Liturgia delle Ore - Letture
Lunedi della 19° settimana del tempo ordinario
Vangelo secondo Giovanni 3
1C'era tra i farisei un uomo chiamato Nicodèmo, un capo dei Giudei.2Egli andò da Gesù, di notte, e gli disse: "Rabbì, sappiamo che sei un maestro venuto da Dio; nessuno infatti può fare i segni che tu fai, se Dio non è con lui".3Gli rispose Gesù: "In verità, in verità ti dico, se uno non rinasce dall'alto, non può vedere il regno di Dio".4Gli disse Nicodèmo: "Come può un uomo nascere quando è vecchio? Può forse entrare una seconda volta nel grembo di sua madre e rinascere?".5Gli rispose Gesù: "In verità, in verità ti dico, se uno non nasce da acqua e da Spirito, non può entrare nel regno di Dio.6Quel che è nato dalla carne è carne e quel che è nato dallo Spirito è Spirito.7Non ti meravigliare se t'ho detto: dovete rinascere dall'alto.8Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai di dove viene e dove va: così è di chiunque è nato dallo Spirito".9Replicò Nicodèmo: "Come può accadere questo?".10Gli rispose Gesù: "Tu sei maestro in Israele e non sai queste cose?11In verità, in verità ti dico, noi parliamo di quel che sappiamo e testimoniamo quel che abbiamo veduto; ma voi non accogliete la nostra testimonianza.12Se vi ho parlato di cose della terra e non credete, come crederete se vi parlerò di cose del cielo?13Eppure nessuno è mai salito al cielo, fuorché il Figlio dell'uomo che è disceso dal cielo.14E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell'uomo,15perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna".
16Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna.17Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui.18Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell'unigenito Figlio di Dio.19E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce, perché le loro opere erano malvagie.20Chiunque infatti fa il male, odia la luce e non viene alla luce perché non siano svelate le sue opere.21Ma chi opera la verità viene alla luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio.
22Dopo queste cose, Gesù andò con i suoi discepoli nella regione della Giudea; e là si trattenne con loro, e battezzava.23Anche Giovanni battezzava a Ennòn, vicino a Salìm, perché c'era là molta acqua; e la gente andava a farsi battezzare.24Giovanni, infatti, non era stato ancora imprigionato.
25Nacque allora una discussione tra i discepoli di Giovanni e un Giudeo riguardo la purificazione.26Andarono perciò da Giovanni e gli dissero: "Rabbì, colui che era con te dall'altra parte del Giordano, e al quale hai reso testimonianza, ecco sta battezzando e tutti accorrono a lui".27Giovanni rispose: "Nessuno può prendersi qualcosa se non gli è stato dato dal cielo.28Voi stessi mi siete testimoni che ho detto: Non sono io il Cristo, ma io sono stato mandato innanzi a lui.29Chi possiede la sposa è lo sposo; ma l'amico dello sposo, che è presente e l'ascolta, esulta di gioia alla voce dello sposo. Ora questa mia gioia è compiuta.30Egli deve crescere e io invece diminuire.
31Chi viene dall'alto è al di sopra di tutti; ma chi viene dalla terra, appartiene alla terra e parla della terra. Chi viene dal cielo è al di sopra di tutti.32Egli attesta ciò che ha visto e udito, eppure nessuno accetta la sua testimonianza;33chi però ne accetta la testimonianza, certifica che Dio è veritiero.34Infatti colui che Dio ha mandato proferisce le parole di Dio e dà lo Spirito senza misura.35Il Padre ama il Figlio e gli ha dato in mano ogni cosa.36Chi crede nel Figlio ha la vita eterna; chi non obbedisce al Figlio non vedrà la vita, ma l'ira di Dio incombe su di lui".
Secondo libro delle Cronache 26
1Tutto il popolo di Giuda prese Ozia che aveva sedici anni e lo proclamò re al posto del padre Amazia.2Egli ricostruì Elat e la ricondusse sotto il dominio di Giuda, dopo che il re si era addormentato con i suoi padri.
3Ozia aveva sedici anni quando divenne re; regnò cinquantadue anni in Gerusalemme. Sua madre, di Gerusalemme, si chiamava Iecolia.4Egli fece ciò che è retto agli occhi del Signore come aveva fatto Amazia suo padre.5Egli ricercò Dio finché visse Zaccaria, che l'aveva istruito nel timore di Dio, e finché egli ricercò il Signore, Dio lo fece prosperare.
6Uscito in guerra contro i Filistei, smantellò le mura di Gat, di Iabne e di Asdòd; costruì piazzeforti nel territorio di Asdòd e in quello dei Filistei.7Dio lo aiutò contro i Filistei, contro gli Arabi abitanti in Gur-Baal e contro i Meuniti.8Gli Ammoniti pagavano un tributo a Ozia, la cui fama giunse sino alla frontiera egiziana, perché egli era divenuto molto potente.
9Ozia costruì torri in Gerusalemme alla porta dell'Angolo e alla porta della Valle e sul Cantone e le fortificò.10Costruì anche torri nella steppa e scavò molte cisterne perché possedeva numeroso bestiame nella pianura e nell'altipiano; aveva campagnoli e vignaioli sui monti e sulle colline, perché egli amava l'agricoltura.
11Ozia possedeva un esercito agguerrito e pronto per combattere, diviso in schiere, registrate sotto la sorveglianze dello scriba Ieiel e di Maaseia, commissario agli ordini di Anania, uno degli ufficiali del re.12Tutti i capi dei casati di quei prodi ammontavano a duemilaseicento.13Da loro dipendeva un esercito di trecentosettemilacinquecento guerrieri di grande valore, pronti per aiutare il re contro il nemico.14A loro, cioè a tutto l'esercito, Ozia fornì scudi e lance, elmi, corazze, archi e pietre per le fionde.15In Gerusalemme aveva fatto costruire macchine, inventate da un esperto, che collocò sulle torri e sugli angoli per scagliare frecce e grandi pietre. La fama di Ozia giunse in regioni lontane; divenne potente perché fu molto assistito.
16Ma in seguito a tanta potenza si insuperbì il suo cuore fino a rovinarsi. Difatti si mostrò infedele al Signore suo Dio. Penetrò nel tempio per bruciare incenso sull'altare.17Dietro a lui entrò il sacerdote Azaria con ottanta sacerdoti del Signore, uomini virtuosi.18Questi si opposero al re Ozia, dicendogli: "Non tocca a te, Ozia, offrire l'incenso, ma ai sacerdoti figli di Aronne che sono stati consacrati per offrire l'incenso. Esci dal santuario, perché hai commesso un'infrazione alla legge. Non hai diritto alla gloria che viene dal Signore Dio".19Ozia, che teneva in mano il braciere per offrire l'incenso, si adirò. Mentre sfogava la sua collera contro i sacerdoti, gli spuntò la lebbra sulla fronte davanti ai sacerdoti nel tempio presso l'altare dell'incenso.20Azaria sommo sacerdote, e tutti i sacerdoti si voltarono verso di lui, che apparve con la lebbra sulla fronte. Lo fecero uscire in fretta di lì; anch'egli si precipitò per uscire, poiché il Signore l'aveva colpito.21Il re Ozia rimase lebbroso fino al giorno della morte. Egli abitò in una casa di isolamento, come lebbroso, escluso dal tempio. Suo figlio Iotam dirigeva la reggia e governava il popolo del paese.
22Le altre gesta di Ozia, le prime come le ultime, le ha descritte il profeta Isaia, figlio di Amoz.23Ozia si addormentò con i suoi padri con i quali fu sepolto nel campo presso le tombe reali, perché si diceva: "È un lebbroso". Al suo posto divenne re suo figlio Iotam.
Giobbe 38
1Il Signore rispose a Giobbe di mezzo al turbine:
2Chi è costui che oscura il consiglio
con parole insipienti?
3Cingiti i fianchi come un prode,
io t'interrogherò e tu mi istruirai.
4Dov'eri tu quand'io ponevo le fondamenta della terra?
Dillo, se hai tanta intelligenza!
5Chi ha fissato le sue dimensioni, se lo sai,
o chi ha teso su di essa la misura?
6Dove sono fissate le sue basi
o chi ha posto la sua pietra angolare,
7mentre gioivano in coro le stelle del mattino
e plaudivano tutti i figli di Dio?
8Chi ha chiuso tra due porte il mare,
quando erompeva uscendo dal seno materno,
9quando lo circondavo di nubi per veste
e per fasce di caligine folta?
10Poi gli ho fissato un limite
e gli ho messo chiavistello e porte
11e ho detto: "Fin qui giungerai e non oltre
e qui s'infrangerà l'orgoglio delle tue onde".
12Da quando vivi, hai mai comandato al mattino
e assegnato il posto all'aurora,
13perché essa afferri i lembi della terra
e ne scuota i malvagi?
14Si trasforma come creta da sigillo
e si colora come un vestito.
15È sottratta ai malvagi la loro luce
ed è spezzato il braccio che si alza a colpire.
16Sei mai giunto alle sorgenti del mare
e nel fondo dell'abisso hai tu passeggiato?
17Ti sono state indicate le porte della morte
e hai visto le porte dell'ombra funerea?
18Hai tu considerato le distese della terra?
Dillo, se sai tutto questo!
19Per quale via si va dove abita la luce
e dove hanno dimora le tenebre
20perché tu le conduca al loro dominio
o almeno tu sappia avviarle verso la loro casa?
21Certo, tu lo sai, perché allora eri nato
e il numero dei tuoi giorni è assai grande!
22Sei mai giunto ai serbatoi della neve,
hai mai visto i serbatoi della grandine,
23che io riserbo per il tempo della sciagura,
per il giorno della guerra e della battaglia?
24Per quali vie si espande la luce,
si diffonde il vento d'oriente sulla terra?
25Chi ha scavato canali agli acquazzoni
e una strada alla nube tonante,
26per far piovere sopra una terra senza uomini,
su un deserto dove non c'è nessuno,
27per dissetare regioni desolate e squallide
e far germogliare erbe nella steppa?
28Ha forse un padre la pioggia?
O chi mette al mondo le gocce della rugiada?
29Dal seno di chi è uscito il ghiaccio
e la brina del cielo chi l'ha generata?
30Come pietra le acque induriscono
e la faccia dell'abisso si raggela.
31Puoi tu annodare i legami delle Plèiadi
o sciogliere i vincoli di Orione?
32Fai tu spuntare a suo tempo la stella del mattino
o puoi guidare l'Orsa insieme con i suoi figli?
33Conosci tu le leggi del cielo
o ne applichi le norme sulla terra?
34Puoi tu alzare la voce fino alle nubi
e farti coprire da un rovescio di acqua?
35Scagli tu i fulmini e partono
dicendoti: "Eccoci!"?
36Chi ha elargito all'ibis la sapienza
o chi ha dato al gallo intelligenza?
37Chi può con sapienza calcolare le nubi
e chi riversa gli otri del cielo,
38quando si fonde la polvere in una massa
e le zolle si attaccano insieme?
39Vai tu a caccia di preda per la leonessa
e sazi la fame dei leoncini,
40quando sono accovacciati nelle tane
o stanno in agguato fra le macchie?
41Chi prepara al corvo il suo pasto,
quando i suoi nati gridano verso Dio
e vagano qua e là per mancanza di cibo?
Salmi 40
1'Al maestro del coro. Di Davide. Salmo.'
2Ho sperato: ho sperato nel Signore
ed egli su di me si è chinato,
ha dato ascolto al mio grido.
3Mi ha tratto dalla fossa della morte,
dal fango della palude;
i miei piedi ha stabilito sulla roccia,
ha reso sicuri i miei passi.
4Mi ha messo sulla bocca un canto nuovo,
lode al nostro Dio.
Molti vedranno e avranno timore
e confideranno nel Signore.
5Beato l'uomo che spera nel Signore
e non si mette dalla parte dei superbi,
né si volge a chi segue la menzogna.
6Quanti prodigi tu hai fatto, Signore Dio mio,
quali disegni in nostro favore:
nessuno a te si può paragonare.
Se li voglio annunziare e proclamare
sono troppi per essere contati.
7Sacrificio e offerta non gradisci,
gli orecchi mi hai aperto.
Non hai chiesto olocausto e vittima per la colpa.
8Allora ho detto: "Ecco, io vengo.
Sul rotolo del libro di me è scritto,
9che io faccia il tuo volere.
Mio Dio, questo io desidero,
la tua legge è nel profondo del mio cuore".
10Ho annunziato la tua giustizia nella grande assemblea;
vedi, non tengo chiuse le labbra, Signore, tu lo sai.
11Non ho nascosto la tua giustizia in fondo al cuore,
la tua fedeltà e la tua salvezza ho proclamato.
Non ho nascosto la tua grazia
e la tua fedeltà alla grande assemblea.
12Non rifiutarmi, Signore, la tua misericordia,
la tua fedeltà e la tua grazia
mi proteggano sempre,
13poiché mi circondano mali senza numero,
le mie colpe mi opprimono
e non posso più vedere.
Sono più dei capelli del mio capo,
il mio cuore viene meno.
14Degnati, Signore, di liberarmi;
accorri, Signore, in mio aiuto.
15Vergogna e confusione
per quanti cercano di togliermi la vita.
Retrocedano coperti d'infamia
quelli che godono della mia sventura.
16Siano presi da tremore e da vergogna
quelli che mi scherniscono.
17Esultino e gioiscano in te quanti ti cercano,
dicano sempre: "Il Signore è grande"
quelli che bramano la tua salvezza.
18Io sono povero e infelice;
di me ha cura il Signore.
Tu, mio aiuto e mia liberazione,
mio Dio, non tardare.
Baruc 4
1Essa è il libro dei decreti di Dio,
è la legge che sussiste nei secoli;
quanti si attengono ad essa avranno la vita,
quanti l'abbandonano moriranno.
2Ritorna, Giacobbe, e accoglila,
cammina allo splendore della sua luce.
3Non dare ad altri la tua gloria,
né i tuoi privilegi a gente straniera.
4Beati noi, o Israele,
perché ciò che piace a Dio ci è stato rivelato.
5Coraggio, popolo mio, tu, resto d'Israele!
6Siete stati venduti alle genti
non per essere annientati,
ma perché avete provocato lo sdegno di Dio
siete stati consegnati ai nemici.
7Avete irritato il vostro creatore,
sacrificando ai dèmoni e non a Dio.
8Avete dimenticato chi vi ha allevati, il Dio eterno,
avete afflitto colei che vi ha nutriti, Gerusalemme.
9Essa ha visto piombare su di voi l'ira divina
e ha esclamato: Ascoltate, città vicine di Sion,
Dio mi ha mandato un grande dolore.
10Ho visto, infatti, la schiavitù in cui l'Eterno
ha condotto i miei figli e le mie figlie.
11Io li avevo nutriti con gioia
e li ho dovuti lasciare con lacrime e gemiti.
12Nessuno goda di me nel vedermi vedova e desolata;
sono abbandonata per i peccati dei miei figli
che deviarono dalla legge di Dio,
13non si curarono dei suoi decreti,
non seguirono i suoi comandamenti,
non procedettero per i sentieri della dottrina,
secondo la sua giustizia.
14Venite, o città vicine di Sion,
considerate la schiavitù in cui l'Eterno
ha condotto i miei figli e le mie figlie.
15Ha mandato contro di loro un popolo lontano,
una gente perversa di lingua straniera,
che non ha avuto rispetto dei vecchi, né pietà dei bambini,
16che ha strappato i cari figli alla vedova
e l'ha lasciata sola senza figlie.
17E io come posso aiutarvi?
18Chi vi ha afflitto con tanti mali
saprà liberarvi dal potere dei vostri nemici.
19Andate, figli miei, andate, io resto sola.
20Ho deposto l'abito di pace,
ho indossato il cilicio della supplica,
griderò all'Eterno per tutti i miei giorni.
21Coraggio, figli miei, gridate a Dio
ed egli vi libererà dall'oppressione
e dal potere dei vostri nemici.
22Io, infatti, spero dall'Eterno la vostra salvezza.
Una grande gioia mi viene dal Santo,
per la misericordia che presto vi giungerà
dall'Eterno vostro salvatore.
23Vi ho visti partire fra gemiti e pianti,
ma Dio vi ricondurrà a me
con letizia e gioia, per sempre.
24Come ora le città vicine di Sion
hanno visto la vostra schiavitù,
così vedranno ben presto la vostra salvezza
da parte del vostro Dio;
essa verrà a voi
con grande gloria e splendore dell'Eterno.
25Figli, sopportate con pazienza la collera
che da Dio è venuta su di voi.
Il nemico vi ha perseguitati,
ma vedrete ben presto la sua rovina
e calcherete il piede sul suo collo.
26I miei figli tanto delicati
hanno dovuto battere aspri sentieri,
incalzati come gregge rapito dal nemico.
27Coraggio, figli, gridate a Dio,
poiché si ricorderà di voi colui che vi ha provati.
28Però, come pensaste di allontanarvi da Dio,
così ritornando decuplicate lo zelo per ricercarlo,
29poiché chi vi ha afflitti con tante calamità
vi darà anche, con la salvezza, una gioia perenne.
30Coraggio, Gerusalemme!
Colui che ti ha dato un nome ti consolerà.
31Maledetti i tuoi oppressori,
che hanno goduto della tua caduta;
32maledette le città in cui sono stati schiavi i tuoi figli,
maledetta colei che li ha trattenuti.
33Come ha gioito per la tua caduta
e si è allietata per la tua rovina,
così patirà per la sua desolazione.
34Le toglierò la gioia di essere così popolata,
il suo tripudio sarà cambiato in lutto.
35Un fuoco cadrà su di lei per lunghi giorni
per volere dell'Eterno
e per molto tempo sarà abitata da demoni.
36Guarda ad oriente, Gerusalemme,
osserva la gioia che ti viene da Dio.
