Sotto il Tuo Manto

Giovedi, 5 giugno 2025 - San Bonifacio (Letture di oggi)

Affinché l'imitazione si dia, è necessaria la quotidiana meditazione e l'assidua riflessione sulla vita di Gesù; dal meditare e dal riflettere nasce la stima dei suoi atti, e dalla stima il desiderio ed il conforto dell'imitazione. (San Pio da Pietrelcina)

Liturgia delle Ore - Letture

Sabato della 16° settimana del tempo ordinario (SS. Gioacchino e Anna)

Per questa Liturgia delle Ore è disponibile sia la versione del tempo corrente che quella dedicata alla memoria di un Santo. Per cambiare versione, clicca su questo collegamento.
Questa sezione contiene delle letture scelte a caso, provenienti dalle varie sezioni del sito (Sacra Bibbia e la sezione Biblioteca Cristiana), mentre l'ultimo tab Apparizioni, contiene messaggi di apparizioni a mistici o loro scritti. Sono presenti testi della Valtorta, Luisa Piccarreta, don Stefano Gobbi e testimonianze di apparizioni mariane riconosciute.

Vangelo secondo Marco 7

1Allora si riunirono attorno a lui i farisei e alcuni degli scribi venuti da Gerusalemme.2Avendo visto che alcuni dei suoi discepoli prendevano cibo con mani immonde, cioè non lavate -3i farisei infatti e tutti i Giudei non mangiano se non si sono lavate le mani fino al gomito, attenendosi alla tradizione degli antichi,4e tornando dal mercato non mangiano senza aver fatto le abluzioni, e osservano molte altre cose per tradizione, come lavature di bicchieri, stoviglie e oggetti di rame -5quei farisei e scribi lo interrogarono: "Perché i tuoi discepoli non si comportano secondo la tradizione degli antichi, ma prendono cibo con mani immonde?".6Ed egli rispose loro: "Bene ha profetato Isaia di voi, ipocriti, come sta scritto:

'Questo popolo mi onora con le labbra,
ma il suo cuore è lontano da me'.
7'Invano essi mi rendono culto,
insegnando dottrine che sono precetti di uomini'.

8Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini".9E aggiungeva: "Siete veramente abili nell'eludere il comandamento di Dio, per osservare la vostra tradizione.10Mosè infatti disse: 'Onora tuo padre e tua madre', e 'chi maledice il padre e la madre sia messo a morte'.11Voi invece dicendo: Se uno dichiara al padre o alla madre: è Korbàn, cioè offerta sacra, quello che ti sarebbe dovuto da me,12non gli permettete più di fare nulla per il padre e la madre,13annullando così la parola di Dio con la tradizione che avete tramandato voi. E di cose simili ne fate molte".

14Chiamata di nuovo la folla, diceva loro: "Ascoltatemi tutti e intendete bene:15non c'è nulla fuori dell'uomo che, entrando in lui, possa contaminarlo; sono invece le cose che escono dall'uomo a contaminarlo".16.
17Quando entrò in una casa lontano dalla folla, i discepoli lo interrogarono sul significato di quella parabola.18E disse loro: "Siete anche voi così privi di intelletto? Non capite che tutto ciò che entra nell'uomo dal di fuori non può contaminarlo,19perché non gli entra nel cuore ma nel ventre e va a finire nella fogna?". Dichiarava così mondi tutti gli alimenti.20Quindi soggiunse: "Ciò che esce dall'uomo, questo sì contamina l'uomo.21Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono le intenzioni cattive: fornicazioni, furti, omicidi,22adultéri, cupidigie, malvagità, inganno, impudicizia, invidia, calunnia, superbia, stoltezza.23Tutte queste cose cattive vengono fuori dal di dentro e contaminano l'uomo".

24Partito di là, andò nella regione di Tiro e di Sidone. Ed entrato in una casa, voleva che nessuno lo sapesse, ma non poté restare nascosto.25Subito una donna che aveva la sua figlioletta posseduta da uno spirito immondo, appena lo seppe, andò e si gettò ai suoi piedi.26Ora, quella donna che lo pregava di scacciare il demonio dalla figlia era greca, di origine siro-fenicia.27Ed egli le disse: "Lascia prima che si sfamino i figli; non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini".28Ma essa replicò: "Sì, Signore, ma anche i cagnolini sotto la tavola mangiano delle briciole dei figli".29Allora le disse: "Per questa tua parola va', il demonio è uscito da tua figlia".
30Tornata a casa, trovò la bambina coricata sul letto e il demonio se n'era andato.

31Di ritorno dalla regione di Tiro, passò per Sidone, dirigendosi verso il mare di Galilea in pieno territorio della Decàpoli.32E gli condussero un sordomuto, pregandolo di imporgli la mano.33E portandolo in disparte lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua;34guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e disse: "Effatà" cioè: "Apriti!".35E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente.36E comandò loro di non dirlo a nessuno. Ma più egli lo raccomandava, più essi ne parlavano37e, pieni di stupore, dicevano: "Ha fatto bene ogni cosa; fa udire i sordi e fa parlare i muti!".


Giuditta 6

1Quando si fu calmata l'agitazione degli uomini che presenziavano tutt'intorno al convegno, parlò Oloferne, comandante supremo dell'esercito di Assur, rivolgendosi ad Achior alla presenza di tutta quell'assemblea di stranieri e a tutti i Moabiti:2"Chi sei tu, Achior, e i mercenari di Èfraim, per profetare in mezzo a noi come hai fatto oggi e suggerire di non combattere il popolo d'Israele, perché il loro Dio li proteggerà dall'alto? E che altro dio c'è se non Nabucodònosor? Questi invierà la sua forza e li sterminerà dalla terra, né servirà il loro Dio a liberarli.3Saremo noi suoi servi a spazzarli via come un sol uomo, perché non potranno sostenere l'impeto dei nostri cavalli.4Li bruceremo in casa loro, i loro monti s'inebrieranno del loro sangue, i loro campi si colmeranno dei loro cadaveri, né potrà resistere la pianta dei loro piedi davanti a noi, ma saranno tutti distrutti. Questo dice Nabucodònosor, il signore di tutta la terra: così ha parlato e le sue parole non potranno essere smentite.5Quanto a te, Achior, mercenario di Ammon, che hai detto queste cose nel giorno della tua sventura, non vedrai più la mia faccia da oggi fino a quando farò vendetta di questa razza che viene dall'Egitto.6Allora il ferro dei miei soldati e la numerosa schiera dei miei ministri trapasserà i tuoi fianchi e tu cadrai fra i loro cadaveri, quando io tornerò a vederti.7I miei servi ora ti esporranno sulla montagna e ti porranno in una delle città sul percorso;8non morirai finché non sarai sterminato con loro.9Ma se speri in cuor tuo che essi non saranno presi, non sia il tuo aspetto così depresso. Ho detto: nessuna mia parola andrà a vuoto".
10Allora Oloferne diede ordine ai suoi servi, che erano di turno nella sua tenda, di prendere Achior, di esporlo vicino a Betulia e di abbandonarlo nelle mani degli Israeliti.11I suoi servi lo presero e lo condussero fuori dell'accampamento in aperta campagna, lo menarono dal mezzo della pianura verso la montagna e si trovarono presso le fonti che erano sotto Betulia.12Quando gli uomini della città li scorsero sulla cresta del monte, presero le armi e uscirono dalla città dirigendosi verso la cresta. Tutti i frombolieri occuparono i sentieri di accesso e si misero a lanciare pietre su di loro.13Quelli ridiscesero al riparo del monte, legarono Achior e lo abbandonarono gettandolo a terra alle falde del monte, quindi fecero ritorno al loro signore.14Gli Israeliti scesero dalla loro città, si avvicinarono a lui, lo slegarono, lo condussero in Betulia e lo presentarono ai capi della città,15che in quel tempo erano Ozia figlio di Mica della tribù di Simeone, Cabri figlio di Gotonièl e Carmi figlio di Melchièl.16Radunarono subito tutti gli anziani della città e tutti i giovani e le donne accorsero al luogo del raduno. Posero Achior in mezzo a tutta quell'adunanza e Ozia lo interrogò sull'accaduto.17Quegli riferì loro le parole del consiglio di Oloferne e tutto il discorso che Oloferne aveva pronunziato in mezzo ai capi degli Assiri e quanto aveva detto superbamente contro il popolo d'Israele.18Allora tutto il popolo si prostrò ad adorare Dio e alzò queste suppliche:19"Signore, Dio del cielo, guarda la loro superbia, abbi pietà dell'umiliazione della nostra stirpe e accogli benigno in questo giorno la presenza di coloro che sono consacrati a te".20Poi confortarono Achior e gli rivolsero parole di gran lode;21Ozia da parte sua lo accolse dopo l'adunanza nella sua casa e offrì un banchetto a tutti gli anziani; per tutta quella notte invocarono l'aiuto del Dio d'Israele.


Proverbi 23

1Quando siedi a mangiare con un potente,
considera bene che cosa hai davanti;
2mettiti un coltello alla gola,
se hai molto appetito.
3Non desiderare le sue ghiottonerie,
sono un cibo fallace.
4Non affannarti per arricchire,
rinunzia a un simile pensiero;
5appena vi fai volare gli occhi sopra,
essa già non è più:
perché mette ali come aquila
e vola verso il cielo.
6Non mangiare il pane di chi ha l'occhio cattivo
e non desiderare le sue ghiottonerie,
7perché come chi calcola fra di sé, così è costui;
ti dirà: "Mangia e bevi",
ma il suo cuore non è con te.
8Il boccone che hai mangiato rigetterai
e avrai sprecato le tue parole gentili.
9Non parlare agli orecchi di uno stolto,
perché egli disprezzerà le tue sagge parole.
10Non spostare il confine antico,
e non invadere il campo degli orfani,
11perché il loro vendicatore è forte,
egli difenderà la loro causa contro di te.
12Piega il cuore alla correzione
e l'orecchio ai discorsi sapienti.
13Non risparmiare al giovane la correzione,
anche se tu lo batti con la verga, non morirà;
14anzi, se lo batti con la verga,
lo salverai dagli inferi.
15Figlio mio, se il tuo cuore sarà saggio,
anche il mio cuore gioirà.
16Esulteranno le mie viscere,
quando le tue labbra diranno parole rette.
17Il tuo cuore non invidi i peccatori,
ma resti sempre nel timore del Signore,
18perché così avrai un avvenire
e la tua speranza non sarà delusa.
19Ascolta, figlio mio, e sii saggio
e indirizza il cuore per la via retta.
20Non essere fra quelli che s'inebriano di vino,
né fra coloro che son ghiotti di carne,
21perché l'ubriacone e il ghiottone impoveriranno
e il dormiglione si vestirà di stracci.
22Ascolta tuo padre che ti ha generato,
non disprezzare tua madre quando è vecchia.
23Acquista il vero bene e non cederlo,
la sapienza, l'istruzione e l'intelligenza.
24Il padre del giusto gioirà pienamente
e chi ha generato un saggio se ne compiacerà.
25Gioisca tuo padre e tua madre
e si rallegri colei che ti ha generato.
26Fa' bene attenzione a me, figlio mio,
e tieni fisso lo sguardo ai miei consigli:
27una fossa profonda è la prostituta,
e un pozzo stretto la straniera.
28Essa si apposta come un ladro
e aumenta fra gli uomini il numero dei perfidi.
29Per chi i guai? Per chi i lamenti?
Per chi i litigi? Per chi i gemiti?
A chi le percosse per futili motivi? A chi gli occhi rossi?
30Per quelli che si perdono dietro al vino
e vanno a gustare vino puro.
31Non guardare il vino quando rosseggia,
quando scintilla nella coppa
e scende giù piano piano;
32finirà con il morderti come un serpente
e pungerti come una vipera.
33Allora i tuoi occhi vedranno cose strane
e la tua mente dirà cose sconnesse.
34Ti parrà di giacere in alto mare
o di dormire in cima all'albero maestro.
35"Mi hanno picchiato, ma non sento male.
Mi hanno bastonato, ma non me ne sono accorto.
Quando mi sveglierò? Ne chiederò dell'altro".


Salmi 105

1Alleluia.

Lodate il Signore e invocate il suo nome,
proclamate tra i popoli le sue opere.
2Cantate a lui canti di gioia,
meditate tutti i suoi prodigi.
3Gloriatevi del suo santo nome:
gioisca il cuore di chi cerca il Signore.

4Cercate il Signore e la sua potenza,
cercate sempre il suo volto.
5Ricordate le meraviglie che ha compiute,
i suoi prodigi e i giudizi della sua bocca:
6voi stirpe di Abramo, suo servo,
figli di Giacobbe, suo eletto.

7È lui il Signore, nostro Dio,
su tutta la terra i suoi giudizi.
8Ricorda sempre la sua alleanza:
parola data per mille generazioni,
9l'alleanza stretta con Abramo
e il suo giuramento ad Isacco.

10La stabilì per Giacobbe come legge,
come alleanza eterna per Israele:
11"Ti darò il paese di Cànaan
come eredità a voi toccata in sorte".
12Quando erano in piccolo numero,
pochi e forestieri in quella terra,
13e passavano di paese in paese,
da un regno ad un altro popolo,
14non permise che alcuno li opprimesse
e castigò i re per causa loro:
15"Non toccate i miei consacrati,
non fate alcun male ai miei profeti".

16Chiamò la fame sopra quella terra
e distrusse ogni riserva di pane.
17Davanti a loro mandò un uomo,
Giuseppe, venduto come schiavo.
18Gli strinsero i piedi con ceppi,
il ferro gli serrò la gola,
19finché si avverò la sua predizione
e la parola del Signore gli rese giustizia.

20Il re mandò a scioglierlo,
il capo dei popoli lo fece liberare;
21lo pose signore della sua casa,
capo di tutti i suoi averi,
22per istruire i capi secondo il suo giudizio
e insegnare la saggezza agli anziani.

23E Israele venne in Egitto,
Giacobbe visse nel paese di Cam come straniero.
24Ma Dio rese assai fecondo il suo popolo,
lo rese più forte dei suoi nemici.
25Mutò il loro cuore
e odiarono il suo popolo,
contro i suoi servi agirono con inganno
26Mandò Mosè suo servo
e Aronne che si era scelto.
27Compì per mezzo loro i segni promessi
e nel paese di Cam i suoi prodigi.

28Mandò le tenebre e si fece buio,
ma resistettero alle sue parole.
29Cambiò le loro acque in sangue
e fece morire i pesci.
30Il loro paese brulicò di rane
fino alle stanze dei loro sovrani.
31Diede un ordine e le mosche vennero a sciami
e le zanzare in tutto il loro paese.
32Invece delle piogge mandò loro la grandine,
vampe di fuoco sul loro paese.
33Colpì le loro vigne e i loro fichi,
schiantò gli alberi della loro terra.

34Diede un ordine e vennero le locuste
e bruchi senza numero;
35divorarono tutta l'erba del paese
e distrussero il frutto del loro suolo.
36Colpì nel loro paese ogni primogenito,
tutte le primizie del loro vigore.

37Fece uscire il suo popolo con argento e oro,
fra le tribù non c'era alcun infermo.
38L'Egitto si rallegrò della loro partenza
perché su di essi era piombato il terrore.
39Distese una nube per proteggerli
e un fuoco per illuminarli di notte.

40Alla loro domanda fece scendere le quaglie
e li saziò con il pane del cielo.
41Spaccò una rupe e ne sgorgarono acque,
scorrevano come fiumi nel deserto,
42perché ricordò la sua parola santa
data ad Abramo suo servo.

43Fece uscire il suo popolo con esultanza,
i suoi eletti con canti di gioia.
44Diede loro le terre dei popoli,
ereditarono la fatica delle genti,
45perché custodissero i suoi decreti
e obbedissero alle sue leggi.

Alleluia.


Giona 3

1Fu rivolta a Giona una seconda volta questa parola del Signore:2"Alzati, va' a Ninive la grande città e annunzia loro quanto ti dirò".3Giona si alzò e andò a Ninive secondo la parola del Signore. Ninive era una città molto grande, di tre giornate di cammino.4Giona cominciò a percorrere la città, per un giorno di cammino e predicava: "Ancora quaranta giorni e Ninive sarà distrutta".5I cittadini di Ninive credettero a Dio e bandirono un digiuno, vestirono il sacco, dal più grande al più piccolo.6Giunta la notizia fino al re di Ninive, egli si alzò dal trono, si tolse il manto, si coprì di sacco e si mise a sedere sulla cenere.7Poi fu proclamato in Ninive questo decreto, per ordine del re e dei suoi grandi: "Uomini e animali, grandi e piccoli, non gustino nulla, non pascolino, non bevano acqua.8Uomini e bestie si coprano di sacco e si invochi Dio con tutte le forze; ognuno si converta dalla sua condotta malvagia e dalla violenza che è nelle sue mani.9Chi sa che Dio non cambi, si impietosisca, deponga il suo ardente sdegno sì che noi non moriamo?".10Dio vide le loro opere, che cioè si erano convertiti dalla loro condotta malvagia, e Dio si impietosì riguardo al male che aveva minacciato di fare loro e non lo fece.


Seconda lettera ai Corinzi 1

1Paolo, apostolo di Gesù Cristo per volontà di Dio, e il fratello Timòteo, alla chiesa di Dio che è in Corinto e a tutti i santi dell'intera Acaia:2grazia a voi e pace da Dio Padre nostro e dal Signore Gesù Cristo.

3Sia benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, Padre misericordioso e Dio di ogni consolazione,4il quale ci consola in ogni nostra tribolazione perché possiamo anche noi consolare quelli che si trovano in qualsiasi genere di afflizione con la consolazione con cui siamo consolati noi stessi da Dio.5Infatti, come abbondano le sofferenze di Cristo in noi, così, per mezzo di Cristo, abbonda anche la nostra consolazione.6Quando siamo tribolati, è per la vostra consolazione e salvezza; quando siamo confortati, è per la vostra consolazione, la quale si dimostra nel sopportare con forza le medesime sofferenze che anche noi sopportiamo.7La nostra speranza nei vostri riguardi è ben salda, convinti che come siete partecipi delle sofferenze così lo siete anche della consolazione.
8Non vogliamo infatti che ignoriate, fratelli, come la tribolazione che ci è capitata in Asia ci ha colpiti oltre misura, al di là delle nostre forze, sì da dubitare anche della vita.9Abbiamo addirittura ricevuto su di noi la sentenza di morte per imparare a non riporre fiducia in noi stessi, ma nel Dio che risuscita i morti.10 Da quella morte però egli ci ha liberato e ci libererà, per la speranza che abbiamo riposto in lui, che ci libererà ancora,11grazie alla vostra cooperazione nella preghiera per noi, affinché, per il favore divino ottenutoci da molte persone, siano rese grazie per noi da parte di molti.

12Questo infatti è il nostro vanto: la testimonianza della coscienza di esserci comportati nel mondo, e particolarmente verso di voi, con la santità e sincerità che vengono da Dio, non con la sapienza della carne ma con la grazia di Dio.13 Non vi scriviamo in maniera diversa da quello che potete leggere o comprendere; spero che comprenderete sino alla fine,14come ci avete già compresi in parte, che noi siamo il vostro vanto, come voi sarete il nostro, nel giorno del Signore nostro Gesù.

15Con questa convinzione avevo deciso in un primo tempo di venire da voi, perché riceveste una seconda grazia,16e da voi passare in Macedonia, per ritornare nuovamente dalla Macedonia in mezzo a voi ed avere da voi il commiato per la Giudea.17Forse in questo progetto mi sono comportato con leggerezza? O quello che decido lo decido secondo la carne, in maniera da dire allo stesso tempo "sì, sì" e "no, no"?18Dio è testimone che la nostra parola verso di voi non è "sì" e "no".19Il Figlio di Dio, Gesù Cristo che abbiamo predicato tra voi, io, Silvano e Timoteo, non fu "sì" e "no", ma in lui c'è stato il "sì".20E in realtà tutte le promesse di Dio in lui sono divenute "sì". Per questo sempre attraverso lui sale a Dio il nostro "Amen" per la sua gloria.21È Dio stesso che ci conferma, insieme a voi, in Cristo, e ci ha conferito l'unzione,22ci ha impresso il sigillo e ci ha dato la caparra dello Spirito nei nostri cuori.
23Io chiamo Dio a testimone sulla mia vita, che solo per risparmiarvi non sono più venuto a Corinto.24Noi non intendiamo far da padroni sulla vostra fede; siamo invece i collaboratori della vostra gioia, perché nella fede voi siete già saldi.


