Sotto il Tuo Manto

Lunedi, 8 settembre 2025 - Natività Beata Vergine Maria (Letture di oggi)

In punto di morte raccoglieremo quanto avremo seminato nella vita. (San Giovanni Bosco)

Liturgia delle Ore - Letture

Sabato della 23° settimana del tempo ordinario (San Giovanni Crisostomo)

Per questa Liturgia delle Ore è disponibile sia la versione del tempo corrente che quella dedicata alla memoria di un Santo. Per cambiare versione, clicca su questo collegamento.
Questa sezione contiene delle letture scelte a caso, provenienti dalle varie sezioni del sito (Sacra Bibbia e la sezione Biblioteca Cristiana), mentre l'ultimo tab Apparizioni, contiene messaggi di apparizioni a mistici o loro scritti. Sono presenti testi della Valtorta, Luisa Piccarreta, don Stefano Gobbi e testimonianze di apparizioni mariane riconosciute.

Vangelo secondo Giovanni 10

1"In verità, in verità vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore per la porta, ma vi sale da un'altra parte, è un ladro e un brigante.2Chi invece entra per la porta, è il pastore delle pecore.3Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore una per una e le conduce fuori.4E quando ha condotto fuori tutte le sue pecore, cammina innanzi a loro, e le pecore lo seguono, perché conoscono la sua voce.5Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei".6Questa similitudine disse loro Gesù; ma essi non capirono che cosa significava ciò che diceva loro.
7Allora Gesù disse loro di nuovo: "In verità, in verità vi dico: io sono la porta delle pecore.8Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati.9Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvo; entrerà e uscirà e troverà pascolo.10Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza.11Io sono il buon pastore. Il buon pastore offre la vita per le pecore.12Il mercenario invece, che non è pastore e al quale le pecore non appartengono, vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge e il lupo le rapisce e le disperde;13egli è un mercenario e non gli importa delle pecore.14Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me,15come il Padre conosce me e io conosco il Padre; e offro la vita per le pecore.16E ho altre pecore che non sono di quest'ovile; anche queste io devo condurre; ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge e un solo pastore.17Per questo il Padre mi ama: perché io offro la mia vita, per poi riprenderla di nuovo.18Nessuno me la toglie, ma la offro da me stesso, poiché ho il potere di offrirla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo comando ho ricevuto dal Padre mio".
19Sorse di nuovo dissenso tra i Giudei per queste parole.20Molti di essi dicevano: "Ha un demonio ed è fuori di sé; perché lo state ad ascoltare?".21Altri invece dicevano: "Queste parole non sono di un indemoniato; può forse un demonio aprire gli occhi dei ciechi?".

22Ricorreva in quei giorni a Gerusalemme la festa della Dedicazione. Era d'inverno.23Gesù passeggiava nel tempio, sotto il portico di Salomone.24Allora i Giudei gli si fecero attorno e gli dicevano: "Fino a quando terrai l'animo nostro sospeso? Se tu sei il Cristo, dillo a noi apertamente".25Gesù rispose loro: "Ve l'ho detto e non credete; le opere che io compio nel nome del Padre mio, queste mi danno testimonianza;26ma voi non credete, perché non siete mie pecore.27Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono.28Io do loro la vita eterna e non andranno mai perdute e nessuno le rapirà dalla mia mano.29Il Padre mio che me le ha date è più grande di tutti e nessuno può rapirle dalla mano del Padre mio.30Io e il Padre siamo una cosa sola".
31I Giudei portarono di nuovo delle pietre per lapidarlo.32Gesù rispose loro: "Vi ho fatto vedere molte opere buone da parte del Padre mio; per quale di esse mi volete lapidare?".33Gli risposero i Giudei: "Non ti lapidiamo per un'opera buona, ma per la bestemmia e perché tu, che sei uomo, ti fai Dio".34Rispose loro Gesù: "Non è forse scritto nella vostra Legge: 'Io ho detto: voi siete dèi'?35Ora, se essa ha chiamato dèi coloro ai quali fu rivolta la parola di Dio (e la Scrittura non può essere annullata),36a colui che il Padre ha consacrato e mandato nel mondo, voi dite: Tu bestemmi, perché ho detto: Sono Figlio di Dio?37Se non compio le opere del Padre mio, non credetemi;38ma se le compio, anche se non volete credere a me, credete almeno alle opere, perché sappiate e conosciate che il Padre è in me e io nel Padre".39Cercavano allora di prenderlo di nuovo, ma egli sfuggì dalle loro mani.

40Ritornò quindi al di là del Giordano, nel luogo dove prima Giovanni battezzava, e qui si fermò.41Molti andarono da lui e dicevano: "Giovanni non ha fatto nessun segno, ma tutto quello che Giovanni ha detto di costui era vero".42E in quel luogo molti credettero in lui.


Numeri 36

1I capifamiglia dei figli di Gàlaad, figlio di Machir, figlio di Manàsse, tra le famiglie dei figli di Giuseppe, si fecero avanti a parlare in presenza di Mosè e dei principi capifamiglia degli Israeliti2e dissero: "Il Signore ha ordinato al mio signore di dare il paese in eredità agli Israeliti in base alla sorte; il mio signore ha anche ricevuto l'ordine da Dio di dare l'eredità di Zelofcad, nostro fratello, alle figlie di lui.3Se queste si maritano a qualche figlio delle altre tribù degli Israeliti, la loro eredità sarà detratta dalla eredità dei nostri padri e aggiunta all'eredità della tribù nella quale esse saranno entrate; così sarà detratta dall'eredità che ci è toccata in sorte.4Quando verrà il giubileo per gli Israeliti, la loro eredità sarà aggiunta a quella della tribù nella quale saranno entrate e l'eredità loro sarà detratta dalla eredità della tribù dei nostri padri".
5Allora Mosè comunicò agli Israeliti quest'ordine ricevuto dal Signore: "La tribù dei figli di Giuseppe dice bene.6Questo il Signore ha ordinato riguardo alle figlie di Zelofcad: si mariteranno a chi vorranno, purché si maritino in una famiglia della tribù dei loro padri.7Nessuna eredità tra gli Israeliti potrà passare da una tribù all'altra, ma ciascuno degli Israeliti si terrà vincolato all'eredità della tribù dei suoi padri.8Ogni fanciulla che possiede una eredità in una tribù degli Israeliti, si mariterà ad uno che appartenga ad una famiglia della tribù di suo padre, perché ognuno degli Israeliti rimanga nel possesso dell'eredità dei suoi padri9e nessuna eredità passi da una tribù all'altra; ognuna delle tribù degli Israeliti si terrà vincolata alla propria eredità".
10Le figlie di Zelofcad fecero secondo l'ordine che il Signore aveva dato a Mosè.11Macla, Tirza, Ogla, Milca e Noa, le figlie di Zelofcad, sposarono i figli dei loro zii paterni;12si maritarono nelle famiglie dei figli di Manàsse, figlio di Giuseppe, e la loro eredità rimase nella tribù della famiglia del padre loro.
13Questi sono i comandi e le leggi che il Signore diede agli Israeliti per mezzo di Mosè, nelle steppe di Moab, presso il Giordano di Gèrico.


Siracide 46

1Valoroso in guerra Giosuè figlio di Nun,
successore di Mosè nell'ufficio profetico;
egli, secondo il significato del suo nome,
fu grande per la salvezza degli eletti di Dio,
compiendo la vendetta contro i nemici insorti,
per assegnare il possesso a Israele.
2Come era glorioso quando alzava le braccia
e brandiva la spada contro le città!
3Chi prima di lui era stato così saldo?
Egli guidava le guerre del Signore.
4Al suo comando non si arrestò forse il sole
e un giorno divenne lungo come due?
5Egli invocò l'Altissimo sovrano,
mentre i nemici lo premevano da ogni parte;
lo esaudì il Signore onnipotente
scagliando chicchi di grandine di grande potenza.
6Egli piombò sul popolo nemico
e nella discesa distrusse gli avversari,
perché le genti conoscessero la sua forza
e che il loro avversario era il Signore.

