Liturgia delle Ore - Letture
Martedi della 17° settimana del tempo ordinario
Vangelo secondo Luca 14
1Un sabato era entrato in casa di uno dei capi dei farisei per pranzare e la gente stava ad osservarlo.2Davanti a lui stava un idropico.3Rivolgendosi ai dottori della legge e ai farisei, Gesù disse: "È lecito o no curare di sabato?".4Ma essi tacquero. Egli lo prese per mano, lo guarì e lo congedò.5Poi disse: "Chi di voi, se un asino o un bue gli cade nel pozzo, non lo tirerà subito fuori in giorno di sabato?".6E non potevano rispondere nulla a queste parole.
7Osservando poi come gli invitati sceglievano i primi posti, disse loro una parabola:8"Quando sei invitato a nozze da qualcuno, non metterti al primo posto, perché non ci sia un altro invitato più ragguardevole di te9e colui che ha invitato te e lui venga a dirti: Cedigli il posto! Allora dovrai con vergogna occupare l'ultimo posto.10Invece quando sei invitato, va' a metterti all'ultimo posto, perché venendo colui che ti ha invitato ti dica: Amico, passa più avanti. Allora ne avrai onore davanti a tutti i commensali.11Perché chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato".
12Disse poi a colui che l'aveva invitato: "Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici, né i tuoi fratelli, né i tuoi parenti, né i ricchi vicini, perché anch'essi non ti invitino a loro volta e tu abbia il contraccambio.13Al contrario, quando dài un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi;14e sarai beato perché non hanno da ricambiarti. Riceverai infatti la tua ricompensa alla risurrezione dei giusti".
15Uno dei commensali, avendo udito ciò, gli disse: "Beato chi mangerà il pane nel regno di Dio!".16Gesù rispose: "Un uomo diede una grande cena e fece molti inviti.17All'ora della cena, mandò il suo servo a dire agli invitati: Venite, è pronto.18Ma tutti, all'unanimità, cominciarono a scusarsi. Il primo disse: Ho comprato un campo e devo andare a vederlo; ti prego, considerami giustificato.19Un altro disse: Ho comprato cinque paia di buoi e vado a provarli; ti prego, considerami giustificato.20Un altro disse: Ho preso moglie e perciò non posso venire.21Al suo ritorno il servo riferì tutto questo al padrone. Allora il padrone di casa, irritato, disse al servo: Esci subito per le piazze e per le vie della città e conduci qui poveri, storpi, ciechi e zoppi.22Il servo disse: Signore, è stato fatto come hai ordinato, ma c'è ancora posto.23Il padrone allora disse al servo: Esci per le strade e lungo le siepi, spingili a entrare, perché la mia casa si riempia.24Perché vi dico: Nessuno di quegli uomini che erano stati invitati assaggerà la mia cena".
25Siccome molta gente andava con lui, egli si voltò e disse:26"Se uno viene a me e non odia suo padre, sua madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo.27Chi non porta la propria croce e non viene dietro di me, non può essere mio discepolo.
28Chi di voi, volendo costruire una torre, non si siede prima a calcolarne la spesa, se ha i mezzi per portarla a compimento?29Per evitare che, se getta le fondamenta e non può finire il lavoro, tutti coloro che vedono comincino a deriderlo, dicendo:30Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro.31Oppure quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila?32Se no, mentre l'altro è ancora lontano, gli manda un'ambasceria per la pace.33Così chiunque di voi non rinunzia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo.
34Il sale è buono, ma se anche il sale perdesse il sapore, con che cosa lo si salerà?35Non serve né per la terra né per il concime e così lo buttano via. Chi ha orecchi per intendere, intenda".
Secondo libro di Samuele 21
1Al tempo di Davide ci fu una carestia per tre anni; Davide cercò il volto del Signore e il Signore gli disse: "Su Saul e sulla sua casa pesa un fatto di sangue, perché egli ha fatto morire i Gabaoniti".2Allora il re chiamò i Gabaoniti e parlò loro. I Gabaoniti non erano del numero degli Israeliti, ma un resto degli Amorrei, e gli Israeliti avevano giurato loro; Saul però, nel suo zelo per gli Israeliti e per quelli di Giuda, aveva cercato di sterminarli.3Davide disse ai Gabaoniti: "Che devo fare per voi? In che modo espierò, perché voi benediciate l'eredità del Signore?".4I Gabaoniti gli risposero: "Fra noi e Saul e la sua casa non è questione d'argento o d'oro, né ci riguarda l'uccidere qualcuno in Israele". Il re disse: "Quello che voi direte io lo farò per voi".5Quelli risposero al re: "Di quell'uomo che ci ha distrutti e aveva fatto il piano di sterminarci, perché più non sopravvivessimo entro alcun confine d'Israele,6ci siano consegnati sette uomini tra i suoi figli e noi li impiccheremo davanti al Signore in Gàbaon, sul monte del Signore". Il re disse: "Ve li consegnerò".7Il re risparmiò Merib-Bàal figlio di Giònata, figlio di Saul, per il giuramento che Davide e Giònata, figlio di Saul, si erano fatto davanti al Signore;8ma il re prese i due figli che Rizpà figlia di Aià aveva partoriti a Saul, Armonì e Merib-Bàal e i cinque figli che Meràb figlia di Saul aveva partoriti ad Adrièl il Mecolatita figlio di Barzillài.9Li consegnò ai Gabaoniti, che li impiccarono sul monte, davanti al Signore. Tutti e sette perirono insieme. Furono messi a morte nei primi giorni della mietitura, quando si cominciava a mietere l'orzo.
10Allora Rizpà, figlia di Aià, prese il mantello di sacco e lo tese, fissandolo alla roccia, e stette là dal principio della mietitura dell'orzo finché dal cielo non cadde su di loro la pioggia. Essa non permise agli uccelli del cielo di posarsi su di essi di giorno e alle bestie selvatiche di accostarsi di notte.11Fu riferito a Davide quello che Rizpà, figlia di Aià, concubina di Saul, aveva fatto.12Davide andò a prendere le ossa di Saul e quelle di Giònata suo figlio presso i cittadini di Iabès di Gàlaad, i quali le avevano portate via dalla piazza di Beisan, dove i Filistei avevano appeso i cadaveri quando avevano sconfitto Saul sul Gelboe.13Egli riportò le ossa di Saul e quelle di Giònata suo figlio; poi si raccolsero anche le ossa di quelli che erano stati impiccati.14Le ossa di Saul e di Giònata suo figlio, come anche le ossa degli impiccati furono sepolte nel paese di Beniamino a Zela, nel sepolcro di Kis, padre di Saul; fu fatto quanto il re aveva ordinato. Dopo, Dio si mostrò placato verso il paese.
15I Filistei mossero di nuovo guerra ad Israele e Davide scese con i suoi sudditi a combattere contro i Filistei. Davide era stanco16e Isbi-Benòb, uno dei figli di Rafa, che aveva una lancia del peso di trecento sicli di rame ed era cinto di una spada nuova, manifestò il proposito di uccidere Davide;17ma Abisài, figlio di Zeruià, venne in aiuto al re, colpì il Filisteo e lo uccise. Allora i ministri di Davide gli giurarono: "Tu non uscirai più con noi a combattere e non spegnerai la lampada d'Israele".
18Dopo, ci fu un'altra battaglia contro i Filistei, a Gob; allora Sibbecài il Cusatita uccise Saf, uno dei figli di Rafa.
19Ci fu un'altra battaglia contro i Filistei a Gob; Elcanàn, figlio di Iair di Betlemme, uccise il fratello di Golia di Gat: l'asta della sua lancia era come un subbio di tessitori.
20Ci fu un'altra battaglia a Gat, dove si trovò un uomo di grande statura, che aveva sei dita per mano e per piede, in tutto ventiquattro dita: anch'egli era nato a Rafa.21Costui insultò Israele, ma lo uccise Giònata, figlio di Simeà, fratello di Davide.22Questi quattro erano nati a Rafa, in Gat. Essi perirono per mano di Davide e per mano dei suoi ministri.
Proverbi 15
1Una risposta gentile calma la collera,
una parola pungente eccita l'ira.
2La lingua dei saggi fa gustare la scienza,
la bocca degli stolti esprime sciocchezze.
3In ogni luogo sono gli occhi del Signore,
scrutano i malvagi e i buoni.
4Una lingua dolce è un albero di vita,
quella malevola è una ferita al cuore.
5Lo stolto disprezza la correzione paterna;
chi tiene conto dell'ammonizione diventa prudente.
6Nella casa del giusto c'è abbondanza di beni,
sulla rendita dell'empio incombe il dissesto.
7Le labbra dei saggi diffondono la scienza,
non così il cuore degli stolti.
8Il sacrificio degli empi è in abominio al Signore,
la supplica degli uomini retti gli è gradita.
9La condotta perversa è in abominio al Signore;
egli ama chi pratica la giustizia.
10Punizione severa per chi abbandona il retto sentiero,
chi odia la correzione morirà.
11Gl'inferi e l'abisso sono davanti al Signore,
tanto più i cuori dei figli dell'uomo.
12Lo spavaldo non vuol essere corretto,
egli non si accompagna con i saggi.
13Un cuore lieto rende ilare il volto,
ma, quando il cuore è triste, lo spirito è depresso.
14Una mente retta ricerca il sapere,
la bocca degli stolti si pasce di stoltezza.
15Tutti i giorni son brutti per l'afflitto,
per un cuore felice è sempre festa.
16Poco con il timore di Dio
è meglio di un gran tesoro con l'inquietudine.
17Un piatto di verdura con l'amore
è meglio di un bue grasso con l'odio.
18L'uomo collerico suscita litigi,
il lento all'ira seda le contese.
19La via del pigro è come una siepe di spine,
la strada degli uomini retti è una strada appianata.
20Il figlio saggio allieta il padre,
l'uomo stolto disprezza la madre.
21La stoltezza è una gioia per chi è privo di senno;
l'uomo prudente cammina diritto.
22Falliscono le decisioni prese senza consultazione,
riescono quelle prese da molti consiglieri.
23È una gioia per l'uomo saper dare una risposta;
quanto è gradita una parola detta a suo tempo!
24Per l'uomo assennato la strada della vita è verso l'alto,
per salvarlo dagli inferni che sono in basso.
25Il Signore abbatte la casa dei superbi
e rende saldi i confini della vedova.
26Sono in abominio al Signore i pensieri malvagi,
ma gli sono gradite le parole benevole.
27Sconvolge la sua casa chi è avido di guadagni disonesti;
ma chi detesta i regali vivrà.
28La mente del giusto medita prima di rispondere,
la bocca degli empi esprime malvagità.
29Il Signore è lontano dagli empi,
ma egli ascolta la preghiera dei giusti.
30Uno sguardo luminoso allieta il cuore;
una notizia lieta rianima le ossa.
31L'orecchio che ascolta un rimprovero salutare
avrà la dimora in mezzo ai saggi.
32Chi rifiuta la correzione disprezza se stesso,
chi ascolta il rimprovero acquista senno.
33Il timore di Dio è una scuola di sapienza,
prima della gloria c'è l'umiltà.
Salmi 5
1'Al maestro del coro. Per flauti. Salmo. Di Davide.'
2Porgi l'orecchio, Signore, alle mie parole:
intendi il mio lamento.
3Ascolta la voce del mio grido,
o mio re e mio Dio,
perché ti prego, Signore.