Capitolo VIII: L'intima amicizia con Gesù

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1. Quando è presente Gesù, tutto è per il bene, e nulla pare difficile. Invece, quando Gesù non è presente, tutto è difficile. Quando Gesù non è presente, tutto è difficile. Quando Gesù non parla nell'intimo, ogni consolazione vale assai poco. Invece, se Gesù dice anche soltanto una parola, sentiamo una grande consolazione. Forse che Maria Maddalena non balzò subitamente dal luogo in cui stava in pianto, quando Marta le disse: "C'è qui il maestro, ti chiama?" (Gv 11,28). Momento felice, quello in cui Gesù ci invita dal pianto al gaudio spirituale. Come sei arido e aspro, lontano da Gesù; come sei sciocco e vuoto se vai dietro a qualcosa d'altro, che non sia Gesù. Non è, questo, per te, un danno più grande che perdere il mondo intero? Che cosa ti può mai dare il mondo se non possiedi Gesù? Essere senza Gesù è un duro inferno; essere con Gesù è un dolce paradiso. Non ci sarà nemico che possa farti del male, se avrai Gesù presso di te. Chi trova Gesù trova un grande tesoro prezioso; anzi, trova un bene più grande di ogni altro bene. Chi perde Gesù perde più che non si possa dire; perde più che se perdesse tutto quanto il mondo. Colui che vive senza Gesù è privo di tutto; colui che vive saldamente con lui è ricco di tutto. 

2. Grande avvedutezza è saper stare vicino a Gesù; grande sapienza sapersi tenere stretti a lui. Abbi umiltà e pace, e Gesù sarà con te; abbi devozione e tranquillità di spirito, e Gesù starà con te. Che se comincerai a deviare verso le cose esteriori, potrai subitamente allontanare da te Gesù, perdendo la sua grazia; e se avrai cacciato lui, e l'avrai perduto, a chi correrai per rifugio, a chi ti volgerai come ad amico? Senza un amico non puoi vivere pienamente; e se non hai come amico, al di sopra di ogni altro, Gesù, sarai estremamente triste e desolato.  

3. E' da stolto, dunque, quello che fai, ponendo la tua fiducia e la tua gioia in altri che in Gesù. E' preferibile avere il mondo intero contro di te che avere Gesù disgustato di te. Sicché, tra tutte le persone care, caro, per sé, sia il solo Gesù; tutti gli altri si devono amare a causa di Lui; Lui, invece, per se stesso. Gesù Cristo, il solo che troviamo buono e fedele più di ogni altro amico, lui solo dobbiamo amare, di amore particolare. Per lui e in lui ti saranno cari sia gli amici che i nemici; e lo pregherai per gli uni e per gli altri, affinché tutti lo conoscano e lo amino. Non desiderare di essere apprezzato od amato per te stesso, poiché questo spetta soltanto a Dio, che non ha alcuno che gli somigli. Non volere che uno si lasci prendere, nel suo cuore, tutto da te, né lasciarti tutto prendere tu dall'amore di chicchessia. Gesù soltanto deve essere in te, come in ognuno che ami il bene. Sii puro interiormente e libero, senza legami con le creature. Se vuoi essere pienamente aperto a gustare "com'è soave il Signore" (Sal 33,9), devi essere del tutto spoglio e offrire a Dio un cuore semplice e puro.  

4. Ma, in verità, a tanto non giungerai, se prima non sarà venuta a te la sua grazia trascinandoti, cosicché, scacciata e gettata via ogni cosa, tu possa unirti con Lui, da solo a solo. Quando la grazia di Dio scende sull'uomo, allora egli diventa capace di ogni impresa; quando invece la grazia viene meno, l'uomo diventa misero e debole, quasi abbandonato al castigo. Ma anche così non ci si deve lasciare abbattere; né si deve disperare. Occorre piuttosto stare fermamente alla volontà di Dio e, qualunque cosa accada, sopportarla sempre a lode di Gesù Cristo; giacché dopo l'inverno viene l'estate, dopo la tempesta una grande quiete.


LIBRO TREDICESIMO

La Trinità - Sant'Agostino

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Scopo del presente libro

1. 1. Nel libro precedente di quest’opera, il dodicesimo, ci siamo sufficientemente impegnati a distinguere la funzione dell’anima razionale che si occupa delle cose temporali, campo in cui si esercita non solo la nostra conoscenza, ma anche la nostra azione, da quella più nobile della nostra anima, che si dedica alla contemplazione delle cose eterne e si esaurisce nella sola conoscenza. Ma tuttavia ritengo cosa più profittevole inserire un testo della Sacra Scrittura da cui si possa comprendere con più facilità la distinzione dell’una dall’altra.

Nel prologo del Vangelo di Giovanni alcune affermazioni riguardano la scienza, altre la sapienza

1. 2. Giovanni evangelista ha iniziato il suo Vangelo con queste parole: In principio il Verbo era, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio: egli era in principio presso Dio. Tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto. Ciò che è stato fatto in lui era vita e la vita era la luce degli uomini e la luce risplende nelle tenebre, e le tenebre non l’hanno compresa. Ci fu un uomo mandato da Dio il cui nome era Giovanni. Egli venne come testimone, per rendere testimonianza alla luce, affinché tutti credessero per mezzo di lui. Non era lui la luce, ma venne per rendere testimonianza alla luce. Esisteva la vera luce che illumina ogni uomo che viene in questo mondo. Egli era nel mondo e il mondo fu fatto per mezzo di lui ma il mondo non lo conobbe. Venne in casa propria e i suoi non lo ricevettero. Ma a quanti lo accolsero dette il potere di divenire figli di Dio, ai credenti nel suo nome, i quali non dal sangue, né dalla volontà della carne, ma da Dio sono nati. E il Verbo si è fatto carne ed abitò fra noi. E noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come di Unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità 1. In questo passo del Vangelo, che ho citato per intero, le prime righe si riferiscono all’immutabile ed all’eterno, la cui contemplazione ci rende beati; le righe seguenti invece mescolano, nel loro insegnamento, l’eterno con il temporale. Perciò qui alcune cose riguardano la scienza, altre la sapienza, secondo la distinzione che noi abbiamo fatto precedentemente nel libro dodicesimo. Infatti queste espressioni: In principio il Verbo era, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio; egli era in principio presso Dio. Tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto. Ciò che è stato fatto in lui era vita e la vita era la luce degli uomini e la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno compresa 2, si richiamano alla vita contemplativa e sono accessibili solo all’intelligenza spirituale. Quanto più uno progredirà in questo campo, tanto più diverrà, senza alcun dubbio, sapiente. Ma queste parole: La luce risplende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno compresa, mostrano che era necessaria la fede per credere ciò che non si vedeva 3. Perché, con la parola "tenebre", volle significare i cuori dei mortali che si erano distolti da questa luce ed erano incapaci di vederla. Per questo continua ed afferma: Vi fu un uomo mandato da Dio, il cui nome era Giovanni. Egli venne come testimone per rendere testimonianza alla luce, affinché tutti credessero per mezzo di lui 4. Questo è accaduto nel tempo ed appartiene alla scienza, oggetto di conoscenza storica. Ma noi ci rappresentiamo con l’immaginazione l’uomo Giovanni grazie a quella conoscenza della natura umana che è compresa nella nostra memoria. E questa rappresentazione è identica per tutti, sia che credano, sia che non credano a tutto ciò che il testo afferma. Infatti sia agli uni che agli altri è noto che cosa sia l’uomo; la parte esteriore dell’uomo, cioè il corpo, l’hanno vista per mezzo degli occhi del corpo; la parte interiore invece, cioè l’anima, la conoscono in se stessi, perché anch’essi sono uomini, e per mezzo delle relazioni che intrattengono con gli altri uomini. Dunque possono rappresentarsi ciò che significano queste parole: Vi fu un uomo il cui nome era Giovanni, perché sanno anche che cosa sono i nomi a forza di pronunciarli o udirli pronunciare. Ma ciò che è aggiunto: mandato da Dio, è una affermazione che accolgono quelli soltanto che l’accolgono con la fede, e quelli che non l’accolgono con la fede, o il loro dubbio li impedisce di pronunciarsi, o se ne burlano con la loro incredulità. Sia gli uni che gli altri, tuttavia, a meno che non appartengano al numero di coloro che troppo insensati dicono nel loro cuore: Non c’è Dio 5, udendo queste parole, pensano a ciò che è Dio, e ciò che è venire inviato da Dio; e se non pensano queste cose come sono in realtà, le pensano di certo come possono.

Come vediamo la fede che esiste in noi

1. 3. Ma conosciamo in un altro modo la fede che ciascuno vede nel suo cuore, se crede, o non vede, se non crede. Non la conosciamo come conosciamo i corpi che vediamo con gli occhi del corpo ed ai quali pensiamo, anche quando non sono presenti, grazie alle loro immagini impresse nella memoria, né come conosciamo quelle cose che non abbiamo visto e delle quali, a partire dalle cose viste, ci formiamo un’idea approssimativa, che affidiamo alla memoria al fine di ricorrere ad essa quando vogliamo, per contemplare, ricordandocene, con maggiore o minore esattezza queste cose o, meglio, le loro immagini più o meno fedeli; non la conosciamo nemmeno come conosciamo un uomo vivente, perché, sebbene non abbiamo visto la sua anima, ce ne facciamo un’idea a partire dalla nostra e, interpretando i movimenti del corpo di questo uomo, come abbiamo appreso per mezzo degli occhi che è un uomo vivente, lo intuiamo anche con il pensiero. Non così è vista la fede nel cuore, in cui è, da colui al quale appartiene, ma la vede con una scienza indubitabile e la coscienza proclama la sua esistenza. Sebbene dunque ci sia comandato di credere, perché non possiamo vedere ciò che ci è comandato di credere, tuttavia la fede stessa, quando è in noi, la vediamo in noi, perché la fede è presente, anche quando concerne cose assenti; è interiore, anche quando concerne cose esteriori; si vede, anche quando concerne cose che non si vedono. E tuttavia la fede incomincia ad esistere nel cuore degli uomini 6 ad un certo momento del tempo; e se da credenti diventano increduli, essa scompare e li abbandona. A volte poi la fede si applica anche a cose false; ci accade di dire infatti: "Ha creduto questo, ma la sua fede lo ha ingannato". Una tale fede, ammesso che questa si debba chiamar fede, scompare dai cuori senza che vi sia colpa, quando la scaccia la scoperta della verità. Invece è cosa desiderabile che la fede prestata alle cose vere passi alla realtà di queste cose, perché non si deve dire che la fede perisce quando si vedono le cose che si credevano. Ma forse che bisogna chiamarla ancora fede, se nell’Epistola agli Ebrei la fede è stata definita ed è detto che essa è la certezza delle cose che non si vedono 7?

Nella narrazione di Giovanni vi sono cose che si conoscono coi sensi, altre con la ragione

1. 4. Ecco ora il seguito del testo: Egli venne come testimone, per rendere testimonianza alla luce, affinché tutti credessero per mezzo di lui 8, riguarda, come abbiamo detto, un’azione temporale. Infatti è nel tempo che si rende testimonianza sia pure di una realtà eterna, come è la luce intelligibile. È per rendere testimonianza a questa luce che venne Giovanni, il quale non era la luce, ma venne per rendere testimonianza alla luce 9. Infatti l’Evangelista prosegue: Esisteva la vera luce che illumina ogni uomo che viene in questo mondo. Egli era nel mondo ed il mondo è stato fatto per mezzo di lui, ma il mondo non lo conobbe. Venne in casa propria e i suoi non lo ricevettero 10. Tutti coloro che sanno la lingua latina comprendono il senso di queste parole a partire dalle cose che sanno. Alcune di queste cose abbiamo conosciuto per mezzo dei sensi che appartengono al corpo, per esempio l’uomo, il mondo, la cui immensità vediamo con tanta evidenza, e ancora i suoni di queste parole, perché anche l’udito è un senso del corpo. Altre fra queste cose conosciamo per mezzo della ragione che appartiene all’anima, come l’espressione: i suoi non lo ricevettero; infatti si capisce che significa: "non credettero in lui", e ciò che questa espressione vuol dire non lo conosciamo per mezzo di alcun senso che appartiene al corpo, ma per mezzo della ragione che appartiene all’anima. Anche per quanto riguarda le parole, non i loro suoni, ma il loro significato, lo abbiamo appreso in parte per mezzo dei sensi del corpo, in parte per mezzo della ragione che appartiene all’anima. Né abbiamo udito queste parole ora per la prima volta, ma le avevamo già udite, e non solo di esse, ma anche del loro significato, conservavamo la conoscenza nella memoria, ed è là che li abbiamo riconosciuti. Pronuncio, per esempio, mondo, questa parola di due sillabe: poiché è un suono, è una realtà materiale che è conosciuta per mezzo del corpo; in questo caso per mezzo dell’orecchio, ma anche il suo significato è conosciuto per mezzo del corpo, in questo caso per mezzo degli occhi della carne. Perché il mondo, nella misura in cui è conosciuto, è conosciuto da coloro che lo vedono. Per quanto riguarda la parola di quattro sillabe: "credettero", il suo suono, poiché è materiale, penetra attraverso il nostro orecchio di carne, ma il suo significato non è conosciuto da alcun senso che appartiene al corpo, ma dalla ragione che appartiene all’anima. Se infatti non conoscessimo per mezzo dell’anima che cosa significhi "credettero", non comprenderemmo che cosa si siano rifiutati di fare coloro dei quali è detto: E i suoi non lo ricevettero 11. Dunque il suono della parola risuona dal di fuori agli orecchi del corpo, e attinge il senso che si chiama udito. Anche la forma dell’uomo è, da una parte, conosciuta da noi in noi stessi; dall’altra, nella persona degli altri, si presenta dall’esterno ai sensi corporei: agli occhi, quando si vede, agli orecchi quando si sente, al tatto quando si tiene o si tocca; essa ha anche la sua immagine nella nostra memoria, immagine immateriale di certo, ma simile al corpo. Infine la bellezza mirabile del mondo stesso si presenta a noi dal di fuori sia ai nostri sguardi che a quel senso che chiamiamo tatto, quando tocchiamo un oggetto di questo mondo. Esiste, all’interno, nella nostra memoria, anche una immagine di esso, alla quale ricorriamo, quando lo pensiamo, circondati da mura o nelle tenebre. Ma di queste immagini delle cose corporee, immagini immateriali certo, ma che hanno somiglianza con i corpi, ed appartengono alla vita dell’uomo esteriore, abbiamo parlato già a sufficienza nel libro undicesimo. Ora trattiamo dell’uomo interiore e della sua scienza che concerne le cose temporali e mutevoli. Quando l’uomo interiore porta la sua attenzione su qualcosa, sia pure una cosa tra quelle che appartengono all’uomo esteriore, deve farlo per trarne qualche insegnamento che possa arricchire la conoscenza razionale: e per questo l’uso razionale delle cose, cose che abbiamo in comune con gli animali privi di ragione, appartiene all’uomo interiore e si ha torto a dire che esso ci è comune con gli animali privi di ragione.

La fede appartiene all’uomo interiore; in che senso c’è una sola fede in tutti i credenti

2. 5. La fede poi, della quale siamo costretti a trattare assai lungamente in questo libro, per l’ordine logico del nostro ragionamento, la fede che fa credenti quelli che la possiedono, infedeli quelli che non la possiedono - come questi che non ricevettero il Figlio di Dio che veniva in casa propria 12 -, benché si produca in noi per mezzo dell’udito, tuttavia non appartiene a quel senso del corpo che si chiama udito, perché non è un suono; né agli occhi di questa carne, perché non è né un colore, né una forma corporea; né al senso che si chiama tatto, perché è priva di corpulenza; né appartiene assolutamente ad alcun senso corporeo, perché è una cosa del cuore, non del corpo; essa non è al di fuori di noi, ma nell’intimo di noi stessi; nessun uomo la vede in un altro, ma ciascuno in se stesso. Infine si può sia fingere di averla, sia pensare che esista in chi non l’ha. Pertanto ciascuno vede la propria fede in se stesso, negli altri crede che esista, ma non la vede, e lo crede tanto più fermamente quanto meglio ne conosce i frutti, che la fede di solito produce per mezzo della carità 13. Ecco perché la fede è comune a tutti coloro di cui l’Evangelista dice dopo, continuando: ma a quanti lo accolsero, dette il potere di diventare figli di Dio, ai credenti nel suo nome i quali non dal sangue, non dalla volontà della carne, ma da Dio sono nati 14. È comune, non come una forma corporea è comune allo sguardo di tutti coloro ai quali è presente, perché in questo caso si tratta di un solo oggetto che, in qualche modo, informa lo sguardo di tutti coloro che lo vedono, ma nel senso in cui si può dire che il viso umano è comune a tutti gli uomini; infatti questa affermazione si intende nel senso che ogni uomo ha il suo proprio viso. Certamente affermiamo con piena verità che la fede impressa nel cuore di ciascuno di coloro che credono - di coloro che credono questa identica cosa - proceda da un’unica dottrina, ma una cosa è ciò che si crede, altra cosa la fede con cui si crede. Ciò che essi credono si trova nelle realtà presenti, passate o future, la fede invece è nel cuore di chi crede e non è visibile che a colui che crede; sebbene si trovi anche negli altri, essa non è la stessa fede, ma una fede simile. Infatti non è una nel numero, ma nel genere; tuttavia, in ragione della somiglianza e dell’assenza totale di diversità, preferiamo dire che c’è una sola fede piuttosto che molte. Infatti, quando vediamo due uomini estremamente somiglianti, noi diciamo: "hanno un solo viso", e ce ne meravigliamo. Ecco perché è facile dire che erano numerose le anime - ciascuna propria ad ogni individuo - riguardo a coloro di cui leggiamo negli Atti degli Apostoli che avevano una sola anima, ma quando l’Apostolo parla di una sola fede 15 è più difficile ed è cosa più audace dire che c’erano tante fedi quanti i credenti. Ma quando Cristo dice: O donna, grande è la tua fede 16, ed ad un altro: Uomo di poca fede, perché hai dubitato? 17, esprime con questo che ciascuno ha una fede che gli è propria 18. Ma si dice che coloro che credono le stesse cose hanno una sola fede, allo stesso modo che coloro che vogliono le stesse cose hanno una sola volontà, benché ciascuno di coloro che vogliono una stessa cosa, veda la sua propria volontà, ma non veda quella dell’altro, sebbene voglia la stessa cosa 19; e, se la volontà di quest’ultimo si riveli per mezzo di certi segni, la si crede, ma non la si vede 20. Invece ciascuno, con la conoscenza che ha di se stesso, non crede affatto che questa è la sua volontà, ma la vede con piena chiarezza.

Alcune volontà comuni a tutti

3. 6. Fra i viventi dotati di ragione è tale l’armonia della identica natura che, sebbene uno ignori quello che un altro vuole, vi sono tuttavia alcune volontà comuni a tutti che sono conosciute da ciascuno anche considerato individualmente. E, benché ciascun uomo ignori ciò che voglia un altro determinato uomo, può sapere, in certe cose, che cosa vogliano tutti. Di qui quella burla graziosa che si attribuisce ad un certo mimo; egli aveva promesso che nelle rappresentazioni successive avrebbe detto nel teatro ciò che tutti pensavano e volevano. Nel giorno fissato la folla affluì nel teatro, più numerosa che mai, spinta da una grande curiosità, e si narra che nella silenziosa aspettativa generale il mimo abbia detto:

Volete comprare a basso prezzo, vendere a caro prezzo 21.

In questa espressione di un buffone, tutti gli spettatori riconobbero tuttavia ciò che stava al fondo del loro pensiero: aveva loro rivelato una verità evidente agli occhi di tutti, e tuttavia inattesa, e perciò lo applaudirono con grandissimo entusiasmo. Ma perché una così grande attesa all’annuncio che egli avrebbe detto quale era la volontà di tutti, se non perché le volontà degli altri uomini sfuggono a ciascuno di noi? Ma quella volontà era forse sconosciuta al mimo? È essa forse sconosciuta a qualsiasi uomo? E quale ne è il motivo, se non che vi sono delle cose che ciascuno, senza rischio, può congetturare negli altri in base alla propria esperienza, in virtù di una comunanza di sentimenti e di aspirazioni dovuti ai vizi e alla natura? Ma una cosa è vedere la propria volontà, altra congetturare quella di un altro, benché con una congettura ben fondata. Così nelle cose umane sono tanto certo della fondazione di Roma come di quella di Costantinopoli, e tuttavia ho visto Roma con i miei occhi, mentre non so nulla di Costantinopoli, se non perché presto fede alla testimonianza di altri. Quanto al mimo è la coscienza che aveva di sé o anche l’esperienza che aveva degli altri, che gli fece credere che acquistare a buon prezzo e vendere a caro prezzo era una volontà comune a tutti. Ma, poiché di fatto è una inclinazione viziosa, ciascuno può, o acquistando su questo punto il senso della giustizia, o subendo il contagio di qualche vizio contrario a quello, resistere a questa inclinazione e vincerla. Io stesso conosco un uomo che, essendogli stato offerto un libro in vendita, vedendo che il venditore ne ignorava il prezzo, e perciò gli chiedeva un prezzo irrisorio, gli dette il giusto prezzo, che era molto maggiore, senza che questi se l’aspettasse. E che dire se c’è un uomo talmente pervertito da vendere a basso prezzo ciò che gli hanno lasciato i genitori per comprare a caro prezzo ciò di cui nutrire le sue passioni? A mio avviso questo eccesso non ha nulla di incredibile; se si cercano, si trovano e forse si incontreranno anche senza cercarli, degli uomini che, per una nequizia ancora maggiore di quella di cui parlava il mimo, smentiscano persino in modo insolente la promessa e la dichiarazione da lui fatta in teatro, comprando a caro prezzo i loro stupri, vendendo a basso prezzo i loro poderi. Conosciamo anche uomini che, per generosità, comprarono il grano a prezzo più alto per venderlo a prezzo più basso ai loro concittadini. Lo stesso quando l’antico poeta Ennio dice:

Tutti i mortali desiderano essere lodati 22;

non c’è dubbio che ha supposto negli altri l’esistenza di un sentimento che aveva sperimentato in se stesso e in quelli che aveva conosciuto e così sembra aver espresso una volontà comune a tutti gli uomini. Se anche il mimo avesse detto: "Tutti volete essere lodati, nessuno di voi vuole essere biasimato" 23 sembra ugualmente che avrebbe espresso quella che è la volontà di tutti. Ci sono tuttavia degli uomini che odiano i loro vizi, e per essi dispiacciono a se stessi, né vogliono essere lodati dagli altri e sono grati alla benevolenza di coloro che li criticano, perché il biasimo li spinge a correggersi. Ma se il mimo avesse detto: "Tutti volete essere beati, non volete essere infelici" 24, avrebbe affermato un qualcosa che nessuno non può non scoprire nel fondo della sua volontà. Qualsiasi altra cosa voglia nel segreto del suo cuore, nessuno può esimersi da questa volontà sufficientemente conosciuta da tutti e presente in tutti gli uomini.

