Sotto il Tuo Manto

Lunedi, 21 luglio 2025 - San Lorenzo da Brindisi (Letture di oggi)

"Voi, chi dite che io sia?" - chiese Gesù ai discepoli. La stessa domanda sarà  rivolta a tutte le generazioni di discepoli. Ed è posta anche a noi, a me e a te, che forse possiamo comprendere meglio l'impegno che essa richiede. Nessuno può rispondere per me. Essa mi induce a scavare dentro di me e mi obbliga a rispondere personalmente, e non in maniera convenzionale né con una risposta già  confezionata, né per sentito dire; neanche il catechismo basta più per rispondere. Si può rispondere veramente solo se si prega e si entra in intimità  con Cristo. Ogni volta che entri nel Mistero di Cristo trovi risposta anche ad un'altra domanda esistenziale, cioè chi sei tu? Più entri in Cristo, più conosci te stesso. (Don Nikola Vucic)

Liturgia delle Ore - Letture

Sabato della 25° settimana del tempo ordinario (San Vincenzo de Paoli)

Per questa Liturgia delle Ore è disponibile sia la versione del tempo corrente che quella dedicata alla memoria di un Santo. Per cambiare versione, clicca su questo collegamento.
Questa sezione contiene delle letture scelte a caso, provenienti dalle varie sezioni del sito (Sacra Bibbia e la sezione Biblioteca Cristiana), mentre l'ultimo tab Apparizioni, contiene messaggi di apparizioni a mistici o loro scritti. Sono presenti testi della Valtorta, Luisa Piccarreta, don Stefano Gobbi e testimonianze di apparizioni mariane riconosciute.

Vangelo secondo Marco 6

1Partito quindi di là, andò nella sua patria e i discepoli lo seguirono.2Venuto il sabato, incominciò a insegnare nella sinagoga. E molti ascoltandolo rimanevano stupiti e dicevano: "Donde gli vengono queste cose? E che sapienza è mai questa che gli è stata data? E questi prodigi compiuti dalle sue mani?3Non è costui il carpentiere, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle non stanno qui da noi?". E si scandalizzavano di lui.4Ma Gesù disse loro: "Un profeta non è disprezzato che nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua".5E non vi poté operare nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi ammalati e li guarì.6E si meravigliava della loro incredulità.

Gesù andava attorno per i villaggi, insegnando.
7Allora chiamò i Dodici, ed incominciò a mandarli a due a due e diede loro potere sugli spiriti immondi.8E ordinò loro che, oltre al bastone, non prendessero nulla per il viaggio: né pane, né bisaccia, né denaro nella borsa;9ma, calzati solo i sandali, non indossassero due tuniche.10E diceva loro: "Entrati in una casa, rimanetevi fino a che ve ne andiate da quel luogo.11Se in qualche luogo non vi riceveranno e non vi ascolteranno, andandovene, scuotete la polvere di sotto ai vostri piedi, a testimonianza per loro".12E partiti, predicavano che la gente si convertisse,13scacciavano molti demòni, ungevano di olio molti infermi e li guarivano.

14Il re Erode sentì parlare di Gesù, poiché intanto il suo nome era diventato famoso. Si diceva: "Giovanni il Battista è risuscitato dai morti e per questo il potere dei miracoli opera in lui".15Altri invece dicevano: "È Elia"; altri dicevano ancora: "È un profeta, come uno dei profeti".16Ma Erode, al sentirne parlare, diceva: "Quel Giovanni che io ho fatto decapitare è risuscitato!".

17Erode infatti aveva fatto arrestare Giovanni e lo aveva messo in prigione a causa di Erodìade, moglie di suo fratello Filippo, che egli aveva sposata.18Giovanni diceva a Erode: "Non ti è lecito tenere la moglie di tuo fratello".19Per questo Erodìade gli portava rancore e avrebbe voluto farlo uccidere, ma non poteva,20perché Erode temeva Giovanni, sapendolo giusto e santo, e vigilava su di lui; e anche se nell'ascoltarlo restava molto perplesso, tuttavia lo ascoltava volentieri.
21Venne però il giorno propizio, quando Erode per il suo compleanno fece un banchetto per i grandi della sua corte, gli ufficiali e i notabili della Galilea.22Entrata la figlia della stessa Erodìade, danzò e piacque a Erode e ai commensali. Allora il re disse alla ragazza: "Chiedimi quello che vuoi e io te lo darò".23E le fece questo giuramento: "Qualsiasi cosa mi chiederai, te la darò, fosse anche la metà del mio regno".24La ragazza uscì e disse alla madre: "Che cosa devo chiedere?". Quella rispose: "La testa di Giovanni il Battista".25Ed entrata di corsa dal re fece la richiesta dicendo: "Voglio che tu mi dia subito su un vassoio la testa di Giovanni il Battista".26Il re divenne triste; tuttavia, a motivo del giuramento e dei commensali, non volle opporle un rifiuto.27Subito il re mandò una guardia con l'ordine che gli fosse portata la testa.28La guardia andò, lo decapitò in prigione e portò la testa su un vassoio, la diede alla ragazza e la ragazza la diede a sua madre.29I discepoli di Giovanni, saputa la cosa, vennero, ne presero il cadavere e lo posero in un sepolcro.

30Gli apostoli si riunirono attorno a Gesù e gli riferirono tutto quello che avevano fatto e insegnato.31Ed egli disse loro: "Venite in disparte, in un luogo solitario, e riposatevi un po'". Era infatti molta la folla che andava e veniva e non avevano più neanche il tempo di mangiare.32Allora partirono sulla barca verso un luogo solitario, in disparte.
33Molti però li videro partire e capirono, e da tutte le città cominciarono ad accorrere là a piedi e li precedettero.34Sbarcando, vide molta folla e si commosse per loro, perché erano come pecore senza pastore, e si mise a insegnare loro molte cose.35Essendosi ormai fatto tardi, gli si avvicinarono i discepoli dicendo: "Questo luogo è solitario ed è ormai tardi;36congedali perciò, in modo che, andando per le campagne e i villaggi vicini, possano comprarsi da mangiare".37Ma egli rispose: "Voi stessi date loro da mangiare". Gli dissero: "Dobbiamo andar noi a comprare duecento denari di pane e dare loro da mangiare?".38Ma egli replicò loro: "Quanti pani avete? Andate a vedere". E accertatisi, riferirono: "Cinque pani e due pesci".39Allora ordinò loro di farli mettere tutti a sedere, a gruppi, sull'erba verde.40E sedettero tutti a gruppi e gruppetti di cento e di cinquanta.41Presi i cinque pani e i due pesci, levò gli occhi al cielo, pronunziò la benedizione, spezzò i pani e li dava ai discepoli perché li distribuissero; e divise i due pesci fra tutti.42Tutti mangiarono e si sfamarono,43e portarono via dodici ceste piene di pezzi di pane e anche dei pesci.44Quelli che avevano mangiato i pani erano cinquemila uomini.

45Ordinò poi ai discepoli di salire sulla barca e precederlo sull'altra riva, verso Betsàida, mentre egli avrebbe licenziato la folla.46Appena li ebbe congedati, salì sul monte a pregare.47Venuta la sera, la barca era in mezzo al mare ed egli solo a terra.48Vedendoli però tutti affaticati nel remare, poiché avevano il vento contrario, già verso l'ultima parte della notte andò verso di loro camminando sul mare, e voleva oltrepassarli.49Essi, vedendolo camminare sul mare, pensarono: "È un fantasma", e cominciarono a gridare,50perché tutti lo avevano visto ed erano rimasti turbati. Ma egli subito rivolse loro la parola e disse: "Coraggio, sono io, non temete!".51Quindi salì con loro sulla barca e il vento cessò. Ed erano enormemente stupiti in se stessi,52perché non avevano capito il fatto dei pani, essendo il loro cuore indurito.

53Compiuta la traversata, approdarono e presero terra a Genèsaret.54Appena scesi dalla barca, la gente lo riconobbe,55e accorrendo da tutta quella regione cominciarono a portargli sui lettucci quelli che stavano male, dovunque udivano che si trovasse.56E dovunque giungeva, in villaggi o città o campagne, ponevano i malati nelle piazze e lo pregavano di potergli toccare almeno la frangia del mantello; e quanti lo toccavano guarivano.


