Liturgia delle Ore - Letture
Mercoledi della 26° settimana del tempo ordinario (Santa Teresa di Gesù Bambino)
Vangelo secondo Matteo 19
1Terminati questi discorsi, Gesù partì dalla Galilea e andò nel territorio della Giudea, al di là del Giordano.2E lo seguì molta folla e colà egli guarì i malati.
3Allora gli si avvicinarono alcuni farisei per metterlo alla prova e gli chiesero: "È lecito ad un uomo ripudiare la propria moglie per qualsiasi motivo?".4Ed egli rispose: "Non avete letto che il Creatore da principio 'li creò maschio e femmina' e disse:5Per questo l'uomo 'lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una carne sola'?6Così che non sono più due, ma una carne sola. Quello dunque che Dio ha congiunto, l'uomo non lo separi".7Gli obiettarono: "Perché allora Mosè ha ordinato 'di darle l'atto di ripudio e mandarla via'?".8Rispose loro Gesù: "Per la durezza del vostro cuore Mosè vi ha permesso di ripudiare le vostre mogli, ma da principio non fu così.9Perciò io vi dico: Chiunque ripudia la propria moglie, se non in caso di concubinato, e ne sposa un'altra commette adulterio".
10Gli dissero i discepoli: "Se questa è la condizione dell'uomo rispetto alla donna, non conviene sposarsi".11Egli rispose loro: "Non tutti possono capirlo, ma solo coloro ai quali è stato concesso.12Vi sono infatti eunuchi che sono nati così dal ventre della madre; ve ne sono alcuni che sono stati resi eunuchi dagli uomini, e vi sono altri che si sono fatti eunuchi per il regno dei cieli. Chi può capire, capisca".
13Allora gli furono portati dei bambini perché imponesse loro le mani e pregasse; ma i discepoli li sgridavano.14Gesù però disse loro: "Lasciate che i bambini vengano a me, perché di questi è il regno dei cieli".15E dopo avere imposto loro le mani, se ne partì.
16Ed ecco un tale gli si avvicinò e gli disse: "Maestro, che cosa devo fare di buono per ottenere la vita eterna?".17Egli rispose: "Perché mi interroghi su ciò che è buono? Uno solo è buono. Se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti".18Ed egli chiese: "Quali?". Gesù rispose: "'Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso,'19'onora il padre e la madre, ama il prossimo tuo come te stesso'".20Il giovane gli disse: "Ho sempre osservato tutte queste cose; che mi manca ancora?".21Gli disse Gesù: "Se vuoi essere perfetto, va', vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; poi vieni e seguimi".22Udito questo, il giovane se ne andò triste; poiché aveva molte ricchezze.
23Gesù allora disse ai suoi discepoli: "In verità vi dico: difficilmente un ricco entrerà nel regno dei cieli.24Ve lo ripeto: è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno dei cieli".25A queste parole i discepoli rimasero costernati e chiesero: "Chi si potrà dunque salvare?".26E Gesù, fissando su di loro lo sguardo, disse: "Questo è impossibile agli uomini, ma a Dio tutto è possibile".
27Allora Pietro prendendo la parola disse: "Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito; che cosa dunque ne otterremo?".28E Gesù disse loro: "In verità vi dico: voi che mi avete seguito, nella nuova creazione, quando il Figlio dell'uomo sarà seduto sul trono della sua gloria, siederete anche voi su dodici troni a giudicare le dodici tribù di Israele.29Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi per il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna.
30Molti dei primi saranno ultimi e gli ultimi i primi".
Deuteronomio 15
1Alla fine di ogni sette anni celebrerete l'anno di remissione.2Ecco la norma di questa remissione: ogni creditore che abbia diritto a una prestazione personale in pegno per un prestito fatto al suo prossimo, lascerà cadere il suo diritto: non lo esigerà dal suo prossimo, dal suo fratello, quando si sarà proclamato l'anno di remissione per il Signore.3Potrai esigerlo dallo straniero; ma quanto al tuo diritto nei confronti di tuo fratello, lo lascerai cadere.4Del resto, non vi sarà alcun bisognoso in mezzo a voi; perché il Signore certo ti benedirà nel paese che il Signore tuo Dio ti dà in possesso ereditario,5purché tu obbedisca fedelmente alla voce del Signore tuo Dio, avendo cura di eseguire tutti questi comandi, che oggi ti dò.6Il Signore tuo Dio ti benedirà come ti ha promesso e tu farai prestiti a molte nazioni e non prenderai nulla in prestito; dominerai molte nazioni mentre esse non ti domineranno.
7Se vi sarà in mezzo a te qualche tuo fratello che sia bisognoso in una delle tue città del paese che il Signore tuo Dio ti dà, non indurirai il tuo cuore e non chiuderai la mano davanti al tuo fratello bisognoso;8anzi gli aprirai la mano e gli presterai quanto occorre alla necessità in cui si trova.9Bada bene che non ti entri in cuore questo pensiero iniquo: È vicino il settimo anno, l'anno della remissione; e il tuo occhio sia cattivo verso il tuo fratello bisognoso e tu non gli dia nulla; egli griderebbe al Signore contro di te e un peccato sarebbe su di te.10Dagli generosamente e, quando gli darai, il tuo cuore non si rattristi; perché proprio per questo il Signore Dio tuo ti benedirà in ogni lavoro e in ogni cosa a cui avrai messo mano.11Poiché i bisognosi non mancheranno mai nel paese; perciò io ti dò questo comando e ti dico: Apri generosamente la mano al tuo fratello povero e bisognoso nel tuo paese.
12Se un tuo fratello ebreo o una ebrea si vende a te, ti servirà per sei anni, ma il settimo lo manderai via da te libero.13Quando lo lascerai andare via libero, non lo rimanderai a mani vuote;14gli farai doni dal tuo gregge, dalla tua aia e dal tuo torchio; gli darai ciò con cui il Signore tuo Dio ti avrà benedetto;15ti ricorderai che sei stato schiavo nel paese di Egitto e che il Signore tuo Dio ti ha riscattato; perciò io ti dò oggi questo comando.16Ma se egli ti dice: Non voglio andarmene da te, perché ama te e la tua casa e sta bene presso di te,17allora prenderai una lesina, gli forerai l'orecchio contro la porta ed egli ti sarà schiavo per sempre. Lo stesso farai per la tua schiava.18Non ti sia grave lasciarlo andare libero, perché ti ha servito sei anni e un mercenario ti sarebbe costato il doppio; così il Signore tuo Dio ti benedirà in quanto farai.
19Consacrerai al Signore tuo Dio ogni primogenito maschio che ti nascerà nel tuo bestiame grosso e minuto. Non metterai al lavoro il primo parto della tua vacca e non toserai il primo parto della tua pecora.20Li mangerai ogni anno con la tua famiglia, davanti al Signore tuo Dio nel luogo che il Signore avrà scelto.21Se l'animale ha qualche difetto, se è zoppo o cieco o ha qualunque altro grave difetto, non lo sacrificherai al Signore tuo Dio;22lo mangerai entro le tue città; chi sarà immondo e chi sarà mondo ne mangeranno senza distinzione, come si mangia la gazzella e il cervo.23Solo non ne mangerai il sangue; lo spargerai per terra come acqua.
Proverbi 19
1Meglio un povero di condotta integra
che un ricco di costumi perversi.
2Lo zelo senza riflessione non è cosa buona,
e chi va a passi frettolosi inciampa.
3La stoltezza intralcia il cammino dell'uomo
e poi egli si adira contro il Signore.
4Le ricchezze moltiplicano gli amici,
ma il povero è abbandonato anche dall'amico che ha.
5Il falso testimone non resterà impunito,
chi diffonde menzogne non avrà scampo.
6Molti sono gli adulatori dell'uomo generoso
e tutti sono amici di chi fa doni.
7Il povero è disprezzato dai suoi stessi fratelli,
tanto più si allontanano da lui i suoi amici.
Egli va in cerca di parole, ma non ci sono.
8Chi acquista senno ama se stesso
e chi agisce con prudenza trova fortuna.
9Il falso testimone non resterà impunito,
chi diffonde menzogne perirà.
10Allo stolto non conviene una vita agiata,
ancor meno a un servo comandare ai prìncipi.
11È avvedutezza per l'uomo rimandare lo sdegno
ed è sua gloria passar sopra alle offese.
12Lo sdegno del re è simile al ruggito del leone
e il suo favore è come la rugiada sull'erba.
13Un figlio stolto è una calamità per il padre
e i litigi della moglie sono come stillicidio incessante.
14La casa e il patrimonio si ereditano dai padri,
ma una moglie assennata è dono del Signore.
15La pigrizia fa cadere in torpore,
l'indolente patirà la fame.
16Chi custodisce il comando custodisce se stesso,
chi trascura la propria condotta morirà.
17Chi fa la carità al povero fa un prestito al Signore
che gli ripagherà la buona azione.
18Correggi tuo figlio finché c'è speranza,
ma non ti trasporti l'ira fino a ucciderlo.
19Il violento deve essere punito,
se lo risparmi, lo diventerà ancora di più.
20Ascolta il consiglio e accetta la correzione,
per essere saggio in avvenire.
21Molte sono le idee nella mente dell'uomo,
ma solo il disegno del Signore resta saldo.
22Il pregio dell'uomo è la sua bontà,
meglio un povero che un bugiardo.
23Il timore di Dio conduce alla vita
e chi ne è pieno riposerà non visitato dalla sventura.
24Il pigro tuffa la mano nel piatto,
ma stenta persino a riportarla alla bocca.
25Percuoti il beffardo e l'ingenuo diventerà accorto,
rimprovera l'intelligente e imparerà la lezione.
26Chi rovina il padre e fa fuggire la madre
è un figlio disonorato e infame.
27Figlio mio, cessa pure di ascoltare l'istruzione,
se vuoi allontanarti dalle parole della sapienza.
28Il testimone iniquo si beffa della giustizia
e la bocca degli empi ingoia l'iniquità.
29Per i beffardi sono pronte le verghe
e il bastone per le spalle degli stolti.
Salmi 105
1Alleluia.
Lodate il Signore e invocate il suo nome,
proclamate tra i popoli le sue opere.
2Cantate a lui canti di gioia,
meditate tutti i suoi prodigi.
3Gloriatevi del suo santo nome:
gioisca il cuore di chi cerca il Signore.
4Cercate il Signore e la sua potenza,
cercate sempre il suo volto.
5Ricordate le meraviglie che ha compiute,
i suoi prodigi e i giudizi della sua bocca:
6voi stirpe di Abramo, suo servo,
figli di Giacobbe, suo eletto.
7È lui il Signore, nostro Dio,
su tutta la terra i suoi giudizi.
8Ricorda sempre la sua alleanza:
parola data per mille generazioni,
9l'alleanza stretta con Abramo
e il suo giuramento ad Isacco.
10La stabilì per Giacobbe come legge,
come alleanza eterna per Israele:
11"Ti darò il paese di Cànaan
come eredità a voi toccata in sorte".
12Quando erano in piccolo numero,
pochi e forestieri in quella terra,
13e passavano di paese in paese,
da un regno ad un altro popolo,
14non permise che alcuno li opprimesse
e castigò i re per causa loro:
15"Non toccate i miei consacrati,
non fate alcun male ai miei profeti".
16Chiamò la fame sopra quella terra
e distrusse ogni riserva di pane.
17Davanti a loro mandò un uomo,
Giuseppe, venduto come schiavo.
18Gli strinsero i piedi con ceppi,
il ferro gli serrò la gola,
19finché si avverò la sua predizione
e la parola del Signore gli rese giustizia.
20Il re mandò a scioglierlo,
il capo dei popoli lo fece liberare;
21lo pose signore della sua casa,
capo di tutti i suoi averi,
22per istruire i capi secondo il suo giudizio
e insegnare la saggezza agli anziani.
23E Israele venne in Egitto,
Giacobbe visse nel paese di Cam come straniero.
24Ma Dio rese assai fecondo il suo popolo,
lo rese più forte dei suoi nemici.
25Mutò il loro cuore
e odiarono il suo popolo,
contro i suoi servi agirono con inganno
26Mandò Mosè suo servo
e Aronne che si era scelto.
27Compì per mezzo loro i segni promessi
e nel paese di Cam i suoi prodigi.