7Rimase infatti fedele all'Onnipotente
e al tempo di Mosè compì un'azione virtuosa
con Caleb, figlio di Iefunne,
opponendosi all'assemblea,
impedendo che il popolo peccasse
e dominando le maligne mormorazioni.
8Questi due soli si salvarono
fra i seicentomila fanti,
per introdurre Israele nella sua eredità,
nella terra in cui scorrono latte e miele.
9Il Signore concesse a Caleb una forza
che l'assistette sino alla vecchiaia,
perché raggiungesse le alture del paese,
che la sua discendenza poté conservare in eredità,
10sì che tutti gli Israeliti sapessero
che è bene seguire il Signore.

11Quanto ai Giudici, ciascuno con il suo nome,
coloro il cui cuore non commise infedeltà
né si allontanarono dal Signore,
sia il loro ricordo in benedizione!
12Le loro ossa rifioriscano dalle tombe
e il loro nome si perpetui sui figli,
poiché essi sono già glorificati.

13Samuele, amato dal suo Signore,
di cui fu profeta, istituì la monarchia
e consacrò i principi del suo popolo.
14Secondo la legge del Signore governò la comunità
e il Signore volse lo sguardo benevolo su Giacobbe.
15Per la sua fedeltà si dimostrò profeta,
con le parole fu riconosciuto veggente verace.
16Egli invocò il Signore onnipotente,
quando i nemici lo premevano all'intorno,
con l'offerta di un agnello da latte.
17Il Signore tuonò dal cielo;
con grande fragore fece udire la voce,
18sterminò i capi dei nemici
e tutti i principi dei Filistei.
19Prima dell'ora del suo eterno sonno,
così attestò davanti al Signore e al suo Messia:
"Denari e neanche dei sandali,
da alcun vivente ho accettato"
e nessuno poté contraddirlo.
Perfino dopo la sua morte profetizzò,
predicendo al re la sua fine;
anche dal sepolcro levò ancora la voce
per allontanare in una profezia l'iniquità dal popolo.


Salmi 104

1Benedici il Signore, anima mia,
Signore, mio Dio, quanto sei grande!
Rivestito di maestà e di splendore,
2avvolto di luce come di un manto.
Tu stendi il cielo come una tenda,
3costruisci sulle acque la tua dimora,
fai delle nubi il tuo carro,
cammini sulle ali del vento;
4fai dei venti i tuoi messaggeri,
delle fiamme guizzanti i tuoi ministri.

5Hai fondato la terra sulle sue basi,
mai potrà vacillare.
6L'oceano l'avvolgeva come un manto,
le acque coprivano le montagne.
7Alla tua minaccia sono fuggite,
al fragore del tuo tuono hanno tremato.
8Emergono i monti, scendono le valli
al luogo che hai loro assegnato.
9Hai posto un limite alle acque: non lo passeranno,
non torneranno a coprire la terra.

10Fai scaturire le sorgenti nelle valli
e scorrono tra i monti;
11ne bevono tutte le bestie selvatiche
e gli ònagri estinguono la loro sete.
12Al di sopra dimorano gli uccelli del cielo,
cantano tra le fronde.

13Dalle tue alte dimore irrighi i monti,
con il frutto delle tue opere sazi la terra.
14Fai crescere il fieno per gli armenti
e l'erba al servizio dell'uomo,
perché tragga alimento dalla terra:
15il vino che allieta il cuore dell'uomo;
l'olio che fa brillare il suo volto
e il pane che sostiene il suo vigore.

16Si saziano gli alberi del Signore,
i cedri del Libano da lui piantati.
17Là gli uccelli fanno il loro nido
e la cicogna sui cipressi ha la sua casa.
18Per i camosci sono le alte montagne,
le rocce sono rifugio per gli iràci.

19Per segnare le stagioni hai fatto la luna
e il sole che conosce il suo tramonto.
20Stendi le tenebre e viene la notte
e vagano tutte le bestie della foresta;
21ruggiscono i leoncelli in cerca di preda
e chiedono a Dio il loro cibo.
22Sorge il sole, si ritirano
e si accovacciano nelle tane.
23Allora l'uomo esce al suo lavoro,
per la sua fatica fino a sera.

24Quanto sono grandi, Signore,
le tue opere!
Tutto hai fatto con saggezza,
la terra è piena delle tue creature.
25Ecco il mare spazioso e vasto:
lì guizzano senza numero
animali piccoli e grandi.
26Lo solcano le navi,
il Leviatàn che hai plasmato
perché in esso si diverta.

27Tutti da te aspettano
che tu dia loro il cibo in tempo opportuno.
28Tu lo provvedi, essi lo raccolgono,
tu apri la mano, si saziano di beni.
29Se nascondi il tuo volto, vengono meno,
togli loro il respiro, muoiono
e ritornano nella loro polvere.
30Mandi il tuo spirito, sono creati,
e rinnovi la faccia della terra.

31La gloria del Signore sia per sempre;
gioisca il Signore delle sue opere.
32Egli guarda la terra e la fa sussultare,
tocca i monti ed essi fumano.
33Voglio cantare al Signore finché ho vita,
cantare al mio Dio finché esisto.
34A lui sia gradito il mio canto;
la mia gioia è nel Signore.

35Scompaiano i peccatori dalla terra
e più non esistano gli empi.
Benedici il Signore, anima mia.


Isaia 44

1Ora ascolta, Giacobbe mio servo,
Israele da me eletto.
2Così dice il Signore che ti ha fatto,
che ti ha formato dal seno materno e ti aiuta:
"Non temere, Giacobbe mio servo,
Iesurùn da me eletto,
3poiché io farò scorrere acqua sul suolo assetato,
torrenti sul terreno arido.
Spanderò il mio spirito sulla tua discendenza,
la mia benedizione sui tuoi posteri;
4cresceranno come erba in mezzo all'acqua,
come salici lungo acque correnti.
5Questi dirà: Io appartengo al Signore,
quegli si chiamerà Giacobbe;
altri scriverà sulla mano: Del Signore,
e verrà designato con il nome di Israele".

6Così dice il re di Israele,
il suo redentore, il Signore degli eserciti:
"Io sono il primo e io l'ultimo;
fuori di me non vi sono dèi.
7Chi è come me? Si faccia avanti e lo proclami,
lo riveli di presenza e me lo esponga.
Chi ha reso noto il futuro dal tempo antico?
Ci annunzi ciò che succederà.
8Non siate ansiosi e non temete:
non forse già da molto tempo
te l'ho fatto intendere e rivelato?
Voi siete miei testimoni: C'è forse un dio fuori di me
o una roccia che io non conosca?".

9I fabbricatori di idoli sono tutti vanità e le loro opere preziose non giovano a nulla; ma i loro devoti non vedono né capiscono affatto e perciò saranno coperti di vergogna.10Chi fabbrica un dio e fonde un idolo senza cercarne un vantaggio?11Ecco, tutti i suoi seguaci saranno svergognati; gli stessi artefici non sono che uomini. Si radunino pure e si presentino tutti; saranno spaventati e confusi insieme.
12Il fabbro lavora il ferro di una scure, lo elabora sulle braci e gli da' forma con martelli, lo rifinisce con braccio vigoroso; soffre persino la fame, la forza gli viene meno; non beve acqua ed è spossato.13Il falegname stende il regolo, disegna l'immagine con il gesso; la lavora con scalpelli, misura con il compasso, riproducendo una forma umana, una bella figura d'uomo da mettere in un tempio.14Egli si taglia cedri, prende un cipresso o una quercia che lascia crescere robusta nella selva; pianta un frassino che la pioggia farà crescere.
15Tutto ciò diventa per l'uomo legna da bruciare; ne prende una parte e si riscalda o anche accende il forno per cuocervi il pane o ne fa persino un idolo e lo adora, ne forma una statua e la venera.16Una metà la brucia al fuoco, sulla brace arrostisce la carne, poi mangia l'arrosto e si sazia. Ugualmente si scalda e dice: "Mi riscaldo; mi godo il fuoco".17Con il resto fa un dio, il suo idolo; lo venera, lo adora e lo prega: "Salvami, perché sei il mio dio!".
18Non sanno né comprendono; una patina impedisce agli occhi loro di vedere e al loro cuore di capire.19Essi non riflettono, non hanno scienza e intelligenza per dire: "Ho bruciato nel fuoco una parte, sulle sue braci ho cotto perfino il pane e arrostito la carne che ho mangiato; col residuo farò un idolo abominevole? Mi prostrerò dinanzi ad un pezzo di legno?".20Si pasce di cenere, ha un cuore illuso che lo travia; egli non sa liberarsene e dire: "Ciò che tengo in mano non è forse falso?".