4Al mattino ascolta la mia voce;
fin dal mattino t'invoco e sto in attesa.
5Tu non sei un Dio che si compiace del male;
presso di te il malvagio non trova dimora;
6gli stolti non sostengono il tuo sguardo.
Tu detesti chi fa il male,
7fai perire i bugiardi.
Il Signore detesta sanguinari e ingannatori.
8Ma io per la tua grande misericordia
entrerò nella tua casa;
mi prostrerò con timore
nel tuo santo tempio.
9Signore, guidami con giustizia
di fronte ai miei nemici;
spianami davanti il tuo cammino.
10Non c'è sincerità sulla loro bocca,
è pieno di perfidia il loro cuore;
la loro gola è un sepolcro aperto,
la loro lingua è tutta adulazione.
11Condannali, o Dio, soccombano alle loro trame,
per tanti loro delitti disperdili,
perché a te si sono ribellati.
12Gioiscano quanti in te si rifugiano,
esultino senza fine.
Tu li proteggi e in te si allieteranno
quanti amano il tuo nome.
13Signore, tu benedici il giusto:
come scudo lo copre la tua benevolenza.
Geremia 10
1Ascoltate la parola che il Signore vi rivolge,
casa di Israele.
2Così dice il Signore:
"Non imitate la condotta delle genti
e non abbiate paura dei segni del cielo,
perché le genti hanno paura di essi.
3Poiché ciò che è il terrore dei popoli è un nulla,
non è che un legno tagliato nel bosco,
opera delle mani di chi lavora con l'ascia.
4È ornato di argento e di oro,
è fissato con chiodi e con martelli,
perché non si muova.
5Gli idoli sono come uno spauracchio
in un campo di cocòmeri,
non sanno parlare,
bisogna portarli, perché non camminano.
Non temeteli, perché non fanno alcun male,
come non è loro potere fare il bene".
6Non sono come te, Signore;
tu sei grande
e grande la potenza del tuo nome.
7Chi non ti temerà, re delle nazioni?
Questo ti conviene,
poiché fra tutti i saggi delle nazioni
e in tutti i loro regni
nessuno è simile a te.
8Sono allo stesso tempo stolti e testardi;
vana la loro dottrina, come un legno.
9Argento battuto e laminato portato da Tarsìs
e oro di Ofir,
lavoro di artista e di mano di orafo,
di porpora e di scarlatto è la loro veste:
tutti lavori di abili artisti.
10Il Signore, invece, è il vero Dio,
egli è Dio vivente e re eterno;
al suo sdegno trema la terra,
i popoli non resistono al suo furore.
11Direte loro:
"Gli dèi che non hanno fatto il cielo e la terra scompariranno dalla terra e sotto il cielo".
12Egli ha formato la terra con potenza,
ha fissato il mondo con sapienza,
con intelligenza ha disteso i cieli.
13Al rombo della sua voce rumoreggiano le acque nel cielo.
Egli fa salire le nubi dall'estremità della terra,
produce lampi per la pioggia
e manda fuori il vento dalle sue riserve.
14Rimane inebetito ogni uomo, senza comprendere;
resta confuso ogni orafo per i suoi idoli,
poiché è menzogna ciò che ha fuso
e non ha soffio vitale.
15Essi sono vanità, opere ridicole;
al tempo del loro castigo periranno.
16Non è tale l'eredità di Giacobbe,
perché egli ha formato ogni cosa.
Israele è la tribù della sua eredità,
Signore degli eserciti è il suo nome.
17Raccogli il tuo fardello fuori dal paese,
tu che sei cinta d'assedio,
18poiché dice il Signore:
"Ecco, questa volta, caccerò lontano
gli abitanti del paese;
li ridurrò alle strette, perché mi ritrovino".
19Guai a me a causa della mia ferita;
la mia piaga è incurabile.
Eppure io avevo pensato:
"È solo un dolore che io posso sopportare".
20La mia tenda è sfasciata
tutte le mie corde sono rotte.
I miei figli si sono allontanati da me e più non sono.
Nessuno pianta ancora la mia tenda
e stende i miei teli.
21I pastori sono diventati insensati,
non hanno ricercato più il Signore;
per questo non hanno avuto successo,
anzi è disperso tutto il loro gregge.
22Si ode un rumore che avanza
e un grande frastuono giunge da settentrione,
per ridurre le città di Giuda un deserto,
un rifugio di sciacalli.
23"Lo so, Signore, che l'uomo non è padrone della sua via,
non è in potere di chi cammina il dirigere i suoi passi.
24Correggimi, Signore, ma con giusta misura,
non secondo la tua ira, per non farmi vacillare".
25Riversa la tua collera sui popoli
che non ti conoscono
e sulle stirpi
che non invocano il tuo nome,
poiché hanno divorato Giacobbe
l'hanno divorato e consumato,
e hanno distrutto la sua dimora.
Lettera ai Galati 1
1Paolo, apostolo non da parte di uomini, né per mezzo di uomo, ma per mezzo di Gesù Cristo e di Dio Padre che lo ha risuscitato dai morti,2e tutti i fratelli che sono con me, alle Chiese della Galazia.3Grazia a voi e pace da parte di Dio Padre nostro e dal Signore Gesù Cristo,4che ha dato se stesso per i nostri peccati, per strapparci da questo mondo perverso, secondo la volontà di Dio e Padre nostro,5al quale sia gloria nei secoli dei secoli. Amen.
6Mi meraviglio che così in fretta da colui che vi ha chiamati con la grazia di Cristo passiate ad un altro vangelo.7In realtà, però, non ce n'è un altro; solo che vi sono alcuni che vi turbano e vogliono sovvertire il vangelo di Cristo.8Orbene, se anche noi stessi o un angelo dal cielo vi predicasse un vangelo diverso da quello che vi abbiamo predicato, sia anàtema!9L'abbiamo già detto e ora lo ripeto: se qualcuno vi predica un vangelo diverso da quello che avete ricevuto, sia anàtema!10Infatti, è forse il favore degli uomini che intendo guadagnarmi, o non piuttosto quello di Dio? Oppure cerco di piacere agli uomini? Se ancora io piacessi agli uomini, non sarei più servitore di Cristo!
11Vi dichiaro dunque, fratelli, che il vangelo da me annunziato non è modellato sull'uomo;12infatti io non l'ho ricevuto né l'ho imparato da uomini, ma per rivelazione di Gesù Cristo.13Voi avete certamente sentito parlare della mia condotta di un tempo nel giudaismo, come io perseguitassi fieramente la Chiesa di Dio e la devastassi,14superando nel giudaismo la maggior parte dei miei coetanei e connazionali, accanito com'ero nel sostenere le tradizioni dei padri.15Ma quando colui che mi scelse fin dal seno di mia madre e mi chiamò con la sua grazia si compiacque16di rivelare a me suo Figlio perché lo annunziassi in mezzo ai pagani, subito, senza consultare nessun uomo,17senza andare a Gerusalemme da coloro che erano apostoli prima di me, mi recai in Arabia e poi ritornai a Damasco.
18In seguito, dopo tre anni andai a Gerusalemme per consultare Cefa, e rimasi presso di lui quindici giorni;19degli apostoli non vidi nessun altro, se non Giacomo, il fratello del Signore.20In ciò che vi scrivo, io attesto davanti a Dio che non mentisco.21Quindi andai nelle regioni della Siria e della Cilicia.22Ma ero sconosciuto personalmente alle Chiese della Giudea che sono in Cristo;23soltanto avevano sentito dire: "Colui che una volta ci perseguitava, va ora annunziando la fede che un tempo voleva distruggere".24E glorificavano Dio a causa mia.
Capitolo XIX: La capacità di sopportare le offese e la vera provata pazienza
Leggilo nella Biblioteca1. Che è quello che vai dicendo, o figlio? Cessa il tuo lamento, tenendo presenti le sofferenze mie e quelle degli altri santi. "Non hai resistito ancora fino al sangue" (Eb 12,4). Ciò che tu soffri è poca cosa, se ti metti a confronto con coloro che patirono tanto gravemente: così fortemente tentati, così pesantemente tribolati, provati in vari modi e messi a dura prova. Occorre dunque che tu rammenti le sofferenze più gravi degli altri, per imparare a sopportare le tue, piccole. Che se piccole non ti sembrano, vedi se anche questo non dipenda dalla tua incapacità di sopportazione. Comunque, siano piccoli o grandi questi mali, fa' in modo di sopportare tutto pazientemente. Il tuo agire sarà tanto più saggio, e tanto più grande sarà il tuo merito, quanto meglio ti sarai disposto al patire; anzi lo troverai anche più lieve, se, intimamente e praticamente, sarai pronto e sollecito. E non dire: questo non lo posso sopportare; non devo tollerare cose simili da una tale persona, che mi fa del male assai, e mi rimprovera cose che non avevo neppure pensato; da un altro, non da lui, le tollererei di buon grado, e riterrei giusto doverle sopportare. E' una stoltezza un simile ragionamento. Esso non tiene conto della virtù della pazienza, né di colui a cui spetta di premiarla; ma tiene conto piuttosto delle persone e delle offese ricevute. Vero paziente non è colui che vuole sopportare soltanto quel che gli sarà sembrato giusto, e da chi gli sarà piaciuto. Vero paziente, invece, è colui che non guarda da quale persona egli venga messo alla prova: se dal superiore, oppure da un suo pari, o da un inferiore; se da un uomo buono o santo, oppure da un malvagio, o da persona che non merita nulla. Vero paziente è colui che indifferentemente - da qualunque persona, e per quante volte, gli venga qualche contrarietà - tutto accetta con animo grato dalla mano di Dio; anzi lo ritiene un vantaggio grande, poiché non c'è cosa, per quanto piccola, purché sopportata per amore di Dio, che passi senza ricompensa, presso Dio.
2. Sii dunque preparato al combattimento, se vuoi ottenere vittoria. Senza lotta non puoi giungere ad essere premiato per la tua sofferenza. Se rifiuti la sofferenza, rifiuti anche il premio; se invece desideri essere premiato, devi combattere da vero uomo e saper sopportare con pazienza. Come al riposo non si giunge se non dopo aver faticato, così alla vittoria non si giunge se non dopo aver combattuto. Oh, Signore, che mi diventi possibile, per tua grazia, quello che mi sembra impossibile per la mia natura: tu sai che ben scarsa è la mia capacità di soffrire, e che al sorgere di una, sia pur piccola, difficoltà, mi trovo d'un colpo atterrato. Che mi diventi cara e desiderabile, in tuo nome, qualsiasi prova e qualsiasi tribolazione: soffrire ed essere tribolato per amor tuo, ecco ciò che è grandemente salutare all'anima mia.