28Mandò le tenebre e si fece buio,
ma resistettero alle sue parole.
29Cambiò le loro acque in sangue
e fece morire i pesci.
30Il loro paese brulicò di rane
fino alle stanze dei loro sovrani.
31Diede un ordine e le mosche vennero a sciami
e le zanzare in tutto il loro paese.
32Invece delle piogge mandò loro la grandine,
vampe di fuoco sul loro paese.
33Colpì le loro vigne e i loro fichi,
schiantò gli alberi della loro terra.
34Diede un ordine e vennero le locuste
e bruchi senza numero;
35divorarono tutta l'erba del paese
e distrussero il frutto del loro suolo.
36Colpì nel loro paese ogni primogenito,
tutte le primizie del loro vigore.
37Fece uscire il suo popolo con argento e oro,
fra le tribù non c'era alcun infermo.
38L'Egitto si rallegrò della loro partenza
perché su di essi era piombato il terrore.
39Distese una nube per proteggerli
e un fuoco per illuminarli di notte.
40Alla loro domanda fece scendere le quaglie
e li saziò con il pane del cielo.
41Spaccò una rupe e ne sgorgarono acque,
scorrevano come fiumi nel deserto,
42perché ricordò la sua parola santa
data ad Abramo suo servo.
43Fece uscire il suo popolo con esultanza,
i suoi eletti con canti di gioia.
44Diede loro le terre dei popoli,
ereditarono la fatica delle genti,
45perché custodissero i suoi decreti
e obbedissero alle sue leggi.
Alleluia.
Ezechiele 46
1Dice il Signore Dio: "Il portico dell'atrio interno che guarda a oriente rimarrà chiuso nei sei giorni di lavoro; sarà aperto il sabato e nei giorni del novilunio.2Il principe entrerà dal di fuori passando dal vestibolo del portico esterno e si fermerà presso lo stipite del portico, mentre i sacerdoti offriranno il suo olocausto e il suo sacrificio di comunione. Egli si prostrerà sulla soglia del portico, poi uscirà e il portico non sarà chiuso fino al tramonto.3Il popolo del paese si prostrerà nei sabati e nei giorni del novilunio all'ingresso del portico, davanti al Signore.
4L'olocausto che il principe offrirà al Signore nel giorno di sabato sarà di sei agnelli e un montone senza difetti;5come oblazione offrirà un''efa' per il montone, per gli agnelli quell'offerta che potrà dare; di olio un 'hin' per ogni 'efa'.6Nel giorno del novilunio offrirà in olocausto un giovenco senza difetti, sei agnelli e un montone senza difetti;7in oblazione, un''efa' per il giovenco e un''efa' per il montone e per gli agnelli quanto potrà dare; d'olio, un 'hin' per ogni 'efa'.8Quando il principe entrerà, dovrà entrare passando per l'atrio del portico e da esso uscirà.9Quando verrà il popolo del paese davanti al Signore nelle solennità, coloro che saranno entrati dalla porta di settentrione per adorare, usciranno dal portico di mezzogiorno; quelli che saranno entrati dal portico di mezzogiorno usciranno dal portico di settentrione. Nessuno uscirà dal portico da cui è entrato ma uscirà da quello opposto.10Il principe sarà in mezzo a loro; entrerà come entrano loro e uscirà come escono loro.11Nelle feste e nelle solennità l'oblazione sarà di un''efa' per il giovenco e di un''efa' per il montone; per gli agnelli quello che potrà dare; l'olio sarà di un 'hin' per ogni 'efa'.
12Quando il principe vorrà offrire volontariamente al Signore un olocausto o sacrifici di comunione, gli sarà aperto il portico che guarda ad oriente e offrirà l'olocausto e il sacrificio di comunione come li offre nei giorni di sabato; poi uscirà e il portico verrà chiuso appena sarà uscito.
13Ogni giorno tu offrirai in olocausto al Signore un agnello di un anno, senza difetti; l'offrirai ogni mattina.14Su di esso farai ogni mattina un'oblazione di un sesto di 'efa'; di olio offrirai un terzo di 'hin' per intridere il fior di farina: è un'oblazione al Signore, la legge dell'olocausto quotidiano.15Si offrirà dunque l'agnello, l'oblazione e l'olio, ogni mattina: è l'olocausto quotidiano".
16Dice il Signore Dio: "Se il principe darà in dono ad uno dei suoi figli qualcosa della sua eredità, il dono rimarrà ai suoi figli come eredità.17Se invece egli farà sulla sua eredità un dono a uno dei suoi servi, il dono apparterrà al servo fino all'anno dell'affrancamento, poi ritornerà al principe: ma la sua eredità resterà ai suoi figli.18Il principe non prenderà niente dell'eredità del popolo, privandolo, con esazioni, del suo possesso; egli lascerà in eredità ai suoi figli parte di quanto possiede, perché nessuno del mio popolo sia scacciato dal suo possesso".
19Poi egli mi condusse, per il corridoio che sta sul fianco del portico, alle stanze del santuario destinate ai sacerdoti, dalla parte di settentrione: ed ecco alla estremità di occidente un posto riservato.20Mi disse: "Questo è il luogo dove i sacerdoti cuoceranno le carni dei sacrifici di riparazione e di espiazione e dove cuoceranno le oblazioni, senza portarle fuori nell'atrio esterno e correre il rischio di comunicare la consacrazione al popolo".21Mi condusse nell'atrio esterno e mi fece passare presso i quattro angoli dell'atrio e a ciascun angolo dell'atrio vi era un cortile;22quindi ai quattro angoli dell'atrio vi erano quattro piccoli cortili lunghi quaranta cubiti e larghi trenta, tutti d'una stessa misura.23Un muro girava intorno a tutt'e quattro e dei fornelli erano costruiti in basso intorno al muro.24Egli mi disse: "Queste sono le cucine dove i servi del tempio cuoceranno i sacrifici del popolo".
Lettera agli Ebrei 11
1La fede è fondamento delle cose che si sperano e prova di quelle che non si vedono.2Per mezzo di questa fede gli antichi ricevettero buona testimonianza.
3Per fede noi sappiamo che i mondi furono formati dalla parola di Dio, sì che da cose non visibili ha preso origine quello che si vede.
4Per fede Abele offrì a Dio un sacrificio migliore di quello di Caino e in base ad essa fu dichiarato giusto, attestando Dio stesso di gradire i suoi doni; per essa, benché morto, parla ancora.
5Per fede Enoch fu trasportato via, in modo da non vedere la morte; e 'non lo si trovò più, perché Dio lo aveva portato via'. Prima infatti di essere trasportato via, ricevette la testimonianza di 'essere stato gradito a Dio'.6Senza la fede però è impossibile essergli graditi; chi infatti s'accosta a Dio deve credere che egli esiste e che egli ricompensa coloro che lo cercano.
7Per fede Noè, avvertito divinamente di cose che ancora non si vedevano, costruì con pio timore un'arca a salvezza della sua famiglia; e per questa fede condannò il mondo e divenne erede della giustizia secondo la fede.
8Per fede Abramo, chiamato da Dio, obbedì partendo per un luogo che doveva ricevere in eredità, e partì senza sapere dove andava.
9Per fede soggiornò nella terra promessa come in una regione straniera, abitando sotto le tende, come anche Isacco e Giacobbe, coeredi della medesima promessa.10Egli aspettava infatti la città dalle salde fondamenta, il cui architetto e costruttore è Dio stesso.
11Per fede anche Sara, sebbene fuori dell'età, ricevette la possibilità di diventare madre perché ritenne fedele colui che glielo aveva promesso.12Per questo da un uomo solo, e inoltre già segnato dalla morte, nacque una discendenza numerosa 'come le stelle del cielo e come la sabbia innumerevole che si trova lungo la spiaggia del mare'.
13Nella fede morirono tutti costoro, pur non avendo conseguito i beni promessi, ma avendoli solo veduti e salutati di lontano, dichiarando di essere stranieri e pellegrini sopra la terra.14Chi dice così, infatti, dimostra di essere alla ricerca di una patria.15Se avessero pensato a quella da cui erano usciti, avrebbero avuto possibilità di ritornarvi;16ora invece essi aspirano a una migliore, cioè a quella celeste. Per questo Dio non disdegna di chiamarsi loro Dio: ha preparato infatti per loro una città.
17Per fede Abramo, 'messo alla prova, offrì Isacco' e proprio lui, che aveva ricevuto le promesse, offrì 'il suo unico figlio',18del quale era stato detto: 'In Isacco avrai una discendenza che porterà il tuo nome'.19Egli pensava infatti che Dio è capace di far risorgere anche dai morti: per questo lo riebbe e fu come un simbolo.
20Per fede Isacco benedisse Giacobbe ed Esaù anche riguardo a cose future.
21Per fede Giacobbe, morente, benedisse ciascuno dei figli di Giuseppe e 'si prostrò, appoggiandosi all'estremità del bastone'.
22Per fede Giuseppe, alla fine della vita, parlò dell'esodo dei figli d'Israele e diede disposizioni circa le proprie ossa.
23Per fede Mosè, appena nato, fu tenuto nascosto per tre mesi dai suoi genitori, perché videro che il bambino era bello; e non ebbero paura dell'editto del re.
24Per fede Mosè, divenuto adulto, rifiutò di esser chiamato figlio della figlia del faraone,25preferendo essere maltrattato con il popolo di Dio piuttosto che godere per breve tempo del peccato.26Questo perché stimava l'obbrobrio di Cristo ricchezza maggiore dei tesori d'Egitto; guardava infatti alla ricompensa.
27Per fede lasciò l'Egitto, senza temere l'ira del re; rimase infatti saldo, come se vedesse l'invisibile.
28Per fede celebrò la pasqua e fece l'aspersione del sangue, perché lo sterminatore dei primogeniti non toccasse quelli degli Israeliti.
29Per fede attraversarono il Mare Rosso come fosse terra asciutta; questo tentarono di fare anche gli Egiziani, ma furono inghiottiti.
30Per fede caddero le mura di Gèrico, dopo che ne avevano fatto il giro per sette giorni.
31Per fede Raab, la prostituta, non perì con gl'increduli, avendo accolto con benevolenza gli esploratori.
32E che dirò ancora? Mi mancherebbe il tempo, se volessi narrare di Gedeone, di Barak, di Sansone, di Iefte, di Davide, di Samuele e dei profeti,33i quali per fede conquistarono regni, esercitarono la giustizia, conseguirono le promesse, chiusero le fauci dei leoni,34spensero la violenza del fuoco, scamparono al taglio della spada, trovarono forza dalla loro debolezza, divennero forti in guerra, respinsero invasioni di stranieri.35Alcune donne riacquistarono per risurrezione i loro morti. Altri poi furono torturati, non accettando la liberazione loro offerta, per ottenere una migliore risurrezione.36Altri, infine, subirono scherni e flagelli, catene e prigionia.37Furono lapidati, torturati, segati, furono uccisi di spada, andarono in giro coperti di pelli di pecora e di capra, bisognosi, tribolati, maltrattati -38di loro il mondo non era degno! -, vaganti per i deserti, sui monti, tra le caverne e le spelonche della terra.
39Eppure, tutti costoro, pur avendo ricevuto per la loro fede una buona testimonianza, non conseguirono la promessa:40Dio aveva in vista qualcosa di meglio per noi, perché essi non ottenessero la perfezione senza di noi.
Capitolo IV: Mantenersi intimamente uniti in Dio, in spirito di verità e di umiltà
Leggilo nella Biblioteca1. Figlio, cammina alla mia presenza in spirito di verità, e cercami sempre con semplicità di cuore. Chi cammina dinanzi a me in spirito di verità sarà protetto dagli assalti malvagi; la verità lo farà libero da quelli che cercano di sedurlo e dai perversi, con le loro parole infamanti. Se ti farà libero la verità, sarai libero veramente e non terrai in alcun conto le vane parole degli uomini. E' vero, o Signore: ti prego, così mi avvenga, come tu dici. Mi sia maestra la tua verità; mi custodisca e mi conduca alla meta di salvezza; mi liberi da effetti e da amori perversi, contrari alla divina volontà. Allora camminerò con te, con grande libertà di spirito.
