Sotto il Tuo Manto

Lunedi, 21 luglio 2025 - San Lorenzo da Brindisi (Letture di oggi)

« Il regno dei cieli è simile a un mercante che va in cerca di perle preziose...» (Mi. 13, 45). Sì, abbia­mo promesso grandi cose ma cose ben più grandi ci sono state promesse. Siate fedeli a Cristo e pregate per ottenere la perseveranza. Ricordate di dire a voi stessi: « Sono stato creato per cose più grandi ». Non scendete mai al di sotto dell'ideale propostovi. Fate in modo che nulla vi soddisfi all'infuori di Dio. (Madre Teresa di Calcutta)

Liturgia delle Ore - Letture

Martedi della 24° settimana del tempo ordinario

Per questa Liturgia delle Ore è disponibile sia la versione del tempo corrente che quella dedicata alla memoria di un Santo. Per cambiare versione, clicca su questo collegamento.
Questa sezione contiene delle letture scelte a caso, provenienti dalle varie sezioni del sito (Sacra Bibbia e la sezione Biblioteca Cristiana), mentre l'ultimo tab Apparizioni, contiene messaggi di apparizioni a mistici o loro scritti. Sono presenti testi della Valtorta, Luisa Piccarreta, don Stefano Gobbi e testimonianze di apparizioni mariane riconosciute.

Vangelo secondo Marco 10

1Partito di là, si recò nel territorio della Giudea e oltre il Giordano. La folla accorse di nuovo a lui e di nuovo egli l'ammaestrava, come era solito fare.2E avvicinatisi dei farisei, per metterlo alla prova, gli domandarono: "È lecito ad un marito ripudiare la propria moglie?".3Ma egli rispose loro: "Che cosa vi ha ordinato Mosè?".4Dissero: "Mosè ha permesso di 'scrivere un atto di ripudio e di rimandarla'".5Gesù disse loro: "Per la durezza del vostro cuore egli scrisse per voi questa norma.6Ma all'inizio della creazione 'Dio li creò maschio e femmina';7'per questo l'uomo lascerà suo padre e sua madre e i due saranno una carne sola'.8Sicché non sono più due, ma una sola carne.9L'uomo dunque non separi ciò che Dio ha congiunto".10Rientrati a casa, i discepoli lo interrogarono di nuovo su questo argomento. Ed egli disse:11"Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un'altra, commette adulterio contro di lei;12se la donna ripudia il marito e ne sposa un altro, commette adulterio".

13Gli presentavano dei bambini perché li accarezzasse, ma i discepoli li sgridavano.14Gesù, al vedere questo, s'indignò e disse loro: "Lasciate che i bambini vengano a me e non glielo impedite, perché a chi è come loro appartiene il regno di Dio.15In verità vi dico: Chi non accoglie il regno di Dio come un bambino, non entrerà in esso".16E prendendoli fra le braccia e ponendo le mani sopra di loro li benediceva.

17Mentre usciva per mettersi in viaggio, un tale gli corse incontro e, gettandosi in ginocchio davanti a lui, gli domandò: "Maestro buono, che cosa devo fare per avere la vita eterna?".18Gesù gli disse: "Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo.19Tu conosci i comandamenti: 'Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non dire falsa testimonianza', non frodare, 'onora il padre e la madre'".
20Egli allora gli disse: "Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza".21Allora Gesù, fissatolo, lo amò e gli disse: "Una cosa sola ti manca: va', vendi quello che hai e dàllo ai poveri e avrai un tesoro in cielo; poi vieni e seguimi".22Ma egli, rattristatosi per quelle parole, se ne andò afflitto, poiché aveva molti beni.

23Gesù, volgendo lo sguardo attorno, disse ai suoi discepoli: "Quanto difficilmente coloro che hanno ricchezze entreranno nel regno di Dio!".24I discepoli rimasero stupefatti a queste sue parole; ma Gesù riprese: "Figlioli, com'è difficile entrare nel regno di Dio!25È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio".26Essi, ancora più sbigottiti, dicevano tra loro: "E chi mai si può salvare?".27Ma Gesù, guardandoli, disse: "Impossibile presso gli uomini, ma non presso Dio! Perché tutto è possibile presso Dio".

28Pietro allora gli disse: "Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito".29Gesù gli rispose: "In verità vi dico: non c'è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi a causa mia e a causa del vangelo,30che non riceva già al presente cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni, e nel futuro la vita eterna.31E molti dei primi saranno ultimi e gli ultimi i primi".

32Mentre erano in viaggio per salire a Gerusalemme, Gesù camminava davanti a loro ed essi erano stupiti; coloro che venivano dietro erano pieni di timore. Prendendo di nuovo in disparte i Dodici, cominciò a dir loro quello che gli sarebbe accaduto:33"Ecco, noi saliamo a Gerusalemme e il Figlio dell'uomo sarà consegnato ai sommi sacerdoti e agli scribi: lo condanneranno a morte, lo consegneranno ai pagani,34lo scherniranno, gli sputeranno addosso, lo flagelleranno e lo uccideranno; ma dopo tre giorni risusciterà".

35E gli si avvicinarono Giacomo e Giovanni, i figli di Zebedèo, dicendogli: "Maestro, noi vogliamo che tu ci faccia quello che ti chiederemo".36Egli disse loro: "Cosa volete che io faccia per voi?". Gli risposero:37"Concedici di sedere nella tua gloria uno alla tua destra e uno alla tua sinistra".38Gesù disse loro: "Voi non sapete ciò che domandate. Potete bere il calice che io bevo, o ricevere il battesimo con cui io sono battezzato?". Gli risposero: "Lo possiamo".39E Gesù disse: "Il calice che io bevo anche voi lo berrete, e il battesimo che io ricevo anche voi lo riceverete.40Ma sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato".

41All'udire questo, gli altri dieci si sdegnarono con Giacomo e Giovanni.42Allora Gesù, chiamatili a sé, disse loro: "Voi sapete che coloro che sono ritenuti capi delle nazioni le dominano, e i loro grandi esercitano su di esse il potere.43Fra voi però non è così; ma chi vuol essere grande tra voi si farà vostro servitore,44e chi vuol essere il primo tra voi sarà il servo di tutti.45Il Figlio dell'uomo infatti non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti".

46E giunsero a Gèrico. E mentre partiva da Gèrico insieme ai discepoli e a molta folla, il figlio di Timèo, Bartimèo, cieco, sedeva lungo la strada a mendicare.47Costui, al sentire che c'era Gesù Nazareno, cominciò a gridare e a dire: "Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!".48Molti lo sgridavano per farlo tacere, ma egli gridava più forte: "Figlio di Davide, abbi pietà di me!".
49Allora Gesù si fermò e disse: "Chiamatelo!". E chiamarono il cieco dicendogli: "Coraggio! Alzati, ti chiama!".50Egli, gettato via il mantello, balzò in piedi e venne da Gesù.51Allora Gesù gli disse: "Che vuoi che io ti faccia?". E il cieco a lui: "Rabbunì, che io riabbia la vista!".52E Gesù gli disse: "Va', la tua fede ti ha salvato". E subito riacquistò la vista e prese a seguirlo per la strada.


Deuteronomio 25

1Quando sorgerà una lite fra alcuni uomini e verranno in giudizio, i giudici che sentenzieranno, assolveranno l'innocente e condanneranno il colpevole.2Se il colpevole avrà meritato di essere fustigato, il giudice lo farà stendere per terra e fustigare in sua presenza, con un numero di colpi proporzionati alla gravità della sua colpa.3Gli farà dare non più di quaranta colpi, perché, aggiungendo altre battiture a queste, la punizione non risulti troppo grave e il tuo fratello resti infamato ai tuoi occhi.
4Non metterai la museruola al bue, mentre sta trebbiando.
5Quando i fratelli abiteranno insieme e uno di loro morirà senza lasciare figli, la moglie del defunto non si mariterà fuori, con un forestiero; il suo cognato verrà da lei e se la prenderà in moglie, compiendo così verso di lei il dovere del cognato;6il primogenito che essa metterà al mondo, andrà sotto il nome del fratello morto perché il nome di questo non si estingua in Israele.
7Ma se quell'uomo non ha piacere di prendere la cognata, essa salirà alla porta degli anziani e dirà: Mio cognato rifiuta di assicurare in Israele il nome del fratello; non acconsente a compiere verso di me il dovere del cognato.8Allora gli anziani della sua città lo chiameranno e gli parleranno; se egli persiste e dice: Non ho piacere di prenderla,9allora sua cognata gli si avvicinerà in presenza degli anziani, gli toglierà il sandalo dal piede, gli sputerà in faccia e prendendo la parola dirà: Così sarà fatto all'uomo che non vuole ricostruire la famiglia del fratello.10La famiglia di lui sarà chiamata in Israele la famiglia dello scalzato.
11Se alcuni verranno a contesa fra di loro e la moglie dell'uno si avvicinerà per liberare il marito dalle mani di chi lo percuote e stenderà la mano per afferrare costui nelle parti vergognose,12tu le taglierai la mano e l'occhio tuo non dovrà averne compassione.
13Non avrai nel tuo sacco due pesi diversi, uno grande e uno piccolo.14Non avrai in casa due tipi di 'efa', una grande e una piccola.15Terrai un peso completo e giusto, terrai un''efa' completa e giusta, perché tu possa aver lunga vita nel paese che il Signore tuo Dio sta per darti.16Poiché chiunque compie tali cose, chiunque commette ingiustizia è in abominio al Signore tuo Dio.
17Ricordati di ciò che ti ha fatto Amalek lungo il cammino quando uscivate dall'Egitto:18come ti assalì lungo il cammino e aggredì nella tua carovana tutti i più deboli della retroguardia, mentre tu eri stanco e sfinito, e non ebbe alcun timor di Dio.19Quando dunque il Signore tuo Dio ti avrà assicurato tranquillità, liberandoti da tutti i tuoi nemici all'intorno nel paese che il Signore tuo Dio sta per darti in eredità, cancellerai la memoria di Amalek sotto al cielo: non dimenticare!


Siracide 28

1Chi si vendica avrà la vendetta dal Signore
ed egli terrà sempre presenti i suoi peccati.
2Perdona l'offesa al tuo prossimo
e allora per la tua preghiera ti saranno rimessi i peccati.
3Se qualcuno conserva la collera verso un altro uomo,
come oserà chiedere la guarigione al Signore?
4Egli non ha misericordia per l'uomo suo simile,
e osa pregare per i suoi peccati?
5Egli, che è soltanto carne, conserva rancore;
chi perdonerà i suoi peccati?
6Ricòrdati della tua fine e smetti di odiare,
ricòrdati della corruzione e della morte
e resta fedele ai comandamenti.
7Ricòrdati dei comandamenti
e non aver rancore verso il prossimo,
dell'alleanza con l'Altissimo
e non far conto dell'offesa subìta.