21Ricorda tali cose, o Giacobbe,
o Israele, poiché sei mio servo.
Io ti ho formato, mio servo sei tu;
Israele, non sarai dimenticato da me.
22Ho dissipato come nube le tue iniquità
e i tuoi peccati come una nuvola.
Ritorna a me, poiché io ti ho redento.
23Esultate, cieli, poiché il Signore ha agito;
giubilate, profondità della terra!
Gridate di gioia, o monti,
o selve con tutti i vostri alberi,
perché il Signore ha riscattato Giacobbe,
in Israele ha manifestato la sua gloria.

24Dice il Signore, che ti ha riscattato
e ti ha formato fino dal seno materno:
"Sono io, il Signore, che ho fatto tutto,
che ho spiegato i cieli da solo,
ho disteso la terra; chi era con me?
25Io svento i presagi degli indovini,
dimostro folli i maghi,
costringo i sapienti a ritrattarsi
e trasformo in follia la loro scienza;
26confermo la parola dei suoi servi,
compio i disegni dei suoi messaggeri.
Io dico a Gerusalemme: Sarai abitata,
e alle città di Giuda: Sarete riedificate
e ne restaurerò le rovine.
27Io dico all'oceano: Prosciugati!
Faccio inaridire i tuoi fiumi.
28Io dico a Ciro: Mio pastore;
ed egli soddisferà tutti i miei desideri,
dicendo a Gerusalemme: Sarai riedificata;
e al tempio: Sarai riedificato dalle fondamenta".


Seconda lettera ai Corinzi 5

1Sappiamo infatti che quando verrà disfatto questo corpo, nostra abitazione sulla terra, riceveremo un'abitazione da Dio, una dimora eterna, non costruita da mani di uomo, nei cieli.2Perciò sospiriamo in questo nostro stato, desiderosi di rivestirci del nostro corpo celeste:3a condizione però di esser trovati già vestiti, non nudi.4In realtà quanti siamo in questo corpo, sospiriamo come sotto un peso, non volendo venire spogliati ma sopravvestiti, perché ciò che è mortale venga assorbito dalla vita.5È Dio che ci ha fatti per questo e ci ha dato la caparra dello Spirito.
6Così, dunque, siamo sempre pieni di fiducia e sapendo che finché abitiamo nel corpo siamo in esilio lontano dal Signore,7camminiamo nella fede e non ancora in visione.8Siamo pieni di fiducia e preferiamo andare in esilio dal corpo ed abitare presso il Signore.9Perciò ci sforziamo, sia dimorando nel corpo sia esulando da esso, di essere a lui graditi.10Tutti infatti dobbiamo comparire davanti al tribunale di Cristo, ciascuno per ricevere la ricompensa delle opere compiute finché era nel corpo, sia in bene che in male.

11Consapevoli dunque del timore del Signore, noi cerchiamo di convincere gli uomini; per quanto invece riguarda Dio, gli siamo ben noti. E spero di esserlo anche davanti alle vostre coscienze.12Non ricominciamo a raccomandarci a voi, ma è solo per darvi occasione di vanto a nostro riguardo, perché abbiate di che rispondere a coloro il cui vanto è esteriore e non nel cuore.13Se infatti siamo stati fuori di senno, era per Dio; se siamo assennati, è per voi.
14Poiché l'amore del Cristo ci spinge, al pensiero che uno è morto per tutti e quindi tutti sono morti.15Ed egli è morto per tutti, perché quelli che vivono non vivano più per se stessi, ma per colui che è morto e risuscitato per loro.16Cosicché ormai noi non conosciamo più nessuno secondo la carne; e anche se abbiamo conosciuto Cristo secondo la carne, ora non lo conosciamo più così.17Quindi se uno è in Cristo, è una creatura nuova; le cose vecchie sono passate, ecco ne sono nate di nuove.
18Tutto questo però viene da Dio, che ci ha riconciliati con sé mediante Cristo e ha affidato a noi il ministero della riconciliazione.19È stato Dio infatti a riconciliare a sé il mondo in Cristo, non imputando agli uomini le loro colpe e affidando a noi la parola della riconciliazione.20Noi fungiamo quindi da ambasciatori per Cristo, come se Dio esortasse per mezzo nostro. Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio.21Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo trattò da peccato in nostro favore, perché noi potessimo diventare per mezzo di lui giustizia di Dio.


Capitolo IV: Mantenersi intimamente uniti in Dio, in spirito di verità e di umiltà

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1. Figlio, cammina alla mia presenza in spirito di verità, e cercami sempre con semplicità di cuore. Chi cammina dinanzi a me in spirito di verità sarà protetto dagli assalti malvagi; la verità lo farà libero da quelli che cercano di sedurlo e dai perversi, con le loro parole infamanti. Se ti farà libero la verità, sarai libero veramente e non terrai in alcun conto le vane parole degli uomini. E' vero, o Signore: ti prego, così mi avvenga, come tu dici. Mi sia maestra la tua verità; mi custodisca e mi conduca alla meta di salvezza; mi liberi da effetti e da amori perversi, contrari alla divina volontà. Allora camminerò con te, con grande libertà di spirito.   

2. Io ti insegnerò, dice la Verità, ciò che è retto e mi è gradito. Ripensa con grande, amaro dolore, ai tuoi peccati, e non credere mai di valere qualcosa, per opere buone che tu abbia compiuto. In realtà sei un peccatore, irretito da molte passioni e schiavo di esse. Da te non giungi a nulla: subitamente cadi e sei vinto; subitamente vieni sconvolto e dissolto. Non hai nulla di che ti possa vantare; hai molto, invece, di che ti debba umiliare, giacché sei più debole assi di quanto tu possa capire. Di tutto quello che fai, niente ti sembri grande, prezioso e ammirevole; niente ti sembri meritevole di stima. Alto, lodevole e desiderabile davvero ti sembri soltanto ciò che è eterno. Più di ogni altra cosa, ti sia cara la verità eterna; e sempre ti dispiaccia la tua estrema pochezza. Nulla devi temere, disprezzare e fuggire quanto i tuoi vizi e i tuoi peccati; cose che ti debbono affliggere più di ogni danno materiale.

3. Ci sono persone che camminano al mio cospetto con animo non puro: persone che - dimentiche di se stesse e della propria salvezza, e mosse da una certa curiosità e superbia - vorrebbero conoscere i miei segreti, e comprendere gli alti disegni di Dio. Costoro cadono sovente in grandi tentazioni e in grandi peccati per quella loro superbia e curiosità, che io ho in odio. Mantieni una religiosa riverenza dinanzi al giudizio divino, dinanzi allo sdegno dell'Onnipotente. Non volere, dunque, sondare l'operato dell'Altissimo. Esamina invece le tue iniquità: in quante cose hai errato e quante cose buone hai tralasciato. Ci sono alcuni che fanno consistere la loro pietà soltanto nelle letture, nelle immagini sacre e nelle raffigurazioni esteriori e simboliche; altri mi hanno sulla bocca, ma poco c'è nel loro cuore. Ci sono invece altri che, illuminati nella mente e puri nei loro affetti, anelando continuamente alle cose eterne, provano fastidio a sentir parlare di cose terrene e soffrono ad assoggettarsi a ciò che la natura impone. Sono questi che ascoltano ciò che dice, dentro di loro, lo spirito di verità. Il quale li ammaestra a disprezzare le cose di questa terra e ad amare quelle del cielo; ad abbandonare il mondo e ad aspirare, giorno e notte, al cielo.


LETTERA 216: Valentino ad Agostino narra il conforto derivato ai monaci dalla lettura del suo trattato.

Lettere - Sant'Agostino

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Scritta dopo la precedente.

Valentino ad Agostino narra il conforto derivato ai monaci dalla lettura del suo trattato, di cui alla lettera precedente, esponendogli l'origine e gli autori del dissidio scoppiato nel suo monastero (nn. 1-3); dichiara la fede di Floro, di cui gl'invia la professione insieme con la propria sul libero arbitrio e sulla " giustizia " di Dio rimuneratore (nn. 4-6).

