Sotto il Tuo Manto

Giovedi, 5 giugno 2025 - San Bonifacio (Letture di oggi)

Siamo fatti cosi: riempiamo la nostra esistenza di cose materiali e di sicurezze. Ci riteniamo saggi se nella nostra vita nulla viene lasciato a caso. Abbiamo bisogno di programmare bene il nostro futuro. Ci premuniamo con cura per non incorrere in alcuna situazione di incertezza. Ma a volte entriamo in cortocircuito. A forza di riempirci di cose e di sicurezze terrene, non ci sentiamo più al sicuro. Tutto pare sfuggirci di mano e ci lascia insoddisfatti. Ed ecco che talvolta potrebbe tornarci utile dover affrontare l'imprevisto, il pericolo, il rischio, per essere ricondotti all'essenziale e a ciò che veramente vale. E mi viene in mente l'immagine dei naviganti che, affrontando la tempesta e rischiando di morire, pensano di salvarsi la vita: non esitano di buttare in mare tutte le ricchezze accumulate per farsi subito leggeri. In un attimo la prospettiva giusta viene ristabilita: nulla vale più della vita. Di fronte al bene supremo della vita, tutte le cose terrene risultano effimere e senza valore. (Don Nikola Vucic)

Liturgia delle Ore - Letture

Sabato della 25° settimana del tempo ordinario

Per questa Liturgia delle Ore è disponibile sia la versione del tempo corrente che quella dedicata alla memoria di un Santo. Per cambiare versione, clicca su questo collegamento.
Questa sezione contiene delle letture scelte a caso, provenienti dalle varie sezioni del sito (Sacra Bibbia e la sezione Biblioteca Cristiana), mentre l'ultimo tab Apparizioni, contiene messaggi di apparizioni a mistici o loro scritti. Sono presenti testi della Valtorta, Luisa Piccarreta, don Stefano Gobbi e testimonianze di apparizioni mariane riconosciute.

Vangelo secondo Matteo 9

1Salito su una barca, Gesù passò all'altra riva e giunse nella sua città.2Ed ecco, gli portarono un paralitico steso su un letto. Gesù, vista la loro fede, disse al paralitico: "Coraggio, figliolo, ti sono rimessi i tuoi peccati".3Allora alcuni scribi cominciarono a pensare: "Costui bestemmia".4Ma Gesù, conoscendo i loro pensieri, disse: "Perché mai pensate cose malvagie nel vostro cuore?5Che cosa dunque è più facile, dire: Ti sono rimessi i peccati, o dire: Alzati e cammina?6Ora, perché sappiate che il Figlio dell'uomo ha il potere in terra di rimettere i peccati: alzati, disse allora il paralitico, prendi il tuo letto e va' a casa tua".7Ed egli si alzò e andò a casa sua.8A quella vista, la folla fu presa da timore e rese gloria a Dio che aveva dato un tale potere agli uomini.

9Andando via di là, Gesù vide un uomo, seduto al banco delle imposte, chiamato Matteo, e gli disse: "Seguimi". Ed egli si alzò e lo seguì.

10Mentre Gesù sedeva a mensa in casa, sopraggiunsero molti pubblicani e peccatori e si misero a tavola con lui e con i discepoli.11Vedendo ciò, i farisei dicevano ai suoi discepoli: "Perché il vostro maestro mangia insieme ai pubblicani e ai peccatori?".12Gesù li udì e disse: "Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati.13Andate dunque e imparate che cosa significhi: 'Misericordia io voglio e non sacrificio'. Infatti non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori".

14Allora gli si accostarono i discepoli di Giovanni e gli dissero: "Perché, mentre noi e i farisei digiuniamo, i tuoi discepoli non digiunano?".15E Gesù disse loro: "Possono forse gli invitati a nozze essere in lutto mentre lo sposo è con loro? Verranno però i giorni quando lo sposo sarà loro tolto e allora digiuneranno.
16Nessuno mette un pezzo di stoffa grezza su un vestito vecchio, perché il rattoppo squarcia il vestito e si fa uno strappo peggiore.17né si mette vino nuovo in otri vecchi, altrimenti si rompono gli otri e il vino si versa e gli otri van perduti. Ma si versa vino nuovo in otri nuovi, e così l'uno e gli altri si conservano".

18Mentre diceva loro queste cose, giunse uno dei capi che gli si prostrò innanzi e gli disse: "Mia figlia è morta proprio ora; ma vieni, imponi la tua mano sopra di lei ed essa vivrà".19Alzatosi, Gesù lo seguiva con i suoi discepoli.
20Ed ecco una donna, che soffriva d'emorragia da dodici anni, gli si accostò alle spalle e toccò il lembo del suo mantello.21Pensava infatti: "Se riuscirò anche solo a toccare il suo mantello, sarò guarita".22Gesù, voltatosi, la vide e disse: "Coraggio, figliola, la tua fede ti ha guarita". E in quell'istante la donna guarì.
23Arrivato poi Gesù nella casa del capo e veduti i flautisti e la gente in agitazione, disse:24"Ritiratevi, perché la fanciulla non è morta, ma dorme". Quelli si misero a deriderlo.25Ma dopo che fu cacciata via la gente egli entrò, le prese la mano e la fanciulla si alzò.26E se ne sparse la fama in tutta quella regione.

27Mentre Gesù si allontanava di là, due ciechi lo seguivano urlando: "Figlio di Davide, abbi pietà di noi".28Entrato in casa, i ciechi gli si accostarono, e Gesù disse loro: "Credete voi che io possa fare questo?". Gli risposero: "Sì, o Signore!".29Allora toccò loro gli occhi e disse: "Sia fatto a voi secondo la vostra fede".30E si aprirono loro gli occhi. Quindi Gesù li ammonì dicendo: "Badate che nessuno lo sappia!".31Ma essi, appena usciti, ne sparsero la fama in tutta quella regione.

32Usciti costoro, gli presentarono un muto indemoniato.33Scacciato il demonio, quel muto cominciò a parlare e la folla presa da stupore diceva: "Non si è mai vista una cosa simile in Israele!".34Ma i farisei dicevano: "Egli scaccia i demòni per opera del principe dei demòni".

35Gesù andava attorno per tutte le città e i villaggi, insegnando nelle loro sinagoghe, predicando il vangelo del regno e curando ogni malattia e infermità.36Vedendo le folle ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite, come pecore senza pastore.37Allora disse ai suoi discepoli: "La messe è molta, ma gli operai sono pochi!38Pregate dunque il padrone della messe che mandi operai nella sua messe!".