2. Io ti insegnerò, dice la Verità, ciò che è retto e mi è gradito. Ripensa con grande, amaro dolore, ai tuoi peccati, e non credere mai di valere qualcosa, per opere buone che tu abbia compiuto. In realtà sei un peccatore, irretito da molte passioni e schiavo di esse. Da te non giungi a nulla: subitamente cadi e sei vinto; subitamente vieni sconvolto e dissolto. Non hai nulla di che ti possa vantare; hai molto, invece, di che ti debba umiliare, giacché sei più debole assi di quanto tu possa capire. Di tutto quello che fai, niente ti sembri grande, prezioso e ammirevole; niente ti sembri meritevole di stima. Alto, lodevole e desiderabile davvero ti sembri soltanto ciò che è eterno. Più di ogni altra cosa, ti sia cara la verità eterna; e sempre ti dispiaccia la tua estrema pochezza. Nulla devi temere, disprezzare e fuggire quanto i tuoi vizi e i tuoi peccati; cose che ti debbono affliggere più di ogni danno materiale.
3. Ci sono persone che camminano al mio cospetto con animo non puro: persone che - dimentiche di se stesse e della propria salvezza, e mosse da una certa curiosità e superbia - vorrebbero conoscere i miei segreti, e comprendere gli alti disegni di Dio. Costoro cadono sovente in grandi tentazioni e in grandi peccati per quella loro superbia e curiosità, che io ho in odio. Mantieni una religiosa riverenza dinanzi al giudizio divino, dinanzi allo sdegno dell'Onnipotente. Non volere, dunque, sondare l'operato dell'Altissimo. Esamina invece le tue iniquità: in quante cose hai errato e quante cose buone hai tralasciato. Ci sono alcuni che fanno consistere la loro pietà soltanto nelle letture, nelle immagini sacre e nelle raffigurazioni esteriori e simboliche; altri mi hanno sulla bocca, ma poco c'è nel loro cuore. Ci sono invece altri che, illuminati nella mente e puri nei loro affetti, anelando continuamente alle cose eterne, provano fastidio a sentir parlare di cose terrene e soffrono ad assoggettarsi a ciò che la natura impone. Sono questi che ascoltano ciò che dice, dentro di loro, lo spirito di verità. Il quale li ammaestra a disprezzare le cose di questa terra e ad amare quelle del cielo; ad abbandonare il mondo e ad aspirare, giorno e notte, al cielo.
Contro Fausto Manicheo - Libro ventunesimo
Contro Fausto manicheo - Sant'Agostino di Ippona
Leggilo nella BibliotecaDio e hyle sono due princìpi contrari, non due dèi.
1. FAUSTO. Dio è uno solo o due? Uno solo, naturalmente. Come mai, dunque, asserite che sono due? Mai nelle nostre affermazioni si è udito il nome di due dèi. Ma desidero sapere da dove ti deriva questo sospetto. Perché voi riferite che ci sono due princìpi: del bene e del male. È vero che ammettiamo due princìpi, ma uno lo chiamiamo dio, l'altro Hyle o, per dirla secondo l'uso comune, demone. Se pensi che questo significhi due dèi, potrai anche pensare che la salute e la malattia, di cui un medico discute, siano due forme di salute; e quando qualcuno nomina il bene ed il male potrai pensarli due forme di bene; e sentendo parlare di abbondanza e povertà le crederai due forme di abbondanza. Se mentre io discutessi del bianco e del nero, del freddo e del caldo, del dolce e dell'amaro, tu dicessi che ho mostrato due cose bianche, due calde, due dolci, non sembrerai pazzo e malato nel cervello? Così, quando indico due princìpi, dio e Hyle, non deve sembrare che mostro due dèi. Forse, perché attribuiamo tutto il potere malefico all'Hyle e quello benefico a dio, come è appropriato, credi che non ci sia per questo alcuna differenza? Dovremmo chiamarli entrambi dio? Che se è così, potrai anche credere, sentendo veleno ed antidoto, che non ci sia nessuna differenza o che l'uno e l'altro si chiamino antidoto perché l'uno e l'altro hanno il loro potere, fanno qualcosa ed operano. Ed anche sentendo medico e veterinario, chiamerai entrambi medici; e sentendo giusto ed ingiusto potrai chiamare entrambi giusti, perché l'uno e l'altro fanno qualcosa. Ma se questo è assurdo, quanto più assurdo è perciò credere dio e Hyle due dèi, perché ciascuno di loro opera qualcosa? Perciò è inopportuna ed abbastanza inefficace questa argomentazione per suscitare una disputa riguardo ai soli nomi,dal momento che non sai rispondermi sulla questione. Non nego che talvolta anche noi chiamiamo dio la natura contraria, ma non conformemente alla nostra fede, bensì secondo il nome ormai accettato per lei dai suoi adoratori, che suppongono per ignoranza che sia dio: come anche l'Apostolo disse: Il dio di questo mondo ha accecato la mente incredula 1, senza dubbio chiamandolo dio perché così ormai era chiamato dai suoi, ma aggiungendo che acceca le menti affinché da ciò si comprenda che non è il vero Dio.
Il Dio vero e giusto può manifestare ira e misericordia.
2. AGOSTINO. Nei vostri discorsi sentiamo parlare abitualmente di due dèi, cosa che, sebbene hai negato all'inizio, tuttavia poco dopo anche tu hai ammesso, rendendo ragione del perché diciate questo con le parole dell'Apostolo: Il dio di questo mondo ha accecato la mente incredula. Moltissimi tra noi dividono questa affermazione, così da dire che il vero Dio ha accecato la mente incredula. Infatti, dopo aver letto: Ai quali Dio, sospendono la pronuncia, ma poi soggiungono: ha accecato la mente incredula di questo mondo. Anche se non separi in questo modo, ma, per spiegare, muti l'ordine delle parole così: Ai quali Dio ha accecato la mente incredula di questo mondo, risulta evidente lo stesso significato. Infatti anche una tale azione, con cui si accecano le menti degli increduli, può, in un certo qual modo, riferirsi al vero Dio, come effetto non di malizia, ma di giustizia, come lo stesso Paolo altrove dice: Forse è ingiusto Dio, quando riversa su di noi la sua ira? 2 Parimenti, in un altro passo, afferma: Che diremo dunque? C'è forse ingiustizia da parte di Dio? No, certamente! 3 Egli, infatti, dice a Mosè: Userò misericordia con chi vorrò, e avrò pietà di chi vorrò averla 4. Dopo la premessa, dunque -che si deve mantenere incrollabilmente - che non c'è ingiustizia presso Dio, fa' attenzione a cosa dice poco dopo: Se pertanto Dio, volendo manifestare la sua ira e far conoscere la sua potenza, ha sopportato con grande pazienza i vasi di collera, già pronti per la perdizione, e questo per far conoscere la ricchezza della sua gloria verso i vasi di misericordia, da lui predisposti alla gloria 5, etc. Qui certamente non si può dire in alcun modo che uno è il Dio che manifesta l'ira e fa conoscere la sua potenza verso vasi già pronti per la perdizione ed un altro quello che manifesta la ricchezza verso vasi di misericordia. Perché la dottrina apostolica attesta che l'unico e medesimo Dio compie entrambe le cose. Da qui proviene anche: Perciò Dio li ha abbandonati all'impurità secondo i desideri del loro cuore, sì da disonorare fra di loro i propri corpi; e poco dopo: Per questo Dio li ha abbandonati a passioni infami; parimenti, poco dopo: E poiché hanno disprezzato la conoscenza di Dio, Dio li ha abbandonati in balìa di un'intelligenza depravata 6. Ecco in qual modo il Dio vero e giusto acceca le menti degli increduli. Mai, infatti, nelle parole dell'Apostolo che ho citato si deve intendere un altro Dio se non quello che ha mandato suo Figlio a dire: Io sono venuto in questo mondo per giudicare, perché coloro che non vedono vedano e quelli che vedono diventino ciechi 7. Anche qui sufficientemente appare alle menti dei credenti come Dio accechi le menti degli increduli. Infatti qualcosa di segreto avviene prima nella parte più nascosta, dove Dio compie il giustissimo esame del suo giudizio, cosicché le menti di alcuni sono accecate, di altri illuminate; riguardo a questo è stato detto con estrema esattezza: La tua giustizia è come i monti più alti 8. L'Apostolo, ammirando l'altezza impenetrabile di questa profondità, esclama: O profondità della ricchezza, della sapienza e della scienza di Dio! quanto sono imperscrutabili i suoi giudizi 9, etc.
Bontà e severità appartengono ad un solo Dio.
3. Voi, invece, non sapendo distinguere cosa compia Dio in beneficio e cosa per giustizia, perché è lontano dal vostro cuore e dalla vostra bocca il nostro salterio, quando dice: Misericordia e giustizia voglio cantare a te, o Signore 10, qualsiasi cosa vi abbia offeso secondo la debolezza della umana mortalità, lo allontanate del tutto dall'arbitrio e dal giudizio di Dio; ovviamente avete preparato un altro dio cattivo, che non vi mostra la verità ma plasma la menzogna, cui poter imputare non solo qualsiasi vostra azione ingiusta, ma anche qualsiasi vostro patimento ingiusto. Attribuite così a Dio il beneficio dei doni e gli togliete il giudizio delle pene, come se Cristo avesse detto di un altro che ha preparato il fuoco eterno per i malvagi 11, invece di colui che fa sorgere il suo sole sopra i buoni ed i malvagi e piovere sopra i giusti e gli ingiusti 12. Perché non capite che qui tanta bontà e lì tanta severità appartengono a un solo Dio, se non perché non sapete cantare la misericordia e la giustizia? Quello che fa nascere il suo sole sopra i buoni ed i cattivi e fa piovere sopra i giusti e gli ingiusti, non è il medesimo che taglia tuttavia i rami naturali e innesta contro natura l'oleastro? Non parla di questo unico Dio, lì, l'Apostolo: Considera dunque la bontà e la severità di Dio; severità verso quelli che sono caduti; bontà di Dio invece verso di te, a condizione però che tu sia fedele 13? Certo udite, certo vi accorgete di come non tolga né a Dio la severità dei giudizi né all'uomo la libera volontà. È un mistero profondo, con un segreto inaccessibile è tenuto fuori dal pensiero umano il modo in cui Dio da un lato condanni l'empio, dall'altro lo giustifichi: la verità delle sacre Scritture, infatti, dice di lui entrambe le cose. Vi piace, dunque, cianciare contro i giudizi divini perché sono imperscrutabili? Quanto più appropriato, quanto più adatto alla nostra misura è provare lo stesso timore lì dove Paolo ha avuto timore ed esclamare: O profondità della ricchezza, della sapienza e della scienza di Dio! Quanto sono imperscrutabili i suoi giudizi e inaccessibili le sue vie! 14 Quanto è preferibile provare stupore per ciò che non sei capace di investigare, piuttosto che voler inventare un altro dio cattivo perché non hai potuto comprendere l'unico buono? Perché non si parla del nome, ma dell'operato.
Dio vero, non hyle, è artefice anche di ciò che appare cattivo.
4. Fausto sembra essersi difeso prontamente, quando dice: "Non parliamo di due dèi, ma di Dio e Hyle ". Ma quando gli avrai chiesto cosa chiami Hyle, sentirai che viene descritto esattamente come un altro dio. Se infatti la materia informe capace di forme corporee fosse chiamata da quelli Hyle, come hanno fatto gli antichi, nessuno di noi confuterebbe che essa sia chiamata dio. Ma ora quanto grande è l'errore, quanto grande l'insensatezza nel dire che la materia dei corpi è artefice dei corpi e negare che il loro artefice sia Dio! Perché, quindi, ciò che Dio vero fa, cioè le qualità e le forme dei corpi, degli elementi, degli animali - perché siano corpi, elementi, animali - voi dite che le fa non so chi altro; con qualunque nome lo chiamiate, a ragione si dice che con il vostro errore introducete un altro dio. In questa unica questione errate due volte in modo sacrilego: in primo luogo perché ciò che fa Dio dite che lo fa colui che vi vergognate ad ammettere come Dio; ma non dimostrerete che non è Dio, a meno che non negherete che faccia cose tali quali non fa se non Dio; in secondo luogo, poi, perché le cose buone che Dio buono fa voi credete che siano fatte da uno cattivo e siano cattive, e con un sentimento puerile provate orrore per quelle cose che non si accordano con la fragilità della colpevole mortalità ed amate quelle che si accordano con essa. Quindi dite che è cattivo chi ha fatto il serpente; invece questo sole lo ritenete un bene tanto grande da crederlo non fatto da Dio, ma uscito fuori o mandato. Invece Dio vero (soffro moltissimo perché ancora non credete in lui) ha fatto sia il serpente fra gli esseri inferiori, sia il sole tra gli altri superiori; ed ancora, tra le creature più sublimi, non corporee e celesti ma a questo punto spirituali, ne ha fatte di gran lunga migliori di questa luce, che un uomo carnale qualsiasi non percepisce. A maggior ragione ciò vale per voi che, quando detestate la carne, nient'altro detestate che la vostra norma con la quale misurate il bene ed il male, perché non può esserci in voi né il pensiero della cose cattive, se non di quelle che offendono il senso carnale; né delle buone, se non di quelle con cui si diletta la vista carnale.