A TE, BEATISSIMO PADRE AGOSTINO, SIGNORE VERAMENTE SANTO, DEGNO DEL MASSIMO RISPETTO E DI ESSERE ONORATO CON PIO TRASPORTO DI GIOIA, INVIA CRISTIANI SALUTI VALENTINO, SERVO DELLA SANTITÀ TUA E TUTTA LA COMUNITÀ CHE SPERA CON ME NELLE TUE PREGHIERE

Il trattato di Agostino ha rasserenato i monaci.

1. Abbiamo ricevuto le venerate lettere e il trattato della Santità tua col cuore in tumulto; come il beato Elia, ritto all'ingresso della grotta si coprì la faccia al passaggio della gloria del Signore 1, così anche noi, di fronte ai tuoi rimproveri, ci siamo coperti gli occhi, arrossendo della nostra decisione presa in seguito alla rustica insistenza dei nostri fratelli: al momento della loro partenza arbitraria abbiamo avuto timore d'inviare i saluti alla Santità tua, poiché c'è un tempo per parlare e un tempo per tacere 2; abbiamo voluto evitare d'inviarti una lettera per le mani d'individui dubbiosi e incerti sulla verità, per non sembrare che dubitassimo con loro delle tue affermazioni piene di sapienza ch'è simile a quella dell'angelo di Dio 3. Non avevamo, d'altronde, alcun bisogno d'avere notizie riguardo alla Santità tua e alla tua sapienza che, per grazia di Dio, ci è ben nota. Alla lettura del trattato della amabilissima Santità tua siamo rimasti talmente commossi e contenti che, simili agli Apostoli i quali, mentre il Signore mangiava con loro dopo la risurrezione, non osavano domandargli chi fosse - poiché sapevano ch'era Gesù 4 - noi non volevamo né osavamo domandare se il trattato fosse tuo, dal momento che la grazia, insegnata dalla fede, vi è messa sì largamente in luce e con espressioni sì vive, che non si può dubitare che sia opera tua, signore e Padre santo.

Causa del turbamento dei monaci.

2. Ma cominciamo, mio signore e padre santo, a raccontare la storia di quel turbamento. Il carissimo nostro fratello Floro, servo della tua Paternità, era partito, per motivi di carità, alla volta di Uzali, sua città natale; durante il suo soggiorno in quella città trovò uno degli opuscoli della Santità tua e lo fece portare alla nostra comunità come un pane di benedizione; glielo aveva dettato devotamente Felice, uno dei suoi confratelli; colui stesso che, come è risaputo, arrivò in ritardo presso la Santità tua dopo i suoi compagni: i fratelli giunsero al monastero con quell'opuscolo, mentre il fratello Floro s'era recato dalla città di Uzali a Cartagine. Senza mostrarmelo, i fratelli si misero a leggerlo ad altri fratelli di poca o punta cultura e alcuni di essi, che non lo avevano capito, ne rimasero turbati. Così, quando il Signore disse: Chi non mangerà la carne del Figlio dell'uomo e non berrà il suo sangue, non avrà la vita in se stesso 5, coloro che avevano inteso quelle parole in un senso empio, si allontanarono, non già per colpa del Signore che le pronunciava, ma a causa della durezza e grande empietà dei loro cuori.

Come Valentino fece ravvedere i monaci.

3. I suddetti fratelli, che avevano messo tutto in subbuglio, cominciarono a turbare le anime semplici essendone completamente all'oscuro la mia insignificante persona: ero talmente ignaro delle loro riunioni piene di mormorazioni che, se il nostro fratello Floro al suo ritorno da Cartagine, accortosi della loro agitazione, non me ne avesse sollecitamente messo al corrente ...; essi discutevano tra loro di nascosto e alla maniera dei servi sopra una verità che non potevano comprendere. Per mettere fine a quelle empie discussioni proposi d'inviare dei fratelli al nostro signore e santo padre Evodio affinché a noi, che non lo conoscevamo, desse per iscritto spiegazioni più precise riguardo a quel venerando scritto; essi tuttavia non vollero accogliere con maggior condiscendenza la sua risposta, ma a noi, che non desideravamo quella partenza, strapparono il permesso di recarsi da te. Il nostro fratello Floro rimase come costernato del loro furore: essi erano inviperiti contro di lui perché, secondo loro, era stato proprio lui il responsabile del male che quel trattato aveva loro procurato, senza che quei malati capissero che esso invece conteneva il rimedio che li avrebbe guariti. Per una maggior garanzia ci rivolgemmo allora al santo prete Sabino: egli ci lesse il trattato e lo spiegò nel modo più chiaro; ma neppure ciò apportò la guarigione alla ferita del loro animo. Demmo allora ad essi, per pura bontà, il denaro occorrente per il viaggio, per non inasprire maggiormente la piaga del loro animo che poteva, per altro, esser guarita dalla grazia che spira dal tuo trattato, in cui brilla lo splendore della Santità tua. Dopo la loro partenza la quiete e concordia tra tutti i fratelli esultò nel Signore; la disputa infatti era sorta per l'animosità di cinque o più fratelli.

Il trattato di Agostino medicina per gli erranti nella fede.

4. Ma siccome talora, signore e padre, dalla tristezza nasce la gioia, così noi pure adesso non siamo più afflitti a causa di quegli ignoranti, smaniosi di sapere più di quanto sono capaci, e abbiamo meritato d'essere illuminati dai graditissimi insegnamenti della Santità tua. Così il dubbio dell'apostolo S. Tommaso, che volle toccare le ferite fatte dai chiodi 6, servì a confermare la fede di tutta la Chiesa. Abbiamo dunque ricevuto, signore e padre, con grato animo il rimedio delle tue lettere, piene di religiosa sollecitudine, e ci siamo battuto il petto perché, almeno con questo mezzo, la nostra coscienza possa esser guarita; ma è la grazia a guarirla e a vivificarla mediante il libero arbitrio, anch'esso dono della misericordia: questo vale per il tempo presente, in cui noi possiamo ancora, durante lo spazio che ci viene lasciato, cantare la misericordia: quando poi cominceremo a cantare al Signore la sua giustizia 7, allora riceveremo la ricompensa delle opere nostre poiché il Signore è misericordioso e giusto, pieno di compassione e retto 8. Come c'insegna la Santità tua dobbiamo comparire tutti davanti al tribunale di Cristo per ricevere ciascuno (la rimunerazione) secondo il bene e il male che fece quand'era nel corpo 9, poiché il Signore, dice il profeta, verrà con la sua ricompensa; l'uomo comparirà con le sue opere davanti a lui 10. Il Signore verrà come un forno ardente per bruciare gli empi come la stoppia 11; per coloro invece che temono il nome del Signore si leverà il sole di giustizia, mentre gli empi saranno puniti con giusta condanna 12. Ecco ciò che proclama il giusto, di cui tu, signore e padre, sei amico, alzando un grido supplice e tremante: Non citare in giudizio il tuo servo 13. Se il regolamento dei conti fosse opera della grazia, il giusto non avrebbe paura del segreto, ove si cela il giudizio della divina maestà 14. Questa è la verità di fede che professa anche Floro, o padre, non come ti hanno riferito quei monaci: con le loro orecchie essi hanno sentito dire da lui che il dono della pietà non ci è accordato in ragione dei nostri meriti ma durante la vita presente per la grazia del Redentore: quando però la giustizia si manifesterà nella collera, chi mai potrà dubitare che il tempo della grazia sarà ormai lontano? Ecco, o padre, che cosa proclamiamo, che cosa cantiamo, non già sicuri ma tremanti, secondo il tuo insegnamento: Non mi accusare, o Signore, nel tuo furore e non castigarmi nella tua collera 15. Noi diciamo: "Puniscici adesso, o Signore, donaci la scienza della tua legge per darci una sorte più dolce nei giorni cattivi " 16. Ecco quanto professiamo di credere, venerando padre, secondo il tuo insegnamento: Dio scruta il giusto e l'empio; quando saranno posti i buoni alla destra e i cattivi alla sinistra, porterà in conto per gli uni le opere sante per premiarle e farà il conto delle azioni empie, compiute ostinatamente dagli altri, per punirle. Come potrà esserci più la grazia quando saranno pesate e giudicate le opere buone e le opere cattive 17?

Conseguenze del libero arbitrio senza la grazia.