Esdra 2

1Questi sono gli abitanti della provincia che ritornarono dall'esilio, i deportati che Nabucodònosor re di Babilonia aveva condotti in esilio a Babilonia.
Essi tornarono a Gerusalemme e in Giudea, ognuno alla sua città;2vennero con Zorobabèle, Giosuè, Neemia, Seraia, Reelaia, Mardocheo, Bilsan, Mispar, Bigvai, Recun, Baana.
Computo degli uomini del popolo d'Israele:
3Figli di Paros: duemilacentosettantadue.
4Figli di Sefatia: trecentosettantadue.
5Figli di Arach: settecentosettantacinque.
6Figli di Pacat-Moab, cioè i figli di Giosuè e di Ioab: duemilaottocentodieci.
7Figli di Elam: milleduecentocinquantaquattro.
8Figli di Zattu: novecentoquarantacinque.
9Figli di Zaccai: settecentosessanta.
10Figli di Bani: seicentoquarantadue.
11Figli di Bebai: seicentoventitré.
12Figli di Azgad: milleduecentoventidue.
13Figli di Adonikam: seicentosettantasei.
14Figli di Bigvai: duemilacinquantasei.
15Figli di Adin: quattrocentocinquantaquattro.
16Figli di Ater, cioè di Ezechia: novantotto.
17Figli di Bezài: trecentoventitré.
18Figli di Iora: centododici.
19Figli di Casum: duecentoventitré.
20Figli di Ghibbar: novantacinque.
21Figli di Betlemme: centoventitré.
22Uomini di Netofa: cinquantasei.
23Uomini di Anatòt: centoventotto.
24Figli di Azmàvet: quarantadue.
25Figli di Kiriat-Iearìm, di Chefira e di Beeròt: settecentoquarantatré.
26Figli di Rama e di Gheba: seicentoventuno.
27Uomini di Micmas: centoventidue.
28Uomini di Betel e di Ai: duecentoventitré.
29Figli di Nebo: cinquantadue.
30Figli di Magbis: centocinquantasei.
31Figli di un altro Elam: milleduecentocinquantaquattro.
32Figli di Carim: trecentoventi.
33Figli di Lod, Cadid e Ono: settecentoventicinque.
34Figli di Gèrico: trecentoquarantacinque.
35Figli di Senaa: tremilaseicentotrenta.
36I sacerdoti:
Figli di Iedaia della casa di Giosuè: novecentosettantatré.
37Figli di Immer: millecinquantadue.
38Figli di Pascur: milleduecentoquarantasette.
39Figli di Carìm: millediciassette.
40I leviti:
Figli di Giosuè e di Kadmiel, di Binnui e di Odavia: settantaquattro.
41I cantori:
Figli di Asaf: centoventotto.
42I portieri:
Figli di Sallùm, figli di Ater, figli di Talmon, figli di Akkub, figli di Catita, figli di Sobài: in tutto centotrentanove.
43Gli oblati:
Figli di Zica, figli di Casufa,
figli di Tabbaot,44figli di Keros,
figli di Siaà, figli di Padon,
45figli di Lebana, figli di Cagabà,
figli di Akkub,46figli di Cagàb,
figli di Samlai, figli di Canan,
47figli di Ghiddel, figli di Gacar,
figli di Reaia,48figli di Rezin,
figli di Nekoda, figli di Gazzam,
49figli di Uzza, figli di Paseach,
figli di Besai,50figli di Asna,
figli di Meunim, figli dei Nefisim,
51figli di Bakbuk, figli di Cakufa,
figli di Carcur,52figli di Bazlut,
figli di Mechida, figli di Carsa,
53figli di Barkos, figli di Sisara,
figli di Temach,54figli di Nesiach,
figli di Catifa.
55Figli dei servi di Salomone:
Figli di Sotai, figli di Assofèret,
figli di Peruda,56figli di Iaalà,
figli di Darkon, figli di Ghiddel,
57figli di Sefatia, figli di Cattil,
figli di Pochéret Azzebàim, figli di Ami.
58Totale degli oblati e dei figli dei servi di Salomone: trecentonovantadue.
59I seguenti rimpatriati da Tel-Melach, Tel-Carsa, Cherub-Addàn, Immer, non potevano dimostrare se il loro casato e la loro discendenza fossero d'Israele:
60figli di Delaia, figli di Tobia, figli di Nekodà: seicentoquarantadue.
61Tra i sacerdoti i seguenti:
figli di Cobaià, figli di Akkoz, figli di Barzillài, il quale aveva preso in moglie una delle figlie di Barzillài il Galaadita e aveva assunto il suo nome,62cercarono il loro registro genealogico, ma non lo trovarono; allora furono esclusi dal sacerdozio.63Il governatore ordinò loro che non mangiassero le cose santissime, finché non si presentasse un sacerdote con 'Urim' e 'Tummim'.
64Tutta la comunità così radunata era di quarantaduemilatrecentosessanta persone;65inoltre vi erano i loro schiavi e le loro schiave: questi erano settemilatrecentotrentasette; poi vi erano i cantori e le cantanti: duecento.
66I loro cavalli: settecentotrentasei.
I loro muli: duecentoquarantacinque.
67I loro cammelli: quattrocentotrentacinque.
I loro asini: seimilasettecentoventi.
68Alcuni capifamiglia al loro arrivo al tempio che è in Gerusalemme, fecero offerte volontarie per il tempio, perché fosse ripristinato nel suo stato.69Secondo le loro forze diedero al tesoro della fabbrica: oro: dramme sessantunmila; argento: mine cinquemila; tuniche da sacerdoti: cento.
70Poi i sacerdoti, i leviti, alcuni del popolo, i cantori, i portieri e gli oblati si stabilirono nelle rispettive città e tutti gli Israeliti nelle loro città.


Salmi 78

1'Maskil. Di Asaf.'

Popolo mio, porgi l'orecchio al mio insegnamento,
ascolta le parole della mia bocca.
2Aprirò la mia bocca in parabole,
rievocherò gli arcani dei tempi antichi.

3Ciò che abbiamo udito e conosciuto
e i nostri padri ci hanno raccontato,
4non lo terremo nascosto ai loro figli;
diremo alla generazione futura
le lodi del Signore, la sua potenza
e le meraviglie che egli ha compiuto.

5Ha stabilito una testimonianza in Giacobbe,
ha posto una legge in Israele:
ha comandato ai nostri padri
di farle conoscere ai loro figli,
6perché le sappia la generazione futura,
i figli che nasceranno.
Anch'essi sorgeranno a raccontarlo ai loro figli
7perché ripongano in Dio la loro fiducia
e non dimentichino le opere di Dio,
ma osservino i suoi comandi.
8Non siano come i loro padri,
generazione ribelle e ostinata,
generazione dal cuore incostante
e dallo spirito infedele a Dio.
9I figli di Èfraim, valenti tiratori d'arco,
voltarono le spalle nel giorno della lotta.

10Non osservarono l'alleanza di Dio,
rifiutando di seguire la sua legge.
11Dimenticarono le sue opere,
le meraviglie che aveva loro mostrato.
12Aveva fatto prodigi davanti ai loro padri,
nel paese d'Egitto, nei campi di Tanis.
13Divise il mare e li fece passare
e fermò le acque come un argine.
14Li guidò con una nube di giorno
e tutta la notte con un bagliore di fuoco.
15Spaccò le rocce nel deserto
e diede loro da bere come dal grande abisso.
16Fece sgorgare ruscelli dalla rupe
e scorrere l'acqua a torrenti.

