Liturgia delle Ore - Letture
Lunedi della 23° settimana del tempo ordinario (Natività Beata Vergine Maria)
Vangelo secondo Giovanni 8
1Gesù si avviò allora verso il monte degli Ulivi.2Ma all'alba si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da lui ed egli, sedutosi, li ammaestrava.3Allora gli scribi e i farisei gli conducono una donna sorpresa in adulterio e, postala nel mezzo,4gli dicono: "Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio.5Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?".6Questo dicevano per metterlo alla prova e per avere di che accusarlo. Ma Gesù, chinatosi, si mise a scrivere col dito per terra.7E siccome insistevano nell'interrogarlo, alzò il capo e disse loro: "Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei".8E chinatosi di nuovo, scriveva per terra.9Ma quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani fino agli ultimi.
Rimase solo Gesù con la donna là in mezzo.10Alzatosi allora Gesù le disse: "Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?".11Ed essa rispose: "Nessuno, Signore". E Gesù le disse: "Neanch'io ti condanno; va' e d'ora in poi non peccare più".
12Di nuovo Gesù parlò loro: "Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita".
13Gli dissero allora i farisei: "Tu dai testimonianza di te stesso; la tua testimonianza non è vera".14Gesù rispose: "Anche se io rendo testimonianza di me stesso, la mia testimonianza è vera, perché so da dove vengo e dove vado. Voi invece non sapete da dove vengo o dove vado.15Voi giudicate secondo la carne; io non giudico nessuno.16E anche se giudico, il mio giudizio è vero, perché non sono solo, ma io e il Padre che mi ha mandato.17Nella vostra Legge sta scritto che la testimonianza di due persone è vera:18orbene, sono io che do testimonianza di me stesso, ma anche il Padre, che mi ha mandato, mi dà testimonianza".19Gli dissero allora: "Dov'è tuo padre?". Rispose Gesù: "Voi non conoscete né me né il Padre; se conosceste me, conoscereste anche il Padre mio".20Queste parole Gesù le pronunziò nel luogo del tesoro mentre insegnava nel tempio. E nessuno lo arrestò, perché non era ancora giunta la sua ora.
21Di nuovo Gesù disse loro: "Io vado e voi mi cercherete, ma morirete nel vostro peccato. Dove vado io, voi non potete venire".22Dicevano allora i Giudei: "Forse si ucciderà, dal momento che dice: Dove vado io, voi non potete venire?".23E diceva loro: "Voi siete di quaggiù, io sono di lassù; voi siete di questo mondo, io non sono di questo mondo.24Vi ho detto che morirete nei vostri peccati; se infatti non credete che io sono, morirete nei vostri peccati".25Gli dissero allora: "Tu chi sei?". Gesù disse loro: "Proprio ciò che vi dico.26Avrei molte cose da dire e da giudicare sul vostro conto; ma colui che mi ha mandato è veritiero, ed io dico al mondo le cose che ho udito da lui".27Non capirono che egli parlava loro del Padre.28Disse allora Gesù: "Quando avrete innalzato il Figlio dell'uomo, allora saprete che Io Sono e non faccio nulla da me stesso, ma come mi ha insegnato il Padre, così io parlo.29Colui che mi ha mandato è con me e non mi ha lasciato solo perché io faccio sempre le cose che gli sono gradite".30A queste sue parole, molti credettero in lui.
31Gesù allora disse a quei Giudei che avevano creduto in lui: "Se rimanete fedeli alla mia parola, sarete davvero miei discepoli;32conoscerete la verità e la verità vi farà liberi".33Gli risposero: "Noi siamo discendenza di Abramo e non siamo mai stati schiavi di nessuno. Come puoi tu dire: Diventerete liberi?".34Gesù rispose: "In verità, in verità vi dico: chiunque commette il peccato è schiavo del peccato.35Ora lo schiavo non resta per sempre nella casa, ma il figlio vi resta sempre;36se dunque il Figlio vi farà liberi, sarete liberi davvero.37So che siete discendenza di Abramo. Ma intanto cercate di uccidermi perché la mia parola non trova posto in voi.38Io dico quello che ho visto presso il Padre; anche voi dunque fate quello che avete ascoltato dal padre vostro!".39Gli risposero: "Il nostro padre è Abramo". Rispose Gesù: "Se siete figli di Abramo, fate le opere di Abramo!40Ora invece cercate di uccidere me, che vi ho detto la verità udita da Dio; questo, Abramo non l'ha fatto.41Voi fate le opere del padre vostro". Gli risposero: "Noi non siamo nati da prostituzione, noi abbiamo un solo Padre, Dio!".42Disse loro Gesù: "Se Dio fosse vostro Padre, certo mi amereste, perché da Dio sono uscito e vengo; non sono venuto da me stesso, ma lui mi ha mandato.43Perché non comprendete il mio linguaggio? Perché non potete dare ascolto alle mie parole,44voi che avete per padre il diavolo, e volete compiere i desideri del padre vostro. Egli è stato omicida fin da principio e non ha perseverato nella verità, perché non vi è verità in lui. Quando dice il falso, parla del suo, perché è menzognero e padre della menzogna.45A me, invece, voi non credete, perché dico la verità.46Chi di voi può convincermi di peccato? Se dico la verità, perché non mi credete?47Chi è da Dio ascolta le parole di Dio: per questo voi non le ascoltate, perché non siete da Dio".
48Gli risposero i Giudei: "Non diciamo con ragione noi che sei un Samaritano e hai un demonio?".49Rispose Gesù: "Io non ho un demonio, ma onoro il Padre mio e voi mi disonorate.50Io non cerco la mia gloria; vi è chi la cerca e giudica.51In verità, in verità vi dico: se uno osserva la mia parola, non vedrà mai la morte".52Gli dissero i Giudei: "Ora sappiamo che hai un demonio. Abramo è morto, come anche i profeti, e tu dici: "Chi osserva la mia parola non conoscerà mai la morte".53Sei tu più grande del nostro padre Abramo, che è morto? Anche i profeti sono morti; chi pretendi di essere?".54Rispose Gesù: "Se io glorificassi me stesso, la mia gloria non sarebbe nulla; chi mi glorifica è il Padre mio, del quale voi dite: "È nostro Dio!",55e non lo conoscete. Io invece lo conosco. E se dicessi che non lo conosco, sarei come voi, un mentitore; ma lo conosco e osservo la sua parola.56Abramo, vostro padre, esultò nella speranza di vedere il mio giorno; lo vide e se ne rallegrò".57Gli dissero allora i Giudei: "Non hai ancora cinquant'anni e hai visto Abramo?".58Rispose loro Gesù: "In verità, in verità vi dico: prima che Abramo fosse, Io Sono".59Allora raccolsero pietre per scagliarle contro di lui; ma Gesù si nascose e uscì dal tempio.
Numeri 19
1Il Signore disse ancora a Mosè e ad Aronne:2"Questa è una disposizione della legge che il Signore ha prescritta: Ordina agli Israeliti che ti portino una giovenca rossa, senza macchia, senza difetti, e che non abbia mai portato il giogo.3La darete al sacerdote Eleazaro, che la condurrà fuori del campo e la farà immolare in sua presenza.4Il sacerdote Eleazaro prenderà con il dito il sangue della giovenca e ne farà sette volte l'aspersione davanti alla tenda del convegno;5poi si brucerà la giovenca sotto i suoi occhi; se ne brucerà la pelle, la carne e il sangue con gli escrementi.6Il sacerdote prenderà legno di cedro, issòpo, colore scarlatto e getterà tutto nel fuoco che consuma la giovenca.7Poi il sacerdote laverà le sue vesti e farà un bagno al suo corpo nell'acqua; quindi rientrerà nel campo e il sacerdote rimarrà in stato d'immondezza fino alla sera.8Colui che avrà bruciato la giovenca si laverà le vesti nell'acqua, farà un bagno al suo corpo nell'acqua e sarà immondo fino alla sera.9Un uomo mondo raccoglierà le ceneri della giovenca e le depositerà fuori del campo in luogo mondo, dove saranno conservate per la comunità degli Israeliti per l'acqua di purificazione: è un rito espiatorio.10Colui che avrà raccolto le ceneri della giovenca si laverà le vesti e sarà immondo fino alla sera. Questa sarà una legge perenne per gli Israeliti e per lo straniero che soggiornerà presso di loro.
11Chi avrà toccato un cadavere umano sarà immondo per sette giorni.12Quando uno si sarà purificato con quell'acqua il terzo e il settimo giorno, sarà mondo; ma se non si purifica il terzo e il settimo giorno, non sarà mondo.13Chiunque avrà toccato un cadavere, cioè il corpo di una persona umana morta, e non si sarà purificato, avrà profanato la Dimora del Signore e sarà sterminato da Israele. Siccome l'acqua di purificazione non è stata spruzzata su di lui, egli è in stato di immondezza; ha ancora addosso l'immondezza.
14Questa è la legge per quando un uomo muore in una tenda: chiunque entrerà nella tenda e chiunque sarà nella tenda sarà immondo per sette giorni.15Ogni vaso scoperto, sul quale non sia un coperchio o una legatura, sarà immondo.16Chiunque per i campi avrà toccato un uomo ucciso di spada o morto di morte naturale o un osso d'uomo o un sepolcro sarà immondo per sette giorni.
17Per colui che sarà divenuto immondo si prenderà la cenere della vittima bruciata per l'espiazione e vi si verserà sopra l'acqua viva, in un vaso;18poi un uomo mondo prenderà issòpo, lo intingerà nell'acqua e ne spruzzerà la tenda, tutti gli arredi e tutte le persone che vi stanno e colui che ha toccato l'osso o l'ucciso o chi è morto di morte naturale o il sepolcro.19L'uomo mondo spruzzerà l'immondo il terzo giorno e il settimo giorno e lo purificherà il settimo giorno; poi colui che è stato immondo si sciacquerà le vesti, si laverà con l'acqua e diventerà mondo alla sera.20Ma colui che, divenuto immondo, non si purificherà, sarà eliminato dalla comunità, perché ha contaminato il santuario del Signore e l'acqua della purificazione non è stata spruzzata su di lui; è immondo.21Sarà per loro una legge perenne. Colui che avrà spruzzato l'acqua di purificazione si laverà le vesti; chi avrà toccato l'acqua di purificazione sarà immondo fino alla sera.22Quanto l'immondo avrà toccato sarà immondo; chi lo avrà toccato sarà immondo fino alla sera".
Siracide 49
1Il ricordo di Giosia è una mistura di incenso,
preparata dall'arte del profumiere.
In ogni bocca è dolce come il miele,
come musica in un banchetto.
2Egli si dedicò alla riforma del popolo
e sradicò i segni abominevoli dell'empietà.
3Diresse il suo cuore verso il Signore,
in un'epoca di iniqui riaffermò la pietà.