5. Ma perché non si ha timore di spacciare di soppiatto delle menzogne contro di noi? Noi non neghiamo affatto il libero arbitrio purché sia guarito dalla grazia di Dio; crediamo, al contrario, che progredisce se è sostenuto ogni giorno dalla grazia di Cristo. Eppure c'è gente che dice: " È in mio solo potere fare il bene! ". Se pure fosse vero che gli uomini fanno il bene! Sciocca pretesa di siffatti sventurati! Ogni giorno danno a conoscere le proprie colpe e, ciononostante, rivendicano per se stessi, vantandosene, un libero arbitrio privo della grazia, invece di esaminare la propria coscienza che può esser guarita solo dalla grazia, in modo da esclamare: Abbi pietà di me; guarisci l'anima mia perché ho peccato 18! Che cosa farebbero questi tali che si vantano del loro libero arbitrio - che noi non neghiamo purché sia accompagnato dall'aiuto di Dio - se la morte fosse già stata inghiottita nella vittoria e il nostro essere mortale si fosse già rivestito dell'immortalità e il nostro essere corruttibile si fosse già rivestito dell'incorruttibilità 19? Ecco: le loro ferite emanano fetore eppure domandano il rimedio con superbia. Essi non dicono, come il giusto: Se il Signore non m'avesse aiutato, sarebbe mancato poco che abitassi negl'inferi 20; non dicono, come il santo: Se il Signore non custodisce la città, inutilmente vigila chi sta a guardia di essa 21.

Si raccomanda alle preghiere di Agostino.

6. Ma tu, piissimo padre, prega che, d'ora in poi, noi abbiamo l'unico pensiero di espiare con lacrime il nostro peccato e di difendere la grazia di Dio; prega, signore e padre, che il pozzo non chiuda su di noi la sua bocca 22, che non siamo tra coloro che discendono nella fossa profonda 23, che l'anima nostra non si perda con gli empi 24 a causa della nostra superbia, ma venga guarita dalla grazia del Signore. Secondo il tuo invito, o signore e padre, il nostro fratello Floro, servo della Santità tua, si mette in viaggio pieno di premura per recarsi da te (la fatica non gli sarà d'impedimento ma di stimolo) per ricevere i tuoi luminosi insegnamenti. Lo raccomandiamo umilmente alla Santità tua e ti chiediamo di raccomandare al Signore nelle tue preghiere questi ignoranti, che dobbiamo ricondurre alla concordia con estrema mitezza. Prega, signore e padre carissimo, che il diavolo fugga dalla nostra comunità e che, placata ogni tempesta d'inutili discussioni, la nave che trasporta noi impegnati nell'ideale della perfezione religiosa, carica di marinai tranquilli, possa gettare le ancore sicura, all'interno del porto ben riparato verso il quale fa rotta attraverso questo grande e immenso mare, e che, nel porto ove non ci sarà da temere alcun naufragio per la nostra vita, riceva, tutta unita in concordia, il premio per le merci che sono gradite a Dio. Speriamo d'ottenerlo, il premio, con l'aiuto della Santità tua, mediante la grazia di nostro Signore Gesù Cristo. Abbi la cortesia di salutare a nome nostro tutti i figli della tua dignità episcopale, i nostri signori chierici e i santi che servono (Dio) nella comunità, che professa l'ideale di perfezione religiosa, affinché tutti, insieme con la Beatitudine tua, si degnino di pregare per noi. Ti auguriamo che la indiscorde Trinità di Dio nostro Signore conservi il tuo santo apostolato nella sua Chiesa alla quale ti ha scelto, per sua grazia, e che tu sia memore di noi e possa avere la corona nella grande Chiesa (del cielo); questo è il nostro augurio. Se il nostro fratello Floro, tuo servo, ti proporrà qualche problema riguardante la regola del nostro monastero, abbi la cortesia d'ascoltarlo volentieri e d'istruire in ogni cosa noi poveri religiosi.

 

1 - 1 Re 19, 13.

2 - Qo 3, 7.

3 - 2 Sam 14, 20.

4 - Gv 21, 12.

5 - Gv 6, 54. 67.

6 - Gv 20, 25.

7 - Sal 100, 1.

8 - Sal 11, 4.

9 - 2 Cor 5, 10.

10 - Is 40, 10.

11 - Gi 2, 3-5.

12 - Ml 4, 1-3.

13 - Sal 142, 2.

14 - Prv 11, 31; 1 Pt 4, 18.

15 - Sal 6, 2.

16 - Sal 93, 12-13.

17 - Mt 25, 31-46.

18 - Sal 40, 5.

19 - 1 Cor 15, 54. 53.

20 - Sal 93, 17.

21 - Sal 126, 1.

22 - Sal 68, 16.

23 - Sal 29, 4.

24 - Sal 25, 9.


13 - Maria santissima conosce la volontà del Signore che il suo Figlio unigenito sia circonciso, e ne parla con san Giuseppe.

La mistica Città di Dio - Libro quarto - Suor Maria d'Agreda

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513. Appena la prudentissima Vergine si trovò madre per l'incarnazione del Verbo nel suo grembo, incominciò a riflettere tra sé circa le tribolazioni e le pene che il suo Figlio dolcissimo veniva a patire. Poiché la sua conoscenza delle Scritture era molto profonda, comprendeva con essa tutti i misteri che queste contenevano, per cui andava prevedendo e calcolando con incomparabile compassione quanto egli doveva soffrire per la redenzione degli uomini. Questo dolore previsto e meditato con tanta sapienza fu un prolungato martirio della mansuetissima Madre dell'Agnello che doveva essere sacrificato. Tuttavia, quanto al mistero della circoncisione che doveva avere luogo dopo la nascita, la divina Signora non aveva ricevuto alcun ordine e non conosceva affatto la volontà dell'eterno Padre. Stando in tale incertezza, la compassione muoveva gli affetti e animava la dolce voce della tenera ed amorosissima Madre. Ella considerava con la propria prudenza che il suo Figlio santissimo veniva ad onorare la sua legge, dandole valore con l'osservarla e confermandola con l'adempimento, che inoltre veniva a patire per gli uomini, che il suo ardentissimo amore non ricusava il dolore della circoncisione e che anche per altri fini avrebbe potuto essere conveniente l'accettarla.

514. D'altra parte l'amore e la compassione materna la spingevano a risparmiare, se possibile, al suo dolcissimo piccolo questa pena, anche perché la circoncisione serviva per purificare dal peccato originale, da cui il bambino Dio era del tutto libero, non avendolo contratto in Adamo. In sospeso tra l'amore per il suo Figlio santissimo e l'ubbidienza all'eterno Padre, la prudentissima Signora fece molti atti eroici di virtù, di cui sua Maestà si compiacque in modo incomparabile. Avrebbe potuto liberarsi da questo dubbio domandando subito al Signore ciò che doveva fare, ma, essendo tanto prudente ed umile, si tratteneva. Non interrogò neppure i suoi angeli, perché con ammirabile sapienza soleva attendere il tempo opportuno e conveniente, prefissato dalla divina Provvidenza in tutto, e non si affrettava mai con ansia o curiosità ad indagare qualcosa in modo soprannaturale e straordinario, soprattutto quando ciò doveva servire per alleviarle qualche pena. Quando si presentava una questione grave e dubbia, che potesse dare occasione di qualche offesa al Signore, o un caso urgente per il bene delle creature, in cui fosse necessario conoscere la volontà divina, ella domandava prima licenza di supplicarlo che le rivelasse il suo compiacimento e beneplacito.

515. Ciò non è contrario a quello che ho già scritto in precedenza, cioè che Maria santissima non faceva niente senza interrogare sua Maestà. Questa consultazione per conoscere la volontà divina, infatti, non avveniva investigando con desiderio di una rivelazione straordinaria, perché in ciò aveva grande riserbo e prudenza, e in casi rari la domandava. Ciò che ella praticava era piuttosto il consultare senza nuova rivelazione la luce abituale e soprannaturale dello Spirito Santo, che la guidava ed indirizzava in tutte le sue azioni; sollevando qui la vista interiore, conosceva in essa la maggiore perfezione e santità nelle opere e nelle azioni comuni. Sebbene, infatti, sia vero che la Regina del cielo aveva diverse ragioni e come speciale diritto di chiedere al Signore in qualsiasi modo quale fosse la sua volontà, tuttavia, poiché era esempio di santità e discrezione, non si valeva di questo potere se non nei casi in cui così conveniva. Negli altri si regolava adempiendo letteralmente ciò che disse Davide: Come gli occhi della schiava, alla mano della sua padrona, così i nostri occhi sono rivolti al Signore nostro Dio, finché abbia pietà di noia. Questa luce ordinaria, però, nella Signora del mondo era maggiore che in tutti i mortali presi insieme; e, attraverso di essa, la volontà divina domandava il suo «fiat».