8Astieniti dalle risse e sarai lontano dal peccato,
perché un uomo passionale attizza una rissa.
9Un uomo peccatore semina discordia tra gli amici
e tra persone pacifiche diffonde calunnie.
10Secondo la materia del fuoco, esso s'infiamma,
una rissa divampa secondo la sua violenza;
il furore di un uomo è proporzionato alla sua forza,
la sua ira cresce in base alla sua ricchezza.
11Una lite concitata accende il fuoco,
una rissa violenta fa versare sangue.
12Se soffi su una scintilla, si accende;
se vi sputi sopra, si spegne;
eppure ambedue le cose escono dalla tua bocca.

13Maledici il delatore e l'uomo di doppia lingua,
perché fa perire molti che vivono in pace.
14Una lingua malèdica ha sconvolto molti,
li ha scacciati di nazione in nazione;
ha demolito forti città e ha rovinato casati potenti.
15Una lingua malèdica ha fatto ripudiare donne
eccellenti,
privandole del frutto delle loro fatiche.
16Chi le presta attenzione non trova pace,
dalla sua dimora scompare la serenità.
17Un colpo di frusta produce lividure,
ma un colpo di lingua rompe le ossa.
18Molti sono caduti a fil di spada,
ma non quanti sono periti per colpa della lingua.
19Beato chi se ne guarda,
chi non è esposto al suo furore,
chi non ha trascinato il suo giogo
e non è stato legato con le sue catene.
20Il suo giogo è un giogo di ferro;
le sue catene catene di bronzo.
21Spaventosa è la morte che procura,
in confronto è preferibile la tomba.
22Essa non ha potere sugli uomini pii,
questi non bruceranno alla sua fiamma.
23Quanti abbandonano il Signore in essa cadranno,
fra costoro divamperà senza spegnersi.
Si avventerà contro di loro come un leone
e come una pantera ne farà scempio.
24Ecco, recingi pure la tua proprietà con siepe spinosa,
lega in un sacchetto l'argento e l'oro,
25ma controlla anche le tue parole pesandole
e chiudi con porte e catenaccio la bocca.
26Sta' attento a non sbagliare a causa della lingua,
perché tu non cada davanti a chi ti insidia.


Salmi 18

1'Al maestro del coro. Di Davide, servo del Signore, che rivolse al Signore le parole di questo canto, quando il Signore lo liberò dal potere di tutti i suoi nemici,2 e dalla mano di Saul. Disse dunque:'

Ti amo, Signore, mia forza,
3Signore, mia roccia, mia fortezza, mio liberatore;
mio Dio, mia rupe, in cui trovo riparo;
mio scudo e baluardo, mia potente salvezza.
4Invoco il Signore, degno di lode,
e sarò salvato dai miei nemici.

5Mi circondavano flutti di morte,
mi travolgevano torrenti impetuosi;
6già mi avvolgevano i lacci degli inferi,
già mi stringevano agguati mortali.
7Nel mio affanno invocai il Signore,
nell'angoscia gridai al mio Dio:
dal suo tempio ascoltò la mia voce,
al suo orecchio pervenne il mio grido.

8La terra tremò e si scosse;
vacillarono le fondamenta dei monti,
si scossero perché egli era sdegnato.
9Dalle sue narici saliva fumo,
dalla sua bocca un fuoco divorante;
da lui sprizzavano carboni ardenti.
10Abbassò i cieli e discese,
fosca caligine sotto i suoi piedi.

11Cavalcava un cherubino e volava,
si librava sulle ali del vento.
12Si avvolgeva di tenebre come di velo,
acque oscure e dense nubi lo coprivano.
13Davanti al suo fulgore si dissipavano le nubi
con grandine e carboni ardenti.
14Il Signore tuonò dal cielo,
l'Altissimo fece udire la sua voce:
grandine e carboni ardenti.
15Scagliò saette e li disperse,
fulminò con folgori e li sconfisse.
16Allora apparve il fondo del mare,
si scoprirono le fondamenta del mondo,
per la tua minaccia, Signore,
per lo spirare del tuo furore.

17Stese la mano dall'alto e mi prese,
mi sollevò dalle grandi acque,
18mi liberò da nemici potenti,
da coloro che mi odiavano
ed eran più forti di me.
19Mi assalirono nel giorno di sventura,
ma il Signore fu mio sostegno;
20mi portò al largo,
mi liberò perché mi vuol bene.

21Il Signore mi tratta secondo la mia giustizia,
mi ripaga secondo l'innocenza delle mie mani;
22perché ho custodito le vie del Signore,
non ho abbandonato empiamente il mio Dio.
23I suoi giudizi mi stanno tutti davanti,
non ho respinto da me la sua legge;
24ma integro sono stato con lui
e mi sono guardato dalla colpa.
25Il Signore mi rende secondo la mia giustizia,
secondo l'innocenza delle mie mani davanti ai suoi occhi.

26Con l'uomo buono tu sei buono
con l'uomo integro tu sei integro,
27con l'uomo puro tu sei puro,
con il perverso tu sei astuto.
28Perché tu salvi il popolo degli umili,
ma abbassi gli occhi dei superbi.
29Tu, Signore, sei luce alla mia lampada;
il mio Dio rischiara le mie tenebre.
30Con te mi lancerò contro le schiere,
con il mio Dio scavalcherò le mura.

31La via di Dio è diritta,
la parola del Signore è provata al fuoco;
egli è scudo per chi in lui si rifugia.
32Infatti, chi è Dio, se non il Signore?
O chi è rupe, se non il nostro Dio?
33Il Dio che mi ha cinto di vigore
e ha reso integro il mio cammino;
34mi ha dato agilità come di cerve,
sulle alture mi ha fatto stare saldo;
35ha addestrato le mie mani alla battaglia,
le mie braccia a tender l'arco di bronzo.

36Tu mi hai dato il tuo scudo di salvezza,
la tua destra mi ha sostenuto,
la tua bontà mi ha fatto crescere.
37Hai spianato la via ai miei passi,
i miei piedi non hanno vacillato.
38Ho inseguito i miei nemici e li ho raggiunti,
non sono tornato senza averli annientati.
39Li ho colpiti e non si sono rialzati,
sono caduti sotto i miei piedi.
40Tu mi hai cinto di forza per la guerra,
hai piegato sotto di me gli avversari.

41Dei nemici mi hai mostrato le spalle,
hai disperso quanti mi odiavano.
42Hanno gridato e nessuno li ha salvati,
al Signore, ma non ha risposto.
43Come polvere al vento li ho dispersi,
calpestati come fango delle strade.
44Mi hai scampato dal popolo in rivolta,
mi hai posto a capo delle nazioni.
Un popolo che non conoscevo mi ha servito;
45all'udirmi, subito mi obbedivano,
stranieri cercavano il mio favore,
46impallidivano uomini stranieri
e uscivano tremanti dai loro nascondigli.

47Viva il Signore e benedetta la mia rupe,
sia esaltato il Dio della mia salvezza.
48Dio, tu mi accordi la rivincita
e sottometti i popoli al mio giogo,
49mi scampi dai nemici furenti,
dei miei avversari mi fai trionfare
e mi liberi dall'uomo violento.

50Per questo, Signore, ti loderò tra i popoli
e canterò inni di gioia al tuo nome.
51Egli concede al suo re grandi vittorie,
si mostra fedele al suo consacrato,
a Davide e alla sua discendenza per sempre.


Ezechiele 30

1Mi fu rivolta questa parola del Signore:2"Figlio dell'uomo, predici dicendo: Dice il Signore Dio:

Gemete: Ah, quel giorno!
3Perché il giorno è vicino,
vicino è il giorno del Signore,
giorno di nubi sarà il giorno delle nazioni.
4La spada verrà sull'Egitto
e ci sarà l'angoscia in Etiopia,
quando cadranno in Egitto i trafitti,
le sue ricchezze saranno asportate
e le sue fondamenta disfatte.
5Etiopia, Put e Lud e stranieri d'ogni specie
e Cub e i figli del paese dell'alleanza
cadranno con loro di spada.6Dice il Signore:
Cadranno gli alleati dell'Egitto
e sarà abbattuto l'orgoglio della sua forza:
da Migdòl fino ad Assuan cadranno di spada.
Parola del Signore Dio.
7Sarà un deserto fra terre devastate
e le sue città fra città desolate.
8Sapranno che io sono il Signore
quando darò fuoco all'Egitto
e tutti i suoi sostenitori saranno schiacciati.

9In quel giorno partiranno da me messaggeri su navi a spargere il terrore in Etiopia che si crede sicura, e in essa vi sarà spavento nel giorno dell'Egitto, poiché ecco già viene".10Così dice il Signore Dio: "Farò cessare il tumultuare dell'Egitto per mezzo di Nabucodònosor re di Babilonia.11Egli e il suo popolo, il più violento dei popoli, saranno inviati a devastare il paese e sguaineranno la loro spada contro l'Egitto e riempiranno il terreno di cadaveri.12Farò seccare i fiumi e darò il paese in mano a genti barbare, devasterò il territorio e ciò che contiene, per mezzo di stranieri: io, il Signore, l'ho detto".

13Dice il Signore Dio: "Distruggerò gli idoli
e farò sparire gli dèi da Menfi.
Non ci sarà più principe nel paese d'Egitto,
vi spanderò il terrore,
14devasterò Patròs,
darò fuoco a Tanis,
farò giustizia su Tebe.

15Scatenerò l'ira su Sin, la roccaforte d'Egitto, sterminerò la moltitudine di Tebe.16Metterò a fuoco l'Egitto: Sin si torcerà dal dolore, Tebe sarà squassata, Menfi sarà smantellata dai nemici in pieno giorno.17I giovani di Eliòpoli e di Bubàste cadranno di spada e queste città andranno in schiavitù.18In Tafni si oscurerà il giorno, quando vi spezzerò i gioghi imposti dall'Egitto e verrà meno in lei l'orgoglio della sua potenza; una nube la coprirà e le sue figlie saranno condotte schiave.19Farò giustizia dell'Egitto e si saprà che io sono il Signore".
20Al settimo giorno del primo mese dell'undecimo anno, mi fu rivolta questa parola del Signore:21"Figlio dell'uomo, ho spezzato il braccio del faraone re d'Egitto; egli non è stato curato con medicamenti né fasciato con bende per fargli riprender forza e maneggiare la spada".22Perciò dice il Signore Dio: "Eccomi contro il faraone re d'Egitto: gli spezzerò il braccio ancora valido e gli farò cadere la spada di mano.23Disperderò gli Egiziani fra le genti e li disperderò in altre regioni.24Invece rafforzerò le braccia del re di Babilonia e nella sua mano porrò la mia spada: spezzerò le braccia del faraone che gemerà davanti a lui come geme uno ferito a morte.25Fortificherò le braccia del re di Babilonia, mentre le braccia del faraone cadranno. Si saprà che io sono il Signore, quando porrò la mia spada nella mano del re di Babilonia ed egli la stenderà sulla terra d'Egitto.26Disperderò gli Egiziani fra le genti e li disperderò in altre regioni: si saprà che io sono il Signore".