4Se si eccettuano Davide, Ezechia e Giosia,
tutti commisero peccati;
poiché avevano abbandonato la legge dell'Altissimo,
i re di Giuda scomparvero.
5Lasciarono infatti la loro potenza ad altri,
la loro gloria a una nazione straniera.
6I nemici incendiarono l'eletta città del santuario,
resero deserte le sue strade,
7secondo la parola di Geremia, che essi maltrattarono
benché fosse stato consacrato profeta nel seno materno,
per estirpare, distruggere e mandare in rovina,
ma anche per costruire e piantare.
8Ezechiele contemplò una visione di gloria,
che Dio gli mostrò sul carro dei cherubini.
9Si ricordò dei nemici nel vaticinio dell'uragano,
beneficò quanti camminavano nella retta via.
10Le ossa dei dodici profeti rifioriscano dalle loro
tombe,
poiché essi consolarono Giacobbe,
lo riscattarono con una speranza fiduciosa.
11Come elogiare Zorobabele?
Egli è come un sigillo nella mano destra.
12Così anche Giosuè figlio di Iozedèk;
essi nei loro giorni riedificarono il tempio
ed elevarono al Signore un tempio santo,
destinato a una gloria eterna.
13Anche la memoria di Neemia durerà a lungo;
egli rialzò le nostre mura demolite
e vi pose porte e sbarre; fece risorgere le nostre case.
14Nessuno fu creato sulla terra eguale a Enoch;
difatti egli fu rapito dalla terra.
15Non nacque un altro uomo come Giuseppe,
capo dei fratelli, sostegno del popolo;
perfino le sue ossa furono onorate.
16Sem e Set furono glorificati fra gli uomini,
ma superiore a ogni creatura vivente è Adamo.
Salmi 69
1'Al maestro del coro. Su "I gigli". Di Davide.'
2Salvami, o Dio:
l'acqua mi giunge alla gola.
3Affondo nel fango e non ho sostegno;
sono caduto in acque profonde
e l'onda mi travolge.
4Sono sfinito dal gridare,
riarse sono le mie fauci;
i miei occhi si consumano
nell'attesa del mio Dio.
5Più numerosi dei capelli del mio capo
sono coloro che mi odiano senza ragione.
Sono potenti i nemici che mi calunniano:
quanto non ho rubato, lo dovrei restituire?
6Dio, tu conosci la mia stoltezza
e le mie colpe non ti sono nascoste.
7Chi spera in te, a causa mia non sia confuso,
Signore, Dio degli eserciti;
per me non si vergogni
chi ti cerca, Dio d'Israele.
8Per te io sopporto l'insulto
e la vergogna mi copre la faccia;
9sono un estraneo per i miei fratelli,
un forestiero per i figli di mia madre.
10Poiché mi divora lo zelo per la tua casa,
ricadono su di me gli oltraggi di chi ti insulta.
11Mi sono estenuato nel digiuno
ed è stata per me un'infamia.
12Ho indossato come vestito un sacco
e sono diventato il loro scherno.
13Sparlavano di me quanti sedevano alla porta,
gli ubriachi mi dileggiavano.
14Ma io innalzo a te la mia preghiera,
Signore, nel tempo della benevolenza;
per la grandezza della tua bontà, rispondimi,
per la fedeltà della tua salvezza, o Dio.
15Salvami dal fango, che io non affondi,
liberami dai miei nemici
e dalle acque profonde.
16Non mi sommergano i flutti delle acque
e il vortice non mi travolga,
l'abisso non chiuda su di me la sua bocca.
17Rispondimi, Signore, benefica è la tua grazia;
volgiti a me nella tua grande tenerezza.
18Non nascondere il volto al tuo servo,
sono in pericolo: presto, rispondimi.
19Avvicinati a me, riscattami,
salvami dai miei nemici.
20Tu conosci la mia infamia,
la mia vergogna e il mio disonore;
davanti a te sono tutti i miei nemici.
21L'insulto ha spezzato il mio cuore e vengo meno.
Ho atteso compassione, ma invano,
consolatori, ma non ne ho trovati.
22Hanno messo nel mio cibo veleno
e quando avevo sete mi hanno dato aceto.
23La loro tavola sia per essi un laccio,
una insidia i loro banchetti.
24Si offuschino i loro occhi, non vedano;
sfibra per sempre i loro fianchi.
25Riversa su di loro il tuo sdegno,
li raggiunga la tua ira ardente.
26La loro casa sia desolata,
senza abitanti la loro tenda;
27perché inseguono colui che hai percosso,
aggiungono dolore a chi tu hai ferito.
28Imputa loro colpa su colpa
e non ottengano la tua giustizia.
29Siano cancellati dal libro dei viventi
e tra i giusti non siano iscritti.
30Io sono infelice e sofferente;
la tua salvezza, Dio, mi ponga al sicuro.
31Loderò il nome di Dio con il canto,
lo esalterò con azioni di grazie,
32che il Signore gradirà più dei tori,
più dei giovenchi con corna e unghie.
33Vedano gli umili e si rallegrino;
si ravvivi il cuore di chi cerca Dio,
34poiché il Signore ascolta i poveri
e non disprezza i suoi che sono prigionieri.
35A lui acclamino i cieli e la terra,
i mari e quanto in essi si muove.
36Perché Dio salverà Sion,
ricostruirà le città di Giuda:
vi abiteranno e ne avranno il possesso.
37La stirpe dei suoi servi ne sarà erede,
e chi ama il suo nome vi porrà dimora.
Daniele 1
1L'anno terzo del regno di Ioiakìm re di Giuda, Nabucodònosor re di Babilonia marciò su Gerusalemme e la cinse d'assedio.2Il Signore mise Ioiakìm re di Giuda nelle sue mani, insieme con una parte degli arredi del tempio di Dio, ed egli li trasportò in Sennaàr e depositò gli arredi nel tesoro del tempio del suo dio.
3Il re ordinò ad Asfenàz, capo dei suoi funzionari di corte, di condurgli giovani israeliti di stirpe reale o di famiglia nobile,4senza difetti, di bell'aspetto, dotati di ogni scienza, educati, intelligenti e tali da poter stare nella reggia, per essere istruiti nella scrittura e nella lingua dei Caldei.
5Il re assegnò loro una razione giornaliera di vivande e di vino della sua tavola; dovevano esser educati per tre anni, al termine dei quali sarebbero entrati al servizio del re.6Fra di loro vi erano alcuni Giudei: Daniele, Anania, Misaele e Azaria;7però il capo dei funzionari di corte chiamò Daniele Baltazzàr; Anania Sadràch; Misaele Mesàch e Azaria Abdènego.
8Ma Daniele decise in cuor suo di non contaminarsi con le vivande del re e con il vino dei suoi banchetti e chiese al capo dei funzionari di non farlo contaminare.
9Dio fece sì che Daniele incontrasse la benevolenza e la simpatia del capo dei funzionari.10Però egli disse a Daniele: "Io temo che il re mio signore, che ha stabilito quello che dovete mangiare e bere, trovi le vostre facce più magre di quelle degli altri giovani della vostra età e io così mi renda colpevole davanti al re".11Ma Daniele disse al custode, al quale il capo dei funzionari aveva affidato Daniele, Anania, Misaele e Azaria:12"Mettici alla prova per dieci giorni, dandoci da mangiare legumi e da bere acqua,13poi si confrontino, alla tua presenza, le nostre facce con quelle dei giovani che mangiano le vivande del re; quindi deciderai di fare con noi tuoi servi come avrai constatato".14Egli acconsentì e fece la prova per dieci giorni;15terminati questi, si vide che le loro facce erano più belle e più floride di quelle di tutti gli altri giovani che mangiavano le vivande del re.16D'allora in poi il sovrintendente fece togliere l'assegnazione delle vivande e del vino e diede loro soltanto legumi.
17Dio concesse a questi quattro giovani di conoscere e comprendere ogni scrittura e ogni sapienza e rese Daniele interprete di visioni e di sogni.
18Terminato il tempo stabilito dal re entro il quale i giovani dovevano essergli presentati, il capo dei funzionari li portò a Nabucodònosor.19Il re parlò con loro, ma fra tutti non si trovò nessuno pari a Daniele, Anania, Misaele e Azaria, i quali rimasero al servizio del re;20in qualunque affare di sapienza e intelligenza su cui il re li interrogasse, li trovò dieci volte superiori a tutti i maghi e astrologi che c'erano in tutto il suo regno.21Così Daniele vi rimase fino al primo anno del re Ciro.
Lettera agli Ebrei 7
1Questo 'Melchìsedek' infatti, 're di Salem, sacerdote del Dio Altissimo, andò incontro ad Abramo mentre ritornava dalla sconfitta dei re' e 'lo benedisse';2'a lui Abramo' diede 'la decima di ogni cosa'; anzitutto il suo nome tradotto significa re di giustizia; è inoltre anche 're di Salem', cioè re di pace.3Egli è senza padre, senza madre, senza genealogia, senza principio di giorni né fine di vita, fatto simile al Figlio di Dio e rimane sacerdote in eterno.
4Considerate pertanto quanto sia grande costui, al quale Abramo, il patriarca, diede la decima del suo bottino.5In verità anche quelli dei figli di Levi, che assumono il sacerdozio, hanno il mandato di riscuotere, secondo la legge, la decima dal popolo, cioè dai loro fratelli, essi pure discendenti da Abramo.6Egli invece, che non era della loro stirpe, prese la decima da Abramo e benedisse colui che era depositario della promessa.7Ora, senza dubbio, è l'inferiore che è benedetto dal superiore.8Inoltre, qui riscuotono le decime uomini mortali; là invece le riscuote uno di cui si attesta che vive.9Anzi si può dire che lo stesso Levi, che pur riceve le decime, ha versato la sua decima in Abramo:10egli si trovava infatti ancora nei lombi del suo antenato quando 'gli venne incontro Melchìsedek'.
11Or dunque, se la perfezione fosse stata possibile per mezzo del sacerdozio levitico - sotto di esso il popolo ha ricevuto la legge - che bisogno c'era che sorgesse un altro sacerdote 'alla maniera di Melchìsedek', e non invece 'alla maniera' di Aronne?12Infatti, mutato il sacerdozio, avviene necessariamente anche un mutamento della legge.13Questo si dice di chi è appartenuto a un'altra tribù, della quale nessuno mai fu addetto all'altare.14È noto infatti che il Signore nostro è germogliato da Giuda e di questa tribù Mosè non disse nulla riguardo al sacerdozio.
15Ciò risulta ancor più evidente dal momento che, 'a somiglianza di Melchìsedek', sorge un altro 'sacerdote',16che non è diventato tale per ragione di una prescrizione carnale, ma per la potenza di una vita indefettibile.17Gli è resa infatti questa testimonianza:
'Tu sei sacerdote in eterno alla maniera di Melchìsedek'.