516. Il mistero della circoncisione era particolare ed unico; esso richiedeva, perciò, un'illuminazione speciale del Signore, che la prudente Madre attendeva nel tempo opportuno. Intanto, interpellando la legge, che la ordinava, diceva fra sé: «O legge comune, sei retta e santa, ma molto dura per il mio cuore, se lo devi ferire in colui che ne è la vita ed il vero Signore! Che tu sia inflessibile per purificare dalla colpa chi ne è infetto, è giusto; ma che tu debba usare la tua forza sull'innocente senza macchia sembra eccesso di rigore, se non ti sostiene il suo amore! Oh, se piacesse al mio diletto evitare questa prova! Ma come la ricuserà chi viene a cercare le pene, ad abbracciare la croce e ad adempiere e portare a compimento la legge? O strumento crudele, quanto meglio faresti se scaricassi il colpo sulla mia vita e non sul Signore che me l'ha data! Figlio mio, dolce amore e luce della mia anima, com'è possibile che così presto spargiate quel sangue che vale più del cielo e della terra? Il mio tormento di amore mi spinge ad evitare il vostro e ad esimervi dalla legge comune, che come suo autore non vi comprende. Il desiderio di adempiere questa legge, però, mi obbliga a consegnarvi al suo rigore, se voi, dolce mia vita, non commutate la vostra pena nella mia, disponendo che la patisca io al vostro posto. Vi ho dato io, Signore mio, la natura umana di Adamo, ma senza macchia di colpa; per questo la vostra onnipotenza mi ha dispensata dalla comune legge di contrarla. In quanto poi siete Figlio dell'eterno Padre ed impronta della sua sostanza per l'eterna generazione, siete infinitamente distante dal peccato. Come dunque, Signore mio, volete assoggettarvi alla legge della sua riparazione? Eppure io vedo, Figlio mio, che, essendo voi maestro e redentore degli uomini, dovete confermare l'insegnamento con l'esempio e non perderete neppure un iota o un segno in questo. O eterno Padre, se è possibile, adesso il coltello perda il suo acume e la carne la sua sensibilità. Tutto il dolore si riversi su questo vile vermiciattolo. Il vostro Figlio unigenito adempia la legge, ma sia io sola a sentire la dolorosa pena di essa. O crudele ed inumana colpa, che così presto eserciti la tua asprezza su chi non ti ha potuto commettere! O figli di Adamo, aborrite e temete il peccato, poiché per suo rimedio è necessario che sparga sangue e patisca lo stesso Dio e Signore».

517. La pietosa Madre univa questo dolore alla gioia di vedere nato, e tra le sue braccia, l'Unigenito del Padre. Così passò i giorni che trascorsero fino alla circoncisione. Era partecipe di tale dolore il castissimo sposo Giuseppe, perché solo con lui parlò del mistero, sebbene le parole fossero poche per la compassione e per le lacrime di entrambi. Prima che fossero compiuti gli otto giorni dalla nascita, però, la prudentissima Regina, alla presenza del Signore, parlò con sua Maestà del suo dubbio e gli disse: «Altissimo re, Padre del mio Signore, ecco la vostra schiava con il vero sacrificio e con la vera ostia tra le mani. Il mio gemito e la sua causa non sono nascosti alla vostra sapienza. Fatemi conoscere, Signore, la vostra volontà divina in ordine a ciò che devo fare con il Figlio vostro e mio, per adempiere la legge. Se, patendo io i dolori derivanti dalla sua durezza ed anche altri maggiori, posso riscattare il mio dolcissimo bambino e Dio vero, ecco il mio cuore pronto ad abbracciarli; ed eccolo ugualmente disposto a non risparmiarlo, se per vostra volontà deve essere circonciso».

518. L'Altissimo le rispose: «Figlia e colomba mia, non si affligga il tuo cuore perché devi sottoporre tuo Figlio al coltello ed al dolore della circoncisione, poiché io l'ho inviato al mondo per dare ad esso esempio e per mettere fine alla legge di Mosè adempiendola interamente. Se l'abito dell'umanità, che tu gli hai dato come madre, deve essere rotto con la ferita della sua carne e nel tempo stesso della tua anima, egli soffre anche nell'onore, essendo Figlio mio per eterna generazione, impronta della mia sostanza, uguale a me in natura, maestà e gloria; io, infatti, lo sottopongo alla legge ed al mistero che toglie il peccato, senza manifestare agli uomini che egli non ha né può avere colpa. Già sai, figlia mia, che per questa e per altre tribolazioni maggiori mi devi consegnare il tuo e mio Unigenito. Lascia, dunque, che sparga il suo sangue e mi dia le primizie della salvezza eterna degli uomini».

519. La divina Signora si conformò a questo decreto dell'eterno Padre, come collaboratrice della nostra salvezza, con tale pienezza di santità che non può essere spiegata con ragionamento umano. Gli offrì subito con rassegnata ubbidienza e con ardentissimo amore il suo Figlio unigenito e disse: «Signore e Dio altissimo, vi offro la vittima e l'ostia del sacrificio a voi gradito insieme a tutto il mio cuore, benché pieno di compassione e di dolore nel considerare come gli uomini abbiano offeso la vostra bontà infinita a tal punto da rendere necessario che ne sia data soddisfazione da una persona che sia Dio. Eternamente vi lodo, perché guardate la creatura con infinito amore, non risparmiando il vostro medesimo Figlio per redimerla. Io, che per vostra degnazione sono Madre sua, devo più di tutti i mortali e delle altre creature abbandonarmi alla vostra volontà; così, vi offro il mansuetissimo Agnello che deve togliere i peccati dal mondo con la sua innocenza. Se, però, è possibile che l'acume di questo coltello si moderi sul mio dolce bambino aumentando nel mio cuore, il vostro braccio può operare ciò».

520. Maria santissima uscì da questa preghiera e, senza manifestare a san Giuseppe ciò che in essa aveva inteso, con rara prudenza e con parole dolcissime lo preparò a disporre la circoncisione del bambino Dio. Come consultandolo e domandando il suo parere, gli disse che, avvicinandosi già il tempo stabilito dalla legge per la circoncisione` del divino neonato, sembrava necessario eseguirla, perché non avevano ordine di fare il contrario. Aggiunse che entrambi dovevano all'Altissimo più che tutte le creature insieme e, perciò, erano tenuti ad essere più puntuali nell'adempiere i suoi precetti, più disposti nel patire per suo amore in riconoscenza di un debito tanto incomparabile e più solleciti nel servire il suo Figlio santissimo, conformandosi in tutto al suo divino beneplacito. A queste ragioni il santissimo sposo rispose con somma venerazione e grande sapienza, dicendo che, non avendo saputo niente in contrario dal Signore, si conformava in tutto alla volontà divina manifestata con la legge comune e che il Verbo incarnato, sebbene come Dio non fosse soggetto alla legge, essendo vestito dell'umanità ed in tutto perfettissimo maestro e redentore, avrebbe gradito adempierla come gli altri uomini. Poi, domandò alla sua Sposa divina come le piaceva eseguire la circoncisione.

521. Maria santissima rispose che, adempiendosi la legge nella sostanza, le sembrava che tutto dovesse avvenire come per la circoncisione degli altri bambini. Ella non doveva, però, lasciare e consegnare il Figlio ad un'altra persona; l'avrebbe portato e tenuto tra le sue braccia. Poiché la costituzione e la delicatezza del bambino Dio gli avrebbero fatto sentire il dolore più degli altri circoncisi, era conveniente che fosse preparata la medicina che si applicava solitamente alla ferita negli altri bambini. Inoltre, pregò san Giuseppe di procurarle subito una piccola caraffa di cristallo o di vetro in cui riporre la sacra reliquia della circoncisione del bambino Dio per conservarla presso di sé. Intanto, l'accorta Madre preparò i panni dove far cadere il sangue, che doveva cominciare ad essere versato in prezzo del nostro riscatto, in modo che non ne andasse perduta neppure una goccia e che ancora non se ne spargesse sulla terra. Preparato tutto ciò, là divina Signora dispose che san Giuseppe avvisasse e pregasse il sacerdote di venire alla grotta, affinché il bambino non uscisse di là e la circoncisione si effettuasse per mano di un ministro più conveniente e più degno di così grande ed arcano mistero.