37Ecco, ritornano i figli che hai visti partire,
ritornano insieme riuniti dall'oriente all'occidente,
alla parola del Santo, esultanti per la gloria di Dio.
Prima lettera di Pietro 4
1Poiché dunque Cristo soffrì nella carne, anche voi armatevi degli stessi sentimenti; chi ha sofferto nel suo corpo ha rotto definitivamente col peccato,2per non servire più alle passioni umane ma alla volontà di Dio, nel tempo che gli rimane in questa vita mortale.3Basta col tempo trascorso nel soddisfare le passioni del paganesimo, vivendo nelle dissolutezze, nelle passioni, nelle crapule, nei bagordi, nelle ubriachezze e nel culto illecito degli idoli.4Per questo trovano strano che voi non corriate insieme con loro verso questo torrente di perdizione e vi oltraggiano.5Ma renderanno conto a colui che è pronto a giudicare i vivi e i morti;6infatti è stata annunziata la buona novella anche ai morti, perché pur avendo subìto, perdendo la vita del corpo, la condanna comune a tutti gli uomini, vivano secondo Dio nello spirito.
7La fine di tutte le cose è vicina. Siate dunque moderati e sobri, per dedicarvi alla preghiera.8Soprattutto conservate tra voi una grande carità, perché la carità copre una moltitudine di peccati.9Praticate l'ospitalità gli uni verso gli altri, senza mormorare.10Ciascuno viva secondo la grazia ricevuta, mettendola a servizio degli altri, come buoni amministratori di una multiforme grazia di Dio.11Chi parla, lo faccia come con parole di Dio; chi esercita un ufficio, lo compia con l'energia ricevuta da Dio, perché in tutto venga glorificato Dio per mezzo di Gesù Cristo, al quale appartiene la gloria e la potenza nei secoli dei secoli. Amen!
12Carissimi, non siate sorpresi per l'incendio di persecuzione che si è acceso in mezzo a voi per provarvi, come se vi accadesse qualcosa di strano.13Ma nella misura in cui partecipate alle sofferenze di Cristo, rallegratevi perché anche nella rivelazione della sua gloria possiate rallegrarvi ed esultare.14Beati voi, se venite insultati per il nome di Cristo, perché lo Spirito della gloria e lo Spirito di Dio riposa su di voi.15Nessuno di voi abbia a soffrire come omicida o ladro o malfattore o delatore.16Ma se uno soffre come cristiano, non ne arrossisca; glorifichi anzi Dio per questo nome.
17È giunto infatti il momento in cui inizia il giudizio dalla casa di Dio; e se inizia da noi, quale sarà la fine di coloro che rifiutano di credere al vangelo di Dio?
18E se 'il giusto a stento si salverà,
che ne sarà dell'empio e del peccatore'?
19Perciò anche quelli che soffrono secondo il volere di Dio, si mettano nelle mani del loro Creatore fedele e continuino a fare il bene.
Capitolo XLVIII: La vita eterna e le angustie della vita presente
Leggilo nella Biblioteca1. O beata dimora della città suprema, o giorno spendente dell'eternità, che la notte non offusca; giorno perennemente irradiato dalla somma verità; giorno sempre gioioso e sereno; giorno, per sua essenza, immutabile! Volesse il cielo che tutte queste cose temporali finissero e che sopra di noi brillasse quel giorno; il quale già illumina per sempre, di splendida luce, i santi, mentre, per coloro che sono pellegrini su questa terra, esso splende soltanto da lontano e di riflesso! Ben sanno i cittadini del cielo quanto sia piena di gioia quell'età; lamentano gli esuli figli di Eva quanto, invece, sia grave e pesante l'età presente. Invero, brevi e duri, pieni di dolori e di angustie, sono i giorni di questo nostro tempo, durante i quali l'uomo è insozzato da molti peccati e irretito da molte passioni, oppresso da molte paure, schiacciato da molti affanni, distratto da molte curiosità, impicciato in molte cose vane, circondato da molti errori, atterrito da molte fatiche, appesantito dalle tentazioni, snervato dai piaceri, afflitto dal bisogno. Oh!, quando finiranno questi mali; quando mi libererò dalla miserevole schiavitù dei vizi; quando, nella mia mente avrò soltanto te, o Signore, e in te troverò tutta la mia gioia; quando godrò di libertà vera, senza alcun legame, senza alcun gravame della mente e del corpo; quando avrò pace stabile e sicura, da nulla turbata, pace interiore ed esteriore, pace non minacciata da alcuna parte? O buon Gesù, quando ti vedrò faccia a faccia; quando contemplerò la gloria del tuo regno; quando sarai il tutto per me (1Cor 15,28); quando sarò con te nel tuo regno, da te preparato dall'eternità per i tuoi diletti? Sono qui abbandonato, povero ed esule in terra nemica, ove ci sono continue lotte e immani disgrazie. Consola tu il mio esilio, lenisci il mio dolore, perché ogni mio desiderio si volge a te con sospiri. Infatti qualunque cosa il mondo mi offra come sollievo, essa mi è invece di peso. Desidero l'intimo godimento di te, ma non mi è dato di raggiungerlo; desidero star saldo alle cose celesti, ma le cose temporali e le passioni non mortificate mi tirano in basso; nello spirito, voglio pormi al di sopra di tutte le cose, ma, nella carne, sono costretto a subirle, contro mia voglia. E così, uomo infelice, combatto con me stesso e divento un peso per me stesso (Gb 7,20), ché lo spirito tende all'alto e la carne al basso.
2. Oh!, quale è l'intima mia sofferenza, quando, dentro di me, sto pensando alle cose del cielo e, mentre prego, di colpo, mi balza davanti la turba delle cose carnali. Dio mio, "non stare lontano da me" (Sal 70,12) e "non allontanarti in collera dal tuo servo" (Sal 26,9). "Lancia i tuoi fulmini", disperdi questa turba; "lancia le tue saette e saranno sconvolte le macchinazioni del nemico" (Sal 143,6). Fa' che i miei sentimenti siano concentrati in te; fa' che io dimentichi tutto ciò che appartiene al mondo; fa' che io cacci via e disprezzi le ingannevoli immagini con le quali ci appare il vizio. Vieni in mio aiuto, o eterna verità, cosicché nessuna cosa vana abbia potere di smuovermi; vieni, o celeste soavità; cosicché ogni cosa non pura fugga davanti al tuo volto. Ancora, perdonami e assolvimi, nella tua misericordia, ogni volta che, nella preghiera, vado pensando ad altro fuori che a te. In verità, confesso sinceramente di essere solitamente molto distratto; ché, ben spesso, io non sono là dove materialmente sto e seggo, ma sono invece là dove vengo portato dalla mente. Là dove è il mio pensiero, io sono; il mio pensiero solitamente è là dove sta ciò che io amo; è quello che fa piacere alla nostra natura, o ci è caro per abitudine, che mi viene d'un tratto alla mente. Per questo tu, che sei la verità, dicesti chiaramente: "dove è il tuo tesoro là è il tuo cuore" (Mt 6,21). Se amo il cielo, volentieri penso alle cose del cielo; se amo il mondo, mi rallegro delle gioie e mi rattristo delle avversità del mondo; se amo le cose carnali, di esse sovente vado. Fantasticando; se amo ciò che è spirito, trovo diletto nel pensare alle cose dello spirito. Qualunque siano le cose che io amo, di queste parlo e sento parlare volentieri; di queste riporto a casa il ricordo. Beato invece colui che, per te, o Signore, lascia andare tutto ciò che è creato, e che, facendo violenza alla natura, crocifigge i desideri della carne col fervore dello Spirito: così da poterti offrire, a coscienza tranquilla, una orazione pura; così da essere degno di prendere parte ai cori celesti, rifiutando, dentro e fuori di sé, ogni cosa terrena.
Contro Giuliano - libro secondo
Contro Giuliano - Sant'Agostino d'Ippona
Leggilo nella Biblioteca
Le affermazioni patristiche contro gli argomenti dei pelagiani.
1. 1. Ed ora, o Giuliano, bisogna che affronti quello che avevo deciso di fare nella terza parte della mia trattazione: demolire, con l'aiuto di Dio, le tue macchinazioni mediante le parole dei vescovi che con grande gloria hanno illustrato la Sacra Scrittura. Non intendo dimostrare che sul peccato originale essi hanno pensato secondo la fede cattolica. L'ho già fatto nella prima parte di quest'opera nel mostrarti contro quali e quanti uomini, santi ed illustri Dottori della Chiesa, tu scagli l'accusa di manicheismo, e nel farti notare come per sminuire la mia stima di fronte al giudizio di uomini inesperti, tu accusi di nefasta eresia i difensori della Chiesa contro gli eretici. Ora è necessario che con le parole dei Santi controbatta le vostre argomentazioni con cui pretendete dimostrare che la prima nascita degli uomini non è soggiogata al peccato originale. Bisogna che il popolo cristiano anteponga costoro alle vostre profane innovazioni e scelga di aderire ad essi anziché a voi.I cinque argomenti pelagiani contro il peccato originale.
1. 2. Questi sono i vostri argomenti capitali, apparentemente terribili, con i quali spaventare i deboli e quelli meno esperti nelle Sacre Scritture, di quanto sarebbe necessario contro di voi. Ci accusate che "sostenendo il peccato originale, noi dichiariamo il diavolo creatore dell'uomo che nasce, condanniamo il matrimonio, neghiamo che nel battesimo siano rimessi tutti i peccati, accusiamo Dio del crimine di iniquità, ingeneriamo la disperazione della perfezione". Tutto questo perché, voi dite, noi siamo convinti che i bambini nascono soggetti al peccato del primo uomo e che per questo si trovano sotto il potere del diavolo fino a quando non rinascono in Cristo. "Il diavolo, dite infatti, è creatore se i bambini traggono la loro origine dalla ferita da lui inferta alla natura umana primigenia; il matrimonio è condannato se si ritiene che abbia qualcosa donde nascono persone condannabili; nel battesimo non sono rimessi tutti i peccati se nei coniugi battezzati resta qualcosa di male donde nascono i figli cattivi. Come può non essere iniquo Dio, che, mentre rimette ai battezzati i peccati personali, condanna i bambini, che, pur creati da lui, senza volerlo e senza saperlo hanno contratto peccati altrui anche da quei genitori a cui erano stati rimessi? Neppure la virtù, a cui, come tutti sanno, si oppone il vizio, può essere ritenuta perfettibile, dal momento che non è possibile eliminare vizi congeniti che neppure potrebbero essere chiamati tali. Non pecca infatti chi non può essere diverso da come è stato creato".Sintetica risposta dei cattolici.
1. 3. Se vi fermaste ad esaminare con attenta diligenza questi punti invece di opporvi con incredibile audacia a tutto ciò che è fondato sulla verità ed antichità della fede cattolica, arrivereste certamente, con l'aiuto della grazia di Cristo, alla conoscenza di quelle verità che sono nascoste ai sapienti ed agli intelligenti e sono rivelate ai semplici 1. Grande è infatti la bontà del Signore che egli non rifiuta e tuttavia la riserva per quelli che lo temono, e la perfeziona per quelli che confidano non in se stessi ma in lui 2. Noi professiamo solo ciò che contiene quella fede di cui è scritto: Se non avrete creduto non capirete 3. Non il diavolo, ma Dio vivo e vero, che produce ineffabilmente cose monde dalle immonde, è il creatore degli uomini anche se nessun uomo nasce puro e tutti sono costretti a restare in potere dello spirito immondo fino a quando non sono purificati dallo Spirito Santo. Non vi è alcun crimine nel matrimonio qualunque sia la contaminazione delle nature: il bene proprio del matrimonio si distingue da qualsiasi vizio delle nature. Non resta neppure il reato di alcun peccato che non sia sciolto dalla rigenerazione in Cristo, anche se rimane l'infermità, contro cui il rigenerato, che la porta radicata dentro di sé, deve combattere se vuole progredire. Non è affatto iniquo Dio quando retribuisce secondo giustizia i peccati originali e quelli personali. Apparirebbe maggiormente iniquo o debole qualora imponesse, come sta scritto: Un giogo pesante sui figli di Adamo dal giorno in cui sono usciti dal seno della madre fino al giorno del ritorno nel grembo della madre di tutti 4, giogo sotto il quale la sua immagine è schiacciata, senza che ci sia stato in precedenza alcun peccato originale o personale, oppure permettesse che qualche altro glielo imponesse contro il suo volere. Non bisogna, infine, disperare della perfezione della virtù perché la grazia di Dio può mutare e sanare la natura viziata dall'origine.L'autorità di Ambrogio contro i primi tre argomenti pelagiani.
2. 4. Eccomi dunque ad adempiere il mio impegno. Ma non comincerò a confutare con la testimonianza dei Santi una ad una le vostre cinque argomentazioni in cui riassumete tutto quanto andate disputando in lungo e in largo contro la fede cattolica. Anche quando ricorderò singolarmente le vostre argomentazioni, a seconda degli scritti dei vescovi cattolici colpirò ed abbatterò il maggior numero possibile di esse, una, due, o più secondo la possibilità della testimonianza addotta. Questo succede per esempio citando il libro del beato Ambrogio Sull'Arca di Noè: "Si predica che ai popoli verrà la salvezza, vi si legge, solo attraverso Cristo Gesù, che, essendo corrotta ogni umana generazione nell'errore, non avrebbe potuto essere il solo giusto se non per il fatto che, nato da una Vergine, per privilegio non era tenuto alla legge di una generazione soggiogata. Ecco, nel delitto io fui procreato e nel peccato mi concepì mia madre 5, afferma colui che era ritenuto giusto più di ogni altro. Chi dunque potrei dichiarare giusto se non l'uomo libero da questi vincoli, l'uomo cioè non legato dai vincoli della comune natura? Tutti sono sotto il peccato. Dopo Adamo in tutti regnò la morte. Venga avanti il solo giusto al cospetto di Dio del quale senza eccezioni non solo si dica: non peccò con le sue labbra 6, ma anche: non fece peccato" 7. Dì pure a lui, se hai coraggio, che ha fatto del diavolo il creatore degli uomini che nascono dall'unione dei due sessi, dal momento che, a differenza di tutti gli altri che nascono da Adamo soggetti al peccato seminato dal diavolo, ha ritenuto libero dai vincoli di una generazione macchiata il solo Cristo perché nato da una Vergine. Rimprovera come condannatore del matrimonio, chi dice esser senza peccato solo il figlio di una Vergine. Incriminalo pure perché nega la possibilità di perfezionamento alla virtù ed afferma che il vizio si inserisce nel genere umano nello stesso istante della concezione. Dì pure a lui ciò che, nel tuo primo volume, credi di aver detto molto a proposito e con molto acume contro di me: "Non peccano affatto quelli che diciamo che peccano, dal momento che essi, da chiunque siano stati creati, si trovano nella necessità di vivere secondo la condizione in cui sono stati creati senza poter andare contro la propria natura". Dì pure di Ambrogio o ad Ambrogio tutte quelle cose che con tanto orgoglio, con tanto disprezzo, con tanta insolenza e petulanza hai detto a me. - Quando scriveva quelle parole probabilmente egli non parlava dei discendenti dei battezzati e, di conseguenza, non si può dire che deformi il sacramento del battesimo, nel senso che in esso non si abbia la piena remissione dei peccati, e non si può dire neppure che dichiari Dio iniquo quando nei figli condanna i peccati altrui già perdonati nei genitori. - Sant'Ambrogio non è uno di quelli che fanno del diavolo il creatore degli uomini, che condannano il matrimonio e che ritengono la natura umana incapace di virtù. Appartiene piuttosto alla schiera di coloro che ritengono e professano Dio sommo e sommamente buono, unico Creatore di tutto l'uomo, di tutta l'anima cioè e di tutto il corpo, che onorano il matrimonio nella bontà del suo grado e non disperano che l'uomo possa essere perfettamente giustificato. Come vedete, tre delle vostre argomentazioni sono annientate dall'autorità di tanto uomo e non possono essere ulteriormente usate contro di noi che sul peccato originale diciamo le stesse cose dette da lui: non ha attribuito al diavolo la creazione dell'uomo, non ha condannato il matrimonio, né ha ritenuto impossibile per la natura dell'uomo raggiungere la perfezione della giustizia.Altra testimonianza di Ambrogio contro tutti gli argomenti dei pelagiani.