L'arte divina conduce perfettamente a termine le opere celesti e quelle terrene.
5. Siccome, perciò, considero le realtà inferiori opera di Dio (terrene, umilissime, mortali, ma tuttavia opera di Dio, come possiamo vedere), sono spinto ineffabilmente alla lode del loro Creatore, che veramente è così grande nelle opere grandi, che non è da meno in quelle piccole. Infatti l'arte divina, con cui sono fatte le opere celesti e terrene, anche quando sono dissimili tra loro, è in tutte simile a se stessa, perché nel condurle a termine in ciascun genere ovunque è perfetta. Infatti non costituisce il tutto nelle singole parti, ma costituendo le singole parti per abbracciare il tutto, si presenta tutta sia nel costituire le singole parti, facendo e disponendo ogni cosa convenientemente a posto suo e in ordine, sia assegnando ciò che è conforme a tutte nel particolare e nel complesso. Ecco, qui, in questa sorta di bassofondo della creazione universale, guardate gli animali, che volano, e nuotano, e camminano, e strisciano. Certo, sono mortali; certo, la loro vita, come è stato scritto, è un vapore che appare per un istante 15. Ad ogni modo questa misura, ricevuta dal buonissimo Creatore, per così dire la conferiscono tutti insieme al mondo intero, riempiendolo in proporzione alla loro specie, affinché con queste creature umili ci siano tutte quelle buone, tra le quali ci sono creature superiori migliori di quelle. Pertanto ascoltate: trovatemi un qualsiasi essere vivente, il più abietto, la cui anima abbia in odio la sua carne o piuttosto non la nutra e la curi, né con il movimento vitale la rinvigorisca e la governi e in qualche modo non amministri un certo universo suo, secondo la limitatezza della sua specie, favorevole a preservare la sua incolumità. L'anima razionale corregge, è vero, il suo corpo e lo sottopone all'obbedienza, affinché una smodata passione per le cose terrene non gli impedisca di cogliere la sapienza: anche così, però, essa ama senza dubbio la sua carne, che legittimamente sottomette a sé ed ordina perché obbedisca. Infine voi stessi, sebbene detestiate la carne per un errore carnale, non potete non amare la vostra carne e provvedere alla sua salute ed incolumità, non evitarle tutti i colpi e le cadute e le intemperie dalle quali è offesa, non cercare, persino, di difenderla e conservarla in buona salute. Così dimostrate che la legge della natura prevale sulla supposizione del vostro errore.
La perfezione della creatura fatta di carne.
6. Nella carne stessa le viscere vitali, convenienti a tutta la forma, le membra deputate all'azione, i vasi alla sensazione, tutti distinti nelle loro posizioni e funzioni e connessi in una concorde unità, in una moderazione di misure, in una uguaglianza di numeri, in un ordine di pesi, non indicano forse come loro artefice Dio vero, a cui veramente è stato detto: tu hai tutto disposto con misura, calcolo e peso 16? Se dunque non aveste il cuore perverso e corrotto da frottole inconsistenti, contemplereste con l'intelletto le sue perfezioni invisibili anche attraverso queste cose fatte in questa infima e carnale creatura 17. Chi è, infatti, l'autore di queste cose che ho ricordato, se non colui la cui unità fa sussistere ogni misura, la cui sapienza forma ogni bellezza, la cui legge stabilisce ogni ordine? Se non avete occhi per contemplare queste cose, vi guidi l'autorità dell'Apostolo.
Ogni essere animato ama la propria carne come Cristo ama la Chiesa.
7. L'Apostolo, infatti, indicando quale debba essere la natura dell'amore dei mariti verso le mogli, trae esempio dall'anima dell'amante: chi ama la propria moglie, dice, ama se stesso. Nessuno mai infatti ha preso in odio la propria carne; al contrario la nutre e la cura, come fa Cristo con la Chiesa 18. Ecco, sotto i vostri occhi c'è l'intera realtà carnale; vedete come in ogni animale, incline alla sua buona salute, continui questa unione naturale, affinché ami la sua carne. Perché questo non avviene soltanto negli uomini i quali, quando vivono rettamente, non solo provvedono alla salute della loro carne ma domano e frenano gli impulsi carnali secondo l'uso della ragione; ma anche le bestie fuggono il dolore, paventano la morte; evitano con tutta prontezza qualunque cosa possa fare a pezzi e disgregare, da una concorde connessione, la coesione delle membra e l'unione del corpo e dello spirito, nutrendo e curando anche loro la carne. Nessuno mai infatti ha preso in odio la propria carne; al contrario la nutre e la cura, dice, come fa Cristo con la Chiesa. Vedete da dove è partito e a quale altezza sia giunto. Contemplate, se siete capaci, quanta potenza la creatura tragga dal Creatore, determinata dalla pienezza della totalità a partire dalle schiere celesti fino alla carne e al sangue, ornata dalla varietà delle forme, ordinata secondo gradi di realtà.
S. Paolo attesta la grandezza di ciò che è piccolo, la bontà di ciò che è ultimo fra le realtà corporee.
8. Ancora lo stesso Apostolo, insegnandoci una realtà senza dubbio grande e divina e misteriosa riguardo ai diversi doni spirituali e tuttavia conformi all'unità, fece un paragone proprio con questa nostra carne e, mentre parlava, non passò affatto sotto silenzio il suo artefice, Dio. Sebbene sia lungo, poiché, però, è quanto mai indispensabile, non mi rincrescerà di inserire tutto intero in questa opera quel passo tratto dalla sua Lettera ai Corinzi: Riguardo ai doni dello Spirito, fratelli, non voglio che restiate nell'ignoranza. Voi sapete infatti che, quando eravate pagani, vi lasciavate trascinare verso gli idoli muti secondo l'impulso del momento. Ebbene, io vi dichiaro: come nessuno che parli sotto l'azione dello Spirito di Dio può dire: " Gesù è anàtema ", così nessuno può dire: " Gesù è il Signore " se non sotto l'azione dello Spirito Santo. Vi sono poi diversità di carismi, ma uno solo è lo Spirito; vi sono diversità di ministeri, ma uno solo è il Signore; vi sono diversità di operazioni, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti. E a ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per l'utilità comune: a uno viene concesso dallo Spirito il linguaggio della sapienza; a un altro, invece, per mezzo dello stesso Spirito, il linguaggio di scienza; a uno la fede per mezzo dello stesso Spirito; a un altro il dono di far guarigioni per mezzo dell'unico Spirito; a uno il potere dei miracoli; a un altro il dono della profezia; a un altro il dono di distinguere gli spiriti; a un altro la varietà delle lingue; a un altro infine l'interpretazione delle lingue. Ma tutte queste cose è l'unico e medesimo Spirito che le opera, distribuendole a ciascuno come vuole. Come infatti il corpo, pur essendo uno, ha molte membra e tutte le membra, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche Cristo. E in realtà noi tutti siamo stati battezzati in un solo Spirito per formare un solo corpo, Giudei o Greci, schiavi o liberi; e tutti ci siamo abbeverati a un solo Spirito. Ora il corpo non risulta di un membro solo, ma di molte membra. Se il piede dicesse: " Poiché io non sono mano, non appartengo al corpo ", non per questo non farebbe più parte del corpo. E se l'orecchio dicesse: " poiché io non sono occhio, non appartengo al corpo ", non per questo non farebbe più parte del corpo. Se il corpo fosse tutto occhio, dove sarebbe l'udito? Se fosse tutto udito, dove l'odorato? Ora, invece, Dio ha disposto le membra in un modo distinto nel corpo, come egli ha voluto. Se poi tutto fosse un membro solo, dove sarebbe il corpo? Invece molte sono le membra, ma uno solo è il corpo. Non può l'occhio dire alla mano: " Non ho bisogno di te "; né la testa ai piedi: " Non ho bisogno di voi ". Anzi quelle membra del corpo che sembrano più deboli sono più necessarie; e quelle parti del corpo che riteniamo meno onorevoli le circondiamo di maggior rispetto, e quelle indecorose sono trattate con maggior decenza, mentre quelle decenti non ne hanno bisogno. Ma Dio ha composto il corpo, conferendo maggior onore a ciò che ne mancava, perché non vi fosse disunione nel corpo, ma anzi le varie membra avessero cura le une delle altre. Quindi se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme; e se un membro è onorato, tutte le membra gioiscono con lui 19. Se in voi c'è non dico una qualche fede cristiana, per credere all'Apostolo, ma un po' di sensibilità umana, per scorgere ciò che è evidente, ciascuno in se stesso veda queste cose e consideri quanto siano vere, quanto siano certe, quanta grandezza sia in ciò che è piccolo e quanta bontà in ciò che è ultimo. Dal momento che l'Apostolo le esalta affinché attraverso queste infime cose corporee che si vedono si possano più facilmente riconoscere quelle sublimi e spirituali che non si vedono.
Il vero Dio ha creato il corpo nella sua unitarietà e funzionalità.
9. Chiunque nega che Dio sia l'artefice di queste membra e del nostro corpo che l'Apostolo tanto valorizza e loda, vedete chi contraddice, annunciandovi cose che sono estranee a quanto abbiamo ricevuto 20. Perciò che cosa è necessario smentire da parte mia, piuttosto che maledire da parte di tutti i Cristiani? L'Apostolo dice: Dio ha composto il corpo 21; mentre costui dice Hyle, non Dio. Che c'è di più evidente di questi contrasti, da maledire prima che da smentire? Forse anche qui l'Apostolo, dicendo Dio, ha aggiunto di questo mondo 22? Quand'anche qualcuno interpretasse che il diavolo acceca le menti dei non credenti, non neghiamo che lo fa con cattivi consigli; chi ad essi acconsente, perde la luce della giustizia quando Dio retribuirà ciò che è giusto. Tutto questo leggiamo nelle sacre Scritture; anche quanto riguarda la seduzione che viene dall'esterno: Temo però che, come il serpente nella sua malizia sedusse Eva, così i vostri pensieri vengano in qualche modo traviati dalla loro semplicità e purezza nei riguardi di Cristo 23. A cui è simile: Le cattive compagnie corrompono i buoni costumi 24; e il versetto secondo cui ciascuno sarebbe seduttore di se stesso: Se infatti uno pensa di essere qualcosa mentre non è nulla, inganna se stesso 25; e quello sulla vendetta di Dio, che ho menzionato sopra: Dio li ha abbandonati in balìa d'una intelligenza depravata, sicché commettono ciò che è indegno 26. Così anche nell'Antico Testamento, dopo la premessa: Perché Dio non ha creato la morte e non gode per la rovina dei viventi 27, si dice: Ma la morte è entrata nel mondo per invidia del diavolo 28. Ed ancora, sulla stessa morte, perché gli uomini non si considerassero senza colpa, si dice: Gli empi invocano su di sé la morte con gesti e con parole, ritenendola amica e si consumano per essa 29. Altrove, però: Bene e male, vita e morte, povertà e ricchezza, tutto proviene dal Signore 30. A questo punto gli uomini confusi non capiscono che in un'unica e medesima cattiva azione, anche se non ne segue un'altra evidente, ma è accompagnata immediatamente da una punizione, qualcosa proviene dall'astuzia del consigliere, qualcosa dall'indolenza di colui che vuole, qualcosa dalla giustizia di colui che punisce; perché il diavolo suggerisce, l'uomo acconsente, Dio abbandona. Perciò nella cattiva azione, cioè nell'accecamento dei non credenti, se si riconosce anche il diavolo per la sua malignità nel consigliare, così da distinguere Dio di questo mondo, non mi sembra un'assurdità. Ed infatti non viene detto Dio senza aggiunta, ma viene aggiunto di questo mondo, cioè degli uomini empi, che vogliono prosperare solo in questo mondo; secondo ciò che viene detto è anche un mondo perverso, come è scritto: Per strapparci da questo mondo perverso 31. Simile è, infatti, quell'espressione: Il cui Dio è il loro ventre 32: se lì non ci fosse il cui Dio non verrebbe affatto chiamato ventre. Né nel salmo i demoni potrebbero essere chiamati dèi se non si aggiungesse "delle nazioni ". Così infatti è stato scritto: Gli dèi delle nazioni sono demoni 33. Nel passo che stiamo considerando, però, non è stato messo né Dio di questo mondo, né il cui Dio è il ventre, né gli dèi delle nazioni sono demoni, ma semplicemente Dio ha composto il corpo, il vero Dio, creatore di tutte le cose. Quelle sono espressioni di biasimo, questa, invece, di lode. A meno che Fausto non intenda che Dio ha composto il corpo non disponendo le membra, cioè creandole e costruendole, ma mescolandole alla sua luce, di modo che, ovviamente, queste membra così distinte e collocate nelle loro sedi le avrebbe disposte un altro, che ha creato questo corpo; Dio, invece, mescolandovi la sua bontà avrebbe mitigato la malizia di questa creazione. Con tali invenzioni inebetiscono le anime fragili. Ma Dio, venendo in aiuto dei piccoli per bocca dei santi, non ha permesso che costoro dicessero questo. Hai, infatti, poco sopra: Ora, invece, Dio ha disposto le membra in modo distinto nel corpo, come egli ha voluto 34. Chi, ormai, non capirebbe, che Dio è detto regolatore del corpo il corpo in base al fatto che ha creato il corpo con molte membra, che conservano le funzioni di varie attività in una struttura unitaria?