Genesi 11

1Tutta la terra aveva una sola lingua e le stesse parole.2Emigrando dall'oriente gli uomini capitarono in una pianura nel paese di Sennaar e vi si stabilirono.3Si dissero l'un l'altro: "Venite, facciamoci mattoni e cuociamoli al fuoco". Il mattone servì loro da pietra e il bitume da cemento.4Poi dissero: "Venite, costruiamoci una città e una torre, la cui cima tocchi il cielo e facciamoci un nome, per non disperderci su tutta la terra".5Ma il Signore scese a vedere la città e la torre che gli uomini stavano costruendo.6Il Signore disse: "Ecco, essi sono un solo popolo e hanno tutti una lingua sola; questo è l'inizio della loro opera e ora quanto avranno in progetto di fare non sarà loro impossibile.7Scendiamo dunque e confondiamo la loro lingua, perché non comprendano più l'uno la lingua dell'altro".8Il Signore li disperse di là su tutta la terra ed essi cessarono di costruire la città.9Per questo la si chiamò Babele, perché là il Signore confuse la lingua di tutta la terra e di là il Signore li disperse su tutta la terra.
10Questa è la discendenza di Sem: Sem aveva cento anni quando generò Arpacsad, due anni dopo il diluvio;11Sem, dopo aver generato Arpacsad, visse cinquecento anni e generò figli e figlie.
12Arpacsad aveva trentacinque anni quando generò Selach;13Arpacsad, dopo aver generato Selach, visse quattrocentotré anni e generò figli e figlie.
14Selach aveva trent'anni quando generò Eber;15Selach, dopo aver generato Eber, visse quattrocentotrenta anni e generò figli e figlie.
16Eber aveva trentaquattro anni quando generò Peleg;17Eber, dopo aver generato Peleg, visse quattrocentotrenta anni e generò figli e figlie.
18Peleg aveva trent'anni quando generò Reu;19Peleg, dopo aver generato Reu, visse duecentonove anni e generò figli e figlie.
20Reu aveva trentadue anni quando generò Serug;21Reu, dopo aver generato Serug, visse duecentosette anni e generò figli e figlie.
22Serug aveva trent'anni quando generò Nacor;23Serug, dopo aver generato Nacor, visse duecento anni e generò figli e figlie.
24Nacor aveva ventinove anni quando generò Terach;25Nacor, dopo aver generato Terach, visse centodiciannove anni e generò figli e figlie.
26Terach aveva settant'anni quando generò Abram, Nacor e Aran.
27Questa è la posterità di Terach: Terach generò Abram, Nacor e Aran: Aran generò Lot.28Aran poi morì alla presenza di suo padre Terach nella sua terra natale, in Ur dei Caldei.29Abram e Nacor si presero delle mogli; la moglie di Abram si chiamava Sarai e la moglie di Nacor Milca, ch'era figlia di Aran, padre di Milca e padre di Isca.30Sarai era sterile e non aveva figli.
31Poi Terach prese Abram, suo figlio, e Lot, figlio di Aran, figlio cioè del suo figlio, e Sarai sua nuora, moglie di Abram suo figlio, e uscì con loro da Ur dei Caldei per andare nel paese di Canaan. Arrivarono fino a Carran e vi si stabilirono.
32L'età della vita di Terach fu di duecentocinque anni; Terach morì in Carran.


Salmi 147

1Alleluia.

Lodate il Signore:
è bello cantare al nostro Dio,
dolce è lodarlo come a lui conviene.

2Il Signore ricostruisce Gerusalemme,
raduna i dispersi d'Israele.
3Risana i cuori affranti
e fascia le loro ferite;
4egli conta il numero delle stelle
e chiama ciascuna per nome.
5Grande è il Signore, onnipotente,
la sua sapienza non ha confini.
6Il Signore sostiene gli umili
ma abbassa fino a terra gli empi.

7Cantate al Signore un canto di grazie,
intonate sulla cetra inni al nostro Dio.
8Egli copre il cielo di nubi,
prepara la pioggia per la terra,
fa germogliare l'erba sui monti.
9Provvede il cibo al bestiame,
ai piccoli del corvo che gridano a lui.
10Non fa conto del vigore del cavallo,
non apprezza l'agile corsa dell'uomo.
11Il Signore si compiace di chi lo teme,
di chi spera nella sua grazia.

12Alleluia.

Glorifica il Signore, Gerusalemme,
loda il tuo Dio, Sion.
13Perché ha rinforzato le sbarre delle tue porte,
in mezzo a te ha benedetto i tuoi figli.
14Egli ha messo pace nei tuoi confini
e ti sazia con fior di frumento.
15Manda sulla terra la sua parola,
il suo messaggio corre veloce.
16Fa scendere la neve come lana,
come polvere sparge la brina.

17Getta come briciole la grandine,
di fronte al suo gelo chi resiste?
18Manda una sua parola ed ecco si scioglie,
fa soffiare il vento e scorrono le acque.
19Annunzia a Giacobbe la sua parola,
le sue leggi e i suoi decreti a Israele.
20Così non ha fatto con nessun altro popolo,
non ha manifestato ad altri i suoi precetti.

Alleluia.


Salmi 135

1Alleluia.

Lodate il nome del Signore,
lodatelo, servi del Signore,
2voi che state nella casa del Signore,
negli atri della casa del nostro Dio.
3Lodate il Signore: il Signore è buono;
cantate inni al suo nome, perché è amabile.
4Il Signore si è scelto Giacobbe,
Israele come suo possesso.

5Io so che grande è il Signore,
il nostro Dio sopra tutti gli dèi.
6Tutto ciò che vuole il Signore,
egli lo compie in cielo e sulla terra,
nei mari e in tutti gli abissi.
7Fa salire le nubi dall'estremità della terra,
produce le folgori per la pioggia,
dalle sue riserve libera i venti.

8Egli percosse i primogeniti d'Egitto,
dagli uomini fino al bestiame.
9Mandò segni e prodigi
in mezzo a te, Egitto,
contro il faraone e tutti i suoi ministri.
10Colpì numerose nazioni
e uccise re potenti:
11Seon, re degli Amorrèi,
Og, re di Basan,
e tutti i regni di Cànaan.
12Diede la loro terra in eredità a Israele,
in eredità a Israele suo popolo.

13Signore, il tuo nome è per sempre;
Signore, il tuo ricordo per ogni generazione.
14Il Signore guida il suo popolo,
si muove a pietà dei suoi servi.

15Gli idoli dei popoli sono argento e oro,
opera delle mani dell'uomo.
16Hanno bocca e non parlano;
hanno occhi e non vedono;
17hanno orecchi e non odono;
non c'è respiro nella loro bocca.
18Sia come loro chi li fabbrica
e chiunque in essi confida.
19Benedici il Signore, casa d'Israele;
benedici il Signore, casa di Aronne;
20Benedici il Signore, casa di Levi;
voi che temete il Signore, benedite il Signore.

21Da Sion sia benedetto il Signore.
che abita a Gerusalemme. Alleluia.


Ezechiele 33

1Mi fu rivolta questa parola del Signore:2"Figlio dell'uomo, parla ai figli del tuo popolo e di' loro: Se mando la spada contro un paese e il popolo di quella terra prende un uomo del suo territorio e lo pone quale sentinella,3e questa, vedendo sopraggiungere la spada sul paese, suona la tromba e da' l'allarme al popolo:4se colui che ben sente il suono della tromba non ci bada e la spada giunge e lo sorprende, egli dovrà a se stesso la propria rovina.5Aveva udito il suono della tromba, ma non ci ha badato: sarà responsabile della sua rovina; se ci avesse badato, si sarebbe salvato.6Se invece la sentinella vede giunger la spada e non suona la tromba e il popolo non è avvertito e la spada giunge e sorprende qualcuno, questi sarà sorpreso per la sua iniquità: ma della sua morte domanderò conto alla sentinella.7O figlio dell'uomo, io ti ho costituito sentinella per gli Israeliti; ascolterai una parola dalla mia bocca e tu li avvertirai da parte mia.8Se io dico all'empio: Empio tu morirai, e tu non parli per distoglier l'empio dalla sua condotta, egli, l'empio, morirà per la sua iniquità; ma della sua morte chiederò conto a te.
9Ma se tu avrai ammonito l'empio della sua condotta perché si converta ed egli non si converte, egli morirà per la sua iniquità. Tu invece sarai salvo.