Seconda lettera a Timoteo 3

1Devi anche sapere che negli ultimi tempi verranno momenti difficili.2Gli uomini saranno egoisti, amanti del denaro, vanitosi, orgogliosi, bestemmiatori, ribelli ai genitori, ingrati, senza religione,3senza amore, sleali, maldicenti, intemperanti, intrattabili, nemici del bene,4traditori, sfrontati, accecati dall'orgoglio, attaccati ai piaceri più che a Dio,5con la parvenza della pietà, mentre ne hanno rinnegata la forza interiore. Guardati bene da costoro!6Al loro numero appartengono certi tali che entrano nelle case e accalappiano donnicciole cariche di peccati, mosse da passioni di ogni genere,7che stanno sempre lì ad imparare, senza riuscire mai a giungere alla conoscenza della verità.8Sull'esempio di Iannes e di Iambres che si opposero a Mosè, anche costoro si oppongono alla verità: uomini dalla mente corrotta e riprovati in materia di fede.9Costoro però non progrediranno oltre, perché la loro stoltezza sarà manifestata a tutti, come avvenne per quelli.
10Tu invece mi hai seguito da vicino nell'insegnamento, nella condotta, nei propositi, nella fede, nella magnanimità, nell'amore del prossimo, nella pazienza,11nelle persecuzioni, nelle sofferenze, come quelle che incontrai ad Antiòchia, a Icònio e a Listri. Tu sai bene quali persecuzioni ho sofferto. Eppure il Signore mi ha liberato da tutte.12Del resto, tutti quelli che vogliono vivere piamente in Cristo Gesù saranno perseguitati.13Ma i malvagi e gli impostori andranno sempre di male in peggio, ingannatori e ingannati nello stesso tempo.14Tu però rimani saldo in quello che hai imparato e di cui sei convinto, sapendo da chi l'hai appreso15e che fin dall'infanzia conosci le sacre Scritture: queste possono istruirti per la salvezza, che si ottiene per mezzo della fede in Cristo Gesù.16Tutta la Scrittura infatti è ispirata da Dio e utile per insegnare, convincere, correggere e formare alla giustizia, perché l'uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona.


Capitolo XXX: Chiedere l’aiuto di Dio, nella fiducia di ricevere la sua grazia

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1. O figlio, io sono "il Signore, che consola nel giorno della tribolazione" (Na 1,7). Vieni a me, quando sei in pena. Quello che pone maggiore ostacolo alla celeste consolazione è proprio questo, che troppo tardi tu ti volgi alla preghiera. Infatti, prima di rivolgere a me intense orazioni, tu vai cercando vari sollievi e ti conforti in cose esteriori. Avviene così che nulla ti è di qualche giovamento, fino a che tu non comprenda che sono io la salvezza di chi spera in me, e che, fuori di me, non c'è aiuto efficace, utile consiglio, rimedio durevole.

Ora, dunque, ripreso animo dopo la burrasca, devi trovare nuovo vigore nella luce della mia misericordia. Giacché ti sono accanto, dice il Signore, per restaurare ogni cosa, con misura, non solo piena, ma colma.

C'è forse qualcosa che per me sia difficile; oppure somiglierò io ad uno che dice e non fa? Dov'è la tua fede? Sta saldo nella perseveranza; abbi animo grande e virilmente forte. Verrà a te la consolazione, al tempo suo. Aspetta me; aspetta: verrò e ti risanerò.

E' una tentazione quella che ti tormenta; è una vana paura quella che ti atterrisce. A che serve la preoccupazione di quel che può avvenire in futuro, se non a far sì che tu aggiunga tristezza a tristezza? "Ad ogni giorno basta la sua pena" (Mt 6,34). Vano e inutile è turbarsi o rallegrarsi per cose future, che forse non accadranno mai.

2. Tuttavia, è umano lasciarsi ingannare da queste fantasie; ed è segno della nostra pochezza d'animo lasciarsi attrarre tanto facilmente verso le suggestioni del nemico. Il quale non bada se ti illuda o ti adeschi con cose vere o false; non badare se ti abbatta con l'attaccamento alle cose presenti o con il timore delle cose future.

"Non si turbi dunque il tuo cuore, e non abbia timore" (Gv 14,27). Credi in me e abbi fiducia nella mia misericordia. Spesso, quando credi di esserti allontanato da me, io ti sono accanto; spesso, quando credi che tutto, o quasi, sia perduto, allora è vicina la possibilità di un merito più grande. Non tutto è perduto quando accade una cosa contraria. Non giudicare secondo il sentire umano. Non restare così schiacciato da alcuna difficoltà, da qualunque parte essa venga; non subirla come se ti fosse tolta ogni speranza di riemergere.

Non crederti abbandonato del tutto, anche se io ti ho mandato, a suo tempo, qualche tribolazione o se ti ho privato della sospirata consolazione. Così, infatti, si passa nel regno dei cieli. Senza dubbio, per te e per gli altri miei servi, essere provati dalle avversità è più utile che avere tutto a comando. Io conosco i pensieri nascosti; so che, per la tua salvezza, è molto bene che tu sia lasciato talvolta privo di soddisfazione, perché tu non abbia a gonfiarti del successo e a compiacerti di ciò che non sei. Quel che ho dato posso riprenderlo e poi restituirlo, quando mi piacerà. Quando avrò dato, avrò dato cosa mia; quando avrò tolto, non avrò tolto cosa tua; poiché mio è "tutto il bene che viene dato"; mio è "ogni dono perfetto" (Gc 1,17).

3.  Non indignarti se ti avrò mandato una gravezza o qualche contrarietà; né si prostri l'animo tuo: io ti posso subitamente risollevare, mutando tutta la tristezza in gaudio. Io sono giusto veramente, e degno di molta lode, anche quando opero in tal modo con te.

Se senti rettamente, se guardi alla luce della verità, non devi mai abbatterti così, e rattristarti, a causa delle avversità, ma devi piuttosto rallegrarti e rendere grazie; devi anzi considerare gaudio supremo questo, che io non ti risparmi e che ti affligga delle sofferenze.

"Come il padre ha amato me, così anch'io amo voi" (Gv 15,9), dissi ai miei discepoli diletti. E, per vero, non li ho mandati alle gioie di questo mondo, ma a grandi lotte; non li ho mandati agli onori, ma al disprezzo; non all'ozio, ma alla fatica, non a godere tranquillità, ma a dare molto frutto nella sofferenza.

Ricordati, figlio mio, di queste parole.


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Nove anni di superbia e superstizione manichea
1. 1. Trascorremmo questo periodo di nove anni, dal diciannovesimo al ventottesimo, cadendo e traendo in agguati, fra inganni subìti e attuati, in preda a diverse passioni, pubblicamente praticando l’insegnamento delle discipline cosiddette liberali, occultamente una religione spuria, superbi nel primo, superstiziosi nella seconda, in entrambi vani; attraverso il primo inseguendo una fama popolare vuota fino agli applausi teatrali, ai certami poetici, a gare per una corona di fieno, a spettacoli frivoli e passioni sregolate; attraverso la seconda cercando la purificazione da queste macchie mediante le vivande che portavamo agli eletti e ai santoni, come li chiamavano, affinché nell’officina del loro ventricolo ne fabbricassero per noi gli angeli e gli dèi nostri liberatori. Io seguivo queste pratiche, le compivo insieme ai miei amici, ingannandoli e ingannandomi con loro. Subirò la derisione dei presuntuosi, coloro che non hai ancora prostrati e schiacciati per il loro bene, Dio mio; ma ti confesserò ugualmente le mie infamie a tua lode. Permettimi, ti scongiuro, concedimi di percorrere col ricordo presente gli antichi percorsi del mio errore e di immolarti una vittima di giubilo. Cosa sono io per me stesso senza te, se non una guida verso il precipizio? e quando anche sto bene, cosa sono, se non uno che succhia il tuo latte e si nutre di te, vivanda incorruttibile? e chi è l’uomo, qualsiasi uomo, come uomo? Ci deridano pure i forti e i potenti; noi, deboli e bisognosi, ci confesseremo a te.

Vita pubblica e privata di Agostino in quegli anni
2. 2. In quegli anni insegnavo retorica: vinto cioè dalla mia passione, vendevo chiacchiere atte a vincere cause. Tuttavia preferivo, Signore, tu sai, avere allievi buoni nel vero senso della parola, e a loro senza inganno insegnavo inganni utili non a perdere un innocente, ma a salvare talvolta un reo. E tu, Dio, di lontano vedesti vacillare sul viscidume la mia buona fede ed emettere tra denso fumo qualche sprazzo di luce. Io la offrivo nel mio insegnamento a persone che amavano la vanità e cercavano la menzogna, senza essere diverso da loro. Ancora in quegli anni tenevo con me una donna, non posseduta in nozze, come si dicono, legittime, ma scovata nel vagolare della mia passione dissennata; una sola, comunque, e a cui prestavo per di più la fedeltà di un marito. Sperimentai tuttavia di persona in questa unione l’enorme divario esistente fra l’assetto di un patto coniugale stabilito in vista della procreazione, e l’intesa di un amore libidinoso, ove pure la prole nasce, ma contro il desiderio dei genitori, sebbene imponga di amarla dopo nata.

Avversione per le pratiche degli aruspici
- 3. Ricordo pure che, avendo voluto partecipare a un concorso di poesia teatrale, un oscuro aruspice mi fece chiedere quale ricompensa ero disposto a dargli, perché mi facesse vincere. Risposi che detestavo e aborrivo le sue luride pratiche, e neppure se la corona fosse stata d’oro indistruttibile avrei permesso che s’immolasse una mosca per la mia vittoria. Era infatti evidente che si preparava a immolare nei suoi sacrifici alcuni animali nell’intento di attrarre su di me con tali omaggi i favori dei demòní. Rifiutai dunque un simile misfatto, ma ancora una volta non in nome della tua illibatezza, Dio del mio cuore, perché non sapevo amarti, non sapendo pensare a uno splendore privo di corpo: e un’anima che sospira dietro a simili immaginazioni non tresca forse lontano da te, non poggia su falsità, non nutre i venti? Non volevo certamente che s’immolassero vittime per me ai demòní; io stesso però m’immolavo a loro mediante la mia superstizione: e che altro è "nutrire i venti", se non nutrire i demòni, offrire cioè ad essi col proprio errore motivi di godimento e derisione?