Che beni grandi ha perduto la stirpe delle tenebre con la mescolanza del bene!
10. Dicano, allora, i Manichei se gli animali, che secondo i loro deliri l'Hyle aveva creato nella stirpe delle tenebre, prima che Dio avesse mescolato la sua luce con quelli, non avevano questa armonia delle membra, che l'Apostolo loda come ho detto; se in quel caso la testa avrebbe detto ai piedi, o l'occhio alla mano: Non ho bisogno di te! 35 Non l'hanno mai detto, né avrebbero potuto dirlo; perché gli attribuiscono le seguenti azioni e funzioni: strisciavano, camminavano, nuotavano, volavano, ciascuno secondo la propria specie; vedevano pure, e sentivano, e percepivano con gli altri sensi, si nutrivano e curavano i loro corpi con alimenti appropriati ed equilibrati. Di conseguenza, anche la fecondità della prole era sufficiente: infatti attribuiscono loro anche l'accoppiamento. Certo, tutte queste cose, che Manicheo biasima come opere dell' Hyle, non si possono compiere senza l'armonia delle membra, che l'Apostolo loda ed attribuisce a Dio. Dubitate ancora chi sia da seguire e chi da maledire? Che dire del fatto che vi erano alcuni che parlavano anche, cosicché, mentre essi pronunciavano un discorso, tutti i serpenti, i quadrupedi, i volatili, i natanti ascoltavano, capivano, approvavano? Da ammirare questa eloquenza soprannaturale! E non l'avevano appresa da nessun grammatico o retore, né avevano imparato quelle cose tra le lacrime delle bacchette e delle verghe! Evidentemente anche Fausto si è accostato tardi alla disciplina dell'eloquenza, per cianciare eloquentemente di queste falsità, e benché fosse di ingegno acuto, tuttavia leggendo ad alta voce fece perdere la pazienza, cosicché tanto pochi approvarono la sua eloquenza. Misero, egli che nacque in codesta luce e non in quelle tenebre! Lì, infatti, mentre teneva discorsi contro la luce, volentieri l'avrebbero ascoltato e prontamente obbedito ogni bipede, ogni animale a più zampe, persino ogni serpente, dal dragone fino alla lumaca; qui, invece, disputando contro le tenebre, i più lo chiamavano eloquente piuttosto che dotto, molti, però, perversissimo seduttore. Tra i pochi Manichei che lo applaudivano come un grande maestro, d'altra parte, nessun animale gli faceva cenno di assenso, neppure il suo cavallo sapeva qualcosa di quella dottrina, come se la parte divina si fosse mescolata a quegli animali solo per questo: per farli diventare più stupidi! Che è questo, vi prego? Svegliatevi, una buona volta, miseri, e confrontate nella vostra invenzione il tempo antecedente ed il presente di tutti gli animali, allora nella loro terra, ora in questo mondo; allora forti erano i corpi, ora sono deboli; allora la vista era acuta, con la tentazione di invadere la zona di Dio; ora così debole da essere distolta dai raggi del sole; allora le menti degli animali sviluppate per comprendere uno che pronunciasse un discorso; ora ebeti e del tutto estranee da una tale capacità; allora era naturale un'eloquenza così grande e potente, ora con tanto studio e fatica a malapena è piccola e modesta. Che beni grandi ha perduto la stirpe delle tenebre con la mescolanza del bene!
Bene e male, opposti tra loro, non sono evidenti nei contrari esemplificati da Fausto.
11. Proprio a questo Fausto, in questo stesso discorso, cui ora rispondo, è sembrato bene opporre elegantemente numerosi contrari: salute e malattia, abbondanza e miseria, bianco e nero, caldo e freddo, dolce e amaro. Tralascio di dire qualcosa del bianco e del nero, o in altri termini se c'è qualche elemento di bene e di male nei colori, al punto da dire che il bianco appartiene a dio, il nero, invece, all'Hyle. Dal momento che ritengono che Hyle ha creato tutte le specie di volatili, se dio asperse il colore bianco sulle loro piume, dove si nascondevano i corvi, quando i cigni furono cosparsi di bianco? Parimenti non è necessario discutere del caldo e del freddo: entrambi, infatti, se somministrati con moderazione, sono salutari, se in eccesso, invece, sono dannosi. Vediamo il resto. Il bene e il male, che avrebbe eventualmente dovuto mettere per primi, sembra che li abbia posti tra i contrari medesimi volendo che si intendessero come generali, cioè che al bene appartiene la salute, l'abbondanza, il bianco, il caldo, il dolce; al male, invece, la malattia, la povertà, il nero, il freddo, l'amaro: chi può, veda quanto ciò sia da ignorante e da sconsiderato! Io, invece, perché non si creda che tratti ingiustamente quest'uomo, non oppongo il bianco al nero, il caldo al freddo, il dolce all'amaro, la salute alla malattia. Infatti se il bianco e il dolce sono due cose buone, mentre il nero e l'amaro due cose cattive, come mai la maggior parte dell'uva e tutte le olive, diventando nere divengono dolci, cioè possedendo più male migliorano? Parimenti, se il calore e la salute sono due cose buone, invece il freddo e la malattia due cose cattive, perché i corpi, riscaldandosi, si ammalano? Per caso i sani hanno la febbre? Quindi non contrappongo queste cose, che probabilmente ha ricordato da incauto o per indicare qualsiasi forma di contrari piuttosto che il bene ed il male; in particolare perché non hanno mai detto che il fuoco della stirpe delle tenebre fosse freddo, ma il suo calore indubbiamente un male.
Salute e abbondanza presso la stirpe delle tenebre.
12. Ma per lasciando da parte queste cose, consideriamo quelle che ha menzionato come buone fra questi contrari, così da non volere dubbi: la salute, l'abbondanza, la dolcezza. Davvero non c'era la salute dei corpi in quella stirpe, in cui sono potuti nascere e crescere e generare quegli animali e resistere a tal punto che quando alcuni di loro, gravidi, furono catturati - come vanno vaneggiando - e furono legati insieme in cielo, i feti, nati neppure nella pienezza del tempo, ma prematuri, cadendo in terra da una tale altezza, poterono vivere e crescere e propagare queste specie carnali che ora sono innumerevoli? Oppure non c'era abbondanza là dove gli alberi poterono nascere non soltanto nell'acqua e nel vento, ma anche nel fuoco e nel fumo ed essere così fecondi che dai loro frutti erano generati animali di ciascuna loro specie, e si conservavano in quanto nutriti ed allevati dalla fertilità di quegli alberi, l'abbondanza del cui nutrimento era testimoniata anche dalla fecondità della prole, soprattutto dove non c'erano né il lavoro dei campi né le intemperie dell'estate e dell'inverno (perché lì non girava il sole, affinché con l'alternarsi delle stagioni trascorressero gli anni)? Quindi perenne era la fertilità degli alberi, per i quali l'elemento e l'alimento della loro specie, come era stato di aiuto a quelli che dovevano essere generati, così bastava perennemente a coloro che dovevano essere fecondati, e non faceva mai mancare i frutti, come vediamo gli alberi dei cedri generare fiori e frutti per tutto l'anno, se sono continuamente irrigati. Grande, dunque, lì l'abbondanza, e grande la sicurezza di averla: perché non si temeva la grandine, dove non c'erano coloro che scacciavano la luce, i quali - come inventate - scatenano i tuoni.
Gradevolezza e disgusto di un cibo secondo la convenienza del corpo.
13. Se poi non avessero considerato i loro cibi dolci e deliziosi non li avrebbero ricercati, i loro corpi non si sarebbero rinvigoriti. Infatti così stanno le cose: in base alla convenienza di ciascun corpo un cibo o piace o disgusta. Se piace, si dice che è dolce o delizioso; se invece disgusta si dice che è amaro, o acerbo o che va rifiutato perché in qualche modo sgradevole. Noi uomini non siamo forse così, cioè per lo più uno ricerca un cibo di cui l'altro ha disgusto, o per costituzione naturale, o per abitudine o per stato di salute? Quanto più i corpi di animali di diverso genere possono ritenere piacevole quel cibo che per noi è amaro? O altrimenti si dovrebbero trattenere le capre dal rodere l'oleastro? Perché come per qualcuno degli uomini il miele è amaro a causa di una malattia, così per quella natura animale è delizioso l'oleastro. Così si infonde nei prudenti esaminatori della realtà il valore dell'ordine, quando, cioè, a ciascuno è offerto e restituito il suo; e si rende noto quanto grande sia questo bene che si estende dalle cose infime fino a quelle più alte, dalle corporali fino alle spirituali. Pertanto, per la stirpe delle tenebre, quando un animale appartenente a qualche elemento si nutriva con quel cibo che era nato nel suo elemento, senza dubbio questa stessa congruenza glielo rendeva piacevole; se invece si fosse imbattuto nel cibo fatto di un altro elemento l'incongruenza stessa avrebbe offeso il senso di colui che lo gustava. E questa offesa è chiamata amarezza o asprezza o sgradevolezza o quant' altro o, se fosse così eccessiva da distruggere l'armonia della costituzione del corpo con una forza estranea, e uccida o tolga le forze, è chiamata anche veleno, semplicemente per l'incongruenza, poiché è cibo appropriato per un'altra specie; come uno sparviero, se mangia il pane, che è il nostro cibo quotidiano, muore, anche noi se mangiamo l'elleboro, di cui si nutrono la maggior parte degli animali. Un certo modo di usare quell'erba, però, è anche una forma di medicamento. Se Fausto sapesse e considerasse tal cosa, certamente non porrebbe veleno ed antidoto come esempio delle due nature del bene e del male, come se dio fosse l'antidoto ed Hyle il veleno, dal momento che una medesima cosa e una medesima natura, presa o usata ora appropriatamente ora non appropriatamente, giova o nuoce. Perciò, secondo la loro invenzione, si può dire che il loro dio è stato il veleno per la stirpe delle tenebre, di cui logorò i corpi tanto robusti così da renderli debolissimi; ma poiché anche la luce stessa fu catturata, sottomessa e sciupata, furono entrambi reciprocamente velenosi.
Il regno di dio e il regno di Hyle.