17Eppure continuarono a peccare contro di lui,
a ribellarsi all'Altissimo nel deserto.
18Nel loro cuore tentarono Dio,
chiedendo cibo per le loro brame;
19mormorarono contro Dio
dicendo: "Potrà forse Dio
preparare una mensa nel deserto?".
20Ecco, egli percosse la rupe e ne scaturì acqua,
e strariparono torrenti.
"Potrà forse dare anche pane
o preparare carne al suo popolo?".
21All'udirli il Signore ne fu adirato;
un fuoco divampò contro Giacobbe
e l'ira esplose contro Israele,
22perché non ebbero fede in Dio
né speranza nella sua salvezza.

23Comandò alle nubi dall'alto
e aprì le porte del cielo;
24fece piovere su di essi la manna per cibo
e diede loro pane del cielo:
25l'uomo mangiò il pane degli angeli,
diede loro cibo in abbondanza.
26Scatenò nel cielo il vento d'oriente,
fece spirare l'australe con potenza;
27su di essi fece piovere la carne come polvere
e gli uccelli come sabbia del mare;
28caddero in mezzo ai loro accampamenti,
tutto intorno alle loro tende.
29Mangiarono e furono ben sazi,
li soddisfece nel loro desiderio.
30La loro avidità non era ancora saziata,
avevano ancora il cibo in bocca,
31quando l'ira di Dio si alzò contro di essi,
facendo strage dei più vigorosi
e abbattendo i migliori d'Israele.

32Con tutto questo continuarono a peccare
e non credettero ai suoi prodigi.
33Allora dissipò come un soffio i loro giorni
e i loro anni con strage repentina.
34Quando li faceva perire, lo cercavano,
ritornavano e ancora si volgevano a Dio;
35ricordavano che Dio è loro rupe,
e Dio, l'Altissimo, il loro salvatore;
36lo lusingavano con la bocca
e gli mentivano con la lingua;
37il loro cuore non era sincero con lui
e non erano fedeli alla sua alleanza.
38Ed egli, pietoso, perdonava la colpa,
li perdonava invece di distruggerli.
Molte volte placò la sua ira
e trattenne il suo furore,
39ricordando che essi sono carne,
un soffio che va e non ritorna.
40Quante volte si ribellarono a lui nel deserto,
lo contristarono in quelle solitudini!
41Sempre di nuovo tentavano Dio,
esasperavano il Santo di Israele.
42Non si ricordavano più della sua mano,
del giorno che li aveva liberati dall'oppressore,

43quando operò in Egitto i suoi prodigi,
i suoi portenti nei campi di Tanis.
44Egli mutò in sangue i loro fiumi
e i loro ruscelli, perché non bevessero.
45Mandò tafàni a divorarli
e rane a molestarli.
46Diede ai bruchi il loro raccolto,
alle locuste la loro fatica.
47Distrusse con la grandine le loro vigne,
i loro sicomori con la brina.
48Consegnò alla grandine il loro bestiame,
ai fulmini i loro greggi.

49Scatenò contro di essi la sua ira ardente,
la collera, lo sdegno, la tribolazione,
e inviò messaggeri di sventure.
50Diede sfogo alla sua ira:
non li risparmiò dalla morte
e diede in preda alla peste la loro vita.
51Colpì ogni primogenito in Egitto,
nelle tende di Cam la primizia del loro vigore.

52Fece partire come gregge il suo popolo
e li guidò come branchi nel deserto.
53Li condusse sicuri e senza paura
e i loro nemici li sommerse il mare.
54Li fece salire al suo luogo santo,
al monte conquistato dalla sua destra.
55Scacciò davanti a loro i popoli
e sulla loro eredità gettò la sorte,
facendo dimorare nelle loro tende le tribù di Israele.

56Ma ancora lo tentarono,
si ribellarono a Dio, l'Altissimo,
non obbedirono ai suoi comandi.
57Sviati, lo tradirono come i loro padri,
fallirono come un arco allentato.
58Lo provocarono con le loro alture
e con i loro idoli lo resero geloso.

59Dio, all'udire, ne fu irritato
e respinse duramente Israele.
60Abbandonò la dimora di Silo,
la tenda che abitava tra gli uomini.
61Consegnò in schiavitù la sua forza,
la sua gloria in potere del nemico.
62Diede il suo popolo in preda alla spada
e contro la sua eredità si accese d'ira.
63Il fuoco divorò il fiore dei suoi giovani,
le sue vergini non ebbero canti nuziali.
64I suoi sacerdoti caddero di spada
e le loro vedove non fecero lamento.

65Ma poi il Signore si destò come da un sonno,
come un prode assopito dal vino.
66Colpì alle spalle i suoi nemici,
inflisse loro una vergogna eterna.
67Ripudiò le tende di Giuseppe,
non scelse la tribù di Èfraim;
68ma elesse la tribù di Giuda,
il monte Sion che egli ama.
69Costruì il suo tempio alto come il cielo
e come la terra stabile per sempre.
70Egli scelse Davide suo servo
e lo trasse dagli ovili delle pecore.
71Lo chiamò dal seguito delle pecore madri
per pascere Giacobbe suo popolo,
la sua eredità Israele.
72Fu per loro pastore dal cuore integro
e li guidò con mano sapiente.


Salmi 147

1Alleluia.

Lodate il Signore:
è bello cantare al nostro Dio,
dolce è lodarlo come a lui conviene.

2Il Signore ricostruisce Gerusalemme,
raduna i dispersi d'Israele.
3Risana i cuori affranti
e fascia le loro ferite;
4egli conta il numero delle stelle
e chiama ciascuna per nome.
5Grande è il Signore, onnipotente,
la sua sapienza non ha confini.
6Il Signore sostiene gli umili
ma abbassa fino a terra gli empi.

7Cantate al Signore un canto di grazie,
intonate sulla cetra inni al nostro Dio.
8Egli copre il cielo di nubi,
prepara la pioggia per la terra,
fa germogliare l'erba sui monti.
9Provvede il cibo al bestiame,
ai piccoli del corvo che gridano a lui.
10Non fa conto del vigore del cavallo,
non apprezza l'agile corsa dell'uomo.
11Il Signore si compiace di chi lo teme,
di chi spera nella sua grazia.

12Alleluia.

Glorifica il Signore, Gerusalemme,
loda il tuo Dio, Sion.
13Perché ha rinforzato le sbarre delle tue porte,
in mezzo a te ha benedetto i tuoi figli.
14Egli ha messo pace nei tuoi confini
e ti sazia con fior di frumento.
15Manda sulla terra la sua parola,
il suo messaggio corre veloce.
16Fa scendere la neve come lana,
come polvere sparge la brina.

17Getta come briciole la grandine,
di fronte al suo gelo chi resiste?
18Manda una sua parola ed ecco si scioglie,
fa soffiare il vento e scorrono le acque.
19Annunzia a Giacobbe la sua parola,
le sue leggi e i suoi decreti a Israele.
20Così non ha fatto con nessun altro popolo,
non ha manifestato ad altri i suoi precetti.

Alleluia.