18Si ha così l'abrogazione di un ordinamento precedente a causa della sua debolezza e inutilità -19la legge infatti non ha portato nulla alla perfezione - e si ha invece l'introduzione di una speranza migliore, grazie alla quale ci avviciniamo a Dio.
20Inoltre ciò non avvenne senza giuramento. Quelli infatti diventavano sacerdoti senza giuramento;21 costui al contrario con un giuramento di colui che gli ha detto:
'Il Signore ha giurato e non si pentirà:
tu sei sacerdote per sempre'.
22Per questo, Gesù è diventato garante di un'alleanza migliore.
23Inoltre, quelli sono diventati sacerdoti in gran numero, perché la morte impediva loro di durare a lungo;24egli invece, poiché resta per sempre, possiede un sacerdozio che non tramonta.25Perciò può salvare perfettamente quelli che per mezzo di lui si accostano a Dio, essendo egli sempre vivo per intercedere a loro favore.
26Tale era infatti il sommo sacerdote che ci occorreva: santo, innocente, senza macchia, separato dai peccatori ed elevato sopra i cieli;27egli non ha bisogno ogni giorno, come gli altri sommi sacerdoti, di offrire sacrifici prima per i propri peccati e poi per quelli del popolo, poiché egli ha fatto questo una volta per tutte, offrendo se stesso.28La legge infatti costituisce sommi sacerdoti uomini soggetti all'umana debolezza, ma la parola del giuramento, posteriore alla legge, costituisce il Figlio che è stato reso perfetto in eterno.
Capitolo XXV: Correggere fervorosamente tutta la nostra vita
Leggilo nella Biblioteca1. Che tu sia attento e preciso, nel servire Iddio; ripensa frequentemente alla ragione per la quale sei venuto qui, lasciando il mondo. Non è stato forse per vivere in Dio e farti tutto spirito? Che tu sia, dunque, fervoroso, giacché in breve tempo sarai ripagato dei tuoi sforzi; né avrai più, sul tuo orizzonte, alcun timore e dolore faticherai qui per un poco, e poi troverai una grande pace, anzi, una gioia perpetua. Se sarai costante nella fede e fervoroso nelle opere, Dio, senza dubbio, sarà giusto e generoso nella ricompensa. Che tu mantenga la santa speranza di giungere alla vittoria, anche se non è bene che tu ne abbia alcuna sicurezza, per non cadere in stato di torpore o di presunzione. Una volta, un tale, dibattuto interiormente tra il timore e la speranza, sfinito dal doloro, si prostrò in chiesa davanti ad un altare dicendo tra sé: "Oh! Se sapessi di poter perseverare!". E subito, di dentro, udì una risposta, che veniva da Dio: "Perché, se tu sapessi di poter perseverare, che cosa vorresti fare? Fallo adesso, quello che vorresti fare, e sarai del tutto tranquillo". Allora, rasserenato e confortato, egli si affidò alla volontà di Dio, e cessò in lui quella angosciosa incertezza; egli non volle più cercar di sapere quel che sarebbe stato di lui in futuro, e si diede piuttosto a cercare "quale fosse la volontà del Signore: volontà di bene e di perfezione", (Rm 12, 2) per intraprendere e portare a compimento ogni opera buona. Dice il profeta: "Spera nel Signore e fa il bene; abita la terra e nutriti delle sue ricchezze" (Sal 36,3).
2. Una sola cosa è quella che distoglie molta gente dal progresso spirituale e dal fervoroso sforzo di correzione: lo sgomento di fronte agli ostacoli e l'asprezza di questa lotta. Invero avanzano nelle virtù coloro che si sforzano di superare virilmente ciò che è per essi più gravoso, e che più li contrasta; giacché proprio là dove più si vince se stessi, mortificandosi nello spirito, più si guadagna, e maggior grazia si ottiene. Certo che non tutti gli uomini hanno pari forze per vincere se stessi e per mortificarsi. Tuttavia, uno che abbia tenacia e buon volere, anche se le sue passioni sono più violente, riuscirà a progredire più di un altro, pur buono, ma meno fervoroso nel tendere verso le virtù. Due cose giovano particolarmente al raggiungimento di una totale emendazione: il fare violenza a se stessi, distogliendosi dal male, a cui ciascuno è portato per natura; e il chiedere insistentemente il bene spirituale di cui ciascuno ha maggior bisogno. Inoltre tu devi fare in modo di evitare soprattutto ciò che più spesso trovi brutto in altri. Da ogni parte devi saper trarre motivo di profitto spirituale. Così, se ti capita di vedere o di ascoltare dei buoni esempi, devi ardere dal desiderio di imitarli; se, invece, ti pare che qualcosa sia degno di riprovazione, devi guardarti dal fare altrettanto; se talvolta l'hai fatto, procura di emendarti. Come il tuo occhio giudica gli altri, così, a tua volta, sarai giudicato tu dagli altri. Quale gioia e quale dolcezza, vedere dei frati pieni di fervore e di devozione, santi nella vita interiore e nella loro condotta; quale tristezza, invece, e quale dolore, vedere certi frati, che vanno di qua e di là, disordinatamente, tralasciando di praticare proprio ciò per cui sono stati chiamati! Gran danno procura, questo dimenticarsi delle promesse della propria vocazione, volgendo i desideri a cose diverse da quelle che ci vengono ordinate.
3. Ricordati della decisione che hai presa, e poni dinanzi ai tuoi occhi la figura del crocifisso. Riflettendo alla vita di Gesù Cristo, avrai veramente di che vergognarti, ché non hai ancora cercato di farti più simile a lui, pur essendo stato per molto tempo nella vita di Dio. Il monaco che si addestra con intensa devozione sulla vita santissima e sulla passione del Signore, vi troverà in abbondanza tutto ciò che gli può essere utile e necessario; e non dovrà cercare nulla di meglio, fuor di Gesù. Oh, come saremmo d'un colpo pienamente addottrinati se avessimo nel nostro cuore Gesù crocifisso! Il monaco pieno di fervore sopporta ogni cosa santamente e accetta ciò che gli viene imposto; invece quello negligente e tiepido trova una tribolazione sull'altra ed è angustiato per ogni verso, perché gli manca la consolazione interiore, e quella esterna gli viene preclusa. Il monaco che vive fuori della regola va incontro a piena rovina. Infatti chi tende ad una condizione piuttosto libera ed esente da disciplina sarà sempre nell'incertezza, poiché ora non gli andrà una cosa, ora un'altra. Come fanno gli altri monaci, così numerosi, che vivono ben disciplinati dalla regola del convento? Escono di rado e vivono liberi da ogni cosa; mangiano assai poveramente e vestono panni grossolani; lavorano molto e parlano poco; vegliano fino a tarda ora e si alzano per tempo; pregano a lungo, leggono spesso e si comportano strettamente secondo la regola. Guarda i Certosini, i Cistercensi, e i monaci e le monache di altri Ordini, come si alzano tutte le notti per cantare le lodi di Dio. Ora, sarebbe vergognoso che, in una cosa tanto meritoria, tu ti lasciassi prendere dalla pigrizia, mentre un grandissimo numero di monaci comincia i suoi canti di gioia, in unione con Dio. Oh!, se noi non avessimo altro da fare che lodare il Signore, nostro Dio, con tutto il cuore e con tutta la nostra voce. Oh!, se tu non avessi mai bisogno di mangiare, di bere, di dormire; e potessi invece, lodare di continuo il Signore, e occuparti soltanto delle cose dello spirito. Allora saresti più felice di adesso, che sei al servizio del tuo corpo per varie necessità. E volesse il Cielo che non ci fossero, queste necessità, e ci fossero soltanto i pasti spirituali dell'anima, che purtroppo gustiamo ben di rado.
4. Quando uno sarà giunto a non cercare il proprio conforto in alcuna creatura, allora egli comincerà a gustare perfettamente Dio; allora accetterà di buon grado ogni cosa che possa succedere; allora non si rallegrerà, o rattristerà, per il molto o il poco che possieda. Si rimetterà del tutto e con piena fiducia in Dio: in Dio, che per lui sarà tutto, in ogni circostanza; in Dio, agli occhi del quale nulla muove o va interamente perduto; in Dio, e per il quale ogni cosa vive, servendo senza esitazione al suo comando. Abbi sempre presente che tutto finisce e che il tempo perduto non ritorna. Non giungerai a possedere forza spirituale, se non avrai sollecitudine e diligenza. Se comincerai ad essere spiritualmente malato. Se invece ti darai tutto al fervore, troverai una grande pace, e sentirai più lieve la fatica, per la grazia di Dio e per la forza dell'amore. Tutto può, l'uomo fervido e diligente. Impresa più grande delle sudate fatiche corporali è quella di vincere i vizi e di resistere alle passioni. E colui che non sa evitare le piccole mancanze, cade, a poco a poco, in mancanze maggiori. Sarai sempre felice, la sera, se avrai spesa la giornata fruttuosamente. Vigila su te stesso, scuoti e ammonisci te stesso; checché facciano gli altri, non dimenticare te stesso. Il tuo progresso spirituale sarà pari alla violenza che avrai fatto a te stesso. Amen.
LETTERA 155: Agostino risponde a Macedonio e gli dimostra quale debba essere il vero amico.
Lettere - Sant'Agostino
Leggilo nella BibliotecaScritta tra il 413 e il 414.
Agostino risponde a Macedonio e gli dimostra quale debba essere il vero amico (n. 1) e come la felicità non si trovi nella sapienza o nella virtù, come vorrebbero gli Stoici (nn. 2-3), ma unicamente in Dio, dal quale viene l'aiuto per superare le sventure terrene (nn. 4-9); si diffonde poi a parlare della vera sapienza e della perfetta virtù (nn. 10-13), dell'amore di Dio e del prossimo (nn. 14-15), della speranza cristiana e della pietà, ossia del vero culto di Dio (nn. 16-17).
AGOSTINO, SERVO DI CRISTO E DELLA SUA CHIESA, SALUTA NEL SIGNORE IL DILETTO FIGLIO MACEDONIO
La vera amicizia.
1. 1. Pur riconoscendo di non possedere la sapienza che mi attribuisci, sento nondimeno il dovere di ringraziarti assai della tua sincera e gran bontà a mio riguardo. Godo inoltre che le fatiche dei miei studi sono piaciute ad un personaggio così qualificato quale sei tu. Ma godo assai di più perché riconosco che il tuo animo, spinto dall'amore dell'eternità e della verità, nonché il sentimento amoroso del tuo cuore aspirano con avidità al possesso della città celeste; godo perché mi accorgo che si avvicinano a questa città e li tengo in gran pregio nel vederli ardere dalla brama di arrivare a possederla. Il re di questa città celeste, l'unica in cui si deve vivere per sempre e nella beatitudine, purché quaggiù si viva nella rettitudine e nella pietà religiosa, è Cristo. Da tali sentimenti ha origine anche la, vera amicizia che non dev'essere misurata sui vantaggi temporali ma deve essere valutata alla stregua d'un amore puro e disinteressato. Nessuno infatti può essere veramente amico dell'uomo se non è innanzi tutto amico della verità: questo amore se non è disinteressato non è assolutamente possibile.