3. 5. Vediamo ora cosa pensava quell'uomo delle rimanenti due vostre argomentazioni riferentesi al battesimo e come vi stritola con la sua immensa autorità. Nel libro Contro i Novaziani scrive: "Tutti gli uomini nascono sotto il peccato e la stessa nostra origine è nella colpa, come si può leggere negli scritti di Davide: Ecco, nel delitto io fui procreato e nel peccato mi concepì mia madre 8. Per questo la carne di Paolo era corpo di morte come egli stesso affermava: Chi mi libererà da questo corpo di morte? 9 La carne di Cristo invece condannò il peccato, che non sentì nascendo, e che crocifisse morendo, affinché nella nostra carne vi fosse la giustificazione per mezzo della grazia, laddove prima c'era la confusione della colpa" 10. Per la verità qui vengono demolite insieme tutte le vostre argomentazioni. Se tutti noi uomini nasciamo sotto il peccato e la nostra stessa origine è nella colpa, come puoi obiettarmi che faccio del diavolo il creatore degli uomini, dal momento che affermo le stesse cose di Ambrogio, che mai ha dichiarato il diavolo creatore degli uomini? Se Davide, proprio perché la nostra stessa origine è nella colpa, esclama: Ecco, nel delitto io fui procreato e nel peccato mi concepì mia madre 11, e queste parole non incolpano l'unione matrimoniale ma il peccato originale, per qual motivo affermi che io condanno il matrimonio, mentre non oseresti mai dirlo di Ambrogio? La carne di Paolo, proprio perché tutti noi uomini nasciamo sotto il peccato e la nostra stessa origine è nella colpa, era un corpo di morte, secondo le sue parole: chi mi libererà da questo corpo di morte? 12 Ti rendi conto che in queste parole l'Apostolo ha voluto includere anche se stesso? Mentre il suo uomo interiore si dilettava della legge di Dio, avvertiva nelle sue membra un'altra legge che contrastava la legge delle sua mente, e per questo diceva che la sua carne era un corpo di morte. Nella sua carne non abitava il bene e, di conseguenza, non compiva il bene che voleva, ma il male che odiava 13. Tutta la vostra causa è respinta, demolita, stritolata e, come pula che il vento sospinge dalla superficie della terra 14, così la vostra causa sarebbe spazzata via dal cuore di coloro che avevate cominciato ad ingannare se, mettendo da parte la polemica, riflettessero su queste cose. Che forse l'apostolo Paolo non era battezzato? O non gli era stato rimesso qualche peccato originale o personale, commesso per ignoranza o con avvertenza? Perché diceva queste cose se non perché ciò che scrivo nel mio libro, a cui ti vanti di avere risposto, è assolutamente vero? Questa legge del peccato che si trova nelle membra di questo corpo di morte è stata rimessa nella rigenerazione spirituale ma rimane nella carne mortale. È stata rimessa poiché il reato è stato sciolto dal sacramento in virtù del quale rinascono i fedeli, ma rimane poiché genera i desideri contro cui lottano anche i fedeli. Tutto questo sconvolge dalle fondamenta la vostra eresia. Fino a tal punto voi lo comprendete e temete che, per venir fuori da queste parole dell'Apostolo, non trovate altra via che asserire, con tutta l'energia possibile, che non vi si deve vedere la persona dell'Apostolo, bensì quella di un qualunque giudeo posto ancora sotto la legge e non sotto la grazia, contro di cui combatte l'abitudine della sua cattiva tendenza. Quasi che nel battesimo si perda la forza della tendenza e i battezzati non abbiano a combattere contro di essa e con tanta maggiore forza ed energia quanto maggiormente vogliono piacere a Colui, dalla cui grazia sono aiutati perché non siano sconfitti in questa lotta. Se volessi riflettere con più attenzione e senza testardaggine, nella stessa forza della tendenza scopriresti che la concupiscenza è stata rimessa nel reato, ma rimane nell'atto. Non si può dire infatti che non accada nulla nell'uomo quando è agitato dagli stimoli della concupiscenza, anche se non acconsente. Purtuttavia l'Apostolo chiamava la sua carne corpo di morte non per la forza della tendenza, ma per il fatto - Ambrogio l'ha capito molto bene - che tutti nasciamo sotto il peccato e la nostra stessa origine è nella colpa. Non poteva dubitare che il reato di questa colpa fosse stato rimesso nel battesimo. Combattendo però contro la sua irrequietezza, in un primo tempo temeva di essere da essa vinto e soggiogato. Più tardi, quantunque non sconfitto, preferiva non il combattere più a lungo, bensì non avere il nemico, allorquando esclamava: Me infelice! Chi mi libererà da questo corpo di morte? La grazia di Dio per mezzo di Gesù Cristo, nostro Signore 15. Ben sapeva che la grazia di Cristo che ci aveva liberati dal reato originale con la spirituale rigenerazione, poteva liberarci da questa spinta della concupiscenza. Questa guerra che in noi stessi abbiamo cominciato a combattere contro di noi, la sperimentano in se stessi e non la possono negare i forti vincitori della libidine e non i suoi impudentissimi adulatori.Una testimonianza di Cipriano dalla lettera Sull'orazione del Signore.
3. 6. Il vittorioso Cipriano nella sua lettera Sulla Preghiera del Signore dice: "Noi chiediamo che si faccia la volontà di Dio in cielo ed in terra: entrambe le petizioni si riferiscono al raggiungimento della nostra incolumità e salvezza. Possedendo un corpo che viene dalla terra ed uno spirito che viene dal cielo, siamo noi stessi terra e cielo e, di conseguenza, preghiamo che la volontà di Dio si faccia nell'una parte e nell'altra, nel corpo cioè e nello spirito. Tra il corpo e lo spirito c'è una lotta. Essendoci discordanza tra di loro, c'è una lotta quotidiana reciproca e così finiamo per non fare quello che vogliamo. Lo spirito cerca le cose celesti e divine, mentre la carne aspira alle cose terrene e secolari. Per questo chiediamo che con l'aiuto e l'opera di Dio tra i due si faccia pace, affinché, mentre nel corpo e nell'anima si fa la volontà di Dio, l'anima che per lui è rinata si salvi. L'apostolo Paolo lo dichiara apertamente e manifestamente: La carne, infatti, ha voglie opposte allo spirito e lo spirito desideri opposti alla carne: essi stanno in lotta tra loro, così che voi non fate ciò che vorreste 16" 17. Osserva in che modo l'illustre Dottore istruisce il suo popolo battezzato - chi non sa che la Preghiera del Signore si riferisce ai battezzati? - per capire che l'incolumità umana e la salvezza della natura stanno non nel fatto che la carne e lo spirito, quali nemici naturali, si separino, secondo la pretesa dell'insipienza manichea, ma piuttosto nel fatto che, sanati, ritrovino la concordia dopo il vizio della discordia. Questo significa essere liberati dal corpo di questa morte. Quello che era un corpo di morte diventi un corpo di vita dopo che è morta in esso la morte per la fine della discordia, non della natura. Per quale altro motivo si direbbe: Dov'è, o morte, la tua vittoria? 18 Che questo non abbia il suo compimento in questa vita ce lo attesta ancora il Martire nella sua lettera Sulla mortalità dove dice che l'apostolo Paolo desidera dissolversi ed essere con Cristo 19 per non essere più a lungo soggetto ai peccati e ai difetti della carne 20. Con quanta precisione nella lettera sul Padre Nostro parla contro il vostro dogma, secondo il quale riponete troppa fiducia nella vostra forza! Così, infatti, egli insegna: "È necessario chiedere a Dio più che presumere delle proprie forze, affinché la grazia divina più che la virtù umana ottenga la concordia tra la carne e lo spirito" 21. Perfetta, così, è l'armonia con l'Apostolo che dice: Chi mi libererà da questo corpo di morte? La grazia di Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore 22.Testi di Gregorio di Nazianzo sulla lotta interiore nei battezzati.
3. 7. Anche san Gregorio lo attesta dicendo: "Quando l'anima si trova nelle fatiche e nelle angustie, quando è ostilmente oppressa dalla carne, ricorre a Dio e sa dove chiedere aiuto" 23. E perché nessuno pensi che le parole del vescovo Gregorio: "la carne che ostilmente opprime" significhino la natura avversa del male secondo la insana mente dei manichei, nota come è perfettamente in armonia con i suoi colleghi e fratelli dottori insegnando che non per altri motivi lo spirito ha desideri contro la carne se non perché entrambi tornino al proprio Creatore, dopo l'aspro combattimento di questa vita, nel quale si cimentano tutti i Santi. Nel suo Apologetico, infatti, scrive: "Non ancora faccio menzione dei combattimenti con cui siamo contrastati internamente dai nostri vizi edalle nostre passioni, mentre, giorno e notte siamo tormentati dai brucianti stimoli di questo corpo di bassezza e di morte, che, ora occultamente ora apertamente, ci provocano e ci irritano con la seduzione delle cose visibili e con il fango di questa feccia a cui siamo attaccati e che esala dalle sue larghe vene il fetore della sua sozzura. Siamo tormentati anche dalla legge del peccato che è nelle nostre membra, e che ripugna alla legge dello spirito, mentre cerca di fare prigioniera l'immagine regale che è dentro di noi per mettere tra le sue spoglie tutto quanto ci era derivato dal beneficio della nostra primitiva divina condizione. Proprio per questo, col sostegno di una lunga ed acuta ricerca filosofica e ricordando a poco a poco la nobiltà della sua anima, a stento qualcuno riesce a richiamare ed a rivolgere a Dio la natura di luce che nel proprio interno è legata a questo basso e tenebroso fango. Operando con l'aiuto di Dio li porterà entrambi alla concordia purché con lunga ed assidua meditazione l'uomo si abitui a guardare sempre in alto e, legandola a sé con freni più saldi, si abitui a sollevare in alto la materia che lo appesantisce e lo trascina verso il male" 24. Sappi riconoscere, Giuliano, figlio mio, le concordi voci cattoliche e smettila di dissentire da esse. Quando il beato Gregorio dice: "...siamo contrastati dai nostri vizi e dalle nostre passioni e notte e giorno siamo tormentati da brucianti stimoli..." 25, egli parla quale battezzato e parla a persone battezzate. Quando parla della "legge del peccato che è nelle nostre membra, e che ripugna alla legge dello spirito" 26, egli parla quale battezzato e parla a gente battezzata. Questa lotta riguarda i cristiani fedeli, non i giudei infedeli. Se non combatti, abbi la forza di credere; se combatti, riconoscilo e con questa lotta sconfiggi la ribelle presunzione dell'errore pelagiano. Non comprendi ormai, non distingui e non riconosci che nel battesimo sono rimessi tutti i peccati e tuttavia nei battezzati permane quasi una guerra civile tra le interne tendenze? Queste tendenze, naturalmente, non possono ancora essere dette peccato fino a quando la concupiscenza non conduce lo spirito ad opere illecite e di conseguenza concepisce e partorisce il peccato. Esse, però, non sono fuori di noi e per vincerle è necessario impegnarsi cimentandoci positivamente in questo conflitto. Esse ci appartengono. Sono le passioni, sono i vizi che dobbiamo frenare, arrestare, sanare. Sono molto moleste mentre le curiamo. Pur se perdono virulenza man mano che avanziamo verso il meglio non cessano di esistere finché viviamo quaggiù. Finiranno solo quando l'anima pia lascerà questo corpo e certamente non rivivranno nel corpo risorto.Il pensiero dei Padri sulla carne del peccato.
4. 8. Torniamo al beato Ambrogio che dice: "Anche il corpo di Paolo era un corpo di morte, come egli stesso dichiara: Chi mi libererà da questo corpo fonte di morte?" 27. Questo ha inteso Ambrogio, questo Cipriano, questo Gregorio per non dire degli altri maestri dotati di altrettanta autorità. A questa morte alla fine si dirà: Dov'è o morte la tua vittoria? 28 Questa è la grazia dei rigenerati, non dei generati. "La carne di Cristo, infatti, aggiunge Ambrogio, condannò il peccato che non sentì quando nacque e che crocifisse morendo" 29. Quando nacque non lo senti in sé, quando morì lo crocifisse in noi. La legge del peccato dunque che ripugna alla legge della mente e che si trovava pure nelle membra di un così grande Apostolo, è rimessa nel battesimo, ma non scompare. Di questa legge della carne che ripugna alla legge della mente, nulla prese il corpo di Cristo, perché la Vergine non lo concepì da essa. Da questa legge della carne, però, che ripugna alla legge dello spirito, tutti gli uomini, nella prima nascita, hanno ricevuto la medesima legge perché tutte le donne hanno concepito da essa. Proprio per questo il venerando Ilario non ebbe timore di affermare: "Ogni carne viene dal peccato" 30. Dicendo questo ha forse negato che viene da Dio? Quando diciamo che la carne viene dalla carne e che la carne viene dall'uomo, neghiamo forse che viene da Dio? Viene da Dio perché Dio la crea, viene dall'uomo perché l'uomo la genera, viene dal peccato perché il peccato porta il vizio. Dio però che ha generato il Figlio coeterno a sé, che in principio era il Verbo per mezzo del quale ha creato tutto ciò che non era, e l'ha creato uomo senza difetto, facedolo nascere per mezzo di una Vergine, ma non dal seme di un uomo. In lui egli rigenera l'uomo generato e sana il viziato, subito dal reato e a poco a poco anche dalla infermità. Il rigenerato, se possiede già l'uso di ragione, deve combattere contro la debolezza, sotto lo sguardo e l'aiuto di Dio, come in una gara: La virtù si perfeziona nella debolezza 31, nel mentre che la parte di noi orientata alla giustizia si scontra con l'altra parte di noi che tende a staccarsi dalla giustizia. Se vince quella orientata alla giustizia, tutto s'innalza verso il meglio; se vince quella che si stacca dalla giustizia, tutto precipita verso il peggio. Il bambino invece, in cui non c'è l'uso della ragione, di propria volontà non sta né nel bene né nel male. I suoi pensieri non pendono né in un senso né nell'altro. Entrambi sono sopiti in lui, sia il bene naturale della ragione, sia il male originale del peccato. Con l'avanzare degli anni, si sveglia la ragione, giunge il comando e rivive il peccato. Iniziando il combattimento contro di esso, apparirà ciò che era nascosto ed allora, qualora vincesse il peccato, egli sarebbe condannato; se invece lo sconfiggesse, sarebbe salvo. Questo non significa tuttavia che il fanciullo non ne avrebbe alcun danno nel caso morisse prima che esso si manifesti poiché il reato di quel male, - non quello per cui il cattivo è reo, ma quello per cui rende reo colui nel quale si trova - viene contratto con la generazione ed è tolto soltanto con la rigenerazione. Proprio per questo i bambini vengono battezzati affinché non solo godano il bene del regno di Cristo, ma siano altresì sottratti al male del regno della morte. Tutto questo non può avvenire se non per opera di Colui che "condannò con la sua carne il peccato che non sentì quando nacque e che crocifisse quando morì affinché nella nostra carne ci fosse la giustizia per la grazia, laddove c'era stata la caduta per la colpa" 32.La legge del peccato, un vizio della sostanza, che occorre frenare e risanare.
4. 9. Queste parole di Ambrogio, quindi, dimostrano che il diavolo non ha creato l'uomo con la bontà, ma lo ha viziato con la malizia; che il male della concupiscenza non ha tolto la bontà al matrimonio; che nel sacramento del battesimo è sciolto il reato di tutti i peccati; che Dio non è ingiusto se, per la legge della giustizia, condanna chi è diventato colpevole per la legge del peccato, anche se è nato sotto quella legge che non può più rendere colpevole il suo genitore appunto perché egli è rinato. Se questo è vero, perché disperare della virtù che si perfeziona nella debolezza, dal momento che proprio per merito della carne di Cristo, che condanna il peccato, non sentito nella nascita e crocifisso nella morte, avviene la giustificazione nella nostra carne per mezzo della grazia, laddove c'era stata la caduta per la colpa? Le vostre cinque argomentazioni con cui vorreste spaventare gli uomini, non turberanno né gli altri né voi, se ascolterete Ambrogio, Cipriano, Gregorio e gli altri santi cattolici ed illustri maestri, ed anche voi stessi. Essi vi dicono che la legge del peccato, insita nelle membra dell'uomo e ripugnante alla legge della mente 33, proprio per la voglia che ha contro lo spirito 34, ingenera nei santi battezzati la necessità di combattere. Ma contro che cosa combattere se non contro il male, che non è sostanza, ma solo difetto della sostanza, che non dovrà essere imputato per la grazia di Dio che ci rigenera, che dovrà essere frenato con la grazia di Dio che ci aiuta e che dovrà essere sanato dalla grazia di Dio che ci premia?Ambrogio attesta che la lotta interiore deriva dal peccato di Adamo.
5. 10. Non vorrei che tu abbia a dire che i battezzati combattono contro le cattive abitudini contratte nella vita precedente anziché contro il male con cui sono nati. Se affermi questo, senza dubbio vedi ed ammetti che nell'uomo c'è qualcosa di male, non in se stesso, ma nel reato che da esso è stato contratto e vien tolto nel battesimo. Tuttavia, poiché questo sarebbe troppo poco per la soluzione della questione se non si dimostrasse che esso è stato ingenerato in noi dal peccato del primo uomo, ascolta bene ciò che ancora più espressamente Sant'Ambrogio dichiara nell'Esposizione del Vangelo secondo Luca. Spiegando in diverse maniere, ma tutte conformi all'unica regola della fede, il passo nel quale il Signore afferma esservi in una casa persone divise tra di loro, tre contro due,e due contro tre 35, scrive: "Possiamo vedervi rappresentati anche il corpo e l'anima che vivono in una stessa casa, separati dal fetore, dal contatto e dal gusto della lussuria, dividendosi contro gli assalti dei vizi, quando si sottomettono alla legge di Dio e si allontanano dalla legge del peccato. Benché il loro dissidio per la prevaricazione del primo uomo sia divenuto una seconda natura, tanto che non si accordano più nelle inclinazioni alla virtù, diventati assolutamente impari, tuttavia, quando sia l'avversione sia la legge dei comandamenti sono stati annullati dalla Croce del Signore che ci ha salvati, si riuniscono nell'armonia del rapporto, dopo che Cristo, nostra pace, scendendo dal cielo, fece di entrambi una cosa sola 36" 37. Nella stessa opera, parlando del cibo spirituale ed incorruttibile, scrive: "La ragione è il cibo della mente, nobile e dolce alimento, che non appesantisce le membra e le rivolge non alle vergogne, ma agli ornamenti della natura, allorquando il pantano dei piaceri è trasformato in tempio di Dio ed il ritrovo dei vizi in sacrario di virtù. Tutto questo avviene quando la carne, tornando alla sua natura, riconosce la nutrice della sua forza e, dopo aver deposto la sfida temeraria dell'arroganza, si sottopone alla volontà dell'anima moderatrice. Tale essa fu quando ricevette come abitazione i luoghi appartati del Paradiso prima che, infetta dal veleno del serpente pestilenziale, conoscesse una fame sacrilega e, con avida voracità, cancellasse l'impronta dei divini comandi, impressa nell'anima sensitiva. Da qui, si dice, ha tratto origine il peccato, e l'anima e il corpo ne sono stati i genitori; mentre la natura del corpo viene tentata, l'anima malferma subisce la stessa passione. Se l'anima avesse frenato la cupidigia del corpo, l'origine del peccato sarebbe stata uccisa al suo sorgere. L'anima, invece, corrotta nel suo vigore, appesantita da oneri altrui, generò il peccato come in una funesta gravidanza dietro l'impulso del corpo virile" 38.Lo stesso dottore considera ormai naturale la discordia dell'anima e della carne.