Isaia 54

1Esulta, o sterile che non hai partorito,
prorompi in grida di giubilo e di gioia,
tu che non hai provato i dolori,
perché più numerosi sono i figli dell'abbandonata
che i figli della maritata, dice il Signore.
2Allarga lo spazio della tua tenda,
stendi i teli della tua dimora senza risparmio,
allunga le cordicelle, rinforza i tuoi paletti,
3poiché ti allargherai a destra e a sinistra
e la tua discendenza entrerà in possesso delle nazioni,
popolerà le città un tempo deserte.
4Non temere, perché non dovrai più arrossire;
non vergognarti, perché non sarai più disonorata;
anzi, dimenticherai la vergogna della tua giovinezza
e non ricorderai più il disonore della tua vedovanza.5Poiché tuo sposo è il tuo creatore,
Signore degli eserciti è il suo nome;
tuo redentore è il Santo di Israele,
è chiamato Dio di tutta la terra.
6Come una donna abbandonata
e con l'animo afflitto, ti ha il Signore richiamata.
Viene forse ripudiata la donna sposata in gioventù?
Dice il tuo Dio.
7Per un breve istante ti ho abbandonata,
ma ti riprenderò con immenso amore.
8In un impeto di collera ti ho nascosto
per un poco il mio volto;
ma con affetto perenne ho avuto pietà di te,
dice il tuo redentore, il Signore.
9Ora è per me come ai giorni di Noè,
quando giurai che non avrei più riversato
le acque di Noè sulla terra;
così ora giuro di non più adirarmi
con te e di non farti più minacce.
10Anche se i monti si spostassero e i colli vacillassero,
non si allontanerebbe da te il mio affetto,
né vacillerebbe la mia alleanza di pace;
dice il Signore che ti usa misericordia.

11Afflitta, percossa dal turbine, sconsolata,
ecco io pongo sulla malachite le tue pietre
e sugli zaffiri le tue fondamenta.
12Farò di rubini la tua merlatura,
le tue porte saranno di carbonchi,
tutta la tua cinta sarà di pietre preziose.
13Tutti i tuoi figli saranno discepoli del Signore,
grande sarà la prosperità dei tuoi figli;
14sarai fondata sulla giustizia.
Sta' lontana dall'oppressione, perché non dovrai temere,
dallo spavento, perché non ti si accosterà.
15Ecco, se ci sarà un attacco, non sarà da parte mia.
Chi ti attacca cadrà contro di te.
16Ecco, io ho creato il fabbro
che soffia sul fuoco delle braci
e ne trae gli strumenti per il suo lavoro,
e io ho creato anche il distruttore per devastare.
17Nessun'arma affilata contro di te avrà successo,
farai condannare ogni lingua
che si alzerà contro di te in giudizio.
Questa è la sorte dei servi del Signore,
quanto spetta a loro da parte mia. Oracolo del Signore.


Seconda lettera ai Corinzi 12

1Bisogna vantarsi? Ma ciò non conviene! Pur tuttavia verrò alle visioni e alle rivelazioni del Signore.2Conosco un uomo in Cristo che, quattordici anni fa - se con il corpo o fuori del corpo non lo so, lo sa Dio - fu rapito fino al terzo cielo.3E so che quest'uomo - se con il corpo o senza corpo non lo so, lo sa Dio -4fu rapito in paradiso e udì parole indicibili che non è lecito ad alcuno pronunziare.5Di lui io mi vanterò! Di me stesso invece non mi vanterò fuorché delle mie debolezze.6Certo, se volessi vantarmi, non sarei insensato, perché direi solo la verità; ma evito di farlo, perché nessuno mi giudichi di più di quello che vede o sente da me.
7Perché non montassi in superbia per la grandezza delle rivelazioni, mi è stata messa una spina nella carne, un inviato di satana incaricato di schiaffeggiarmi, perché io non vada in superbia.8A causa di questo per ben tre volte ho pregato il Signore che l'allontanasse da me.9Ed egli mi ha detto: "Ti basta la mia grazia; la mia potenza infatti si manifesta pienamente nella debolezza". Mi vanterò quindi ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo.10Perciò mi compiaccio nelle mie infermità, negli oltraggi, nelle necessità, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo: quando sono debole, è allora che sono forte.
11Sono diventato pazzo; ma siete voi che mi ci avete costretto. Infatti avrei dovuto essere raccomandato io da voi, perché non sono per nulla inferiore a quei "superapostoli", anche se sono un nulla.12Certo, in mezzo a voi si sono compiuti i segni del vero apostolo, in una pazienza a tutta prova, con segni, prodigi e miracoli.13In che cosa infatti siete stati inferiori alle altre Chiese, se non in questo, che io non vi sono stato d'aggravio? Perdonatemi questa ingiustizia!
14Ecco, è la terza volta che sto per venire da voi, e non vi sarò di peso, perché non cerco i vostri beni, ma voi. Infatti non spetta ai figli mettere da parte per i genitori, ma ai genitori per i figli.15Per conto mio mi prodigherò volentieri, anzi consumerò me stesso per le vostre anime. Se io vi amo più intensamente, dovrei essere riamato di meno?
16Ma sia pure che io non vi sono stato di peso; però, scaltro come sono, vi ho preso con inganno.17Vi ho forse sfruttato per mezzo di qualcuno di quelli che ho inviato tra voi?18Ho vivamente pregato Tito di venire da voi e ho mandato insieme con lui quell'altro fratello. Forse Tito vi ha sfruttato in qualche cosa? Non abbiamo forse noi due camminato con lo stesso spirito, sulle medesime tracce?

19Certo, da tempo vi immaginate che stiamo facendo la nostra difesa davanti a voi. Ma noi parliamo davanti a Dio, in Cristo, e tutto, carissimi, è per la vostra edificazione.20Temo infatti che, venendo, non vi trovi come desidero e che a mia volta venga trovato da voi quale non mi desiderate; che per caso non vi siano contese, invidie, animosità, dissensi, maldicenze, insinuazioni, superbie, disordini,21e che, alla mia venuta, il mio Dio mi umilii davanti a voi e io abbia a piangere su molti che hanno peccato in passato e non si sono convertiti dalle impurità, dalla fornicazione e dalle dissolutezze che hanno commesso.


Capitolo LIII: La grazia di Dio non si confonde con ciò che ha sapore di cose terrene

Leggilo nella Biblioteca

1. Preziosa, o figlio, è la mia grazia; essa non tollera di essere mescolata a cose esteriori e a consolazioni terrene. Perciò devi buttar via tutto ciò che ostacola la grazia, se vuoi che questa sia infusa in te. Procurati un luogo appartato, compiaciti di stare solo con te stesso, non andare cercando di chiacchierare con nessuno; effondi, invece, la tua devota preghiera a Dio, per conservare compunzione d'animo e purezza di coscienza. Il mondo intero, consideralo un nulla; alle cose esteriori anteponi l'occuparti di Dio. Ché non potresti attendere a me, e nello stesso tempo trovare godimento nelle cose passeggere. Occorre allontanarsi dalle persone che si conoscono e alle quali si vuole bene; occorre tenere l'animo sgombro da ogni conforto temporale. Ecco ciò che il santo apostolo Pietro chiede, in nome di Dio: che i seguaci di Cristo si conservino in questo mondo "come forestieri e pellegrini" (1Pt 2,11). Quanta sicurezza in colui che muore, senza essere legato alla terra dall'attaccamento per alcuna cosa. Uno spirito debole, invece, non riesce a mantenere il cuore tanto distaccato: l'uomo materiale non conosce la libertà dell'uomo interiore. Che se uno vuole veramente essere uomo spirituale, egli deve rinunciare a tutti, ai lontani e ai vicini; e guardarsi da se stesso più ancora che dagli altri. Se avrai vinto pienamente te stesso, facilmente soggiogherai tutto il resto. Trionfare di se medesimi è vittoria perfetta; giacché colui che domina se stesso - facendo sì che i sensi obbediscano alla ragione, e la ragione obbedisca in tutto e per tutto a Dio - questi è, in verità il vincitore di sé e signore del mondo.