Solo da Dio viene la felicità.
1. 2. Su tale argomento hanno discusso molto anche i filosofi, ma nei loro scritti non si trova alcun cenno del vero sentimento religioso, cioè del genuino culto del vero Dio. La causa di ciò è - a mio parere ? ch'essi hanno voluto fabbricarsi la felicità a modo loro e hanno creduto ch'era necessario procacciarsela da sé stessi anziché impetrarla, mentre Colui che la concede è soltanto Iddio, poiché rende felice l'uomo soltanto Chi l'ha creato. In realtà Chi elargisce ai buoni e ai cattivi si grandi beni della sua creazione vale a dire l'esistenza, la natura umana, la vigoria dei sensi, l'energia fisica, l'abbondanza delle ricchezze, darà sé stesso ai buoni affinché siano felici, poiché anche l'essere buoni è dono di Lui. Al contrario i filosofi i quali in questa vita piena d'affanni, con queste membra destinate alla morte, sotto il peso della carne corruttibile, hanno voluto essere autori e, per così dire, creatori della propria felicità come se potessero raggiungerla e quasi averla in possesso con le proprie virtù, senza chiederla e sperare di attingerla dalla fonte delle virtù, non hanno potuto affatto comprendere che Dio resisteva alla loro superbia. Son caduti perciò in un errore del tutto assurdo: mentre cioè affermano che il sapiente può esser felice perfino entro il toro di Falaride(l), son costretti d'altra parte ad ammettere che talvolta bisogna fuggire questa vita felice. In realtà essi cedono di fronte ai mali fisici divenuti eccessivi, e dichiarano che si deve partire da questa vita quando le molestie son troppo dolorose. Non voglio ora dire quale delitto commetterebbe un innocente col togliersi la vita da se stesso, dal momento che non si deve uccidere assolutamente neppure un delinquente: di quest'argomento ho trattato ampiamente già nel primo dei tre libri che tu hai letti con tanta benevolenza e ossequio 1. Vorrei però che almeno si considerasse e si giudicasse con modestia, senza orgoglio, in qual modo può esser felice la vita che il sapiente non gode mentre la possiede, ma è costretto a strapparsela con le proprie mani!
Il suicidio del sapiente.
1. 3. Nell'ultima parte del quinto libro delle Tusculane di Cicerone 2 - come tu sai - c'è un passo relativo a ciò che io sto dicendo e sul quale richiamo la tua attenzione. Trattando della cecità fisica e affermando che, quantunque cieco, il sapiente può esser felice, ricorda molte cose ascoltando le quali egli potrebbe trar godimento. Allo stesso modo, nel caso che uno fosse sordo, potrebbe trasferire agli occhi le occasioni dei suoi possibili godimenti. Cicerone però non osa esprimere la propria opinione nel caso che il sapiente rimanesse privo della vista e dell'udito e non osa chiamare felice un tal disgraziato; aggiunge invece che, se i più strazianti dolori fisici non togliessero di mezzo il sapiente, costui potrebbe uccidersi da se stesso per liberarsene coraggiosamente e giungere. così al porto dell'insensibilità 3. Il sapiente dunque cede ai più terribili mali e soccombe fino al punto che vien costretto a commettere. il suicidio. Chi mai risparmierebbe uno che non risparmia se stesso per liberarsi da quei mali? si, il, sapiente è sempre felice, si, non può perdere, a causa d'alcuna sventura, la felicità posta in suo potere; ma ecco che soppravvenendo la cecità o la sordità o atrocissimi dolori fisici, il sapiente perde la vita felice oppure, se anche nelle angustie di simili tormenti essa è ancor felice, ecco che per causa delle dissertazioni di siffatte cime di dotti, cotesta vita felice diviene talvolta tale che il sapiente non può sopportarla oppure, cosa ancor più assurda, il sapiente non deve sopportarla, anzi deve fuggirla, spezzarla, gettarla via e sbarazzarsene con la spada, col veleno o andando incontro ad altra morte volontaria al fine di giungere al porto dell'insensibilità e all'annullamento completo, come credettero gli Epicurei e altri filosofi, pazzi come loro, oppure sarebbe felice per essersi sbarazzato della vita felice come da un flagello. Oh! presunzione di spiriti orgogliosi! Se la vita perdura felice tra i dolori fisici, perché il sapiente non rimane in vita per goderla? Se invece è infelice, perché mai - ti domando io - salvo che la superbia glielo impedisca, il sapiente non lo ammette, non prega Dio, non supplica la giustizia e misericordia di Colui, che può allontanare o almeno mitigare i mali di questa vita, di darci forza per sopportarli oppure di liberarcene interamente per concederci, dopo tante sofferenze, la vera vita felice scevra d'ogni male e nella quale non si potrà mai perdere il sommo Bene?
La speranza cristiana sollievo nelle sofferenze.
1. 4. E' questo il premio dei giusti: nella speranza di ottenerlo noi passiamo la vita temporale e mortale più con pazienza che con piacere e ne sopportiamo i mali sorretti dai buoni propositi e dalla grazia di Dio, pieni di gioia per la fedele promessa di Dio e la nostra fiduciosa attesa dei beni eterni. L'apostolo Paolo, esortandoci a questi sentimenti, dice: Siate lieti per la speranza (del premio eterno), pazienti nelle afflizioni 4; dimostra in tal modo che il motivo d'essere pazienti nelle afflizioni sta in ciò che dice prima, d'essere cioè lieti nella speranza. A questa speranza ti esorto nel nome di Gesù Cristo nostro Signore. Questo stesso divino Maestro che teneva la gloria della sua maestà nascosta sotto l'aspetto della debolezza insita nell'umana natura, non solo c'insegnò la stessa cosa con la sua parola divina, ma ce la confermò pure con l'esempio della sua passione e della sua risurrezione. Con l'una c'insegnò che cosa dobbiamo sopportare, con l'altra che cosa dobbiamo sperare. Anche i filosofi potrebbero meritare questa grazia, se tronfi e gonfi d'orgoglio non si sforzassero invano di fabbricarsi da sé stessi la felicità che Dio soltanto ha promesso in modo veridico di concedere dopo questa vita ai suoi adoratori. Più assennata è l'altra massima di Cicerone che dice: Questa vita infatti è davvero una morte, per la quale ben potrei deplorare le miserie, sol che ne avessi voglia 5. Come mai dunque si dimostra che la vita è felice, se giustamente se ne deplorano le miserie? Non è piuttosto vero il contrario, che cioè se giustamente se ne deplorano le miserie si dimostra ch'essa è infelice? Ti scongiuro quindi, mio illustre amico, di abituarti intanto a esser felice nella speranza, per esserlo un giorno anche nella realtà, allorché sarà dato il premio dell'eterna felicità alla ferma tua perseveranza nella pietà.
La vera sapienza: adorare Dio per goderlo in eterno.
2. 5. Se io ti annoio con questa lunga lettera, il guaio l'hai combinato proprio tu 6, poiché mi hai chiamato sapiente. Ecco perché ho osato parlarti di questi argomenti, non per ostentare presso di te la sapienza che io non posseggo, ma per mostrarti quale dev'essere. Essa, nella vita presente, consiste nel vero culto del vero Dio, affinché nella vita futura il godimento di lui sia sicuro e intero: quaggiù la più perseverante pietà, lassù l'eterna felicità. Se possiedo un po' di questa sapienza, ch'è l'unica vera, non ho la presunzione che sia una mia proprietà ma l'ho attinta da Dio e spero che sarà portata a maturazione da Colui dal quale, umilmente si, ma con gioia, riconosco che me n'è stato infuso il germe: non sono poi incredulo riguardo a quanto non m'ha ancora elargito né ingrato per quanto per quanto m'ha già concesso. Se infatti ho qualche dote degna di lode, non lo devo alla mia indole né al mio merito, ma a un dono di Lui. Alcuni ingegni, molto acuti e superiori agli altri, son caduti in errori tanto più gravi con quanto maggior fiducia in sé stessi hanno voluto correre quasi con le proprie forze senza pregare con umiltà e sincerità Iddio di mostrar loro la vera strada! Quali meriti, al contrario, possono avere gli uomini, quali che essi siano, dal momento che Dio, venendo sulla terra non con la ricompensa dovuta ma con la grazia gratuita, li ha trovati tutti peccatori, mentre egli è l'unico ad essere immune da peccati e l'unico salvatore?
Impossibile aver la felicità in noi stessi.
2. 6. Se dunque troviamo la nostra gioia nella vera virtù, rivolgiamoci a Dio con le parole che leggiamo nelle sue Sacre Scritture: Te solo, o Signore, mia forza, io amerò 7: se vogliamo essere veramente felici - né possiamo non volerlo - teniamo bene a mente la massima imparata dalle stesse Sacre Scritture: Beato chi ripone la propria speranza nel Signore e non segue la falsità né le pazzie menzognere 8. Orbene, qual falsità, quale pazzia, qual menzogna non è che l'uomo, soggetto alla morte, che mena una vita piena d'affanni, oppresso da tanti peccati, esposto a tante tentazioni, schiavo di tante passioni e destinato a pene meritate, confidi in se stesso per essere felice, dal momento che non può preservar dall'errore neppure la parte più nobile del proprio essere, cioè la mente e la ragione senza l'aiuto di Dio, luce dell'intelligenza? Rigettiamo quindi, te ne prego, le stolte e pazze menzogne dei falsi filosofi, poiché non avremo la virtù senza l'aiuto di Dio né la felicità senza l'assistenza di Lui stesso, che sarà il nostro godimento, che mediante il dono dell'immortalità e dell'incorruttibilità distruggerà la parte mutevole e corruttibile del nostro essere, che per se stesso è molto debole e, per così dire, una miniera di miserie.
Solo in Dio la felicità degli stati e degl'individui.
2. 7. E poiché io conosco il tuo devoto attaccamento allo Stato, considera come la felicità delle singole persone e dello Stato ha la medesima origine. Infatti il Salmista, ispirato dallo Spirito Santo, prega in questi termini: Liberami dalle mani degli stranieri, la cui lingua pronuncia menzogne, la cui destra è piena d'iniquità. I loro figli sono come virgulti vigorosi nella loro giovinezza. Le loro figlie sono abbigliate e ornate a guisa d'un tempio. Le loro dispense sono piene e traboccano d'ogni bene. Le loro pecore sono feconde e si moltiplicano con i loro parti; le loro vacche sono pingui. Non v'è breccia o apertura nelle toro mura né pianto nelle loro piazze. Felice chiamano il popolo che possiede questi beni; felice invece è il popolo che per suo Dio ha il Signore 9.