5. 11. In questo passo il santo dottore Ambrogio, tanto eccellentemente lodato dalla bocca del tuo maestro, ha chiarito molto apertamente cosa sia e donde venga il peccato originale. Ha chiarito molto bene donde è venuta quella prima confusione, la disobbedienza cioè della carne che dissente dall'anima, e come tale dissidio fu sanato dalla grazia di Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore. Ecco perché la carne ha voglie contro lo spirito ed ecco perché nelle membra c'è una legge che ripugna alla legge della mente. Il dissidio dell'anima e della carne è diventato una natura, e per questi dissidi in noi abbondano le miserie che non potranno cessare se non in virtù della misericordia di Dio. Non metterti più contro di me. Se lo fai ancora devi renderti conto contro quali e quante persone ti metti. Tu mi accusi che faccio di tutto per non essere capito. In alcuni passi hai interpretato il mio pensiero a tuo piacimento, abusando della mente più lenta degli uomini che non si rendono conto che tu hai voluto non tacere piuttosto che abbia potuto rispondere con i tuoi quattro libri al mio volume. Ecco che Ambrogio fa scorrere un chiaro e profondo fiume di eloquenza: non c'è posto dove il lettore possa esitare, o dove chi ascolta possa fraintendere. Molto chiaramente egli dice che l'Apostolo in tanto ha esclamato: Chi mi libererà da questo corpo di morte? 39 in quanto tutti nasciamo sotto il peccato e la stessa nostra origine è nella colpa. Molto chiaramente dice che Cristo Signore fu senza peccato perché, nato da una Vergine, non era tenuto legato dai vincoli della schiavitù, comune alla natura umana, e appunto per questo poté condannare il peccato che non sentì quando nacque. Molto chiaramente dichiara che il dissidio tra il corpo e l'anima è diventato una seconda natura per la prevaricazione del primo uomo. Molto chiaramente sostiene che la carne, pantano di vizi e ritrovo di piaceri, si trasformerà in tempio di Dio e in sacrario di virtù, solo quando, tornata alla sua natura, riconoscerà la nutrice della sua forza e, deposta la sfida temeraria dell'arroganza si sottoporrà alla volontà dell'anima moderatrice, quale essa fu quando ricevette come abitazione i luoghi apportati del Paradiso prima che fosse infettata dal veleno pestifero del serpente. Perché vai ancora cercando quali libri scrivere contro di me? Guarda lui, osa pure qualcosa contro di lui che scoprì il veleno della vostra eresia prima ancora che essa nascesse, e preparò questi antidoti perché lo si potesse espellere. Se tutto questo non è sufficiente, ascolta ancora.L'immagine ambrosiana dei cavalli buoni e cattivi.
5. 12. Nel libro Su Isacco e l'Anima egli scrive: "Il buon cavaliere frena e richiama i cavalli selvaggi ed incita i buoni. I cavalli buoni sono quattro: prudenza, temperanza, fortezza, giustizia; i cavalli selvaggi sono: ira, concupiscenza, timore, iniquità" 40. Ha detto forse che il buon cavaliere possiede i cavalli buoni e non quelli selvaggi? No, ma "i buoni li incita e i selvaggi li frena e richiama". Donde vengono questi cavalli? Se li diciamo o li crediamo sostanze, noi favoriamo o aderiamo all'insipienza dei manichei. Lungi da noi! Secondo la visione cattolica noi siamo convinti che i cavalli sono i nostri vizi, che per la legge del peccato resistono alla legge della mente. Questi vizi, separati da noi, non continueranno ad esistere da qualche parte, ma, sanati in noi, non esisteranno più. Perché mai dunque non sono scomparsi nel battesimo? Non vuoi ancora ammettere che il loro reato non esiste più - non il reato per il quale essi erano rei, ma il reato per il quale ci hanno fatti rei nelle cattive azioni a cui ci avevano indotti -, mentre la loro infermità è rimasta? La loro infermità è rimasta, ma non come fossero animali che si ammalano, bensì nel senso che essi stessi sono la nostra infermità. Neppure si deve credere che in quei cavalli selvaggi ha chiamato iniquità quella che è distrutta nel battesimo. Quella infatti era l'iniquità dei peccati commessi, che sono stati rimessi tutti e che ora non esistono più, ed il cui reato era presente soltanto mentre venivano commessi e passavano via. Questa legge del peccato che rimane, mentre il suo reato è stato rimesso nel sacro fonte, l'ha chiamato iniquità perché è iniquo che la carne abbia voglie contro lo spirito, anche se nel nostro rinnovamento c'è la giustizia, perché è giusto che lo spirito abbia desideri contro la carne ed è giusto che camminiamo secondo lo spirito e non poniamo in atto le voglie della carne. Questa nostra giustizia la troviamo nominata tra i cavalli buoni.Altro testo ambrosiano sulla legge del peccato.
5. 13. Ascolta ancora quanto scrive nel libro Sul Paradiso: "Probabilmente l'apostolo Paolo ha detto: Ciò che non è permesso a uomo ripetere 41, perché si trovava ancora nel suo corpo, vedeva cioè le sue passioni e la legge della sua carne che ripugnava alla legge della sua mente" 42. Un po' più avanti continua: "Quando egli parla del serpente come più sapiente 43, tu capisci che vuol parlare del nostro avversario che tuttavia possiede la sapienza di questo mondo. Anche la voluttà ed il piacere sono giustamente detti sapienti, perché anche quella della carne è detta sapienza, secondo quanto è scritto: La sapienza della carne è nemica di Dio 44. Quelli che ricercano i piaceri sono molto astuti nello scovare ogni genere di diletto. Se la s'intende come ricerca del piacere, certamente è contraria al comando divino ed è nemica ai nostri sensi. Per questo S. Paolo dice: Sento nella mia carne un'altra legge in conflitto con la legge della mia ragione, che mi tiene prigioniero della legge del peccato esistente nelle mie membra 45" 46. È facile capire di quale piacere il nostro maestro intenda parlare in questo passo, dal momento che si serve della testimonianza dell'Apostolo: Sento nelle mie membra un'altra legge in conflitto con la legge della mia ragione, che mi tiene prigioniero della legge del peccato esistente nelle mie membra. Questa legge è il piacere di cui hai preso la difesa, quantunque ne condanni gli eccessi. Quale essa sia tu lo confessi apertamente, ma con tante belle parole la difendi e la lodi quando è moderata, quasi che essa stessa ne avesse fissato la misura e non lo spirito che ha desideri contro il suo impeto. Contro di essa invece resisteva tenacemente colui che esclamava: Sento nelle mie membra un'altra legge in conflitto con la legge della mia ragione. Se si lasciasse libero verso quali nefandezze non farebbe scivolare? In quali abissi non trascinerebbe e non farebbe precipitare? Bisogna convincersi - ed è la cosa che maggiormente c'interessa ora - che l'apostolo Paolo non intendeva parlare di un giudeo qualsiasi, secondo la vostra interpretazione, ma di se stesso, secondo l'interpretazione di Ambrogio, quando dice: Sento nelle mie membra un'altra legge in conflitto con la legge della mia ragione, che mi tiene prigioniero della legge del peccato esistente nelle mie membra. Nella stessa opera, in un altro passo, Ambrogio continua: "S. Paolo viene attaccato e vede la legge della sua carne in conflitto con la legge della sua ragione, che lo tiene prigioniero della legge del peccato. Egli non presume della sua coscienza, ma confida nella grazia di Cristo per essere liberato da questo corpo di morte. Come puoi pensare che un saggio non può peccare? Paolo afferma: Non faccio il bene che voglio, ma commetto il male che non voglio 47, e tu continui a credere che all'uomo possa giovare la scienza per accrescere l'odio al peccato?" 48. Nella stessa opera, il santo vescovo, rivolgendo il discorso a tutti noi, tratta con cura la causa.comune dicendo: "La legge della carne è in conflitto con la legge della mente e noi dobbiamo lavorare e sudare per castigare il nostro corpo, per ridurlo alla servitù e per seminare le cose dello spirito" 49.Esortazione di Ambrogio al combattimento spirituale.
5. 14. In un altro libro Sul Sacramento della rigenerazione o Sulla Filosofia, scrive: "Beata pertanto la morte che ci sottrae al peccato per trasformarci in Dio. Chi è morto è liberato dal peccato 50. Che forse qualcuno è liberato dal peccato solo quando muore? No davvero, poiché chi muore peccatore, rimane nel peccato. È liberato dal peccato solo colui al quale per mezzo del battesimo vengono rimessi tutti i peccati". Hai qualcosa da dire al riguardo? Vedi come il venerando uomo spiega che nel battesimo la morte dell'uomo diventa beata, perché in esso sono rimessi tutti i peccati? Ma fa' attenzione, ti prego, fa' attenzione a quello che non vuoi capire. "Abbiamo compreso, è sempre Ambrogio che scrive, come si muore misticamente. Consideriamo ora come deve essere la sepoltura. Non è sufficiente che muoiano i vizi, se non marcisce la lussuria del corpo, se non si sciolgono tutti i legami della carne e se non si allentano tutti i nodi delle abitudini corporali. Nessuno si illuda di aver perso un altro aspetto, di aver ricevuto mistici precetti e di aver impegnato il suo animo nella disciplina della continenza. Noi non facciamo quello che vogliamo, ma quello che abbiamo in odio. Molte cose opera in noi il peccato. Nonostante i nostri sforzi contrari, i piaceri risorgono e tornano a vivere in noi. Dobbiamo lottare contro la carne. Contro di essa dovette lottare Paolo, che alla fine esclama: Sento nelle mie membra un'altra legge in conflitto con la legge della mia ragione, che mi tiene prigioniero della legge del peccato esistente nelle mie membra 51. Sei forse più forte di Paolo? Non credo che vorrai confidare nella premurosa carne ed affidarti a lei, quando Paolo andava ripetendo: So bene infatti che il bene non dimora in me, vale a dire nella mia carne, perché volere il bene è alla mia portata, ma praticarlo no; non faccio il bene che voglio, ma commetto appunto il male che non voglio. E se io faccio ciò che non voglio, non sono più io che lo compio, bensì il peccato che abita in me 52". Per quanto grande sia, o Giuliano, l'ostinazione dell'animo cui ti lasci guidare, per quanto grande sia la caparbietà con cui ti opponi a noi nella difesa dell'errore pelagiano, altrettanto grande è l'evidenza dei fatti con i quali il beato Ambrogio ti assedia e la chiarezza degli argomenti con i quali ti bersaglia. Se nessuna ragione, nessun pensiero, nessuna considerazione di religione, di pietà, di umanità, di verità da scoprire in te stesso, ti revoca dalla cocciuta ostinazione, possa mostrare qual grande male è l'essere giunti in un punto nel quale non è più lecito restare e dal quale ci si vergogna di tornare indietro. Sarà questa la condizione in cui ti troverai quando avrai letto le mie parole. Ma, volesse il cielo che nel tuo cuore vinca la pace di Cristo e una penitenza salutare abbia il sopravvento su una cattiva vergogna!Il pensiero di Ambrogio sul piacere della concupiscenza.
6. 15. Ora rifletti un po' su questa legge del peccato, le cui sollecitazioni l'uomo mortale casto deve sopportare ed a cui la castità dei coniugati si affatica ad imporre una misura quando la concupiscenza della carne ed il piacere che tu esalti sono eccitati ed esercitano il loro impeto contro il proposito della volontà, anche se, quando sono frenati, non si compie azione alcuna. Osserva dunque un tantino come da questa legge del peccato è generato ogni uomo, che, di conseguenza, contrae il peccato originale. Lo afferma Sant'Ambrogio nello stesso libro Sul Sacramento della rigenerazione o Sulla Filosofia. "C'è una casa, egli scrive, edificata dalla sapienza 53, ed una mensa ricolma di celesti sacramenti nella quale il giusto mangia il cibo del piacere divino, gustando la soave bevanda della grazia, se si rallegra nell'abbondanza dei suoi eterni meriti. Volendo generare questi figli, Davide aveva in orrore quei frutti dell'unione carnale e desiderava essere purificato al sacro fonte perché la grazia spirituale lavasse la macchia carnale e terrena. Ecco nel delitto io fui procreato e nel peccato mi concepì mia madre 54. Eva ha partorito male per lasciare quel parto in eredità alle donne, cosicché tutti, tuffati nelle viscere genitali, formati nel piacere della concupiscenza, coagulati nel sangue e avvolti in panni, prima ancora di bere il dono dello spirito vitale, subiscono il contagio della colpa". Se un po' di sensibilità umana non ti ha abbandonato ancora del tutto, cerca di capire cosa ha detto del piacere, al quale tu offri uno sfacciato patrocinio, il venerato dottore Ambrogio, esaltato - bisogna dirlo spesso - dalla testimonianza del tuo stesso maestro. Tutti sono stati formati in essa, tutti sono stati concepiti con essa nelle viscere genitali e con essa sono stati coagulati nel sangue ed avvolti nei panni, non in quelli di lana o di lino o di altro materiale simile, con i quali sono avvolti i bambini appena nati, ma in quelli di una origine viziata, tramandati come per eredità. Sicché tutti subiscono il contagio delle colpe, prima ancora di respirare il soffio di quest'aria vitale, nella quale chi nasce è immerso come in una immensa fonte di comune ed inesauribile alimento dopo l'oscuro respiro delle viscere materne, e per piangere nella nascita il reato contratto prima ancora di nascere. Non dovevano forse arrossire quei primi uomini per l'impeto di questa concupiscenza, al quale anch'essi apparivano soggetti, mentre i loro figli erano destinati ad essere ugualmente soggetti al peccato dei genitori? Volesse il cielo che come essi arrossirono perché avevano nude quelle parti del corpo, in cui avvertivano la disobbedienza della libidine, così tu, obbedendo alla fede cattolica, arrossissi per avere lodato quelle cose di cui bisognava arrossire!Cosa scrisse sulla vergogna dei primi uomini.
6. 16. Esamina inoltre quanto lo stesso dottore ha scritto nel libro Sul Paradiso in merito al coprirsi con le foglie di fico: "La cosa più importante è che Adamo, secondo questa interpretazione, si cinse nel punto dove avrebbe dovuto cingersi maggiormente a causa del frutto della castità. Si dice che nei lombi che noi cingiamo ci siano alcuni semi di generazione, e per questo a torto si cinse Adamo con inutili foglie di fico laddove voleva indicare non il frutto futuro della futura generazione, ma soltanto certi peccati" 55. In questo punto il nostro Santo ha reso vana la tua tanto elaborata dissertazione forse troppo affrettata, perché non si credesse che Adamo ed Eva, dopo il peccato, abbiano cinto i loro lombi ad occhi aperti 56. Affaticandoti con la tua eccessiva loquacità andavi contro il senso comune di tutti e desideravi intrappolare tutti con lo strepito delle tue chiacchiere. Che c'è di più semplice per coprire o cingere i lombi degli uomini che le mutandine o la cintura, chiamate in greco perizomata o muniturae presso il popolino? L'uomo di Dio, con le cui parole ti sto confutando, non l'ha esposto come se si trattasse di qualcosa di misterioso. Con semplicità ha illustrato il significato di una cosa che tutti conoscevano: "Nei lombi che ci cingiamo si dice che ci siano alcuni semi di generazione e perciò a torto si cinse Adamo con foglie inutili". Perché a torto? Continua spiegando: "nel punto dove voleva indicare non il frutto futuro della futura generazione, ma alcuni peccati". Puoi rispondere qualcosa? Ecco donde è derivata quella confusione, la necessità di cingersi di foglie, ed il peccato originale per i posteri.Il pensiero del Crisostomo sullo stesso argomento.
6. 17. San Giovanni, vescovo di Costantinopoli, per quanto gliel'ha potuto permettere il pudore, ha espresso con due parole chiare ciò che fece arrossire quei primi uomini: "Erano ricoperti con foglie di fico per coprire una specie di peccato". Chi non comprende quale tipo di peccato dovevano coprire nella regione lombare coloro che prima del peccato non arrossivano affatto della nudità? Cercate di capire, vi prego. E cercate di far capire gli uomini che seguono il vostro pensiero e non vogliate costringerci a parlare più a lungo, quasi impudentemente, di cose di cui dobbiamo vergognarci.La circoncisione come segno del battesimo.
6. 18. Giustamente anche il beato Giovanni, come pure il martire Cipriano, ci ricordano che la circoncisione della carne è stata imposta come simbolo del battesimo. "Vedi, egli scrive, come i giudei non differivano la circoncisione a cagione della minaccia che chiunque non fosse stato circonciso entro l'ottavo giorno sarebbe stato escluso dal loro popolo 57. Tu invece vuoi differire una circoncisione fatta non da mano di uomo, che si ottiene nel corpo con la spoliazione della carne, proprio mentre ascolti la parola stessa del Signore che dice: In verità, in verità vi dico: nessuno, se non nasce da acqua e Spirito, può entrare nel regno di Dio 58?" 59. Capisci come quest'uomo, conoscitore della dottrina della Chiesa, paragona una circoncisione ad una circoncisione ed una minaccia ad una minaccia? Quello che significava non essere circoncisi entro l'ottavo giorno, significa non essere battezzati in Cristo; quello che significava essere escluso dal suo popolo, significa non entrare nel regno di Dio. Ciò nonostante voi pretendete che nel battesimo dei bambini si celebri la spoliazione della carne, la circoncisione cioè fatta non da mano di uomo, perché, a vostro dire, essi non hanno nulla di che essere spogliati. Non li credete, infatti, morti nel prepuzio della propria carne, con cui è significato il peccato, soprattutto quello che si contrae con la nascita. Ma proprio per questo il nostro corpo è un corpo di peccato, che, secondo l'Apostolo, viene svuotato dalla Croce di Cristo 60.Contro i platonici Ambrogio insegna che l'anima e il corpo sono opere di Dio.