14. Perché dunque non chiamate questi regni o entrambi buoni o entrambi cattivi, o piuttosto entrambi buoni e cattivi (entrambi buoni in se stessi, entrambi cattivi l'uno verso l'altro)? Successivamente, se sarà necessario, cercheremo quale di questi sia migliore o peggiore; nel frattempo, giacché erano due regni buoni in se stessi, si faccia questa considerazione: dio regnava nella sua terra, anche Hyle regnava nella sua. La buona salute dei regnanti c'era sia lì che qui; frutti abbondanti sia lì che qui; fecondità della prole in entrambi i regni; la dolcezza dei piaceri propri nell'uno e nell'altro regno. Ma quella stirpe, dicono, a parte il fatto che era cattiva per la luce vicina, anche in se stessa era cattiva. Per il momento ho già parlato delle sue molte cose buone; se anche voi potrete mostrarne delle cattive saranno due i regni buoni, ma migliore quello in cui non c'era alcun male: quali dite che fossero, dunque, suoi mali? Si devastavano, dice Fausto, si danneggiavano a vicenda, si uccidevano, si logoravano. Se lì ci si dedicava soltanto a questo, in che modo si generarono, si allevarono, si svilupparono così tante schiere? Lì dunque c'erano quiete e pace. Ma ammettiamo che fosse migliore il regno in cui non c'era alcuna discordia: molto più opportunamente li chiamerei, tuttavia, due regni buoni, piuttosto che uno buono e l'altro cattivo, pur essendo migliore quello in cui ciascuno non nuoceva a se stesso, né l'uno all'altro; meno buono, invece, questo in cui, sebbene si contrapponessero a vicenda, tuttavia ciascun animale difendeva la sua salute, l'incolumità, la natura. Nondimeno al dio vostro non si può paragonare neppure per una così grande differenza il principe delle tenebre, cui nessuno resisteva, del cui regno tutti erano servitori, seguito da tutti quando pronunciava un discorso: questo non sarebbe potuto avvenire senza una grande pace e concordia. Ci sono, infatti, regni felici laddove si obbedisce al re col pieno consenso di tutti. A ciò si aggiunge che erano sudditi di quel principe non solo quelli della sua specie, cioè i bipedi, che voi dite genitori degli uomini, ma tutte le specie degli altri animali, ed al suo cenno gli si rivolgevano, facendo ciò che aveva comandato, credendo a ciò che aveva dichiarato. Dicendo queste cose, ritenete fino a tal punto sordi i cuori degli uomini da aspettarsi che voi nominiate un altro dio, che vedono compiutamente ed apertamente descritto? Se infatti questo principe era capace di questo con le sue forze, doveva derivarne grande potenza; se con l'onore, grande gloria; se con l'amore, grande concordia; se con il timore, grande disciplina. Se in tutte queste buone cose ce n'erano alcune cattive, allora forse si deve parlare di natura cattiva? O lo fanno solo coloro che non sanno che dicono? Inoltre, se ritenete che fosse una natura cattiva, per il fatto che non solo era cattiva nei confronti dell'altra natura, ma aveva il male anche in se stessa, credete che non sia alcun male la dura necessità che sopportava il vostro dio prima della mescolanza con la natura contraria, così da essere costretto a combattere con essa ed a mandare nelle fauci le sue membra, per essere così schiacciate che non si potesse recuperarle tutte intere? Ecco, c'era anche in essa un grande male, prima che si mescolasse con lei quello che solo chiamate male. Infatti o non poteva essere offeso e danneggiato dalla stirpe delle tenebre e per propria stoltezza soffriva quella necessità; o, se poteva essere danneggiato nella sua sostanza, non adorate un dio incorruttibile, come lo dichiara l'Apostolo 36. E allora? La corruttibilità stessa, dalla quale non era ancora corrotta quella natura ma dalla quale poteva essere corrotta, non vi sembra un male nel dio vostro?
Nel dio dei Manichei né prescienza né sicurezza.
15. Chi non vedrebbe, inoltre, che o in lui non c'era prescienza - nel qual caso è vostro dovere pensare se non sia un difetto di Dio mancare di prescienza e non sapere minimamente cosa stia per accadere -; o, se in lui c'era prescienza, non poteva esserci sicurezza, ma eterno timore, e riconoscete certamente quanto ciò sia male! Non temeva che da un momento all'altro venisse il tempo in cui le sue membra sarebbero state talmente devastate e contaminate in quella battaglia, che a stento sarebbero state liberate e purificate con infinita fatica e neppure per intero? Ma se questo non lo riguardava (e vedete senz'altro quanto si possa dirlo con difficoltà), le sue membra, che stavano per soffrire mali tanto grandi, avevano certamente paura. O non sapevano che sarebbe avvenuto questo? Quindi ad una qualunque parte della sostanza del vostro dio mancò assolutamente la prescienza. Contate i mali nel vostro sommo bene! O forse non temevano perché prevedevano la loro successiva liberazione e, parimenti, il trionfo? Certamente temevano per i compagni, sapendo che dovevano essere cacciati dal loro regno e imprigionati per l'eternità in quel globo.
Cosa vanno delirando coloro che, non accettando la sana dottrina, si volgono alle favole!
16. Forse lì non c'era carità affinché non ci fosse fraterna compassione per le anime minacciate da eterni supplizi senza alcun precedente peccato? Come? Quelle stesse anime che dovevano essere legate nel globo, non erano anche loro membra del vostro dio? Non è forse unica l'origine, unica la sostanza? Esse, almeno, sicuramente temevano, sicuramente erano afflitte perché avevano prescienza del loro futuro ed eterno carcere. O altrimenti, se quelle anime non sapevano che sarebbe avvenuto questo, una parte del vostro dio era preveggente, una parte no; come, dunque, una sola ed identica poteva essere la sostanza? Dal momento che, dunque, anche lì ci furono mali tanto grandi, prima che ci fosse la mescolanza con un male estraneo, perché vi vantate di quel bene, come se fosse puro, semplice, sommo? Perciò siete costretti a confessare che queste due stesse nature erano o entrambe buone o entrambe cattive. Vi concediamo, se direte che erano entrambe cattive, di dichiarare peggiore quella che vorrete; se invece direte che erano entrambe buone, dite quale di queste fosse la migliore. Dopo sarà più accurato l'esame; purché, tuttavia, sia rimosso quel vostro errore per il quale dite che esistevano due princìpi di natura diversa, buona e cattiva, e evidentemente due dèi, uno buono e l'altro cattivo. Ora, però, se è cattivo qualcosa per il fatto che nuoce ad un altro, questi due princìpi si sono nuociuti a vicenda: supponiamo che una parte sia stata più cattiva perché per prima ha desiderato i beni altrui. Perciò una volle introdurre il male, l'altra restituì male per male; e non secondo la legge del taglione, cioè occhio per occhio 37, che abitualmente criticate per ignoranza e per impudenza, ma con molta più gravità. Scegliete dunque quale parte chiamare peggiore, quella che per prima volle nuocere o quella che volle e poté nuocere di più. Questa infatti desiderò godere della luce secondo la sua misura; l'altra estirpò quella alla radice. Se l'una avesse portato a compimento quel che desiderava, sicuramente non avrebbe danneggiato se stessa; l'altra, invece, per abbattere completamente l'avversaria ostile, nocque gravemente anche ad una parte di sé. Come dice quella notissima e veemente esclamazione affidata alla memoria di certe opere: Periscano gli amici purché contemporaneamente muoiano i nemici 38. Infatti una parte di dio è stata mandata all'irrimediabile contaminazione affinché fosse possibile proteggere il globo, nel quale il nemico deve essere sepolto vivo in eterno; tanto, infatti, sarà temuto anche da vinto, tanto spaventerà benché rinchiuso, che l'eterna sventura di una parte di dio procura una qualunque sicurezza alle altre parti. O innocentissima bontà! Ecco, anche il dio vostro farà ciò che potrebbe nuocere ai suoi ed ai nemici, di cui accusate terribilmente la stirpe delle tenebre. Proprio questo è denunciato, nel caso del vostro dio, dalla zona più profonda del globo, nella quale è rinchiuso il nemico ed inchiodato il suddito; addirittura quella parte che dite dio prevale nel nuocere di più ai nemici ed ai suoi. Hyle, in effetti, non volle distruggere il regno nemico, ma occuparlo; alcuni dei suoi, poi, sebbene li uccidesse distruggendoli mediante altri dei suoi, tuttavia li trasformava di nuovo in altre forme, cosicché morendo e rinascendo, almeno durante gli intervalli di tempo godevano della loro vita. Dio, invece, onnipotente ed ottimo come lo descrivete, distrugge i nemici e condanna i suoi per sempre; e - cosa cui si crede per una follia più sorprendente - Hyle danneggia i suoi animali nella lotta, dio punisce le sue membra nella vittoria. Non state forse vaneggiando? Certamente ricordate il paragone di Fausto tra dio e l'antidoto e tra Hyle ed il veleno: ecco, nuoce di più il vostro antidoto che il veleno. Se Hyle ha rinchiuso dio e inchiodato le sue viscere nel globo così orrendo, per sempre; e - crimine maggiore - egli calunnia le restanti anime perché non sembri di esser venuto meno, non avendo potuto purificarle. Mani, infatti, nella sua Epistola del Fondamento, dice che quelle anime diventano degne di tale supplizio perché " hanno concesso a se stesse di allontanarsi dalla loro precedente brillantezza naturale e sono divenute nemiche della santa luce ", sebbene dio stesso le abbia condotte in quel traviamento. Di conseguenza furono così ottenebrate da diventare luce nemica della luce. Se non lo volevano, egli fu ingiusto nel costringerle; se lo volevano, egli fu ingrato nel punirle. Se esse avessero potuto sapere in anticipo che sarebbero state nemiche della loro origine, sarebbero state tormentate dal timore prima del conflitto, contaminate irrimediabilmente durante esso, e dopo esso condannate per sempre, mai beate. D'altro canto, se non avessero potuto sapere in anticipo, sarebbero state incaute prima del conflitto, deboli durante esso e misere dopo, mai divine. E necessariamente ciò che è vero di esse è vero di dio, conformemente all'unità della sostanza. Non possiamo credere che vedete quanto grande sia la vostra bestemmia? E tuttavia, talvolta, volendo - per così dire - difendere la bontà di dio, dite di riservare qualcosa di buono anche alla stessa Hyle, perché rinchiusa non si accanisca su se stessa. Avrà dunque qualcosa di buono pur non avendo nulla di buono mescolato con essa? Forse, come dio prima del conflitto, pur senza mescolanza col male, aveva il male di necessità, così Hyle, dopo il conflitto, senza mescolanza col bene, avrà il bene della pace? Parlate dunque di due mali, ma uno peggiore dell'altro; o, più esattamente, di due non sommi beni, ma uno migliore dell'altro. Di conseguenza il migliore lo proclamate più misero: infatti, se l'esito di quel grande conflitto sarà che - sopraffatta Hyle dalla propria devastazione e inchiodate le membra di dio nel globo - qualcosa di buono sia riservato ai nemici ed un grande male sia inflitto ai sudditi, pensate chi abbia vinto! Ma (si capisce!) il veleno è Hyle, che è stata capace di formare, fortificare, nutrire, vivificare i suoi animali; e l'antidoto è dio, che ha potuto condannare, ma non guarire, le sue membra! Pazzi! Quella non è Hyle, quello non è dio! Così vanno delirando coloro che, non accettando la sana dottrina, si volgono alle favole 39.
Note:
1 - 2 Cor 4, 4.
2 - Rm 3, 5.
3 - Rm 9, 14-15.
4 - Es 33, 19.
5 - Rm 9, 22-23.
6 - Rm 1, 24. 26. 28.
7 - Gv 9, 39.
8 - Sal 35, 7.
9 - Rm 11, 33.
10 - Sal 100, 1.
11 - Cf. Mt 25, 41.
12 - Cf. Mt 5, 45.
13 - Rm 11, 17-24.
14 - Rm 11, 33.
15 - Gc 4, 15.
16 - Sap 11, 21.
17 - Cf. Rm 1, 20.
18 - Ef 5, 28-29.
19 - 1 Cor 12, 1-26.
20 - Cf. Gal 1, 9.
21 - 1 Cor 12, 24.
22 - 2 Cor 4, 4.
23 - 2 Cor 11, 3.
24 - 1 Cor 15, 33.
25 - Gal 6, 3.
26 - Rm 1, 28.
27 - Sap 1, 13.
28 - Sap 2, 24.
29 - Sap 1, 16.
30 - Sir 11, 14.