LIBRO OTTAVO
La Trinità - Sant'Agostino
Leggilo nella BibliotecaProemio
Le Persone divine distinte per le relazioni, identiche nell’essenza
1. 1. Abbiamo detto altrove 1 che nella Trinità si applicano in maniera propria e distinta a ciascuna delle Persone i nomi che implicano mutua relazione, come Padre, Figlio e Spirito Santo, Dono 2 di ambedue, perché il Padre non è la Trinità, il Figlio non è la Trinità, né la Trinità è il loro Dono. Invece quando si esprime ciò che sono le Persone, considerate ciascuna in se stessa, non si parla di tre al plurale, ma vi è una sola realtà: la stessa Trinità. Così il Padre è Dio, il Figlio è Dio, lo Spirito Santo è Dio; il Padre è buono, il Figlio è buono, lo Spirito Santo è buono; il Padre è onnipotente, il Figlio è onnipotente, lo Spirito Santo è onnipotente. Tuttavia non vi sono tre dèi, tre buoni, tre onnipotenti, ma un solo Dio, buono, onnipotente 3: la Trinità stessa. E così si dica di qualsiasi altro attributo, che non si applichi alle Persone considerate nelle loro relazioni, ma a ciascuna Persona considerata in se stessa. Questi attributi infatti concernono l’essenza, perché in Dio è la stessa cosa essere ed essere grande, buono, sapiente e tutto ciò che si afferma di ciascuna Persona considerata in se stessa o della Trinità. Perciò non si parla, abbiamo detto, di tre Persone o tre sostanze 4 per far intendere una diversità di essenza, ma per tentare, con una sola parola, di rispondere a questa domanda: "chi sono questi Tre, o che cosa sono questi Tre?". E tanta è l’uguaglianza in seno alla Trinità che non solo il Padre non è più grande del Figlio in ciò che concerne la divinità, ma il Padre e il Figlio insieme non sono una realtà più grande dello Spirito Santo, né ciascuna delle tre Persone, qualunque essa sia, è una realtà meno grande che la Trinità stessa. Queste verità sono già state dette e se, volgendole e rivolgendole vi ritorniamo sopra molto spesso, ci diventeranno più familiari, ma bisogna anche usare una certa misura e supplicare Dio con pietà e con grande devozione perché apra la nostra intelligenza ed elimini dalla nostra ricerca ogni senso di ostinazione, affinché il nostro spirito possa discernere l’essenza della verità pura da ogni materia, da ogni mutevolezza. Ora dunque, per quanto lo stesso Creatore mirabilmente misericordioso ci aiuterà, dedichiamoci allo studio di queste cose, che considereremo in modo più interiore delle precedenti, quantunque si tratti della stessa verità; sempre salva la regola che, se qualcosa resta ancora oscuro per la nostra intelligenza, non ci allontaneremo dalla fermezza della fede.
Uguaglianza delle tre Persone divine
1. 2. Affermiamo dunque che nella Trinità due o tre Persone non sono una realtà più grande di una sola di esse, cosa che non comprende la nostra esperienza carnale 5, e questo per il motivo che, se percepisce, come può, la verità delle cose create, non può contemplare la Verità che le ha create. Infatti, se lo potesse, questa luce corporea non le sarebbe più chiara di ciò che abbiamo detto. Nella sostanza della verità, perché essa sola esiste veramente, una cosa non è maggiore di un’altra, se non perché è più vera. Ora tra le cose spirituali ed immutabili, nessuna è più vera di un’altra, essendo tutte ugualmente immutabili ed eterne, e quanto si dice grande null’altro ha per ragione della sua grandezza che la propria verità. Per questo, dove la grandezza è la stessa verità, ciò che ha più grandezza ha necessariamente più verità, e ciò che non ha più verità non ha nemmeno più grandezza. Inoltre ciò che è più grande è anche certamente più vero, come è più grande ciò che ha più grandezza. Là dunque è più grande ciò che è più vero. Ora il Padre e il Figlio insieme non sono qualcosa di più vero del Padre solo o del Figlio solo. Dunque i due insieme non sono qualcosa di più grande di ciascuno di essi preso in particolare. E, poiché anche lo Spirito Santo è ugualmente vero, il Padre e il Figlio insieme non sono qualcosa di più grande dello Spirito Santo, perché non sono qualcosa di più vero. Alla stessa maniera, poiché il Padre e lo Spirito Santo insieme non superano il Figlio in verità - infatti non sono qualcosa di più vero - non lo superano nemmeno in grandezza. Così pure il Figlio e lo Spirito Santo insieme hanno lo stesso grado di grandezza, che il Padre solo, perché hanno anche lo stesso grado di verità. Così anche la Trinità ha tanta grandezza quanta ne ha in essa ciascuna Persona. Tra loro infatti, dove la verità è la stessa grandezza, non è più grande quella che non è più vera. Perché nella verità per essenza si identificano tra loro la verità e l’essenza, l’essenza e la grandezza, quindi la grandezza e la verità. Le cose dunque che in essa sono ugualmente vere, sono per forza anche ugualmente grandi.
Dio Verità suprema
2. 3. Nell’ordine materiale delle cose invece, può accadere che sia oro ugualmente vero questo e quel pezzo d’oro, ma che questo sia più grande di quello, perché qui grandezza e verità non si identificano e una cosa è essere oro altra cosa essere grande. Così per la natura dell’anima: dire che un’anima è grande non equivale a dire che è vera, perché ha un’anima vera anche chi non è magnanimo. Questo perché l’essenza del corpo e dell’anima non è l’essenza della stessa verità, come lo è invece la Trinità: Dio uno, unico, grande, vero, verace, verità. Questo Dio, se ci sforziamo di pensarlo, nella misura in cui ce lo concede e permette, non pensiamolo in contatto con lo spazio, abbracciante lo spazio, come una specie di essere costituito da tre corpi. Non si ha da immaginare in lui nessuna unione di parti congiunte, come in quel Gerione dai tre corpi, di cui parlano le favole 6; ogni immagine per cui tre sarebbero più grandi di uno solo, uno più piccolo di due, cacciamole senza esitazione dalla nostra anima: così infatti respingiamo ogni elemento corporeo. Nell’ordine spirituale, nulla di ciò che ci si presenta come sottoposto al mutamento, dobbiamo ritenere che sia Dio. Non è una piccola conoscenza, quando, da questo abisso, elevandoci a quella vetta riprendiamo lena, il poter conoscere che cosa Dio non è, prima di sapere che cosa è. Egli non è certamente né terra né cielo; nulla che assomigli alla terra o al cielo, nulla di uguale a ciò che vediamo in cielo, nulla di uguale a ciò che in cielo non vediamo e forse vi si trova. Tu potrai accrescere con l’immaginazione la luce del sole quanto ti sarà possibile, sia in volume, sia in splendore, mille volte di più o all’infinito, nemmeno questo sarà Dio. E se ci rappresentassimo gli Angeli, puri spiriti che animano i corpi celesti, li muovono e li dirigono 7 secondo un volere che è al servizio di Dio; anche se questi Angeli, che sono migliaia di migliaia 8, venissero riuniti tutti per formare un solo essere, Dio non sarebbe nulla di simile. E lo stesso discorso varrebbe anche se si giungesse a rappresentarsi questi spiriti senza corpi, cosa assai difficile per il nostro pensiero carnale. Comprendi dunque, se lo puoi, o anima tanto appesantita da un corpo soggetto alla corruzione 9 e aggravata da pensieri terrestri molteplici e vari; comprendi, se lo puoi, che Dio è Verità. È scritto infatti che Dio è luce 10, non la luce che vedono i nostri occhi, ma quella che vede il cuore, quando sente dire: è la Verità. Non cercare di sapere cos’è la verità, perché immediatamente si interporranno la caligine delle immagini corporee e le nubi dei fantasmi e turberanno la limpida chiarezza, che al primo istante ha brillato al tuo sguardo, quando ti ho detto: Verità. Resta, se puoi, nella chiarezza iniziale di questo rapido fulgore che ti abbaglia, quando si dice: Verità. Ma non puoi, tu ricadi in queste cose abituali e terrene. Qual è dunque, ti chiedo, il peso che ti fa ricadere, se non quello delle immondezze che ti hanno fatto contrarre il glutine della passione e gli sviamenti della tua peregrinazione 11?
Dio Bene supremo
3. 4. Ancora una volta comprendi, se lo puoi. Tu non ami certamente che il bene, perché buona è la terra con le alte montagne, le moderate colline, le piane campagne; buono il podere ameno e fertile, buona la casa ampia e luminosa, dalle stanze disposte con proporzioni armoniose; buoni i corpi animali dotati di vita; buona l’aria temperata e salubre; buono il cibo saporito e sano; buona la salute senza sofferenze né fatiche; buono il viso dell’uomo, armonioso, illuminato da un soave sorriso e vivi colori; buona l’anima dell’amico per la dolcezza di condividere gli stessi sentimenti e la fedeltà dell’amicizia; buono l’uomo giusto e buone le ricchezze, che ci aiutano a trarci d’impaccio; buono il cielo con il sole, la luna e le stelle; buoni gli Angeli per la loro santa obbedienza; buona la parola che istruisce in modo piacevole e impressiona in modo conveniente chi l’ascolta; buono il poema armonioso per il suo ritmo e maestoso per le sue sentenze. Che altro aggiungere? Perché proseguire ancora nell’enumerazione? Questo è buono, quello è buono. Sopprimi il questo e il quello e contempla il bene stesso, se puoi; allora vedrai Dio, che non riceve la sua bontà da un altro bene, ma è il Bene di ogni bene. Infatti fra tutti questi beni - quelli che ho ricordato, o altri che si vedono o si immaginano - noi non potremmo dire che uno è migliore dell’altro, quando noi giudichiamo secondo verità, se non fosse impressa in noi la nozione del bene stesso, regola secondo la quale dichiariamo buona una cosa, e preferiamo una cosa ad un’altra 12. È così che noi dobbiamo amare Dio: non come questo o quel bene, ma come il bene stesso. Perché bisogna cercare il bene dell’anima, non quello su cui essa sorvola con i suoi giudizi, ma quello a cui essa aderisca con il suo amore. E chi lo è se non Dio? Non una buona anima, o un buon angelo, o un buon cielo, ma il Bene buono. Ciò rende forse più facile la comprensione di ciò che vorrei dire. Quando sento dire, per esempio, che un’anima è buona, vi sono due parole, e da queste due parole ricavo due idee: che è anima e che è buona. Per essere un’anima, l’anima stessa non ha fatto nulla; infatti non esisteva ancora per agire al fine di darsi l’essere: ma per essere un’anima buona bisogna, lo vedo, che eserciti la sua volontà. Non che il fatto stesso di essere anima non sia un bene, altrimenti come si potrebbe dire - e dire in tutta verità - che è migliore del corpo? Ma non si dice ancora che l’anima è buona, perché le resta da esercitare la sua volontà per divenire migliore: se trascura questo esercizio, le se ne fa una colpa giustamente e si dice che non è buona. Differisce infatti da quella che esercita la sua volontà, e poiché quella è degna di lode, questa che rimane inattiva è degna di biasimo. Se invece l’anima si applica all’esercizio della sua volontà e diviene un’anima buona, non raggiungerà questo scopo, senza volgersi verso qualcosa di diverso da essa. Verso che cosa dunque si volge per diventare un’anima buona, se non verso il bene, amandolo e desiderandolo e conquistandolo? E se tornerà a distaccarsi da esso perdendo così la propria bontà per il solo fatto di distaccarsi dal bene, a meno che non rimanga in essa il bene da cui si è distaccata, non avrà più nulla verso cui volgersi di nuovo, se vorrà emendarsi.