Tutti aspirano alla beatitudine, ma la concepiscono in maniera differente

4. 7. È strano però che, essendo presente in tutti gli uomini questa identica volontà di attingere e possedere la beatitudine, ci sia al contrario tanta varietà e diversità di voleri nei riguardi della stessa beatitudine 25, non perché ci sia qualcuno che non la vuole, ma perché non tutti la conoscono. Se infatti tutti la conoscessero, gli uni non la riporrebbero nella virtù dell’anima, gli altri nel piacere del corpo, altri nell’una e nell’altro; altri in questo, altri in quello 26. Infatti ciascuno ha fatto consistere la vita beata in quella cosa che gli procurava maggior diletto. Come dunque tutti amano in modo così fervente ciò che non tutti conoscono? Chi può amare ciò che ignora? Abbiamo già discusso su tale argomento nei libri precedenti. Perché dunque tutti amano la beatitudine, ma non tutti la conoscono? Sarà forse che tutti sanno che cosa essa sia, ma non sanno dove si trovi, e da qui scaturirebbe la diversità di opinioni? È come se si trattasse di un luogo di questo mondo, in cui dovrebbe voler vivere ognuno che voglia essere beato e non si cercasse dove sia la beatitudine, come si cerca che cosa essa sia. Perché, certamente, se la beatitudine consiste nel piacere del corpo, è beato colui che fruisce del piacere del corpo, se consiste nella virtù dell’anima, è beato colui che fruisce di questa; se nell’uno e nell’altra, lo è chi fruisce dell’uno e dell’altra. Dunque quando uno dice: "Vivere beatamente è fruire del piacere del corpo"; un altro invece: "Vivere beatamente è fruire della virtù dell’anima"; non bisogna concludere che tutti e due ignorano, o non sanno tutti e due che cosa sia la vita beata? Ma allora come possono ambedue amarla, se nessuno può amare ciò che ignora? O è forse falso ciò che abbiamo affermato come verità assoluta ed inconcussa, cioè che tutti gli uomini vogliono vivere felici 27? Se infatti vivere felici è, per esempio, vivere in conformità alla virtù dell’anima, come può voler vivere felice colui che non vuole vivere in conformità alla virtù? Non sarebbe più giusto dire: "Quest’uomo non vuol vivere felice, perché non vuol vivere in conformità alla virtù, che è la sola maniera di vivere felici?". Dunque non tutti vogliono vivere felici, anzi pochi lo vogliono, se vivere felici consiste unicamente nel vivere in conformità alla virtù dell’anima, cosa che molti non vogliono 28. Sarebbe dunque falsa l’affermazione di cui lo stesso famoso accademico Cicerone non dubitò (mentre gli Accademici dubitano di tutto), quando, volendo porre come punto di partenza della discussione, nel suo dialogo intitolato: "Ortensio", una certezza che nessuno potesse contestare, scrisse: È certo che tutti vogliamo essere beati 29? Lungi da noi il dire che questo è falso. Che dobbiamo allora pensare? Bisognerà dire che vivere felici non è altro che vivere in conformità alla virtù dell’anima e che, tuttavia, anche colui che non vuole vivere virtuosamente, vuole vivere felice? Questa sembra una affermazione troppo assurda. È infatti come se dicessimo: "Anche colui che non vuol vivere felice, vuol vivere felice". Chi potrebbe accettare, tollerare questa contraddizione? E tuttavia si è ad essa costretti per forza di cose, se da una parte è vero che tutti vogliono vivere felici, e d’altra parte non tutti vogliono vivere nel modo che solo permette di vivere felici.

È beato solo colui che ha ciò che vuole e non vuole nulla di male

5. 8. Ma forse un rilievo ci farà uscire da questo vicolo cieco: poiché, come abbiamo detto, ciascuno ha riposto la vita beata in ciò che gli ha procurato il più grande diletto, come Epicuro nel piacere, Zenone nella virtù, altri in molte altre cose 30, non potremmo dire che vivere felici non è altra cosa che vivere secondo ciò che ci procura il più grande diletto e di conseguenza non è falso che tutti vogliono vivere felici 31, perché tutti vogliono vivere secondo ciò che loro procura diletto? Infatti anche in questo, se fosse stato proclamato davanti alla folla in teatro, tutti riconoscerebbero una loro aspirazione. Ma anche Cicerone si è posto questa difficoltà e la confuta in modo da far arrossire quelli che pensano in tal modo. Dice infatti: Ecco, non certo i filosofi, ma le persone inclini a discutere, dicono che sono beati tutti coloro che vivono come vogliono 32, che è la stessa cosa che noi dicevamo: "secondo ciò che loro procura diletto". Ma egli aggiunge: Questo è certamente un errore. Non c’è nulla di più misero che volere ciò che non conviene e non è cosa tanto miserevole il non conseguire ciò che si vuole, quanto il voler conseguire ciò che non bisognerebbe volere 33. Affermazione stupenda e perfettamente vera. Chi infatti sarebbe così cieco spiritualmente, così estraneo alla luce del bene, così avviluppato nelle tenebre del male da chiamare felice, perché vive come vuole, colui che vive nella nequizia e nella vergogna e che, senza che alcuno né lo impedisca, né lo punisca, senza che ci sia nessuno che almeno osi riprenderlo, anzi per di più lodato dai più (perché, secondo l’affermazione della divina Scrittura: Si glorifica il peccatore per i desideri della sua anima e colui che compie il male è applaudito) 34, compie le sue più criminali e più infami volontà, quando la sua miseria, pur rimanendo egli misero, sarebbe minore, se non avesse potuto conseguire ciò cui aspira la sua volontà perversa? Infatti anche la volontà cattiva, da sola, rende misero l’uomo, ma il potere di compiere il desiderio di una volontà cattiva lo rende ancora più misero. Perciò, poiché è vero che tutti gli uomini vogliono essere beati, che questo è il solo fine cui aspirano con un amore ardentissimo, e in vista di questo desiderano anche tutte le cose, e, d’altra parte, nessuno può amare ciò di cui ignora del tutto la natura e la qualità e nessuno può ignorare la natura di ciò che sa di volere, ne consegue che tutti sanno che cos’è la vita beata. Ora tutti coloro che sono felici hanno ciò che vogliono, sebbene non tutti coloro che hanno ciò che vogliono siano necessariamente felici; ma sono necessariamente infelici coloro che o non hanno ciò che vogliono, o hanno ciò che non desiderano rettamente. Non è dunque beato se non colui che nello stesso tempo ha tutto ciò che vuole e non vuole nulla di male.

La prima condizione della beatitudine: vivere in conformità al bene

6. 9. Se dunque la vita beata consta di questi due elementi, è da tutti conosciuta, da tutti amata, come si spiega che, quando non possono possedere queste due cose insieme, gli uomini preferiscono possedere tutto ciò che vogliono piuttosto di volere tutto con una volontà buona, anche se dovessero non possederlo? O è così grande la depravazione del genere umano che, sebbene sappiano gli uomini che non è beato colui che non possiede ciò che vuole, né colui che possiede ciò che vuole in maniera colpevole, ma solo colui che nello stesso tempo ha tutti i beni che vuole e non vuole nulla in maniera colpevole, quando manchi uno dei due fattori che sono essenziali alla vita beata, si scelga di preferenza ciò che ci allontana di più dalla vita beata (perché è più lontano dalla vita beata chiunque consegua ciò che desidera in maniera colpevole, di colui che non consegua ciò che desidera), quando si sarebbe dovuto piuttosto scegliere ed anteporre a tutto la volontà buona, anche se non consegue ciò che desidera? È prossimo alla beatitudine infatti colui che vuole con volontà buona tutto ciò che vuole e che, una volta che l’avrà conseguito, sarà beato. È evidente che non è il male, ma il bene che causa la felicità dell’uomo felice, nel momento in cui la causa. Possiede qualcosa di questo bene, qualcosa che non è di poco valore, cioè la stessa buona volontà, colui che desidera trovare la sua gioia nelle cose buone di cui è capace l’umana natura e non nel compiere e possedere qualcosa di male e quei beni, beni quali possano già esistere in questa misera vita, li persegue con prudenza, temperanza, forza e giustizia interiore e li attinge, nella misura che gli è concessa, in modo da essere buono anche in mezzo ai mali e da essere beato una volta che saranno cessati tutti i mali e tutti i beni avranno raggiunto la loro pienezza.

La seconda condizione: avere ciò che si vuole

7. 10. Ecco perché in questa vita mortale, così piena di errori e di miserie, è supremamente necessaria la fede con cui si crede in Dio. Infatti per tutti i beni, di qualsiasi genere, in particolar modo per quelli che rendono l’uomo buono e per quelli che lo renderanno beato non si può trovare altro fonte, eccetto Dio, dal quale vengano nell’uomo e siano messi alla sua portata. Ma quando colui che rimase giusto e buono fra queste miserie sarà giunto da questa vita alla vita beata, allora si realizzerà ciò che adesso è del tutto impossibile: l’uomo vivrà come vuole. Perché non desidererà vivere male in quella felicità, non vorrà nulla che gli manchi, né gli mancherà nulla di ciò che vuole. Tutto ciò che si amerà, ci sarà, né si desidererà ciò che non ci sarà. Tutto ciò che ci sarà, sarà bene, e il Dio supremo sarà il Bene supremo 35, e sarà alla portata di tutti coloro che lo amano perché ne fruiscano e, cosa che riempie di beatitudine, si avrà la certezza che sarà sempre così. Ma di fatto i filosofi, ciascuno a suo modo, si costruirono la loro propria vita beata, come se potessero, con la loro virtù personale, vivere come volevano 36, cosa impossibile nella comune condizione di mortali. Sapevano infatti che nessuno può essere beato se non avendo ciò che vuole e se non soffre nulla di ciò che non vuole. Ma quale uomo non si augurerebbe che fosse in suo potere di conservare eternamente quella vita, qualunque essa sia, in cui trova la sua gioia, e che per questo motivo chiama beata? Ma chi ha questo potere? Chi vuole essere in preda alle difficoltà per sopportarle con coraggio, ancorché le voglia e le possa tollerare, nel caso che le patisca? Chi vorrebbe vivere nei tormenti, sebbene sia uno che può, conservandosi in mezzo ad essi giusto tramite la pazienza, condurre una vita degna di lode? Coloro che hanno sopportato questi mali li hanno considerati come passeggeri, o desiderando di avere o temendo di perdere ciò che amavano, sia che l’abbiano fatto con amore colpevole o con amore degno di lode. Perché molti, attraverso i mali passeggeri, hanno mirato, con animo coraggioso, ai beni permanenti. Costoro sono beati in speranza, anche quando sono in mezzo ai mali passeggeri, attraverso i quali giungono ai beni che non passano. Ma chi è beato in speranza non è ancora beato: aspetta infatti con pazienza la beatitudine che ancora non possiede. Colui invece che senza questa speranza, senza aver in vista una tale ricompensa, è in preda ai tormenti, qualunque sia la sua forza di sopportazione, non è beato in verità, ma infelice con coraggio. Né si può dire che non è infelice, perché sarebbe più infelice se, oltre tutto, sopportasse la sua infelicità senza alcuna pazienza. Si deve anzi aggiungere che, pur supponendo che non soffra quei mali che non vorrebbe soffrire nel suo corpo, nemmeno in tal caso si ha da ritenere felice, perché non vive come vuole. Infatti, senza parlare di un’infinità di altri mali, che colpiscono l’anima, pur non toccando il corpo, e dai quali vorremmo vivere immuni, in ogni caso questi vorrebbe, se potesse, che il conservare sano ed integro il suo corpo, il non soffrire a causa di esso molestia alcuna, dipendessero dalla sua volontà o gli fossero garantiti dall’incolumità del suo corpo stesso; poiché non ha questo privilegio e resta nell’incertezza, senza dubbio non vive come vuole. Sebbene per il suo coraggio sia pronto ad affrontare e sopportare serenamente ogni avversità che gli possa accadere, preferisce non soffrirla e, se può, la evita. È pronto all’una e all’altra eventualità nel senso che, per quanto dipende da lui, desidera questo, evita quello, ma se gli accade ciò che evita, lo sopporta di buon grado, perché il suo desiderio non ha potuto realizzarsi 37. Perciò sopporta per non lasciarsi opprimere, ma non vorrebbe essere pressato da tali avversità. In quale senso vive egli dunque come vuole? Forse perché vuole essere forte nel sopportare ciò che non voleva che gli accadesse? Ma allora vuole ciò che può, perché non può ciò che vuole. Questa è tutta la beatitudine - non si sa se ridicola, o piuttosto degna di compassione - dei mortali orgogliosi, che si gloriano di vivere come vogliono, perché volontariamente sopportano con pazienza i mali che non vogliono che loro accadano. È questo, si dice, il saggio consiglio di Terenzio:

Poiché non può realizzarsi ciò che vuoi, desidera ciò che puoi 38.

Espressione bella, chi lo nega? Ma è un consiglio dato ad un infelice, perché non fosse maggiormente infelice. Però, a chi è beato, come tutti vogliono essere, non è né giusto, né vero dire: Non può realizzarsi ciò che tu vuoi. Se infatti è felice, tutto ciò che vuole può realizzarsi, perché non vuole ciò che non può realizzarsi. Ma questa condizione non è propria di questa vita mortale, essa si realizzerà solo quando si accederà alla vita caratterizzata dall’immortalità. Se questa fosse del tutto inaccessibile all’uomo, vana sarebbe pure la ricerca della beatitudine, perché senza immortalità non vi può essere beatitudine.

Non c’è beatitudine senza immortalità

8. 11. Poiché dunque tutti gli uomini vogliono essere beati 39, se lo vogliono veramente, vogliono di certo essere anche immortali; diversamente infatti non possono essere beati. Finalmente se li si interroga anche circa l’immortalità, come circa la beatitudine, rispondono tutti che la vogliono. Ma si cerca, anzi ci si foggia, in questa vita una parvenza di beatitudine, beatitudine più di nome che di fatto, mentre si dispera dell’immortalità, senza la quale non può esistere vera beatitudine. Vive felice, come abbiamo detto e fermamente stabilito nelle pagine precedenti, colui che vive bene e non vuole nulla di male. Ma non è cosa colpevole per nessuno volere l’immortalità, se la natura umana è capace di riceverla come un dono di Dio; se non ne è capace, non è nemmeno capace di beatitudine. Infatti, perché l’uomo viva felice, occorre che viva. Consideriamo un morente: perde la vita, come potrebbe conservare la vita beata? Quando perde la vita, senza dubbio ciò accade contro il suo volere, o con il suo consenso o lasciandolo indifferente. Se accade contro il suo volere, come può essere felice questa vita che egli vuole, ma che non può conservare? Se nessuno è beato quando non ha ciò che vuole, quanto meno sarà beato colui che si vede privato contro la sua volontà, non degli onori, non dei beni, non di qualsiasi altra cosa, ma della stessa vita beata, perché non c’è più vita per lui? Per questo, sebbene non gli resti più alcuna coscienza che lo renda infelice (la vita beata non scompare se non perché tutta la vita scompare), tuttavia questo uomo è infelice, fino a quando ha coscienza, perché vede finire, contro la sua volontà, ciò per cui ama le altre cose e ciò che ama più delle altre cose. Non è dunque compatibile che la vita sia insieme beata e che la si perda contro la propria volontà, perché nessuno è felice quando gli accade qualcosa contro la sua volontà; dunque quanto è più infelice perdendo la vita contro la sua volontà di quello che non sarebbe sopportando la vita presente contro la sua volontà? Se invece la perde di buon grado, anche in questo caso come poteva essere felice quella vita di cui, chi la possedeva, ha voluto l’annientamento? Resta la terza ipotesi: l’uomo sarebbe felice nell’indifferenza, cioè perderebbe la vita beata quando, per la morte, perdesse totalmente la vita, senza ripugnarvi e senza desiderarlo, con il cuore preparato ed indifferente a vivere come a morire. Ma non è nemmeno beata quella vita che non è degna dell’amore di colui che rende beato. Come è beata la vita che colui che è beato non ama? O come si ama ciò di cui si accetta con indifferenza il rigoglio o l’annientamento? A meno che, forse, le virtù, che noi amiamo soltanto in vista della beatitudine, non osino persuaderci di non amare la beatitudine stessa. Ma se fanno questo, non v’è dubbio che cessiamo di amare anch’esse, se non amiamo più la beatitudine che sola ce le ha fatte amare. Inoltre, come sarà vera quell’affermazione così attentamente esaminata, così indagata, così chiarificata, così certa, che tutti gli uomini vogliono essere felici 40, se quelli stessi che sono felici non lo vogliono, né vogliono esserlo? O se vogliono, come la verità lo proclama e lo esige la natura in cui il Creatore supremamente buono ed immutabilmente beato ha posto questo desiderio; se, dico, vogliono essere beati coloro che sono beati, dunque non vogliono non essere beati. Se poi non vogliono non essere beati, non v’è dubbio che non vogliono che svanisca e perisca la loro beatitudine. Ma solo vivendo possono essere beati: dunque non vogliono che perisca la loro vita. Dunque vogliono essere immortali tutti coloro che sono o vogliono essere veramente beati. Ma non vive beatamente colui che non ha ciò che vuole; non vi sarà dunque in nessun modo vita veramente beata che non sia eterna.

Solo la fede permette l’immortalità dell’uomo nella sua interezza

9. 12. Non è problema di poco conto chiarire se la natura umana sia capace di ricevere questa eterna felicità che tuttavia riconosce come desiderabile. Ma se esiste la fede, che è presente a coloro ai quali Gesù ha dato il potere di diventare figli di Dio 41, non c’è alcun problema. Ma tra coloro che si sono sforzati di trovare una soluzione con l’aiuto di argomentazioni umane, solo assai pochi, dotati di potente ingegno, in possesso di molto tempo da dedicare alle cose dello spirito, scaltriti nei ragionamenti più sottili, poterono giungere a scoprire l’immortalità dell’anima soltanto 42. Tuttavia non hanno pensato che ci fosse per l’anima una vita beata durevole, cioè vera. Affermarono infatti che, anche dopo aver goduto della beatitudine, l’anima tornava alle miserie di questa vita. E coloro che tra essi arrossirono di questa opinione e hanno pensato che l’anima, una volta purificata e separata dal corpo, doveva essere posta nella beatitudine eterna, contraddittoriamente hanno sostenuto tali teorie circa l’eternità del mondo, che essi stessi confutano questa loro opinione circa l’anima 43. Sarebbe troppo lungo dimostrarlo qui, ma è stato da noi sufficientemente dimostrato, credo, nel libro XII de La città di Dio 44. Ma la fede, appoggiandosi non su argomenti umani, ma sull’autorità divina, promette che l’uomo tutto intero, l’uomo composto di anima e di corpo 45, sarà immortale e dunque veramente beato. Ecco perché, dopo aver detto nel Vangelo che Gesù ha dato il potere di divenire figli di Dio a coloro che l’hanno ricevuto 46, dopo aver esposto brevemente cosa significhi averlo ricevuto, con le parole: ai credenti nel suo nome, ed aver aggiunto in quale maniera divenissero figli di Dio: perché non sono nati dal sangue, né dalla volontà della carne, né dalla volontà dell’uomo, ma da Dio 47, perché la debolezza umana, che vediamo e portiamo in noi, non ci facesse disperare di una condizione così elevata, l’Evangelista aggiunge subito: E il Verbo si è fatto carne ed abitò fra noi 48, per persuaderci, presentandoci il movimento contrario, di una cosa che ci sembrava incredibile. Se, infatti, colui che per natura è Figlio di Dio, si è fatto figlio dell’uomo per compassione verso i figli degli uomini (è ciò che significa l’affermazione: Il Verbo si è fatto carne ed abitò fra gli uomini), quanto è più credibile che coloro che per natura sono figli dell’uomo divengano per grazia figli di Dio, ed abitino in Dio, nel quale e per il quale solo possono essere beati, fatti partecipi della sua immortalità? È per persuaderci di questo che il Figlio di Dio si è fatto partecipe della nostra mortalità 49.