10Tu, figlio dell'uomo, annunzia agli Israeliti: Voi dite: I nostri delitti e i nostri peccati sono sopra di noi e in essi noi ci consumiamo! In che modo potremo vivere?11Di' loro: Com'è vero ch'io vivo - oracolo del Signore Dio - io non godo della morte dell'empio, ma che l'empio desista dalla sua condotta e viva. Convertitevi dalla vostra condotta perversa! Perché volete perire, o Israeliti?
12Figlio dell'uomo, di' ancora ai figli del tuo popolo: La giustizia del giusto non lo salva se pecca, e l'empio non cade per la sua iniquità se desiste dall'iniquità, come il giusto non potrà vivere per la sua giustizia se pecca.13Se io dico al giusto: Vivrai, ed egli, confidando sulla sua giustizia commette l'iniquità, nessuna delle sue azioni buone sarà più ricordata e morirà nella malvagità che egli ha commesso.14Se dico all'empio: Morirai, ed egli desiste dalla sua iniquità e compie ciò che è retto e giusto,15rende il pegno, restituisce ciò che ha rubato, osserva le leggi della vita, senza commettere il male, egli vivrà e non morirà;16nessuno dei peccati che ha commessi sarà più ricordato: egli ha praticato ciò che è retto e giusto e certamente vivrà.
17Eppure, i figli del tuo popolo vanno dicendo: Il modo di agire del Signore non è retto. È invece il loro modo di agire che non è retto!18Se il giusto desiste dalla giustizia e fa il male, per questo certo morirà.19Se l'empio desiste dall'empietà e compie ciò che è retto e giusto, per questo vivrà.20Voi andate dicendo: Non è retto il modo di agire del Signore. Giudicherò ciascuno di voi secondo il suo modo di agire, Israeliti".

21Il cinque del decimo mese dell'anno decimosecondo della nostra deportazione arrivò da me un fuggiasco da Gerusalemme per dirmi: La città è presa.22La sera prima dell'arrivo del fuggiasco, la mano del Signore fu su di me e al mattino, quando il fuggiasco giunse, il Signore mi aprì la bocca. La mia bocca dunque si aprì e io non fui più muto.
23Mi fu rivolta questa parola del Signore:24"Figlio dell'uomo, gli abitanti di quelle rovine, nel paese d'Israele, vanno dicendo: Abramo era uno solo ed ebbe in possesso il paese e noi siamo molti: a noi dunque è stato dato in possesso il paese!
25Perciò dirai loro: Così dice il Signore Dio: Voi mangiate la carne con il sangue, sollevate gli occhi ai vostri idoli, versate il sangue, e vorreste avere in possesso il paese?26Voi vi appoggiate sulle vostre spade, compite cose nefande, ognuno di voi disonora la donna del suo prossimo e vorreste avere in possesso il paese?27Annunzierai loro: Dice il Signore Dio: Com'è vero ch'io vivo, quelli che stanno fra le rovine periranno di spada; darò in pasto alle belve quelli che sono per la campagna e quelli che sono nelle fortezze e dentro le caverne moriranno di peste.28Ridurrò il paese ad una solitudine e a un deserto e l'orgoglio della sua forza cesserà. I monti d'Israele saranno devastati, non ci passerà più nessuno.29Sapranno che io sono il Signore quando farò del loro paese una solitudine e un deserto, a causa di tutti gli abomini che hanno commessi.

30Figlio dell'uomo, i figli del tuo popolo parlano di te lungo le mura e sulle porte delle case e si dicono l'un l'altro: Andiamo a sentire qual è la parola che viene dal Signore.31In folla vengono da te, si mettono a sedere davanti a te e ascoltano le tue parole, ma poi non le mettono in pratica, perché si compiacciono di parole, mentre il loro cuore va dietro al guadagno.32Ecco, tu sei per loro come una canzone d'amore: bella è la voce e piacevole l'accompagnamento musicale. Essi ascoltano le tue parole, ma non le mettono in pratica.33Ma quando ciò avverrà ed ecco avviene, sapranno che c'è un profeta in mezzo a loro".


Lettera agli Efesini 3

1Per questo, io Paolo, il prigioniero di Cristo per voi Gentili...2penso che abbiate sentito parlare del ministero della grazia di Dio, a me affidato a vostro beneficio:3come per rivelazione mi è stato fatto conoscere il mistero di cui sopra vi ho scritto brevemente.4Dalla lettura di ciò che ho scritto potete ben capire la mia comprensione del mistero di Cristo.5Questo mistero non è stato manifestato agli uomini delle precedenti generazioni come al presente è stato rivelato ai suoi santi apostoli e profeti per mezzo dello Spirito:6che i Gentili cioè sono chiamati, in Cristo Gesù, a partecipare alla stessa eredità, a formare lo stesso corpo, e ad essere partecipi della promessa per mezzo del vangelo,7del quale sono divenuto ministro per il dono della grazia di Dio a me concessa in virtù dell'efficacia della sua potenza.8A me, che sono l'infimo fra tutti i santi, è stata concessa questa grazia di annunziare ai Gentili le imperscrutabili ricchezze di Cristo,9e di far risplendere agli occhi di tutti qual è l'adempimento del mistero nascosto da secoli nella mente di Dio, creatore dell'universo,10perché sia manifestata ora nel cielo, per mezzo della Chiesa, ai Principati e alle Potestà la multiforme sapienza di Dio,11secondo il disegno eterno che ha attuato in Cristo Gesù nostro Signore,12il quale ci dà il coraggio di avvicinarci in piena fiducia a Dio per la fede in lui.13Vi prego quindi di non perdervi d'animo per le mie tribolazioni per voi; sono gloria vostra.

14Per questo, dico, io piego le ginocchia davanti al Padre,15dal quale ogni paternità nei cieli e sulla terra prende nome,16perché vi conceda, secondo la ricchezza della sua gloria, di essere potentemente rafforzati dal suo Spirito nell'uomo interiore.17Che il Cristo abiti per la fede nei vostri cuori e così, radicati e fondati nella carità,18siate in grado di comprendere con tutti i santi quale sia l'ampiezza, la lunghezza, l'altezza e la profondità,19e conoscere l'amore di Cristo che sorpassa ogni conoscenza, perché siate ricolmi di tutta la pienezza di Dio.

20A colui che in tutto ha potere di fare
molto più di quanto possiamo domandare o pensare,
secondo la potenza che già opera in noi,
21a lui la gloria nella Chiesa e in Cristo Gesù
per tutte le generazioni, nei secoli dei secoli! Amen.


Capitolo XI: Il Corpo di Cristo e la Sacra Scrittura, necessarissimi all’anima devota

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Parola del discepolo

1.  O soave Signore Gesù, quanto è dolce all'anima devota sedere alla tua mensa, al tuo convito, nel quale le viene presentato come cibo nient'altro all'infuori di te, unico suo amato, desiderabile più di ogni desiderio del suo cuore. Anche per me sarebbe cosa soave sciogliermi in pianto, con profonda commozione, dinanzi a te, e, con la Maddalena amorosa, bagnare di lacrime i tuoi piedi. Ma dove è tanto slancio di devozione; dove è una tale profusione di lacrime sante? Eppure, alla tua presenza e alla presenza dei tuoi angeli, dovrei ardere tutto nell'intimo e piangere di gioia; giacché nel Sacramento ti possiedo veramente presente, per quanto nascosto sotto altra apparenza. Infatti i miei occhi non ti potrebbero sostenere, nella tua luce divina; anzi neppure il mondo intero potrebbe sussistere, dinanzi al fulgore della tua maestà. Tu vieni incontro, dunque, alla mia debolezza, nascondendoti sotto il Sacramento. Possiedo veramente ed adoro colui che gli angeli adorano in cielo. Io lo adoro per ora nella fede; gli angeli, invece, faccia a faccia, senza alcun velo. Io devo starmene nel lume della fede, e camminare in essa, finché appaia il giorno dell'eterna luce e venga meno il velo delle figure simboliche (cf. Ct 2,17; 4,6). "Quando poi verrà il compimento di tutte le cose" (1Cor 13,10), cesserà l'uso dei segni sacramentali. Nella gloria del cielo, i beati non hanno bisogno infatti del rimedio dei sacramenti: il loro gaudio non ha termine, essendo essi alla presenza di Dio, vedendo essi, faccia a faccia, la sua gloria. Passano di luce in luce fino agli abissi della divinità, e gustano appieno il verbo di Dio fatto carne, quale fu all'inizio e quale rimane in eterno. Conscio di queste cose meravigliose, trovo molesta persino ogni consolazione spirituale: infatti tutto ciò che vedo e odo quaggiù lo considero un niente, fino a che non veda manifestamente il mio Signore, nella sua gloria. Tu mi sei testimone, o Dio, che non c'è cosa che mi possa dare conforto, non c'è creatura che mi possa dare contentezza, all'infuori di te, che bramo contemplare in eterno. Ma ciò non è possibile mentre sono in questa vita mortale; e perciò occorre che mi rassegni a una grande pazienza e mi sottometta a te in tutti i miei desideri. Anche i tuoi santi, o Signore, che ora esultano in te nel regno dei cieli, aspettarono l'evento della tua gloria, mentre erano in questa vita, con fede e con pazienza grande. Ciò che essi credettero, credo anch'io; ciò che essi sperarono, spero anch'io; dove essi giunsero, confido, per la tua grazia, di giungere anch'io. Frattanto, camminerò nella fede, irrobustito dagli esempi dei santi. Terrò poi, "come conforto" (1Mac 12,9) e specchio di vita, i libri santi; soprattutto terrò, come unico rimedio e come rifugio, il tuo Corpo santissimo.