Bene assoluto e bene partecipato
3. 5. Non ci sarebbero dunque beni mutevoli se non ci fosse un Bene immutabile. Ecco perché quando senti parlare di questo o quel bene, che visti da un altro punto di vista possono anche non essere chiamati beni, se potrai fare astrazione dai beni, che sono tali perché partecipano al bene, per vedere il bene stesso di cui partecipano - di questo bene infatti si ha intelligenza nel momento stesso in cui si sente dire questo e quel bene - se dunque giungerai, facendo astrazione da questi beni, a vedere il bene in se stesso, vedrai Dio. E se aderirai con amore a lui, immediatamente troverai la felicità. Se le altre cose non si amano se non perché sono buone, vergogniamoci di non amare per attaccamento ad esse il Bene stesso per cui sono buone. Anche l’anima, per il solo fatto che è anima, ancora prima che abbia acquistato quella bontà che proviene dalla sua conversione al Bene immutabile, l’anima, ripeto, in quanto tale, quando ci piace fino al punto che la preferiamo, se comprendiamo bene, alla stessa luce corporea, non ci piace in se stessa, ma nell’arte con la quale è stata creata. Ivi infatti l’approviamo, dopo la sua creazione, dove appare che conveniva che fosse creata. Cioè nella verità e nel bene assoluto; il bene che non è altro che bene, e quindi anche il Bene sommo 13. Perché un bene è suscettibile di diminuzione o di accrescimento, solo se riceve da un altro la sua bontà. L’anima dunque si volge, per essere buona, verso il Bene dal quale riceve il suo essere anima. La volontà si accorda con la natura per perfezionare l’anima nel bene, quando è amato, per la conversione della volontà, quel bene da cui proviene anche ciò che l’anima non può perdere nemmeno per l’avversione della volontà. Perché, distogliendosi dal Bene supremo, l’anima cessa di essere buona, ma non cessa di essere anima e questo è già un bene superiore al corpo; dunque la volontà perde ciò che la volontà acquista. Infatti esisteva già l’anima per voler volgersi verso Colui da cui aveva ricevuto l’essere, ma, per voler essere prima di essere, non esisteva ancora. Questo è il nostro bene in cui vediamo che ha dovuto, o deve essere, tutto ciò di cui comprendiamo che ha dovuto o deve essere e in cui vediamo che non avrebbe potuto essere, se non avesse dovuto essere, anche ciò di cui non comprendiamo come abbia dovuto essere. Questo bene dunque non è lontano da ciascuno di noi; in lui infatti viviamo, ci muoviamo e siamo 14.
Compito purificatore della fede
4. 6. Ma per godere pienamente della presenza di questo Bene dal quale riceviamo l’essere e senza il quale non potremmo essere, bisogna tenerci presso di lui, aderire a lui con l’amore. Fino a quando camminiamo per fede, non per visione 15 non vediamo ancora 16 Dio a faccia a faccia 17, come dice lo stesso Apostolo; ma, se non lo amiamo fin d’ora, non lo vedremo mai. Ma chi ama ciò che ignora? Infatti si può conoscere una cosa e non amarla, ma amare una cosa che non si conosce è possibile? Perché, se è impossibile, nessuno ama Dio, prima di conoscerlo. E che cos’è conoscere Dio, se non vederlo, attingerlo fermamente con lo spirito? Dio non è un corpo, perché lo si cerchi con gli occhi di carne, ma prima di essere capaci di vedere e di attingere Dio, come egli può essere visto e attinto (privilegio riservato ai cuori puri: Beati infatti, i puri di cuore, perché essi vedranno Dio 18) se Dio non è amato per fede 19, il cuore non potrà purificarsi per diventare capace e degno di vederlo. Dove sono dunque quelle tre virtù che l’impalcatura di tutti i Libri santi tende ad edificare nella nostra anima: la fede, la speranza, la carità 20, se non nell’animo di colui che crede ciò che non vede ancora e che spera e ama ciò che crede? Si ama dunque anche ciò che si ignora ma che tuttavia si crede. Però occorre stare attenti perché, credendo ciò che non vede, l’anima non si raffiguri qualche cosa che non esiste e dia un falso oggetto alla sua fede e al suo amore. In questa ipotesi la carità non proverrà da un cuore puro, da una coscienza buona, da una fede non finta, che è il fine del precetto 21, come dice ancora l’Apostolo.
La fede implica una conoscenza
4. 7. Ogniqualvolta noi crediamo a delle realtà sensibili di cui abbiamo sentito parlare e di cui abbiamo letto, ma che non abbiamo visto, è una necessità, per la nostra anima, farsi, conformemente a ciò che si presenta all’immaginazione, un’immagine dei contorni e delle forme corporee. Sia che questa immagine corrisponda, cosa che accade di rado, sia che non corrisponda alla realtà, l’importante per noi non è di prestar fede a questa immagine, ma attingere un’altra conoscenza utile, che ci viene suggerita da questa rappresentazione. Chi infatti, tra coloro che leggono o ascoltano gli scritti dell’apostolo Paolo, o ciò che è stato scritto su di lui, non si rappresenta nel suo animo il viso dell’Apostolo e quelli di tutti coloro i cui nomi sono ivi ricordati? Ora, poiché fra tanta moltitudine di persone che conoscono queste Epistole, gli uni si rappresentano in un modo, gli altri in un altro i lineamenti e l’aspetto fisico di questi uomini, è ben difficile sapere chi si avvicini di più alla verità. Ma ciò che interessa la nostra fede, non è sapere che sembianze abbiano avuto quegli uomini, ma il sapere che sono vissuti in tal modo con la grazia di Dio e che hanno compiuto quelle azioni che ci riferisce la Scrittura; ecco ciò che dobbiamo credere, ciò di cui non dobbiamo disperare, ciò che dobbiamo desiderare. Lo stesso viso del Signore varia all’infinito, secondo le diverse rappresentazioni che ciascuno se ne fa, e tuttavia era uno solo, qualunque esso fosse. Ma ciò che è salutare nella fede che noi abbiamo circa il Signore Gesù Cristo, non è ciò che l’anima si rappresenta, forse in maniera molto diversa dalla realtà, ma ciò che pensiamo dell’uomo secondo la natura specifica. Abbiamo infatti impressa in noi, come una regola, la nozione di natura umana, secondo la quale riconosciamo immediatamente che è uomo, formalmente uomo, ogni essere in cui essa si realizza.
Come si ama la Trinità senza conoscerla
5. 7. È secondo questa nozione che si foggia il nostro pensiero quando crediamo che Dio, per noi, si è fatto uomo per dare un esempio di umiltà e per farci conoscere l’amore di Dio verso di noi 22. Per noi è utile infatti credere e ritenere con fermezza incrollabile nel cuore che l’umiltà che ha spinto Dio a nascere da donna 23 ed a lasciarsi, fra tanti oltraggi, condurre a morte da uomini mortali, è il supremo rimedio per guarirci dal gonfiore del nostro orgoglio ed il sublime sacramento per sciogliere il reato del peccato. E così si dica della potenza dei suoi miracoli e della sua stessa risurrezione; perché sappiamo che cosa è l’onnipotenza, crediamo in un Dio onnipotente e, secondo la conoscenza innata o acquisita per esperienza che abbiamo delle specie e dei generi, noi giudichiamo dei fatti di questo tipo, affinché la nostra fede non sia finta. Noi non conosciamo nemmeno il viso della Vergine Maria, che, senza l’intervento di alcun uomo, rimasta intatta nello stesso parto, ha dato alla luce miracolosamente Cristo. Non conosciamo neppure l’aspetto fisico di Lazzaro, non abbiamo visto Betania, né il sepolcro, né la pietra che il Signore ha fatto rimuovere quando egli lo risuscitò 24, né il sepolcro nuovo scavato nella roccia, da cui egli risuscitò 25, né il monte degli Olivi da cui è asceso al cielo 26 e tutti noi che non abbiamo visto queste cose non sappiamo affatto se siano come le immaginiamo, anzi noi riteniamo più probabile che non siano così. Perché se l’aspetto di un luogo, di un uomo, di un corpo qualunque si presenta ai nostri occhi quale si presentava alla nostra anima, quando lo immaginavamo prima di vederlo, restiamo fortemente sorpresi dalla stranezza della cosa perché una tale coincidenza si verifica solo raramente, o quasi mai. E tuttavia crediamo fermamente queste cose perché ce le rappresentiamo secondo una nozione specifica e generica che teniamo per certa. Crediamo che il Signore Gesù Cristo è nato da una Vergine che si chiamava Maria, ma non crediamo che cosa sia una vergine, che cosa è nascere, e che cosa sia un nome proprio: lo sappiamo. Se il viso di Maria sia stato come ce lo immaginiamo quando parliamo di queste cose o quando vi pensiamo, non lo sappiamo affatto, né lo crediamo. Dunque, in questo caso, restando salva l’integrità della fede, possiamo dire: "Forse la Vergine aveva questo volto, forse non l’aveva così"; ma nessuno potrà dire: "Forse Cristo è nato da una Vergine", senza ferire la fede cristiana.
La conoscenza della giustizia
5. 8. Per questo, desiderando comprendere, nella misura in cui ci è concesso di farlo, l’eternità, l’uguaglianza e l’unità della Trinità, dobbiamo credere 27 prima di comprendere e dobbiamo vigilare che la nostra fede sia sincera 28. È della Trinità che dobbiamo godere per vivere nella beatitudine 29; ora, se crediamo qualcosa di falso a suo riguardo, vana sarà la nostra speranza e non casta la nostra carità 30. Ma in che modo la fede può permetterci di amare questa Trinità che non conosciamo? Sarà forse guidati da quella conoscenza di specie e generi che ci permette di amare l’apostolo Paolo? Ma, sebbene l’Apostolo non abbia avuto un viso uguale a quello che ci si presenta all’immaginazione quando pensiamo a lui, e noi siamo nell’ignoranza più completa a questo riguardo, sappiamo almeno che cos’è un uomo. Senza andar lontano, noi lo siamo ed è manifesto che anche lui lo fu e che la sua anima ha vissuto questa vita mortale unita ad un corpo. Crediamo dunque di lui ciò che troviamo in noi, secondo la specie ed il genere che comprende tutta la natura umana. Ma di questa trascendenza della Trinità quale conoscenza generica o specifica abbiamo noi? Esistono forse molte altre trinità simili, alcune delle quali conosciamo per esperienza, di modo che, grazie a una regola di somiglianza impressa in noi o grazie ad una conoscenza del genere e della specie, possiamo credere che essa sia come quelle e così possiamo amare una realtà nella quale crediamo e che non conosciamo ancora, per la sua somiglianza con una realtà che conosciamo? Certamente non è così. O forse possiamo amare, per mezzo della fede, la Trinità che non vediamo e simile alla quale non ne abbiamo mai vista alcuna, alla stessa maniera che amiamo la risurrezione di nostro Signore Gesù Cristo dai morti, sebbene non abbiamo mai visto risuscitare nessun morto? Ma che cosa sia vivere e che cosa sia morire lo sappiamo molto bene, perché noi viviamo ed abbiamo avuto occasione di vedere e sappiamo per esperienza che cosa è un morto ed un morente. Ora, che altro è risorgere se non rivivere, cioè ritornare dalla morte alla vita 31? Quando dunque diciamo e crediamo che esiste la Trinità, sappiamo che cosa sia una trinità, perché sappiamo che cosa è essere tre, ma non è questo che amiamo. Infatti una trinità la possiamo trovare facilmente, quando lo vogliamo, non foss’altro, per non parlare del resto, giocando alla morra con tre dita. Ma ciò che amiamo non è ciò che è qualsiasi trinità, ma ciò che è questa Trinità: Dio. Questo dunque amiamo nella Trinità, che essa è Dio. Ora noi non abbiamo visto, non conosciamo alcun altro Dio, perché c’è un solo Dio 32, quello solo che non abbiamo ancora visto e che amiamo per fede. Ma il problema consiste nel chiedersi a partire da quale similitudine, da quale comparazione con cose da noi conosciute crediamo in Dio ed anche lo amiamo 33 prima ancora di conoscerlo.