L’Incarnazione del Verbo impedisce agli spiriti degli uomini di disperare della beatitudine

10. 13. Vi sono di quelli che dicono: "Dio non aveva un altro modo di liberare gli uomini dalla miseria di questa condizione mortale? Era necessario che egli volesse che il suo Figlio unigenito, Dio eterno come lui, si facesse uomo, rivestendo un’anima ed una carne umana, ed una volta divenuto mortale, soffrisse la morte?". Per confutare questa obiezione è insufficiente affermare che è buono e conforme alla dignità divina questo modo con il quale Dio si è degnato di liberarci per mezzo del Mediatore tra Dio e gli uomini, l’uomo Gesù Cristo 50; è pure insufficiente rispondere mostrando che Dio, alla cui potenza tutto è ugualmente sottomesso, aveva la possibilità di fare uso di un altro modo; ma bisogna mostrare che non c’era né vi sarebbe potuto essere un altro modo più conveniente per risanare la nostra miseria. Infatti, per risollevare la nostra speranza, per impedire agli spiriti dei mortali, abbattuti per la condizione della loro mortalità, di disperare nell’immortalità, che c’era di più necessario che mostrarci quanto Dio ci apprezzi e quanto ci ami? Esisteva di ciò una prova più luminosa e convincente di questa: che il Figlio di Dio, immutabilmente buono, restando in se stesso ciò che egli era, e ricevendo da noi, per noi, ciò che non era, degnatosi, senza nulla perdere della sua natura, di divenire partecipe della nostra, abbia prima portato su di sé i nostri mali senza aver mai demeritato, commettendo qualcosa di male, e così, credendo noi ormai quanto Dio ci ami e sperando ormai ciò di cui disperavamo, abbia sparso su di noi, con una larghezza totalmente gratuita, i suoi doni, senza che nulla meritassimo per aver fatto qualcosa di buono, anzi avendo demeritato per quanto abbiamo fatto di male?

I nostri meriti sono doni di Dio

10. 14. Perché anche quelli che sono chiamati meriti nostri, sono suoi doni. Infatti affinché: La fede operi per mezzo dell’amore 51, la carità di Dio è stata diffusa nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato 52. Ora ci è stato dato quando Gesù è stato glorificato con la risurrezione. È allora infatti che egli ha promesso di mandare lo Spirito e l’ha mandato 53, perché allora, come è stato scritto e predetto di lui: Ascendendo in alto, ha resa schiava la schiavitù, dette doni agli uomini 54. Questi doni sono i nostri meriti, mediante i quali giungiamo al Bene supremo della beatitudine eterna 55. Dio, dice l’Apostolo, mostra la sua carità verso di noi, in questo, che, quando eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi. A maggior ragione ora, che siamo giustificati per il suo sangue, saremo per mezzo di lui salvati dalla sua ira 56. Egli aggiunge ancora: Se infatti, essendo nemici, siamo stati riconciliati con Dio, per mezzo della morte del Figlio suo, a maggior ragione, una volta riconciliati, saremo salvi nella sua vita 57. Coloro che prima ha chiamato peccatori, li chiama poi nemici di Dio, e coloro che prima ha chiamato giustificati per mezzo del sangue di Gesù Cristo, li chiama poi riconciliati per mezzo della morte del Figlio di Dio, e coloro che prima ha chiamato salvi dall’ira per mezzo di lui, li chiama poi salvi nella vita di lui. Dunque, prima di questa grazia non eravamo dei peccatori qualsiasi, ma eravamo immersi in tali peccati da essere nemici di Dio. Prima lo stesso Apostolo ci aveva chiamati peccatori e nemici di Dio, con due nomi nello stesso tempo, uno in qualche modo indulgente, l’altro senz’altro molto severo, affermando: Se dunque Cristo, quando noi ancora eravamo deboli, nel tempo stabilito, è morto per gli empi 58. Coloro che chiama deboli, li chiama anche empi. La debolezza sembra un male leggero, ma essa giunge talvolta al punto di meritare il nome di empietà. Tuttavia, se non fosse debolezza, non avrebbe necessità del medico; che è ciò che significa Gesù in ebraico, in greco, Salvatore nella nostra lingua. Prima la lingua latina non possedeva questa parola, ma poteva possederla, come poté possederla quando lo volle. Ora questa frase dell’Apostolo che ho appena citato: Quando eravamo ancora deboli, nel tempo stabilito è morto per gli empi, è in armonia con le due seguenti in cui, nell’una ci chiama peccatori, nell’altra nemici di Dio, come se volesse stabilire una corrispondenza, parola per parola, tra i peccatori e i deboli, i nemici di Dio e gli empi.

Difficoltà circa la redenzione

11. 15. Ma che significano le parole: Giustificati nel suo sangue 59? Qual è, chiedo, la forza di questo sangue, capace di giustificare i credenti? E che significano queste parole: Riconciliati per mezzo della morte del Figlio suo 60? Bisognerà forse pensare che, essendo Dio Padre adirato contro di noi, vide morire il Figlio suo per noi e placò la sua ira contro di noi? Suo Figlio si era dunque riconciliato con noi fino al punto di degnarsi di morire per noi, mentre il Padre restava ancora adirato contro di noi fino al punto di non riconciliarsi con noi, se non nel caso che il Figlio suo morisse per noi? Ma allora che significa ciò che dice in un altro passo lo stesso Dottore dei Gentili: Che diremo allora a riguardo di tutto questo? Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? Egli che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma che l’ha consegnato per tutti noi, come non sarà disposto a darci ogni altra cosa insieme a lui 61? Se non fosse già stato placato, il Padre, non risparmiando il suo proprio Figlio, l’avrebbe forse consegnato per noi? Questa affermazione non sembra contraddire la precedente? Secondo la prima, il Figlio muore per noi e il Padre è riconciliato con noi per mezzo della sua morte 62; nella seconda è il Padre che, come se ci avesse amato per primo, lui stesso non risparmia il Figlio a causa di noi, lui stesso per noi lo consegna alla morte 63. Ma vedo che il Padre ci ha amato anche prima, non solo prima che il Figlio morisse per noi, ma prima che creasse il mondo 64, secondo la testimonianza dello stesso Apostolo che dice: Come in lui ci ha eletti, prima ancora della fondazione del mondo 65. E il Figlio, che il Padre non ha risparmiato, non è stato consegnato per noi, come se ciò fosse contrario al suo volere, perché anche di lui l’Apostolo dice: Lui che mi ha amato e si è consegnato per me 66. Dunque tutto ciò che fanno il Padre, il Figlio e lo Spirito di ambedue, lo fanno insieme, tutti ugualmente ed in perfetto accordo; tuttavia siamo stati giustificati nel sangue di Cristo, e siamo stati riconciliati con Dio per mezzo della morte del Figlio suo 67. In che modo questo è accaduto lo spiegherò ora, come lo potrò e quanto mi sembrerà sufficiente.

A causa del peccato di Adamo per giusto giudizio di Dio il genere umano è stato dato in potere del diavolo

12. 16. Per un effetto della giustizia divina il genere umano è stato consegnato in potere del diavolo, poiché il peccato del primo uomo si trasmette per via d’origine a tutti coloro che nascono dall’unione dei due sessi, e il debito dei nostri primi genitori grava su tutti i loro discendenti. Questa sottomissione al diavolo si trova già espressa nel Genesi, dove, dopo aver detto al serpente: Mangerai terra 68, Dio dice all’uomo: Tu sei terra e ritornerai alla terra 69. Le parole: Tu ritornerai alla terra preannunciano la morte del corpo, morte che, anch’essa, sarebbe stata risparmiata all’uomo se fosse rimasto nella giustizia nella quale è stato creato. Ma le parole: Tu sei terra, dette all’uomo ancora vivente, mostrano che tutto l’uomo si è cambiato in peggio. Le parole: Tu sei terra, hanno infatti lo stesso senso di quelle: Il mio Spirito non rimarrà in questi uomini, perché sono carne 70. Così dunque Dio dimostrò che aveva consegnato l’uomo a colui al quale aveva detto: Mangerai terra 71. L’Apostolo dichiara questa stessa cosa più apertamente, quando scrive: E voi, essendo morti per le vostre colpe e i vostri peccati, nei quali in un certo tempo camminaste, secondo lo spirito di questo mondo, secondo lo spirito del principe della potenza dell’aria, lo spirito che agisce ora nei figli della disobbedienza, con i quali anche noi tutti abbiamo vissuto un tempo secondo i desideri della carne, compiendo le volontà delle nostre concupiscenze carnali; ed eravamo per natura figli dell’ira, come gli altri 72. I figli della disobbedienza sono gli infedeli, ma chi non lo è, prima di divenire fedele? Perciò tutti gli uomini sono dall’origine sottomessi al principe della potenza dell’aria che opera nei figli della disobbedienza. L’espressione "dall’origine" equivale a quella dell’Apostolo: per natura, quando egli anche confessa di essere stato come gli altri; si tratta della natura come è stata degradata dal peccato, non come è stata creata giusta al principio. Quanto al modo in cui l’uomo è stato consegnato al potere del diavolo non bisogna intendere che Dio abbia comandato o fatto che accadesse questo, ma lo ha soltanto permesso, giustamente tuttavia. Infatti al momento in cui Dio ha abbandonato il peccatore, subito l’autore del peccato se ne è impossessato. Benché veramente Dio non abbia abbandonato la sua creatura fino al punto di non farle sentire la sua azione creatrice e vivificatrice e di non darle, mescolati ai mali che sono la pena del peccato, molti beni. Perché nella sua ira non ritirò la sua misericordia 73; né ha sottratto l’uomo alla legge della sua potenza, quando ha permesso che fosse sotto il potere del diavolo, perché nemmeno il diavolo stesso sfugge alla potenza dell’Onnipotente, come neppure alla sua bontà. Infatti, come potrebbero sussistere anche gli angeli cattivi, qualunque sia la loro vita, se non per virtù di Colui che tutto vivifica 74? Se dunque l’uomo, commettendo il peccato, per una giusta ira di Dio è stato sottomesso al diavolo, Dio, rimettendo il peccato, per una benevola riconciliazione ha strappato l’uomo al diavolo.

Ma Dio per superare il diavolo non scelse la via della potenza, bensì quella della giustizia

13. 17. Il diavolo non doveva essere superato dalla potenza, ma dalla giustizia di Dio. Infatti che c’è di più potente dell’Onnipotente? O quale creatura ha una potenza comparabile a quella del Creatore? Ma il diavolo, per il vizio della sua perversità, si è innamorato della potenza, ha abbandonato e combattuto la giustizia; gli uomini a loro volta imitano tanto più il diavolo quanto più trascurano e perfino aborriscono la giustizia per aspirare alla potenza e godono del possesso o bruciano dal desiderio di essa; e così piacque a Dio, per sottrarre l’uomo al potere del diavolo, di vincere il diavolo non con la potenza ma con la giustizia, affinché anche gli uomini, ad imitazione di Cristo, cercassero di vincere il diavolo con la giustizia, non con la potenza. Non che la potenza sia da fuggire come qualcosa di male, ma bisogna rispettare l’ordine secondo il quale la giustizia è al primo posto. Quanto grande può essere infatti la potenza dei mortali? Conservino dunque la giustizia fin che sono mortali, la potenza sarà loro data quando saranno immortali. In confronto a questa, la potenza di quegli uomini che sono chiamati potenti sulla terra - per quanto grande essa sia - non è che una debolezza ridicola, e là dove sembra che i cattivi manifestino finalmente la loro potenza si scava la fossa per il peccatore 75. Il giusto invece canta e dice: Beato l’uomo che tu istruisci, o Signore, e al quale dai l’insegnamento della tua legge perché sia tranquillo nei giorni dell’afflizione, fino a quando si scavi una fossa per il peccatore. Perché il Signore non respingerà il suo popolo e non abbandonerà la sua eredità; fino a quando la giustizia si muti in giudizio; e tutti coloro che la possiedono hanno il cuore retto 76. Dunque, durante il tempo in cui non si manifesta ancora la potenza del popolo di Dio il Signore non respingerà il suo popolo e non abbandonerà la sua eredità, per quanto grandi siano le amarezze e le umiliazioni che essa debba subire nella sua umiltà e debolezza, fino a quando la giustizia che posseggono, malgrado la loro debolezza, gli uomini pii, si muti in giudizio, cioè fino a quando la giustizia non riceva il potere di giudicare. Tale privilegio è riservato ai giusti per la fine dei tempi, allorquando la potenza, seguendo il suo ordine, farà seguito alla giustizia che l’ha preceduta. Infatti è la potenza appoggiata sulla giustizia, o la giustizia unita con la potenza, che costituisce il potere di giudicare. Ora la giustizia appartiene alla volontà buona: per questo gli Angeli, alla nascita di Cristo, hanno detto: Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini di buona volontà 77. La potenza deve seguire la giustizia, non precederla, perciò trova il suo posto nelle res secundae, cioè nella prosperità. Ora la parola secundae (prospere), deriva dal verbo sequi (seguire). Infatti, poiché come abbiamo detto prima sono necessarie due cose per rendere l’uomo beato: volere il bene e potere ciò che si vuole, bisogna, come abbiamo notato nella medesima discussione, che sia assente quel disordine perverso che fa sì che l’uomo, fra queste due condizioni della felicità, scelga di potere ciò che vuole e trascuri di volere ciò che conviene, dato che deve prima avere una volontà buona e, soltanto dopo, una grande potenza. Ora la volontà per essere buona deve essere purgata dai vizi; se l’uomo è vinto da essi, la sconfitta lo trascina a volere il male; come allora la sua volontà sarà buona? Perciò bisogna augurarsi che la potenza sia data fin d’ora, però contro i vizi, ma gli uomini non vogliono essere potenti per vincere i vizi, bensì per vincere gli uomini. A che cosa li porta questo se non ad essere effettivamente vinti riportando una vittoria ingannevole, essendo vincitori apparentemente, non realmente? L’uomo voglia essere prudente, forte, temperante, giusto e, per poter esserlo veramente, ambisca in realtà la potenza e desideri di essere potente su se stesso e paradossalmente potente contro se stesso in favore di se stesso. Quanto agli altri beni che vuole con una volontà buona, ma che esulano dal suo potere, come l’immortalità, la vera e perfetta felicità, non cessi di desiderarli e li aspetti con pazienza.

Gratuità della morte di Cristo

14. 18. Qual è dunque questa giustizia che ha vinto il diavolo? Quale, se non quella di Gesù Cristo? E come fu vinto il demonio? Perché ha ucciso Cristo, benché non trovasse in lui nulla che meritasse la morte. Allora è giusto che siano messi in libertà i debitori che teneva sotto di sé, quando credono in Colui che senza alcun debito è stato ucciso da lui. Questo significa l’affermazione che noi siamo giustificati nel sangue di Cristo 78, perché è così che quel sangue innocente è stato sparso per la remissione dei nostri peccati 79. Ecco perché nei Salmi Cristo si dice libero tra i morti 80, perché è il solo ad essere morto senza dover pagare il debito della morte. Per questo in un altro Salmo dice: Ho pagato ciò che non avevo rubato 81, volendo far comprendere che il peccato è una rapina, perché è arrogarsi un diritto che non si ha. Così Cristo dice nel Vangelo, e questa volta con le sue proprie labbra: Ecco che viene il principe di questo mondo e non trova nulla in me 82, cioè nessun peccato; ma affinché tutti sappiano che faccio la volontà del Padre mio, alzatevi ed usciamo di qui 83. E va verso la sua passione al fine di pagare, egli che non doveva nulla, per i nostri debiti. Il diavolo sarebbe stato vinto con questa rigorosa equità, se Cristo avesse voluto trattare con lui sul piano della potenza e non su quello della giustizia? Ma rimandò ad un secondo tempo ciò che poteva, per fare prima ciò che conveniva. È per questo che bisognava che egli fosse insieme uomo e Dio. Se non fosse stato uomo, non avrebbe potuto essere ucciso; se non fosse stato anche Dio, non si sarebbe creduto che non voleva ciò che poteva, ma invece che non poteva ciò che voleva, e non penseremmo che abbia preferito la giustizia alla potenza, ma che la potenza gli mancò. In realtà ha patito per noi sofferenze umane, perché era uomo, ma se non lo avesse voluto, avrebbe anche potuto non patirle, perché era anche Dio. Perciò la giustizia ci è divenuta più gradita in queste umiliazioni, perché egli avrebbe potuto, se lo avesse voluto, non soffrire queste umiliazioni, tanto è grande la potenza nella divinità e così, morendo, lui che è tanto potente, ha insegnato a noi mortali impotenti la giustizia e promesso la potenza; di queste due cose una fece morendo, l’altra risorgendo. Che c’è infatti di più giusto che giungere fino a morire in croce 84 per la giustizia? E che c’è di più potente che risorgere dai morti e salire al cielo con la stessa carne nella quale è stato ucciso? Egli ha dunque vinto il diavolo prima con la giustizia, poi con la potenza; con la giustizia, perché fu senza peccato 85, e fu da lui ucciso in modo supremamente ingiusto; con la potenza, perché, morto, è ritornato alla vita per non più morire 86. Ma avrebbe vinto il diavolo con la potenza, anche se questi non avesse potuto ucciderlo, sebbene sia frutto di maggior potenza vincere anche la stessa morte risorgendo, che evitarla vivendo. Ma è la giustizia che ci giustifica nel sangue di Cristo 87, quando siamo strappati per mezzo della remissione dei peccati al potere del diavolo. Ciò è dovuto al fatto che il diavolo viene vinto da Cristo con la giustizia, non con la potenza. Cristo infatti fu crocifisso per la debolezza che assunse nella carne mortale 88, non per la sua immortale potenza; sebbene della sua debolezza l’Apostolo dica: La debolezza di Dio è più forte degli uomini 89.

15. 19. Non è dunque difficile vedere che il diavolo è vinto, una volta risuscitato Colui che egli ha ucciso. È una cosa più grande, un mistero più profondo per la nostra intelligenza, vedere che il diavolo è stato vinto, quando gli sembrava di aver vinto, cioè quando Cristo fu ucciso. Allora infatti quel sangue, perché era il sangue di Colui che non aveva assolutamente alcun peccato 90, fu sparso in remissione dei nostri peccati 91; così coloro che il diavolo con piena giustizia teneva incatenati in una condizione di morte, perché colpevoli di peccato, doveva lasciarli liberi con piena giustizia per merito di Colui al quale, benché innocente da ogni peccato, ha fatto subire ingiustamente la pena della morte. È con questa giustizia che il forte è stato vinto, e con questo legame è stato incatenato, affinché gli fossero rapiti i suoi vasi, quelli che presso di lui, con lui e con i suoi angeli erano stati vasi di ira e furono mutati in vasi di misericordia 92. Sono queste le parole che l’apostolo Paolo 93 narra gli siano state indirizzate dal cielo dallo stesso Signore Gesù Cristo nel primo momento della sua vocazione. Infatti, fra le altre parole che egli udì, egli dice che gli furono indirizzate anche queste: Ti sono apparso per costituirti ministro e testimone di quelle cose che ti mostro e di quelle per le quali ancora ti apparirò, liberandoti dal popolo e dai Gentili ai quali ti mando per aprire gli occhi ai ciechi, affinché passino dalle tenebre e dalla potestà di Satana a Dio, affinché ricevano la remissione dei peccati, la eredità dei santi e la fede in me 94. Per questo lo stesso Apostolo, esortando i credenti a rendere grazie a Dio Padre, dice: Lui che ci ha strappato al potere delle tenebre e ci ha fatto passare nel regno del Figlio del suo amore, nel quale siamo redenti per la remissione dei peccati 95. In questa redenzione, come prezzo per noi, è stato dato il sangue di Cristo; ricevutolo, il diavolo non è stato arricchito, ma incatenato, cosicché noi fossimo liberati dalle sue catene ed egli non trascinasse con sé nella rovina della morte seconda ed eterna 96, avviluppato nelle reti del peccato, nessuno di coloro che Cristo, esente da ogni debito, ha redento con il suo sangue versato gratuitamente, ma a condizione che morissero nella grazia di Cristo, preconosciuti 97, predestinati 98 ed eletti prima della fondazione del mondo 99, come Cristo è morto per essi, con una morte della carne soltanto, non dello spirito 100.