2. In verità, due cose sento come massimamente necessarie per me, quaggiù; senza di esse questa vita di miserie mi sarebbe insopportabile. Trattenuto nel carcere di questo corpo, di due cose riconosco di avere bisogno, cioè di alimento e di luce. E a me, che sono tanto debole, tu hai dato, appunto come cibo il tuo santo corpo, e come lume hai posto dinanzi ai miei piedi "la tua parola" (Sal 118,105). Poiché la parola di Dio è luce dell'anima e il tuo Sacramento è pane di vita, non potrei vivere santamente se mi mancassero queste due cose. Le quali potrebbero essere intese come le "due mense" (Ez 40,40) poste da una parte e dall'altra nel prezioso tempio della santa Chiesa; una, la mensa del sacro altare, con il pane santo, il prezioso corpo di Cristo; l'altra la mensa della legge di Dio, compendio della santa dottrina, maestra di vera fede, e sicura guida, al di là del velo del tempio, al sancta sanctorum (Eb 6,19s; 9,3).

3. Ti siano, dunque, rese grazie, o Signore Gesù, che brilli di eterna luce, per questa mensa della santa dottrina, che ci hai preparato per mezzo dei tuoi servi, i profeti, gli apostoli e gli altri dottori. Ti siano rese grazie, Creatore e Redentore degli uomini, che, per dimostrare al mondo intero il tuo amore, hai preparato la grande cena, in cui disponesti come cibo, non già il simbolico agnello, ma il tuo corpo santissimo e il tuo sangue, inebriando tutti i tuoi fedeli al calice della salvezza e colmandoli di letizia al tuo convito: il convito che compendia tutte le delizie del paradiso e nel quale banchettano con noi, e con più dolce soavità, gli angeli santi. Quale grandezza, quale onore, nell'ufficio dei sacerdoti, ai quali è dato di consacrare, con le sacre parole, il Signore altissimo; di benedirlo con le proprie labbra, di tenerlo con le proprie mani; di nutrirsene con la propria bocca e di distribuirlo agli altri. Quanto devono essere pure quelle mani; quanto deve essere pura la bocca, e santo il corpo e immacolato il cuore del sacerdote, nel quale entra tante volte l'autore della purezza. Non una parola, che non sia santa, degna e buona, deve venire dalle labbra del sacerdote, che riceve così spesso il Sacramento; semplici e pudichi devono essere gli occhi di lui, che abitualmente sono fissi alla visione del corpo di Cristo; pure ed elevate al cielo devono essere le mani di lui, che sovente toccano il Creatore del cielo e della terra. E' proprio per i sacerdoti che è detto nella legge: "siate santi, perché io, il Signore Dio vostro, sono santo" (Lv 19,2). Onnipotente Iddio, venga in nostro soccorso la tua grazia, affinché noi, che abbiamo assunto l'ufficio sacerdotale, sappiamo stare intimamente vicini a te, in modo degno, con devozione, in grande purezza di cuore e con coscienza irreprensibile. Che se non possiamo mantenerci in così piena innocenza di vita, come dovremmo, almeno concedi a noi di piangere sinceramente il male che abbiamo compiuto; concedi a noi di servirti, per l'avvenire, più fervorosamente, in spirito di umiltà e con proposito di buona volontà.


LETTERA 94: Paolino ringrazia Agostino per il libro o lettera ricevuta

Lettere - Sant'Agostino

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Scritta il 25 maggio del 408 o del 409.

Paolino ringrazia Agostino per il libro o lettera ricevuta (n. 1), tesse l'elogio di Melania e del figlio Publicola, morto da poco (n. 2-4); propone infine alcune questioni sul futuro modo di agire dei beati dopo la loro risurrezione (n. 5-8).

PAOLINO E TERASIA, PECCATORI, AD AGOSTINO, BEATISSIMO E SANTO VESCOVO DEL SIGNORE, SINGOLARMENTE A NOI INTIMO E VENERABILE PADRE, FRATELLO E MAESTRO NOSTRO

Paolino ringrazia per le lettere ricevute.

1. La tua parola è sempre lampada ai miei passi e luce ai mie sentieri 1. Così, ogni qual volta ricevo una lettera dalla tua beatissima Santità, vedo dileguarsi le tenebre della mia ignoranza e, come se mi venisse spalmato del collirio rischiarante sugli occhi della mente, vedo più chiaramente come se si fosse dissipata la notte della mia ignoranza e dissolta la caligine del dubbio. Ho provato spesso altre volte questo effetto delle tue lettere, ma lo provo al massimo grado per la tua ultima lettera in forma di opuscolo, di cui fu latore tanto gradito quanto degno il diacono Quinto, nostro fratello benedetto dal Signore. Egli mi recapitò la tua lettera contenente le sante parole della tua bocca dopo un bel pezzo dalla sua venuta a Roma, ove io mi ero recato, secondo la mia abitudine di ogni anno, dopo la Pasqua, in devoto pellegrinaggio a venerare le tombe degli Apostoli e dei martiri. Poiché ignoravo il tempo da lui trascorso a Roma a mia insaputa, mi parve che arrivasse proprio allora dal tuo cospetto, in modo che, appena lo vidi e mi consegnò il tuo opuscolo, pieno del profumo della tua soavità, esalante dalle tue espressioni fragranti di un purissimo balsamo celeste, stentai a credere che gli si fosse potuto allontanare dalla tua presenza e arrivare così presto da me. Confesso tuttavia alla tua veneranda Carità di non aver potuto leggere subito a Roma il tuo opuscolo appena mi fu consegnato; c'era lì tanta gente, che non ebbi modo d'esaminare diligentemente il tuo scritto prezioso e godermelo come era mio desiderio, leggendolo tutto di seguito da cima a fondo, appena avessi potuto iniziarne la lettura. Quindi, come suole accadere allorché si attende sicuri una mensa già imbandita, sebbene dovessi frenare la fame dell'avida mente, tenni in mano il tuo libro, ch'era come il pane tanto desiderato, nella sicura speranza che in seguito avrei trovato piena soddisfazione nel divorarlo; esso infatti di lì a non molto arrecò invincibile dolcezza alla mia bocca e al mio corpo. Potei così trattenere facilmente la gola avida d'assaporare il miele della tua lettera fino a quando non partii da Roma e non interruppi il viaggio, durante la sosta d'un giorno che avrei dovuto fare e che realmente feci, nella città di Formia, allora impiegai quell'intero giorno nella lettura della tua opera. Potei in tal modo assaporare le delizie spirituali della tua lettera, libero com'ero da ogni preoccupazione, lontano dallo strepito assordante della folta.

Lodi a Melania.

2. Che cosa potrei dunque rispondere io, tanto basso e terreno, alla tua sapienza concèssati dall'alto, non compresa dal mondo, non gustata se non da chi è sapiente della sapienza di Dio ed eloquente della parola di Dio? Ti risponderò quindi di avere la prova che Cristo parla per tuo mezzo: loderò in Dio le tue parole 2, non temerò lo spavento notturno 3, poiché mediante lo spirito di verità mi hai insegnato la salutare rassegnazione dell'animo nei casi luttuosi della vita, con la quale hai visto la beata madre e nonna Melania piangere la morte fisica del suo unico figlio con tacito cordoglio, è vero, ma pure con dolore non privo di lacrime materne. E tu, per essere più vicino e più simile di spirito a lei, hai potuto comprendere più a fondo le sue modeste e nobili lacrime e senza perdere la forza del tuo animo virile, hai potuto contemplare meglio il cuore materno di quella perfetta donna cristiana, data la somiglianza del tuo cuore col suo e la condizione di spirito consimile alla sua. L'hai osservata dapprima commossa per causa dell'affetto naturale e poi, fortemente addolorata per un motivo più elevato, l'hai vista piangere non tanto per il fatto umano d'aver perduto in questa vita l'unico suo figlio (pur sempre soggetto alla condizione mortale), quanto per il fatto ch'egli - così essa pensava - era stato per così dire sorpreso dalla morte nella vanità della vita umana, quando ancora non aveva rinunciato al fasto della dignità senatoriale. La madre lo piangeva soprattutto perché era stato tolto da questo mondo non come essa avrebbe bramato nei suoi santi desideri, perché avrebbe voluto che dalla gloria di questa terra fosse passato alla gloria della risurrezione per ricevere con la madre il premio del riposo e della corona celeste, qualora nella vita terrena, seguendo l'esempio della madre, avesse preferito l'umile abito monacale alla toga pretesta e il monastero al senato.