Ostinata devozione per l’astrologia
3. 4. Perciò quegli altri vagabondi, che chiamano matematici, non desistevo dal consultarli tranquillamente, pensando che non praticavano nessun sacrificio e non pregavano nessuno spirito per divinare il futuro. La religiosità cristiana, la vera, respinge e condanna però coerentemente ogni pratica del genere. È bene confessare te, Signore, e dirti: "Abbi pietà di me, sana la mia anima, perché ho peccato contro di te"; ed è bene non abusare della tua indulgenza per darsi licenza di peccare, ricordando le parole divine: Eccoti guarito, non peccare più, se non vuoi che ti avvenga di peggio. Dono di salvezza, costoro si sforzano di distruggerlo interamente dicendo: "Dal cielo ti viene la causa inevitabile del peccato" e: "È opera di Venere", oppure di Saturno, oppure di Marte. Evidentemente mirano con ciò a rendere senza colpa l’uomo, che è carne e sangue e superbo marciume, e colpevole il creatore e regolatore del cielo e degli astri. Ma chi è costui, se non tu, nostro Dio, dolcezza e fonte di giustizia, che renderai a ciascuno secondo le proprie opere, e non sprezzi il cuore contrito e umiliato?

Due avversari dell’astrologia: Vindiciano e Nebridio
– 5. Viveva in quel tempo un personaggio intelligente, versatissimo e reputatissimo in medicina, il quale da proconsole aveva posto di sua mano sul mio capo malsano la corona vinta nelle gare poetiche, ma non come medico, poiché il guaritore di quella specie di malattie sei tu, che resisti ai superbi, mentre agli umili accordi favore. Eppure mancasti o cessasti forse, di medicare la mia anima anche per il tramite di quel vecchio? Entrato dunque in una certa dimestichezza con lui, ne ascoltavo assiduamente e attentamente i discorsi, piacevoli e austeri, poveri di vocaboli ricercati ma ricchi di pensieri vividi. Allorché da un nostro colloquio venne a conoscenza del mio interesse per i libri degli oroscopi, mi consigliò con amorevolezza paterna di buttarli e di non impiegare vanamente in futilità l’attenzione e la fatica necessaria per le cose utili. Egli stesso, mi disse, aveva studiato la materia, tanto che in gioventù avrebbe voluto farsene il proprio mestiere, di cui campare: se aveva capito Ippocrate, avrebbe ben potuto capire anche quei testi. Eppure più tardi li abbandonò per darsi alla medicina solo perché aveva scoperto la loro completa falsità e non avrebbe persona seria qual era, guadagnare il pane gabbando il prossimo."Tu, soggiunse, possiedi un’arte che ti offre una posizione sociale solida, la retorica, e coltivi questo imbroglio per libera passione, non per necessità economiche. A maggior ragione devi fidarti di me in questa materia, che ho cercato d’imparare compiutamente così come avevo deciso di farne il mio unico sostentamento".Io gli chiesi allora come mai avvenisse che molte predizioni si realizzano. Rispose come poteva, che è effetto del caso disseminato dovunque in natura. Consultando a casaccio, spiegava, le pagine di un qualsiasi poeta, che ben altro canta e pensa, spesso ne esce un verso, mirabilmente consono col fatto proprio; non è dunque strano se per un misterioso impulso, dall’alto l’anima umana, pur ignara di quanto avviene suo interno, non per abilità, ma per accidente, faccia echeggiare alcune parole, che si armonizzano con la situazione e le faccende dell’interrogante.

– 6. Questo ammaestramento tu mi facesti avere da quell’uomo o per mezzo di quell’uomo, tracciando nella mia memoria le linee di una ricerca, che poi avrei svolto. per conto mio. Al momento né lui né il mio carissimo Nebridio, giovane di grande bontà e accortezza, con i suoi dileggi verso ogni sorta dì presagi, poterono indurmi a respingerli. Aveva più influenza sul mio animo l’autorità dei miei autori, né avevo trovato ancora una prova sicura, quale cercavo, che mi mostrasse senza ambiguità come le predizioni degli astrologhi consultati predicessero il vero per fortuna o sorte, non per l’arte di osservare le stelle.

MORTE DI UN CARISSIMO AMICO


Storia di un’amicizia
4. 7. In quegli anni, all’inizio del mio insegnamento nella città natale, mi ero fatto un amico, che la comunanza dei gusti mi rendeva assai caro. Mio coetaneo, nel fiore dell’adolescenza come me, con me era cresciuto da ragazzo, insieme eravamo andati a scuola e insieme avevamo giocato; però prima di allora non era stato un mio amico, sebbene neppure allora lo fosse, secondo la vera amicizia. Infatti non c’è vera amicizia, se non quando l’annodi tu fra persone a te strette col vincolo dell’amore diffuso nei nostri cuori ad opera dello Spirito Santo che ci fu dato. Ma quanto era soave, maturata com’era al calore di gusti affini! Io lo avevo anche traviato dalla vera fede, sebbene, adolescente, non la professasse con schiettezza e convinzione, verso le funeste fandonie della superstizione, che erano causa delle lacrime versate per me da mia madre. Con me ormai la mente del giovane errava, e il mio cuore non poteva fare a meno di lui. Quando eccoti arrivare alle spalle dei tuoi fuggiaschi, Dio delle vendette e fonte insieme di misericordie, che ci rivolgi a te in modi straordinari, eccoti strapparlo a questa vita dopo un anno appena che mi era amico, a me dolce più di tutte le dolcezze della mia vita di allora.

Malattia e morte dell’amico
- 8. Chi può da solo enumerare i tuoi vanti, che in sé solo ha conosciuto? Che facesti tu allora, Dio mio? Imperscrutabile abisso delle tue decisioni! Tormentato dalle febbri egli giacque a lungo incosciente nel sudore della morte. Poiché si disperava di salvarlo, fu battezzato senza che ne avesse sentore. Io non mi preoccupai della cosa nella presunzione che il suo spirito avrebbe mantenuto le idee apprese da me, anziché accettare un’azione operata sul corpo di un incosciente. La realtà invece era ben diversa. Infatti migliorò e uscì di pericolo; e non appena potei parlargli, e fu molto presto, non appena poté parlare anch'egli, poiché non lo lasciavo mai, tanto eravamo legati l’uno all’altro, tentai di ridicolizzare ai suoi occhi, supponendo che avrebbe riso egli pure con me, il battesimo che aveva ricevuto mentre era del tutto assente col pensiero e i sensi, ma ormai sapeva di aver ricevuto. Egli invece mi guardò inorridito, come si guarda un nemico, e mi avvertì con straordinaria e subitanea franchezza che, se volevo essere suo amico, avrei dovuto smettere di parlare in quel modo con lui. Sbalordito e sconvolto, rinviai a più tardi tutte le mie reazioni, in attesa che prima si ristabilisse e acquistasse le forze convenienti per poter trattare con lui a mio modo. Senonché fu strappato alla mia demenza per essere presso di te serbato alla mia consolazione. Pochi giorni dopo, in mia assenza, è assalito nuovamente dalle febbri e spira.

Lo sconforto di Agostino
- 9. L’angoscia avviluppò di tenebre il mio cuore. Ogni oggetto su cui posavo lo sguardo era morte. Era per me un tormento la mia patria, la casa paterna un’infelicità straordinaria. Tutte le cose che avevo avuto in comune con lui, la sua assenza aveva trasformate in uno strazio immane. I miei occhi se lo aspettavano dovunque senza incontrarlo, odiavo il mondo intero perché non lo possedeva e non poteva più dirmi: "Ecco, verrà", come durante le sue assenze da vivo. Io stesso ero divenuto, per me un grande enigma. Chiedevo alla mia anima perché fosse triste e perché mi conturbasse tanto, ma non sapeva darmi alcuna risposta; e se le dicevo: "Spera in Dio", a ragione non mi ubbidiva, poiché l’uomo carissimo che aveva perduto era più reale e buono del fantasma in cui era sollecitata a sperare. Soltanto le lacrime mi erano dolci e presero il posto del mio amico tra i conforti del mio spirito.

Misterioso conforto del pianto
5. 10. Ed ora, Signore, tutto ciò è ormai passato e il tempo ha lenito la mia ferita. Potrei ascoltare da te, che sei la verità, avvicinare alla tua bocca l’orecchio del mio cuore, per farmi dire come il pianto possa riuscire dolce agli infelici o forse, sebbene ovunque presente, hai respinto lontano da te la nostra infelicità e, mentre tu sei stabile in te stesso, noi ci muoviamo in un seguito di prove. Eppure, se non potessimo piangere contro le tue orecchie, non rimarrebbe nulla della nostra speranza. Come può essere dunque che dall’amarezza della vita si coglie un soave frutto di gemiti, di pianto, di sospiri, di lamenti? La dolcezza nasce forse dalla speranza che tu li ascolti? Ciò accade giustamente nelle preghiere, perché sono animate dal desiderio di giungere fino a te: ma anche nella sofferenza per una perdita, in un lutto come quello che allora mi opprimeva? Io non speravo né invocavo con le mie lacrime il ritorno dell’amico alla vita, ma soffrivo e piangevo soltanto. Io ero infelice e la mia felicità più non era. O forse il pianto è una realtà amara e ci diletta per il disgusto delle realtà un tempo godute e ora aborrite?

Le ragioni della vita di fronte alla morte
6. 11. Ma perché parlo di queste cose? Non è tempo, questo, di porti domande, bensì di farti le mie confessioni. Sì, ero infelice, e infelice è ogni animo avvinto d’amore alle cose mortali. Solo quando la loro perdita lo strazia, avverte l’infelicità, di cui però era preda anche prima della loro perdita. Così avveniva allora per me. Piangevo amarissimamente, e riposavo nell’amarezza, mi sentivo infelicissimo, e avevo cara la stessa vita infelice più dell’amico perduto. Avrei voluto mutarla, ma non avrei voluto perderla in sua vece. Non so se avrei accettato di fare anche per lui come Oreste e Pilade, i quali, secondo la tradizione, se non è un’invenzione, avrebbero accettato di morire uno per l’altro o insieme, essendo per loro peggio di quella morte il vivere non insieme. In me era sorto un sentimento indefinibile decisamente contrario a questo, ove la noia, gravissima, della vita, in me si associava al timore della morte. Quanto più lo amavo, io credo, tanto più odiavo e temevo la morte, nemica crudelissima che me lo aveva tolto e si apprestava a divorare in breve tempo, nella mia immaginazione, tutti gli uomini, se aveva potuto divorare quello. Tale certamente era il mio stato d’animo, mi ricordo. Eccolo il mio cuore, mio Dio, eccolo nel suo intimo. Vedilo attraverso i miei ricordi, o speranza mia, tu che mi purifichi dall’impurità di questi sentimenti, dirigendo i miei occhi verso di te e strappando dal laccio i miei piedi. Mi stupivo che gli altri mortali vivessero, se egli, amato da me come non avesse mai a morire, era morto; e più ancora, che io vivessi se era morto colui, del quale ero un altro se stesso, mi stupivo. Bene fu definito da un tale il suo amico la metà dell’anima sua. Io sentii che la mia anima e la sua erano state un’anima sola in due corpi; perciò la vita mi faceva orrore, poiché non volevo vivere a mezzo, e perciò forse temevo di morire, per non far morire del tutto chi avevo molto amato.