2. Se brami elevarti a questa somma altezza, è necessario che tu cominci con coraggio, mettendo la scure alla radice, per poter estirpare totalmente la tua segreta inclinazione, contraria al volere di Dio e volta a te stesso e a tutto ciò che è tuo utile materiale. Da questo vizio, dall'amore di sé, contrarissimo alla volontà divina, deriva, si può dire, tutto quanto deve essere stroncato radicalmente. Domato e superato questo vizio, si farà stabilmente una grande pace e una grande serenità. Ma sono pochi quelli che si adoprano per morire del tutto a se stessi, e per uscire pienamente da se stessi. I più restano avviluppati, né sanno innalzarsi spiritualmente sopra di sé. Coloro che desiderano camminare con me senza impacci debbono mortificare tutti i loro affetti perversi e contrari all'ordine voluto da Dio, senza restare attaccati di cupido amore personale ad alcuna creatura.


Omelia 48: Io e il Padre siamo uno.

Commento al Vangelo di San Giovanni - Sant'Agostino d'Ippona

Leggilo nella Biblioteca

1. Non dimenticate mai ciò che insistentemente ho fatto notare alla vostra Carità, e cioè che san Giovanni evangelista non vuole alimentarci sempre con latte, ma vuole sostenerci con cibo solido. Chi però non è ancora in grado di ricevere il cibo solido della parola di Dio, si nutra col latte della fede, accettando senza esitazione la parola che non riesce a comprendere. La fede è un merito, e l'intelligenza ne è la ricompensa. Nello sforzo che il nostro intelletto fa per penetrare la parola di Dio, si purifica, liberandosi dall'inevitabile foschia umana e si chiarisce alla sua luce. Quando si ama, non ci si sottrae allo sforzo. Sapete infatti che chi ama non sente fatica; mentre anche la minima fatica è pesante per chi non ama. Se tante fatiche impone la cupidigia agli avari, la carità non dovrà esigere da noi alcuna fatica?

2. Ascoltate con attenzione il Vangelo: Si celebrava a Gerusalemme la festa dell'Encenia (Gv 10, 22). L'Encenia era la festa della Dedicazione del tempio. in greco vuol dire nuovo. Il giorno in cui si inaugurava qualcosa di nuovo veniva chiamato Encenia; parola che poi è passata nell'uso comune: quando uno, ad esempio, indossa una tunica nuova si usa il verbo "enceniare". I Giudei celebravano solennemente il giorno della dedicazione del tempio; si celebrava appunto questa festa, quando il Signore pronunciò il discorso che è stato letto.

[Chi crede si avvicina, chi nega si allontana.]

3. Era d'inverno, e Gesù passeggiava nel tempio, sotto il portico di Salomone. I Giudei gli si fecero attorno e gli dissero: Fino a quando terrai l'animo nostro sospeso? Se tu sei il Cristo diccelo chiaramente! (Gv 10, 23-24). Essi non cercavano la verità ma macchinavano un complotto. Si era d'inverno ed erano pieni di freddo, perché non facevano niente per avvicinarsi a quel fuoco divino. Avvicinarsi significa credere: chi crede si avvicina, chi nega si allontana. Non si muove l'anima con i piedi, ma con l'affetto del cuore. In loro si era spento del tutto il fuoco della carità, e ardeva soltanto il desiderio di far del male. Erano molto lontani, benché fossero lì; non si avvicinavano con la fede, ma gli stavano addosso perseguitandolo. Volevano sentir dire dal Signore: Io sono il Cristo, e forse di Cristo avevano un'opinione soltanto umana. I profeti avevano annunziato Cristo; ma se neppure gli eretici accettano la divinità di Cristo secondo la testimonianza dei profeti e dello stesso Vangelo, tanto meno i Giudei quindi, finché rimane il velo sopra il loro cuore (2 Cor 3, 15). Ora il Signore Gesù, in altra circostanza, sapendo che essi nutrivano nei riguardi del Cristo opinioni secondo l'uomo, non secondo Dio, opinioni che tenevano conto della sua natura umana, ma non della natura divina che permaneva in lui anche dopo l'incarnazione, disse loro: Che ve ne pare del Cristo? di chi è figlio? (Mt 22, 42). In base alla loro opinione, essi risposero: di David. Così infatti avevano appreso dalle profezie, e a questo si fermavano: avevano letto anche della sua divinità, ma non l'avevano compresa. E il Signore, volendo tenere sospeso il loro animo affinché cercassero la divinità di colui del quale disprezzavano l'infermità, rispose loro: Come, dunque, David, ispirato, lo chiama Signore, dicendo: IL Signore ha detto al mio Signore: siedi alla mia destra, finché abbia posto i tuoi nemici sotto i tuoi piedi? Se, dunque, David lo chiama Signore, come è suo figlio? (Mt 22, 43-45). Non negò di essere figlio di David ma pose loro una domanda. Che nessuno, di fronte a questa risposta, pensi che il Signore Gesù abbia voluto negare di essere figlio di David. Se Cristo Signore avesse negato di essere figlio di David, non avrebbe illuminato i ciechi che così lo invocavano. Passando, infatti, una volta, due ciechi che stavano seduti lungo la via, lo invocarono: Figlio di David, abbi pietà di noi! (Mt 20, 31). A quella invocazione, si commosse, si fermò, li guarì, diede loro la luce, mostrando così di gradire quel titolo. A sua volta, l'apostolo Paolo dice: E' nato dal seme di David secondo la carne (Rm 1, 3); e scrivendo a Timoteo: Ricordati che Gesù Cristo, della stirpe di David, è risuscitato dai morti secondo il mio Vangelo (2 Tim 2, 8). Il Signore era della stirpe di David, perché la vergine Maria discendeva dalla stirpe di David.

4. I Giudei contavano molto su una risposta affermativa. Se infatti egli avesse risposto: Io sono il Cristo, dato che essi consideravano il Cristo come proveniente unicamente dalla stirpe di David, lo avrebbero accusato di volersi arrogare un potere regale. La sua risposta fu ancor più compromettente: essi volevano accusarlo di arrogarsi il titolo di figlio di David, egli rispose di essere il Figlio di Dio. E ascoltate in quali termini: Rispose loro Gesù: Ve l'ho detto e voi non credete; le opere che io faccio nel nome del Padre mio, queste testimoniano di me; ma voi non credete perché non appartenete alle mie pecore (Gv 10, 25-26). Avete già appreso sopra chi siano le sue pecore. Cercate di essere tali anche voi! Le sue pecore sono quelle che credono, che seguono il loro pastore, che non disprezzano il loro redentore, che entrano per la porta e ne escono trovando il pascolo, e partecipano della vita eterna. Come mai allora disse a costoro: Voi non appartenete alle mie pecore? Perché sapeva che erano destinati alla rovina eterna, e non alla vita eterna come quelli che sono redenti col prezzo del suo sangue.