La felicità non sta nei beni della terra o dell'animo.
2. 8. Ora tu vedi che un popolo non è proclamato felice per l'accumulazione dei beni terreni se non dagli estranei, cioè da coloro che non appartengono alla rigenerazione, mediante la quale diventiamo figli di Dio. Il Salmista prega d'essere liberato dalle mani di costoro, per non essere attratto nella loro mentalità e nei loro peccati d'empietà. Essi infatti con linguaggio mendace han chiamato felice il popolo, che possiede i beni ricordati del Salmista, beni che costituiscono l'unica felicità di cui vanno in cerca quelli che amano questo mondo. Ecco perché la toro destra è iniqua; perché costoro mettono al primo posto ciò che deve mettersi al secondo, come la destra è preferibile alla sinistra. Se infatti quei beni sono posseduti, non si deve far consistere in essi la felicità; devono servire, non dominare: seguire, non comandare! Il Salmista che pregava così e desiderava d'esser liberato e separato dagli stranieri che hanno chiamato felice il popolo che possiede quei beni, a una domanda che gli si sarebbe potuta rivolgere come questa: " Ma tu come la pensi? Qual popolo chiami felice? ", non risponde " felice è il popolo che ha la propria virtù in sé stesso ". Se avesse risposto in tal modo, avrebbe fatto bensì anche distinzione tra questo popolo e quello che ripone la felicità nella prosperità visibile e materiale, ma non avrebbe ancora oltrepassato tutte le falsità e le pazze menzogne. Maledetto, infatti, chi ripone la sua speranza nell'uomo 10, come insegnano le medesime Sacre Scritture in un altro passo; dunque nessuno deve riporre la speranza neppure in se stesso, poiché anch'egli è un uomo. Per oltrepassare quindi le linee di confine di tutte le falsità e pazzie menzognere e per collocare la felicità in ciò in cui veramente consiste, il Salmista soggiunse: Beato invece è il popolo che ha per suo Dio il Signore.
Pregare Dio per superar le sventure.
3. 9. Tu vedi dunque a Chi bisogna chiedere ciò che desiderano tutti, istruiti e ignoranti, e che molti, per ignoranza o superbia, non sanno a chi si debba chiedere e come si possa ottenere. In un salmo poi sono biasimati tanto coloro che confidano nella propria forza quanto coloro che si vantano dell'abbondanza delle loro ricchezze 11, cioè. non solo i filosofi di questo mondo, ma altresì quanti, pur lontani da tali scuole filosofiche, chiamano felice il popolo che sia ricco di beni terreni. Chiediamo quindi a Dio, nostro Signore, il quale ci ha creati, sia la forza per vincere i mali di questa vita, sia la felicità da godere nella sua eternità dopo la vita presente, affinché, secondo quanto dice l'Apostolo: chi si vuol vantare, si vanti nel Signore 12. Ecco quale dev'essere l'oggetto dei desideri per voi e per lo Stato, di cui siamo cittadini: in effetti una medesima origine ha la felicità dello Stato e quella dell'uomo, poiché uno Stato non è altro che la concorde società degli uomini.
Quando autentiche le virtù cardinali.
3. 10. Di conseguenza, se tutta la tua prudenza con cui ti sforzi di procurare il bene comune nel disbrigo delle faccende umane; se tutta la tua fortezza con cui ti mostri coraggioso nell'affrontare la malvagità degli avversari; se tutta la tua, temperanza con cui sai preservarti dalla corruzione in mezzo al fango dei più depravati costumi umani; se tutta la tua giustizia con cui nel giudicare dai a ciascuno il suo; se - dico - tutte queste virtù hanno di mira e tendono con ogni sforzo a salvaguardare l'incolumità fisica, la tranquillità e la sicurezza dagli attacchi dei malviventi per tutti coloro dei quali desideri il bene; se ti preoccupi solo che abbiano figli simili a virgulti vigorosi e rigogliosi e le figlie adorne come un tempio, le dispense traboccanti d'ogni ben di Dio, le pecore feconde, le vacche pingui, senza brecce nella cinta delle mura che guastino le loro proprietà, e che non risuonino nelle loro piazze le grida dei litiganti, le tue virtù non saranno autentiche, come non sarà autentica neppure la loro felicità. Non deve qui impedirmi di dir la verità la mia rispettosa discrezione, che tu hai elogiata con gentili espressioni nella tua lettera 13. Se la tua amministrazione - ripeto - di qualunque specie essa sia, dotata delle virtù su accennate, ha per unico scopo quello di preservare le persone da qualsiasi ingiustizia e molestia fisica e non reputi tuo dovere di conoscere a quale scopo esse facciano servire la tranquillità che ti sforzi di procurare ad esse, cioè - per parlar senza ambagi - in qual modo adorino il vero Dio nel quale risiede tutto il godimento di ogni vita tranquilla, tutti i tuoi sforzi non ti gioverebbero a nulla per raggiunger la vera felicità.
Più si è leali, più si è amici.
3. 11. Può darsi ch'io dica ciò con troppo poco rispetto e quasi dimentico dell'abitudine che ho nell'intercedere per gli altri. Ma se la riservatezza non è altro che un certo timore di dispiacere, non mi vergogno in questo caso d'aver timore, poiché temo con ragione di dispiacere prima a Dio e poi alla stessa amicizia che ti sei degnato di stringere meco, qualora usassi minor libertà nel darti i consigli che stimo assai utili alla salvezza della tua anima. Dovrò essere, certo, più riservato quando intercederò presso di te per gli altri, ma quando parlo per il bene di te stesso sarò tanto più franco quanto più ti sono amico, poiché ti sarò tanto più amico, quanto più ti sarò leale. Non ti direi d'altronde queste stesse cose, se non agissi con una certa riservatezza. Se è questa - come tu scrivi - " il mezzo più efficace per risolvere le difficoltà tra i galantuomini ", m'aiuti essa a farti del bene affinché io goda di te e con te di Colui che m'ha dato la possibilità d'entrare nella tua fiducia ed amicizia, soprattutto perché penso che i miei suggerimenti siano facili ad essere praticati dal tuo spirito, aiutato e fortificato da tanti favori divini.
Perfetta sapienza e felicità: aderire a Dio.
3. 12. Se infatti, persuaso che hai ricevuto da Dio le virtù che possiedi, te ne mostrerai riconoscente e le userai per servirlo con spirito di religione anche nelle tue alte cariche, incoraggerai e condurrai al suo servizio le persone soggette alla tua giurisdizione con l'esempio della tua vita religiosa e con lo stesso zelo con cui provvedi al loro bene, sia accordando loro dei favori sia incutendo loro il timore; se procurando loro tranquillità in questa vita, non hai altro scopo che quello di renderli degni di possedere Colui presso il quale potranno vivere felici, allora si che le tue virtù saranno autentiche. Non solo; ma col benigno aiuto di Colui, che te le ha largite, cresceranno e si perfezioneranno in modo da condurti sicuramente alla vita veramente felice, la quale non può essere se non eterna. Lassù non ci sarà bisogno della prudenza per distinguere il bene dal male, poiché questo non vi sarà, né della fortezza per sopportare le avversità, poiché vi saranno creature da amarsi, non da sopportarsi; non ci, sarà bisogno della temperanza per frenare le sensualità, poiché non ne sentiremo gli stimoli, né avremo bisogno della giustizia per venire in soccorso degli indigenti, poiché non vi sarà più alcun povero o indigente. Lassù ci sarà una sola virtù, che sarà nello stesso tempo premio della virtù, come s'esprime nelle Sacre Scritture il Salmista, che n'è innamorato: Il mio bene è stare unito a Dio 14. In ciò consisterà la piena ed eterna sapienza del paradiso e nello stesso tempo la genuina felicità, poiché è l'approdo all'eterno e sommo Bene; essere uniti in eterno ad esso è il culmine della nostra felicità. Ciò si. potrebbe chiamare anche prudenza, poiché sarà somma prudenza restare sempre uniti al bene che non si potrà mai perdere; sarà fortezza, poiché sarà un rimanere saldamente uniti al bene, dal quale non potremo essere staccati; sarà temperanza poiché ci uniremo con perfetta castità, al bene che non soffre corruzione; sarà infine giustizia poiché ci uniremo con somma rettitudine al bene al quale con tutta ragione dovremo sottometterci.
Non ama se stesso chi non ama Dio.
4. 13. Con tutto ciò, anche in questa vita la virtù non è altro che amare ciò che si deve amare: sceglierlo è prudenza, non esserne distaccati da nessuna molestia è fortezza, da nessuna lusinga è temperanza, da nessun sentimento di superbia è giustizia. Che cosa poi dovremmo scegliere come l'oggetto più degno del nostro amore, se non quello di cui non si, trova di meglio, cioè Dio? Se anteponiamo o uguagliamo a Lui nell'amore qualche altro oggetto, vuol dire che non sappiamo amare noi stessi. Tanto meglio, sarà per noi, quanto più ci, avvicineremo a Colui, del quale non, v'è nulla di meglio; verso di Lui poi si va non camminando ma amando, ed avremo Dio tanto più vicino al cuore quanto più puro sarà lo stesso amore che ci porta verso di Lui, poiché non si estende o è racchiuso entrò spazi fisici. Non coi piedi dunque, ma coi buoni costumi si può andare verso di Lui, ch'è dovunque presente ed intero ovunque. I nostri costumi inoltre di solito vengon giudicati non in base a ciò che sappiamo, ma a ciò che amiamo, e sono resi' buoni o cattivi dai buoni o cattivi affetti. E' dunque la nostra perversità ad allontanarci da Dio ch'è la rettitudine in persona; noi poi ci correggiamo amando la rettitudine per poter essere rettamente uniti alla rettitudine in persona.
Qual è il prossimo da amare per amare Dio.
4. 14. Adoperiamoci dunque con. tutti i nostri sforzi per far giungere, a Lui anche quelli che amiamo come noi stessi, se sappiamo già amare noi stessi mediante l'amore verso di Lu i. In realtà Cristo, cioè la Verità in persona, afferma che tutta la Legge e i Profeti dipendono da questi due comandamenti: amare cioè Dio con tutto il cuore con tutta l'anima, con tutta l'intelligenza e il prossimo come noi stessi 15. Il " prossimo ", di cui parla questo passo, non dobbiamo prenderlo nel senso di chi ci è congiunto per parentela carnale, ma per la comunanza della ragione che lega tra loro tutti gli uomini in un'unica società. Se infatti ci associa il rapporto del danaro, quanto più ci deve legare il rapporto della natura per la legge non d'un comune commercio, ma della comune provenienza. Ecco perché anche il famoso comico - giacché lo splendore della verità non difetta agli ingegni brillanti - in un dialogo, che immagina si svolga tra due vecchi, fa dire ad uno d'essi: I tuoi affari ti lasciano forse tanto tempo libero, da occuparti anche di quelli degli altri, che non ti riguardano affatto? Al che l'altro risponde: Sono uomo e penso che nessun fatto umano debba essermi indifferente! 16. Si narra altresì che l'intero teatro, pieno di gente stolta e ignorante, applaudì la suddetta battuta, tanto la comunanza delle anime umane aveva commosso il sentimento comune di tutti, che ciascuno dei presenti si sentì " prossimo " di qualunque altro uomo.