Lodi a Publicola, suo figlio.

3. Ciononostante lo stesso nobile uomo, come credo d'aver già fatto sapere alla tua Santità, è morto ricco di tali opere buone che, anche se non mostrò con l'abito la nobiltà dell'umile vita della madre, non di meno la diede a vedere nell'intimo dell'animo. In realtà fu tanto mite di costumi e tanto umile di cuore secondo la parola del Signore 4, che possiamo a ragione crederlo già entrato nella pace del Signore, poiché appartengono al pacifico i beni degli uomini che restano alla fine 5, e possederanno la terra i mansueti 6, e saranno accetti a Dio nella regione dei vivi 7. Egli infatti non solo era religioso nel segreto affetto dell'animo, ma pure nell'adempimento delle sue mansioni mise certamente in pratica la massima dell'Apostolo: così, pur essendo per ceto e per dignità collega dei grandi di questo mondo, non aspirò alle grandezze come i desiderosi di gloria di questa terra, ma, da perfetto imitatore di Cristo, si lasciò attrarre dalle cose umili 8 e neppure un giorno cessò di essere compassionevole e largo nel dare 9. Anche la sua discendenza perciò è diventata potente sulla terra tra coloro i quali, come gli dei potenti della terra, sono stati grandemente esaltati 10. Per conseguenza il santo merito del nostro amico si è reso manifesto nella beatissima afflizione della sua famiglia e della sua casa. La generazioni dei giusti - dice la Scrittura - sarà benedetta, [regnerà] gloria - non caduca - e ricchezza - non passeggera - nella sua casa 11; casa che viene costruita nei cieli non con la fatica delle mani, ma con la santità delle opere. Tralascio di rievocare tanti altri ricordi di questo mio tanto caro amico e tanto devoto di Cristo, rammentandomi di aver già rievocati tanti particolari sulla sua persona nella mia lettera precedente. Io poi non saprei neppure elogiare la beata madre di tanto figlio e di Melania seniore, radice comune di santi discendenti, in modo migliore e più santo di quanto si è già degnata di parlarmene e di trattarne la tua Santità. Io, peccatore dalle labbra immonde, nulla di degno saprei dire, troppo essendo lontano dai meriti e dalle virtù di quell'anima. Tu, invece, uomo di Cristo, maestro d'Israele nella Chiesa della verità, per una disposizione provvidenziale di Dio, sei più atto e più degno di celebrare quell'anima virile in Cristo; poiché hai potuto contemplare - come ho già detto - con spirito più simile la sua mente resa forte dalla grazia di Dio, e lodarne con espressioni più degne la pietà unita alla virtù.

Morire al mondo.

4. Tu hai avuto la degnazione di chiedermi quale sarà l'occupazione dei beati nella vita futura, dopo la risurrezione della carne. Io, al contrario, chiedo consiglio a te, mio maestro e medico spirituale, circa lo stato presente della mia vita, affinché tu mi voglia insegnare a fare la volontà di Dio e a camminare sulle tue orme al seguito di Cristo e a morire in anticipo della morte di cui parla il Vangelo 12, prevenendo la morte fisica con la morte volontaria, ritirandoci cioè, non con la morte fisica ma con saggia decisione, dalla vita mondana, tutta piena di tentazioni, che tu stesso una volta hai detto essere una serie di tentazioni. Voglia dunque Dio che le mie vie siano dirette sulle tue orme in modo che, sul tuo esempio, sciogliendomi dai piedi i vecchi calzari, io spezzi le mie catene e mi slanci speditamente a percorrere la via 13 per la quale arrivare alla morte, secondo la quale tu sei già morto al mondo, e vivi con Dio in Cristo il quale vive in te, e la cui morte e vita sono manifeste nel tuo corpo, nel tuo cuore e sulle tue stesse labbra. Il tuo cuore infatti non ha alcun gusto per le cose terrene, né la tua bocca parla delle opere umane, ma la parola di Cristo abbonda nel tuo cuore 14 e lo spirito della verità è sparso sulla tua lingua, allietando la città di Dio coll'impetuosità del fiume che sgorga dall'alto 15.

Come morire al mondo.

5. Ma qual è la virtù che produce in noi questa morte se non la carità, forte come la morte 16? E' essa a cancellare e distruggere nel nostro spirito questo mondo, in modo da produrre l'effetto di questa morte con l'affetto di Cristo: convertendoci a Lui ci distacchiamo da questo mondo e vivendo in Lui moriamo agli elementi materiali del mondo visibile 17. Allora non giudicheremo più come se vivessimo soltanto in vista di essi e del loro godimento, poiché parteciperemo alla morte di Cristo; ma non arriveremo a meritare la sua risurrezione dai morti nella gloria, se prima non avremo imitato la sua morte in croce mortificando le membra del nostro corpo e i sensi della nostra carne. Dovremmo insomma vivere non secondo i nostri istinti o capricci, ma secondo la volontà del Signore che vuole la nostra santificazione 18. Poiché Egli è morto per noi ed è risorto affinché noi non vivessimo più per noi ma per Lui 19, che è morto e risorto e ci ha dato col suo Spirito il pegno della promessa, come ha posto nei cieli il pegno della nostra vita col suo corpo, che è il capo del nostro corpo. Pertanto il Signore è quel che noi aspettiamo al presente e presso di Lui è il nostro bene 20 creato da Lui e in Lui e per mezzo di Lui, che s'è conformato a questo nostro misero corpo per conformare noi al suo corpo glorioso 21 e collocarci presso di sé nelle regioni celesti. Coloro, quindi, che sono degni della vita eterna, saranno nella gloria del suo regno per vivere, come dice l'Apostolo, insieme con Lui 22 e restare con Lui secondo quanto Egli ha detto al Padre: Voglio che dove sono io, siano pure essi con me 23.

Condizione dei beati in cielo.

6. Senza dubbio ritrovi questa espressione anche nei salmi: Beati coloro che abitano nella tua casa; essi ti loderanno per tutti i secoli 24. Orbene, io penso che tale lode sarà espressa dalle voci di persone cantanti in coro, anche se i corpi dei santi nella risurrezione saranno trasfigurati perché siano simili a quello del Signore, quale apparve dopo la sua risurrezione, in essa in anticipo risplende una viva immagine della risurrezione umana, poiché il Signore risuscitando col medesimo corpo con cui aveva sofferto, è stato per tutti come uno specchio in cui possiamo contemplare quel che sarà il nostro dopo la risurrezione. Il Signore infatti, dopo essere risorto nella stessa carne in cui era morto ed era stato sepolto, spesso apparve agli uomini facendo presenti ai loro occhi e alle loro orecchie le funzioni di ciascuna delle proprie membra. Ora se si dice che anche gli Angeli, la cui natura è semplicemente spirituale, hanno una lingua per cantare certamente le lodi a Dio creatore senza mai cessare di rendergli grazie, quanto più i corpi degli uomini, sebbene spiritualizzati dopo la risurrezione, conservando nondimeno tutte le membra del corpo glorificato con le relative fattezze e proporzioni, avranno pure la lingua nella loro bocca? Articolando la loro lingua essi faranno sentire la loro voce 25! con cui cantano le lodi di Dio ed esprimono con parole gli affetti e i sentimenti della loro gioia! Forse il Signore aggiungerà tanta grazia e gloria ai suoi santi nel suo regno eterno da renderli capaci di cantare con lingue e voci tanto più potenti, quanto più alto sarà il grado della natura beata dei loro corpi conseguito mediante la beata trasfigurazione. Col corpo ormai spiritualizzato parleranno forse con parole non più umane ma angeliche e celestiali, come quelle che l'Apostolo udì in paradiso 26. Forse per questo egli dichiarò che non è lecito ad alcun uomo proferire simili parole, perché per i santi sono preparate, tra le altre specie di premi, anche lingue nuove: ecco perché non è concesso agli uomini di potersene servire in questa terra essendo riservate, in quanto convenienti alla loro gloria, a quelli già diventati immortali, di essi infatti è detto: Leveranno la voce e canteranno inni 27. Ciò avverrà senza dubbio nei cieli, dove saranno col Signore e godranno dell'abbondanza della pace 28, tripudiando davanti al trono dell'Agnello, deponendo coppe e corone ai suoi piedi, cantandogli un inno nuovo 29, uniti ai cori degli Angeli, delle Virtù, delle Dominazioni, dei Troni; assieme ai Cherubini e ai Serafini e ai quattro animali, cantando con incessante voce, ripetano: Santo, santo, santo è il Signore, Dio degli eserciti 30, col resto a te ben noto.