Il vero amore con il quale si conosce la Trinità
6. 9. Facciamo dunque insieme un passo indietro ed esaminiamo perché amiamo l’Apostolo. È forse perché, grazie al concetto di natura umana, che conosciamo benissimo, crediamo che fu un uomo? Certamente no, perché altrimenti non esisterebbe ora l’oggetto del nostro amore, dato che egli non è più uomo in quanto la sua anima (anima) è stata separata dal corpo. Ma ciò che amiamo in lui noi crediamo che viva ancora adesso; amiamo infatti la sua anima (animus) giusta. Ed in virtù di quale norma generica e specifica, se non perché sappiamo che cos’è un’anima e che cosa è un giusto? Che cosa sia un’anima (animus) noi pretendiamo di saperlo, e non senza fondamento, perché anche noi abbiamo un’anima. Noi non abbiamo mai visto un’anima con gli occhi e non ce ne siamo formati un concetto generico e specifico a partire dalla rassomiglianza di più anime da noi viste, ma piuttosto, come ho detto, lo sappiamo perché anche noi l’abbiamo. C’è infatti una cosa conosciuta più intimamente, che senta con più chiarezza la sua esistenza, di ciò con cui si sentono anche tutte le altre cose, cioè l’anima stessa? Perché anche i movimenti dei corpi per mezzo dei quali percepiamo che vivono altri esseri oltre noi, noi li conosciamo per analogia con noi in quanto anche noi è grazie alla vita che muoviamo il nostro corpo, come vediamo che si muovono quei corpi. Infatti quando si muove un corpo vivente, non si apre ai nostri occhi alcuno spiraglio per cui possiamo percepire l’anima, realtà che non si può vedere con gli occhi. Ma noi percepiamo che c’è in quella massa corporea un principio analogo a quello che in noi muove similmente la nostra massa: questo principio è la vita e l’anima (anima). Ed esso non è come un qualcosa di esclusivo della prudenza e della ragione dell’uomo, perché anche le bestie sentono che vivono non soltanto esse stesse, ma anche altre bestie in relazione con loro e sentono che anche noi stessi viviamo. Non è che vedano le nostre anime ma sentono che noi viviamo a partire dai movimenti dei corpi e lo fanno istantaneamente e con la massima facilità per una specie d’istinto naturale. Perciò noi conosciamo l’anima (animus) di qualsiasi uomo per analogia con la nostra, e per analogia con la nostra crediamo in quella che non conosciamo. Infatti noi non soltanto sentiamo l’anima, ma possiamo anche sapere che cosa sia l’anima, considerando la nostra, perché abbiamo un’anima. Ma che cosa sia un giusto, da che cosa lo conosciamo? Abbiamo detto che il solo motivo per cui amiamo l’Apostolo è che egli è un’anima giusta. Dunque noi sappiamo che cos’è un giusto, come sappiamo che cos’è un’anima. Ma che cosa sia un’anima, come si è detto, noi lo sappiamo da noi stessi, perché c’è in noi un’anima. Al contrario che cosa sia un giusto da che cosa lo sappiamo, se non siamo giusti? Se nessuno sa che cosa sia un giusto se non colui che è giusto, nessuno ama il giusto se non il giusto. Nessuno può infatti amare colui che crede giusto, precisamente perché lo crede giusto, se ignora che cosa sia un giusto, e secondo quanto abbiamo più sopra dimostrato nessuno ama ciò che crede e non vede, se non secondo una norma di conoscenza generica o specifica. Ma allora, se ama il giusto solo il giusto, come vorrà essere giusto uno che non lo è ancora? Nessuno infatti vuol essere ciò che non ama. Ma perché divenga giusto colui che non lo è ancora, deve proprio voler essere giusto; e per volerlo ama il giusto. Perciò ama il giusto anche chi ancora non è giusto. Ma non può amare il giusto se ignora che cosa sia il giusto. Dunque sa che cosa sia il giusto anche chi non lo è ancora. Da dove gli deriva questa conoscenza? L’ha visto con gli occhi, o c’è forse un corpo giusto, come c’è un corpo bianco, nero, quadrato, rotondo? Chi oserà affermarlo? Ma con gli occhi si vedono solo i corpi. Ora nell’uomo non è giusta che l’anima e quando si dice che un uomo è giusto lo si dice secondo l’anima, non secondo il corpo. La giustizia è una specie di bellezza dell’anima; essa rende belli gli uomini, anche molti di quelli che hanno il corpo contraffatto e deforme. Ma come con gli occhi non si vede l’anima, così non si vede nemmeno la sua bellezza. Da che cosa apprende dunque che cosa sia il giusto, colui che non lo è ancora ed ama il giusto per diventarlo? Forse che i movimenti dei corpi fanno brillare certi segni i quali rivelano che questo o quest’altro uomo è giusto? Ma da che cosa sa che quei segni rivelano un’anima giusta, se ignora totalmente che cosa sia un giusto? Lo sa dunque. Ma da che cosa apprendiamo che cosa sia il giusto, anche quando non siamo giusti? Se lo sappiamo per qualcosa che è fuori di noi, lo vediamo in qualche corpo. Ma quella che vediamo non è una realtà corporea. È dunque in noi che vediamo che cosa sia il giusto. Quando cerco di parlarne non ne trovo l’idea altrove, ma solo in me; e se chiedo ad un altro che cosa sia il giusto, è in se stesso che egli cerca ciò che deve rispondere; e chiunque su questo punto può rispondere il vero, trova in se stesso che cosa può rispondere. Così quando voglio parlare di Cartagine, è in me che cerco ciò che ne dirò, e in me trovo l’immagine (phantasia) di Cartagine 34; ma questa immagine l’ho ricevuta per mezzo del corpo, cioè per mezzo dei sensi del corpo, perché è una città in cui sono stato fisicamente presente, che ho visto, percepito con i miei sensi, di cui conservo il ricordo, cosicché ne trovo in me un verbo quando intendo parlarne. Questo "verbo" è l’immagine (phantasia) che ne conservo nella mia memoria; non questo suono, queste tre sillabe che pronuncio quando nomino Cartagine, neppure il nome che penso in silenzio durante un certo intervallo di tempo; no, è ciò che vedo nella mia anima quando pronuncio queste tre sillabe o anche prima di pronunciarle. Così pure, quando voglio parlare di Alessandria, che non ho mai visto, ne appare in me una rappresentazione immaginaria (phantasma). Avendo sentito dire da molti ed essendomi persuaso, prestando fede alle descrizioni che a me se ne sono potute fare, che è una grande città, me ne sono formato con l’anima un’immagine approssimativa; questa immagine è il suo "verbo" in me, quando voglio parlarne, prima che abbia pronunciato queste cinque sillabe, questo nome che quasi tutti conoscono. E tuttavia se io potessi far uscire questa immagine dalla mia anima e presentarla agli occhi di coloro che conoscono Alessandria, certamente o esclamerebbero tutti: "non è essa", o, se mi dicessero: "è proprio essa", ne sarei molto stupito e contemplandola nella mia anima, o piuttosto l’immagine che ne è come la pittura, non potrei da me riconoscere che è proprio essa, ma presterei fede a coloro che l’hanno vista e ne conservano il ricordo. Ma non è così che cerco che cosa sia il giusto, né così che lo trovo, che lo vedo, né così che mi si approva, quando ne parlo, né così che approvo quando ne sento parlare, come se si trattasse di qualcosa che ho visto con gli occhi, o percepito con qualche senso corporeo, o udito da coloro che l’hanno appreso mediante la conoscenza sensibile. Quando dico, e con piena conoscenza di causa: "L’anima giusta è quella che, regolando la sua vita e i suoi costumi secondo i dettami della scienza e della ragione, dà a ciascuno il suo" 35, non penso ad una realtà assente, come Cartagine; non si tratta di una cosa di cui mi faccio un’immagine approssimativa, come Alessandria, che questa immagine corrisponda o no alla verità; ma contemplo una realtà presente, e la contemplo in me, sebbene non sia io stesso ciò che contemplo, e molti, se mi udranno parlare, mi approveranno. E chiunque mi ascolta e mi approva con piena conoscenza di causa, vede anche lui in sé ciò che vede anche se non è egli stesso ciò che vede. Il giusto invece quando parla di questo, vede e dice ciò che è egli stesso. E dove lo vede anch’egli, se non in se stesso? Ma ciò non può far meraviglia: dove potrebbe infatti vedere se stesso, se non in se stesso? Ma ciò che stupisce è che un’anima veda in se stessa ciò che non ha visto in nessun’altra parte, se ne faccia un’idea vera e veda un’anima veramente giusta sebbene essa sia sì un’anima, ma non l’anima giusta che vede in se stessa. Forse che c’è un’altra anima giusta nell’anima che non è ancora giusta? E se non c’è, che anima vede in sé, quando vede e dice ciò che è un’anima giusta, cosa che non vede in un’altra parte se non in sé, mentre tuttavia essa non è un’anima giusta? Ciò che essa vede non sarà la verità interiore, presente all’anima capace di intuirla? Ma tutti non ne sono capaci: e quelli che sono capaci di intuirla non sono tutto ciò che intuiscono, cioè non sono anch’essi delle anime giuste, benché possano vedere e dire che cosa sia un’anima giusta. E come potranno diventarlo, se non aderendo a questo stesso ideale che intuiscono, per modellarsi in conformità di esso e diventare anime giuste, non accontentandosi di contemplare e dire che è giusta l’anima che ordina la sua vita e la sua condotta secondo i dettami della scienza e della ragione e distribuisce a ciascuno ciò che gli spetta, ma per vivere anch’essi secondo giustizia ed improntare ad essa la loro condotta distribuendo a ciascuno ciò che gli spetta, in modo che non debbano nulla a nessuno, se non la mutua dilezione 36? E come si aderisce a quell’ideale se non con l’amore? Perché dunque amiamo noi un altro uomo che riteniamo giusto e non amiamo quello stesso ideale in cui vediamo che cosa sia un’anima giusta al fine di poter diventare giusti anche noi? O forse si deve dire che senza amare questo ideale non ameremmo colui che esso ci fa amare, ma che, fino a quando non siamo ancora giusti, l’amore di questo ideale è troppo debole per darci la forza di diventare giusti anche noi? Dunque l’uomo che è ritenuto giusto è amato secondo la verità che contempla ed intuisce in sé colui che ama; questa verità ideale però non si ama per un motivo diverso, ma per se stessa. Perché al di fuori di essa non troviamo nulla che le sia simile e che ci permetta, fintantoché non la conosciamo, di amarla per fede, riferendoci ad un’analogia di un essere già conosciuto. Infatti tutto ciò che ci appare tale, è già essa stessa; o meglio non c’è nulla di simile, perché essa sola è tale, quale essa è. Colui dunque che ama gli uomini, deve amarli perché sono giusti o perché lo diventino. Così infatti deve amare anche se stesso: o perché è giusto, o per diventare giusto. Allora ama il prossimo come se stesso 37 senza alcun pericolo. Chi si ama in maniera diversa si ama in maniera ingiusta, perché si ama per essere ingiusto, dunque per essere cattivo e di conseguenza non si ama; infatti: Chi ama l’iniquità odia la sua anima 38.