522. Nel medesimo tempo Maria santissima e san Giuseppe parlarono del nome che dovevano imporre al bambino Dio nella circoncisione. Il santo sposo disse: «Signora mia, quando l'angelo dell'Altissimo mi rivelò questo grande mistero, mi ordinò anche che chiamassimo Gesù il vostro sacro Figlio». Rispose la vergine Madre: «Dichiarò lo stesso nome a me, quando il Verbo eterno prese carne nel mio grembo. Poiché abbiamo saputo il nome dalla bocca dell'Altissimo per mezzo degli angeli suoi ministri, è giusto che con umile riverenza veneriamo gli occulti ed imperscrutabili giudizi della sua sapienza infinita in questo santo nome e che il mio figlio e Signore si chiami Gesù. Lo indicheremo al sacerdote, affinché annoti questo nome divino nel registro degli altri bambini circoncisi».

523. Mentre la gloriosa Signora del cielo e san Giuseppe stavano in questa conversazione, scesero dalle altezze innumerevoli angeli in forma umana, con vesti bianche e risplendenti, nelle quali si scoprivano certi ricami color carne, di ammirabile bellezza. Portavano palme nelle mani e corone sulla testa, ciascuna delle quali emetteva raggi più vividi che molti soli; in comparazione con la bellezza di quei santi principi tutto ciò che è visibile e leggiadro nella natura sembra bruttezza. Ma ciò che più risaltava nella loro bellezza era uno stemma sul petto, che pareva scolpito o incastonato in esso, con sopra un cristallo, nel quale ognuno portava scritto il nome dolcissimo di Gesù; la fulgida luce di questo, che vibrava da ciascuno stemma, vinceva quella di tutti gli angeli insieme. Così, lo spettacolo di tanta moltitudine veniva ad essere così raro e singolare che non si può spiegare con parole né immaginare. Questi santi angeli si divisero in due cori nella grotta, contemplando tutti il loro re e Signore tra le braccia verginali della felicissima Madre. Venivano come capi di questo esercito i due grandi principi san Michele e san Gabriele, più risplendenti degli altri angeli, a preferenza dei quali portavano tra le mani il nome santissimo di Gesù, scritto con lettere più grandi e come in alcuni piccoli scudi di incomparabile splendore e bellezza.

524. I due principi si presentarono singolarmente alla loro Regina e le dissero: «Signora, questo è il nome di vostro Figlio, che sta scritto nella mente di Dio da tutta l'eternità; la beatissima Trinità lo ha dato al vostro unigenito e Signore nostro con la potestà di salvare il genere umano. Lo colloca sulla sede e sul trono di Davide: egli regnerà su di esso, castigherà i suoi nemici, trionfando su di loro li umilierà sino a porli a sgabello dei suoi piedi e giudicando con giustizia innalzerà i suoi amici per collocarli nella gloria alla sua destra. Tutto questo, però, deve essere operato a costo di tribolazioni e di sangue; ora lo spargerà con questo nome, perché è nome di salvatore e redentore, e queste saranno le primizie di ciò che dovrà patire per ubbidire al suo eterno Padre. Tutti noi ministri e spiriti dell'Altissimo, che qui veniamo, siamo inviati e destinati dalla santissima Trinità per servire l'Unigenito del Padre e vostro, per assistere personalmente a tutti i misteri della legge di grazia e per accompagnarlo ed aiutarlo finché salga trionfante alla Gerusalemme celeste, aprendone le porte al genere umano; dopo ciò lo godremo con speciale gloria accidentale più degli altri beati, ai quali non è stato dato questo felicissimo incarico». Il fortunatissimo sposo san Giuseppe vide ed intese tutto ciò insieme alla Regina del cielo, ma la comprensione non fu uguale in entrambi. La Madre della sapienza penetrò altissimi misteri della redenzione; san Giuseppe ne conobbe molti, ma non come la sua divina sposa. Peraltro, entrambi furono ripieni di giubilo e meraviglia e con muovi cantici glorificarono il Signore. Quello, poi, che avvenne loro in vari ed ammirabili eventi, non è possibile esprimerlo a parole e non troverei termini per manifestare il mio pensiero.

 

Insegnamento che mi diede la Regina del cielo

 

525. Figlia mia, voglio rinnovare in te l'insegnamento e la luce che hai ricevuto per trattare con sommo onore il tuo Signore e sposo, perché l'umiltà ed il timore riverenziale devono crescere nelle anime nella misura in cui ricevono favori più particolari e straordinari. Poiché molte di esse non hanno tale conoscenza, alcune si rendono indegne o incapaci di grandi benefici. Altre, che li ricevono, finiscono per incorrere in una pericolosa grossolanità, che molto offende il Signore; infatti, per la soavità dolce ed amorevole con la quale spesso concede loro grazie e le accarezza, tendono ad assumere un atteggiamento audace e puerilmente presuntuoso, trattando la Maestà infinita sen za la riverenza che le devono, e cominciano ad investigare con vana curiosità per vie soprannaturali ciò che è superiore al loro intelletto e non conviene loro sapere. Questo ardire nasce dal giudicare ed esercitare con ignoranza terrena un rapporto familiare con Dio, parendo loro che questo debba essere come quello che una creatura umana suole tenere con un'altra uguale a sé.

526. In questo giudizio, però, l'anima s'inganna molto, misurando il rispetto che si deve alla Maestà infinita con la familiarità e con la confidenza che l'amore umano produce tra i mortali. Nelle creature razionali la natura è uguale, benché le qualità siano differenti; con l'amore e con l'amicizia può essere dimenticata la differenza che le fa disuguali, poiché entrambi conferiscono ai rapporti umani un tratto di assoluta familiarità. L'amore per Dio, però, non deve mai dimenticare l'eccellenza inestimabile dell'oggetto infinito, perché, se esso guarda alla bontà immensa e perciò non ha misura che lo limiti, tuttavia la riverenza guarda alla maestà dell'essere divino. Come in Dio sono inseparabili la bontà e la maestà, così nella creatura non si deve separare la riverenza dall'amore. Deve sempre precedere la luce della fede divina, che manifesta all'amante l'essenza dell'oggetto da lui amato; tale luce deve risvegliare e fomentare il timore riverenziale e dare peso e misura agli affetti disuguali, che l'amore cieco e sconsiderato suole generare, quando opera senza ricordarsi dell'eccellenza e della disuguaglianza dell'amato.

527. Quando la creatura è di cuore grande ed è esercitata nel timore santo, non corre questo pericolo di dimenticarsi della riverenza dovuta all'Altissimo per la frequenza dei favori, benché siano grandi, perché non si abbandona tutta incautamente ai piaceri spirituali, né per essi perde la prudente attenzione alla suprema Maestà; anzi, la rispetta e venera tanto più quanto più la ama e conosce. Con queste anime il Signore tratta come un amico fa con un altro. Sia dunque regola inviolabile per te, figlia mia, quando godrai dei più stretti abbracci e favori dell'Altissimo, quella di stare tanto più attenta a rispettare la grandezza del suo essere infinito ed immutabile, ed a magnificarlo ed amarlo al tempo stesso. Ora, sapendo questo, conoscerai e pondererai meglio il beneficio che ricevi e non incorrerai nel pericolo e nell'audacia di quelli che con curiosa leggerezza vogliono in qualsiasi incontro, piccolo o grande, ricercare e domandare il segreto del Signore. Essi vorrebbero che la sua prudentissima provvidenza si volgesse con attenzione alla vana curiosità che li muove con qualche passione disordinata, nata non da zelo ed amore santo, ma da affetti umani e riprensibili.