31 - Gal 1, 4.
32 - Fil 3, 19.
33 - Sal 95, 5.
34 - 1 Cor 12, 18.
35 - 1 Cor 12, 21.
36 - Cf. 1 Tm 1, 17.
37 - Cf. Es 21, 24.
38 - CICERONE, Pro Deiotaro 9, 25.
39 - Cf. 2 Tm 4, 3.
1 - La presentazione di Maria santissima al tempio
La mistica Città di Dio - Libro secondo - Suor Maria d'Agreda
Leggilo nella Biblioteca412. Tra le ombre che furono figura di Maria santissima, nessuna fu più espressiva dell'arca dell'alleanza, per la materia di cui era fabbricata, per ciò che conteneva dentro di sé, per l'uso a cui serviva nel popolo di Dio e per quello che mediante la stessa, con essa e per essa, il Signore operava. Tutto ciò non era che un abbozzo di questa Signora e di ciò che per mezzo di lei e con lei lo stesso Signore avrebbe operato nella Chiesa. La materia, ossia il cedro incorruttibile di cui, non a caso ma per divina disposizione, fu fabbricata, significa Maria nostra mistica arca, libera dalla corruzione della colpa personale come dalla tignola occulta del peccato originale con il suo inseparabile fomite delle passioni. L'oro finissimo e puro di cui l'arca era rivestita dentro e fuori, indica la sublime perfezione della grazia e dei doni di cui Maria risplendeva nei pensieri, nelle facoltà, nelle virtù, nelle opere e nei costumi; non si poteva infatti trovare parte, né tempo, né momento, in cui quest'Arca non fosse tutta piena e vestita di grazia di squisito valore, tanto all'interno che all'esterno.
413. Le tavole di pietra su cui era scritta la legge, l'urna piena di manna e la verga dei prodigi, contenute e custodite nell'antica arca, non potevano meglio significare il Verbo che si sarebbe incarnato in Maria santissima, arca viva. Egli è la pietra viva, il fondamento dell'edificio della Chiesa. Egli è la pietra angolare che si staccò dal monte dell'eterna generazione per unire due popoli, giudei e gentili, prima tanto divisi. Egli è la pietra su cui fu scritta, dal dito di Dio, la nuova legge di grazia e che fu depositata nell'arca verginale di Maria, per far intendere che questa grande regina era depositaria di tutto ciò che Dio era ed operava con le creature. L'arca racchiudeva anche la manna della divinità e della grazia, nonché il potere, ossia la verga dei prodigi e dei miracoli. Dio volle che solamente in quest'Arca mistica e divina trovassimo la sorgente delle grazie, che è Dio stesso, e che da lei queste traboccassero sugli altri uomini; perciò volle che in lei e per lei si operassero i miracoli e i prodigi del suo braccio, perché riconoscessimo che tutto quello che il Signore vuole, è ed opera, si trova racchiuso e depositato in Maria.
414. Da tutto ciò conseguiva che l'arca dell'antico testamento - non per la figura e l'ombra, ma per la verità che significava - servisse da piedistallo e base al propiziatorio, sede del Signore e tribunale delle sue misericordie, dove udire il suo popolo, rispondere e dare corso alle domande e ai favori che voleva loro fare. Per il fatto che Dio rese solamente Maria santissima suo trono di grazia e non rinunciò a sovrapporre il propiziatorio a questa mistica e vera arca, avendola fabbricata per racchiudersi in essa, il tribunale della giustizia rimase in Dio solo, quello della misericordia fu posto in Maria. A lei, come a trono di grazia, noi possiamo andare a presentare con sicura confidenza le domande che, fuori di questo propiziatorio, non sarebbero ascoltate; a chiedere cioè i benefici, le grazie e le misericordie a favore del genere umano che, altrove, non avrebbero corso.
415. Un'Arca così misteriosa e sacra, fabbricata dalla mano dello stesso Signore per essere sua abitazione e propiziatorio per il popolo, non stava bene fuori del tempio, dove fu custodita l'arca materiale che era solo figura di questa, vera e spirituale, del nuovo testamento. Perciò l'Autore di questa meraviglia ordinò che Maria santissima fosse collocata nella sua casa, nel tempio, compiuti tre anni dalla sua nascita. È' vero che con grande stupore trovò una differenza assai notevole in ciò che avvenne alle due arche. Quando il re Davide trasferì l'arca in diversi luoghi e, in seguito, suo figlio Salomone la collocò nel tempio come sede sua propria - quantunque quell'arca non avesse altra grandezza se non quella di significare Maria purissima e i suoi misteri - le sue traslazioni furono celebrate con grande festa e giubilo da parte di quell'antico popolo. Questo provano le solenni processioni che Davide fece dalla casa di Abinadàb a quella di Obed-Èdom, nonché da questa al tabernacolo di Sion, città di Davide, e quando da Sion Salomone la traslò al nuovo tempio, che per ordine del Signore aveva edificato come casa di Dio e casa di preghiera.
416. In tutte queste traslazioni l'arca dell'antica alleanza fu portata con pubblica venerazione, con culto solenne di musiche, danze, sacrifici, con il giubilo dei re e di tutto il popolo d'Israele, come riferiscono i libri dei Re, di Samuele e delle Cronache. Invece la nostra arca mistica e vera, Maria santissima, benché fosse la più ricca, stimabile e degna di venerazione tra le creature, non fu portata al tempio con tanto solenne apparato, né con si pubblica ostentazione. In questa misteriosa traslazione non intervennero né sacrifici di animali, né pompa reale, né maestà di regina; fu trasportata dalla casa di suo padre Gioacchino sulle umili braccia di sua madre Anna, la quale, sebbene non fosse molto povera, tuttavia in quella occasione portò la sua diletta figlia al tempio, per presentarla e depositarla, con umili vesti, povera e sola. Dio volle che tutta la gloria e la maestà di questa processione fosse invisibile e divina, poiché i misteri di Maria santissima furono così sublimi e nascosti che ancora oggi molti di essi continuano ad essere tali secondo gli imperscrutabili giudizi del Signore, il quale ha stabilito il tempo opportuno per ogni cosa.
417. Poiché mi meravigliavo di ciò alla presenza dell'Altissimo lodando i suoi giudizi, sua Maestà si degnò di rispondermi in questo modo: «Ascolta, o anima: io volli che fosse venerata l'arca dell'antica alleanza con tanto festeggiamento ed apparato, perché era figura di colei che doveva essere Madre del Verbo incarnato. Quell'arca era irrazionale e materiale e senza difficoltà si poteva usare una tale solennità; ma con l'Arca vera e viva, non lo permisi, finché visse su questa terra, per insegnare, con tale esempio, ciò che tu e gli altri dovete osservare finché siete viatori. Per i miei eletti, che da sempre sono scritti nella mia mente, non voglio che l'onore e il plauso pubblico e smodato degli uomini sia, già nella vita mortale, premio per ciò che operano per servirmi e rendermi gloria. Né è conveniente per loro trovarsi nel pericolo di dividere l'amore tra colui che li giustifica e li fa santi e coloro che già li celebrano per tali. Uno è il Creatore che li fece e li sostenta, li difende e illumina ed uno deve essere l'amore, una la loro attenzione, che non si deve dividere in parti, anche se fosse per ricambiare e gradire gli onori che si fanno ai giusti con pio zelo. L'amore divino è delicato, la volontà umana fragilissima e limitata; dividendola, ciò che fa diviene assai poco e molto imperfetto, e facilmente ne perde tutto il merito. Fu per dare al mondo questo insegnamento e per lasciare un esempio vivo in colei che era santissima - né poteva peccare data la mia protezione - che io volli non fosse conosciuta, né onorata durante la sua vita, né portata al tempio con visibile ostentazione ed onore».
418. «Inoltre, io inviai dal cielo il mio Unigenito e creai colei che doveva essere sua Madre, perché togliessero il mondo dal suo errore e disingannassero gli uomini, mostrando loro l'iniquità della legge stabilita dal peccato, per cui il povero è disprezzato e il ricco stimato, l'umile è abbassato e il superbo innalzato, il virtuoso vituperato e il peccatore onorato, il timorato è ritenuto insensato e l'arrogante valoroso; la povertà è fuggita dagli uomini stolti e carnali come cosa ignominiosa e sgraziata e sono invece ricercate come cose stimabili la ricchezza, il fasto, l'ostentazione, gli onori e i piaceri transitori. Tutto ciò il Verbo incarnato e sua Madre vennero a riprovare e condannare come cose ingannevoli, affinché i mortali conoscessero il terribile pericolo in cui vivono amandole e abbandonandosi ciecamente in braccio al fallace inganno di quanto è sensibile e dilettevole. Per questo insano amore essi fuggono la santa umiltà, la mansuetudine, la povertà ed allontanano da sé tutto ciò che è virtù vera, penitenza, negazione delle loro passioni. Eppure è questo che obbliga la mia giustizia e che è gradito ai miei occhi, perché soltanto questo è cosa santa, onesta, giusta e degna di essere premiata d'eterna gloria, come il contrario merita di venir punito con pena eterna».
419. «Tale verità non vedono gli occhi di coloro che non vogliono orientarsi verso la luce che gliela insegnerebbe, ma tu, o anima, ascoltala e scrivila nel tuo cuore mediante l'esempio del Verbo incarnato e di colei che fu sua Madre e lo imitò in tutto; fu santa e, dopo Cristo, fu la prima nel mio giudizio e gradimento, per cui si meritava ogni venerazione ed onore da parte degli uomini, benché non potessero dargliene quanta ne meritava. Tuttavia io disposi e volli che allora non fosse onorata né conosciuta, per mettere in lei quanto c'è di più santo, perfetto, stimabile e sicuro, affinché i miei eletti potessero imitarlo imparando dalla Maestra della verità: l'umiltà, il silenzio, il nascondimento, il disprezzo della vanità mondana, fallace e da temersi sommamente, l'amore alle sofferenze, alle tribolazioni, alle ingiurie e alle afflizioni da parte delle creature. Ora, siccome tutto questo non può stare insieme con il plauso, gli onori e la stima degli uomini del mondo, stabilii che Maria purissima non avesse tali cose, né voglio che i miei amici le ricevano e le accettino. E se qualche volta io, per la mia gloria, li faccio conoscere al mondo, non è perché essi lo desiderano o lo cercano, ma perché nell'umiltà, senza uscire dai loro limiti, si conformino alla mia volontà; in realtà, essi desiderano soltanto quanto il mondo disprezza e quanto operarono e insegnarono il Verbo incarnato e la sua santissima Madre». Fu questa la risposta del Signore alla mia riflessione e meraviglia e ciò mi lasciò soddisfatta e ammaestrata intorno a quello che debbo e desidero praticare.
420. Compiuti i tre anni stabiliti dal Signore, Gioacchino ed Anna partirono da Nazaret, accompagnati da alcuni congiunti; sulle braccia di sua madre portarono l'arca vera e viva, Maria santissima, per depositarla nel tempio santo di Gerusalemme. La bella bambina correva con i suoi fervorosi affetti dietro la fragranza degli unguenti del suo Diletto, per trovare nel tempio colui che già portava nel cuore. Questo piccolo e umile seguito di creature terrene procedeva senza alcuna ostentazione visibile, ma accompagnato da numerosi angeli discesi dal cielo a celebrare questa festa, oltre ai custodi della Regina bambina. Cantando con armonia celestiale nuovi inni di gloria e di lode all'Altissimo, proseguivano il loro viaggio da Nazaret a Gerusalemme. La Principessa dei cieli, che udiva e vedeva tutto, camminava a grandi passi alla vista del supremo e vero Salomone e i suoi fortunati genitori sentivano grande consolazione e giubilo nel loro spirito.
421. Arrivati al tempio, sant'Anna, felice di entrarvi con la sua figlia e Signora, la prese per mano, mentre san Gioacchino assisteva entrambe; entrati, tutti e tre fecero fervorosa e devota orazione al Signore: i genitori donandogli la figlia e lei offrendo se stessa con profonda umiltà, adorazione e riverenza. Soltanto Maria conobbe come l'Altissimo la accettava e riceveva; nello splendore divino che riempì il tempio, udì una voce che diceva: «Vieni, mia sposa, mia eletta, vieni al mio tempio, dove voglio che tu mi renda lode e mi benedica». Fatta la loro orazione si alzarono e si recarono dal sacerdote; i genitori gli consegnarono la loro bambina Maria e il sacerdote la benedì. Quindi tutti insieme la portarono all'abitazione dove si trovava il collegio delle fanciulle, che venivano solitamente educate nel raccoglimento e nei costumi, fino al raggiungimento dell'età del matrimonio; in particolare si ritiravano là le primogenite della tribù reale di Giuda e di quella sacerdotale di Levi.