Cercare Dio interiormente
7. 10. Perciò in questa questione sulla Trinità e la conoscenza di Dio dobbiamo principalmente indagare che cosa sia il vero amore, o meglio, che cosa sia l’amore, perché non c’è amore degno di tal nome che quello vero: il resto è concupiscenza. Ed è improprio dire che amano gli uomini dominati dalla concupiscenza, come dire che sono dominati dalla concupiscenza gli uomini che amano. Ora il vero amore consiste nell’aderire alla verità per vivere nella giustizia 39. Dunque disprezziamo tutte le cose mortali per amore degli uomini, amore che ci fa desiderare che essi vivano nella giustizia. Allora potremo giungere anche al punto di essere disposti a morire per il bene dei nostri fratelli, come il Signore Gesù Cristo ci ha insegnato con il suo esempio. Benché vi siano due precetti dai quali dipende tutta la Legge ed i Profeti: l’amore di Dio e l’amore del prossimo 40, non è senza motivo che la Scrittura di solito ne ricordi uno per tutti e due. Talvolta parla solo dell’amore di Dio, come in questo passo: Sappiamo che per coloro che amano Dio, egli fa concorrere tutto al bene 41; ed in quest’altro: Chiunque ama Dio, questi è conosciuto da lui 42; ed ancora: Perché l’amore di Dio è stato diffuso nei nostri cuori mediante lo Spirito Santo che ci è stato dato 43, ed in molti altri passi. Perché chi ama Dio è naturale che faccia ciò che Dio ha prescritto e lo ami, nella misura in cui lo fa. Di conseguenza amerà anche il prossimo, perché Dio lo ha comandato 44. Talvolta la Scrittura ricorda soltanto l’amore del prossimo, come nel passo: Sopportate gli uni i pesi degli altri e così adempirete la legge di Cristo 45; ed in questo: Tutta la Legge infatti si compendia in questo solo comando: Ama il prossimo tuo come te stesso 46; e nel Vangelo: Tutto quanto desiderate che gli uomini facciano a voi di bene, fatelo voi pure a loro; poiché questa è la Legge ed i Profeti 47. E noi incontriamo nelle sante Scritture molti altri passi, in cui solo l’amore del prossimo sembra comandato per la perfezione, mentre non si parla dell’amore di Dio. E tuttavia la Legge e i Profeti dipendono dall’uno e dall’altro precetto 48. Ma ancora una volta la ragione di questo silenzio è che chi ama il prossimo ama necessariamente, prima di tutto, l’amore stesso. Ora: Dio è amore, e chi dimora nell’amore dimora in Dio 49. Ne consegue dunque che ama principalmente Dio.
7. 11. Di conseguenza quelli che cercano Dio 50 per mezzo delle potestà che governano il mondo o le parti del mondo, sono trascinati lontano da lui e gettati a distanza, non per la lontananza di luogo, ma per la diversità dell’affetto 51. Infatti si sforzano di andare all’esterno ed abbandonano la loro interiorità, nell’intimità della quale c’è Dio. Perciò anche quando intendono parlare di qualche celeste Potestà o se la rappresentano in qualsiasi modo, desiderano soprattutto il suo potere che stupisce la debolezza umana, e non imitano la sua pietà con cui si accede al riposo di Dio. Preferiscono infatti, superbamente, potere ciò che può l’Angelo, piuttosto che essere, piamente, ciò che è l’Angelo. Perché nessun santo si compiace della sua potenza, ma di quella di Colui che gli concede di poter fare tutto ciò che può fare con saggezza. Sa che ha più potenza se si unisce all’Onnipotente con pia volontà, che se può compiere con la sua potenza e volontà qualcosa che faccia tremare coloro che ne sono privi. Perciò lo stesso Signore Gesù Cristo operando tali prodigi per avviare verso più alte verità coloro che li ammiravano e convertire alle realtà eterne ed interiori gli spiriti attenti e come sospesi verso dei miracoli temporali, disse: Venite a me voi che siete affaticati e stanchi ed io vi darò completo riposo. Prendete su di voi il mio giogo 52. Non disse: "Imparate da me che risuscito dei morti da quattro giorni", ma: Imparate da me perché sono docile ed umile di cuore 53. Infatti è più potente e sicura la solidissima umiltà che l’altissima grandezza gonfia di vento. Perciò il Signore aggiunge: E troverete pace per le anime vostre 54. Infatti l’amore non si gonfia 55 e Dio è amore 56, e quelli che sono fedeli riposano con lui nell’amore 57, richiamati dal tumulto esteriore alle gioie silenziose. Ecco: Dio è amore; perché andar correndo nel più alto dei cieli, nel più profondo della terra, alla ricerca di Colui che è presso di noi se noi vogliamo stare presso di lui 58?
Chi ama il fratello è nato da Dio e lo conosce
8. 12. Nessuno dica: "non so che cosa amare". Ami il fratello ed amerà l’amore stesso. Infatti conosce meglio l’amore con cui ama che il fratello che ama. Ed ecco che allora Dio gli sarà più noto che il fratello; molto meglio noto, perché più presente; più noto perché più interiore; più noto perché più certo. Abbraccia il Dio amore e abbraccia Dio con l’amore. È quello stesso amore che associa tutti gli Angeli buoni e tutti i servi di Dio con il vincolo della santità e che ci unisce scambievolmente insieme, essi e noi, unendoci a lui che è al di sopra di noi. Quanto più dunque siamo esenti dal gonfiore della superbia, tanto più siamo pieni d’amore. E di che cosa è pieno se non di Dio colui che è pieno d’amore? "Ma, si dirà, vedo la carità e, per quanto posso, fisso su di essa lo sguardo dello spirito e credo alla Scrittura che dice: Dio è carità, e chi dimora nella carità, dimora in Dio 59. Ma quando vedo la carità, non vedo in essa la Trinità". Ebbene, sì, tu vedi la Trinità, se vedi la carità. Mi sforzerò, se lo posso, di farti vedere che la vedi: soltanto che la Trinità ci assista affinché la carità ci muova verso qualche bene. Quando infatti amiamo la carità, la amiamo come amante qualcosa, per il fatto stesso che la carità ama qualcosa. Che cosa ama dunque la carità, perché anche la carità stessa possa essere amata? Non è infatti carità quella che non ama nulla. Se ama se stessa, occorre che ami qualcosa, per amarsi come carità. Infatti se la parola significa qualcosa, così significa anche se stessa, ma non significa se stessa se non perché è fatta per significare qualcosa. Allo stesso modo la carità si ama certamente, ma se non si ama come amante qualcosa, non si ama come carità. Che ama dunque la carità, se non ciò che amiamo con la carità? Ora questo, per partire da ciò che abbiamo di più prossimo, è il fratello. Osserviamo quanto l’apostolo Giovanni ci raccomanda l’amore fraterno: Colui che ama il suo fratello, egli dice, dimora nella luce, e nessuno scandalo è in lui 60. È chiaro che egli ha posto la perfezione della giustizia nell’amore del fratello; perché colui nel quale non c’è scandalo è perfetto. E tuttavia sembra aver taciuto dell’amore di Dio, cosa che non avrebbe mai fatto se nello stesso amore fraterno non sottintendesse Dio. Poco dopo infatti, nella stessa Epistola, dice in modo chiarissimo: Carissimi, amiamoci vicendevolmente perché l’amore viene da Dio; colui che ama è nato da Dio, e conosce Dio. Chi non ama, non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore 61. Questo contesto mostra in maniera sufficiente e chiara che questo amore fraterno - infatti l’amore fraterno è quello che ci fa amare vicendevolmente - non solo viene da Dio, ma che, secondo una così grande autorità, è Dio stesso. Di conseguenza, amando secondo l’amore il fratello, lo amiamo secondo Dio. Né può accadere che non amiamo principalmente questo amore, con cui amiamo il fratello. Da ciò si conclude che quei due precetti non possono esistere l’uno senza l’altro. Poiché in verità Dio è amore 62, ama certamente Dio, colui che ama l’amore ed è necessario che ami l’amore colui che ama il fratello. Perciò poco più innanzi l’apostolo Giovanni afferma: Non può amare Dio, che non vede, colui che non ama il prossimo che vede 63, perché la ragione per cui non vede Dio è che non ama il fratello. Infatti chi non ama il fratello, non è nell’amore e chi non è nell’amore non è in Dio, perché Dio è amore 64. Inoltre chi non è in Dio non è nella luce, perché: Dio è luce, e tenebra alcuna non è in lui 65. Qual meraviglia, dunque, se chi non è nella luce non vede la luce, cioè non vede Dio, perché è nelle tenebre 66? Vede il fratello con sguardo umano che non permette di vedere Dio. Ma se amasse colui che vede per sguardo umano, con carità spirituale, vedrebbe Dio, che è la carità stessa, con lo sguardo interiore con cui lo si può vedere. Perciò chi non ama il fratello che vede, come potrà amare Dio che non vede, precisamente perché Dio è amore 67, amore che manca a colui che non ama il fratello? E non si ponga più il problema di sapere quanto amore dobbiamo al fratello, quanto a Dio. A Dio, senza alcun confronto, più che a noi. Al fratello poi tanto, quanto a noi stessi. Amiamo infine tanto più noi stessi quanto più amiamo Dio. È dunque con una sola ed identica carità che amiamo Dio e il prossimo; ma amiamo Dio per se stesso, noi stessi invece ed il prossimo per Dio 68.
Amiamo l’anima giusta perché amiamo Dio
9. 13. Quale motivo abbiamo dunque, chiedo, di infiammarci quando ascoltiamo e leggiamo questo passo: Ecco ora il tempo propizio, ecco ora il giorno della salvezza. Noi cerchiamo di non dare a nessuno motivo di scandalo, perché non venga vituperato il nostro ministero, ma anzi sotto ogni aspetto ci sforziamo di renderci raccomandabili come ministri di Dio, con molta pazienza, nelle tribolazioni, nelle necessità, nelle angustie, sotto le battiture, nelle prigioni, nei turbamenti, nelle fatiche, nelle vigilie, nei digiuni, con la purezza, con la scienza, con la longanimità, con la bontà, con lo Spirito Santo, con carità sincera, con la parola della verità, con la potenza di Dio, con le armi della giustizia a destra e a sinistra; in mezzo alla gloria e all’ignominia, alla buona e cattiva reputazione; creduti impostori, mentre siamo veraci; quasi fossimo sconosciuti, mentre siamo notissimi; come morenti ed ecco siamo vivi; come dei fustigati ma non messi a morte; come degli afflitti mentre siamo sempre allegri, come dei miserabili, noi che arricchiamo tanti; come non possedendo nulla, noi che possediamo tutto 69? Che motivo abbiamo di accenderci nell’amore di Paolo apostolo, quando leggiamo queste cose, se non perché crediamo che egli è vissuto così? E pertanto che i ministri di Dio debbono vivere così non lo crediamo sulla testimonianza di altri, ma noi lo vediamo nell’intimo di noi stessi, o meglio, al di sopra di noi, nella Verità stessa 70. Perciò amiamo lui che crediamo abbia vissuto così, in virtù di un ideale che vediamo. E se non amassimo prima di tutto questo ideale, che sta sempre stabile ed immutabile davanti al nostro sguardo, non ameremmo l’Apostolo proprio perché, come riteniamo per fede, ha aderito e si è conformato ad esso durante la sua vita nella carne. Ma non so come per la convinzione che ci proviene dalla fede che qualcuno ha vissuto così si ravvivi il nostro amore per questo ideale; e la speranza per la quale anche noi, dato che siamo uomini, confidiamo di vivere così, visto che alcuni uomini l’hanno fatto, ci impedisca di disperare e faccia sì che lo desideriamo più ardentemente e preghiamo con più confidenza. Così l’amore di questo ideale, secondo il quale crediamo che altri siano vissuti, ci fa amare la loro vita, e d’altra parte la loro vita, stimata tale, suscita in noi un amore più ardente per questo ideale; cosicché, quanto più ardentemente amiamo Dio, tanto più certa e serena è la visione che abbiamo di esso; perché è in Dio che contempliamo questo immutabile ideale di giustizia, secondo il quale giudichiamo che l’uomo debba vivere. Perciò la fede giova alla conoscenza ed all’amore di Dio, non nel senso che ce lo faccia conoscere ed amare perché prima non lo conoscevamo affatto o non lo amavamo affatto, ma giova a farcelo conoscere in maniera più luminosa ed amare con amore più fermo.