Partenza per Cartagine in cerca di sollievo
7. 12. Oh follia, incapace di amare gli uomini quali uomini! Oh stoltezza dell’uomo, insofferente della condizione umana! Tali erano i miei sentimenti di allora, e di lì nascevano i miei furori, i miei sospiri, le mie lacrime, i miei turbamenti e l’irrequietudine e l’incertezza. Mi portavo dentro un’anima dilaniata e sanguinante, insofferente di essere portata da me; e non trovavo dove deporla. Non certo nei boschi ameni, nei giochi e nei canti, negli orti profumati, nei conviti sfarzosi, fra i piaceri dell’alcova e delle piume, sui libri infine e i poemi posava. Tutto per lei era orrore, persino la luce del giorno; e qualunque cosa non era ciò che lui era, era triste e odiosa, eccetto i gemiti e il pianto. Qui soltanto aveva un po’ di riposo; ma appena di li la, toglievo, la mia anima, mi opprimeva sotto un pesante fardello d’infelicità. Per guarirla avrei dovuto sollevarla verso di te, Signore, lo capivo, ma non volevo né valevo tanto, e ancora meno perché non eri per la mia mente un essere consistente e saldo, ossia non eri ciò che sei. Un vano fantasma e il mio errore erano il mio dio. Se tentavo di adagiarvi la mia anima per farla riposare, scivolava nel vuoto, ricadendo nuovamente su di me; e io ero rimasto per me stesso un luogo infelice, ove non potevo stare e donde non potevo allontanarmi. Dove poteva fuggire infatti il mio cuore via dal mio cuore, dove fuggire io da me stesso, senza inseguirmi? Dalla mia patria però fuggii, perché i miei occhi meno cercavano l’amico dove non erano avvezzi a vederlo. Cosi dal castello di Tagaste mi trasferii a Cartagine.

A CARTAGINE


Nuove amicizie consolatrici
8. 13. Il tempo non è inoperoso, non passa oziosamente sui nostri sentimenti. Agisce invece sul nostro animo in modo sorprendente. Ecco, veniva e trascorreva di giorno in giorno, e venendo e trascorrendo insinuava dentro di me nuove speranze, nuovi ricordi con paziente restauro ove alle antiche forme di piacere cedeva il recente dolore. Ma succedevano, se non nuovi dolori, motivi almeno di nuovi dolori. Perché, d’altronde, quel primo dolore era penetrato con grande facilità nel mio intimo, se non perché avevo versato la mia anima sulla sabbia, amando una creatura mortale come fosse immortale? Massimo ristoro e sollievo mi veniva dai conforti degli altri amici, con i quali avevo in comune l’amore di ciò che amavo in tua vece, dell’enorme finzione, della lunga impostura, corruttrice, con le sue carezze spurie, del nostro pensiero smanioso di udire. Per me quella finzione non moriva, se anche uno dei miei amici moriva. Altri legami poi avvincevano ulteriormente il mio animo: i colloqui, le risa in compagnia, lo scambio di cortesie affettuose, le comuni letture di libri ameni, i comuni passatempi ora frivoli ora decorosi, i dissensi occasionali, senza rancore, come di ogni uomo con se stesso, e i più frequenti consensi, insaporiti dai medesimi, rarissimi dissensi; l’essere ognuno dell’altro ora maestro, ora discepolo, la nostalgia impaziente di chi è lontano, le accoglienze festose di chi ritorna. Questi e altri simili segni di cuori innamorati l’uno dell’altro, espressi dalla bocca, dalla lingua, dagli occhi e da mille gesti gradevolissimi, sono l’esca, direi, della fiamma che fonde insieme le anime e di molte ne fa una sola.

Fortunati gli amici di Dio
9. 14. Tutto ciò si ama negli amici, e si ama in modo che la nostra coscienza di uomini si sente colpevole, se non risponde sempre con amore ad amore senza chiedere all’essere amato che prove di affetto. Vengono di qui il lutto alla morte degli amici, le tenebre del dolore, il mutarsi della dolcezza in amarezza, il cuore zuppo di pianto e la morte dei vivi per la perduta vita dei morti. Felice chi ama te, l’amico in te, il nemico per te. L’unico a non perdere mai un essere caro è colui che ha tutti cari in chi non è mai perduto. E chi è costui, se non il Dio nostro, il Dio che creò il cielo e la terra e li colma 44 perché colmandoli li ha fatti? Nessuno ti perde, se non chi ti lascia, e poiché ti lascia, ove va, ove fugge, se non dalla tua benevolenza alla tua collera? Dovunque troverà la tua legge nella sua pena, e la tua legge è verità, e la verità sei tu.

10. 15. Dio delle virtù, rivolgi noia te, mostra a noi il tuo viso, e saremo salvi. L’animo dell’uomo si volge or qua or là, ma dovunque fuori di te è affisso al dolore, anche se si affissa sulle bellezze esterne a te e a sé. Eppure non esisterebbero cose belle, se non derivassero da te. Nascono e svaniscono: nascendo cominciano, per così dire, a esistere, crescono per maturare, e appena maturate invecchiano fino a morire. Non tutte invecchiano, ma tutte muoiono. Nel nascere, dunque, e nel tendere all’esistenza, quanto più rapida è la loro crescita verso l’essere, tanto più frettolosa la loro corsa verso il non essere. Questa è la loro limitazione, non più di questo hai concesso loro, perché sono parte di altre entità che non esistono tutte simultaneamente, ma tutte formano con la loro scomparsa e comparsa l’universo, di cui sono parti. Così, ecco, anche i nostri discorsi si sviluppano fino alla loro conclusione attraverso una successione di suoni, e non si avrebbe un discorso completo, se ogni parola non sparisse per lasciare il posto a un altra dopo aver espresso la sua parte di suono. Ti lodi per quelle cose la mia anima, Dio creatore di tutto, ma senza lasciarsi in esse invischiare dall’amore, attraverso i sensi del corpo. Esse vanno ove andavano per cessare di esistere, e straziano l’anima con passioni pestilenziali, perché il suo desiderio è di esistere e di riposare fra le cose che ama. Ma lì non può trovare un punto fermo, perché le cose non sono stabili. Fuggono, e chi potrebbe raggiungerle con i sensi della carne, o afferrarle, anche quando sono vicine? I sensi della carne sono lenti, appunto perché sono della carne, e questa è la loro limitazione. Bastano ad altri scopi, per cui sono fatti, ma non bastano allo scopo di trattenere le cose che corrono dal debito inizio al debito fine. Nella tua parola, con cui sono create, si sentono dire: "Di qui e fin qui".

Stabilità di Dio
11. 16. Non essere vana, anima mia, non assordare l’orecchio del cuore col tumulto delle tue vanità. Ascolta tu pure: è il Verbo stesso che ti grida di tornare; il luogo della quiete imperturbabile è dove l’amore non conosce abbandoni, se lui per primo non abbandona. Qui invece, lo vedi, ogni cosa dilegua per far posto ad altre e costituire l’universo inferiore nella sua interezza. "Ma io, dice il Verbo divino, mi dileguo forse da qualche parte?". Fissa dunque in lui la tua dimora, affida a lui quanto tieni da lui, anima mia finalmente stanca d’inganni; affida alla verità quanto ti viene dalla verità, e nulla perderai. Rifioriranno le tue putredini, tutte le tue debolezze saranno guarite, le tue parti caduche riparate, rinnovate, fissate strettamente a te stessa; anziché travolgerti nel loro abisso, rimarranno stabili e durevoli con te accanto a Dio eternamente stabile e durevole.

- 17. Perché segui, pervertita, la tua carne? Essa piuttosto segua te, convertita. Attraverso le sue sensazioni tu hai conoscenze parziali, ma ignoranza del tutto, di cui pure le parti ti dànno diletto. Se i sensi della tua carne fossero capaci di abbracciare la totalità e non fossero stati giustamente limitati, per tuo castigo, a una parte del complesso, vorresti che le cose ora esistenti passassero, per gustarle maggiormente tutte insieme. Tu odi quanto diciamo, mediante la stessa sensibilità della carne, e certo non vuoi mai che le sillabe si arrestino, bensì che trascorrano a volo per far posto ad altre, in modo da udire l’intero discorso. Così sempre per tutte le parti che costituiscono un’unica sostanza e non esistono tutte simultaneamente per costituirla: si gustano maggiormente tutte, che ognuna per sé, qualora si possano percepire tutte. Molto migliore delle cose è però colui che le fece tutte, e questi è il Dio nostro, che mai si ritrae, poiché nulla gli sottentra.

Esortazione a cercare la felicità in Dio
12. 18. Se ti piacciono i corpi loda Dio per essi, rivolgi il tuo amore al loro artefice per evitare di spiacere a lui per il piacere delle cose. Se ti piacciono le anime, in Dio amale, poiché sono mutevoli anch’esse, ma in lui si fissano stabilmente, mentre altrove passerebbero e perirebbero. In lui amale dunque, rapisci a lui con te quante altre anime puoi e di’ loro: "Amiamolo: lui è il creatore di queste cose e non ne è lontano, perché non le abbandonò dopo averle create, ma, venute da lui, in lui sono. Dov’è? dove si assapora la verità? È nell’intimo del cuore, ma il cuore errò lontano da lui. Rientrate nel vostro cuore, prevaricatori, e unitevi a colui che vi ha creati. Restate con lui, e resterete saldi; riposate in lui, e avrete riposo. Dove andate, alle tribolazioni? Dove andate? Il bene che amate deriva da lui, ma solo in quanto tende a lui è buono e soave; sarà invece giustamente amaro, perché ingiustamente si ama, lasciando lui, ciò che deriva da lui. Quale vantaggio ricavate dal vostro lungo e continuo camminare per vie aspre e penose? Non vi è quiete dove voi la cercate. Cercate ciò che cercate, ma non è lì, dove voi cercate. Voi cercate una vita felice in un paese di morte: non è lì. Come potrebbe essere una vita felice ove manca la vita?