Solo amando Dio amiamo noi stessi.
4. 15. Sebbene dunque si debba amare Dio, sé stessi e il prossimo con l'amore ch'esige la legge divina, non per questo furono dati tre precetti e non fu detto: " Da questi tre precetti ", ma Da questi due precetti dipende tutta la Legge e i Profeti, ossia dall'amare Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima, con tutta l'intelligenza e il prossimo come se stessi. Con ciò Dio volle farci capire, naturalmente, che non esiste altro vero amore, con cui si ama se stessi, tranne quello di Dio. Deve infatti dirsi che amarsi in modo diverso è odiarsi. Poiché in tal modo l'uomo diventa malvagio e si priva della luce della giustizia per il fatto d'allontanarsi dal bene migliore e superiore e rivolgersi ai beni più meschini e inferiori, anche se si volge solo verso se stesso. Allora, a proposito di lui, s'avvera quanto sta scritto con verità: Chi ama la malvagità, odia se stesso 17. Poiché quindi nessuno ama se stesso se non amando Iddio, non era necessario che, oltre al precetto d'amare Dio, fosse dato anche quello d'amare se stessi, poiché chi ama Dio, ama anche se stesso. Dobbiamo dunque amare anche il prossimo come noi stessi in modo da condurre ad adorare Iddio chiunque ci sarà possibile consolare con la beneficienza, ammaestrare con la scienza, frenare col castigo, sapendo che da questi due precetti dipende tutta la Legge e i Profeti.
Come sopportano le sventure i santi.
4. 16. Con tali virtù largite da Dio mediante la grazia di Gesù Cristo Mediatore (fra Dio e gli uomini), Dio come il Padre e uomo come noi 18, per grazia del quale dopo l'inimicizia contratta col peccato veniamo riconciliati con Dio nello Spirito dell'amore, con tali virtù - dico - non solo ci è concesso di trascorrere una buona vita, ma ci viene poi anche data in premio la vita beata che non può essere se non eterna. Le medesime virtù, che quaggiù ispirano l'azione, lassù avranno il loro effetto; qui sono il movente delle opere, lassù ne saranno il premio; qui compiono il loro ufficio, lassù avranno il coronamento. Perciò tutti i buoni e i santi, anche in mezzo ai tormenti d'ogni specie, sorretti dall'aiuto divino, sono chiamati beati per la speranza di quel coronamento. Se infatti restassero sempre negli stessi, tormenti e dolori, atrocissimi, nessuno con la testa a posto esiterebbe a considerarli infelici pur con tutte le virtù possibili e immaginabili.
La salvezza nella pietà o vero culto di Dio.
4. 17. In conclusione la pietà, cioè il vero culto del vero Dio, è utile a tutto 19. Essa infatti ci aiuta ad allontanare o ad alleviare le molestie di questa vita e ci conduce alla vita e alla salvezza in cui non dovremo soffrire più alcun male, ma solo godere il sommo eterno Bene. Come esorto me stesso, così esorto anche te a conseguire più perfettamente e a conservare con fedele perseveranza questa pietà. Se tu non la possedessi e non credessi tuo dovere mettere al servizio di essa i tuoi onori e cariche temporali, non avresti detto nella tua ordinanza agli eretici Donatisti per farli tornare all'unità e alla pace di Cristo: " E' per il vostro bene che, si agisce così; è del vostro bene che si preoccupano i sacerdoti di fede incorrotta, del vostro bene si preoccupa l'Augusto imperatore, per voi ci diamo da fare anche noi, esecutori della sua giustizia "; così molte altre norme contenute nella medesima ordinanza mostrano che, indossando la fascia di giudice, tu pensi non poco alla patria celeste. Se quindi ho voluto intrattenermi con te un po' a lungo a parlare delle vere virtù e della vita veramente beata, non mi reputare molesto alle tue occupazioni - te ne prego -; anzi non credo d'esserlo neppure io, dal momento che tu hai un animo si grande e così degno da non trascurare le cure del governo e occuparti più volentieri e più abitualmente di quelle religiose.
1 - AUG., De civ. Dei, 1, 17 ss.
2 - CICER., Tuscul. disput. 38ss.
3 - CICER., Tuscul. disput. 40, 117: Portus enim praesto est aeternum nihil sentiendi receptaculum.
4 - Rm 12, 12.
5 - CICER., Tuscul. disput. 1, 31, 75.
6 - TERENT., Phorm. 318.
7 - Sal 17, 2.
8 - Sal 39, 5.
9 - Sal 143, 11-15.
10 - Ger 17, 5.
11 - Sal 48, 7.
12 - 2 Cor 10, 17.
13 - Ep. 154, 10.
14 - Sal 72, 28.
15 - Mt 22, 37 ss.
16 - TERENT., Heautontim. 1, 1, 75-77.
17 - Sal 10, 6.
18 - 1 Tm 2, 5.
19 - 1 Tm 4, 8.
Presentazione
Il diario di Santa Teresa di Los Andes - Santa Teresa di Los Andes
Leggilo nella BibliotecaLa piccola Teresa del Cile
Prima Santa Cilena
"Fin da piccola mi dicevano che ero la più carina dei miei fratelli. Io mi rendevo conto di questo. Ma queste stesse parole me le ripetevano quando ero già più grande, di nascosto della mamma. Solo Dio sa quanto mi è costato distruggere questo orgoglio o vanità che s'impadronì del mio cuore quando fui più grande"
Santa Teresa di Los Andes
Introduzione
"DIO È GIOIA INFINITA"
Nel suo viaggio in Cile, all'inizio di aprile del 1987, il Papa proclamava beata una "ragazza quotidiana", una cristiana di tutti i giorni: Giovanna. E nella primavera del 1995 a Roma la dichiarava Santa.
Ragazza ordinaria, diciamo, pur sapendo che nella sua terra e in tutta l'America Latina è conosciuta molto (ogni mese circa 200 mila persone vanno al suo Santuario) anche come "la piccola suora carmelitana". Infatti dalla scheda biografica che presentiamo sotto, risulta che ha passato gli ultimi undici mesi di vita in un Carmelo Teresiano e, non ancora terminato l'anno canonico del Noviziato, ha "anticipatamente emesso i voti religiosi per poi morire di tifo neppur ventenne, il 12 aprile 1920:
era infatti nata il i 5 luglio 1900 a Santiago.
Iniziando a 15 anni il suo Diario e dedicandolo a una suora che era sua professoressa e guida spirituale, ella, Juanita di battesimo, Teresa nella vita religiosa, scriveva: "Lei crede che s'imbatterà con una storia interessante. Non voglio che s'inganni... La storia della mia anima si riassume in due parole: soffrire e amare".
"LA PIÙ CARINA"
Era abbastanza distaccata, si direbbe, e quasi troppo lucida questa giovinetta quindicenne. "Fin da piccola mi dicevano che ero la più carina dei miei fratelli. Io mi rendevo conto di questo. Ma queste stesse parole me le ripetevano quando ero già più grande, di nascosto della mamma. Solo Dio sa quanto mi è costato distruggere questo orgoglio o vanità che s'impadronì del mio cuore quando fui più grande".
Bisogna dar atto a questa giovinetta che certi valori la devono aver convinta davvero, dal momento che si è impegnata a rinunciare ad "apparenze cosi importanti per qualsiasi donna. E bisogna accettare allora anche il resto delle sue confidenze, scritte sempre nel primo dei sei quaderni del Diario all'età dei suoi quindici anni cruciali. "Fro di carattere timido, di cuore molto sensibile. Piangevo per un nulla. Però ero di temperamento dolce: non mi arrabbiavo mai con nessuno". Era una giovane comune, insomma, e nel contempo una ragazza dotata e quasi privilegiata.
La svolta della vita di Juanita avvenne con la Prima Comunione dell'11 settembre 1910. Infatti, facendo un primo bilancio da quindicenne, scrive: "La mia vita si divide in due periode più o meno dell'età della ragione sino alla Prima Comunione; e dalla Prima Comunione àì poi. O meglio, sarà sino all'approdo della mia anima al porto del Carmelo. Gesù mi colmo di favori tanto nel primo quanto nel secondo periodo".
"DESIDEROSA DI CAREZZE"
A 13 anni Juanita è come tutte le sue coetanee, e forse un po più... uguale: resiste alla voce del Signore e, specialmente quandò s'ammala di difterite, così desiderosa di carezze che non potevo stare sola". Nella sua solitudine di adolescente, però, non le succede solamente di piangere, ma anche di sentirsi invitata interiormente da Cristo "a tenergli compagria nel Tabernacolo. Fu allora che mi diede la vocazione... In quel tempo non vivevo più in me stessa, ma era Gesù a vivere in me".
Torna il pericolo di una morte improvvisa (ormai non più tanto desiderata), in seguito a una sciocca appendicite trascurata e operata da certi medici che "mi sembravano macellai'.
Nel cuore di Juanita è un'altalena di sentimenti che sanno di molto ordinario, ma anche di straordinario. Siamo tra il 1915 e il 1916. Juanita va sempre più stabilendosi in maniera adulta nel proposito di "riservarsi' per Cristo: "Voglio essere di Dio".
Ma sia ben chiaro: il proposito in lei c'è tutto, ma ella non è ancora capace di tufto. Perché è una quindicenne o poco più, alla fm fine. "Per una ragazza è l'età più pericolosa", sentenzia nel Diario. "È l'entrata nel mare tempestoso del mondo. Però Gesù ha preso il comando della barchetta e l'ha tirata in disparte dello scontro con le altre navi mi ha tenuta legata a Lui solo".
Questo non proibisce a Juanita di continuare gli studi in un buon collegio, di stabilire amicizie, di compiere belle cavalcate (è una cilena, dopotutto:
"Hai cavalcato molto? Da parte mia mi sono rifatta dell'anno passato, montando a cavallo tutti i giorni'). E, divertendosi con molta spontaneità ed eleganza, si permette di lanciare i suoi fulmini contro il collegio:
"Ridurrei in cenere l'internato".
Per nostra consolazione, è una ragazza afferrata da Dio, molto simile a noi: e così può insegnarci che la santità non è un giochetto di magia. "9 ottobre. Oggi mi sono confrssata. Quale sollievo ho sperimentato, perche avevo delle colpe che, anche se involontarie; non mi piaceva di averé'.