Con quali organi si esprimano le voci degli Angeli.

7. Su questo argomento io, bisognoso, povero, ignorante e meschino tuo allievo, che tu, veramente saggio, sei ormai abituato a sopportare, ti prego di insegnarmi qual è la tua convinzione o la tua opinione, sapendo che sei illuminato da Dio stesso, ispiratore e fonte dei sapienti. Allo stesso modo con cui conosci le cose passate e capisci le presenti, con cui congetturi le future 31, così vorrei mi indicassi cosa pensi a proposito di tali parole eterne delle creature celesti o che vivono al di sopra dei cieli al cospetto dell'Altissimo, e finalmente con quali organi si esprimono. Sì, è vero, l'Apostolo dicendo: Se per parlare mi servissi della lingua degli Angeli 32, ha mostrato come essi hanno un linguaggio appropriato alla loro natura, e per così dire, alla loro stirpe; un linguaggio tanto più alto della facoltà di intendere e di esprimersi degli uomini, quanto la natura e la dimora degli Angeli è superiore alla natura ed alla dimora degli abitanti della terra. Nondimeno egli, parlando di lingue degli Angeli, ha inteso forse parlare delle varie specie di voci e di parole, come quando, parlando di vari carismi, fra i doni della grazia enumera le varie specie di lingue 33, volendo con questo termine significare come a ciascuno di essi fu concesso il dono di parlare le lingue di molti popoli. Ma anche la voce di Dio, fatta giungere ai santi dall'interno di una nube, dimostra come può esistere un linguaggio senza l'articolazione della lingua. Questa è solo un membro più o meno grande del corpo; ma siccome Dio ha attribuito a questo membro la funzione della voce, forse ha chiamato lingua anche la parola e la voce degli Angeli, creature incorporee, al modo stesso che la Scrittura suole attribuire a Dio diverse specie di operazioni, indicandone pure le membra con cui si effettuano. Prega per noi ed illuminaci.

Quinto desidera di tornare subito da Agostino.

8. Il carissimo e dolcissimo nostro fratello Quinto, come è stato pigro nel partire da te per recarsi da noi, così ha avuto fretta di partire da noi per tornarsene da te. Anche questa lettera, contenente più cancellature che righe scritte, rivela l'insistenza di lui per averla al più presto; e la stessa lettera una volta scritta, ha acuito nel suddetto esattore la fretta di partire. E' venuto il 14 maggio a chiedermi la risposta e ha avuto il permesso di congedarsi il 15 maggio prima di mezzogiorno. Vedi ora da te stesso se, dicendo così, te lo raccomando o te lo accuso. Poiché forse e senza forse sarà giudicato da te più lodevole che colpevole, in quanto dalle tenebre, che sono io in confronto a te che sei la luce, egli si è affrettato più che giustamente a fare ritorno alla luce.

 

1 - Sal 118, 105.

2 - Sal 55, 11.

3 - Sal 90, 5.

4 - Mt 11, 29.

5 - Sal 36, 37.

6 - Mt 5, 4.

7 - Sal 114, 9.

8 - Rm 12, 16.

9 - Sal 36, 26; 111, 2-3.

10 - Sal 46, 10.

11 - Sal 111, 2.

12 - Gv 12, 24 s.

13 - Cf. Sal 18, 6.

14 - Cf. Col 3, 6.

15 - Cf. Sal 45, 5.

16 - Ct 8, 6.

17 - Cf. Col 2, 20; Gal 4, 3.

18 - 1 Ts 4, 3.

19 - Cf. 2 Cor 5, 15.

20 - Cf. Sal 38, 8.

21 - Cf. Fil 3, 21.

22 - 1 Ts 4, 17.

23 - Gv 17, 24.

24 - Sal 83, 5.

25 - Cf. Sal 103, 12.

26 - 2 Cor 12, 4.

27 - Sal 64, 14.

28 - Sal 36, 11.

29 - Ap 4, 10; 5, 9.

30 - Is 6, 3; Ap 4, 8.

31 - Cf. Sap 8, 8.

32 - 1 Cor 13, 1.

33 - 1 Cor 12, 10-28.


La lettera da Roma del 1884

I sogni di don Bosco - San Giovanni Bosco

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In questa lettera, molto nota nell'ambiente salesiano, Don Bosco racconta un suo sogno in due puntate, fatto in due notti consecutive. L'argomento è l'Oratorio di Valdocco popolato di ragazzi e il suo clima educativo: anzitutto il clima felice dei primissimi tempi dell'Oratorio, poi quello così cambiato del 1884. Data l'importanza pedagogica del sogno, ne pubblichiamo il testo integrale. Le poche omissioni sono segnate da puntini tra parentesi quadre. I sottotitoli sono nostri.

Roma, 10 maggio 1884

 Miei carissimi figliuoli in G.C.,

vicino o lontano io penso sempre a voi. Uno solo è il mio desiderio, quello di vedervi felici nel tempo e nell'eternità. Questo pensiero, questo desiderio mi risolsero a scrivervi questa lettera. Sento, o cari miei, il peso della mia lontananza da voi, e il non vedervi e il non sentirvi mi cagiona pena, quale voi non potete immaginare. Perciò io avrei desiderato scrivere queste righe una settimana fa, ma le continue occupazioni me lo impedirono. Tuttavia benché pochi giorni manchino al mio ritorno, voglio anticipare la mia venuta tra voi almeno per lettera, non potendolo di persona. Sono le parole di chi vi ama teneramente in G.C. e ha il dovere di parlarvi con la libertà di un padre. E voi me lo permettete, non è vero? E mi presterete attenzione e metterete in pratica ciò che sto per dirvi.

 

L'Oratorio prima del 1870

Ho affermato che voi siete l'unico e il continuo pensiero della mia mente. Or dunque in una delle sere scorse io mi ero ritirato in camera, e mentre mi disponevo per andare a riposo, avevo cominciato a recitare le preghiere che mi insegnò la mia buona mamma. In quel momento, non so bene se preso dal sonno o tratto fuori di me da una distrazione, mi parve che mi si presentassero innanzi due degli antichi giovani dell'Oratorio. Uno di questi due mi si avvicinò e, salutandomi affettuosamente, mi disse:

- O Don Bosco, mi conosce?

- Sì che ti conosco - risposi.

- E si ricorda ancora di me? - soggiunse quell'uomo.

- Di te e di tutti gli altri. Tu sei Valfré ed eri nell'Oratorio prima del 1870.

- Dica - continuò quell'uomo -, vuol vedere i giovani che erano all'Oratorio ai miei tempi?

- Sì, fammeli vedere - io risposi -; ciò mi cagionerà molto piacere.

Allora Valfré mi mostrò i giovani, tutti con le stesse sembianze e con la statura e nell'età di quel tempo.

Mi pareva di essere nell'antico Oratorio nell'ora della ricreazione. Era una scena tutta vita, tutto moto, tutta allegria. Chi correva, chi saltava, chi faceva giocare. Qui si gioca alla rana, là a barrarotta e al pallone. In un luogo era radunato un crocchio di giovani che pendeva dal labbro di un prete, il quale narrava una storiella. In un altro luogo un chierico, che in mezzo ad altri giovanetti giocava all'asino vola e ai mestieri. Si cantava, si rideva da tutte le parti e dovunque chierici e preti, e intorno ad essi i giovani che schiamazzavano allegramente. Si vedeva che tra i giovani e i superiori regnava la più grande cordialità e confidenza. lo ero incantato a quello spettacolo e Valfré mi disse:

- Veda, la familiarità porta affetto e l'affetto porta confidenza. È ciò che apre i cuori, e i giovani palesano tutto senza timore ai maestri, agli assistenti e ai superiori. Diventano schietti in confessione e fuori di confessione e si prestano docili a tutto ciò che vuoI comandare colui dal quale sono certi di essere amati.