7. 19. A questo punto ho deciso di controbatterti con le tesi dei vescovi che ci hanno preceduto e che hanno esaminato le parole divine con fedeltà ed in maniera mirabile. Torniamo quindi al vescovo Ambrogio. Egli non dubita affatto che tutto l'uomo, anima e corpo, è opera di Dio; onora il matrimonio; insegna che nel battesimo di Cristo sono rimessi tutti i peccati; riconosce che Dio è giusto e non nega che la natura umana con l'aiuto della grazia di Dio è capace di virtù e di perfezione. Le cinque argomentazioni consistono nel sostenere che nessuna di esse può essere vera, a meno che non sia falso che quelli che nascono contraggono il peccato originale. Ambrogio, nei suoi discorsi, tuttavia, al momento più opportuno pone proprio questo peccato, che voi mediante le vostre cinque argomentazioni cercate di sradicare, cosicché sia chiaro a tutti quello che la verità cattolica e quello che predica la profana innovazione cerca di distruggere. O forse dubitate che Ambrogio ha creduto ed insegnato che Dio è il creatore di tutto l'uomo, dell'anima cioè e del corpo? Ebbene, ascolta ciò che, nel libro Sulla Filosofia, contro il filosofo Platone, il quale asseriva che le anime degli uomini si mutavano in bestie e riteneva Dio creatore soltanto delle anime, mentre i corpi li riteneva creati da dèi minori, scrive Ambrogio: "Mi meraviglio che un così grande filosofo ponga l'anima, a cui attribuiva il potere di portare l'immortalità, nelle civette o nelle rane e ne rivesta anche le bestie feroci. Nel Timeo infatti, dopo aver detto che essa è opera di Dio, fatta da Dio tra le cose immortali, dichiara che il corpo non è opera del sommo Dio, poiché la natura della carne umana non differisce minimamente da quella del corpo delle bestie. Ma se una cosa è degna di essere ritenuta opera di Dio, perché mai dovrebbe essere ritenuta indegna di essere rivestita di un'opera di Dio?" 61. Come vedi, Ambrogio sostiene non solo che l'anima è opera di Dio, come pure i platonici dicevano, ma altresì contro i platonici che è sua opera anche il corpo, cosa che essi negavano.Lo stesso dottore insegnò la bontà del matrimonio.
7. 20. O forse dirai che condanna il matrimonio perché insegna che il bambino che nasce da esso, concepito nel piacere della concupiscenza, subisce il contagio del peccato? Ascolta dunque il pensiero di Ambrogio sul matrimonio espresso nell'Apologia del santo Davide: "Il matrimonio è buono e l'unione è santa. Coloro che hanno la moglie si comportino come se non l'avessero. Lo stesso letto nuziale è incontaminato e nessuno deve privarne l'altro se non per un certo tempo per dedicarsi alla preghiera 62. Secondo l'Apostolo non ci si può dedicare alla preghiera durante il tempo in cui si fa uso di quell'incontro corporeo" 63. Un altro pensiero è esposto nel libro Sulla Filosofia: "E cosa buona la continenza; essa è quasi il sostegno della pietà. Essa infatti insegna la strada fissandone il cammino a coloro che cadono nel precipizio di questa vita ed è assidua vigilatrice affinché non s'insinui alcunché di illecito. L'incontinenza invece è la madre di tutti i vizi e trasforma in vizio anche le cose lecite. Per questo l'Apostolo non solo ci proibisce la fornicazione, ma ci insegna altresì ad avere una certa moderazione nell'uso del matrimonio e prescrive un tempo per la preghiera 64. Un intemperante nel matrimonio, infatti, che cosa è se non un adultero della moglie?". Vedi come egli vuole che i rapporti coniugali siano veramente onesti tra di loro? Non ti accorgi come afferma che l'incontinenza può trasformare in vizio anche le cose lecite? Questo non dimostra che l'unione è lecita e che l'incontinenza può sporcarvi ciò che è lecito? Comprendi come devi intendere con noi in quale malattia del desiderio l'Apostolo non ha voluto che ciascuno di noi possedesse il suo vaso come i pagani che ignorano Dio 65? A te invece la libidine appare colpevole solo al di fuori del matrimonio. Cosa penserai dunque di Ambrogio che dichiara l'intemperante nel matrimonio in un certo senso adultero della moglie? Credi forse di onorare di più il matrimonio, dando un larghissimo spazio alla libidine, affinché questa, forse offesa, non si provveda di un altro difensore? Tu non hai voluto accennare neppure con una parola alla questione da me menzionata, che l'Apostolo cioè lo permette a modo di concessione - senza dubbio infatti, anche se perdonata, la colpa è stimmatizzata -. Non hai voluto neppure replicare al fatto che egli esorta i coniugi ad astenersi dall'uso del matrimonio per dedicarsi alla preghiera 66, mentre io l'ho ricordato per intero. Probabilmente l'hai fatto perché temevi che la tua difesa potesse apparire falsa, qualora fossi stato costretto ad ammettere che la preghiera dei coniugi è impedita dalla libidine che tu non hai vergogna a patrocinare. Desiderando rispondermi, pertanto, ma non osando opporti all'Apostolo e non potendo, secondo il vostro solito modo di fare, sviare in un'altra direzione il senso delle sue parole, hai preferito tacere. E tu credi di onorare il matrimonio, del quale svaluti la dignità ponendolo nel pantano, quasi fosse irreprensibile, della concupiscenza carnale, più di Ambrogio che, pur dichiarandolo non solo lecito, ma addirittura santo, e pur dichiarando santa l'unione, richiama alla mente il tempo prescritto dall'Apostolo per la preghiera, quando cessa il piacere della libidine? Credi di onorare il matrimonio più di Ambrogio, che non vuole che i coniugi siano dediti a quella malattia donde ha origine il peccato originale, cosicché quelli che hanno moglie si comportino, a dire dell'Apostolo, come se non l'avessero? Egli non esita neppure un istante a dichiarare adultero della moglie un marito intemperante, poiché ritiene che tutto il bene del matrimonio sta non nella cupidigia della carne ma nella fedeltà della castità, non nella malattia della passione ma nel patto dell'unione, non nel piacere della libidine ma nella volontà della procreazione. Egli insegna che la moglie è stata data all'uomo solo per la generazione, cosa che hai creduto dover discutere a lungo, quasi che qualcuno di noi l'avesse negata. Ecco sull'argomento le parole stesse di Ambrogio tratte dal libro Sul Paradiso: "Se la moglie è causa di colpa per il marito, come si può dire che gli sia stata data per il suo bene? Se però consideri che Dio ha cura dell'universo, scoprirai che al Signore doveva piacere maggiormente ciò in cui c'era un motivo d'universalità anziché dover condannare quello in cui c'era una causa del peccato. Siccome la propagazione del genere umano non poteva aversi soltanto con l'uomo, Dio affermò che non stava bene solo 67. Dio ha preferito che fossero molti ad avere bisogno di salvezza, ed ai quali avrebbe dovuto essere perdonato il peccato, piuttosto che vi fosse solo Adamo immune da ogni colpa. Poiché, inoltre, egli è l'autore dell'una e dell'altra opera, è venuto in questo mondo per salvare i peccatori. Non ha permesso infine che neppure Caino, reo di fratricidio, fosse ucciso prima che avesse generato dei figli. È stato necessario, quindi, dare una moglie all'uomo per la propagazione del genere umano" 68.Ma anche la remissione del peccato originale nel battesimo.
7. 21. Come vedi, Ambrogio, mio maestro, tanto mirabilmente lodato dal tuo, non solo professa ma addirittura difende che tutto l'uomo, anche la sua carne, è opera di Dio e che il matrimonio in quanto tale è un bene. Che, poi, nulla tolga al battesimo a causa del peccato originale, te l'ho dimostrato prima citando le sue parole: "È liberato dal peccato colui al quale nel battesimo sono rimessi tutti i peccati". In qual punto dei suoi libri insegna che Dio non è giusto? Quale cristiano cattolico può dubitare di una verità che addirittura gli empi professano?Secondo Ambrogio la natura umana è capace della giustificazione.
8. 22. Riguardo alla quinta argomentazione, resta da vedere se Ambrogio ritiene la natura umana capace di giustizia e di perfezione. Non si può certo dire che si allontani da questa tesi per il fatto che ripete spesso ed in molti modi che l'uomo nasce sotto il peccato e che la sua stessa origine è nella colpa. Per la verità anche questo l'ho già dimostrato sopra ricordando che ha detto: "la carne di Cristo ha condannato il peccato che egli non sentì quando nacque e che crocifisse quando morì, affinché nella nostra carne ci fosse la giustificazione per la grazia laddove c'era stata la confusione a causa della colpa". Con queste parole egli dimostra che la natura umana, anche quella che nasce sotto il peccato e la cui origine stessa è nella colpa, è capace di giustificazione, ma solo per mezzo della grazia, la qual cosa dispiace moltissimo a voi, che della stessa grazia siete crudelissimi avversari. Se questo è poco, fa' attenzione a quanto egli dice nel Commento al profeta Isaia: "Vediamo un po' se, dopo il pellegrinaggio di questa vita, c'è la rigenerazione della quale è stato scritto: Nella rigenerazione, quando il Figlio dell'uomo siederà sul suo trono glorioso 69. Come si chiama rigenerazione quella del lavacro per il quale, detersa la massa dei peccati, noi siamo rinnovati, così sembra debba essere chiamata rigenerazione quella per cui, purificati da ogni macchia di materialità e resi di animo limpido, siamo rigenerati alla vita eterna" 70. Il santo e verace uomo ha giustamente distinto la giustificazione che si ha in questa vita per mezzo del lavacro di rigenerazione, da quella perfetta dell'altra vita, quando i nostri corpi saranno rinnovati dalla immortalità. Ambrogio quindi, anche ammettendo la colpa di origine in chi nasce, non ritiene impossibile la perfetta giustificazione. La natura umana, come ha potuto essere plasmata da Dio Creatore, può essere sanata da Dio redentore.Ambrogio ammonisce sulle difficoltà di sfuggire al male nella vita terrena.
8. 23. Ma voi avete fretta e con la fretta fate precipitare la vostra presunzione. Voi vorreste che l'uomo diventi perfetto quaggiù, ma volesse il cielo che lo fosse per dono di Dio e non per il libero arbitrio, o, piuttosto, per schiavo l'arbitrio della propria volontà! Da questa perfezione vi sentite lontani. C'è inganno però nella vostra bocca, sia che vi dichiarate peccatori e volete essere creduti giusti, sia che professate la perfezione della giustizia, che sentite di non avere in voi. Per tre vie in questa vita ci viene conferita la giustificazione: col lavacro di rigenerazione in virtù del quale sono rimessi tutti i peccati; combattendo i vizi del cui reato siamo stati assolti e con l'esaudimento della preghiera in cui diciamo: Rimetti a noi i nostri debiti 71. Pur combattendo contro i vizi con tutta la forza possibile, restiamo sempre uomini. Mentre combattiamo in questo corpo corruttibile, la grazia di Dio ci aiuta in modo che non ci manchi il motivo per cui egli ci possa esaudire quando chiediamo perdono. Voi non ritenete necessaria questa misericordia di Dio su di noi, perché appartenete al numero di quelli di cui il salmista dice: Che confidano nella loro virtù 72. Quanto è meglio ascoltare Ambrogio: "Spesso noi parliamo della fuga da questo mondo, scrive nel libro La fuga dal mondo, ma volesse il cielo che l'anima sia tanto attenta e sollecita quanto è facile il parlare. Quel che è peggio, però, è che molto spesso si insinua l'attrattiva delle passioni terrene e l'accecamento delle vanità ottenebra la mente sicché finisci per pensare proprio a quelle cose che cerchi di evitare e le rimugini nel tuo animo. Guardarsene per l'uomo è difficile, spogliarsene del tutto è impossibile. Che di fatto esso stia più nel desiderio che nella realtà lo testimonia il Profeta quando dice: Rivolgi il mio cuore ai tuoi insegnamenti e non all'avarizia 73. Il nostro cuore infatti non è in nostro potere e i nostri pensieri con il loro improvviso offuscarsi confondono la nostra mente ed il nostro animo e ci portano fuori da quello che ti eri proposto. Richiamano ai desideri secolari, insinuano preoccupazioni mondane, suscitano sentimenti voluttuosi, intessono fantasie seducenti e, proprio mentre ci prepariamo ad innalzare la nostra mente, per l'intromissione di vani pensieri, siamo respinti verso le cose terrene" 74. Se dite di non soffrire tutto questo, perdonateci, ma non vi crediamo. In queste parole di sant'Ambrogio, anche se facciamo qualche progresso, vediamo uno specchio dell'infermità comune a tutti gli uomini. Nell'ipotesi che vi credessimo e vi dicessimo: pregate per noi affinché non patiamo tali cose, vi troveremmo talmente gonfi e saccenti che ci rispondereste non solo che voi non soffrite queste cose, ma che è in potere degli uomini il non soffrirle e che non c'è alcun motivo per chiederne aiuto a Dio.La fiducia dell'uomo nella grazia di Dio.
8. 24. Quanto è meglio dunque ascoltare Ambrogio che professa la grazia di Dio e non si fida della sua forza! "Chi è tanto beato, scrive dopo quanto detto sopra, che nel suo cuore è in costante ascesa? Ma chi può farlo senza l'aiuto di Dio? Nessuno, nella maniera più assoluta. La Scrittura di lui dice: Beato l'uomo che ha l'aiuto da te, o Signore, e la spinta in alto nel suo cuore 75". Lo stesso Ambrogio nel libro Sul Sacramento della rigenerazione 76 scrive: "Chi, se non l'anima, si serve della carne per agire? L'anima per sua natura è capo e padrona della carne, che deve domare e reggere. Sostenuta dall'aiuto dello Spirito Santo, essa esclama nel Salmo: Non temerò quello che mi farà la carne 77 ed aggiunge in san Paolo: Castigo il mio corpo e lo riduco in schiavitù 78. Paolo castiga ciò che è suo, non ciò che egli è. Altro è ciò che è suo, altro ciò che egli è. Castiga ciò che è suo, perché, essendo giusto, uccide in sé la sensualità del corpo" 79. Quando Ambrogio scriveva queste cose non era forse in lotta con i vizi? Non li vinceva forse? Non debellava forse dentro di sé l'esercito delle più svariate passioni come un glorioso soldato di Cristo? Non castigava forse il suo corpo? E, dopo avere superato e sconfitto le opere del diavolo, non ricercava forse la pace della giustizia tra le due opere di Dio, tra l'anima cioè ed il corpo, cosicché, non riponendo la fiducia nelle sue forze, potesse ripetere: "...sostenuta dall'aiuto dello Spirito Santo, essa esclama: Non temerò ciò che mi farà la carne 80"? Ecco come la natura umana è dimostrata capace di giustificazione, ed ecco come la virtù si perfeziona nella debolezza 81.Cipriano insegna che nessuno può vivere senza peccato.
8. 25. Su questo argomento è bene ascoltare anche il parere del vittorioso martire Cipriano. Nella lettera Sulla Mortalità così egli si esprime: "Noi dobbiamo scontrarci con l'avarizia, con l'impudicizia, con l'ira, con l'ambizione e dobbiamo perseverare in una assidua e fastidiosa lotta con i vizi della carne e le seduzioni del mondo. La mente dell'uomo e assediata e da ogni parte è circondata dagli assalti del diavolo, a mala pena riesce a combatterli singolarmente ed a mala pena resiste. Se riesce a prostrare l'avarizia, si solleva la libidine; se sconfigge la libidine, viene l'ambizione; se l'ambizione è spezzata, l'ira s'accende, la superbia gonfia, l'ebrezza ti tenta; l'invidia distrugge la concordia, la gelosia spezza l'amicizia. Sei costretto a maledire, cosa che la legge divina proibisce e sei spinto a giurare, cosa che non è lecito. L'animo soffre ogni giorno tante persecuzioni, il cuore è oppresso da tanti pericoli e tuttavia c'è gusto a restare a lungo quaggiù tra le spade del diavolo, mentre bisognerebbe aspirare e desiderare con ardore di andare più rapidamente nella morte, incontro a Cristo che viene" 82. Lontano da noi però pensare che Cipriano sia stato avaro perché ha lottato con l'avarizia o impudico, irascibile, ambizioso, carnale, amante di questo mondo, libidinoso, superbo, ubriaco o invidioso perché ha combattuto contro l'impudicizia, l'ira, l'ambizione, i vizi carnali, le attrattive del mondo, la libidine, la superbia, il vino, l'invidia. A maggior ragione anzi non ha avuto alcuno di questi vizi appunto perché resisteva tenacemente a queste cattive inclinazioni, provenienti in parte dalla nascita ed in parte dalla vita, non consentendo di diventare ciò che volevano farlo diventare. Ciò nonostante, in una lotta tanto pericolosa e faticosa, non ha potuto evitare di essere ferito da qualche dardo nemico, come egli stesso confessa nella sua lettera Sulle Elemosine: "Nessuno si illuda della sua purezza immacolata, tanto da ritenersi immune dalla necessità di medicare le sue ferite fidando totalmente nella sua innocenza. È stato scritto infatti: Chi potrà gloriarsi di avere il cuore puro o di essere immune da peccati? 83, e così San Giovanni nella sua lettera ha scritto: Se diciamo di non avere peccati, noi inganniamo noi stessi e la verità non è in noi 84. Se nessuno può essere senza peccato, chi si vanta di essere senza colpa o è superbo o è stolto. Quanto è necessaria, quanto è benigna la divina clemenza, la quale, sapendo che ai risanati non sarebbero mancate ferite postume, ha donato rimedi salutari per sanare di nuovo le ferite" 85. O maestro famosissimo, o testimone gloriosissimo, così ci hai insegnato, così ci hai esortato, così ti sei offerto a noi per essere ascoltato ed imitato. Dopo aver terminato gli altri combattimenti contro tutte le passioni e dopo aver sanato tutte le ferite, per la verità di Cristo hai combattuto contro il più grande dei desideri, quello della vita, e, per la larghezza della grazia di Dio, meritatamente hai vinto. La tua corona è sicura e vittoriosa è la tua dottrina con cui sconfiggi anche costoro che confidano nelle proprie forze. Essi gridano: la perfezione della virtù dipende da noi. Tu rispondi: "Nessuno è forte per le sue forze, ma lo è per la magnanimità e la misericordia di Dio".S. Ilario pone la perfezione dell'uomo nella risurrezione finale.