[In paradiso tutto è verdeggiante e rigoglioso.]

5. Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco, e mi seguono. Io do loro la vita eterna (Gv 10, 27-28). Ecco il pascolo. Se ricordate, prima aveva detto: entrerà, e uscirà e troverà pascolo (Gv 10, 9). Siamo entrati quando abbiamo creduto, usciamo quando si muore. Ma allo stesso modo che siamo entrati per la porta della fede, così dobbiamo uscire dal corpo come fedeli; è così che si esce per la medesima porta, se si vuole trovare il pascolo. Viene presentata la vita eterna come un buon pascolo; l'erba non inaridisce dove tutto è sempre verdeggiante e pieno di vita: c'è un'erba di cui si dice che è sempre viva. In quel pascolo si trova soltanto la vita. Io - dice - darò la vita eterna alle mie pecore. Voi imbastite accuse, perché pensate soltanto alla vita presente.

[Credere per giungere alla sapienza.]

6. E non periranno in eterno; sottinteso: voi perirete eternamente, perché non siete delle mie pecore. Nessuno me le strapperà di mano (Gv 10, 28). Ascoltate ora con la massima attenzione: Ciò che mio Padre mi ha dato è più grande di tutto (Gv 12, 29). Che può fare il lupo? Che possono fare il ladro e il brigante? Non rovinano se non chi è predestinato alla morte. Di quelle pecore, invece, di cui l'Apostolo dice: Iddio conosce quelli che sono i suoi (2 Tim 2, 19), e ancora: Quelli che egli ha preconosciuto, li ha anche predestinati; quelli che ha predestinati, li ha anche chiamati; e quelli che ha chiamati, li ha anche giustificati; quelli infine che ha giustificati, li ha anche glorificati (Rm 8, 29-30): di queste pecore nessuna il lupo può rapire, né il ladro rubare, né il brigante uccidere. Colui che sa cosa ha pagato per esse, è sicuro del loro numero. E' questo il senso delle parole: Nessuno le rapirà dalla mia mano; e di quelle altre riferite al Padre: Ciò che mio Padre mi ha dato è più grande di tutto. Qual è la cosa più grande di tutte che il Padre ha dato al Figlio? Gli ha dato di essere il suo unigenito Figlio. Che significa dunque gli ha dato? Esisteva già colui al quale ha dato, oppure il Padre glielo ha dato generandolo? Poiché se esisteva prima che gli fosse dato di essere Figlio, vorrebbe dire che c'è stato un tempo in cui esisteva e non era Figlio. Non è possibile che ci sia stato un tempo in cui Cristo Signore sia esistito senza essere Figlio. Questo si può dire di noi: c'è stato un tempo in cui eravamo figli dell'uomo e non eravamo figli di Dio. E' per grazia infatti che noi siamo diventati figli di Dio, mentre Cristo è Figlio per natura, perché così è nato. Né puoi dire che egli non esisteva prima di nascere, perché non c'è stato tempo in cui egli non fosse nato, lui coeterno al Padre. Chi può capisca; chi non capisce creda, si nutra e capirà. Il Verbo di Dio è da sempre col Padre, e da sempre è Verbo; e appunto perché Verbo è Figlio. Da sempre dunque è Figlio e da sempre uguale al Padre. Non è uguale per essere cresciuto, ma per nascita, colui che è nato da sempre: Figlio dal Padre, Dio da Dio, coeterno dall'eterno. Il Padre è Dio, ma non da parte del Figlio; il Figlio è Dio, procedente dal Padre, perché il Padre, generandolo, ha dato al Figlio di essere Dio, generandolo gli ha dato di essere con lui coeterno, a lui uguale. Ecco ciò che è più grande di tutte le cose. In che senso il Figlio è la vita e ha la vita? Egli è ciò che ha. Tu, invece, non sei ciò che hai. Tu hai, ad esempio, la sapienza; sei forse la sapienza? E' tanto vero che tu non sei ciò che hai, che se perdi ciò che hai ritorni ad esserne privo; e così ora lo perdi, ora lo ricuperi. Così, il nostro occhio non ha in se stesso la luce in maniera continua: se si apre la riceve, se si chiude la perde. Non è certo in questo senso che il Figlio di Dio è Dio; non è in questo senso che egli è il Verbo del Padre: non così è il Verbo che non passa come un suono, ma che permane dalla nascita. Egli possiede la sapienza sì da essere egli stesso la sapienza e da rendere sapienti gli altri; egli possiede la vita sì da essere egli stesso la vita e da far vivere gli altri. Ecco ciò che è più grande di tutte le cose. Volendo parlare del Figlio, l'evangelista Giovanni osserva il cielo e la terra; li osserva e li oltrepassa. Al di sopra del cielo contempla le innumerevoli schiere angeliche, col suo pensiero oltrepassa l'universo creato, come l'aquila oltrepassa le nubi; essendo andato oltre ogni cosa creata, per quanto grande, pervenne a colui che è più grande di tutte le cose e proclamò: In principio era il Verbo (Gv 1, 1). Ma siccome colui del quale Cristo è Verbo, non procede dal Verbo, mentre il Verbo procede da colui al quale appartiene, Cristo dice: Ciò che mi ha dato il Padre - di essere cioè il suo Verbo, di essere il suo unigenito Figlio e lo splendore della sua luce - è più grande di tutto. Perciò nessuno rapirà le mie pecore dalla mia mano. Nessuno può rapirle dalla mano del Padre mio.

7. Di mano a me e di mano al Padre mio. Che significa: nessuno le può rapire di mano a me, e: nessuno può rapirle dalla mano del Padre mio? E' forse una sola la mano del Padre e quella del Figlio, oppure il Figlio stesso è la mano del Padre suo? Se per mano intendiamo la potestà, unica è la potestà del Padre e del Figlio, perché unica è la divinità; se invece per mano intendiamo ciò che dice il profeta: IL braccio del Signore a chi è stato rivelato? (Is 53, 1), la mano del Padre è il Figlio. Il che non significa che Dio abbia forma umana, e perfino membra corporee; ma che per mezzo di lui furon fatte tutte le cose. Anche gli uomini sono soliti chiamare mani proprie altri uomini, dei quali si servono per operare ciò che vogliono; e qualche volta vien chiamata mano di un uomo anche l'opera eseguita dalla sua mano: così si dice che uno riconosce la propria mano, quando riconosce un proprio scritto. Ora, se sono molti i significati che si danno alla mano dell'uomo, che pure in senso proprio fa parte delle membra del suo corpo, tanto più sarà lecito intendere non in un solo senso la mano di Dio che non possiede alcuna forma corporea. E perciò, in questo passo, per mano del Padre e del Figlio preferiamo intendere il potere del Padre e del Figlio, onde evitare che sentendo dire qui che il Figlio è la mano del Padre, qualche mente grossolana cominci a cercare un figlio al Figlio, ravvisando in esso la mano di Cristo. L'espressione quindi: Nessuno può rapirle dalla mano del Padre mio, significa: Nessuno me le può rapire.