- 19. Discese nel mondo la nostra vita, la vera, si prese sulle sue spalle la nostra morte e l’uccise con la sovrabbondanza della sua vita, ci gridò tuonando di tornare dal mondo a lui, nel sacrario onde venne a noi dapprima entrando nel seno di una vergine, ove gli si unì come sposa la creatura umana, la nostra carne mortale, per non rimanere definitivamente mortale; poi di là, come sposo che esce dal talamo, uscì con balzo di gigante per correre la sua via, e senza mai attardarsi corse gridando a parole e a fatti, con la morte e la vita, con la discesa e l’ascesa, gridando affinché tornassimo a lui; e si dipartì dagli occhi affinché tornassimo al cuore, ove trovarlo. Partì infatti, ed eccolo, è qui. Non volle rimanere a lungo con noi, e non ci ha lasciati. Partì verso un luogo da cui non si era mai dipartito, perché il mondo fu fatto per mezzo suo, e in questo mondo era e venne in questo mondo a salvare i peccatori. La mia anima si confessa a lui, e lui la guarisce, perché ha peccato contro di lui. "Figli degli uomini fino a quando questo peso nel cuore? Anche dopo che la vita discese a voi, non volete ascendere a vivere? Dove ascendete, se siete già in alto e avete posto la bocca nel cielo? Discendete, per ascendere, e ascendere a Dio, poiché cadeste nell’ascendere contro Dio". Di’ loro queste parole, anima mia, affinché piangano nella valle del pianto, e così rapiscili via con te fino a Dio. Lo spirito di Dio t’ispira queste parole, se nel parlare ardi col fuoco della carità.

Agostino Autore di un trattato sulla bellezza
13. 20. Ignaro di tutto ciò, e innamorato delle bellezze terrene, io allora camminavo verso l’abisso e dicevo ai miei amici: "Noi non amiamo che il bello. Cos’è il bello? e cos’è la bellezza? Cosa ci attrae e ci avvince agli oggetti del nostro amore? La convenienza e la grazia, perché se ne fossero privi non ci attirerebbero affatto". Avvertivo cioè e notavo che nei corpi altra cosa è la bellezza, per così dire, complessiva, in quanto sono un complesso, e altra la convenienza, ossia l’armonia con altri corpi, come una parte del nostro corpo si armonizza col tutto, o un calzare col piede e così via. Questa considerazione scaturì nella mia mente dall’intimo del mio cuore, per cui scrissi alcuni libri sulla bellezza e la convenienza, credo due o tre: tu sai, Dio, io ne ho perso il ricordo, né più li possiedo. Per noi sono smarriti, chissà come.

Dedica del trattato all’oratore Gerio
14. 2l Cosa mi spinse, Signore Dio mio, a dedicare quei libri a un oratore romano, Gerio, che non conoscevo personalmente? Avevo preso ad amarlo per la chiara fama della sua erudizione e per alcune parole che di lui mi erano state riferite e mi erano piaciute. Ma soprattutto mi piaceva perché piaceva agli altri, ne era esaltato e lodato. La gente stupiva che da un siriano, già dotto nell’oratoria greca, fosse uscito anche un dicitore mirabile nella latina, versatissimo per di più negli studi relativi alla filosofia. Accade dunque di lodare un uomo e di amarlo anche da lungi, ma questo amore entra forse nel cuore di chi ascolta dalla bocca di chi loda? Lungi da me! È invece dall’amore dell’uno che si accende l’amore dell’altro. Nasce l’amore della lode quando si crede alla sincerità degli elogi di chi loda, cioè quando costui ami chi loda.

- 22. Così appunto io allora amavo gli uomini, seguendo il giudizio degli uomini e non il tuo, Dio mio, in cui nessuno s’inganna. Perché tuttavia la mia lode non era qual è per un auriga celebre o un cacciatore esaltato dalla fama popolare, bensì molto differente, e seria e quale avrei voluto ricevere anch’io? Io non avrei voluto ricevere la lode e l’amore degli istrioni, per quanto li lodassi e amassi poi anch’io. Avrei preferito l’oscurità a una nomea di quel genere, l’odio addirittura a un simile amore. Come si distribuiscono in una medesima anima le forze di amori tanto vari e diversi? Come mi avviene di amare in altri ciò che invece non detesterei né respingerei da me, se non l’odiassi? Eppure siamo uomini entrambi. Sì, chi ama un buon cavallo, non vorrebbe esserlo, anche potendo, ma non si può dire altrettanto per un istrione, il quale partecipa della nostra natura. Io amerei dunque in un uomo ciò che non vorrei essere, pur essendo un uomo? Quale abisso l’uomo medesimo, di cui tu, Signore, conosci persino il numero dei capelli senza che nessuno manchi al tuo conto! Eppure è più facile contarne i capelli che i sentimenti e i moti del cuore.

- 23. Quel retore comunque apparteneva al genere d’uomini che io amavo al punto di voler essere come loro. La vanità mi portava fuori strada, ogni vento mi spingeva or qua or là, ma tu nell’ombra mi pilotavi. Da dove riconosco, da dove traggo la certezza nel confessarti che l’amai più per l’amore di chi lo lodava, che per le ragioni di tante lodi? Se, anziché lodarlo, le medesime persone lo avessero biasimato, avessero narrato di lui i medesimi fatti con accenti di biasimo e sprezzo, io non mi sarei acceso né esaltato per lui; eppure i fatti non sarebbero stati certamente diversi, egli medesimo un uomo diverso; soltanto i sentimenti di chi ne parlava lo sarebbero stati. Ecco qual è la condizione di un’anima inferma, non ancora aderente alle solide basi della verità. Secondo che spira l’aura delle parole dal petto di chi sentenzia, essa è trasportata e spinta, è torta e ritorta, le si offusca la luce, non scorge la verità che, ecco, ci sta davanti. Per me era poi molto importante che quel personaggio venisse a conoscere il mio stile e i miei studi. Una sua approvazione avrebbe accresciuto il mio ardore, una riprovazione avrebbe pugnalato il mio cuore vano e privo della tua fermezza. Intanto la Bellezza e convenienza, il trattato che gli avevo dedicato, io passavo e ripassavo nella mente, davanti allo sguardo compiaciuto della mia contemplazione, e l’ammiravo senza che avesse l’approvazione di nessuno.

Argomenti del trattato
15. 24. Non vedevo però ancora nella tua arte, onnipotente e unico autore di meraviglie, il cardine di una realtà così grande. Il mio spirito percorreva le forme corporee e io definivo bello ciò che è armonioso in sé, conveniente ciò che è armonioso in rapporto con altri oggetti, suffragando questa distinzione con esempi concreti. Poi mi volsi a considerare la natura dell’anima. Ma l’idea falsa che avevo delle sostanze spirituali m’impediva di scorgere il vero. Per quanto la verità mi balzasse agli occhi con tutta la sua forza, io non distoglievo la mente ansiosa dalla realtà incorporea verso le linee, i colori e le masse turgide; e giacché non potevo ritrovarne nell’anima, pensavo che non avrei potuto ritrovare l’anima stessa; e poiché nella virtù mi attraeva la pace, nel vizio mi ripugnava la discordia, scorgevo nella prima una specie di unità, nel secondo una specie di divisione. In quell’unità poi mi pareva risiedere l’anima razionale, l’essenza della verità e del bene supremo; nella divisione invece misero scorgevo una sostanza indefinibile di vita irrazionale e l’essenza del male supremo, che per me era non solo sostanza, ma vera vita, sebbene non provenisse da te, Dio mio, da cui provengono tutte le cose. Delle due, alla prima davo il nome di monade in quanto intelligenza asessuale, alla seconda di diade, ed è la collera nei delitti, la libidine nei vizi. Non sapevo cosa dicessi. Infatti ignoravo e non avevo imparato che il male non è una sostanza, e neppure la nostra intelligenza è il bene supremo e immutabile

Orgoglio di un uomo corrotto
- 25. Come si commettono delitti quando l’impulso spirituale che muove le nostre azioni è corrotto e si scatena con torbida arroganza; come si cade nel vizio quando l’anima non modera le inclinazioni di cui si alimentano i piaceri fisici, così gli errori e le opinioni false guastano la vita, se anche l’anima razionale è corrotta. Corrotta era la mia allora, poiché ignoravo che un’altra luce doveva illuminarla, se voleva godere della verità, poiché non era essa per sé l’essenza della verità. Tu infatti illuminerai la mia lucerna, Signore; tu, Dio mio, illuminerai le mie tenebre. Tutti abbiamo attinto dalla tua pienezza; tu sei il vero lume, il quale illumina ogni uomo che viene in questo inondo; perché non sei soggetto ad alterazione né ad ombra di mutamento.

- 26. Io tendevo però verso di te, e tu mi respingevi via da per farmi assaporare la morte, poiché resisti ai superbi: e può esservi atto più superbo del mio, quando affermavo con demenza inaudita di essere per natura ciò che sei tu? Ero mutevole, e ben lo capivo dal desiderio appunto di sapere per divenire da peggiore migliore; eppure preferivo credere mutevole anche te, piuttosto che me diverso da ciò che tu sei. Di qui le tue ripulse, la tua resistenza di fronte alla mia tronfia testardaggine. Fissavo la mia immaginazione su forme corporee, ero carne e accusavo la carne, ero un soffio passeggero e ancora non tornavo a te, passavo passeggero fra cose inesistenti in te, in me, nella materia, non create per me dalla tua verità, ma dalla mia vanità immaginate secondo la materia. E dicevo ai tuoi piccoli, ai tuoi fedeli, ai miei concittadini, da cui ero a mia insaputa in lontano esilio, dicevo loro con sciocca petulanza: "Perché dunque dovrebbe ingannarsi lo spirito, se creato da Dio?", e non volevo sentirmi rispondere: "Perché dunque dovrebbe ingannarsi Dio". Preferivo sostenere che la tua sostanza immutabile è costretta ad errare, anziché riconoscere che la mia mutabile aveva deviato spontaneamente e per castigo errava.

- 27. Avevo forse ventisei o ventisette anni quando scrissi quei volumi, rivolgendo dentro di me le elucubrazioni materialistiche che rumoreggiavano alle orecchie del mio cuore. Pure tendevo queste orecchie, o dolce verità, alla tua melodia interiore nell’atto stesso di meditare sulla bellezza e la convenienza. Il mio desiderio era di stare ritto innanzi a te, di udirti, di sentirmi preso dalla gioia alla voce dello sposo; e non potevo realizzarlo poiché le voci del mio errore mi trascinavano fuori di me e il peso del mio orgoglio mi faceva cadere verso il basso. Non davi infatti gioia e letizia al mio udito, né esultavano le ossa, che non erano state ancora umiliate.

Lettura delle Dieci categorie di Aristotele
16. 28. E a che mi giovava l’aver letto e capito da solo, sui vent’anni, un’opera aristotelica venutami fra mano, che chiamano Le dieci categorie? A pronunciarne soltanto il nome le gote del mio maestro cartaginese di retorica, e di altre persone che passavano per erudite, si gonfiavano fino a scoppiare; perciò io restavo là con la bocca aperta come davanti a cosa straordinaria e divina. Ne discussi poi con persone che dicevano di averla capita a fatica, pur sotto la guida di maestri coltissimi e con l’ausilio non solo delle loro parole, ma anche di molte figure tracciate sulla polvere; ma non riuscii a saperne più di quanto avevo imparato da me solo, leggendola per mio conto. Mi sembrava che l’opera parlasse abbastanza chiaramente delle sostanze, quale l’uomo, e delle loro proprietà, quale l’aspetto dell’uomo, come sia; la statura, di quanti piedi sia; la relazione, di chi sia fratello; oppure dove sia stabilito, quando nato, se stia ritto o seduto, se abbia i piedi calzati e armi indosso, se compia o subisca qualche azione, e insomma tutte le innumerevoli qualità comprese nelle nove categorie di cui ho dato qualche esempio e nella categoria stessa di sostanza.