8. 26. Ascolta anche il beatissimo Ilario e vedi dove ripone la speranza della perfezione. Parlando della pace evangelica con riferimento alle parole del Signore: Vi do la mia pace 86, scrive: "Poiché la legge è l'ombra dei beni futuri, per mezzo di questa prefigurazione significativa ci ha insegnato che, in questo corpo terreno e destinato alla morte, non ci è possibile essere immacolati finché non otteniamo la purificazione con il lavacro della misericordia divina, quando, dopo la trasformazione del nostro corpo terreno per la risurrezione, la nostra natura sarà diventata più gloriosa" 87. Nello stesso discorso, scrive più avanti: "Pur rinnovati e santificati dalla parola della fede, gli stessi Apostoli non erano esenti da malizia, data la comunanza di origine con noi, come ci viene dimostrato dalle parole di Cristo: Voi, pur essendo cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli" 88. Vedi bene che neppure questo venerabile polemista cattolico nega la nostra purificazione in questa vita, anche se egli spera in una natura più perfetta, più ampiamente purificata, cioè, che si avrà nell'ultima risurrezione.Dio si serve del diavolo per la purificazione dell'uomo.
8. 27. In una omelia sul libro del santo Giobbe - fa' bene attenzione -, egli afferma che il diavolo ci scatena contro una lotta senza fine, eccitando contro di noi quei mali che dimorano in noi. Ci vuole insegnare che tutto torna a nostro vantaggio, poiché la misericordia di Dio trasforma la malizia del diavolo nella nostra purificazione: "È tanto grande e tanto mirabile, egli scrive, la bontà della misericordia di Dio verso di noi che, mediante lo stesso mezzo per cui, nell'offesa di Adamo avevamo perduto la ricchezza della prima e beata creazione, meritiamo di ottenere di nuovo quanto abbiamo perduto. Per invidia allora il diavolo ci ha portato il male, ora invece, mentre cerca di farci del male, viene sconfitto. Attraverso la debolezza della nostra carne egli ci scaglia addosso tutti i dardi del suo potere, quando ci accende alla lussuria, ci invita all'ubriachezza, ci eccita all'odio o ci spinge all'avidità, ci dispone all'omicidio, o ci stimola alla maledizione. Quando però, con la forza di volontà, reprimiamo queste tentazioni di ogni genere, veniamo purificati dal peccato per la gloria di questa vittoria. Sta scritto infatti: Come si purificherà il nato di donna 89? Se manca il nemico non c'è combattimento, e se non c'è combattimento non ci sarà neppure vittoria. Non ci sarà purificazione dai vizi, senza una vittoria sui vizi che si scontrano con noi. Dopo avere sconfitto in mezzo a queste insidie il pirata del nostro corpo, invece siamo liberati dalla contesa delle passioni che lottano contro di noi. Memori pertanto e consapevoli che il nostro stesso corpo è materia per tutti i nostri vizi, e che, per colpa sua macchiati e sporchi, non troviamo in noi nulla di puro, nulla di innocente, rallegriamoci di avere un nemico nella cui lotta combattiamo la guerra della nostra lotta interiore" 90.Un testo di Ilario sui vizi della natura.
8. 28. Nel Commento al primo Salmo, lo stesso dottore non esita ad affermare che la nostra natura, proprio questa natura che trae infermità da infermità, è portata a peccare, e che, per non peccare, dobbiamo in certo qual modo combattere contro di essa con l'arma della fede. Egli scrive: "Ci sono molti che, pur lontani dall'empietà in virtù della fede, non per questo sono liberi dal peccato, se non osservano la legge della Chiesa. Tali sono gli avari, gli ubriaconi, i tumultuosi, gl'insolenti, i superbi, i simulatori, i falsi, i rapaci. A questi vizi ci spinge l'istinto stesso della nostra natura. È utile però per noi allontanarci dalla strada verso cui siamo inclinati, e non fermarci lì, cedendo ad un moroso tentennamento. Beato è l'uomo infatti che non si ferma sulla via del peccato 91. Se la natura ci spinge verso questa via, l'adesione alla fede ci ritrae da essa" 92. Possiamo ritenerlo, forse, costui accusatore della natura, creata da Dio? No davvero. Da buon cattolico, non dubitava affatto che la natura umana è opera di Dio, ma non esitava a condannare i vizi con i quali noi nasciamo, tenendo presente le parole dell'Apostolo: Per natura siamo stati figli dell'ira, come tutti gli altri 93. Se queste parole citate da Sant'Ilario le avessi scritte io, quante me ne avresti dette! Con quanto fracasso mi avresti sventolato il nome ed il crimine dei manichei! Ora, affinché il sacco del tuo stomaco non si rompa per una eccessiva indigestione di maledizioni, vomita contro costui, se hai coraggio, le tue calunniose e pazze falsità. "A questi vizi, egli diceva, ci spinge l'istinto stesso della natura". Qual è questa natura? Forse la stirpe delle tenebre, come crede la favola dei manichei? No di certo. È un cattolico che parla, è un insigne Dottore della Chiesa, è Ilario che parla. La nostra natura è stata viziata dalla caduta del primo uomo. Non ha bisogno di essere separata da alcun'altra natura, ma soltanto di essere sanata. È la natura che, secondo la tua calunnia, noi faremmo derivare dal diavolo, ed alla quale, invece, tu ti ostini a rifiutare Cristo quale Salvatore, e che credi capace di vivere perfettamente quaggiù, così da essere senza alcun peccato.La speranza dell'uomo è la misericordia di Dio.
8. 29. Su questo punto ascolta ancora l'ammonimento del beato Ilario nel suo commento al Salmo cinquantuno: "La speranza è nella misericordia di Dio per i secoli dei secoli 94. Le nostre opere di giustificazione non sono sufficienti a meritare la perfetta beatitudine, a meno che la misericordia di Dio, pur in questa volontà di giustizia, non imputi le colpe della mutevolezza e delle passioni dell'uomo. Da qui il detto del Profeta: La tua misericordia è più buona della vita" 95. Ti accorgi che quest'uomo di Dio è del numero di quei beati di cui è stato detto: Felice l'uomo cui non imputa il Signore il peccato: né c'è frode nel suo spirito 96? Riconosce infatti anche i peccati dei giusti, asserendo che la loro fiducia è riposta più nella misericordia di Dio, che nella propria giustizia. Non c'è frode perciò nella sua bocca e nella bocca di tutti coloro dei quali riporta questa testimonianza di sincera umiltà e di umile verità. La frode invece abbonda nella vostra bocca, dove non c'è virtù, ma tanta superbia, e tanta ipocrisia. Dove c'è ipocrisia, senz'altro c'è frode. Voi confidate nella vostra forza che è nulla, nella stessa misura con cui i Santi confidavano nella misericordia di Dio che è immensa. La forza che essi impiegano per combattere con l'aiuto della grazia di Dio i vizi congeniti, voi la impiegate per combattere la grazia stessa di Dio. Ma, volesse il cielo che come essa vince voi nei suoi Santi, così, facendovi suoi, vinca voi stessi in voi.La perfezione degli Apostoli.
8. 30. Avreste pure il coraggio di dire in cuor vostro che, ascoltando voi, gli uomini s'infiammano per la virtù, mentre ascoltando tali e tanti uomini, quali Cipriano, Ilario, Gregorio, Ambrogio e tutti gli altri sacerdoti di Dio, si distruggono per la disperazione e rinunciano ad ogni impegno per la perfezione. Questi mostruosi pensieri passano per la vostra mente e non vi vergognate? Lodando la natura, voi credete di onorare i Santi di Dio, i Patriarchi, i profeti, gli Apostoli, mentre questi luminari della Chiesa, disprezzando la natura, li disonorano, solo perché hanno dichiarato che, per mantenere il bene della castità in questo corpo di morte, hanno combattuto contro il congenito male della concupiscenza, che prima dev'esser vinta nella lotta con l'aiuto della grazia di Dio, e poi sanata dall'ultima rigenerazione? Tu pensi che sia un giudeo a pronunciare le parole: Non faccio il bene che voglio 97, e lo pensi col chiaro proposito di "non riversare il sudiciume della condotta in odio alla natura, di consolarti con le brutture, ingiuriando gli Apostoli e i Santi". Secondo te questi mali che tu non fai li faceva Ambrogio con tutti quelli che come lui ritenevano che l'Apostolo diceva di se stesso: Non faccio il bene che voglio, ma il male che non voglio, oppure: Vedo un'altra legge nelle mie membra che ripugna alla legge della mia mente 98 ecc. Questi santi, dunque, secondo voi, affermando tali cose "minavano il muro del pudore", mentre voi siete odiati perché predicate la perfezione? Ma tu ti consoli perché ritieni una specie di gloria l'aver arrecato dispiacere ad uno che non ha risparmiato neppure gli Apostoli. Se io, però, dicendo tali cose, non ho risparmiato gli Apostoli, non li ha risparmiati neppure Ambrogio e tutti gli altri che la pensavano come lui. Se poi quelli appresero queste cose dagli Apostoli e secondo gli Apostoli le insegnarono, perché allora ti opponi solo a me? Guarda costoro e, deponendo un tantino l'alterigia, guardali più e più volte. E così, sfacciatissimo giovane, dovrai consolarti per avere recato loro dispiacere, o non piuttosto piangere?Riassunto degli argomenti trattati nel libro.
9. 31. Vediamo ora di riassumere per quanto possibile sinteticamente tutto quello che abbiamo trattato in questo libro. Con la vasta mole dell'autorità dei santi che sono stati vescovi prima di noi ed hanno difeso strenuamente, mentre erano in vita, la fede cattolica non solo con le parole ma anche con gli scritti lasciati ai posteri, ci siamo proposti di infrangere le vostre seguenti proposizioni: "Se l'uomo è una creatura di Dio, non può nascere con un difetto; se il matrimonio è un bene, da esso non può nascere alcunché di male; se nel battesimo sono rimessi tutti i peccati, i nati da genitori battezzati non possono contrarre il peccato originale; se Dio è giusto, non può condannare nei figli la colpa dei genitori, dal momento che ad essi perdona anche i peccati personali; se la natura umana è capace di perfetta giustificazione, non può avere difetti naturali". Contro queste proposizioni diciamo: Dio è creatore di tutto l'uomo, dell'anima cioè e del corpo; il matrimonio è un bene; per mezzo del battesimo di Cristo sono rimessi tutti i peccati; Dio è giusto; la natura umana è capace di perfetta giustizia. Pur essendo vere tutte queste cose, affermiamo nel contempo che gli uomini nascono soggetti ad un'origine viziata, derivante dal primo uomo. Per questo motivo vanno verso la condanna se non rinascono in Cristo. Questo lo abbiamo dimostrato con l'autorità dei santi cattolici, che riguardo al peccato originale, sostengono le medesime cose che sosteniamo noi e ritengono vere tutte e cinque le nostre tesi. Non è affatto logico che quello sia falso perché queste sono vere. Sono tali e tanti gli uomini che, secondo la dottrina cattolica diffusa nell'antichità per tutta la terra, confermano la verità dell'uno e delle altre che la vostra fragile e, direi, quasi faceta novità, viene schiacciata solo dalla loro autorità. In aggiunta a ciò che essi dicono, la verità stessa attesta di parlare per mezzo di loro. Voi stessi non siete convinti che tali uomini abbiano potuto errare nella fede cattolica al punto da affermare qualcosa da cui derivasse come conseguenza che: Dio non è il creatore dell'uomo; il matrimonio è da condannarsi; nel battesimo non si ha la remissione totale dei peccati; Dio è ingiusto, a noi non rimane alcuna speranza di perfezionare la virtù, cose che in tutto o in parte è nefando pensare. È necessario pertanto, a questo punto, reprimere con la loro autorità la vostra ostinazione, affinché, quasi rimbalzati dalla forza della presunzione ed in certo modo quasi respinti, possiate frenare i vostri precipitosi ardimenti e, come riavendovi da una pazzia, possiate cominciare a ricordare, a riconsiderare, a rifare vostra quella verità nella quale siete stati nutriti.Raccolta dei testi di S. Ambrogio.
9. 32. Il beato Ambrogio afferma che un solo uomo, il Mediatore tra Dio e gli uomini, è stato sciolto dai vincoli di una generazione macchiata perché, nato da una Vergine, nella nascita non ha sentito il peccato. Tutti gli altri uomini nascono nel peccato e la loro stessa origine è nella colpa, poiché, formati nel piacere della concupiscienza, prima ancora di respirare lo spirito vitale di quest'aria, hanno subìto il contagio della colpa. In questo corpo di morte, la legge stessa della concupiscenza, come una legge di peccato, ripugna alla legge della mente a tal punto che contro di essa hanno dovuto combattere non solo i buoni fedeli, ma gli stessi Apostoli con la loro grande virtù, al fine di sottomettere, con l'aiuto della grazia di Cristo, la carne all'anima ed in tal modo richiamarla alla concordia. Tra di esse, infatti, create senza peccati, proprio per la trasgressione del primo uomo, è nata la discordia. Chi lo dice? Un uomo di Dio, un cattolico, un acerrimo difensore della verità cattolica contro gli eretici pronto a versare il proprio sangue, esaltato tanto dal tuo maestro che di lui arriva a dire: "Neppure un nemico avrebbe osato riprendere la sua fede e la sua purissima interpretazione della Scrittura". Contro l'errore dei filosofi platonici ha affermato che Dio è creatore non solo delle anime, ma anche dei corpi. Ha insegnato che il matrimonio è un bene istituito da Dio per la propagazione del genere umano e che la castità coniugale santifica l'unione. Ha detto che nessuno è giustificato dal peccato se prima, nel battesimo, non gli sono stati rimessi tutti i peccati. Da uomo giusto ha adorato sempre Dio giusto, ed è stato sempre ben lontano dal credere che l'uomo non potesse progredire nella perfezione della virtù e della giustizia. Egli tuttavia ritiene che la perfezione, cui nulla più debba essere aggiunto, la si troverà solo nell'altra vita e sarà piena solo nella risurrezione dei morti. In questa vita la giustizia umana sta nel lottare non solo contro le avverse potestà spirituali, ma anche contro le nostre stesse passioni attraverso cui i nemici esterni cercano di penetrare in noi e di abbatterci. In questa lotta abbiamo come terribile avversaria la nostra stessa carne, la cui natura, quale era stata creata al principio, sarebbe andata molto d'accordo con noi, se non fosse stata viziata dalla caduta del primo uomo, e quindi contagiata dallo stesso male. Quel santo uomo, in questa lotta, ci ammonisce di fuggire il mondo e ci dimostra quanto grande, nella fuga, sia la difficoltà o addirittura l'impossibilità, se non viene in aiuto la grazia di Dio. Nel battesimo, con la remissione di tutti i peccati, i vizi muoiono, ma in certo qual modo dobbiamo curarne la sepoltura. Anche se sono morti noi abbiamo con essi un conflitto così aspro che finiamo per non fare quello che vogliamo, ma quello che abbiamo in odio. Il peccato ci costringe a fare molte cose contro la nostra volontà e spesso risorgono vive le passioni. Dobbiamo lottare contro la carne, contro cui ha lottato Paolo quando diceva: Vedo un'altra legge nelle mie membra, in conflitto con la legge della mia ragione 99. Ci comanda di non confidare nella carne e di non crederle perché l'Apostolo esclamava: So infatti che il bene non dimora in me, vale a dire nella mia carne, perché volere il bene è alla mia portata, ma praticarlo no 100. Ecco quale grande battaglia ci esorta a combattere contro i peccati morti, quel valoroso soldato di Cristo fedele dottore della Chiesa. Come è possibile che il peccato sia morto, se ci costringe a fare molte cose contro la nostra volontà? E cosa sono queste cose se non i desideri stolti e nocivi che immergono nella morte e nella perdizione quelli che vi consentono 101? Sopportarli senza consentirvi è la lotta, il conflitto, la guerra. Che guerra se non tra bene e male, non tra natura e natura, ma tra natura e vizio, già morto ma non ancora sepolto, vale a dire non ancora sanato perfettamente? Come è possibile, insieme a quest'uomo, ritenere morto nel battesimo questo peccato ed affermare che abita in noi e che suscita molti desideri contro la nostra volontà, ai quali, com'egli confessa, resistiamo non acconsentendo, se non per il fatto che è morto nel reato con cui ci teneva legati e che si ribella anche da morto, fin quando non sia completamente sanata dalla perfezione della sepoltura? Esso tuttavia non è detto peccato nel senso che rende colpevole l'uomo, ma nel senso che, essendo frutto del peccato del primo uomo, ribellandosi, cerca di spingerci al peccato se non ci viene in aiuto la grazia di Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore, cosicché, pur morto, non abbia più a ribellarsi e, con la vittoria, non torni a rivivere e regnare.Il pensiero degli esegeti cattolici sul peccato originale.