528. Considera in rapporto a questo la prudenza con la quale io operavo e che mi tratteneva nei miei dubbi, anche se nel trovare grazia agli occhi del Signore nessuna creatura può uguagliarmi. Eppure, nonostante ciò e sebbene io tenessi tra le mie braccia lo stesso Dio e fossi sua vera madre, non gli chiesi mai che mi dichiarasse cosa alcuna in modo straordinario, né per saperla, né per alleggerirmi di qualche pena, né per altro fine umano; tutto ciò, infatti, sarebbe stato fragilità naturale, curiosità vana o vizio riprensibile e niente di questo poteva avere luogo in me. Quando, però, la necessità mi obbligava per la gloria del Signore o l'occasione era inevitabile, prima chiedevo a sua Maestà licenza di proporgli il mio desiderio. Sebbene si mostrasse sempre molto propizio e mi rispondesse con grande amorevolezza domandandomi che cosa volessi dalla sua misericordia, io mi annientavo ed umiliavo sino alla polvere e chiedevo solo che m'insegnasse ciò che era più gradito ai suoi occhi.

529. Figlia mia, scrivi nel tuo cuore questo insegnamento e bada di non volere mai indagare né sapere con desiderio disordinato e curioso cosa alcuna superiore alla ragione umana. Il Signore infatti non risponde a tale insipienza e, inoltre, il demonio sta assai attento a questo vizio nelle persone che conducono una vita spirituale. Come ordinariamente è lui l'autore di questa viziosa curiosità e la suscita con la sua astuzia, così con questa stessa suole rispondere mascherato da angelo di luce; ingannando gli imperfetti e gli incauti. Anche quando tali domande fossero suscitate solo dall'inclinazione naturale, non per questo si dovranno porre o si dovrà darsene pensiero; in un'attività così alta come il rapporto con il Signore, infatti, non si deve seguire il dettame della ragione mossa dalle sue passioni, poiché la natura infetta e depravata per il peccato si trova molto disordinata ed incline a movimenti privi di accordo e misura, che non è giusto ascoltare o avere come regola. Neppure per alleggerirsi dalle pene e dalle tribolazioni la creatura deve ricorrere alle rivelazioni divine. La sposa di Cristo ed il vero suo servo, infatti, non devono usare i suoi favori per fuggire dalla croce, ma per cercarla e portarla con lui e per abbandonarsi, quanto a quella che darà loro, alla sua divina disposizione. Io voglio da te tutto questo, moderando il tuo timore e piegandoti maggiormente verso l'estremo dell'amore, per allontanarti dal contrario. Da oggi in poi voglio che tu perfezioni le ragioni che ti muovono, operando in tutto per amore, che è la motivazione più perfetta. Questo non ha limitazione né modo; perciò, voglio che tu ami con eccesso e tema con moderazione quanto basti a non infrangere la legge dell'Altissimo ed a regolare con rettitudine tutte le tue azioni interiori ed esteriori. Sii in ciò diligente e sollecita, anche se ti costa molta tribolazione e pena, poiché io l'ho sofferta nel circoncidere il mio Figlio santissimo. L'ho fatto perché nelle leggi sante ci veniva dichiarata ed intimata la volontà del Signore, a cui in tutto e per tutto dobbiamo ubbidire.


25-28 Marzo 3, 1929 Come la Divina Volontà sta sempre in atto di rinnovare ciò che fece nella creazione dell’uomo. E come Essa contiene la virtù affascinante.

Luisa Piccarreta (Libro di Cielo)

(1) Stavo continuando il mio giro nel Fiat Divino, e soffermandomi nell’eden, stavo adorando la Volontà Suprema nell’atto di creare l’uomo, per unirmi a quell’unione di volontà che esisteva tra Creatore e creatura quando fu creata. Ed il mio sommo bene Gesù, movendosi nel mio interno mi ha detto:

(2) “Figlia mia, la creazione dell’uomo fu l’atto più bello, più solenne di tutta la Creazione. Nella pienezza della foga del nostro amore creante, il nostro Fiat creava in Adamo tutte le altre creature, e vi rimaneva in atto sempre di creare e di rinnovare su ciascuna creatura ciò che facemmo sul primo uomo. Perché tutti i suoi discendenti, da lui dovevano avere l’origine. E perciò il nostro Voler Divino prendeva l’impegno, che come le creature uscivano alla luce, di rinnovare i nostri sbocchi d’amore, di mettere fuori tutte le nostre qualità divine e di fare nuovi sfoggi di bellezze, di grazie, di santità, d’amore sopra ciascuna di esse. Sicché ogni creatura doveva essere una nuova festa per Noi, la ben uscita, la ben venuta e la felice accresciuta nella famiglia celeste. Oh! come il nostro Fiat Divino gioì nel mettersi in atto di dover dare sempre alla creatura e di rinnovare la magnificenza, la sublimità e l’insuperabile maestria che doveva avere sopra di ciascuna creatura. E siccome Adamo uscì dal nostro Voler Divino, i discendenti perdettero la via di venire al primo atto della creazione dell’uomo, e per quanto il nostro Voler Divino non ha smesso, perché Noi quando decidiamo di fare un’atto non c’è chi ci sposti, quindi sta sempre in atto di rinnovare i prodigi della Creazione, e ad onta di ciò non trova sopra di chi rinnovarli, e aspetta con una fermezza e pazienza divina che la creatura ritorni nel suo Volere per poter rinnovare il suo atto, sempre in atto di poter ripetere ciò che fece nella creazione dell’uomo. E per quanto aspetta tutti, trova solo la sua piccola figlia, la neonata del mio Voler Divino, che ogni giorno entra nel primo atto della creazione dell’uomo, quando il nostro Essere Divino fece sfoggio di tutte le nostre qualità divine, per fare dell’uomo il piccolo re ed il nostro figlio inseparabile, abbellendolo delle nostre divise divine, per fare che tutti lo conoscessero come il più grande portento del nostro amore. Figlia mia, se tu sapessi con quanto amore ti aspetta, che ogni giorno tu faccia la tua piccola visitina in quell’eden dove il nostro Fiat, preso da impeto d’amore si atteggiò a festa per creare l’uomo, oh! quanti atti ripresi tiene in sé, quanti sospiri d’amore soffocati, quante gioie contenute, quante bellezze rinchiuse in sé, perché non vi è chi entri in questo suo atto creante per prendere i beni inauditi che vuol dare, e vedendo te che nel suo stesso Voler Divino tieni la via per giungere nell’atto della creazione dell’uomo, oh! come gioisce e si sente tirato come da calamita potente a farsi conoscere dalle creature, affinché facendo regnare la mia Divina Volontà in mezzo a loro, trovino la via per giungere al primo atto della creazione dell’uomo, per non tenere più ripresi in sé i beni che vuol dare alle creature. Oh! se sapessero le creature quanti nuovi atti creanti, uno più bello dell’altro, sta per creare e uscire da sé il mio Fiat Divino per versarli su ciascuna di esse, oh! come si affretterebbero d’entrare nel mio Voler Divino per ricominciare la loro vita in Esso e ricevere i suoi beni infiniti”.

(3) Onde seguivo il santo Voler Divino e pensavo tra me: “Sarà proprio vero che io posseggo questo Fiat sì santo? E’ vero che mi sento che non so volere né desiderare altro, e come un mare rigurgita dentro e fuori di me, che tutta mi involge in questo Fiat Divino e tutte le altre cose me le sento che non mi appartengono, ma chi sa se davvero lo posseggo?” Ma mentre ciò pensavo il mio amato Gesù ha soggiunto:

(4) “Figlia mia, il segno se un’anima possiede il mio Volere è sentirsi dominante di sé stessa, in modo che le sue passioni non ardiscono di muoversi, innanzi alla luce del mio Fiat si sentono impotenti d’agire, come se non avessero vita, perché la potenza e santità del mio Volere tutto atterra, e vi stende sulle stesse miserie dell’umana volontà la sua luce, la sua santità e le più belle fioriture, in modo che converte mirabilmente le stesse miserie in terra feconda e benedetta, che non più sa produrre spine ma fiori celesti, frutti dolci e maturi. Ed è tanto il dominio di questa fortunata creatura, che si sente proprietaria di Dio stesso, delle creature e di tutte le cose create; tiene una virtù affascinante, che chi ha il bene di conoscerla, si sente talmente avvinta, che non può starsene lontano. E’ la potenza del mio Fiat, che rinchiusa dentro di lei affascina Dio e si sente felice di starsi rinchiuso in lei; affascina le creature, perché sentono il profumo balsamico del mio Fiat Divino che porta nei loro cuori la pace vera ed il vero bene. Che non farebbero alcuni per avere una parola da te, che come vita scenda nei loro cuori? Perciò sii attenta e segui sempre il tuo volo nella mia Divina Volontà”.