I mali di questo mondo sono utili agli eletti

16. 20. Infatti, benché anche la stessa morte della carne tragga la sua origine dal peccato del primo uomo 101, tuttavia il buon uso di essa fece dei martiri assai gloriosi. Perciò sono dovuti sussistere, anche dopo la remissione dei peccati, non solo la stessa morte, ma tutti i mali di questo mondo, tutti i dolori e le pene degli uomini, benché effetto dei peccati e soprattutto del peccato originale - a causa del quale la vita stessa è stata incatenata nei legami della morte -, per offrire all’uomo, in mezzo a queste prove, l’opportunità di lottare per la verità ed esercitare la virtù dei credenti, affinché l’uomo nuovo per mezzo di un testamento nuovo, tra i mali di questo mondo, si preparasse ad un nuovo mondo, sopportando saggiamente la miseria che ha meritato questa vita di condanna, godendo prudentemente del fatto che essa finirà; aspettando fiduciosamente e pazientemente la beatitudine che sarà possesso, senza fine, della futura vita di liberazione. Infatti il diavolo, cacciato via dal suo dominio e dal cuore dei fedeli, sui quali regnava, quando erano nello stesso stato di dannazione e d’infedeltà, sebbene dannato anche lui, ha il permesso di combatterli durante questa vita mortale, solo nella misura in cui sa che è loro utile Colui di cui le Sacre Scritture per bocca dell’Apostolo dicono: Dio è fedele, lui che non permette che voi siate tentati al di là delle vostre forze; ma con la tentazione preparerà un felice esito, dandovi il potere di sopportarla 102. Questi mali, piamente sopportati, servono ai fedeli per correggersi dei loro peccati, o a esercitare e mettere alla prova la loro giustizia, a mostrare loro la miseria di questa vita, affinché desiderino più ardentemente e cerchino più insistentemente quella vita dove ci sarà la beatitudine vera ed eterna. Ma questo si verifica in coloro di cui l’Apostolo dice: Sappiamo che Dio fa sì che tutte le cose cooperino al bene di coloro che lo amano, di quelli che secondo il suo disegno sono chiamati ad essere santi. Perché quelli che ha preconosciuto, li ha anche predestinati ad essere conformi all’immagine del Figlio suo, affinché egli sia il primogenito di un gran numero di fratelli. E quelli che ha predestinati li ha anche giustificati; coloro che ha giustificati li ha anche glorificati 103. Di questi predestinati nessuno perisce con il diavolo, nessuno resterà fino alla morte sotto il potere del diavolo. Viene poi il passo che ho già citato sopra: Che rispondere a ciò? Se Dio è con noi, chi sarà contro di noi? Lui che non ha risparmiato il suo proprio Figlio, ma lo ha consegnato per noi tutti; come non ci avrà dato con lui tutto? 104.

La morte di Cristo fu scelta convenientemente perché fossimo giustificati nel suo sangue

16. 21. Perché dunque la morte di Cristo non avrebbe dovuto aver luogo? Anzi, perché, lasciando da parte gli altri innumerevoli mezzi dei quali avrebbe potuto far uso l’Onnipotente per liberarci, non avrebbe dovuto scegliere di preferenza questa morte di Cristo, morte nella quale la sua divinità non ha subito né danno né mutamento 105, e l’umanità che ha assunto, ha portato agli uomini un così gran beneficio, perché così il Figlio eterno di Dio, che era insieme figlio dell’uomo, ha sofferto una morte temporale, che non meritava, per liberare gli uomini da una morte eterna che meritavano? Il diavolo teneva nelle sue mani i nostri peccati e, per mezzo di essi, ci teneva, con pieno diritto, inchiodati nella morte. Li ha rimessi Colui che non ne aveva di propri e che è stato dal demonio condotto ingiustamente alla morte. Tanto valse quel sangue, che nessuno rivestito di Cristo dovette trattenere nella meritata morte eterna colui che uccise Cristo con una morte immeritata, per quanto temporanea. Dio manifesta dunque verso di noi il suo amore in questo, che, quando eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi. A più forte ragione, ora che siamo giustificati nel suo sangue, saremo salvati dall’ira per mezzo di lui 106. Giustificati, dice, nel suo sangue. Siamo pienamente giustificati per il fatto che siamo liberati da tutti i peccati, e siamo stati liberati da tutti i peccati perché il Figlio di Dio, che era senza peccato 107, è stato ucciso per noi. Saremo, dunque, salvi dall’ira per mezzo di lui 108; sì, salvi dall’ira di Dio che non è altro che una giusta vendetta 109. Perché l’ira di Dio non è, come quella dell’uomo, un perturbamento dell’anima, ma è l’ira di Colui al quale la Sacra Scrittura dice in un altro passo: Tu che sei il Signore della virtù, giudichi con tranquillità 110. Se dunque la giusta vendetta di Dio ha ricevuto tale nome, la riconciliazione di Dio, se la si intende bene, che altro è se non la fine di tale ira 111? Noi non eravamo nemici di Dio che nella misura in cui i peccati sono nemici della giustizia. Una volta rimessi i peccati, tali inimicizie cessano, e quelli che il Giusto stesso giustifica vengono riconciliati con lui 112. Tuttavia li ha amati anche quando erano suoi nemici, poiché non risparmiò il proprio Figlio, ma per noi tutti, quando ancora eravamo nemici, lo ha consegnato 113. A ragione dunque l’Apostolo continua ed aggiunge: Se dunque, quando eravamo nemici, siamo stati riconciliati con Dio per mezzo della morte del Figlio suo, morte per la quale ci sono stati rimessi i peccati, a maggior ragione, una volta riconciliati, saremo salvi nella sua vita 114. Salvi nella vita, coloro che sono stati riconciliati per mezzo della morte. Chi potrebbe infatti dubitare che egli non darà la sua vita a quegli amici per i quali, quand’erano nemici, ha dato la sua morte? Non solo, aggiunge l’Apostolo, ma ci gloriamo anche in Dio, per mezzo del Signor nostro Gesù Cristo, per merito del quale ora abbiamo ricevuto la riconciliazione 115. Non solo, egli dice, saremo salvi, ma ci gloriamo anche, però non in noi, bensì in Dio, né per mezzo di noi, ma per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo, per merito del quale ora abbiamo ricevuto la riconciliazione, nel senso che abbiamo spiegato prima. L’Apostolo prosegue: Per questo, così come per mezzo di un solo uomo entrò in questo mondo il peccato, e per mezzo del peccato la morte, e così la morte è passata in tutti gli uomini, nel quale tutti hanno peccato 116, e poi vengono altri passi in cui tratta lungamente dei due uomini: l’uno, il primo Adamo, per il peccato e la morte del quale noi, suoi posteri, siamo incatenati come a mali ereditari; l’altro, il secondo Adamo che non è soltanto uomo, ma anche Dio e che, pagando per noi un debito che non doveva pagare, ci ha liberato dai debiti paterni e personali 117. Poiché dunque per causa di quel solo primo uomo, coloro che venivano generati dalla sua viziosa concupiscenza carnale tutti li teneva schiavi il diavolo, è giusto che per il Cristo solo lasci in libertà tutti coloro che vengono rigenerati per mezzo della sua immacolata grazia spirituale.

Altri benefici dell’Incarnazione

17. 22. Vi sono anche molte altre cose nell’Incarnazione di Cristo - la quale dispiace ai superbi - che è salutare comprendere e meditare. Una di queste è l’aver mostrato all’uomo il posto che occupa tra gli esseri creati da Dio: in quanto la natura umana ha potuto unirsi a Dio così intimamente da fare di due sostanze una sola persona, e per questo anzi di tre: Dio, l’anima e il corpo, cosicché quegli spiriti maligni e superbi, che sotto l’apparenza di aiutare l’uomo, s’interpongono come mediatori per ingannarlo, non osino più anteporsi all’uomo, con il pretesto che sono esenti dalla carne; perché, soprattutto, il Figlio di Dio ha spinto la sua condiscendenza fino al punto di morire in questa stessa carne, non possono più farsi onorare come dèi per la ragione che si mostrano immortali. Un secondo insegnamento consiste nel fatto che nell’umanità di Cristo ci è stata manifestata la grazia di Dio non preceduta da alcun merito 118, perché neppure Cristo ottenne in virtù di meriti precedenti di unirsi con il vero Dio tanto intimamente da fare con lui una persona in qualità di Figlio di Dio. Ma nello stesso istante in cui cominciò ad essere uomo, è anche Dio; per questo è detto: E il Verbo si è fatto carne 119. Vi è anche un terzo insegnamento: un così grande abbassamento da parte di Dio era proprio adatto a confondere e guarire la superbia dell’uomo, che è il più grande ostacolo alla sua unione con Dio 120. L’uomo impara anche quanto si sia allontanato da Dio; ciò gli dia forza a sopportare le sofferenze salutari nel ritornare, per mezzo di tale Mediatore, che come Dio soccorre gli uomini con la sua divinità, e come uomo è simile a loro nella debolezza 121. E qual maggiore esempio di obbedienza per noi, che eravamo periti per disobbedienza, di quello di Dio Figlio obbediente a Dio Padre fino alla morte in croce 122. Dove poteva apparire in maniera più splendida il premio dell’obbedienza, se non nella carne di un così grande Mediatore che è risuscitato per la vita eterna? Conveniva infine alla giustizia e alla bontà del Creatore che il diavolo fosse vinto per mezzo di quella stessa creatura ragionevole, che egli si compiaceva di aver vinto, e per mezzo di una creatura discendente da quella stessa stirpe che, viziata all’origine, era nella sua totalità, per la colpa di uno solo, sotto il potere del diavolo.

Perché il Figlio di Dio assunse la natura umana dalla stirpe di Adamo e nacque da una vergine

18. 23. Dio certo avrebbe potuto prendere altrove l’umanità in cui doveva essere Mediatore tra Dio e gli uomini 123, non dalla stirpe di Adamo che con il suo peccato incatenò il genere umano 124, come fece per Adamo che creò per primo, senza ascendenza. Avrebbe dunque potuto, così, o in altro modo che gli fosse piaciuto, creare un altro uomo unico in cui vincere il vincitore del primo; ma Dio giudicò più conveniente, e assumere dalla stessa stirpe, che era stata vinta, la natura umana, con la quale vincere il nemico della stirpe umana; e tuttavia da una vergine la cui concezione fu opera dello Spirito, non della carne: della fede, non della libidine 125; né vi intervenne la concupiscenza carnale, che fornisce il seme e la concezione a tutti gli altri, eredi del peccato originale; ma con l’esenzione assoluta di essa la santa verginità fu resa feconda dalla fede, non dall’unione; per conseguenza Colui che nasceva dalla stirpe del primo uomo, da lui derivò solo la specie umana, non anche la colpa. Nasceva infatti non come un individuo macchiato dal contagio della trasgressione, ma come l’unica medicina di tutti i contagiati. Nasceva, dirò, l’uomo che non aveva alcun peccato, l’uomo che non l’avrebbe mai avuto, l’uomo per cui sarebbero rinati coloro che dovevano essere liberati dal peccato che al loro nascere necessariamente li colpiva. Infatti, benché la castità coniugale faccia buon uso della concupiscenza carnale, che ha sede negli organi genitali, tuttavia questa concupiscenza ha dei moti involontari che ci mostrano che non ha potuto esistere nel paradiso prima del peccato, e che, se esisteva, non era di tale natura da resistere talvolta alla volontà. Ora invece la sua natura è tale - lo sappiamo per esperienza - che, rivoltandosi contro la legge dello spirito, incita all’unione carnale, anche indipendentemente da ogni fine di procreare; se le si cede, si sazia peccando, se non le si cede, non si lascia dominare che facendo resistenza. Chi può dubitare che questi due inconvenienti fossero assenti in paradiso, prima del peccato? Infatti l’onestà di allora non commetteva nulla di vergognoso, e la felicità di allora non era compatibile con qualcosa che non fosse tranquillo. Occorreva dunque che questa concupiscenza carnale fosse del tutto assente nella concezione verginale, da cui nacque Colui nel quale non doveva trovare nulla che meritasse la morte l’autore della morte, che tuttavia lo avrebbe ucciso, per essere vinto con la morte dell’autore della vita. Vincitore del primo Adamo, tiranno del genere umano, vinto dal secondo Adamo e privato del genere cristiano che, in mezzo al genere umano è stato liberato dal crimine umano, per opera di Colui che non aveva il crimine, sebbene appartenesse a quel genere, affinché l’ingannatore fosse vinto da quel medesimo genere che aveva sconfitto con il peccato. E tutto questo accadde perché l’uomo non se ne inorgoglisca, ma colui che si gloria, si glori nel Signore 126. Colui che fu vinto, infatti, era solo uomo, e fu vinto perché orgogliosamente desiderava essere Dio. Invece Colui che vinse era insieme uomo e Dio, e, nascendo da una vergine, in tanto vinse in quanto umilmente Dio non dirigeva quell’uomo alla maniera degli altri santi, ma lo faceva sussistere in lui stesso. Questi doni così grandi di Dio ed altri ancora, se ve ne sono, circa i quali sarebbe troppo lungo per noi, a proposito del nostro argomento, indagare e discutere ora, non esisterebbero, se il Verbo non si fosse fatto carne 127.

La nostra scienza è Cristo, la nostra sapienza è ancora Cristo

19. 24. Tutto ciò che il Verbo fatto carne 128 ha fatto e sofferto per noi nel tempo e nello spazio appartiene, secondo la distinzione che abbiamo cominciato a chiarire, alla scienza, non alla sapienza 129. Invece ciò che il Verbo è al di fuori del tempo e dello spazio, è coeterno al Padre e tutto intero in ogni luogo 130; di questo, se qualcuno può, per quanto gli è possibile, parlare secondo verità, ciò che dirà apparterrà alla sapienza 131; per questo motivo il Verbo fatto carne, Cristo Gesù, possiede i tesori della sapienza e della scienza 132. Ecco perché l’Apostolo scrive ai Colossesi: Voglio infatti che voi sappiate quanto grande sia la lotta che io sostengo per voi e per questi che sono a Laodicea e per tutti coloro che non mi hanno mai veduto di persona, affinché siano consolati i loro cuori e, intimamente uniti in carità, possano essere del tutto arricchiti d’una pienezza d’intelligenza, per conoscere il mistero di Dio, che è Cristo, in cui sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della scienza 133. Chi può sapere in quale misura l’Apostolo conosceva questi tesori, quanto era penetrato in essi, quali misteri aveva scoperto? Da parte mia tuttavia, secondo ciò che sta scritto: La manifestazione dello Spirito è data a ciascuno di noi per utilità: infatti ad uno è dato dallo Spirito il linguaggio della sapienza, ad un altro il linguaggio della scienza, secondo lo stesso Spirito 134, se la differenza tra la sapienza e la scienza risiede in questo: che la sapienza si riferisce alle cose divine, la scienza a quelle umane, riconosco l’una e l’altra in Cristo e con me la riconosce ogni fedele di Cristo. E quando leggo: Il Verbo si è fatto carne ed abitò tra noi 135, nel Verbo vedo con l’intelligenza il vero Figlio di Dio 136, nella carne riconosco il vero figlio dell’uomo 137, l’uno e l’altro uniti nella sola persona del Dio-uomo, per un dono ineffabile della grazia. Per questo l’Evangelista aggiunge: E abbiamo contemplato la sua gloria, gloria uguale a quella dell’Unigenito del Padre pieno di grazia e di verità 138. Se riferiamo la grazia alla scienza, la verità alla sapienza 139, penso che non andiamo contro la distinzione tra scienza e sapienza, che abbiamo proposto. Infatti, nell’ordine delle cose che traggono la loro origine nel tempo, la grazia più alta è l’unione dell’uomo con Dio nell’unità della persona; nell’ordine delle cose eterne, la più alta verità 140 è, a ragione, attribuita al Verbo di Dio. Ora, quello stesso che è l’Unigenito del Padre, pieno di grazia e di verità 141, l’incarnazione fa sì che egli sia pure quello stesso il quale agisce per noi nel tempo affinché, purificati per mezzo della fede in lui, lo contempliamo per sempre nell’eternità. I più grandi filosofi pagani poterono, per mezzo della creazione, contemplare con l’intelligenza le perfezioni invisibili di Dio 142; tuttavia, poiché filosofarono senza il Mediatore, cioè senza il Cristo uomo, e non hanno creduto ai Profeti che vaticinarono la sua venuta, né agli Apostoli che proclamarono tale venuta, hanno tenuto imprigionata la verità, come sta scritto di loro, nell’ingiustizia 143. Posti in quest’ultimo grado della creazione, non poterono infatti che cercare dei mezzi per giungere a quelle realtà di cui avevano compreso la grandezza; così facendo sono caduti negli inganni dei demoni, che hanno fatto loro scambiare la gloria di Dio incorruttibile con delle immagini rappresentanti l’uomo corruttibile, uccelli, quadrupedi e rettili 144. Infatti sotto tali forme hanno costruito degli idoli e hanno reso loro culto 145. Dunque la nostra scienza è Cristo 146; la nostra sapienza è ancora lo stesso Cristo. È lui che introduce in noi la fede che concerne le cose temporali, lui che ci rivela la verità concernente le cose eterne. Per mezzo di lui andiamo a lui, per mezzo della scienza tendiamo alla sapienza; senza tuttavia allontanarci dal solo e medesimo Cristo in cui sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della scienza 147. Ma ora parliamo della scienza, riservandoci di parlare in seguito della sapienza, per quanto egli ci donerà di farlo. Tuttavia guardiamoci dal prendere queste parole in un’accezione così precisa che ci impedisca di parlare di sapienza a riguardo delle cose umane, e di scienza a riguardo delle cose divine. In senso lato si può parlare di sapienza in ambedue i casi ed in ambo i casi si può parlare di scienza. Tuttavia l’Apostolo non avrebbe scritto mai: ad uno è dato il linguaggio della sapienza, ad un altro il linguaggio della scienza 148, se ciascuna di queste parole non avesse un’accezione propria, accezione di cui trattiamo ora.

Riassunto di questo libro

20. 25. Vediamo ormai quale sia il risultato di questo lungo discorso, ciò che vi abbiamo raccolto, il termine cui è pervenuto. Voler essere beati 149 è un’aspirazione di tutti gli uomini; ma non tutti hanno la fede che, purificando il cuore, conduce alla felicità. Così accade che è per mezzo della fede, che non tutti vogliono, che bisogna tendere alla beatitudine che nessuno può non volere. Che vogliano essere beati 150, tutti lo vedono nel loro cuore, e su questo punto l’aspirazione della natura umana è così unanime, che un uomo, constatando tale aspirazione nella sua anima, può infallibilmente presumere che esista nell’anima degli altri; in breve, sappiamo che tutti vogliono questo. Ma molti disperano di poter essere immortali, benché nessuno possa essere ciò che tutti vogliono, cioè beato, senza l’immortalità; tuttavia vogliono essere anche immortali, se lo possono; ma, non credendo di poterlo essere, non vivono in modo da poterlo essere. Perciò ci è necessaria la fede per conseguire la beatitudine nella pienezza dei beni della natura umana, cioè sia nell’anima sia nel corpo. Questa fede si riassume in Cristo, il quale è risuscitato nella sua carne dai morti per non più morire 151; poiché nessuno, se non per opera di lui, può essere liberato dal potere del diavolo per mezzo della remissione dei peccati; perché nel regno del diavolo la vita è necessariamente in eterno infelice, vita che si deve chiamare meglio morte che vita. Ecco ciò che ci insegna la stessa fede. Di tale fede ho trattato in questo libro, come ho potuto, secondo il tempo che avevo a disposizione, benché ne avessi parlato a lungo nel libro IV di questa opera 152, ma allora da un punto di vista differente da quello presentato in questo libro: nel libro quarto per mostrare perché e come Cristo è stato mandato dal Padre nella pienezza del tempo 153, per rispondere a coloro che affermano che Colui che manda e che Colui che è mandato non possono essere uguali per natura; in questo invece per distinguere la scienza, che appartiene all’ordine dell’azione, dalla sapienza, che appartiene all’ordine della contemplazione 154.

La trinità della virtù della fede

20. 26. Elevandoci come di grado in grado ho voluto cercare nella scienza e nella sapienza, presso l’uomo interiore, una specie di trinità nel loro genere, come l’ho cercata presso l’uomo esteriore; e questo per giungere, dopo aver esercitato il nostro spirito nelle cose inferiori, nella misura delle nostre forze e se questo ci è possibile, a vedere almeno in enigma e per mezzo di uno specchio 155 quella Trinità che è Dio. Colui che ha affidato alla sua memoria le parole in cui si esprime la fede ritenendo solo i nomi senza comprenderne il senso (come sogliono ritenere a memoria le parole greche coloro che ignorano il greco, e lo stesso si dica del latino e di qualsiasi altra lingua che si ignora) non possiede nella sua anima una certa trinità, perché ha nella sua memoria i suoni delle parole, anche quando non vi pensa, perché da essi è informato lo sguardo del ricordo, quando egli vi pensa, e perché la volontà di colui che ricorda e pensa unisce questi due termini? Tuttavia non diremmo certamente che, facendo questo, tale uomo agisce secondo la trinità dell’uomo interiore, ma piuttosto secondo quella dell’uomo esteriore; perché ricorda soltanto e vede, quando vuole e quanto vuole, soltanto ciò che appartiene al senso corporeo, chiamato udito, e quando vi pensa, non si occupa che di immagini di oggetti materiali, cioè dei suoni. Ma, se ritiene e ricorda ciò che quelle parole significano, compie già un qualcosa che appartiene all’uomo interiore, ma non bisogna ancora dire né giudicare che viva secondo la trinità dell’uomo interiore, se non ama gli insegnamenti, i precetti, le promesse che queste parole contengono. Infatti può anche ritenere questo e pensarci per sforzarsi, ritenendolo falso, di confutarlo. Perciò la volontà che unisce le conoscenze ritenute dalla memoria a quelle che a partire da essa sono impresse nello sguardo del pensiero, completa senza dubbio una specie di trinità, essendo in essa come il terzo termine, ma non si vive secondo questa trinità, quando si respingono come false le cose che si pensano. Quando invece si crede che questi insegnamenti sono veri e si ama ciò che vi si deve amare, allora si vive già secondo la trinità dell’uomo interiore, perché ciascuno vive secondo ciò che ama. Ma come si possono amare le cose che non si conoscono, ma che si credono soltanto? Questa questione è già stata trattata nei libri precedenti 156 e si è trovato che nessuno ama ciò che ignora totalmente; e quando si dice che si amano cose sconosciute, le si ama a partire da quelle conosciute. Ed ora chiudiamo questo libro ricordando che il giusto vive di fede 157, questa fede opera per mezzo dell’amore 158, cosicché le virtù stesse con le quali si vive con prudenza, forza, temperanza e giustizia, si rapportano tutte alla fede; altrimenti non potranno essere vere virtù. Tuttavia, in questa vita, non sono talmente perfette da non rendere talvolta necessaria la remissione dei peccati, di qualunque specie essi siano; questa non si ottiene che per mezzo di Colui che con il suo sangue ha vinto il principe del peccato. Tutte le conoscenze che esistono nell’anima dell’uomo credente, promanando da questa fede e da una vita conforme alla fede, quando sono conservate nella memoria sono contemplate nel ricordo, piacciono alla volontà, formano una specie di trinità. Ma l’immagine di Dio, di cui parleremo in seguito, con l’aiuto di lui, non si trova ancora in essa. Ciò si vedrà meglio quando avremo mostrato dove essa si trovi: per trovarla, il lettore attenda al libro seguente.