"CIVETTERIE E CARMELO"
Il giorno dopo, il 10 ottobre del 1915, riferisce di un suo incontro con Madre Rios, la suora sua confidente. "Le ho parlato delle mie civettene. Ella mi ha domandeto come potevo compiere delle civetterie dopo tante chiamate di Dio... Le ho detto ancora che desideravo entrare al Carmelo. Ed ella mi ha detto: e la salute? Resisterà quella? Ah! corpo miserabile che ti opponi ai desideri della mia anima!'.
La domenica che segue a questi alti sospiri Juanita annota: "Abbiamo avuta la messa. Sono stata molto distratta mentre si celebrava, perche i miei cugini stavano in presbiterio e ci guardavano. Era per noi una tentazioné'. Poco più avanti, un venerdì qualunque:
"Mi sento esasperata con un desiderio folle di piangere. Offro a Te; o Gesù, questa pena, poiche voglio soffrire per somigliare a Te... Sull'incudine del dolore vengono lavorate le anime".
Vediamo da queste alterne situazioni d'un cuore di ragazza che esistono due spinte in Juanita, come dovrebbero esserci in tutti i crisfiani: quella di badare a se stessa con egoismo e quella di reintegrare tutto e rivivere ogni cosa, anche la più banale, alla luce di Cristo. "L'io è il dio che adoriamo nel nostro intimo. Ma Gesù chiede questo trono ed è necessario darglielo". Necessario? Per Juanita e per ogni vero credente, sì!
Nel suo caso concreto, ella sente di doverlo dare in un modo piuttosto insolito, come scrive con confidenza a sua sorella Rebecca il 15 aprile 1916. "Ti confiderò il segreto della mia vita. Il desiderio che abbiamo sempre difeso nella nostra fanciullezza di vivere sempre unite sarà ben presto distrutto per un altro ideale più alto. Dovremo seguire distinte strade nella vita. Sono stata catturata nelle reti amorose del Divin Pescatore. Sono sua promessa e molto presto celebreremo i nostri sponsali nel Carmelo. Presto sarò carmelitana".
"MI UBRIACHERÒ’ DEL TUO AMORE"
Teme la propria debolezza, ma non dubita dell'amore di Cristo per lei: "Mi ubriacherò del tuo amore!'.
E continua così, in una maturazione lenta ma solida e ammirevole. Dirà nel 1918: "Io prima credevo impossibile arrivare ad innamorarmi di un Dio che non vedevo, che non potevo accarezzare. Ma oggi so che uno sente talmente questo amore, queste carezze di Nostro Signore; che gli sembra di averlo al suo fianco
Fino al suo ingresso al Carmelo (7 maggio 1919) Juanita sperimenta nel suo spirito le emozioni più opposte, i contrasti più forti. ”Mi trovo al colmo della felicità e del dolore”. Deve chiarire a se stessa la vocazione che sente. Deve chiarirla ai suoi, specialmente a suo padre, a cui domanda la benedizione di partire, aggiungendo categorica: ”E’ necessario che tua figlia ti lasci”.
Per altro, dopo questa dura affermazione, il giorno dopo Juanita scrive alla sorellina chiamata vezzosamente "Gordita", la Cicciottella: "Trovo che ormai siamo in condizioni di pensare al nostro avvenire. Lasciamo di essere bambine; mia cara Gordita, per essere donne. Se ci si obbliga ad entrare in società, andiamo contente, per conoscere dei giovani perché in fin dei conti, se non ci facciamo monache; è necessario preoccuparci un po’ di piacere; d'incontrarci coi giovani. Se poi vediamo che nessuno ci soddisfa, accettiamo la sorte di rimanere nubili, poiche potremo fare molto bene non alienando la nostra libertà. Ti dirò con franchezza che mi costerà innamorarmi, perche sinora nessuno dei giovani conosciuti mi è piaciuto. Sono tutti molto supeficiali C'è qualche cosa in me che impedisce di soddisfare le mie aspirazioni'.
"MI SOTTOMETTO AL SUO VOLERE"
Anche se può sembrare il contrario, Juanita in questo periodo non sta provando a innamorarsi di qualche giovane: sta invece attendendo il permesso di suo padre. Dieci giorni dopo, il 5 aprile 1919, parla con entusiasmo della nascita d'una nipotina ed esclama femminilmente: "Quanto è grande la potenza che Dio manifesta nell'opera della procreazione umana! Quale sapienza prende il cuore e la mente che la contemplano".
Ma scrive subito dopo: "Ho scritto a papà sollecitando il suo permesso e ancora non ha avuto risposta. L'anima mia soffre l'indicibile... Io mi rimetto indiferente alla volontà di Dio. Per me è lo stesso che mio padre mi dia o no il permesso di partire a maggio, che mi lasci o no abbracciare il Carmelo. Certamente ci soffrirei, ma, poiche cerco Lui solo, purche lo faccia contento, che mi può importare il resto? Se Egli lo permette; io mi sottometto al suo volere; giacche ho fatto quanto Egli mi ha ordinato".
Intanto Dio conduce Juanita: "Domenica scorsa papà mi ha dato il suo consenso... Quanto mi sento felice nel contemplare ormai così vicina la montagna del Carmelo! Molto presto la salirò, per vivere crocfiissa".
Il permesso è del 6 aprile. Tre giorni dopo, Juanita scrive al padre: "Papà mio bello, che Dio ti ricompensi mille volte. Mi mancano le parole per ringraziarti come vorrei. Provavo la pena più grande della mia vita vedendo che; per la prima volta, ero io la causa delle tue lacrime. È Dio che de l'energia ai nostri cuori per fare il sacrificio più doloroso in questa vita".
"EGLI È LA MIA RICCHEZZA"
Ormai è evidente che tanto per Juanita come per i suoi è davvero un enorme sacrifico la sua entrata in clausura. E perchè entrarci, allora? Ma si può forse non amare, specialmente non amare Dio? Comunque, il tempo in cui Juanita attende di portarsi al Monastero di Los Andes, che è quello prescelto, e tempo terribile perché dovunque giri lo sguardo non vedi che lacrime. Tuttavia dentro di me sento un energia e un coraggio che mi è impossibile descrivere.
Il 7 maggio 1919 entra ”finalmente” tra le Carmelitane e, con la vestizione religiosa del 14 ottobre successivo, cambia nome: si chiama suor Teresa di Gesù, come la grande Riformatrice spagnola del Carmelo.
Un anno, anzi solo undici mesi di vita carmelitana le sono concessi da Dio. Sono pochi, ma sono così densi da non essere capiti subito: bisogna studiarli bene.
Ci basti aver un po' spiato nel cuore di questa ragazza durante il suo itinerario più ordinario, quello di laica. I quaderni del suo Diario parleranno poi in modo più sobrio, ma più alto e impegnativo: e questo lo vedrà da sé il lettore.
Citiamo solo, per finire, alcune battute prelevate qui e là dalla sua corrispondenza ultima: "Me ne rido di tutto il mondo" - "Egli è la mia ricchezza" - "Possiedo tutto" - "Pregando, lavorando, ridendo" - "Dio è gioia infinita" - "Dio è nostro mendicante" - "Mi ha traformata" - "A prezzo di sangue" - "Questa è la nostra vocazione: siamo delle corredentrici' - "Aadio! Febri coloro che godono di Lui. Viviamo molto uniti in Dio".
Roma, 7 giugno 1998 P. Rodolfo Girardello
CRONOLOGIA
1900 13 luglio. - Nasce a Santiago del Cile. Figlia di Miguel Fernandez Jaraquemada e di Lucia Solar Armstrong. Quinta di sette figli.
15 luglio. - Viene battezzata nella chiesa parrocchiale di Sant'Anna dal sacerdote Baldomero Grossi con il nome di Juana Enriqueta Josefina dei Sacri Cuori. Padrino e Madrina: Salvador RuizTagle e Rosa Fernàndez de Ruiz-Tagle.
Suoi fratelli e sorelle sono: Lucia, Miguel, Luis, Juana, Rebeca e Ignacio.
Soggiorna, alternativamente, nelle proprietà di Santiago e nel podere di campagna di Chacabuco che appartenevano al nonno materno.
1906 Sin dalla sua infanzia, si rallegra di senfir parlare di Dio. Impara a leggere frequentando, per un mese, di pomeriggio, il Collegio retto dalle Teresiane.
1907 Frequenta come esterna il Collegio Alameda retto dalle suore del Sacro Cuore.
13 maggio. - Morte del nonno materno, Eulogio Solar Quiroga. Nel cuore di Juanita nasce una tenera devozione alla Santa Vergine Maria che le chiede di recitare tutti i giorni il Rosario. Per tutta la vita ella mantene fede a questa promessa.
Insieme alla mamma comincia ad assistere regolarmente alla messa quotidiana e, non potendo comunicarsi come desidera e domanda, inizia a prepararsi alla sua Prima Comunione, applicandosi a "modificare il proprio carattere". Preparata dalle suore, si confessa per la prima volta.
1909 22 ottobre. - Riceve il sacramento della Cresima.
1910 11 settembre. - Dalle mani di Mons. Angel Jara riceve la Prima Comunione nella cappella del Collegio. "Giorno senza nubi" che la segnera definitivamente. "Da allora mi comunicavo tutti i giorni e parlavo a lungo con Gesù...".
1911 8 dicembre. - Ogni anno, dal 1911 al 1914, il giorno dell'Immacolata, Juanita è sempre in punto di morte a seguito di diverse malattie.
Fino al 1915 - Riceve, come alunna esterna, una notevole formazione scolasfica presso il Collegio del Sacro Cuore. Emerge per la sua attenzione nei confronfi degli anziani e dei bisognosi che si spinge sino a mettere all'asta il proprio orologio, a favore d'un bambino povero. Tratta i domesfici con affetto e li cura con sollecitudine nelle loro malattie. Medesima attitudine nei confronti dei mezzadri di Chacabuco durante i soggiorni che vi fa con la famiglia.
1914 30 dicembre. - È operata d'appendicite all'Ospedale San Vicente di Sanfiago, rischiando grosso.
1915 Gennaio - febbraio. - Trascorre la convalescenza a Chacabuco dove si ristabilisce.
13 luglio. - Quindicesimo compleanno: confessa che Cristo l'ha "catturata".
Luglio. - Entra come interna nel Collegio del Sacro Cuore, via della Maestranza (oggi via Portogallo).
10 settembre. - Ha, con Madre Julia Rios, un colloquio decisivo sulla sua vocazione, le confida di avere letto più volte la Vita di Teresa di Lisieur.
8 dicembre. - Fa voto di casfità e poi lo rinnova periodicamente. Promette di non "avere altro Sposo che Gesù Cristo".
1916 gennaio - febbraio. - Vacanze a Chacabuco. Prende parte alla Missione cittadina e non abbandona né l'orazione, né la lettura spirituale.
15 aprile. - Svela a sua sorella Rebeca il segreto della propria vocazione: “Voglio essere Carmelitana. Mi ci sono impegnata l'8 dicembre”.