L'Oratorio nel 1884

In quell'istante mi si avvicinò l'altro mio antico allievo, che aveva

la barba tutta bianca, e mi disse:

- Don Bosco, adesso vuoI conoscere e vedere i giovani che attualmente sono nell'Oratorio?

Costui era Buzzetti Giuseppe.

- Sì - risposi io -, perché è già un mese che non li vedo.

E me li additò: vidi l'Oratorio e tutti voi che facevate ricreazione. Ma non udivo più grida di gioia e cantici, non vedevo più quel moto, quella vita come nella prima scena. Negli atti e nel viso di molti giovani si leggeva una noia, una spossatezza, una musoneria, una diffidenza che faceva pena al mio cuore. [...]

- Ha visto i suoi giovani? - mi disse quell'antico allievo. - Li vedo - risposi sospirando.

- Quanto sono differenti da quello che eravamo noi una volta! - esclamò quell'antico allievo.

- Purtroppo! Quanta svogliatezza in quella ricreazione! [...]

Ci manca il meglio

- Ma come si possono rianimare questi miei cari giovani, affinché riprendano l'antica vivacità, allegrezza ed espansione? - Con la carità.

- Con la carità? Ma i miei giovani non sono amati abbastanza? Tu lo sai se io li amo. Tu sai quanto per essi ho sofferto e tollerato nel corso di ben 40 anni, e quanto tollero e soffro ancora adesso. Quanti stenti, quante umiliazioni, quante opposizioni, quante persecuzioni per dare a essi pane, casa, maestri e specialmente per procurare la salute alle loro anime. Ho fatto quanto ho potuto e saputo per coloro che formano l'affetto di tutta la mia vita. - Non parlo di lei.

- Di chi dunque? Di coloro che fanno le mie veci? Dei direttori, prefetti, maestri, assistenti? Non vedi come sono martiri dello studio e del lavoro? Come consumano i loro anni giovanili per coloro che ad essi affidò la Divina Provvidenza ?

- Vedo, conosco; ma ciò non basta: ci manca il meglio. - Che cosa manca adunque?

- Che i giovani non solo siano amati, ma che essi stessi conoscano di essere amati.

- Ma non hanno gli occhi in fronte? Non hanno il lume dell'intelligenza? Non vedono che quanto si fa per essi è tutto per loro amore?

- No, lo ripeto, ciò non basta.

- Che cosa ci vuole adunque?

- Che essendo amati in quelle cose che loro piacciono col partecipare alle loro inclinazioni infantili, imparino a vedere l'amore in quelle cose che naturalmente loro piacciono poco, quali sono la disciplina, lo studio, la mortificazione di se stessi; e queste cose imparino a fare con slancio e amore.

  Il Salesiano « anima della ricreazione»

- Spiegati meglio!

- Osservi i giovani in ricreazione.

Osservai e quindi replicai:

- E che cosa c'è di speciale da vedere?

- Sono tanti anni che va educando giovani e non capisce? Guardi meglio. Dove sono i nostri Salesiani?

Osservai e vidi che ben pochi preti e chierici si mescolavano tra i giovani, e ancor più pochi prendevano parte ai loro divertimenti. I superiori non erano più l'anima della ricreazione. La maggior parte di essi passeggiavano parlando tra loro, senza badare che cosa facessero gli allievi; altri guardavano la ricreazione non dandosi nessun pensiero dei giovani; altri sorvegliavano così alla lontana senza avvertire chi commettesse qualche mancanza; qualcuno poi avvertiva, ma in atto minaccioso, e ciò raramente. Vi era qualche Salesiano che avrebbe desiderato di intromettersi in qualche gruppo di giovani, ma vidi che questi giovani cercavano studiosamente di allontanarsi dai maestri e dai superiori. Allora quell'amico ripigliò: .

- Negli antichi tempi dell'Oratorio lei non stava sempre in mezzo ai giovani e specialmente in tempo di ricreazione? Si ricorda quei begli anni? Era un tripudio di paradiso, un'epoca che ricordiamo sempre con amore, perché l'affetto era quello che ci serviva di regola, e noi per lei non avevamo segreti.

- Certamente! E allora tutto era gioia per me, e nei giovani uno slancio per avvicinarsi a me, per volermi parlare, e una viva ansia di udire i miei consigli e di metterli in pratica. Ora però vedi come le udienze continue e gli affari moltiplicati e la mia sanità me lo impediscono.

- Va bene. Ma se lei non può, perché i Salesiani non si fanno suoi imitatori? Perché non insiste, non esige che trattino i giovani come li trattava lei?

- lo parlo, mi spolmono, ma purtroppo molti non si sentono più di fare le fatiche di una volta.

- E quindi trascurando il meno, perdono il più; e questo più sono le loro fatiche. Amino ciò che piace ai giovani e i giovani ameranno ciò che piace ai superiori. E a questo modo sarà facile la loro fatica. La causa del presente cambiamento nell'Oratorio è che un numero di giovani non ha confidenza nei superiori. Anticamente i cuori erano tutti aperti ai superiori, che i giovani amavano e obbedivano prontamente. Ma ora i superiori sono considerati come superiori, e non più come padri, fratelli e amici; quindi sono temuti e poco amati; perciò se si vuol fare un cuor solo e un'anima sola, per amore di Gesù bisogna che si rompa quella fatale barriera della diffidenza e sottentri a questa la confidenza cordiale. Quindi l'obbedienza guidi l'allievo come la madre guida il fanciullino; allora regnerà nell'Oratorio la pace e l'allegrezza antica.

- Come dunque fare per rompere questa barriera?

- Familiarità con i giovani specie in ricreazione. Senza familiarità non si dimostra l'affetto, e senza questa dimostrazione non vi può essere confidenza. Chi vuole essere amato bisogna che faccia vedere che ama. Gesù Cristo si fece piccolo con i piccoli e portò la nostra infermità. Ecco il Maestro della familiarità. Il maestro visto solo in cattedra è maestro e non più, ma se va in ricreazione con i giovani, diventa come fratello.

Se uno è visto solo predicare dal pulpito, si dirà che fa né più né meno che il proprio dovere; ma se dice una parola in ricreazione, è la parola di uno che ama. Quante conversioni non cagionarono alcune sue parole fatte risonare all'improvviso all'orecchio di un giovane nel mentre che si divertiva!

Amorevolezza e sorveglianza

Chi sa di essere amato, ama; e chi è amato ottiene tutto, specialmente dai giovani. Questa confidenza mette una corrente elettrica tra i giovani e i superiori. I cuori si aprono e fanno conoscere i

loro bisogni e palesano i loro difetti. Questo amore fa sopportare ai superiori le fatiche, le noie, le ingratitudini, i disturbi, le mancanze, le negligenze dei giovanetti. Gesù Cristo non spezzò la canna già fessa né spense il lucignolo che fumigava. Ecco il vostro modello. Allora non si vedrà più chi lavorerà per fini di vanagloria; chi si ritirerà dal campo della sorveglianza per gelosia di una temuta preponderanza altrui; chi mormorerà degli altri volendo essere amato e stimato dai giovani, esclusi tutti gli altri superiori, guadagnando null'altro che disprezzo e ipocrite moine; chi si lasci rubare il cuore da una creatura, e per fare la corte a questa trascuri tutti gli altri giovanetti; chi per amore dei propri comodi tenga in non cale il dovere strettissimo della sorveglianza; chi per un vano rispetto umano si astenga dall'ammonire chi deve essere ammonito. Se ci sarà questo vero amore, non si cercherà altro che la gloria di Dio e la salute delle anime. Quando illanguidisce questo amore, allora è che le cose non vanno più bene.

Perché si vuole sostituire alla carità la freddezza di un regolamento? Perché i superiori si allontanano dall'osservanza di quelle regole di educazione che Don Bosco ha loro dettate?

Perché al sistema di prevenire con la vigilanza e l'amorevolezza i disordini, si va sostituendo a poco a poco il sistema, meno pesante e più spiccio per chi comanda, di bandir leggi che se si sostengono con i castighi, accendono odii e fruttano dispiaceri; se si trascura di farle osservare, fruttano disprezzo per i superiori a causa di disordini gravissimi?

L'educatore sia tutto a tutti

E ciò accade necessariamente se manca la familiarità. Se adunque si vuole che l'Oratorio ritorni all'antica felicità, si rimetta in vigore l'antico sistema: il superiore sia tutto a tutti, pronto ad ascoltare sempre ogni dubbio o lamentanza dei giovani, tutto occhio per sorvegliare paternamente la loro condotta, tutto cuore per cercare il bene spirituale e temporale di coloro che la Provvidenza gli ha affidato.