8. E se ti rimane qualche incertezza, ascolta quello che segue: Io e il Padre siamo una cosa sola (Gv 10, 30). Fin qui i Giudei erano riusciti a sopportare; ma quando sentirono: Io e il Padre siamo una cosa sola, non resistettero più; e, duri com'erano, al solito ricorsero alle pietre. Diedero di piglio alle pietre per lapidarlo. Ma siccome il Signore non si assoggettava a quei patimenti che non voleva - difatti non patì se non quello che volle patire -, continuò il suo discorso a quelli che volevano lapidarlo. I Giudei presero delle pietre per lapidarlo. Rispose loro Gesù: Molte buone opere vi ho mostrato che vengono dal Padre mio; per quale di esse mi volete lapidare? Ed essi risposero: Non ti lapidiamo per un'opera buona, ma per una bestemmia, e perché tu, che sei uomo, ti fai Dio (Gv 10, 31-33). Così risposero alla sua affermazione: Io e il Padre siamo una cosa sola. Vedete come i Giudei hanno compreso ciò che non intendono gli ariani? Essi si infuriarono appunto perché si resero conto che non si potrebbe dire Io e il Padre siamo una cosa sola, se il Padre e il Figlio non fossero uguali.

9. Nota la risposta che il Signore dà a questi spiriti tardi. Vedendo che essi non riescono a sopportare lo splendore della verità, egli cerca di stemperarla. Non è scritto nella vostra legge, cioè nella legge che vi è stata data, Io dissi: Voi siete dèi? (Gv 10, 34). In un salmo, per bocca del profeta, Dio dice agli uomini: Io dissi: Voi siete dèi (Sal 81, 6). Il Signore chiama legge tutta la Scrittura in genere; quantunque altrove distingua la legge dai profeti, come ad esempio quando dice: La legge e i profeti fino a Giovanni (Lc 16, 16), e quando dice: su questi due precetti poggiano tutta la legge e i profeti (Mt 22, 40). Qualche volta invece distingue la Scrittura in tre parti, come quando dice: Si deve adempiere tutto ciò che nella legge di Mosè, nei profeti e nei salmi, sta scritto di me (Lc 24, 44). Qui invece include nella legge anche i salmi, dove sta scritto: Io dissi: Voi siete dèi. Se la legge - egli continua - chiama dèi coloro ai quali fu rivolta la parola di Dio, e non si può distruggere la Scrittura, perché a me, che il Padre ha consacrato e mandato nel mondo, dite: Tu bestemmi, perché ho detto: Sono il Figlio di Dio? (Gv 10, 35-36). Se si possono chiamare dèi coloro ai quali fu rivolta la parola di Dio, come può non essere Dio il Verbo stesso di Dio, che è presso il Padre? Se in virtù della parola di Dio gli uomini diventano dèi, dèi per partecipazione, non sarà Dio colui del quale essi sono partecipi? Se le luci illuminate sono dèi, non sarà Dio la luce che illumina? Se al calore di questo fuoco salutare gli uomini diventano dèi, non sarà Dio la sorgente del loro calore? Avvicinati alla luce e sarai illuminato e annoverato tra i figli di Dio; se ti allontani dalla luce, entri nell'oscurità e ti avvolgono le tenebre; quanto a questa luce, né si avvicina né si allontana da se medesima. Se dunque la parola di Dio vi fa dèi, come può non essere Dio il Verbo di Dio? Il Padre dunque ha santificato il Figlio e lo ha mandato nel mondo. Forse qualcuno dirà: Se il Padre lo ha santificato, allora vuol dire che c'è stato un tempo in cui non era santo? No, lo ha santificato nell'atto stesso del generarlo. Generandolo gli ha dato di essere santo, poiché lo ha generato santo. E infatti, se quel che si santifica non fosse già santo, che senso avrebbe dire a Dio Padre: Sia santificato il tuo nome (Mt 6, 9)?

[Ciò che appartiene al Signore, e l'ufficio del servo.]

10. Se non faccio le opere di mio Padre, non credetemi; ma se le faccio, anche se non credete a me, credete alle opere, affinché riconosciate e crediate che il Padre è in me e io nel Padre (Gv 10, 37-38). Il Figlio non dice: IL Padre in me e io in lui nel senso che potrebbero dirlo gli uomini. Se pensiamo rettamente, noi siamo in Dio; e se viviamo degnamente, Dio è in noi. Come fedeli partecipi della sua grazia e da lui illuminati, siamo in lui e lui è in noi. Ben altro bisogna dire del Figlio unigenito: egli è nel Padre e il Padre è in lui, come l'uguale in colui che gli è uguale. Noi al più possiamo dire che siamo in Dio e che Dio è in noi, ma non possiamo dire: io e Dio siamo una cosa sola. Tu sei in Dio, perché Dio ti contiene; Dio è in te, perché sei diventato tempio di Dio; ma per il fatto che sei in Dio e Dio è in te, puoi forse dire: chi vede me vede Dio, come ha detto l'Unigenito: Chi ha veduto me ha veduto il Padre (Gv 14, 9), e ancora: Io e il Padre siamo una cosa sola? Riconosci ciò che è proprio del Signore e ciò che è dono concesso al servo: proprio del Signore è la sua uguaglianza col Padre, dono concesso al servo è la partecipazione alla vita del Salvatore.

11. Cercavano dunque di prenderlo (Gv 10, 39). Magari l'avessero preso! ma con la fede e l'intelligenza, non perseguitandolo e uccidendolo. Fratelli miei, io che parlo, che dico a voi queste cose forti io che sono debole, cose grandi io piccolo, cose solide io fragile; e voi, che appartenete a quella medesima massa cui appartengo io che vi parlo, tutti insieme cerchiamo di impadronirci di Cristo. Che significa impadronirci di lui? Se hai inteso bene la sua parola, lo hai raggiunto e lo hai preso. Ma non così volevano afferrarlo i Giudei: tu lo hai preso per averlo, essi volevano prenderlo per eliminarlo. E siccome volevano prenderlo in questo modo, cosa fece egli? Sfuggì dalle loro mani. Non riuscirono a prenderlo perché non avevano le mani della fede. Il Verbo si è fatto carne, e non era difficile per il Verbo liberare la sua carne dalle mani di carne. Prendere il Verbo spiritualmente, questo è prendere davvero il Cristo.

12. E ritornò oltre il Giordano, nel luogo dove Giovanni aveva prima battezzato, e vi si fermò. E molti andarono a lui e dicevano: Giovanni non ha fatto alcun miracolo (Gv 10, 40-41). Ricorderete che di Giovanni si è detto che era la lucerna, che rendeva testimonianza al giorno (cf. Gv 5, 35 33). Perché allora dissero costoro tra sé: Giovanni non ha fatto alcun miracolo? Giovanni, dicono, non ha mostrato alcun miracolo: non ha messo in fuga i demoni, non ha cacciato la febbre, non ha illuminato i ciechi, non ha risuscitato i morti, non ha sfamato tante migliaia di persone con cinque o sette pani, non ha camminato sul mare, non ha comandato ai venti e alle onde; niente di tutto questo ha fatto Giovanni; ma con tutto ciò che egli diceva rendeva testimonianza a Cristo. Per mezzo della lucerna noi possiamo arrivare al giorno. Giovanni non ha fatto alcun miracolo, ma tutto ciò che egli ha detto di costui era vero (Gv 10, 42). Ecco quelli che presero Gesù, ma non nel senso che intendevano i Giudei. I Giudei volevano prenderlo, ed egli sfuggì dalle loro mani; questi invece lo presero, ed egli si fermò con loro. Ecco infatti la conclusione: E molti credettero in lui.