10. 33. Mentre ci affanniamo in questa guerra per tutto il tempo che la vita umana costituisce una tentazione sulla terra 102, non siamo immuni da peccato, perché ciò che in quel modo chiamiamo peccato agisce dentro di noi in contrasto con la legge della mente anche se non ci trova consenzienti alle cose illecite. Per quanto ci riguarda, noi potremmo essere sempre senza peccato fino alla totale guarigione da questo male, se riuscissimo a non acconsentire mai ad esso. Purtroppo, però, nelle cose in cui siamo sconfitti dallo spirito ribelle, sia pure venialmente e non mortalmente, in esse traiamo donde ogni giorno dover dire: Rimetti a noi i nostri debiti 103. Così per esempio peccano i coniugi quando, per sola voluttà, oltrepassano la misura necessaria alla generazione; così i non sposati quando si fermano in tali pensieri con qualche diletto, non al punto da volere l'azione cattiva, ma non allontanando, come è necessario, la mente dal fissarsi nel cattivo pensiero, oppure non ritraendola prontamente quando vi si era fissata. Di questa legge del peccato, che può essere chiamata peccato, che ripugna alla legge della mente e di cui il beato Ambrogio ha detto molte cose, fanno fede altri Santi quali Cipriano, Ilario, Gregorio e moltissimi altri. Chi è generato in Adamo, dunque, deve essere rigenerato in Cristo; chi è morto in Adamo, deve essere vivificato in Cristo. Egli è legato al peccato di origine perché nasce dal male per cui la carne ha voglie contro lo spirito, e non dal bene per cui lo spirito ha desideri contro la carne 104. Qual meraviglia dunque se ha necessità di rinascere l'uomo nato dal male contro il quale il battezzato deve combattere ed a causa del quale egli stesso sarebbe colpevole se non ne fosse liberato dalla nuova nascita? Questo male non è una materia che viene da Dio creatore, bensì una ferita del diavolo che l'ha viziata. Non è il male del matrimonio, ma solo il peccato dei primi uomini trasmesso per generazione. Il reato di questo male è rimesso nella santificazione del battesimo. Dio sarebbe molto più ingiusto se, lui giusto, infliggesse ai fanciulli, pur non avendo contratto essi alcun peccato, tutti quei mali che non si riescono a contare. Non è però negata all'uomo la capacità di perfetta giustizia, perché, con l'aiuto del Medico onnipotente, neppure la perfetta guarigione di tutti i vizi è detta impossibile. Tanti sacerdoti santi ed illustri nell'esposizione delle divine Scritture, quali Ireneo, Cipriano, Reticio, Olimpio, Ilario, Ambrogio, Gregorio, Innocenzo, Giovanni, Basilio, ai quali, tu voglia o no, aggiungo il prete Girolamo, per omettere gli altri che sono ancora vivi, hanno difeso contro di voi la verità cattolica, che tutti gli uomini sono soggetti al peccato originale. Nessuno è escluso, all'infuori di colui che la Vergine ha concepito immune dalla legge del peccato che ripugna alla legge della mente.I giudici della controversia.
10. 34. Perché tanta esultanza e perché, con l'aria del vincitore, m'insulti "come se io non sapessi più cosa fare, dove rifugiarmi, qualora dovessi comparire dinanzi a dei giudici, e dovessi sedere insieme a te in un'assise di eruditi, mentre tu" gran trombettiere, "suoni la tromba della vera ragione tra gli applausi degli ascoltatori che risuonano" per approvarti? Raffiguri così ai tuoi occhi la nostra disputa ed immagini, secondo il tuo gusto, che io non sappia rispondere ai tuoi ragionamenti! La tua fervida fantasia ti crea uno scenario vano e, direi, pazzo: insieme a te mi trovo davanti a dei giudici pelagiani e, mentre essi applaudono, tu puoi alzare come una tromba la tua voce e proclamare contro la fede cattolica, contro la grazia di Cristo, in virtù della quale, piccoli e grandi sono liberati dal peccato, l'errore di questa nuova empietà comune a te e a loro. Ma neppure il vostro maestro Pelagio, pur senza aver alcun avversario di fronte, ha potuto trovare giudici del genere nella Chiesa di Dio. Al cospetto degli uomini egli è uscito assolto da quel tribunale, dopo aver condannato apertamente la vostra tesi. Dovunque tu sia o possa leggere queste pagine, ti porrò dinanzi a questi giudici nell'intimo del tuo cuore. In questa nostra disputa non li ho scelti perché amici miei e nemici tuoi, oppure perché propensi a me in virtù di qualche merito ed avversi a te per qualche offesa. Non ho inventato con fervida fantasia persone che non sono mai esistite o non esistono, oppure che hanno idee incerte sul problema che si agita tra noi. Ho indicato singolarmente e apertamente, come si conveniva, santi ed illustri vescovi della Chiesa di Dio, greci e latini, eruditi tanto nel sapere platonico, aristotelico, zenonico o di altri del genere - alcuni di essi in verità anche in questo erano dottissimi - quanto nelle Sacre Scritture. Ho esposto le loro tesi, per quanto mi è sembrato sufficiente, senza alcuna ambiguità, perché tu avessi a temere non essi, ma Colui che di essi ha fatto dei vasi utili e con essi ha costruito dei santi templi. Essi hanno dato il loro giudizio su questa causa in un momento in cui nessuno avrebbe potuto accusarli di favorire l'uno o avversare l'altro. Non esistevate ancora voi, contro cui entrate in conflitto su questo argomento; non c'eravate ancora per affermare quello che esponi nei tuoi libri: "che su di voi abbiamo mentito alla moltitudine, o che col nome dei celestiani e dei pelagiani abbiamo spaventato gli uomini, o con il terrore abbiamo estorto loro il consenso". Certo tu stesso hai affermato che "i giudici debbono essere liberi da odio, amicizia, inimicizia, ira". Ebbene, anche se di questo genere se ne possono trovare pochi, Ambrogio e tutti gli altri, che ho ricordato insieme a lui, sono da ritenersi tali. Può anche darsi che non sempre sono stati ritenuti tali nelle cause portate davanti ad essi mentre erano in vita e che essi, con il loro giudizio, hanno chiuso. Certamente però erano tali quando hanno dato il loro giudizio sulla nostra causa. Essi non cercavano né la nostra né la vostra amicizia; non avevano inimicizie; non erano adirati né con noi né con voi, e non avevano compassione né di noi né di voi. Hanno conservato ciò che hanno trovato nella Chiesa; hanno insegnato ciò che hanno imparato, ed hanno trasmesso ai figli ciò che hanno appreso dai padri. La nostra causa è stata trattata presso di loro prima ancora che noi la trattassimo con voi dinanzi ad essi. Né voi né noi eravamo a loro noti, eppure nei loro scritti leggiamo la sentenza emessa contro di voi a nostro favore. Non ancora combattevamo contro di voi e ci ritroviamo vincito in virtù della loro sentenza.Giuliano esortato a valutare le testimonianze patristiche.
10. 35. Tu dici che "qualora dovessi comparire dinanzi a dei giudici - scelti naturalmente da te -, non saprei cosa fare, dove rifugiarmi e non potrei trovare nulla per oppormi alle tue argomentazioni". Ti sbagli. Saprei molto bene cosa fare e saprei molto bene dove rifugiarmi. Passerei dalle oscurità pelagiane a questi luminosissimi fari cattolici. Cosa che faccio subito. Rispondimi piuttosto: cosa faresti tu e dove ti rifugeresti? Io passerei dai pelagiani a costoro, e tu da costoro a chi ricorreresti? Siccome pensi che "non è il numero delle sentenze che conta, ma il loro peso", e che - su questo anch'io sono d'accordo! - "a nulla giova una moltitudine di ciechi per trovare qualche cosa", oserai forse dire che costoro sono ciechi? Il lungo giorno 105 ha forse mescolato talmente la sommità con il fondo, e fino a tal punto la luce è confusa con le tenebre e le tenebre con la luce che Pelagio, Celestio, Giuliano ci vedono, mentre Ilario, Gregorio, Ambrogio sono ciechi? Chiunque tu sia però, se sei veramente uomo, mi sembra di vedere la tua vergogna - purché in te non sia morta ogni speranza di salvezza! - ed in certo senso di ascoltare la tua voce. "Lungi da me, rispondi, dire o solo pensare che costoro sono ciechi". Pondera dunque le loro sentenze. Non voglio che siano molte perché non ti sia di fastidio il contarle. Non sono però di poco conto sicché tu debba disdegnare di soppesarle. Sono anzi tanto pesanti che ti vedo già affaticato sotto il loro peso. O forse anche di questi dirai che "io, imbelle, ti sto opponendo l'opinione di un mio pari, e che in preda al terrore vado nominando i complici"?La fede della moltitudine cristiana.
10. 36. Tu scrivi: "In un tribunale, dopo avere allontanato lo strepito della folla, non basta scegliere i nomi da qualsiasi genere di uomini, siano essi sacerdoti o amministratori o prefetti per discutere tali cose, ma è necessario scegliere la prudenza e rispettare il piccolo numero, che la ragione, l'erudizione, la libertà elevano". Questo è vero. Io però non vengo a turbarti con la moltitudine, anche se, con l'aiuto di Dio, su questa fede che voi contrastate, anche la moltitudine cattolica pensa rettamente, ed anche se, in ogni dove molti, per quanto è possibile e come meglio è possibile, secondo l'aiuto di Dio, confutano anch'essi le vostre vane argomentazioni. Lontana da me, quindi, la presunzione che mi rinfacci: "che io, cioè, ho promesso di trattare da solo, a nome di tutti, questa causa contro di voi". Sei tu piuttosto che ti comporti così tra i pelagiani e non arrossisci di scrivere e di dire che "c'è maggior gloria per te di fronte a Dio nel difendere una verità abbandonata". Certamente sono diventati molto abietti ed abbandonati e dipendono molto da te se non ritengono che sia intollerabile presunzione quella con cui ti anteponi anche agli stessi Pelagio e Celestio, maestri di tutti voi, quasi che essi abbiano cessato di combattere e sia rimasto tu solo a difendere la verità che ritenete abbandonata. Dal momento che a te piace non contare la moltitudine, ma tener conto della qualità del piccolo numero, eccettuando i giudici della Palestina, che, nell'assoluzione di Pelagio, costretto dal timore a rinnegare gli stessi dommi pelagiani, hanno condannato la vostra eresia, ti ho contrapposto quali giudici in questa causa dieci vescovi già morti ed un prete, che trattarono della questione quand'erano in vita. Se si considera la vostra scarsità essi sono molti; se si considera invece la moltitudine dei vescovi cattolici, sono pochissimi. Probabilmente cercherai di sottrarre dal loro numero papa Innocenzo ed il prete Girolamo, il primo perché condannò Pelagio e Celestio ed il secondo perché con retta intenzione ha difeso in Oriente la fede cattolica contro Pelagio. Cerca, però, di leggere quello che Pelagio dice in lode del beatissimo papa Innocenzo 106 e dimmi se ti riesce facile trovare simili giudici. Riguardo poi a quel santo sacerdote che, a misura della grazia che gli è stata data, ha lavorato tanto nella Chiesa ed ha aiutato tanto l'erudizione cattolica nella cultura latina con molte e necessarie opere, Pelagio era solito blaterare non altro "che l'aveva invidiato come rivale". Ma non è questa una ragione per cui egli debba essere ritirato dal numero di questi giudici. Non ho citato infatti la tesi che, al tempo della controversia, egli tenne e difese contro il vostro errore. Ho citato soltanto ciò che, libero da ogni preoccupazione di parte, ha scritto nei suoi libri, prima che si diffondessero i vostri dannabili dogmi.La richiesta pelagiana di un concilio episcopale.
10. 37. Sugli altri non hai assolutamente niente da dire. Che forse Ireneo, Cipriano, Reticio, Olimpio, Ilario, Gregorio, Basilio, Ambrogio, Giovanni "sono stati suscitati contro di voi dalla feccia plebea dei seggiolari", come tu scherzi con linguaggio tulliano? Che forse erano "soldati, scolari, marinai, bottegai, pescatori, cuochi, macellai"?. Erano forse "giovani dissoluti, scacciati dai monaci"? o appartenevano alla "massa indistinta dei chierici" che tu, con raffinata mordacità, o, più ancora, con la tua vanità disprezzi come esagitati, "perché non riescono a giudicare i dommi secondo le categorie di Aristotele"? Quasi che tu, che tanto ti lamenti perché "vi è negato un esame ed un giudizio dei vescovi", possa trovare un concilio di peripatetici, dove si possa pronunciare una sentenza contro il peccato originale, partendo dal soggetto e da ciò che sta nel soggetto. Questi sono vescovi, seri, dotti, santi, solidi difensori della verità contro garrule vanità, nei quali non potrai trovare nulla da disprezzare quanto a ragione, erudizione e libertà, le tre qualità che hai attribuito ai giudici. Se si potesse riunire un sinodo episcopale da tutto il mondo, sarebbe meraviglioso se potessero sedere facilmente tutti insieme. Essi però non sono vissuti neppure nella stessa epoca. Dio infatti dispensa in tempi diversi ed in luoghi distanti, come a lui piace, i suoi pochi fedeli amministratori che si innalzano al di sopra di molti. Provenienti pertanto da tempi e regioni diverse, dall'Oriente e dall'Occidente, tu li vedi adunati non in un luogo verso cui gli uomini sono costretti a navigare, bensì in un libro che possa navigare verso gli uomini. Quanto più essi sarebbero per te giudici desiderabili se avessi la fede cattolica, tanto essi sono per te terribili perché ti opponi alla fede cattolica, che essi hanno succhiato con il latte, e preso con il cibo, ed il cui latte ed il cui cibo a loro volta essi hanno somministrato a grandi e piccoli, mentre la difendevano apertamente e con forza contro nemici che allora non erano ancora nati e che ora si sono manifestati in voi. Per opera di questi piantatori, innaffiatori, edificatori, pastori, nutritori, la S. Chiesa è cresciuta dopo gli Apostoli. Per questo essa ha temuto le insane voci della vostra innovazione. Attenta e sobria, secondo l'esortazione dell'Apostolo, affinché non accadesse che al pari di Eva sedotta dall'astuzia del serpente la sua mente si staccasse dalla castità di Cristo 107, è inorridita nel vedere le insidie del vostro domma infiltrarsi nella verginità della fede cattolica e le ha calpestate, le ha schiacciate e le ha scagliate lontano, come era avvenuto per la testa del serpente. Dinanzi a tante parole ed a così grande autorità dei Santi, o dovrai essere sanato con l'aiuto della misericordia di Dio - egli sa quanto io lo desidero - oppure, cosa che detesto, qualora resterai fermo in ciò che ti pare sapienza, ma che è invece grande stoltezza, non potrai andare a cercare i giudici per purgare la tua causa dinanzi ad essi, ma solo per accusare tanti maestri della Chiesa Cattolica, illustri e memorabili: Ireneo, Cipriano, Reticio, Olimpio, Ilario, Gregorio, Basilio, Ambrogio, Giovanni, Innocenzo, Girolamo e tutti gli altri compagni e colleghi, nonché la Chiesa tutta in Cristo, che, somministrando fedelmente alla divina famiglia il cibo del Signore, hanno acquistato grande stima e gloria davanti a Dio. Contro la tua miserabile pazzia - che Dio voglia allontanare da te! - mi rendo conto che ai tuoi libri debbo rispondere in modo da difendere la loro fede contro di te, così come il Vangelo è difeso contro gli empi e i nemici manifesti di Cristo.13 - Maria beatissima celebra con i suoi angeli altre feste.
La mistica Città di Dio - Libro ottavo - Suor Maria d'Agreda
Leggilo nella Biblioteca625. La gratitudine per quanto ci è concesso dalla mano del sommo sovrano è una virtù così nobile che con essa conserviamo il nostro rapporto con lui: egli ci favorisce come potente, sovrabbondante e munifico, e noi lo ringraziamo come poveri, umili e obbligati. È proprio di chi offre per la sua larghezza l'accontentarsi della riconoscenza di chi è nel bisogno, ed essa è un contraccambio veloce, facile e dilettevole, che soddisfa il donatore impegnandolo ad essere di nuovo generoso. Ciò succede tra gli uomini magnanimi e a maggior ragione tra il Signore e i suoi figli, poiché noi siamo la stessa miseria e indigenza, mentre egli è ricco e tale che, se possiamo immaginare in lui qualche necessità, questa non è necessità di ricevere, bensì di dare. Quindi, nella sua saggezza, giustizia e rettitudine non ci respinge mai perché sprovvisti, ma perché immemori di quello che ci è prodigato; vuole dispensarci tanto, ma a condizione che gli rendiamo lode. La corrispondenza nei benefici minori lo muove a farne di più grandi e a moltiplicarli, e soltanto chi è umile se li assicura, dal momento che conseguentemente è di certo anche grato.
626. La maestra di questa scienza fu la beatissima Vergine, giacché, avendo ella sola avuto tutta la pienezza di grazie che poterono essere comunicate a una semplice creatura, non dimenticò o tralasciò di apprezzarne alcuna con la massima eccellenza. Aveva assegnato a ciascuna dei particolari cantici con altri singolari esercizi, destinando allo scopo dei giorni dell'anno e in essi delle ore, e a tale premura aggiungeva quella di governare la comunità ecclesiale, istruire gli apostoli e i discepoli, consigliare l'enorme quantità di persone che andavano a consultarla, non negandosi mai a nessuno e non trascurando mai di preoccuparsi delle esigenze dei fedeli.