Vestigio della Trinità nell’amore
10. 14. Che è dunque l’amore o carità, tanto lodato e celebrato dalle divine Scritture, se non l’amore del bene? Ma l’amore suppone uno che ama e con l’amore si ama qualcosa. Ecco tre cose: colui che ama, ciò che è amato, e l’amore stesso. Che è dunque l’amore se non una vita che unisce, o che tende a che si uniscano due esseri, cioè colui che ama e ciò che è amato? È così anche negli amori più bassi e carnali, ma per attingere ad una fonte più pura e cristallina, calpestiamo con i piedi la carne ed eleviamoci fino all’anima. Che ama l’anima in un amico, se non l’anima? Anche qui dunque ci sono tre cose: colui che ama, ciò che è amato, e l’amore. Ci rimane di elevarci ancora e cercare più in alto queste cose, per quanto è concesso all’uomo di farlo 71. Ma riposiamo per il momento un po’ la nostra attenzione, non perché essa ritenga di aver trovato già ciò che cerca, ma come si riposa di solito colui che ha trovato il luogo in cui deve cercare qualche cosa 72; non l’ha ancora trovata, ma ha trovato dove cercarla 73. Che queste riflessioni ci bastino e siano come il primo filo a partire dal quale noi tesseremo il resto della nostra trama.
1 - Cf. supra, 5, 5.
2 - At 8, 20; Gv 4, 10.
3 - Cf. Ambrogio, De Spir. Sancto 3, 16, 109.
4 - Cf. supra, 5, 2.8.19; 7, 4.5.6.
5 - 1 Cor 2, 14.
6 - Cf. Virgilio, Aen. 6, 289; 8, 202.
7 - Cf. Cicerone, De orat. 3, 45, 177.
8 - Ap 5, 11.
9 - Sap 9, 15.
10 - 1 Gv 1, 5.
11 - Cf. Plotino, Enn. 1, 6, 8; Ambrogio, De bono mortis 2, 5; 5, 17; Cicerone, De rep. 6, 9, 3, 14; Eb 11, 13-16.
12 - Cf. Agostino, De lib. arb. 2, 16, 44-17, 45: NBA, III/2.
13 - Cf. Cicerone, De fin. bon. mal. 3, 1, 2; Agostino, C. Acad. 3, 12, 27: NBA, III/1; Serm. D.ni in monte 1, 3, 10: NBA, X/2; Retract. 1, 1, 9: NBA, II.
14 - At 17, 27-28.
15 - 2 Cor 5, 7.
16 - 1 Cor 8, 2.
17 - 1 Cor 13, 12.
18 - Mt 5, 8.
19 - 1 Tm 1, 4.
20 - 1 Cor 13, 13.
21 - 1 Tm 1, 5.
22 - Cf. Fil 2, 6-8.
23 - Cf. Gal 4, 4.
24 - Cf. Gv 11, 1-44.
25 - Cf. Mt 27, 57ss.; Mc 15, 42ss.; Lc 23, 50ss.; Gv 19, 38ss.
26 - Cf. At 1, 9-12.
27 - Cf. Is 7, 9.
28 - Cf. 1 Tm 1, 5.
29 - Cf. Agostino, De b. vita 4, 34: NBA, III/1.
30 - Cf. 1 Cor 15, 14-17; 1 Tm 1, 5.
31 - Gv 5, 24.
32 - Rm 3, 30.
33 - Cf. At 17, 23; Gv 1, 18.
34 - Cf. Porfirio, Sent. 17; Plotino, Enn. 4, 3, 29, 22-27; 30, 3.
35 - Ambrogio, De off. 1, 24, 115; Cicerone, De invent. 2, 53, 160.
36 - Rm 13, 8; Gv 13, 34.
37 - Mc 12, 33.
38 - Sal 10, 6.
39 - Tt 2, 12.
40 - Mt 22, 40.
41 - Rm 8, 28.
42 - 1 Cor 8, 3.
43 - Rm 5, 5.
44 - Cf. Lv 19, 18; Mc 12, 31-33; Mt 5, 43; 19, 19; 22, 39; Lc 10, 27; Gv 13, 14; Rm 13, 9; Gal 5, 14; Gc 2, 8.
45 - Gal 6, 2.
46 - Gal 5, 14.
47 - Mt 7, 12.
48 - Cf. Mt 22, 40.
49 - 1 Gv 4, 8.16.
50 - Cf. At 17, 27.
51 - Cf. Plotino, Enn. 1, 6, 8; Porfirio, Sent. 40, 5-6.
52 - Mt 11, 28-29.
53 - Mt 11, 29.
54 - Ibid.
55 - 1 Cor 13, 4.
56 - 1 Gv 4, 8.
57 - Sap 3, 9.
58 - Cf. Sal 138, 8; Am 9, 2.
59 - 1 Gv 4, 8.16.
60 - 1 Gv 2, 10.
61 - 1 Gv 4, 7-8.
62 - 1 Gv 4, 8.16.
63 - 1 Gv 4, 20.
64 - 1 Gv 4, 16.
65 - 1 Gv 1, 5.
66 - 1 Gv 1, 9-11.
67 - 1 Gv 4, 8.16.20.
68 - Cf. Agostino, De doctr. christ. 3, 10, 16: NBA, VIII.
69 - 2 Cor 6, 2-10.
70 - Cf. Agostino, Confess. 3, 6, 11: NBA, I.
71 - Cf. Mt 7, 7; Lc 11, 9; 14, 10.
72 - Cf. 1 Cr 16, 11; Sal 68, 33; 104, 4; 1 Cor 8, 2.
73 - Cf. At 17, 27.
20 - Si narrano gli eventi concernenti la sepoltura del sacro corpo di Maria santissima.
La mistica Città di Dio - Libro ottavo - Suor Maria d'Agreda
Leggilo nella Biblioteca747. Affinché i fedeli non rimanessero oppressi - ed alcuni di essi non morissero - a causa del dolore che provarono per il transito della beatissima Signora, fu indispensabile che la potenza divina li consolasse con speciale provvidenza, comunicando un particolare coraggio con il quale i cuori si dilatassero nella loro incomparabile afflizione. Dal momento che la mancanza di fiducia di poter mai compensare quella perdita nella vita presente non ammetteva conforto, la privazione di quel tesoro non aveva rimedio e la dolcissima e piacevolissima vicinanza e affabilità della Regina aveva rapito l'amore di ciascuno, tutti senza di lei furono come senza anima e senza respiro; ma Dio, che sapeva la ragione di così giusta sofferenza, li assistette in essa e con la sua forza li animò segretamente, perché non venissero meno e fossero in grado di occuparsi di quanto conveniva disporre in ordine al sacro corpo e di tutto quello che la situazione richiedeva.
748. Gli apostoli, ai quali principalmente spettava questo compito, pensarono senza indugio ad assolverlo e destinarono alle spoglie un sepolcro nuovo, che era stato misteriosamente preparato dall'Unigenito nella valle di Giosafat. Ricordandosi che le membra di sua Maestà erano state cosparse di unguenti preziosi e aromatici secondo il costume dei giudei, ed avvolte nella sindone e nel sudario, giudicarono di dover fare lo stesso con quelle di sua Madre. A tale scopo, chiamarono le due giovani che si erano prese cura di lei ed erano state nominate eredi delle sue inestimabili tuniche, e le invitarono ad ungerle con sommo rispetto e a metterle in un lenzuolo, per poi deporle nel feretro. Esse si introdussero con grande timore nell'oratorio, dove la venerabile defunta stava sulla sua predella, ma la luce che la circondava le trattenne e offuscò loro gli occhi in maniera che non riuscirono a sfiorarla, né a vederla, né a capire in che punto preciso si trovasse.
749. Uscirono con riverenza ancora maggiore, e con immenso stupore e sconcerto dettero ragguaglio dell'accaduto agli Undici, che conferirono tra loro e non senza un'ispirazione superiore conclusero che bisognava evitare il contatto con quella santa arca dell'alleanza, che non andava trattata nel modo comune. Entrarono subito Pietro e Giovanni, che contemplarono lo splendore e contemporaneamente udirono la celeste musica dei ministri superni, alcuni dei quali intonavano: «Ave Maria, piena di grazia, il Signore è con te», mentre altri replicavano: «Vergine prima del parto, durante il parto e dopo il parto»; da allora si sviluppò in parecchi figli della comunità primitiva la devozione per quest'ultimo elogio, che si è trasmesso per tradizione ed è giunto sino a noi, confermato dalla Chiesa. Stettero per un po' attoniti a motivo dell'ammirazione per ciò che ascoltavano e osservavano, e per deliberare come comportarsi si inginocchiarono in preghiera, domandando di essere illuminati. Intesero immediatamente una voce che diceva: «Non si scopra né si tocchi il sacro corpo».
750. Ebbero dunque intelligenza della volontà dell'Altissimo e portarono prontamente una bara. Essendosi considerevolmente moderato il fulgore, si accostarono alla Principessa e con profondo ossequio sollevarono le vesti dai lati, senza scomporle affatto, e ve la collocarono nella medesima posizione. Fu per loro semplice, poiché non sentirono peso e con il tatto non avvertirono altro se non lievissimamente il solo abito. Quindi, si attenuò ulteriormente la radiosità e tutti ravvisarono la bellezza del candidissimo volto e delle mani, avendo l'Eterno stabilito così perché fosse alleviata la loro pena; per il resto, il sublime talamo della sua dimora fu tenuto celato, affinché né in vita né in morte si scorgessero altre parti che quelle necessarie: il volto per conoscerla e le mani con le quali aveva lavorato.