 


 

1 - Gv 1, 1-14.

2 - Gv 1, 1-5.

3 - Gv 20, 29.

4 - Gv 1, 6-7.

5 - Sal 13, 1; 52, 1.

6 - Gv 20, 27.

7 - Eb 11, 1.

8 - Gv 1, 7.

9 - Gv 1, 8.

10 - Gv 1, 9-11.

11 - Gv 1, 11.

12 - Gv 1, 9-11.

13 - Gal 5, 6.

14 - Gv 1, 12-13.

15 - At 4, 32; Ef 4, 5.

16 - Mt 15, 28.

17 - Mt 14, 31.

18 - Cf. Ef 4, 5.

19 - Cf. Sallustio, Catil. 20, 4.

20 - Cf. Is 7, 9; Gv 20, 29.

21 - Mimo incerto, fragm. 12 (ed. Ribbeck).

22 - Ennio, Ann fragm. 10 (ed Vahlen); cf. Agostino, Ep. 231, 3: NBA, XXIII.

23 - Cicerone, De rep. 4, fragm. 10, 12 (Agostino, De civ. Dei 2, 9); De fin. bon. mal. 5, 22, 61; cf. Agostino, Serm. D.ni in monte 2, 1, 1: NBA, X/2.

24 - Cicerone, Hort., exord., fragm. 36; cf. Tuscul. 5, 10, 28; Agostino, C. Acad. 1, 2, 5: NBA, III/1; De b. vita 2, 10: NBA, III/1; De lib. arb. 2, 9, 27: NBA, III/2.

25 - Cf. Seneca, Vit. beat. 1, 1; Epicuro, Ep. ad Menoec., in Diogene Laerzio, Vir. ill. 10.

26 - Cf. Cicerone, De fin. bon. mal., passim ; Zenone, Epicuro.

27 - Seneca, Vit. beat. 1, 1.

28 - Cf. Cicerone, De fin. bon. mal., passim.

29 - Cicerone, Hort., exord., fragm. 36 (ed. Müller, p. 316).

30 - Epicuro, Ep. ad Menoec., in Diogene Laerzio, Vir. ill. 10.

31 - Seneca, Vit. beat. 1, 1.

32 - Cicerone, Hort., fragm. 39 (ed. Müller, p. 317).

33 - Ibid.

34 - Sal 10, 3.

35 - Agostino, C. Acad. 3, 12, 27: NBA, III/1; Serm. D.ni in monte 1, 3: NBA, X/2; Retract. 1, 1, 9: NBA, II.

36 - Cf. Cicerone, Hort., fragm. 39 (ed. Müller, p. 317).

37 - Cf. Terenzio, Andr. 2, 1, 5.

38 - Terenzio, Andr. 2, 1, 5-6.

39 - Epicuro, Ep. ad Menoec. (in Diogene Laerzio, Vir. ill. 10).

40 - Ibid.

41 - Gv 1, 12.

42 - Cf. Cicerone, De orat. 1, 1, 22.

43 - Cf. Platone, Phaedr. 249a; Phaido 81e; Tim. 42c; Plotino, Enn. 3, 4, 2; 4, 3, 2.

44 - Cf. Agostino, De civ. Dei 12, 20: NBA, V/2.

45 - Cf. Cicerone, De fin. bon. mal. 5, 12, 34; Sallustio, Iug. 2, 1; Lattanzio, Instit. 7, 5, 16.

46 - Gv 1, 12.

47 - Gv 1, 13.

48 - Gv 1, 14.

49 - Cf. Dn 7, 13; 2 Cor 1, 19.

50 - 1 Tm 2, 5.

51 - Gal 5, 6.

52 - Rm 5, 5.

53 - Gv 7, 39; 14, 26; 16, 7; 20, 22.

54 - Ef 4, 8; Sal 67, 19.

55 - Cf. Agostino, C. Acad. 3, 12, 27: NBA, III/1; Serm. D.ni in monte 1, 3, 10: NBA, X/2; Retract. 1, 1, 9: NBA, II.

56 - Rm 5, 8-9.

57 - Rm 5, 10.

58 - Rm 5, 6.

59 - Rm 5, 9.

60 - Rm 5, 10.

61 - Rm 8, 31-32.

62 - Cf. Rm 5, 6-10.

63 - Cf. 1 Gv 4, 10; Rm 8, 32.

64 - Cf. 1 Pt 1, 20.

65 - Ef 1, 4.

66 - Gal 2, 20.

67 - Rm 5, 9-10.

68 - Gn 3, 14.

69 - Gn 3, 19.

70 - Gn 6, 3.

71 - Gn 3, 14.

72 - Ef 2, 1-3.

73 - Sal 76, 10.

74 - 1 Tm 6, 13.

75 - Sal 93, 13.

76 - Sal 93, 12-15.

77 - Lc 2, 14.

78 - Rm 5, 9.

79 - Col 1, 14; Mt 26, 28.

80 - Sal 87, 6.

81 - Sal 68, 5.

82 - Gv 14, 30.

83 - Gv 14, 31.

84 - Fil 2, 8.

85 - 2 Cor 5, 21; 1 Pt 2, 22.

86 - Rm 6, 9.

87 - Rm 5, 9.

88 - Cf. Mt 8, 17; 1 Pt 2, 24.

89 - 1 Cor 1, 25.

90 - 2 Cor 5, 21; 1 Pt 2, 22.

91 - Mt 26, 28; Col 1, 14.

92 - Rm 9, 22-23; Mt 12, 29; Mc 3, 27.

93 - Cf. At 26, 13-15.

94 - At 26, 16-18.

95 - Col 1, 13-14.

96 - Ap 21, 8.

97 - 1 Pt 1, 20.

98 - Ef 1, 5.

99 - Ef 1, 4.

100 - Cf. Agostino, De spir. et litt. 24, 40: NBA, XVII/1.

101 - Cf. Rm 5, 12.

102 - 1 Cor 10, 13.

103 - Rm 8, 28-30.

104 - Rm 8, 31-32.

105 - Cf. Ml 3, 6.

106 - Rm 5, 8-9.

107 - 2 Cor 5, 21; 1 Pt 2, 22.

108 - Rm 5, 9.

109 - Ap 16, 7; 19, 2.

110 - Sap 12, 18.

111 - Cf. Eccli 44, 17; Rm 5, 9-10.

112 - Cf. Rm 5, 10.

113 - Rm 8, 32.

114 - Rm 5, 8-10.

115 - Rm 5, 11.

116 - Rm 5, 12.

117 - Cf. 1 Cor 15, 45.

118 - Cf. 1 Tm 2, 5.

119 - Gv 1, 14.

120 - Cf. Fil 2, 8.

121 - Cf. 1 Tm 2, 5.

122 - Fil 2, 8.

123 - 1 Tm 2, 5.

124 - Rm 5, 12.

125 - Cf. Lc 1, 26-38.

126 - 2 Cor 10, 17.

127 - Gv 1, 14.

128 - Ibid.

129 - Cf. 1 Cor 12, 8; Col 2, 3.

130 - Cf. Agostino, Confess. 1, 3, 3: NBA, I; De lib. arb. 2, 14, 37: NBA, III/2; De mor. Eccl. cath. 1, 11, 19: NBA, XIII/1; In Io. Ev. tract. 1, 8, 30; 36, 6, 16: NBA, XXIV/1-2; C. ep. fund. 15, 20; Ambrogio, De fide 1, 16, 106; Girolamo, Ephes. 1, 2, 13-14; ecc.

131 - 1 Cor 12, 8.

132 - Gv 1, 14; Col 2, 2-3.

133 - Col 2, 1-3.

134 - 1 Cor 12, 7-8.

135 - Gv 1, 14.

136 - 2 Cor 1, 19.

137 - Dn 7, 13; Mt 9, 6; Mc 2, 10; Lc 5, 24; Gv 5, 27.

138 - Gv 1, 14.

139 - Cf. 1 Cor 12, 8; Col 2, 3.

140 - Cf. Platone, Tim. 29c.

141 - Gv 1, 14.

142 - Rm 1, 20.

143 - Rm 1, 18.

144 - Rm 1, 23.

145 - Cf. Rm 1, 25.

146 - Cf. 1 Cor 12, 8; Col 2, 3.

147 - Col 2, 3.

148 - 1 Cor 12, 8.

149 - Epicuro, Ep. ad Menoec. (in Diogene Laerzio, Vir. ill. 10); Cicerone, Hort., exord., fragm. 36.

150 - Ibid.

151 - Rm 6, 9.

152 - Cf. supra, 4, 19ss.

153 - Cf. Gal 4, 4.

154 - Cf. 1 Cor 12, 8; Col 2, 3.

155 - 1 Cor 13, 12.

156 - Cf. supra, 8, 4, 6 - 8, 12; 9, 3, 3; 10, 1, 1; 13, 4, 7 - 5, 8.

157 - Ab 2, 4; Rm 1, 17; Gal 3, 11; Eb 10, 38.

158 - Gal 5, 6.


Vita di San Pietro

San Giovanni Bosco - San Giovanni Bosco

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[Introduzione]

 

            Più volte ho tra me pensato al modo di calmare l'odio e l'avversione che in questi tristi tempi taluno manifesta contro ai Papi e contro alla loro autorità. Mezzo molto efficace mi sembrò la conoscenza dei fatti che riguardano la vita di quei supremi pastori stabiliti a fare le veci di G. C. sopra la terra e a guidare le nostre anime per la via del Cielo. - Io penso, diceva tra me, non trovarsi tanta malignità {3 [295]} nell'uomo ragionevole da essere avverso a coloro che hanno fatto ai popoli tanto bene spirituale e temporale; che hanno tenuto una vita santa e la più laboriosa; che furono sempre venerati da tutti i buoni e in tutti i tempi e che spesso per promuovere la gloria di Dio e il vantaggio del prossimo difesero la religione e la propria autorità col loro sangue.

            Egli è con questo pensiero, o cattolico lettore, che ho divisato d'intraprendere il racconto delle azioni dei Sommi Pontefici che da G. C. governarono la Chiesa fino ai nostri giorni. Cominciando pertanto da S. Pietro stabilito primo Papa da G. C. medesimo scenderemo senza più a' suoi successori, {4 [296]} limitandoci a fare quelle necessarie osservazioni di cui il racconto ci porgerà l'occasione.

            S. Pietro è quell’apostolo che il Salvatore medesimo chiamò beato, e che ha ricevuto le chiavi del regno de' Cieli con autorità di sciogliere e legare in guisa che, di regola ordinaria, le sue sentenze avrebbero dovuto precedere quelle di Dio; quell'apostolo, cui Gesù comandò di confermare e mantenere nella fede i suoi fratelli ordinandogli di dare alle sue pecore, che sono i pastori della Chiesa, ed a' suoi agnelli, che sono tutti i fedeli, quel pascolo che sarebbe stato necessario pel loro bene spirituale ed eterno; egli è insomma quell'apostolo cui G. C. deputò a governare la {5 [297]} chiesa, e che la governò di fatti dopo la gloriosa ascensione del Salvatore al Cielo.

            Ma l'autorità di Pietro, secondo le parole del Salvatore, doveva mantenersi visibile fra gli uomini sino alla consumazione de' secoli, e poichè S. Pietro era uomo, e come tale doveva pure cessare di vivere, quindi per legittima conseguenza dovevasi trasmettere a' suoi successori (i Sommi Pontefici) quella stessa autorità che egli aveva da Cristo ricevuta. E di questi pure faremo seguire la vita a quella del primo Pontefice S. Pietro.

            Siccome un figlio deve essere naturalmente portato ad ascoltare con piacere le gloriose azioni di suo padre; così noi, come figliuoli spirituali di {6 [298]} S. Pietro e de' suoi successori, dobbiamo godere assai nell'animo nostro nel leggere le azioni gloriose di quei sommi uomini, che da diciotto secoli governano la Chiesa di G. C.

            Debbo però premettere che io scrivo pel popolo, epperciò allontanando ogni ricercatezza di stile, ogni dubbia od inutile discussione, mi studierò di ridurre lo stile e la materia a tutta quella semplicità che comporta l'esattezza della storia congiunta colla teologia e colle regole di nostra italiana favella. In quanto poi ai fonti da cui ricavo le notizie, posso assicurare il lettore che non scriverò parola, non esporrò un fatto senza confrontarlo, se è possibile, cogli autori contemporanei, o almeno più vicini ai tempi {7 [299]} cui si riferiscono gli avvenimenti. E per non tessere qui un catalogo degli autori dei quali rn'occorre di servirmi, procarerò di accennare i principali di mano in mano che la materia me ne porgerà l'occasione.

            Ho poi procurato di ridurre i fascicoli in modo che ciascheduno contenga argomenti compiuti e da potersi ad altri donare senza interruzione di materia. Per quelli poi che desiderassero di serbare la serie separata dagli altri delle letture cattoliche, si noterà con una lettera dell'alfabeto l'ordine progressivo di ciascun fascicolo che tratti delle azioni dei papi e delle cose ai loro tempi avvenute.

            Mentre poi dal canto mio prometto di non risparmiare nè fatica nè sollecitudine {8 [300]} perchè riesca esatto quanto sono per iscrivere, non posso a meno di rivolgermi ai ministri dell'altare, ed a quelli tutti che esercitano qualche influenza ne' popoli cristiani affinchè vengano in mio aiuto per diffondere questi libretti in que' luoghi e tra quelle famiglie presso le quali ne scorgeranno uno special bisogno.

            I tempi corrono assai calamitosi per la nostra santa religione: i nemici del cattolicismo spendono ingenti somme di danaro, intraprendono lunghi viaggi, sopportano gravi fatiche per diffondere libri immorali e contrarli alla religione; e noi per salvare le anime non ci daremo almeno quelle sollecitudini che con tanto ardore altri si danno per condurle alla perdizione? {9 [301]}

            Iddio misericodioso infonda nel cuore di tutti vivo desiderio della salute delle anime, e ci aiuti a mantenerci costanti nella fede di Pietro, che è quella di Gesù Cristo, e così a camminare per quella strada sicura, che ci conduce al Cielo. Così sia. {10 [302]}

 

            VITA DI S. PIETRO APOSTOLO[1]

 

 

Capo I. Patria e professione di S. Pietro. Suo fratello Andrea lo conduce da G. C. Anno 29 di G. C.

 

            Era S. Pietro di nascita giudeo, e figlio di un povero pescatore di nome Giona ossia Gioanni, il quale abitava in una città della Galilea detta Betzaida, situata sulla {11 [303]} sponda occidentale del mare di Genezaret, comunemente detto mare di Galilea o di Tiberiade, che in realtà non è altro che un vasto lago di dodici miglia di lunghezza e sei di larghezza.

            Prima che il Salvatore gli cangiasse il nome, Pietro si chiamava Simone. Egli esercitava il mestiere di suo padre; aveva un temperamento robusto, ingegno vivace e spiritoso, pronto nel rispondere e d'un cuore buono e tutto pieno di riconoscenza verso chi lo beneficava. Questa indole vivace lo portava spesso ai più caldi trasporti di affetto verso il Salvatore, da cui pure ebbe a ricevere non dubbi segni di predilezione. In quel tempo non essendo ancora molto conosciuto il pregio della verginità, Pietro prese moglie nella città di Cafarnao, capitale della Galilea, posta sulla riva occidentale del Giordano, che è quel gran fiume, il quale divide la Palestina per metà da settentrione a mezzodì.

            Siccome Tiberiade era situata ove il Giordano sbocca nel mare di Galilea, perciò molto adattata alla pesca, così San Pietro colà stabilì la sua ordinaria dimora e continuò ad esercitare il mestiere di pescatore. La bontà del suo cuore molto {12 [304]} disposto per la verità, l'impiego innocente di pescatore, l'assiduità al lavoro contribuirono assai a far sì ch'ei si conservasse nel santo timor di Dio. Era in quel tempo invalso il pensiero nella mente di tutti, che fosse imminente la venuta del Messia; anzi taluno andava dicendo che era già nato fra gli Ebrei. La qual cosa era cagione, che S. Pietro usasse la massima diligenza per venirne in cognizione. San Pietro aveva un fratello maggiore, di nome Andrea, il quale rapito dalle maraviglie che si raccontavano intorno a S. Giovanni Battista, precursore del Salvatore, volle farsi di lui discepolo.

            La notizia che si andava ognidì vie più confermando, che già fosse nato il Messia, faceva che molti ricorressero a S. Giovanni credendo che egli stesso fosse il Redentore. S. Andrea fratello di Simone era dei più fervorosi discepoli di lui. Nè andò molto che istruito da Giovanni, egli venne in conoscenza di G. C., e la prima volta che lo udì a parlare, ne fu talmente rapito, che corse tosto a darne nuova a suo fratello.

            Appena lo vide: Simone, gli disse, ho trovato il Messia: vieni meco a vederlo. Simone {13 [305]} che già da altri aveva udito a raccontare qualche cosa, ma vagamente, partì tosto con suo fratello e andò colà ove Andrea aveva lasciato G. C. Pietro come ebbe dato uno sguardo al Salvatore, ne fu come innamorato, e il Salvatore che aveva concepito alti disegni sopra questo povero pescatore, con aria di bontà volse a lui uno sguardo e prima che egli parlasse, mostragli essere pienamente informato del suo nome, della sua nascita, della sua patria, dicendo: tu sei Simone, figliuo!o di Giovanni; ma in appresso ti chiamerai Cefa, che vuol dire pietra, dalla quale appellazione derivò il nome di Pietro. Gesù partecipa a Simone che sarebbe chiamato Pietro, perciocchè egli doveva essere quella gran pietra, sopra cui G. C. avrebbe fondata la sua Chiesa. S. Ang. In Joan. tract. 7.

            Pietro conobbe tosto essere di gran lunga inferiori, a quanto aveva egli stesso sperimentato, le cose, che gli aveva raccontate suo fratello, e fin daquel momento gli divenne affezionatissimo, nè sapeva più allontanarsi da lui. Il Divin Maestro però permise a questo suo novello discepolo di far ritorno al primitivo mestiere; perchè voleva poco per volta guidarlo alla rivelazione dei divini {14 [306]} misteri e disporlo per gradi al totale abbandono delle cose terrene.

 

Capo II. Pietro conduce in nave il Salvatore - Pesca miracolosa. - Accoglie Gesù in sua casa - miracoli ivi operati. Anno di G. C. 30.

 

            Esercitava adunque Pietro la primitiva sua professione e di quando in quando andava ad ascoltare il divin Salvatore.

            Un giorno camminando Gesù sulle spiagge del mare di Tiberiade, vide i due fratelli Pietro ed Andrea in atto di gettare le loro reti nell'acqua. Chiamatili a sè loro disse: venite meco e di pescatori di pesci, come voi siete, vi farò diventare pescatori d'uomini. Eglino prontamente ubbidirono ai cenni del Redentore, ed abbandonando le loro reti divennero fedeli e costanti seguaci di lui. In poca distanza eravi un'altra barca di pescatori in cui eravi certo Zebedeo con due figliuoli Giacomo e Gioanni i quali racconciavano le loro reti. Gesù chiamò a sè anche questi due fratelli. Pietro, {15 [307]} Giacomo e Giovanni sono i tre discepoli che ebbero segni di particolare benevolenza dal Salvatore, i quali pure dal loro canto gli si mostrarono in ogni incontro fidi e leali amici.