627. Se la riconoscenza vincola l'Altissimo e lo induce alla liberalità, chi riuscirà a ponderare quanto doveva toccarlo quella che la prudentissima Madre gli palesava in modo eccezionale per tutte le sue innumerevoli e sublimi elargizioni? Noi discendenti di Adamo in paragone siamo negligenti, pigri e così duri di cuore che il poco, ammesso che facciamo qualcosa, ci pare molto; al contrario, alla diligente Regina il molto pareva poco e, compiendo tutto il possibile per le sue forze, si giudicava manchevole. Ho già dichiarato altrove che agiva in maniera simile a Dio, che è un atto purissimo che opera con il medesimo essere senza poter cessare nelle sue operazioni infinite, partecipando ineffabilmente di questa prerogativa: sembrava tutta un'operazione infaticabile e continua, e ciò non sorprende se si pensa che la grazia, che in tutti è impaziente al vedersi oziosa, stava in lei senza limiti e senza la comune misura.
628. Non so spiegare la mia affermazione meglio che riferendo lo stupore degli angeli, che sovente di fronte a quello che contemplavano dicevano tra sé o parlando con sua Maestà: «In costei l'Eterno si mostra mirabile più che in tutti gli altri! In costei la natura umana ci sorpassa considerevolmente! Sia sempre esaltato chi vi ha plasmato, o Maria. Voi siete il vanto e la bellezza dei mortali. Voi siete oggetto di santa emulazione addirittura per noi che siamo esseri spirituali e suscitate meraviglia nei cittadini del paradiso. Siete il portento dell'Onnipotente, la manifestazione della sua destra, la sintesi delle opere del Verbo, il vivo ritratto delle sue perfezioni, l'effigie dei suoi passi e l'immagine in tutto somigliante a colui che si è incarnato nel vostro grembo. Voi siete degna guida della Chiesa militante e gloria specialmente di quella trionfante, onore del nostro popolo e riparatrice del vostro. A tutte le nazioni sia nota la vostra virtù ed eminenza, e ogni generazione vi acclami e benedica. Amen».
629. La nostra Principessa celebrava con essi i favori che le erano stati concessi, supplicandoli di assisterla non soltanto per il suo fervente amore, che meritava e sollecitava tutti i mezzi per l'inestinguibile sete che provoca il fuoco della carità nell'animo in cui arde, ma pure per la sua profonda umiltà, con la quale si confessava più debitrice degli altri, che esortava ad aiutarla a pagare benché fosse l'unica ad esserne capace. In questo modo trasferiva sulla terra, nel suo oratorio, la corte del supremo Re, e faceva del mondo un cielo.
630. Ricordava la sua Presentazione al tempio nella data corrispondente, cominciando dalla vigilia e spendendo l'intera notte in esercizi e ringraziamenti, come in occasione dell'Immacolata Concezione e della Natività. Meditava il beneficio di essere stata condotta dal sommo Bene nella sua casa in tanto tenera età e tutto quanto aveva ricevuto mentre vi dimorava, ma ancor più ammirevole è che, ricolma di luce superna, richiamasse alla memoria gli insegnamenti che le avevano impartito il sacerdote e la sua maestra durante l'infanzia. Aveva la stessa cura in ordine a ciò che aveva appreso dai suoi genitori e successivamente dai Dodici, ed eseguiva nuovamente tutto nel grado conveniente alla sua maturità. Sebbene le fossero sufficienti le parole di Cristo, rammentava quelle di tutti, perché in materia di umiliarsi e di obbedire come inferiore non perdeva alcun punto o ingegnoso segreto. Oh, a che inarrivabile livello portò gli ammonimenti dei sapienti: «Non appoggiarti sulla tua intelligenza e non credere di essere saggio; non disprezzare i racconti e gli avvertimenti degli anziani, e ascolta le loro massime; non aspirare a cose troppo elevate, piegati invece alle umili»!
631. Sentiva come un'affezione naturale al ritiro di cui aveva goduto allora, anche se si era prontamente sottomessa al comando di lasciarlo per gli imperscrutabili fini del nostro Creatore, che in tale anniversario la compensava con dei doni singolari. Il Salvatore scendeva dall'empireo avvolto da un eccezionale splendore e scortato dai suoi ministri, e proclamava: «Colomba mia, venite a me, che sono vostro Signore e vostro figlio. Voglio darvi un'abitazione più sicura ed eccellente, che sarà in me medesimo: venite, carissima amica mia, alla vostra legittima stanza». A questo dolcissimo invito i serafini la sollevavano dal suolo, poiché al cospetto di Gesù stava prostrata finché egli non la pregava di rialzarsi, e con sublimi armonie la collocavano al suo fianco. Subito la Vergine percepiva o capiva che la divinità di lui la riempiva tutta come tempio della sua gloria e la penetrava, rivestiva e circondava come il mare fa con il pesce che tiene in sé; per quel contatto sperimentava effetti ineffabili, avendo una specie di possesso di sua Maestà che non posso spiegare, nel quale provava grande soddisfazione e giubilo pur non vedendolo faccia a faccia.
632. Ella chiamava questa immensa grazia "il mio altissimo rifugio" e la solennità "festa dell'essere di Dio", e componeva mirabili cantici di gratitudine. Alla sera, poi, magnificava il nostro sovrano per tutti i patriarchi e i profeti, da Adamo a Gioacchino ed Anna: per quanto aveva elargito loro, per quanto avevano predetto e per quanto di essi riferiscono i testi sacri. Rivolgendosi a suo padre e sua madre esprimeva riconoscenza per essere stata offerta tanto piccola all'Onnipotente, e chiedeva che nella Gerusalemme trionfante lo lodassero per ciò a nome suo e le impetrassero da lui che l'educasse a farlo e la guidasse in ogni sua azione; soprattutto, li implorava di esaltarlo per averla esentata dal peccato originale allo scopo di sceglierla perché lo accogliesse nel suo grembo, dal momento che considerava sempre inseparabili tali favori.
633. Viveva pressappoco nello stesso modo le memorie dei suoi genitori, che entravano nel suo oratorio con l'Unigenito e con una moltitudine di spiriti celesti. Con questi ultimi ringraziava il suo diletto per averle concesso di nascere da persone così rette e conformi alla sua volontà e per come le aveva premiate, e ideava altri inni che ripetevano con musica soavissima e forte. Ciascun coro dei suoi angeli e di quelli che in simili circostanze si univano ad essi le illustrava un attributo dell'Eterno e uno del Verbo fatto uomo, in un colloquio che le procurava incomparabile gioia e l'accendeva ulteriormente nell'amore e che era causa di enorme gaudio accidentale anche per i due santi. A questi Maria domandava infine di benedirla, restando stesa nella polvere mentre risalivano al paradiso.
634. Nel giorno dedicato al suo castissimo sposo, celebrava il matrimonio in cui egli le era stato dato come fedele compagno per nascondere i misteri dell'incarnazione e per compiere con eccelsa sapienza le opere della redenzione, e, poiché teneva depositato nel suo prudentissimo cuore questo consiglio immutabile della Provvidenza, ponderandolo e stimandolo opportunamente, era straordinariamente esultante. Giuseppe arrivava con stupendo fulgore e con migliaia di ministri superni, che intonavano con allegrezza e compostezza i nuovi motivi scritti dalla nostra Maestra per i benefici ricevuti insieme a lui.
635. Dopo aver speso in tale maniera parecchie ore, la Regina passava le rimanenti discorrendo delle perfezioni e delle prerogative divine, perché in assenza del Signore questo era ciò che la rallegrava maggiormente. Poi, per prendere congedo lo supplicava di intercedere per lei e di rendere onore alla Trinità da parte sua, gli raccomandava le necessità dei credenti e degli apostoli e si faceva benedire, continuando alla sua partenza le consuete manifestazioni di umiltà. Segnalo due cose: in quelle occasioni Cristo, durante la sua permanenza quaggiù, l'assisteva e le si mostrava trasfigurato come sul Tabor, rimunerando la sua profonda devozione e rinnovandola meravigliosamente; inoltre in esse, come in altre delle quali parlerò in seguito, ella aggiungeva una premura conveniente alla sua pietà e degna della nostra attenzione, e cioè sfamava molti poveri, apparecchiando e servendoli con le proprie mani stando in ginocchio. A tal fine, ordinava all'Evangelista di trovare e condurle innanzi i più trascurati e bisognosi, ed egli eseguiva puntualmente il suo comando. La Vergine preparava pure un altro pranzo più delicato per mandarlo agli infermi indigenti che erano negli ospedali e non potevano essere portati a casa sua, e li andava a consolare e sollevare con la sua presenza. Istruì su tutto questo i suoi figli, affinché la imitassero palesandosi per quanto possibile obbligati con lodi e gesti caritatevoli.
Insegnamento della Regina del cielo
636. Mia eletta, l'ingratitudine nei confronti dell'Altissimo è una delle colpe più brutte e che rendono più odiosi ai suoi occhi e a quelli dei beati, che hanno una specie di orrore per questa turpissima villanìa. Eppure, benché essa sia per loro così pericolosa, i mortali non commettono nessun altro peccato con più sconsideratezza e frequenza. È certo che il medesimo Dio, per non essere tanto offeso dalla generale dimenticanza delle sue elargizioni, vuole che la Chiesa compensi in qualche misura la mancanza in cui incorrono i suoi membri e tutti gli altri, e dunque sono in gran numero le preghiere e i sacrifici a sua gloria; però, siccome i favori della sua liberalissima destra appartengono non solo alla comunità ecclesiale ma anche ad ognuno in particolare, ciò non basta ad estinguere il debito, che si è singolarmente tenuti a soddisfare.
637. Quanti vi sono che non hanno mai fatto atti di autentica riconoscenza verso colui che ha concesso e conserva loro la vita, e accorda loro salute, vigore, nutrimento, decoro e averi materiali? Altri, poi, sono mossi ad essi non dall'amore per il Donatore, bensì dall'amore per se stessi e per le realtà terrene che si compiacciono di possedere, inganno che si desume da due fattori. Il primo è che, allorché le perdono, si rattristano, adirano ed abbattono, senza essere capaci di pensare ad altro né altro implorare e apprezzare, perché hanno caro esclusivamente quello che è apparente e caduco. E sebbene sovente sia per loro una grazia l'essere privati delle buone condizioni fisiche, delle facoltà e di cose simili affinché non vi si abbandonino disordinatamente, reputano tale evento una sventura e sempre desiderano correre dietro a ciò che ha termine, per perire assieme ad esso.
638. Il secondo è che, per la cieca bramosia dei beni transitori, non si ricordano di quelli celesti, che non sanno discernere e gradire. Questo errore è ripugnante e terribile tra i cristiani, ai quali l'immensa misericordia dell'Onnipotente, senza che alcuno la vincolasse e muovesse con il proprio retto comportamento, applicò in modo speciale i meriti della passione del mio Unigenito. Costoro potevano nascere in altri secoli, antecedentemente alla sua incarnazione, oppure tra i pagani, gli idolatri e gli eretici, dove sarebbe stata inevitabile la dannazione. Egli, invece, li ha gratuitamente attratti alla fede illuminandoli sulla sicura verità; li ha giustificati mediante il battesimo e ha dato loro i sacramenti, dei ministri e degli insegnamenti; li ha posti sul diritto sentiero e li soccorre con aiuti, li assolve quando hanno sbagliato, li rialza quando sono caduti, li aspetta per la conversione, li invita con clemenza e li premia con eccezionale larghezza; li difende tramite gli angeli; si offre loro come pegno e come alimento di vita spirituale, e non passa giorno od ora senza accumulare i suoi benefici.
639. Dimmi, quindi: quale gratitudine si deve a tanto liberale e paterna benignità? E quanti l'hanno? È ammirevole soprattutto che non si siano sbarrate le porte e prosciugate le fonti della sua bontà, e questo accade poiché è infinita. La principale radice di una così spaventosa grettezza è la loro esorbitante ingordigia e avidità delle ricchezze mondane, che fa sia sembrare da poco quelle che ricevono sia ignorare le altre, più elevate. A tale stoltezza se ne accompagna solitamente una peggiore, cioè la supplica per ottenere dal Signore non soltanto ciò di cui hanno bisogno, ma anche ciò che ambiscono per capriccio e che serve alla loro rovina. Fra gli uomini non è normale che si cerchi alcunché presso chi si è offeso, a maggior ragione se allo scopo di offenderlo ancor più. Per quale motivo dunque un essere vile e spregevole, nemico dell'Eterno, gli domanda il benessere, l'onore, la roba e altre cose che ha costantemente usato contro di lui?
640. E aggiungendo che mai lo ha ringraziato perché lo ha creato, redento, chiamato, atteso, perdonato e gli tiene preparata la medesima gloria di cui gode egli stesso, qualora voglia acquistarla, è chiaramente un'inaudita temerarietà e audacia che ardisca chiedere essendosene così reso assolutamente indegno, se prima non se ne pente. Ti garantisco che questo frequente peccato è uno dei più evidenti segni di riprovazione in coloro che lo commettono sconsideratamente. È un cattivo indizio pure il fatto che l'equo giudice distribuisca abbondanza di favori temporali a chi è immemore del proprio riscatto, giacché costui dimenticando il mezzo della salvezza anela a quello della morte e il suo conseguimento non è che un castigo.
641. Ti manifesto il pericolo affinché tu ne abbia terrore e te ne allontani, ma intendi bene che la tua riconoscenza non ha da essere ordinaria e comune, dal momento che ciò che ti è stato prodigato sorpassa ogni tua ponderazione. Non lasciarti indurre a sminuirti con il pretesto della modestia e a non stimarlo convenientemente. Ti è noto l'impegno del demonio nel tentare di farti sparire da davanti agli occhi le elargizioni di sua Maestà e mie, procurando che tu ritenga le tue mancanze e miserie incompatibili con esse e con la luce che ti è stata concessa. Esci ormai del tutto da questo inganno, comprendendo che tanto più ti abbasserai ed annienterai quanto più attribuirai a Dio quello che ti è accordato dalla sua generosità, e che quanto più gli dovrai tanto più povera ti troverai per pagare il debito. Questa consapevolezza non è presunzione, bensì avvedutezza, e trascurarla non è umiltà, bensì ottusità oltremodo riprensibile, perché non puoi essere grata di qualcosa di cui sei all'oscuro né puoi amare molto se non ti sai costretta e stimolata dai doni che ti obbligano. Sei giustamente preoccupata di non perdere la grazia e l'amicizia dell'Altissimo, che ha operato con te quanto basta per numerose anime, ma è assai diverso l'avere prudentemente paura di privartene e il dubitarne; il tuo avversario nella sua astuzia prova a farti equivocare e ad introdurre in te un'incredula pertinacia coperta con il manto della buona intenzione e del santo timore. Impiega quest'ultimo nel custodire il tuo tesoro e nell'avere una purezza angelica, imitandomi con diligenza e mettendo in pratica tutti gli insegnamenti che a tal fine ti impartisco nella presente Storia.
12-30 Dicembre 28, 1917 Gesù vuole gli atti continui della creatura, anche siano piccoli, non importa, purché c’è il moto, il germe, Lui li unisce ai suoi e li fa grandi.
Luisa Piccarreta (Libro di Cielo)
(1) Continuando il mio solito stato e stando un poco sofferente, pensavo tra me: “Come sarà che non mi è dato di trovare riposo né notte né giorno; anzi, quanto più debole e sofferente, tanto più la mia mente è desta e impossibilitata a prendere riposo”. Ed il mio dolce Gesù mi ha detto:
(2) “Figlia mia, tu non ne sai la ragione, ed Io la so ed ora te la dico a te: “La mia Umanità non ebbe riposo, e nel mio stesso sonno Io non ebbi tregua, ma intensamente lavoravo, e questo perché dovendo dar vita a tutti ed a tutto, e rifare in Me tutto, mi conveniva lavorare senza smettere un istante, e chi deve dar vita dev’essere un continuo moto ed un’atto non interrotto, sicché Io stavo in continuo atto di far uscire da Me vite di creature e di riceverle. Se Io avessi voluto riposare, quante vite non uscirebbero, quante non avendo il mio atto continuo non svilupperebbero e resterebbero appassite, quante non entrerebbero in Me, mancando l’atto di vita di chi solo può dar vita? Ora figlia mia, volendoti insieme con Me nel mio Volere, voglio il tuo atto continuo, sicché la tua mente desta è atto, il mormorio della tua preghiera è atto, i movimenti delle tue mani, i palpiti del tuo cuore, il muovere del tuo sguardo, sono atti, saranno piccoli, ma che m’importa, purché ce il moto, il germe Io lo unisco ai miei e li faccio grandi, e li do loro virtù di produrre vite. Anche i miei atti, non furono atti tutti apparentemente grandi, specie quando Io piccino gemevo, succhiavo il latte dalla mia Mamma, mi trastullavo col baciarla, carezzarla, intrecciare le mie manine alle sue; più grandetto coglievo i fiori, prendevo l’acqua ed altro, questi erano tutti atti piccoli, ma erano uniti nel mio Volere, nella mia Divinità, e ciò bastava; ed erano tanto grandi da poter creare milioni e miliardi di vite. Sicché, mentre gemevo, dai miei gemiti uscivano vite di creature; succhiavo, baciavo, carezzavo, ma erano vite che uscivano; nelle mie dita intrecciate con le mani della Mamma scorrevano le anime, e mentre coglievo i fiori e prendevo l’acqua, erano anime che uscivano dal palpito del mio increato cuore, ed entravano; il mio moto fu continuo, ecco la ragione della tua veglia. Quando veggo il tuo moto, i tuoi atti nel mio Volere, ed ora si mettono al mio fianco, ora mi scorrono nelle mie mani, ora nella mia voce, nella mia mente, nel mio cuore, Io ne faccio moto di tutti, ed a ciascuno do vita nel mio Volere, dandoli la virtù dei miei atti, e li faccio correre a salvezza e a bene di tutti”.