Un pergolato di rose

I sogni di don Bosco - San Giovanni Bosco

Leggilo nella Biblioteca

Il sogno seguente porta evidenti i caratteri di una visione più che di un sogno. Infatti Don Bosco, nel raccontarlo ai suoi primi Salesiani, s’introdusse così: «Perché ognuno di noi abbia la sicurezza che è Maria Vergine che vuole la nostra Congregazione, vi racconterà non già la descrizione di un sogno, ma quello che la stessa Beata Madre si compiacque di farmi vedere».
Continua quindi narrando il sogno, che riportiamo con le stesse sue parole, omettendo per brevità alcuni particolari. «Un giorno dell’anno 1847, avendo io molto meditato sul modo di far del bene alla gioventù, mi comparve la Regina del cielo e mi condusse in un giardino incantevole».
Quindi Don Bosco descrive il giardino, poi prosegue: «c’era un pergolato che si prolungava a vista d’occhio, fiancheggiato e coperto da rosai in piena fioritura. Anche il suolo era tutto coperto di rose. La Beata Vergine mi disse:
— Togliti le scarpe! —, e poiché me le ebbi tolte, soggiunse:
— Va’ avanti per quel pergolato; è quella la strada che devi percorrere.
Cominciai a camminare, ma subito mi accorsi che quelle rose celavano spine acutissime, cosicché i miei piedi sanguinavano. Quindi fatti appena pochi passi, fui costretto a ritornare indietro.
— Qui ci vogliono le scarpe —, dissi allora alla mia Guida.
— Certamente — mi rispose —; ci vogliono buone scarpe.
Mi calzai e mi rimisi in via con un certo numero di compagni, che avevano chiesto di seguirmi. Il pergolato appariva sempre più stretto e basso. Molti rami si abbassavano e si alzavano come festoni; altri pendevano perpendicolari sopra il sentiero. Erano tutti rivestiti di rose, e io non vedevo che rose ai lati, rose di sopra, rose innanzi ai miei passi. Mentre ancora provavo vivi dolori ai piedi, toccavo rose di qua e di là, sentendo spine ancor più pungenti; e mi pungevo e sanguinavo non solo nelle mani, ma in tutta la persona. Al di sopra anche le rose che pendevano celavano spine pungentissime, che mi si infiggevano nel capo. Tuttavia, incoraggiato dalla Beata Vergine, proseguii il mio cammino.
Intanto tutti coloro che mi osservavano, dicevano:
— Oh, come Don Bosco cammina sempre sulle rose! Egli va avanti tranquillissimo; tutte le cose gli vanno bene.
Ma essi non vedevano le spine che laceravano le mie membra. Molti preti, chierici e laici, allettati dalla bellezza di quei fiori, si erano messi a seguirmi con gioia, ma quando sentirono la puntura delle spine, si misero a gridare:
— Siamo stati ingannati!
Percorso un bel tratto di via, mi volsi indietro e con dolore vidi che mi avevano abbandonato. Ma fui tosto consolato perché vidi un altro stuolo di preti, chierici e laici avanzarsi verso di me dicendo:
— Eccoci: siamo tutti suoi, siamo pronti a seguirla».
Don Bosco continua dicendo che, giunto in fondo al pergolato, si trovò con i suoi in un bellissimo giardino, dove lo circondarono i suoi pochi seguaci, tutti dimagriti, scarmigliati, sanguinanti. Allora si levò una brezza leggera, e a quel soffio tutti guarirono come per incanto. Soffiò un altro vento e si trovò attorniato da un numero immenso di giovani, assistiti da molti preti e coadiutori che si misero a lavorare con lui.
Intanto si vide trasportato con i suoi in una «spaziosissima sala di tale ricchezza che nessuna reggia al mondo può vantarne l’uguale.
Era tutta cosparsa e adorna di rose freschissime e senza spine dalle quali emanava una soavissima fragranza. Allora la Vergine SS. che era stata la mia guida, mi interrogò:
— Sai che cosa significa tutto ciò?
— No — risposi —, vi prego di spiegarmelo.
Allora Ella mi disse:
— Sappi che la via che hai percorso tra le rose e le spine significa la cura che tu hai da prenderti della gioventù: tu vi devi camminare con le scarpe della mortificazione. Le spine per terra rappresentano le affezioni sensibili, le simpatie e le antipatie umane che distraggono l’educatore e lo distolgono dal vero fine, lo feriscono, lo arrestano nella sua missione, gli impediscono di raccogliere meriti per la vita eterna. Le rose sono simbolo della carità ardente che deve distinguere te e tutti i tuoi coadiutori. Le altre spine significano gli ostacoli, i patimenti, i dispiaceri che vi toccheranno. Ma non vi perdete di coraggio. Con la carità e la mortificazione tutto supererete e giungerete alle rose senza spine. Appena la Madre di Dio ebbe finito di parlare, rinvenni in me e mi trovai nella mia camera».


16-10 Luglio 30, 1923 L’anima è il fiore celeste.

Luisa Piccarreta (Libro di Cielo)

(1) Stavo fondendomi nel Santo Voler Divino, ed il mio dolce Gesù nel venire mi ha detto:

(2) “Figlia mia, ogniqualvolta l’anima entra nel mio Volere per pregare, operare e altro, tante diverse tinte divine, una più bella dell’altra riceve. Non vedi quanta varietà di colori e di bellezza contiene tutta la natura? Sono le ombre della varietà dei colori e bellezza che contiene la mia Divinità; ma donde le piante, i fiori, acquistano la varietà dei colori? A chi diedi l’ufficio di colorire con tante svariate tinte tante diversità di piante? Al sole, la sua luce ed il suo calore contengono fecondità e varietà di colori, da abbellire tutta la terra; e solo che la pianta si espone ai baci della sua luce, agli abbracci del suo calore, il fiore si schiude e come restituendogli il bacio e l’abbraccio, riceve le sfumature delle tinte e forma il suo bel colorito.

(3) Ora, l’anima che entra nella mia Volontà, simboleggia il fiore che si espone a ricevere il bacio e l’abbraccio del sole per ricevere le varie tinte che il sole contiene, e col restituirle riceve le varie tinte della Natura Divina. E’ proprio lei il fiore celeste, che il sole eterno con l’alito della sua luce ha colorito così bene da profumare Cielo e terra, e da allietare con la sua bellezza la stessa Divinità e tutta la corte celeste. I raggi del mio Volere la svuotano di ciò che è umano e la riempiono di ciò che è Divino; perciò si vede in lei la bella iride dei miei attributi. Perciò figlia mia, entra spesso nel mio Volere per ricevere le sfumature e le varie tinte della somiglianza del tuo Creatore”.