutto rinuncia all'appetito della sua carne. E si sacrifica quando rinuncia al suo io per servire la carità e la giustizia verso Dio e prossimo.
Ma tu vedimi in tutti, per poter avvicinare anche i demoni-uomo, i lebbrosi-uomo, i delinquenti-uomo. Io te ne premierò venendo a te per consolarmi del loro disgustoso vivere più repellente di un sepolcro pieno di marciume, più triste di una chiesa abbandonata, più pauroso di una tana di ladroni.
E là dove sono come in un sepolcro, chiamami alla risurrezione col tuo amore serafico.
E là dove sono nascosto in un ciborio che viene dimenticato, richiama il dimentico ad onorare l'Ospite nascosto, e fàllo col tuo amore intrepido.
E là dove, divino Sole, non posso raggiare perché le nebbie dell'umanità son tali da nascondermi sovente, disperdi col tuo amore di fortezza queste nebbie nemiche.
Amore, Maria! Amore. Tu ne hai tanto: tutto quello che ti ho dato e che tu non hai disperso, ma anzi al quale hai unito il tuo, già tanto, come il tralcio si avviticchia al ceppo della vite. Dònalo al prossimo tuo. Più darai, più avrai. Ma il tuo amore sia forte, vergine di debolezza, rude anche, come cesoia che taglia i viticci di vuote sentimentalità, purificatore come incendio. La fiamma muta la materia in luce. La fiamma eleva, con l'elevarsi proprio, ciò che è in basso verso l'alto. La fiamma dà voce e calore anche alle cose senza voce e senza calore.
In verità, fra gli uomini molti sono più muti delle pietre e più gelidi di un metallo esposto alle brine della notte. Amali perché amino. Amali perché non mi amano. Che Io trovi in te sola l'amore che dovrebbe essere in questi che non amano o amano male e saltuariamente. Sii un abisso di fuoco e un mare d'amore, dove sprofondano le creature che mi sono dolore, ed Io non le veda più, ma te veda, e attraverso te loro, ma fatti sopportabili perché avvolti nel tuo fuoco, ricoperti dalle onde del tuo amore.
Le cose gettate nel fuoco si purificano e quelle gettate in mare si lavano e si salano. Col tuo amore al prossimo, pensando che in esso Io sono (tutto è nel Cristo), purificali, lavali, salali, perché più non siano sozzi e inutili come cose senza sapore.»
1 zit zit, fimbrie e telefin, come i fili degli zizit nel "dettato" del 28 gennaio 1947, potrebbero essere ornamenti delle vesti del tipo dei "filattèri" e delle "frange" di cui si parla in Matteo 23, 5.