            Intanto il popolo, avendo inteso che il Salvatore era venuto colà, si affollava intorno a lui per ascoltare la sua divina parola. Egli volendo appagare i desiderii di quella moltitudine e nel tempo stesso dar comodità a tutti di poterlo ascoltare non si mise a predicare dal lido, ma salì in una delle due navi, che erano vicine alla riva; e per dare a Pietro un novello attestato della stima che aveva per la sua persona scelse la barca di lui e non quella di Zebedeo. Salitovi dentro, e fatto ivi pure salir Pietro, comandò che la nave fosse alquanto allontanata dalla sponda, e postosi sedere con tutta placidezza si mise ad istruire quella divota adunanza. Dopo la predica ordinò a Pietro di condurre la nave in alto mare, di gettare la rete e pescare.

            Pietro aveva passata tutta la notte precedente a pescare in quel medesimo luogo, e non aveva preso niente, e quasi pieno di stupore voltosi a Gesù: maestro, gli {16 [308]} disse, noi ci siamo affaticati tutta la notte pescando e non abbiamo preso neppure un pesce; contuttociò sulla vostra parola getterò in mare la rete. Così egli fece, e contro ad ogni aspettazione la pesca fu tanto copiosa e la rete così piena di grossi pesci che tentando di trarla fuori dalle acque stava per lacerarsi. Tanto è vero che coloro i quali confidano in Dio non sono mai confusi. Pietro non potendo da solo reggere al grave peso della rete chiese soccorso a Giacomo e Giovanni, che stavano nell'altra nave, e questi vennero di buon grado ad aiutarlo. D'accordo adunque e con fatica tirano fuori la rete, versano i pesci nelle navi, che rimangono ambedue così piene che minacciano di affondarsi.

            Pietro che cominciava a ravvisare qualche cosa di sovrumano nella persona del Salvatore conobbe tosto essere questo un prodigio, e pieno di stupore, riputandosi indegno di stare con lui nella medesima barca, umiliato e confuso gettossi a' suoi piedi dicendo: Signore, io sono un miserabile peccatore; perciò vi prego di allontanarvi da me. Quasi che dir volesse: Oh Signore, io non son degno di stare {17 [309]} alla vostra presenza, ammirando, dice S. Ambrogio, i doni di Dio, sicchè tanto più meritava quanto meno di sè presumeva. Ambr. in Luc. lib. 4.

            Gesù gradì la semplicità di Pietro e l'umiltà de' suoi sentimenti, e volendo che egli aprisse il cuore a più grandi speranze, per confortarlo gli disse: deponi ogni timore, da qui innanzi non sarai più pescatore di pesci, ma sarai pescatore di uomini. A questo parlare Pietro riprese animo e quasi cambiato in un altro uomo condusse la nave al lido, abbandonò ogni cosa, e si pose perfettamente alla sequela del Redentore. Siccome G. C. partì e dirizzò il suo cammino verso la città di Cafarnao, Pietro andò con lui. Colà entrarono ambidue nella sinagoga e Pietro ascoltò la predica che quivi fece il Signore, e fu testimonio della guarigione di un indemoniato da lui miracolosamente operata. Dalla sinagoga Gesù andò alla casa di Pietro, che aveva la suocera travagliata da gagliardissima febbre. D'accordo con Andrea, Giacomo e Giovanni si misero tutti a pregare Gesù che si compiacesse di liberare quella donna dal male, che la opprimeva. Math. cap. 8, Marci 1. {18 [310]}

            Gesù esaudì le preghiere di Pietro e de' suoi compagni. Si avvicinò al letto dell'ammalata, la prese per mano affine di sollevarla e in quell’istante la febbre disparve. La donna si trovò totalmente guarita, sicchè potè alzarsi subito e preparare il desinare a Gesù e a tutta la sua comitiva.

            La fama di siffatti miracoli fu causa, che fossero condotti alla casa di Pietro molti infermi insieme con innumerabile popolo, in guisa che tutta la città sembrava colà radunata. Gesù restituì la sanità a quanti erano a lui portati; e tutti pieni di contentezza partivano dalla casa di Pietro lodando e benedicendo il Signore.

            I santi Padri nella nave di Pietro ravvisano la chiesa di cui è capo G. C. in luogo del quale Pietro doveva essere il primo a farne le veci, e dopo lui tutti i Papi suoi successori. Le parole dette a Pietro: conduci la nave in alto mare e le altre dette a lui e a tutta la comitiva: spiegate le vostre reti per prendere pesci contengono pure un nobile significato. A tutti gli Apostoli, dice S. Ambrogio, comanda di gettare nelle onde le reti; perciocchè tutti {19 [311]} gli apostoli e tutti i pastori sono tenuti a predicare la divina parola, e a custodire nella nave ovvero nella Chiesa quelle anime che avrebbero guadagnato colla loro predicazione. Al solo Pietro poi si ordina di condurre la nave in alto mare, perchè egli solo a preferenza di tutti vien fatto partecipe della profondità dei divini misteri, solo riceve da Cristo l'autorità di sciogliere le difficoltà, che possono insorgere in cose di fede. Onde è che nella venuta degli altri pescatori alla nave di lui viene riconosciuto il concorso degli altri pastori, i quali unendosi a Pietro lo aiutano a propagare e conservare la fede nel mondo, e guadagnare anime a Cristo. S. Amb. luogo citato.

 

Capo III. S. Pietro capo degli Apostoli è inviato a predicare: cammina sopra le onde: bella risposta data al Salvatore. Anno 31 di G. C.

 

            Partito Gesù dalla casa di Pietro si ritirò nella solitudine sopra di un monte per fare orazione. Pietro e gli altri discepoli, {20 [312]} che a quel punto erano cresciuti in buon numero, gli tennero dietro; ma giunti vicino al luogo stabilito, Gesù loro comandò di fermarsi, e tutto solo si ritirò in luogo separato. Fattosi giorno ritornò ai discepoli. In quella congiuntura Gesù scelse dodici discepoli, cui diede il nome di apostoli, che vuol dire inviati, poichè gli apostoli erano realmente inviati a predicare il Vangelo per allora ne' soli paesi della Giudea; di poi in tutto il mondo. Fra questi dodici destinò S. Pietro a tenere il primo luogo e a fare da capo affinchè, come dice S. Girolamo, stabilito fra di loro un superiore, si togliesse ogni occasione di discordia o di scisma.

            I novelli predicatori andavano a predicare il Vangelo con tutto zelo annunziando ovunque la venuta del Messia, e confermando le loro parole con luminosi miracoli. Di poi ritornavano al loro divino maestro come per render conto di quanto avevano fatto. Egli li accoglieva con bontà e soleva portarsi egli medesimo in quel luogo, ove gli apostoli avevano predicato. Avvenne un giorno che le turbe trasportate da ammirazione e da entusiasmo volevano farlo re, ed egli comandando {21 [313]} agli apostoli di far tragitto all'opposta sponda del lago, si allontanò da quella buona gente, e andò a nascondersi nel deserto. Gli Apostoli secondo gli ordini del Maestro salirono in barca per passare il lago. Già si avanzava la notte, ed erano ormai giunti al lido, quando levossi una burrasca così terribile, che la nave agitata dalle onde e dal vento era in procinto di affondarsi.

            In mezzo a quella tempesta non s'immaginavano certamente di poter vedere G. C., che avevano lasciato all'altra sponda del lago. Ma quale non fu la loro sorpresa quando lo videro a poca distanza a camminare sopra le acque con passo franco e veloce, e avanzarsi verso di loro! Al primo vederlo tutti si spaventarono, temendo che fosse un qualche spettro o fantasma, e si misero a gridare. Gesù allora fece udire la sua voce, e gl'incoraggì dicendo: son io, abbiate fede, non temete.

            A tali parole niuno degli Apostoli ardì parlare; solo Pietro, e per l'impeto del suo amore verso Gesù, e per accertarsi che non era un'illusione, Signore, disse, se siete veramente voi, comandate che {22 [314]} io venga a voi camminando sopra le acque. Il Divin Salvatore disse di sì; e Pietro pieno di fiducia saltò fuori della nave, e gettossi franco a camminare sopra le onde, come si farebbe sopra di un selciato. Ma Gesù, che voleva provare la fede di lui per renderla più perfetta, permise di nuovo che si sollevasse un vento impetuoso, il quale agitando le onde minacciavano di far sommergere Pietro. Vedendo esso i suoi piedi andar giù nelle onde, ne fu spaventato e si mise a gridare: Maestro, Maestro, aiutatemi, altrimenti io son perduto. Allora lo rimproverò della debolezza di sua fede con queste parole: uomo di poca fede, perchè hai tu dubitato? Così dicendo camminarono ambidue insieme sopra le onde finchè, entrando in barca, cessò il vento e si calmò la tempesta. In questo fatto i Ss. Padri ravvisano i pericoli in cui talvolta trovasi il capo della Chiesa, e il pronto soccorso che gli porta G. C. suo capo invisibile, che permette bensì le persecuzioni, ma la vittoria è sempre della sua Chiesa.

            Qualche tempo dopo il Divin Salvatore ritornò nella città di Cafarnao cogli Apostoli, seguito da una gran turba. Mentre {23 [315]} si tratteneva in questa città molti gli si affollavano d'intorno, pregandolo di voler loro insegnare quali fossero le opere assolutamente necessarie per salvarsi. Gesù si pose ad istruirli intorno alla sua celeste dottrina, al mistero della sua Incarnazione, al Sacramento dell'Eucaristia. Ma siccome quegli insegnamenti tendevano a sradicare la superbia dal cuore degli uomini, ed ingenerarvi l'umiltà coll'obbligargli a credere altissimi misteri, e specialmente il mistero de' misteri, l'Eucaristia, così i suoi uditori reputando i suoi discorsi troppo rigidi e severi, rimasero offesi, e la maggior parte lo abbandonarono.

            Gesù vedendosi abbandonato quasi da tutti si rivolse agli Apostoli, e disse: Vedete come molti se ne vanno? Volete forse andarvene anche voi? A questa improvvisa interrogazione ognuno si tacque: solamente Pietro come capo e a nome di tutti rispose: Signore, a chi mai noi andremo? voi avele parole di vita eterna, noi abbiamo creduto e conosciuto che voi siete Cristo figliuolo di Dio. S. Cirillo riflette che questa interrogazione fu fatta da G. C. agli Apostoli affine di stimolarli {24 [316]} a confessare la vera fede, come di fatti avvenne per la bocca di Pietro. Qual differenza fra la risposta del nostro Apostolo e le mormorazioni di certi cristiani, che trovano dura e severa la santa legge del Vangelo solo perchè non si accomoda colle loro passioni? Ciril. in Joan. lib. IV.

 

Capo IV. Pietro confessa la seconda volta G. C. per figliuolo di Dio; è costituito capo della Chiesa e gli sono promesse le chiavi del regno de' cieli. Anno 32 di G. C.

 

            In parecchie occasioni il Divin Salvatore aveva fatto conoscere che aveva disegni particolari sopra la persona di san Pietro; ma non si era ancora spiegato così chiaramente, come noi siamo per vedere nel fatto seguente, che si può dire il più memorabile della vita di S. Pietro. Dalla città di Cafarnao Gesù era andato nei contorni di Cesarea di Filippo, città non molto distante dal fiume Giordano della di poi Panea. Colà avvenne un giorno che Gesù dopo aver fatta orazione si volse {25 [317]} improvvisamente a' suoi discepoli, che erano ritornati dalla predicazione e facendo cenno di avvicinatigli prese ad interrogarli così: chi dicono gli uomini che io sia? Avvi chi dice, rispondeva uno degli Apostoli, che voi siete il profeta Elia. A me hanno detto, soggiungeva un altro, che voi siete il profeta Geremia, o Giovanni Battista, o qualcuno degli antichi profeti risuscitati. Pietro non proferì parola.

            Ripigliò Gesù: ma voi chi dite che io sono? Pietro allora si avanzò e a nome degli altri apostoli rispose: Voi siete il Cristo figliuolo di Dio vivo. Allora Gesù: Te Beato, o Simone, figlio di Gioanni, cui non gli uomini rivelarono tali parole, ma il mio Padre Celeste. D'ora in poi non ti chiamerai più Simone, ma Pietro e sopra questa Pietra edificherò la mia Chiesa, e le porte dell'inferno non la potranno vincere. Darò a te le chiavi del regno dei cieli, ciò che tu legherai in terra, sarà legato in cielo, e ciò che tu avrai sciolto sopra la terra, sarà sciolto anche in cielo. Math. cap. 16.

            Questo fatto e queste parole meritano di essere alquanto spiegate affinchè siano {26 [318]} ben comprese. Pietro tacque finchè Gesù dimostrava soltanto di voler sapere quanto dicevano gli uomini intorno alla sua venuta; quando poi interrogò gli Apostoli ad esternare il proprio loro sentimento, subito egli a nome di tutti parlò perchè egli già godeva una primazia ovvero superiorità sopra gli altri suoi compagni.

            Pietro divinamente inspirato dice: Voi siete Cristo ed era lo stesso che dire: voi siete il Messia promesso da Dio, venuto a salvare gli uomini: siete figlio di Dio vivo, per significare che G. C. non era figliuolo di Dio, come erano le divinità degli idolatri fatte dalle mani o dal capriccio degli uomini, ma figlio di Dio vivo e vero, cioè figlio del Padre eterno, epperciò con Lui Creatore e supremo Padrone di tutte le cose, con che veniva a confessarlo per la seconda persona della SS. Trinità. Gesù quasi per compensarlo della sua fede lo chiamò Beato, e intanto gli cangiò il nome di Simone in quello di Pietro; chiaro segno, che lo voleva innalzare a grande dignità. Così aveva fatto Iddio con Abramo, quando lo stabilì Padre di tutti i credenti, così con Sara quando le promise la prodigiosa nascita di un figlio; così con {27 [319]} Giacobbe quando lo chiamò Israele e lo assicurò che dalla sua discendenza sarebbe nato il Messia.

            Gesù disse: sopra questa Pietra fonderà la mia chiesa: le quali parole vogliono dire: tu, o Pietro, sarai nella mia Chiesa quello che in una casa è il fondamento. Il fondamento è la parte principale della casa affatto indispensabile. Tu, o Pietro, sarai un'autorità nella mia Chiesa affatto necessaria. Sul fondamento si fabbrica tutta la casa, affinchè su di esso sostetenendosi duri ferma ed immobile. Sopra di le, che io chiamo Pietro, come sopra di una pietra fermissima, per mia virtù eterna, io innalzo l'eterno edifizio della mia Chiesa la quale sopra di te appoggiata starà forte ed invitta contro a tutti gli assalti de' suoi nemici. Non vi è casa senza fondamento, non vi è Chiesa senza di Pietro. Una casa senza fondamento, non è opera di un sapiente architetto. Una Chiesa separata da Pietro non potrà mai essere la mia Chiesa. Nella casa le parti che non poggiano sul fondamento cadono e vanno in rovina. Nella mia Chiesa chiunque si separa da Pietro precipita nell'errore e si perde. {28 [320]}

            Le porte dell’inferno non mai vinceranno la mia chiesa: le porte dell'inferno, siccome spiegano i Ss. Padri, significano le eresie, gli eresiarchi, le persecuzioni, i pubblici scandali e generalmente tutti i peccati e i disordini che il demonio cerca di far nascere nella Chiesa: le quali cose potranno bensì muovere aspra guerra alla Chiesa, e turbarne lo spirito pacifico, ma non la potranno mai vincere.

            Finalmente dice Cristo: e ti darò le chiavi del regno de' cieli. Le chiavi sono il simbolo della podestà. Quando si presentano le chiavi di una città ad un re si vuole significare, che quella città lo riconosce per suo signore. Così le chiavi del regno de' cieli, cioè della Chiesa, date a Pietro, dimostrano che esso è fatto principe e governatore supremo della Chiesa. Laonde G. C. soggiunge a Pietro: e tutto quello che legherai sulla terra, sarà altresì legato ne' cieli, e tutto quello, che scioglierai in terra, sarà pure sciolto in cielo. Le quali parole indicano manifestamente, l’autorità suprema data a Pietro, autorità di obbligare la coscienza degli uomini con decreti e leggi in ordine al loro bene spirituale ed eterno, e l'autorità di scioglierli {29 [321]} dai peccati e dalle pene che impediscono lo stesso bene spirituale ed eterno.

            Nel fatto, che qui abbiamo esposto, il divin Salvatore promette di voler costituire S. Pietro capo supremo della sua Chiesa, e gli spiega la grandezza di sua autorità: noi vedremo il compimento di questa promessa dopo la sua risurrezione.

 

Capo V. S. Pietro dissuade il suo divin Maestro dalla passione. Va con Lui sul monte Tabor. Anno di Gesù C. 32.

 

            Il divin Redentore dopo aver fatto conoscere a' suoi discepoli come egli edificava la sua Chiesa sopra basi stabili, incrollabili ed eterne, volle dar loro un ammaestramento affinchè ben comprendessero che egli non fondava questo suo regno, ovvero la sua Chiesa, con ricchezze o magnificenza mondana, bensì coll'umiltà, col disprezzo di se stesso e coi patimenti. Con questo proposito adunque manifestò a S. Pietro ed a tutti i suoi discepoli la lunga serie de' suoi patimenti e la morte obbrobriosa, che da parte degli {30 [322]} Ebrei doveva soffrire in Gerusalemme. Pietro, che amava teneramente il suo maestro, inorridì all'udire i mali cui era per essere esposta la sacra di Lui persona, e, trasportato dall'amore che un tenero figlio ha per suo padre, lo trasse in disparte, e prese a persuaderlo, che si recasse lontano da Gerusalemme, per evitare quei mali e conchiuse: lungi da voi, Signore, cotesti mali. Gesù lo riprese del suo affetto troppo sensibile dicendogli: ritirati da me, o avversario, questo tuo parlare mi dà scandalo: tu non sai ancora gustare le cose di Dio, ma soltanto le cose umane. Ecco, dice S. Agostino, quel medesimo Pietro che dinanzi lo aveva confessato per figliuolo di Dio, qua teme che egli muoia come figliuolo dell'uomo.

            Nell'atto che il Redentore manifestò i mali trattamenti che doveva soffrire per parte de' Giudei, promise, che alcuni di loro prima di morire avrebbero gustato un saggio della sua gloria, e ciò per confermarli nella fede, e acciocchè non si lasciassero avvilire quando lo vedessero esposto ai patimenti della passione. Alcuni giorni dopo Gesù scelse tre apostoli Pietro, {31 [323]} Giacomo, Gioanni, e seco li condusse sopra di un monte detto comunemente il Taborre. In presenza di questi tre discepoli si trasfigurò, cioè lasciò trasparire un raggio della sua divinità intorno alla sacrosanta sua persona. Nell'atto stesso una luce sfolgoreggiante lo circondò e il suo volto divenne simile al chiarore del sole, e le sue vesti bianche come neve. Pietro allorchè giunse sul monte; forse stanco dal viaggio, si era posto a dormire cogli altri due; ma tutti in quel momento destandosi videro la gloria del loro divino Maestro. A questo spettacolo comparvero eziandio presenti Mosè ed Elia. Al vedere risplendente il Salvatore, alla comparsa di quei due personaggi, e di quell'insolito splendore, Pietro sbalordito voleva parlare e non sapeva che dire; e quasi fuori di sè, riputando per nulla ogni umana grandezza in confronto di quel raggio di paradiso, si sentì ardere di desiderio di rimanere sempre colà insieme col suo maestro. Quindi rivolto a Gesù disse: O Signore, quanto mai è cosa buona il dimorare in questo luogo: se così vi piace, facciamo qui tre padiglioni, uno per voi, uno per Mosè, e l'altro per Elia. {32 [324]}

            Pietro, come ci attesta il Vangelo, era fuori di sè e parlava senza sapere quai cosa dicesse. Era un trasporto d'amore pel suo Maestro e un vivo desiderio della felicità.

            Pietro seguitava tuttora a parlare quando soppraggiunse una nuvola maravigliosa che avvolse tutti gli apostoli. In quello stesso momento dal mezzo di quella nuvola fu udita una voce che diceva: questi è il mio figliuolo diletto, in cui ho riposto le mie compiacenze, ascoltatelo. Allora i tre apostoli vie più atterriti caddero a terra comme morti; ma il Redentore avvicinandosi li toccò colla mano e facendo loro coraggio li rialzò in piedi. Rialzatisi non videro più nè Mosè nè Elia; eravi il solo Gesù nel suo stato naturale. Gesù comandò loro di non manifestare ad alcuno quella visione se non dopo la sua morte e risurrezione.

            Dopo tal fatto quei tre discepoli crebbero a dismisura in amore verso Gesù. S. Giovanni Damasceno rende ragione perchè Gesù abbia di preferenza scelto questi tre apostoli e dice, che Pietro essendo stato il primo a render testimonianza della divinità del Salvatore meritava {33 [325]} di essere testimonio della sua umanità glorificata; Giacomo ebbe altresì tal privilegio perchè doveva essere il primo a seguire il suo maestro col martirio; S. Gioanni aveva il manto verginale che lo fece degno di questo onore. Damasc. hom. de trans.

            La chiesa cattolica celebra il memorabile avvenimento della trasfigurazione del Salvatore sul monte Tabor il giorno sei di agosto.

 

Capo VI. Gesù risuscita la figlia di Giairo - paga per Pietro il tributo - ammaestra i suoi apostoli nell'umiltà. Anno di G. C. 32.