751. Tanta fu l'attenzione che il Maestro ebbe per il decoro della nostra sovrana che mostrò meno zelo per il proprio corpo divinizzato che per il suo. La fece simile a sé nella concezione immacolata, nonché nella venuta al mondo per quanto concerne il non permettere che percepisse attraverso i sensi il modo naturale della nascita; inoltre, la preservò dalle tentazioni di impurità. Nel nascondere il suo corpo, però, si regolò con lei, che era donna, differentemente che con se stesso, giacché egli era uomo e redentore per mezzo della sua passione, e peraltro la castissima Regina lo aveva supplicato di concederle che nessuno lo guardasse dopo il suo transito. Gli apostoli provvidero alla sepoltura e, con la loro diligenza e la pietà dei credenti, fu raccolta una rilevante quantità di lumi, che per un miracolo, pur stando accesi per quella giornata e per le due seguenti, non si estinsero né si consumarono minimamente.
752. Perché questo e molteplici altri portenti che il suo braccio compì in tale occasione fossero più noti, Dio mosse tutti gli abitanti della città ad accorrere e, sia tra i giudei sia tra i gentili, rimase appena qualcuno che non assistesse al singolare spettacolo. Quei nuovi sacerdoti della legge evangelica alzarono colei che era tabernacolo di sua Maestà, sorreggendo sulle loro spalle il propiziatorio dei suoi oracoli e dei suoi favori, e partirono ordinatamente in processione diretti alla valle di Giosafat. Questo era il corteo visibile, ma ve ne era anche uno invisibile: davanti a tutti camminavano i mille custodi, i quali continuavano a cantare le loro melodie, che erano udite da molti e che durarono ininterrottamente per tre giorni con incomparabile dolcezza; erano poi scese dalle altezze varie legioni angeliche con gli antichi padri e profeti, e specialmente con Gioacchino, Anna, Giuseppe, Elisabetta, il Battista e diversi altri beati che Gesù aveva inviato alle esequie.
753. Avanzarono così e per via avvennero eccezionali prodigi, la cui spiegazione renderebbe indispensabile dilungarsi non poco. In particolare, tutti gli ammalati furono perfettamente guariti e numerosi indemoniati furono liberati senza che i diavoli avessero l'ardire di aspettare che le persone che possedevano si avvicinassero. Più mirabili furono gli eventi che si verificarono nella conversione delle anime, poiché si spalancarono i tesori della misericordia e tanti vennero alla cognizione di Cristo, nostro bene, confessandolo apertamente come vero Signore e salvatore e chiedendo il battesimo; perciò, per più giorni ci fu da faticare nel catechizzare e nell'amministrare quel sacramento a quanti avevano aderito alla fede. Nel trasportare il feretro gli apostoli sperimentarono effetti straordinari di luce e di consolazione, e ne parteciparono pure i discepoli. La gente era stupita per il profumo, per la musica e per altri segni sorprendenti, e tutti proclamavano il Creatore immensamente potente nella Vergine, percuotendosi il petto con compunzione in attestazione di questo.
754. Quando furono giunti, Pietro e Giovanni, che avevano già posto la preziosa gemma nella bara, la tolsero da essa con la medesima riverenza e facilità, l'adagiarono nella fortunata tomba e la coprirono con un telo. In tutto ciò operarono più le mani degli spiriti superni che le loro. Fu messo un masso dinanzi all'ingresso, come era consuetudine fare, e restarono di guardia soltanto i mille angeli di Maria, mentre gli altri risalirono all'empireo. La folla si disperse, e gli apostoli e i discepoli rientrarono tra tenerissime lacrime alla casa del cenacolo, in cui si conservò per un anno intero il soavissimo odore delle sacre spoglie, e nell'oratorio addirittura per parecchi anni. Quel santuario fu luogo di rifugio in ogni necessità per coloro che vi cercavano rimedio, perché ciascuno ve lo trovava tanto nelle infermità quanto nelle altre tribolazioni e calamità, ma le colpe di Gerusalemme, fra i castighi che meritarono, dopo un certo tempo comportarono anche la privazione di un beneficio così stimabile.
755. Appena furono arrivati lì, stabilirono che qualcuno di loro stesse al sepolcro finché non fosse cessata la divina armonia, poiché attendevano la fine di questa meraviglia. Dunque, alcuni si occuparono di chi aveva abbracciato il Vangelo e altri si recarono nuovamente presso la tomba, che in quei tre giorni fu frequentata da tutti. I più assidui furono Pietro e Giovanni, i quali, benché talora se ne allontanassero, tornavano subito dove era il loro cuore. Non omisero di porgere l'estremo saluto alla Signora dell'universo neppure gli animali, giacché il cielo si riempì di uccelli piccoli e grandi e dalle montagne si precipitarono velocemente giù molte bestie e fiere: gli uni con mesti cinguettii, le altre con guaiti e muggiti e tutti con movimenti dolorosi, soffrendo la comune perdita, mostravano la loro angustia. Solo qualche giudeo incredulo, più duro delle pietre e più crudele delle belve, non manifestò tale sentimento, come non lo aveva manifestato per il proprio Redentore.
Insegnamento della Regina del cielo
756. Figlia mia, con la memoria della mia morte fisica e della sepoltura del mio corpo, esigo che sia fissata e confermata la tua morte e sepoltura al mondo, che deve essere il frutto primario dell'essere stata illuminata sulla mia storia e dell'averla narrata. Nel corso del racconto ti ho sovente palesato questo desiderio e ti ho avanzato questa richiesta, affinché non ti renda inutile il favore che hai ricevuto per benignità dell'Altissimo e mia. È brutta cosa che un membro della Chiesa, dopo essere morto al peccato e rinato in Cristo mediante il battesimo ed aver appreso che sua Maestà fu crocifisso per lui, ricada nell'errore; ma cosa ben peggiore è il fatto che ciò accada in coloro che per speciale grazia sono scelti ed eletti per essere suoi amici carissimi, come quanti a tale scopo si dedicano e consacrano al suo servizio negli ordini religiosi, secondo i differenti stati e le differenti condizioni.
757. In loro, vizi come la superbia, la presunzione, l'alterigia, la mancanza di mortificazione, l'ira, l'avidità, l'impurità della coscienza e altri ancora fanno inorridire l'Eterno e i beati, che sono costretti a distogliere lo sguardo da simili mostruosità, più sdegnati e offesi di quando le riscontrano in soggetti diversi. Pertanto, il mio Unigenito ripudia numerose anime che ingiustamente portano il nome di sue spose, abbandonandole al loro malvagio consiglio, perché hanno infranto slealmente il patto di fedeltà contratto con lui e con me nella loro vocazione e professione. Se tutti devono temere questa sventura per evitare di commettere un così terribile tradimento, rifletti su quanto saresti spregevole ai suoi occhi qualora te ne macchiassi. È ora che tu muoia completamente ad ogni realtà visibile, e che siano sepolti il tuo corpo nella conoscenza e nell'annientamento di te stessa e la tua anima nell'essere di Dio. La tua vita è finita per il secolo e tu sei ormai distaccata da esso, e io sono il giudice di questa causa. Non hai più nulla a che fare con quelli che abitano sulla terra, né costoro con te, e bisogna che lo scrivere e il morire siano in te una medesima cosa, come spesso ti ho raccomandato e tu hai ripetutamente promesso nelle mie mani con sincere lacrime.
758. Bramo che questa sia la prova del mio insegnamento e la testimonianza della sua efficacia, e non ammetterò che tu la discrediti in mio disonore, ma procurerò che tutte le creature intendano la forza del mio esempio e della mia dottrina verificata nei tuoi atti. Non ti gioverai dei tuoi ragionamenti, del tuo volere e ancor meno delle tue inclinazioni e passioni, poiché tutto questo in te ha già avuto termine; tua legge saranno la volontà dell'Onnipotente, la mia e quella dell'obbedienza, e, affinché attraverso tali mezzi tu non sia mai all'oscuro di ciò che è più santo e gradito al Signore, egli l'ha disposto di persona, tramite me, i suoi angeli e chi ti governa. Non allegare ignoranza, pusillanimità, fiacchezza e codardìa, misura il tuo debito, sii attenta alla luce incessante e opera con la grazia che ti è data, giacché con tanti benefici non vi è croce pesante per te né morte così amara che non sia tollerabile e amabile. In questa risiede ogni tuo bene e deve consistere il tuo diletto, perché, se non morirai interamente a tutto, i tuoi sentieri saranno disseminati di spine e non giungerai alla perfezione cui aneli né all'eccellenza cui sei chiamata.
759. Se il mondo non si dimentica di te, dimenticati tu di lui; se non ti lascia, rammenta che fosti tu a lasciarlo e io te ne allontanai; se ti viene dietro, fuggilo; se ti lusinga, aborriscilo; se ti disprezza, sopportalo; se ti cerca, non ti trovi che per glorificare in te il sommo sovrano. Per il resto, non ricordartene più di quanto i vivi sogliono ricordarsi dei morti e scordatene come i morti si scordano dei vivi, e non avere con nessuno più rapporto di quello che hanno fra loro i vivi e i morti. Non ti sembrerà eccessivo che ti abbia frequentemente ribadito questo ammonimento all'inizio, nel mezzo e alla fine della presente Storia, se pondererai l'importanza di metterlo in pratica. Considera le persecuzioni che nascostamente ti ha ordito il demonio avvalendosi della gente, sotto vari aspetti e con vari pretesti. Il Redentore ha permesso ciò per vagliarti e per donarti il suo soccorso; tu, da parte tua, mostra che ne sei consapevole e sai che è grande il tesoro e che lo custodisci in un vaso fragile, mentre l'inferno cospira e si solleva contro di te. Sei nella carne peritura, circondata e combattuta da astuti nemici. Sei sposa di Gesù e io sono tua Madre e maestra. Renditi dunque conto della tua miseria e debolezza, e corrispondi come figlia carissima e discepola docile e irreprensibile in tutto.
NUTRITEVI DELLA MIA PAROLA! A.N.A. 115 1 agosto 1995
Catalina Rivas
Gesù
Guardami, figlia, nessuno Mi può vedere se non in se stesso e intorno a se stesso. Vieni a ricevere il tuo Signore in questo banchetto nuziale, nel quale ti unirai a Me, e trapassata dall'amore vivrai nuovamente il Mio dolore... Amore dei Miei dolori, non temere, prega...
Vorrei scrivere su ogni muro che la Bolivia non sarà distrutta, ma solo purificata da tutta la sua superbia e dal suo egoismo... Mia Madre ha cura di voi, è con voi; per questo dovete amarla e fare riparazioni sempre uniti a Lei.
Mi sono molto graditi i tuoi giorni Eucaristici poiché hai voglia di imparare, di accompagnare la sorella (la religiosa), di essere la Mia scorta in questo piccolo pellegrinaggio d'Amore. Vado insieme alle Mie due figlie, a dedicarmi ai malati e così siamo quattro, in una comunione d'amore e di presenza.
Figlia, come ho scelto delle anime diverse per il piano finale, così ho scelto te per lottare, perché si restauri la Mia Presenza sugli Altari e già lo vedi... la lotta non é difficile... Abbiamo lavorato duramente con voi, in molti modi, osserva quanto sta intorno a te.
Ora, preparati spiritualmente, alimentati della Mia Parola per portare avanti con fede e molto coraggio l'apostolato Eucaristico... Guarda avanti, corri a ricevermi, ti sto aspettando pieno d'amore...
Lo stesso giorno:
Incontratemi nel Vangelo. Perché stanno trascurando lo studio della Bibbia...?
Riceverai un messaggio dopo il primo giorno del mese.
Avete avuto molto, ritornate al Vangelo e studiatelo insieme a tutto l'insegnamento che vi stiamo lasciando.