- 29. A che mi giovava ciò? Anzi, mi nuoceva addirittura. Convinto che quei dieci attributi comprendono perfettamente tutto ciò che esiste, mi sforzavo di capire anche te, Dio mio, essere mirabilmente semplice e immutabile, come condizionato dalla tua grandezza e bellezza. Queste qualità mi parevano sussistere in te come in un essere condizionato, come in un corpo, mentre tu medesimo sei la tua grandezza e bellezza, invece i corpi non sono grandi e belli per loro natura. Potrebbero infatti essere meno grandi e meno belli senza perdere per ciò la loro natura. Ogni mio concetto di te era falso, non vero; vana immaginazione della mia miseria, non solida visione della tua beatitudine. L’avevi voluto, e così accadeva in me che la terra producesse per me spine e triboli, e io ottenessi il pane a prezzo di fatiche.

Lettura di varie opere letterarie e scientifiche
- 30. E a che mi giovava l’aver letto e capito da me tutti i trattati che potei delle arti cosiddette liberali, se allora ero schiavo disonestissimo delle male passioni? Trovavo diletto nella loro lettura senza conoscere la provenienza delle sicure verità in essi contenute, poiché volgevo il dorso al lume, il viso agli oggetti illuminati: così il mio viso, se li vedeva illuminati, non era però illuminato. Quante nozioni di eloquenza e dialettica, di geometria e musica e aritmetica intesi senza grande fatica e alcun ammaestramento umano lo sai tu, Signore Dio mio, poiché la prontezza dell’intelletto e l’acume del discernimento sono dono tuo. Ma non ne facevo offerta a te, quindi erano per me un potere più nocivo che utile. Infatti m’industriai di rivendicare a me la parte migliore della mia sostanza; anziché preservare la mia forza presso di te, mi allontanai da te verso un paese lontano, ove dissiparla fra le meretrici passioni. A che mi giovava invero l’uso non buono di una cosa buona? Non mi rendevo conto delle grandi difficoltà che la comprensione di quelle dottrine presenta anche a studiosi d’ingegno, se non quando mi sforzavo di spiegarle a loro, e il più eccellente fra loro era il meno tardo a capire la mia spiegazione.

Inutilità dell’ingegno e della cultura separati da Dio
- 3 l. A che mi giovava ciò, se, Signore Dio e verità, pensavo che tu fossi un corpo luminoso e immenso, e io un frammento di quel corpo? Smisurata perversione! Eppure era il mio stato e non arrossisco, Dio mio, di confessarti gli atti della tua misericordia verso di me e invocarti, come non arrossii allora di professare davanti agli uomini le mie bestemmie latrando contro di te. A che mi giovava allora l’abile destreggiarsi del mio ingegno attraverso le scienze, l’aver districato senza l’ausilio di maestri umani tanti libri intricatissimi, se poi erravo con mostruosa e sacrilega infamia nella dottrina della tua pietà? Oppure, perché tanto nuoceva ai tuoi piccoli un’intelligenza di gran lunga più tarda della mia, quando non si ritiravano lungi da te, e dunque mettevano sicuri le piume nel nido della tua Chiesa e sviluppavano le ali della carità con l’alimento di una fede sana? O Signore Dio nostro, noi si speri nella copertura delle tue ali, e tu proteggi noi, sorreggi noi. Tu ci sorreggerai, ci sorreggerai da piccoli, e ancora canuti ci sorreggerai. La nostra fermezza, quando è in te, allora è fermezza; quando è in noi, è infermità. Il nostro bene vive sempre accanto a te, e nell’avversione a te è la nostra perversione. Volgiamoci tosto indietro, Signore, per non essere sconvolti. Il nostro bene vive indefettibilmente accanto a te, perché tu medesimo lo sei, e non temiamo di non trovare al nostro ritorno il nido da cui siamo precipitati. La nostra casa non precipita durante la nostra assenza: è la tua eternità.


12 - Cristo nostro Signore perseverava nella preghiera e nelle suppliche a favore degli uomini.

La mistica Città di Dio - Libro quinto - Suor Maria d'Agreda

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846. Per quanto le nostre parole si sforzino di proclamare e glorificare le opere di Cristo, nostro redentore, e della sua santissima Madre, resteranno sempre di gran lunga superate dalla sublimità di questi misteri, perché essi, come dice il Siracide, sono più grandi di ogni nostra lode. Mai li vedremo e mai li comprenderemo: sempre resterà nel segreto più di quanto si sarà detto, perché sono molto poche le cose che giungiamo a conoscere, e queste stesse noi non meritiamo né di intendere né di spiegare. Anche il più eccelso serafino sarebbe incapace di pesare e scandagliare a fondo gli arcani segreti che intercorsero tra Gesù e Maria santissima negli anni che vissero insieme, e specialmente in quelli di cui sto parlando. In questo tempo il Maestro della luce istruì sua Madre su tutto ciò che egli avrebbe dovuto operare nella legge di grazia e su quanto avrebbe dovuto comprendere la stessa legge in questa sesta età del mondo fino al suo termine; cioè su tutto quello che in milleseicentocinquantasette e più anni è accaduto, e su ciò che deve ancora succedere sino al giorno, da noi ignorato, del giudizio finale. Tutto questo conobbe la nostra divina Signora alla scuola del suo santissimo Figlio, perché sua Maestà le manifestò ogni cosa, dichiarandole ciò che sarebbe dovuto avvenire nel corso della storia della Chiesa, a seconda dei tempi, dei luoghi, dei regni e delle province. Alla divina Signora ciò fu svelato con tale chiarezza che se fosse sempre vissuta in carne mortale avrebbe conosciuto tutti i figli della Chiesa, nella persona e nel nome, ancor prima di vederli, come accadde con quelli che incontrò e con i quali trattò in vita. Questi infatti quando si presentavano dinanzi a lei per la prima volta apparivano come oggetti nuovi solo ai sensi esterni, la cui segnalazione corrispondeva alla cognizione interiore che già aveva avuto di loro.

847. Alla beatissima Madre della sapienza venivano manifestati i misteri concernenti le virtù interiori e le facoltà esteriori del suo santissimo Figlio, ma ella non arrivava a penetrarli alla sua stessa maniera. Cristo era unito ipostaticamente e beatificamente alla Divinità, mentre la gran Signora era una semplice creatura, e quindi non poteva fruire della continua visione beatifica. Maria non sempre vedeva le specie e la luce beatifica di Cristo, se non quando godeva della visione chiara della Divinità. Nelle altre rivelazioni dei misteri della Chiesa militante, conosceva però le specie immaginarie delle facoltà di Cristo nostro Signore, il modo in cui dipendevano dalla sua santissima volontà e come questa decretava ed ordinava tutto ciò che avrebbe operato, a seconda dei tempi, dei luoghi e delle situazioni. Ebbe anche cognizione di come la volontà umana del Salvatore si conformasse con quella divina e fosse da questa governata in tutto ciò che stabiliva e disponeva. Tale armonia divina muoveva anche la volontà e le facoltà della stessa Signora, affinché operasse e cooperasse con la volontà del suo santissimo Figlio e mediante questa con quella divina. In questo modo si realizzava una conformità ineffabile tra Cristo e Maria santissima, che concorreva come coadiutrice nella costituzione della legge evangelica e della santa Chiesa.

848. Tutti questi insondabili segreti, ordinariamente, venivano svelati nell'umile dimora della Regina, dove si celebrò il più grande dei misteri: l'incarnazione del Verbo divino nel suo grembo verginale. E sebbene questo luogo fosse tanto angusto e povero, e avesse mura nude e strette, fu capace di accogliere la grandezza infinita di colui che è immenso. Da qui uscì colui che ha dato agli innumerevoli santuari ed ai templi più ricchi del mondo la maestà e la divinità che oggi racchiudono in sé. In questo Santo dei santi era solito pregare il sommo sacerdote della nuova legge, Cristo nostro Signore. La sua continua orazione si concludeva col rivolgere fervorose implorazioni al Padre a favore degli uomini, e col rendere partecipe la sua vergine Madre di tutte le opere della redenzione e dei ricchi doni e tesori di grazia che preparava, per lasciarli nella nuova alleanza ai figli della luce vincolati nella santa Chiesa. Chiedeva molte volte all'eterno Padre che i peccati e l'ostinata ingratitudine degli uomini non fossero di impedimento alla loro redenzione. Cristo nella sua onniscienza ebbe sempre presenti le colpe del genere umano e la dannazione di tante anime indegne del riscatto divino, e il sapere che doveva morire per loro lo pose sempre in uno stato di grande agonia e lo costrinse molte volte a sudare sangue. E benché gli evangelisti facciano menzione di questo una sola volta, prima della passione - non avendo descritto tutti gli eventi della sua vita -, è fuor di dubbio che la sua santissima Madre lo vide molte volte in questo stato, come ho compreso da alcune rivelazioni.

849. Il nostro Maestro pregava alcune volte in ginocchio, altre volte prostrato a terra o sospeso in aria, con le braccia distese a forma di croce: posizione che egli amava molto. Raccolto in preghiera alla presenza di sua Madre, soleva dire: «O fortunatissima croce, quando mi vedrò fra le tue braccia? Quando riceverai tu le mie, perché inchiodate su di te rimangano aperte per accogliere tutti i peccatori? In verità, se sono disceso dal cielo per chiamarli alla mia sequela e imitazione, esse stanno sempre aperte per abbracciarli ed arricchirli tutti. Tutti voi che siete ciechi, venite dunque alla luce. Venite, o poveri, ai tesori della mia grazia. Venite, o piccoli, alle carezze e ai doni del vostro vero Padre. Venite, afflitti e affaticati, perché io vi solleverò e ristorerò. Venite, o giusti, voi che siete mio possesso e mia eredità. Venite, o figli di Adamo, perché tutti io chiamo. Io sono la via, la verità, e la vita che non ricuserò a chiunque la voglia ricevere. Eterno Padre mio, essi sono opera delle vostre mani, non li disprezzate, perché io mi offro per loro alla morte di croce per consegnarveli giustificati e liberi - se essi accetteranno questo beneficio - e per restituirli alla schiera dei vostri eletti, ed al regno celeste perché il vostro nome sia glorificato».