Allora i cuori non saranno più chiusi e non regneranno più certi segretumi che uccidono. Solo in caso di immoralità i superiori siano inesorabili. È meglio correre pericolo di scacciare dalla casa un innocente, che ritenere uno scandaloso. Gli assistenti si facciano uno strettissimo dovere di coscienza di riferire ai superiori tutte quelle cose che conoscano essere in qualunque modo offesa di Dio.

Allora io interrogai:

- E qual è il mezzo precipuo perché trionfi simile familiarità e simile amore e confidenza?

- L'osservanza esatta delle regole della casa.

- E null'altro?

- Il piatto migliore in un pranzo è quello della buona cera.

[Il dispiacere di quanto va considerando procura a Don Bosco tanta oppressione che si sveglia tutto spossato. Ma la sera seguente, appena a letto, il sogno interrotto riprende].

Avevo dinanzi il cortile, i giovani che ora sono all'Oratorio, e lo stesso antico allievo dell'Oratorio. lo presi a interrogarlo.

- Ciò che mi dicesti io lo farò sapere ai miei Salesiani; ma ai giovani dell'Oratorio che cosa debbo dire?

Mi rispose:

- Che essi riconoscano quanto i superiori, i maestri, gli assistenti fatichino e studino per loro amore, poiché se non fosse per loro bene non si assoggetterebbero a tanti sacrifici; che si ricordino essere l'umiltà la fonte di ogni tranquillità; che sappiano sopportare i difetti degli altri, poiché al mondo non si trova la perfezione, ma questa è solo in paradiso; che cessino dalle mormorazioni, poiché queste raffreddano i cuori; e soprattutto procurino di vivere nella santa grazia di Dio. Chi non ha pace con Dio, non ha pace con sé, e non ha pace con gli altri.

- E tu mi dici adunque che vi sono fra i miei giovani di quelli che non hanno la pace con Dio?

- Questa è la prima causa del malumore; [...] se il cuore non ha la pace con Dio, rimane angosciato, inquieto, insofferente di obbedienza, si irrita per nulla, gli sembra che ogni cosa vada male, e perché esso non ha amore, giudica che i superiori non lo amino.

- Eppure, mio caro, non vedi quanta frequenza di Confessioni e di Comunioni vi è nell'Oratorio?

- È vero che grande è la frequenza delle Confessioni, ma ciò che manca radicalmente in tanti giovani che si confessano è la stabilità nei proponimenti. Si confessano, ma sempre le stesse mancanze, le stesse occasioni prossime, le stesse abitudini cattive, le stesse disobbedienze, le stesse trascuranze nei doveri. Così si va avanti per mesi e mesi, e anche per anni. [...]

Sono confessioni che valgono poco o nulla, quindi non recano pace, e se un giovi netto fosse chiamato in quello stato al tribunale di Dio, sarebbe un affare ben serio.[... ]

[Qui Don Bosco dice di aver visto di alcuni cose che lo hanno amareggiato, e si propone di avvisarli al suo ritorno da Roma. Intanto esorta tutti alla santità].

Qui vi dirò che è tempo di pregare e di prendere ferme risoluzioni; proporre non con le parole ma con i fatti, e far credere che i Comollo, i Domenico Savio, i Besucco e i Siccardi vivono ancora tra noi.

In ultimo domandai a quel mio amico: - Hai null'altro da dirmi?

- Predichi a tutti, grandi e piccoli, che si ricordino sempre di Maria SS. Ausiliatrice. Che Essa li ha qui radunati per condurli via dai pericoli del mondo, perché si amassero come fratelli, e perché dessero gloria a Dio e a Lei con la loro buona condotta; che è la Madonna quella che provvede loro pane e mezzi per studiare con infinite grazie e portenti. Si ricordino che sono alla vigilia della festa della loro SS. Madre e che con l'aiuto suo deve cadere quella barriera di diffidenza che il demonio ha saputo innalzare tra i giovani e i superiori, e della quale sa giovarsi per la rovina di certe anime.

- E ci riusciremo a togliere questa barriera?

- Sì certamente, purché grandi e piccoli siano pronti a soffrire qualche mortificazione per amore di Maria e mettano in pratica ciò che io ho detto.

Intanto io continuavo a guardare i miei giovanetti, e allo spettacolo di quelli che io vedevo avviati verso l'eterna perdizione, sentii tale stretta al cuore che mi svegliai. Molte cose importantissime che io vidi desidererei ancora narrarvi, ma il tempo e le convenienze non me lo permettono.

Ritornino i giorni dell'affetto e della confidenza

Concludo: sapete che cosa desidera da voi questo povero vecchio, che per i suoi cari giovani ha consumato tutta la vita? Niente altro fuorché, fatte le debite proporzioni, ritornino i giorni felici dell'Oratorio primitivo. I giorni dell'affetto e della confidenza cristiana tra i giovani e i superiori; i giorni dello spirito di condiscendenza e di sopportazione, per amore di G. Cr. degli uni verso gli altri; i giorni dei cuori aperti con tutta semplicità e candore; i giorni della carità e della vera allegrezza per tutti. Ho bisogno che mi consoliate dandomi la speranza e la promessa che voi farete tutto ciò che desidero per il bene delle anime vostre.

Voi non conoscete abbastanza quale fortuna sia la vostra di essere stati ricoverati nell'Oratorio. Innanzi a Dio vi protesto: basta che un giovane entri in una casa salesiana, perché la Vergine SS. lo prenda subito sotto la sua protezione speciale. Mettiamoci adunque tutti d'accordo. La carità di quelli che comandano, la carità di quelli che debbono ubbidire faccia regnare tra di noi lo spirito di San Francesco di Sales.

O miei cari figliuoli, si avvicina il tempo nel quale dovrò staccarmi da voi e partire per la mia eternità. [Nota del segretario: A questo punto Don Bosco sospese di dettare, i suoi occhi si riempirono di lacrime, non per rincrescimento ma per ineffabile tenerezza che trapelava dal suo sguardo e dal suono della sua voce: dopo qualche istante continuò]. Quindi io bramo di lasciare voi, o preti, o chierici, o giovani carissimi, per quella via del Signore nella quale Egli stesso vi desidera.

A questo fine il Santo Padre, che io ho visto il9 maggio, vi manda di tutto cuore la sua benedizione. Il giorno della festa di Maria Ausiliatrice mi troverò con voi innanzi all'effigie della nostra amorosissima Madre.

Voglio che questa gran festa si celebri con ogni solennità; e Don Lazzero e Don Marchisio pensino a far sì che stiate allegri anche in refettorio. La festa di Maria Ausiliatrice deve essere il preludio della festa eterna che dobbiamo celebrare tutti insieme uniti un giorno in Paradiso.

Vostro aff.mo in G.C.

Sac. Giov. Bosco

« Questo scritto è un tesoro, che con il trattatello sul sistema preventivo e con il Regolamento delle case forma la trilogia pedagogica lasciata da Don Bosco ai suoi figli. Pedagogia umile e alta che, dove sia bene intesa e bene attuata, può fare degli istituti di educazione soggiorni di letizia, asili d'innocenza, focolai di virtù, palestre di studio, vivai insomma di ottimi cristiani, di bravi cittadini e di degni ecclesiastici. Ma è d'uopo di buona volontà e di sacrificio» (Eugenio Ceria ).


12-102 Maggio 10, 1919 Per quanto dura la Divina Volontà nell’anima, tanto dura la Vita Divina in essa.

Luisa Piccarreta (Libro di Cielo)

(1) Stavo molto afflitta e quasi impensierita sul povero mio stato, e Gesù volendomi distrarre dal pensare a me stessa mi ha detto:

(2) “Figlia mia, che fai? Il pensiero di te stessa ti fa uscire dalla mia Volontà; e non sai tu che quanto dura la mia Volontà in te, tanto dura la Vita Divina, e come cessa il mio Volere, così cessa la Vita Divina e riprendi la tua vita umana? Bel cambio che fai. Così avviene all’ubbidienza, fino a tanto che dura l’ubbidienza, dura la vita di chi ha comandato in chi ubbidisce; come cessa l’ubbidienza, così si riprende la vita propria”.

(3) Poi, come sospirando ha soggiunto: “Ah! tu non sai lo sfascio che farà il mondo, e tutto ciò che è successo finora, si può chiamare gioco a confronto dei castighi che verranno. Non te li faccio vedere tutti per non opprimerti troppo, ed Io vedendo la ostinazione dell’uomo, me ne sto come occultato in te; e tu prega insieme con Me e non voler pensare a te stessa”.