422. La salita al collegio aveva quindici gradini da dove uscirono altri sacerdoti a ricevere Maria, la bambina benedetta. Quello che la portava - uno degli ordinari che per primo l'aveva ricevuta - la pose sul primo gradino, Maria gli chiese licenza e quindi, rivolta ai genitori Gioacchino e Anna, piegando le ginocchia, domandò loro la benedizione, baciò la mano all'uno e all'altra e li pregò di raccomandarla a Dio. I santi genitori le diedero la benedizione con grande tenerezza e commozione e lei salì da sola i quindici gradini con incomparabile fervore e gioia, senza volgersi indietro, né versare lacrime, senza fare alcuna azione da fanciulla, né mostrare pena per il commiato dai genitori, cosicché tutti, vedendola in così tenera età fornita di tale rara fortezza e regalità, rimasero grandemente meravigliati. I sacerdoti l'accolsero e la condussero al collegio delle altre vergini ed il sommo sacerdote Simeone la consegnò alle maestre, una delle quali era Anna, la profetessa. Questa santa donna era stata favorita da una speciale grazia e luce dell'Altissimo perché si prendesse cura della bambina di Gioacchino ed Anna e così fece per divina disposizione, meritando, per la sua santità e le sue virtù, di avere come discepola colei che doveva essere Madre di Dio e maestra di tutte le creature.
423. Gioacchino ed Anna tornarono a Nazaret afflitti e poveri, poiché erano rimasti privi del tesoro più ricco della loro casa, ma l'Altissimo li confortò e li consolò. Il santo sacerdote Simeone, benché allora non conoscesse il mistero racchiuso in Maria, fu grandemente illuminato per riconoscerla santa ed eletta dal Signore ed anche gli altri sacerdoti ebbero di lei alta stima e riverenza. Nella scala ascesa dalla bambina s'adempi ciò che Giacobbe vide nella sua, cioè gli angeli che salivano e scendevano, gli uni accompagnando, gli altri uscendo a ricevere la loro Regina; alla sommità stava Dio per accoglierla come figlia e sposa. Maria conobbe che quella era veramente la casa di Dio e la porta del cielo.
424. La bambina Maria, consegnata ed affidata alla sua maestra, chiese in ginocchio, con profonda umiltà, la benedizione e la pregò di accoglieria sotto la sua obbedienza perché le fosse maestra e consigliera, avendo pazienza per tutto quello che avrebbe avuto da patire per causa sua. Anna, la profetessa, l'accolse amabilmente dicendole: «Figlia mia, voglio che voi troviate in me una madre e una protettrice, ed io mi occuperò della vostra educazione con tutta la sollecitudine possibile». Con la stessa umiltà Maria passò subito da tutte le altre fanciulle che ivi abitavano, salutando e abbracciando ognuna e offrendosi come loro serva. Chiese poi a tutte, essendo più grandi e più istruite di lei su ciò che in quel luogo dovevano fare, che le insegnassero e le comandassero, ringraziandole perché, senza suo merito, l'avevano accettata come loro compagna.
Insegnamento della santissima vergine Maria
425. Figlia mia, la maggior fortuna che possa capitare in questa vita mortale ad un'anima è che l'Altissimo la conduca alla sua casa per consacrarla totalmente al suo servizio, poiché con tale beneficio la riscatta da una pericolosa schiavitù e la libera dalla vile servitù del mondo, dove le toccherebbe mangiare il pane col sudore della sua fronte, senza godere di libertà perfetta. Chi è così ignorante e stolto da non vedere il pericolo della vita mondana, impigliata in tante leggi ed usanze pessime, introdotte dall'astuzia diabolica e dall'umana perversità? La parte migliore è la vita religiosa e appartata: qui si trova il porto sicuro, mentre altrove è dovunque tempesta, fremere d'onde spumeggianti, piene di dolori e disgrazie. Il fatto che gli uomini non vogliano riconoscere questa verità, né gradire questo singolare beneficio, è dovuto a un'indegna durezza di cuore e alla noncuranza di loro stessi. Tu però, o figlia mia, non renderti sorda alla voce dell'Altissimo, ma fai attenzione e coopera con essa. Ti avverto: una delle maggiori cure del demonio è quella d'impedire la chiamata del Signore che dispone le anime perché si dedichino al suo servizio.
426. Il solo atto pubblico e sacro di ricevere l'abito ed entrare nella vita religiosa, sebbene non sempre si faccia col dovuto fervore e con tanta purezza d'intenzione, fa montare in ira e furore il drago infernale e i suoi demoni, sia per la gloria che ne risulta al Signore e l'allegrezza dei santi angeli, sia perché il mortale nemico sa che la vita religiosa santifica le anime e le perfeziona. Infatti, molte volte avviene che, pur avendo qualche anima abbracciata questa vita per motivi meramente umani e terreni, in seguito vi s'introduce ad operare la grazia divina che tutto migliora e riordina. Se tanto può la grazia, anche quando in principio non ci fu l'intenzione retta che conveniva, quanto più potente ed efficace sarà la luce e la virtù del Signore, unita alla disciplina religiosa, nel momento in cui l'anima entra mossa dall'amore divino e con l'intimo, sincero desiderio di trovare Dio, servirlo e amarlo?
427. Tuttavia, affinché l'Altissimo riformi o innalzi a maggiore perfezione colui che entra nella vita religiosa, da qualunque motivo vi sia attratto, bisogna che chi ha volto al mondo le spalle, non vi rivolga più gli occhi e che anzi cancelli ogni immagine dalla memoria, dimenticando tutto ciò che ha lodevolmente lasciato nel mondo. Coloro che non badano a questo avvertimento, mostrandosi ingrati e sleali con Dio, sono senza dubbio puniti col castigo della moglie di Lot. Tale castigo non è certamente, per divina pietà, pubblico e visibile agli occhi esteriori, come lo fu il primo, ma allo stesso modo è interiormente ricevuto e fa restare freddi, aridi, senza fervore né virtù. Per siffatto abbandono della grazia essi non conseguono il fine della loro vocazione, non progrediscono nella vita religiosa, non vi trovano consolazione spirituale e non meritano neppure che il Signore li guardi e li visiti come figli; anzi, egli li rifiuta, come schiavi infedeli e disertori. Considera, o Maria, che per te tutto il mondo dev'essere morto e crocifisso e tu devi essere senza memoria per tutto ciò che lo riguarda, senza ricordi, senza attenzioni, né affetto a cose terrene. Se talora sarà necessario esercitare la carità col prossimo, fa' in modo di ordinare le cose ponendo sempre al primo posto il bene della tua anima, la tua sicurezza, quiete, pace e tranquillità interiore. Se vuoi essere mia discepola ti ammonisco e ti comando di essere estremamente attenta in questo, senza porti nessun limite, se non l'eccesso che fa cadere nel vizio.
3 gennaio 1977 - QUALE FEDE?
Mons. Ottavio Michelini
Proseguiamo, figlio mio, il precedente messaggio:
Perché, figlio mio non pochi Vescovi e moltissimi sacerdoti, anzi la quasi totalità non benedicono?
Perché la loro fede è semplicemente umana, come sono solo umane le loro virtù; di conseguenza le loro benedizioni, ammesso che le facessero, sarebbero atti semplicemente umani, privi quindi della loro vera anima di fede e di conseguenza sterili e inefficaci.
Ti ho ripetutamente detto in precedenti messaggi che è giunta l'ora di porre la scure alle radici, ma per poter compiere questo atto di bonifica interiore, è necessario conoscere le radici da recidere. Ecco perché ieri ti ho spiegato con maggior chiarezza il nemico da abbattere senza tregua e senza esitazioni; senza paure o timori, senza pietà.
Satana, la superbia personificata, e le sue diaboliche legioni, di questo orribile male ha contagiato il mondo, l'intera umanità e la mia Chiesa. Tutto il male fisico, morale e spirituale, ha una unica radice: Satana.
Satana, il male, con le sue schiere di natura superiore alla natura umana, con l'inganno, con l'insidia, circuiscono le anime degli uomini dedicando (p. 107) particolare attenzione e cura alle anime dei consacrati, dei Vescovi, dei sacerdoti, religiosi e religiose, per seminare così maggior rovina nella Chiesa e perdere il maggior numero di anime.
Infatti il pervertimento è più acuto nei popoli cristiani che in quelli non cristiani.
Sembrano vivi ma vivi non sono
Maestri insuperabili sono questi luridi demoni per la loro superiorità di natura, per la loro maestria nel mentire; è relativamente facile sviare cristiani, sacerdoti e anche Vescovi dalla retta via in nome della dignità, in nome della personalità, e non di rado in nome del dovere, li compenetrano di pseudo zelo, di un bruciante desiderio di fare, per cui trascurano la pietà, la vita interiore, e si accentua sempre più l'attività esteriore, finendo pian piano di dimenticarsi di Dio che sostituiscono con il loro io.
Esteriormente ti appaiono vivi come certi manichini esposti nelle vetrine, ma in realtà vivi non sono; ti appaiono perfino buoni e perfino santi, ma non sono né buoni, né santi; si sostituiscono a Me, Verbo Eterno di Dio, che mi vedono sfumato nello sfondo dei tempi, ma non mi sentono vivo, vero, reale, presente nella persona del mio Vicario che poco amano, che raramente ascoltano e di cui quasi mai trasmettono ai loro sacerdoti e fedeli le sue sapienti parole. (p. 108)
In precedenti messaggi Io ti ho detto che per scongiurare un così grande male ho tracciato con la mia vita terrena, con le mie parole, con i miei esempi una strada sicurissima di umiltà, povertà, obbedienza, di preghiera, di mortificazione; essi non hanno voluto imboccare questa strada e si sono smarriti nei labirinti paurosi della superbia e dell'ambizione.
Solo per questo, figlio, sono rimasti sordi ai miei richiami, per questo hanno resistito e resistono mei moniti, ai miei inviti alla conversione.
Come convertirsi essi, i maestri?!
Eppure ho indicato il rimedio al loro gravissimo male, la superbia che può essere vinta solo dalla virtù opposta, cioè dall'umiltà.
Exemplum dedi vobis
Io Gesù, vero Dio e vero Uomo, vi ho preceduti con l'esempio, Io sono un mistero di infinita umiltà presente nell'Eucaristia.
Vescovi e sacerdoti ignorano questo?
Se sì, è la conferma del buio in cui sono immersi, se no come spiegare il loro assurdo e paradossale comportamento in contrasto stridente con Me Verbo di Dio, Salvatore e Redentore dell'umanità?
Figlio, come spiegare la caduta di tutte le fortezze spirituali disseminate in tutta la mia Chiesa, (p. 109) Seminari, Ordini, Congregazioni religiose, conventi, monasteri?
Come spiegare il professionismo di cui altrove ti ho fatto cenno, come spiegare la loro diplomazia emula di quella mondana che si può definire l'arte del mentire e della ipocrisia, tanto che si dice che un buon diplomatico deve convincere i suoi interlocutori del contrario di quello che lui dice?
Figlio mio, siamo al lato opposto di quello che Io ho insegnato; la mia diplomazia è stata quella della verità, anche quando la verità mi ha portato alla Croce.
Ma proprio hanno dimenticato ciò che è detto nel mio Vangelo, se sì è sì, se no è no; questa è la mia diplomazia.
Ripeto, è la diplomazia della verità spoglia di qualsiasi interesse personale e che fa parte dell'amore vero e non fittizio, dell'amore genuino che tende al bene altrui e non alla salvaguardia del prestigio e dignità personale.
Figlio mio, come si è potuto giungere a tanto pervertimento ammantato di zelo e di santità?
La risposta te l'ho già anticipata tante volte: la superbia e il rifiuto dichiarato o peggio ancora tacilo di Dio, questo è il più grande fra tutti i peccati.
Ti benedico, figlio mio, ripara e voglimi bene. (p. 110)