850. La pietosa Madre assisteva a tutto questo, e nella sua purissima anima, come in un cristallo senza macchia, riverberava la luce del suo Unigenito. Ella come un'eco ripeteva tutte le voci interiori ed esteriori del divin Maestro, accompagnandolo nelle orazioni e nelle suppliche, e imitandolo nella posizione che egli assumeva. Quando la gran Signora lo vide per la prima volta sudare sangue restò, come amorosa madre, col cuore trafitto dal dolore, meravigliata dell'effetto che suscitavano in Cristo nostro Signore i peccati e l'ingratitudine degli uomini che egli aveva previsto. E così, con profonda angustia, rivolgendosi ai mortali diceva: «O figli degli uomini, quanto conoscete poco la stima che il Creatore ha di voi nel rendervi a sua immagine e somiglianza! Egli vi considera tanto preziosi da spargere il suo stesso sangue come prezzo del vostro riscatto. Oh, potessi infondervi la mia volontà, per ricondurvi al suo amore e alla sua obbedienza! Benedetti siano dalla sua destra gli uomini giusti e degni che diventeranno figli fedeli del loro Padre. Siano colmi della sua luce e dei tesori della sua grazia quelli che corrisponderanno al desiderio ardente del mio Signore di concedere loro la salvezza eterna. Oh, fossi umile schiava dei figli di Adamo per obbligarli, servendoli, a mettere fine alle loro colpe ed al proprio danno! Signore mio, vita e luce dell'anima mia, quale uomo sarà così nemico di se stesso ed avrà il cuore tanto duro da non riconoscersi obbligato e conquistato dai vostri benefici? Chi sarà così ingrato e irriconoscente da ignorare il vostro ardentissimo amore? Come non dovrà soffrire il cuore mio nel riconoscere che gli uomini beneficati dalle vostre mani sono così villani e ribelli? O figli di Adamo, rivolgete la vostra empietà disumana contro di me! Affliggete e disprezzate me, purché rendiate al mio diletto Signore l'amore e la riverenza che dovete alle sue delicatezze. Voi, figlio e Signore mio, siete luce della luce, figlio dell'eterno Padre, impronta della sua sostanza, eterno ed infinito come lui, uguale nell'essenza e negli attributi perché siete con lui una cosa sola ed una sola Maestà. Come uomo siete riconoscibile tra migliaia, il più bello tra i figli degli uomini, santo, innocente e senza alcun difetto. O bene eterno, come mai i mortali ignorano l'oggetto nobilissimo del loro amore? Come mai non riconoscono il principio che diede loro l'esistenza, ed il fine nel quale consiste la loro vera felicità? Oh, potessi dare io la mia vita affinché uscissero tutti dal loro inganno!».

851. Di fronte a queste parole e a molte altre che la divina Signora proferiva mi si scioglieva il cuore e trovavo difficoltà a spiegare gli ardentissimi affetti che nutriva quella candidissima colomba. Con questo amore e con questa profondissima riverenza, ella asciugava il sangue che il suo dolcissimo Figlio trasudava. Accadeva anche che Maria santissima ritrovasse Cristo nostro bene pieno di gloria e di splendore, trasfigurato, alla maniera in cui si sarebbe manifestato sul Tabor, ed accompagnato da una grande moltitudine di angeli, con sembianze umane. Questi lo adoravano e con sonore e dolci voci elevavano inni e nuovi cantici di lode all'Unigenito dell'eterno Padre, fattosi uomo. La nostra Signora udiva queste musiche celesti ed interveniva nel canto anche quando Cristo nostro Signore non appariva circonfuso di gloria. Infatti, la volontà divina disponeva in alcune occasioni che la parte sensitiva dell'umanità del Verbo ricevesse quel sollievo che egli aveva ricevuto altre volte trasfigurato con la ridondanza della gloria dell'anima nel corpo; questo però avvenne raramente. Tutte le volte che la divina Madre ritrovava e vedeva il proprio Figlio in quell'aspetto glorioso, o le volte in cui sentiva le musiche degli angeli, partecipava a quel giubilo e a quell'armonia celeste con tanto ardore che, se il suo spirito non fosse stato così forte e se il suo stesso figlio e Signore non l'avesse sostenuta, sarebbero venute meno tutte le sue forze naturali. E quando nelle estasi del corpo era particolarmente provata veniva confortata anche dai santi angeli.

852. Cristo nostro Signore in questi stati di angoscia o di gaudio pregava l'eterno Padre e gli presentava i misteri altissimi della redenzione. Rispondeva allora il Padre stesso approvando e concedendo ciò che il Figlio chiedeva per la salvezza degli uomini, o raffigurando alla sua santissima umanità gli arcani decreti della predestinazione o della riprovazione e dannazione di alcuni. La nostra gran Regina e signora ascoltava e comprendeva tutto questo, umiliandosi fino a terra. Con incomparabile timore riverenziale adorava l'Onnipotente, accompagnava il suo Unigenito nelle orazioni, nelle suppliche e insieme a lui rendeva grazie al Padre per le sue mirabili opere e per la sua benignità verso gli uomini; infine lodava i suoi imperscrutabili giudizi. La prudentissima Vergine rimuginava tutti questi misteri dentro il suo petto e li serbava nell'archivio del suo magnanimo cuore. Di tutto ciò si serviva per attizzare ed infervorare il fuoco del santuario che ardeva nel suo intimo, affinché nessuno dei benefici che riceveva rimanesse in lei inoperoso e senza frutto. A tutti questi favori ella corrispondeva con la pienezza possibile ad una semplice creatura, affinché si adempissero i fini dell'Altissimo e tutte le opere divine fossero conosciute e gradite.

 

Insegnamento della Regina del cielo

853. Figlia mia, una delle cause per cui gli uomini devono chiamarmi Madre di misericordia è l'amore pietoso col quale desidero intimamente che tutti siano inondati dal torrente della grazia, e che gustino la bontà del Signore, che io stessa provai. Invito, allora, e chiamo tutti, affinché sitibondi si avvicinino con me alle acque della Divinità. Si accostino i più poveri ed afflitti, poiché, se risponderanno alla mia chiamata e mi seguiranno, offrirò loro potente protezione e difesa, intercederò per loro presso mio Figlio, ed impetrerò la manna nascosta, che dà alimento e vita. Vieni tu, amica mia! Vieni e avvicinati, o carissima, per seguirmi e ricevere il nome nuovo, conosciuto solo da chi lo consegue. Alzati dalla polvere, scuoti e scaccia tutto ciò che è terreno ed effimero, ed innalzati verso le cose celesti. Rinnega te stessa ed ogni umana fragilità, contempla la vera luce che viene dalle opere del mio santissimo Figlio e da quelle che io realizzai a sua imitazione; rimirati in essa come in uno specchio, perché tu possa raggiungere la bellezza che vuole e desidera in te il sommo Re.

854. Questo mezzo è il più efficace per dare pienezza alle tue azioni e per conseguire la perfezione che desideri. Per orientare la tua vita voglio che tu imprima nel tuo cuore questo consiglio: prima di eseguire qualche opera interiore o esteriore, considera nel tuo intimo se il mio santissimo Figlio ed io avremmo fatto ciò che tu stai per dire o fare e con quanta retta intenzione lo avremmo compiuto per la gloria dell'Altissimo e per il bene del nostro prossimo. Se riconoscerai che noi lo abbiamo o lo avremmo fatto con questo fine, eseguilo per imitarci. Se, però, comprendi il contrario, sospendilo e non farlo. Anch'io ebbi questa accortezza, sebbene non fossi dibattuta come lo sei tu per operare il bene, e desiderassi imitare il mio Signore e maestro in modo perfetto. Nella sequela il Signore ci rende partecipi della sua santità, poiché questa ci insegna e ci induce a fare ciò che è più perfetto e gradito a lui. Da oggi in poi ti prego di non parlare e di non esprimere alcun pensiero senza chiedermi prima il permesso. Su ogni cosa consultati con me che sono la tua Madre e maestra. Se ti risponderò, ne renderai grazie al Signore; ma se non ti darò risposta, e tu persevererai nell'osservanza fedele di questa regola, ti assicuro e prometto da parte del Signore che riceverai la luce necessaria a compiere più perfettamente la sua volontà. Eseguirai però tutto con l'ubbidienza del tuo padre spirituale. Non dimenticare mai questo esercizio.


9-49 Ottobre 17, 1910 Per quanto amore ed unione con Gesù ha l’anima, tanto valore hanno i suoi sacrifici.

Luisa Piccarreta (Libro di Cielo)

(1) Trovandomi nel solito mio stato, stavo pregando il mio amoroso Gesù per il felice passaggio d’un sacerdote, stato anni prima mio confessore, e dicevo al mio amato Gesù: “Ricordatevi quanti sacrifici ha fatto, quanto ha zelato l’onore e gloria tua, e poi, quanto non ha fatto per me? Quanto non ha sofferto? In questo punto lo dovete rendere, facendolo passare addirittura al Cielo”. E il benedetto Gesù mi ha detto:

(2) “Figlia mia, Io non guardo tanto ai sacrifici, ma all’amore con cui si fanno ed all’unione che hanno con Me, sicché quanto più l’anima è unita con Me, tanto calcolo di più faccio dei suoi sacrifici. Sicché, se l’anima è più strettamente unita con Me, i più piccoli sacrifici Io faccio dei calcoli grandi, perché nell’unione c’è il calcolo dell’amore, ed il calcolo dell’amore è calcolo eterno che non ha termine né confine; mentre l’anima che si può sacrificare assai, e non è unita con Me, Io guardo il suo sacrificio come di persona estranea, e le do la mercede che merita, cioè limitata. Supponi un padre ed un figlio che si amano; il figlio fa dei piccoli sacrifici, il padre, per il vincolo di unione di paternità e di figliolanza, e d’amore, che è il vincolo più forte, guarda questi piccoli sacrifici come cosa grande, ne mena trionfo, si sente onorato, e dà al figlio tutte le sue ricchezze, e dedica per il figlio tutte le premure e le sue cure. Aggiungi un servo, lavora tutta la giornata, si espone al caldo, al freddo, sta a tutti i suoi ordini, se occorre veglia anche la notte a conto del padrone; e che cosa riceve? La misera mercede d’una giornata, dimodoché se non lavora tutti i giorni sarà costretto a sentire la fame. Tal’è la differenza che passa tra l’anima che possiede la mia unione e l’anima che non la possiede”.

(3) Mentre ciò diceva, mi sono sentita fuori di me stessa insieme col benedetto Gesù, e di nuovo ho detto: “Dolce amor mio, dimmi, dove si trova quell’anima?”

(4) E Gesù: “In purgatorio. Oh! se tu la vedessi in quale luce nuota, ne resteresti meravigliata”.

(5) Ed io: “Dite che sta in purgatorio e dite che nuota nella luce?”

(6) E Gesù: “Sì, si trova nuotando nella luce, perché questa luce la teneva a deposito, e nell’atto del suo morire questa luce lo ha investito e non lo lascerà mai più”.

(7) Io capivo che questa luce erano le sue opere buone fatte con purità d’intenzione.