Durante il ritiro spirituale annuale, s'impegna con un programma di vita che comprende ogni giorno orazione, esame di coscienza, e anche la pratica delrumiltà.
1917 gennaio. - La lettura della Vita di Santa Teresa di Gesù l'incoraggia a essere fedele al proprio progetto d'orazione quotidiana.
Gennaio - febbraio. - Trascorre qualche settimana di riposo a Chacabuco.
Tra le decisioni prese per l'anno, vi sono: dimenticare se stessa, applicarsi a far contenti gli altri, vivere con Gesù dentro di sé e rendere piacevole la virtù.
S'impone dei sacrifici e offre la propria vita al Signore per la conversione di parecchie persone.
15 giugno, - E ammessa tra le Figlie di Maria e riceve la medaglia distintivo.
Luglio. - Legge gli scritti di suor Elisabetta della Trinità, che la incanta e si intrattiene fraternamente con lei, poiché la sua gioia, e anche la propria, è di vivere con Gesù nell'intimo di sé e di trasformare tutta la propria esistenza in lode di Dio.
8 agosto. - Durante il Ritiro fa una confessione generale. Il confessore la assicura che, per grazia di Dio, non ha commesso durante la sua vita alcun peccato mortale.
5 settembre. - Scrive una prima lettera a Madre Angelica, priora delle Carmelitane di Los Andes. Le manifesta il suo desiderio d'entrare in quella Comunità. Si rende presto conto che avrà grandi difficoltà da superare per poter essere Carmelitana: scarsa salute, opposizioni famigliari, e difficoltà finanziarie per prepararsi la dote.
20 dicembre. - Supera brillantemente gli esami e con i premi vinti, lascia l'internato per prendersi una vacanza con i suoi.
1918 La corrispondenza con Madre Angelica si intensifica e aumenta pure il desiderio d'essere Carmelitana.
Gennaio - febbraio. - Vacanze spensierate a Algarrabo.
12 marzo. - Rientra all'internato.
Per molti mesi soffre a causa di prove interiori: abbandono spirituale, svogiiatezza. aridità...
7 agosto. - Ultimo Ritiro spirituale all'internato. Prende la risoluzione di comunicarsi, di fare l'esame di coscienza e l'orazione mentale ogni giorno, di sforzarsi a compiere in tutto la volontà di Dio.
12 agosto. - Lascia per sempre l'internato proponendosi di avere carattere e di non lasciarsi guidare dal rispetto umano. Né dal sentimento, ma dalla ragione e dalla coscienza.
Juanita si reca a casa della sorella Lucia che è sposata e si sforza di compiacere tutti e di sacrificarsi per tutti, ad ogni istante.
7 settembre. - Scrive a Madre Angelica chiedendo di essere ammessa nella sua Comunità. Per lettera la Madre risponde affermativamente.
Novembre. - Legge il Cammino di Perfezione di Santa Teresa di Gesù. Trascorre una ventina di giorni di riposo a Cuanco nella proprietà dei cugini Elisa e Herminia Valdés.
Per parecchie settimane, è assalita da dubbi: deve essere Carmelitana o suora del Sacro Cuore? I dubbi sono fugati dai colloqui coi suoi direttori spirituali.
1919 11 gennaio. - Visita con la mamma le Carmelitane di Los Andes. Rientra a casa decisa ad essere una di loro.
14 gennaio - 7 marzo. - Soggiorna nella proprietà San Pablo. Senza trascurare le incombenze domestiche, collabora alla Missione cittadina, istruisce i bambini nel catechismo, insegna loro diverse materie scolasfiche e li diverte organizzando recite, giochi e tombole.
7 marzo. - Ritorna a Santiago.
Trascorre qualche giorno di riposo a Bucalemu, nella proprietà degli zii.
25 marzo. - Scrive al papà una lettera commovente per domandargli l'autorizzazione d'essere Carmelitana.
6 aprile. - Riceve la risposta affermativa del papa.
Da 7 al 15 aprile. - Soggiorna nella proprietà dei cugini Valdés - Ossa a Cunaco.
Marzo - maggio. - Durante questo periodo, Juanita perviene all'apice della felicità e del dolore La felicità perché il suo ideale di essere tutta di Dio presto si realizzerà, e il martirio il più lacerante perché deve separarsi dai suoi genitori e dai suoi fratelli e sorelle.
7 maggio. - Entra dalle Carmelitane di Los Andes. Cambia il suo nome e si chiamerà suor Teresa di Gesù.
8 maggio. - Scrive dal Monastero la sua prima lettera. Si tratta di una eloquente testimonianza del suo amore filiale e della felicità che la inonda.
Nascosta nella clausura, dà prova tuttavia di un senso apostolico intenso, non soltanto attraverso la fecondità misteriosa del sacrificio e della preghiera, ma anche attraverso le sue lettere.
14 ottobre. - Vestizione monastica come Carmelitana scalza. Inizia il Noviziato. Ormai, scrive di meno, ma saranno lettere più affettuose e debordanti di umanità. Queste lettere provano in modo eccellente che i santi non sono essere strani e folli, ma persone di un grande equilibrio e solidità. In Dio - "Suo centro e sua dimora" -, Teresa condivide la stabilità e la gioia di colui che è l'Immutabile e vive in pienezza la condizione umana. La morte anch'essa non ha niente di spaventoso per lei perché ella sa che morire, è inabissarsi definitivamente in Dio per vivere tra le sue braccia amanti.
1920 Primi giorni di marzo. - Afferma che morirà fra un mese.
2 aprile. - Si ammala gravemente di tifo.
5 aprile. - Domanda gli ultimi Sacramenti e li riceve con grande fervore.
6 aprile. - Esprime, benché ancora novizia, il desiderio di pronunciare i Voti religiosi prima di morire e rinnova con gioia ed emozione la propria formula di consacrazione al Signore.
7 aprile. - Ultima Comunione di suor Teresa.
12 aprile. - Alle ore 19 e 15, si spegne santamente. Aveva diciannove anni e nove mesi, di cui soltanto undici mesi vissuti come Carmelitana!
14 aprile. - Funerale e sepoltura alla presenza di una numerosissima folla.
"Suor Teresa di Gesù farà in fretta dei miracoli", afferma il Padre Juliàn Cea, c.m.f. qualche giorno dopo la morte, e la sua previsione è pienamente giustificata.
Da allora, un numero incalcolabile di persone attribuiscono alla intercessione di Suor Teresa di Gesù grazie e favori di ogni genere.
1940 17 ottobre. - Traslazione dei resti mortali nel sepolcro ricavato nel pavimento del Coro del Monastero di Los Andes.
1947 20 marzo. - Apertura del processo diocesano in previsione della beatificazione. Il processo termina il 14 marzo 1971.
1976 La Sede Apostolica decide di aggiungere al processo diocesano una ulteriore indagine, chiamata processo "cognitionis aperto ufficialmente il 17 novembre per completare e arricchire il precedente. La sessione di chiusura è celebrata il 18 marzo 1978.
1986 22 marzo. - Terminate le normall formalità del processo di beatificazione, in Vaticano viene firmato il decreto di riconoscimento e di approvazione delle virtù eroiche della Serva di Dio. Ora Teresa di Gesù delle Ande ha il titolo di Venerabile.
1987 3 aprile. - Davanti ad una folla di più di trecentomila fedeli, Giovanni Paolo Il la beatifica solennemente a Santiago del Cile.
18 ottobre. - La Monache Carmelitane Scalze di Los Andes si trasferiscono nel nuovo Monastero di Auco. Portano con loro i resti di Teresa di Gesù che depongono nella piccola cappella, provvisoriamente, nell'attesa che vengano ultimati i lavori della costruzione del nuovo Santuario di Auco.
1988 11 dicembre. - Inaugurazione della cripta del nuovo Santuario e traslazione dei resti della Beata Teresa di Gesù delle Ande.
13 dicembre. - Dedicazione solenne del Santuario a Nostra Signora del Monte Carmelo, con l'assistenza del Delegato di Sua Santità, il cardinale Juan Francisco Fresno, di Mons. Raùl Silva Henrique e della Conferenza Episcopale Cilena al completo. Il Rito è presieduto dal vescovo diocesano, Monsignor Manuel Camilo Vial.
1991 12 giugno. - Dopo sei mesi di lavoro, il tribunale che esamina la causa di Marcela Antùnez Riveros trasmette gli atti del processo alla Congregazione per le cause dei santi a Roma. La giovane Marcela aveva sofferto d'asfissia d'immersione il 7 dicembre 1978, restando almeno cinque minuti sott'acqua. Le sue compagne e una delle assistenti la raccomandano all'intercessione della Beata Teresa di Gesù delle Ande. La guarigione è quasi istantanea e non le rimane la benché minima conseguenza.
1992 7 giugno. - In conformità al parere dei medici e dei teologi, che non trovano una spiegazione naturale alla pronta guarigione della piccola Marcela Antùnez Riveros, la Congregazione dei vescovi e dei cardinali approva il caso come valido per procedere alla canonizzazione della Beata Teresa di Gesù delle Ande. L'11 luglio viene promulgato il decreto corrispondente.
1995 21 marzo. - All'interno della Basilica di San Pietro a Roma alla presenza di circa cinquemila Cileni provenienti dalla madre patria e da diversi punti dell'Europa, Giovanni Paolo Il proclama solennemente Santa, la Beata Teresa di Gesù delle Ande. È la prima Santa Cilena e la prima Santa Carmelitana Americana. Celebrano con il Santo Padre quasi tutti i Vescovi della Conferenza Episcopale Cilena.
L'EUCARESTIA: CONTATTO CON ME A.N.A. 87 8 maggio 1995
Catalina Rivas
Gesù
Attraverso la Comunione, Io vi tocco, in una sensazione particolare; le braccia e il cuore che Io vi apro, sono nientemeno che tutte le forze del mondo riunite, le quali, penetrate fin nel profondo dalla Mia volontà, dalle Mie qualità, dal Mio temperamento, si ripiegano sul vostro essere per formarvi, nutrirvi e attirarvi fino all'ardore centrale del Mio fuoco. Pertanto, quello che nell'Ostia Io vi offro è la vostra propria vita.
Allora, al contatto eucaristico, voi reagite mediante l'intero vigore delle vostre vite. La vostra vita di oggi e la vostra vita di domani; della vostra vita personale e della vostra vita comunitaria. L'Eucarestia deve invadere la vostra vita, che deve diventare, grazie al Sacramento, un contatto con Me senza limite e senza fine. Questo contatto è come un velo, le specie eucaristiche sotto le quali Io vi prendo perché voi possiate prendermi.
Amatemi, figlioli, perdetevi nell'insondabile, immergetevi nell'inesauribile, trovate la pace nell'incorruttibile, offritevi al fuoco e alla trasparenza...