 

            Intanto si avvicinava il tempo in cui la fede di Pietro doveva essere messa alla prova. Perciò il divin Maestro per infiammarlo sempre più d'amore per lui gli dava nuovi segni di affetto e di bontà. Essendo Gesù venuto in una parte della Palestina detta terra de' Geraseni gli si fece innanzi un principe della sinagoga per nome Giairo, pregandolo che volesse restituire la vita ad una sua figlia unica {34 [326]} di 12 anni morta poc'anzi. Gesù volle esaudirlo, ma giunto alla casa di lui proibì a tutti di entrare, e solo condusse seco Pietro, Giacomo e Giovanni affinchè fossero testimonii di quel miracolo che alla loro presenza fu operato.

            Il giorno seguente Gesù scostatosi alquanto dagli altri discepoli entrava con Pietro nella città di Cafarnao e si recarono alla casa propria di lui. Nell'atto che Pietro voleva entrare nella porta, i gabellieri, ossia coloro che dal governo erano posti all'esazione dei tributi e delle imposte, lo tirarono in disparte e gli dissero: Il tuo Maestro paga egli il tributo? certamente che sì, rispose Pietro. Ciò detto entrò in casa dove il Signore lo aveva già preceduto. Come lo vide il Salvatore, cui ogni cosa era manifesta, lo chiamò a sè e gli disse: dimmi, o Pietro, chi sono quelli che pagano il tributo, sono i figliuoli del re ovvero gli estranei della famiglia del re? Pietro rispose: sono gli estranei. Dunque, riprese a dire Gesù, i figliuoli sono esenti da ogni tributo; il che voleva dire: Dunque io che sono, come tu stesso hai dichiarato, il figliuolo di Dio vivo, non sono obbligato a pagar nulla ai principi {35 [327]} della terra; tuttavia questa buona gente non mi conosce siccome tu, e ne potrebbe prendere scandalo, e perciò intendo di pagarlo. Va al mare, getta la rete e nella bocca del primo pesce che prenderai gli troverai la moneta per pagare il tributo per noi due. Quindi pagherai il debito per me e per te. L'apostolo eseguì quanto gli era stato comandato, e dopo qualche intervallo di tempo ritornò pieno di stupore colla moneta indicatagli dal Salvatore.

            I Ss. Padri ammirano due cose in questo fatto: l'umiltà e la mansuetudine di Gesù che si sottomette alle leggi degli uomini, e l'onore che si degnò di fare al suo apostolo uguagliandolo a sè medesimo e mostrandolo apertamente suo vicario.

            Gli altri apostoli come seppero la preferenza fatta a Pietro, ne ebbero invidia; e perciò andavano tra loro disputando chi di loro fosse maggiore. Gesù che poco per volta voleva correggerli dei loro difetti, giunti che furono alla sua presenza, fece loro conoscere come le grandezze del cielo sono ben diverse da quelle della terra, e che colui il quale vuole farsi il primo, conviene, che si faccia l'ultimo in {36 [328]} terra. Disse loro di poi: chi è maggiore? chi è il primo in una famiglia? Forse quegli che sta seduto, o quegli che serve a tavola? certamente chi sia a tavola: Ora che dite voi di me? Qual personaggio ho io figurato? certo di un povero che serve a mensa. Questo avviso doveva principalmente valere per Pietro il quale nel mondo doveva ricevere grandi onori per la sua dignità e tuttavia conservarsi nell'umiltà e nominarsi servo dei servi del Signore.

 

Capo VII. Pietro parla con Gesù del perdono delle ingiurie, e del distacco delle cose terrene - rifiuta di lasciarsi lavare i piedi - sua amicizia con S. Giovanni - Anno di G. C. 33.

 

            Un giorno il divin Salvatore si pose ad ammaestrare gli Apostoli intorno al perdono dei nemici, e avendo detto che si doveva perdonare qualsiasi ingiuria, Pietro rimase pieno di stupore; perciocchè egli era prevenuto, come tutti gli Ebrei, in favore delle tradizioni giudaiche, le {37 [329]} quali permettevano alla persona offesa d'infliggere una pena all'offensore[2]. Si volse pertanto a Gesù, e, Maestro, gli disse, e se il nemico ci facesse sette volte ingiuria, e sette volte mi venisse a dimandare perdono, dovrei sede volte perdonare? Gesù, il quale era venuto per mitigare i rigori della legge antica colla santità e purezza del Vangelo, rispose a Pietro che non solamente doveva perdonare sette volte, ma settanta volte sette se tante fossero le offese. I Ss. Padri in questo fatto riconoscono l'obbligo che ciascun cristiano ha di perdonare al prossimo ogni affronto in ogni tempo in ogni luogo. In secondo luogo riconoscono la facoltà data da Gesù a S. Pietro ed a tutti i sacri ministri di perdonare i peccati degli uomini qualunque sia la loro gravezza e il loro numero, purchè ne siano pentiti e promettano di cuore emendazione. Gris. hom. 72.

            In altro giorno Gesù ammaestrava il popolo cui parlò lungamente della grande ricompensa che avrebbero ricevuto coloro che avessero disprezzato il mondo {38 [330]} e fatto buon uso delle ricchezze, distaccandosi dai beni della terra. Pietro che non aveva ancora ricevuto i lumi dello Spirito Santo e che aveva maggior bisogno d'esser più degli altri istruito, colla solita sua franchezza si volse a Gesù e gli disse: Maestro, noi abbiamo lasciato ogni cosa. Abbiamo fatto quello che avete comandato, quale adunque sarà il premio che a noi darete? Il Salvatore gradì la domanda di Pietro e mentre lodò il distacco degli Apostoli da ogni terrena sostanza notò che loro era riserbato un premio particolare, perchè dopo di aver lasciate le loro sostanze lo avevano seguito. Voi, disse, che avete seguito me, sederete sopra dodici troni maestosi, e compagni nella mia gloria giudicherete meco le dodici tribù d'Israele e con esse tutto il genere umano.

            Non molto dopo Gesù portossi nel tempio di Gerusalemme e si mise a ragionare con Pietro della struttura di quel maestoso edifizio e della preziosità delle pietre che lo adornavano; dal che il Signore prese occasione di predirne l'intera rovina. Uscito quindi Gesù dalla città e passando vicino ad una pianta di fico, {39 [331]} che era stata da lui maledetta, Pietro si maravigliò e avvertì il divin Maestro che quella pianta era divenuta arida e secca. Gesù per incoraggire gli Apostoli ad aver fede rispose che in virtù di essa avrebbero potuto fare tutto quello che avrebbero dimandato.

            La virtù però che Cristo voleva profondamente radicare nel cuore degli Apostoli era l'umiltà e di questa in molte occasioni diede loro luminosi esempi specialmente la vigilia di sua passione. Era quello il giorno primo della Pasqua degli Ebrei, che suole chiamarsi degli azimi. Gesù mandò Pietro e Giovanni in Gerusalemme dicendo: andate e preparate le cose necessarie per la Pasqua. Quelli dissero: dove volete, che le andiamo ad apparecchiare? Gesù rispose: Entrando in città incontrerete un uomo che porta una secchia d'acqua sopra le spalle; andate con lui, egli vi mostrerà un luogo spazioso, ove potrete preparare quanto occorre per questo bisogno. - Così fecero.

            Giunta la sera di quella notte, che era l'ultima della vita mortale del Salvatore, volendo egli istituire il Sacramento dell'Eucaristia {40 [332]} premise un fatto che dimostra la purezza d'anima con cui ogni cristiano si deve accostare a questo sacramento del divino amore e nel tempo stesso serve a frenare la superbia degli uomini fino alla fine del mondo. Mentre era a mensa co' suoi discepoli, verso il fine della cena, il Signore si leva da tavola, piglia uno asciugatoio, se lo cinge ai fianchi, versa dell'acqua in un catino, mostrando di voler lavare i piedi agli Apostoli che seduti e maravigliati stavano aspettando qual cosa volesse fare il loro Maestro.

            Venne adunque con l'acqua a Pietro, ed essendoglisi inginocchiato davanti, gli domanda il piè da lavare. Il buon Pietro, inorridito di vedere il suo divin Maestro in quell'atto di povero servitore, memore ancora che poco prima l'aveva veduto sfolgoreggiante di luce, pieno di vergogna e quasi piangendo: Che fate, Maestro, gli disse, che fate? Voi lavare ame i piedi? Non sarà mai: io nol potrò giammai permettere. Il Salvatore gli disse: ciò che faccio ora, tu noi sai, ma lo saprai di poi: però guardati bene dal contraddirmi; se io non ti laverò i piedi, tu non {41 [333]} avrai parte con me: cioè lo sarai privo d'ogni mio bene e diseredato. A queste parole il buon Pietro fu terribilmente turbato, dolevagli di dover essere separato dal suo Signore, non voleva disobbedirgli nè contristarlo; gli pareva non potergli permettere così basso servigio. Tuttavia quando conobbe che il Salvatore voleva ubbidienza; gli disse: o Signore, poichè volete così, non debbo, nè voglio resistere alla vostra volontà, fate di me ogni cosa che meglio vi piace; se non basta lavarmi i piedi, lavatemi anche le mani e la testa.

            Il Salvatore dopo d'aver compiuto quell’atto di umiltà si volse a' suoi Apostoli e loro disse: vedeste ciò che io ho fatto? Se io che sono vostro Maestro e padrone vi ho lavato i piedi, voi dovete fare altrettanto fra di voi: le quali parole vengono a significare che un vero seguace di G. C. non deve mai rifiutarsi ad alcuna opera anche bassa di carità, qualora con essa si promuova la carità del prossimo e l'amore verso Dio.

            Durante questa cena avvenne un fatto che in maniera particolare riguarda san Pietro e S. Gioanni. Si è già potuto osservare {42 [334]} come il divin Redentore portava speciale affetto a questi due Apostoli, ad uno per la sublime dignità a cui era destinato, all'altro per la santità e candidezza de' costumi. Essi poi riamavano il Salvatore col più intenso affetto ed erano stretti tra di loro dai vincoli di specialissima amicizia; della quale il medesimo Redentore mostrò di compiacersi perchè era fondata sulla virtù.

            Mentre adunque Gesù era a mensa coi suoi Apostoli, alla metà della cena predisse che uno di essi lo avrebbe tradito. A questo avviso tutti si spaventarono, ed ognuno temendo per sè cominciarono l'un l'altro a guardarsi dicendo: forse sono io? Pietro, siccome più fervido nell'amore verso del suo Maestro, desiderava di conoscere chi fosse il traditore; voleva interrogare Gesù, ma voleva farlo in segreto, acciocchè niuno degli astanti se ne accorgesse. Laonde senza profferir parola fece un cenno a Giovanni perchè volesse egli fare una tal domanda. Questo diletto apostolo aveva preso posto vicino a Gesù, e la situazione era tale che appoggiava il suo capo sul seno di lui; e il capo di Pietro appoggiavasi su quello di {43 [335]} Giovanni. Giovanni appagò il desiderio del suo amico Pietro e con tale segretezza che niuno degli altri Apostoli potè intendere nè il cenno di Pietro, nè l'interrogazione di Giovanni, nè la risposta di Cristo; giacchè niun di loro per allora venne in cognizione che il traditore fosse Giuda Iscariota.

 

Capo VIII. Gesù predice la negazione di Pietro - Esso lo segue nell'orto di Getsemani - taglia l'orecchio a Malco - sua caduta, suo ravvedimento. Anno di G. C. 33.

 

            Si avvicinava il tempo della passione del Salvatore e la fede degli Apostoli doveva essere messa a dura prova. Dopo l'ultima cena quando Gesù era per uscire dal cenacolo si volse a' suoi apostoli e disse: questa notte è assai dolorosa per me e di gran pericolo per tutti voi: avverranno di me tali cose che voi rimarrete scandalizzati, e non vi parrà più vero quello che avete conosciuto e che ora credete di me. Perciò vi dico che in questa notte tutti mi volterete le spalle. {44 [336]} Pietro secondo il suo solito ardore fa il primo a rispondere: come? noi tutti voltarvi le spalle? Quand'anche tutti costoro fossero deboli a segno di abbandonarvi; io certamente noi farò giammai; e quand'anche dovessi morire con voi non sarò giammai per abbandonarvi. Ah Simone, Simone, rispose Cristo, pensa bene a quello che tu dici: io ho parlato testè in comune a voi tutti, ora parlo a te solo, e sappi che Satana ha ordito a te, a voi tutti una terribile tentazione e vi crivellerà come si fa del frumento nel vaglio. Perciò non presumere tanto di te stesso, perciocchè tu sei ben lontano dall'amore che ti sembra avere per me. Anzi in questa notte prima che il gallo abbia cantato due volte tu negherai tre volte di conoscermi.

            Pietro parlava guidato da un sentimento caldo d'affetto e non badava che senza l'aiuto divino l'uomo cade in deplorabili eccessi; laonde egli rinnovò le medesime promesse dicendo: no certamente, può darsi che tutti vi neghino, io non mai.

            Ma Gesù che ben conosceva tale presunzione di Pietro venire da inconsiderato {45 [337]} ardore e dalla grande tenerezza verso il suo Maestro ne ebbe compassione e lo consolò dicendo: tu cadrai certamente, o Pietro, come ti dissi, tuttavia non perderti di animo. Io ho pregato per te, affinchè la tua fede non venga meno. Tu poi quando ti sarai riavuto dalla tua caduta conferma nella fede i tuoi fratelli: rogavi pro te, Petre, ut non deficiat fides tua, et tu aliquando conversus confirma fratres tuos. Colle quali parole il divin Salvatore promise un'assistenza particolare al capo della sua Chiesa, la cui fede non sarebbe giammai venuta meno, sebbene i suoi ministri nelle cose estranee alla fede fossero caduti in colpa, come diffatti avvenne a S. Pietro.

            Intanto G. C. dopo la cena eucaristica a notte avanzata parli con Pietro, Giacomo e Giovanni per recarsi sui monte Olivete, così appellato pei molti ulivi di cui il terreno ivi abbonda. Giunto ad una parte di quel monte detto Getsemani, dove era solito a ritirarsi per far orazione, si allontanò dagli apostoli un tiro di pietra. Però nell'atto che si separava da loro li avvisò dicendo: pregate e vigilate, perchè la tentazione è vicina. Ma {46 [338]} Pietro e i suoi compagni sia per l'ora già avanzata, sia per la stanchezza si assisero per riposare e in breve s'addormentarono. Questo è nuovo fatto di Pietro il quale doveva seguire il precetto del Salvatore vigilando e pregando. In quel momento giunsero gli sgherri nell'orto per catturare Gesù e condurlo in prigione. Pietro, vedutili appena, corse loro incontro per allontanarli, e vedendo che facevano resistenza mise mano alla spada, che era un grosso e lungo coltello, e vibrando un colpo alla ventura tagliò l'orecchio ad un servo del pontefice chiamato Malco.

            Non erano queste le prove di amore che Gesù aspettava, nè mai gli aveva insegnato di opporre forza a forza. Fu questo un tratto di vivo amore, ma fuor di proposito; perciocchè il Signore non voleva essere salvato dalle mani altrui, anzi per la salute del mondo voleva darsi nelle mani a' suoi nemici e morire; onde disse a Pietro: riponi la spada nel fodero, perciocchè chi di spada ferisce, di spada perisce. Di poi mettendo in pratica quello che aveva tante volte insegnato nelle sue predicazioni, cioè di fare del bene a chi ci fa del male, prese l'orecchia tagliata {47 [339]} e con somma bontà la pose colle sue sante mani al luogo del taglio, sicchè rimase sull'istante guarita.

            Pietro e gli altri Apostoli scorgendo inutile ogni resistenza, che anzi avrebbero corso pericolo per sè medesimi, messe a parte le promesse fatte poco prima al maestro, tutti lo abbandonarono dandosi a fuggire chi di qua chi di là lasciando Gesù solo nelle mani de' suoi carnefici. Ma Pietro vergognandosi della sua viltà, confuso ed irresoluto non sapendo ben dove andare e dove stare,si portò nell'atrio del palazzo di Caifas, capo di tutti i sacerdoti. Gesù era dentro nelle mani degli Scribi e de' Farisei che lo avevano accusato a quel tribunale.

            Vuoisi qui notare che quando Pietro fu alla porta del cortile non poteva entrar dentro, perchè la portinaia non voleva dargliene il permesso. Il suo amico Giovanni, essendo conosciuto nella corte del Pontefice, aveva potuto entrare senza difficoltà, e ottenne dalla portinaia che Pietro potesse entrare nel cortile medesimo. S. Agostino in Joan. ed altri.

            Entrato egli appena nell'atrio trovò una turba di guardie che stavano riscaldandosi al fuoco ivi acceso. Pietro si pose seco {48 [340]} loro vicino al fuoco. Al chiarore del fuoco la donnicciuola, che per grazia gli aveva permesso d'entrare, vedendolo tutto pensieroso e malinconico, entrò in sospetto che egli fosse un seguace di Gesù. Olà, gli disse, tu sembri un compagno del Nazareno, non è vero? - L'Apostolo nel vedersi scoperto in faccia a tanta gentaglia rimase atterrito, e temendo per sè la prigione e forse anche la morte, affannato per la vista degli sgherri che tutti gli avevano l'occhio addosso attendendo la sua risposta, perduto ogni coraggio rispose: Donna, ti sbagli; io non son di quelli, nemmeno conosco quel Gesù di cui tu parli. Ciò detto il gallo cantò per la prima volta; e Pietro non vi pose mente.

            Dopo essersi egli trattenuto qualche momento in compagnia di quelle guardie si porto nel vestibolo. Mentre poi ritornava presso il fuoco, un'altra fantesca o forse la medesima di prima, si fece di nuovo a rimproverarlo: oh vedi, gli disse; ecco qui uno della compagnia di questo Gesù; e rivoltasi agli altri soggiunse: che ve ne pare? Pietro vie più spaventato, quasi fuor di sè, rispose di non conoscerlo nè mai di averlo veduto. Pietro parlava così, {49 [341]} ma la coscienza lo rimproverava e provava i più acuti rimorsi, e perciò tutto pensieroso con occhio torbido e passo incerto, stava, entrava e usciva senza sapere che farsi. Ma un abisso conduce ad un altro abisso.

            Dopo alcuni istanti un parente di quel Malco a cui Pietro aveva tagliata l’orecchia, lo vide e fissandolo bene in faccia disse: certamente costui è uno dei compagni di quel Galileo! Tu lo sei certamente, la tua pronunzia ti manifesta. E poi non ti ho io veduto nell'orto con lui quando tagliasti l'orecchia a Malco? Pietro vedendosi a così mal partito non seppe più trovare altro scampo che giurare e spergiurare di non conoscerlo. Non aveva ancora bene profferita l'ultima sillaba e il gallo la seconda volta cantò.

            Quando il gallo cantò la prima volta Pietro non vi aveva badato; questa seconda volta bada al numero delle sue negazioni, richiama a memoria la predizione di G. C., e la vede appuntino avverata. A questa rimembranza si turba, sentesi tutto amareggiato il cuore; e girando l'occhio verso l'offeso Gesù, lo sguardo di lui s'incontra col suo. Questa occhiata di {50 [342]} Cristo, fu un atto muto, ma un colpo di grazia che a guisa di strale acutissimo lo andò a ferire nel cuore, non per dargli la morte ma per restituirgli la vita. Gris. in Matth.

            A quel tratto di bontà e di misericordia Pietro scosso come da un profondo sonno si sentì gonfiare il cuore e provocare le lagrime pel dolore. Per dare libero sfogo al pianto uscì da quel malaugurato luogo e andò a piangere il suo fatto e invocare dalla divina misericordia il perdono. Il Vangelo ci dice solamente che: et egressus Petrus flevit amare. Pietro uscì fuori e pianse amaramente. Di questa caduta Pietro ne portò rimorso tutta la vita e si può dire che da quell'ora fino alla morte non fece che piangere il suo peccato facendone aspra penitenza. Si dice che egli avesse sempre accanto un pannolino per asciugarsi le lagrime; e che ogni qual volta sentiva il gallo a cantare, trasaliva e tremava, richiamandogli tuttora alla memoria il doloroso momento di sua caduta. Che anzi le lagrime che aveva continue, gli avevano, fatto due solchi sopra le guancie. Beato Pietro che così presto abbandonò la colpa {51 [343]} e ne fece così lunga ed aspra penitenza. Beato eziandio quel cristiano che, dopo aver avuta la disgrazia di seguire Pietro nella colpa, lo segue nella penitenza.

 

Capo IX. Pietro al sepolcro del Salvatore - Gesù gli appare più volte - sul lago di Tiberiade dà tre distinti segni di amore verso Gesù che lo costituisce capo e supremo pastore della Chiesa.

 

            Mentre il divin Salvatore era strascinato nei varii Tribunali e di poi condotto sul Calvario a morire in croce, Pietro certamente non lo perdette di mira, perchè desiderava di vedere dove andasse a finire quel luttuoso spettacolo. E vi sono ragioni per credere che egli siasi trovato in compagnia dell'amico suo Giovanni ai piedi della croce. Ma dopo la morte del Salvatore, il buon Pietro tutto umiliato pel modo indegno con cui aveva corrisposto al grande amore di Gesù pensava continuamente a lui, oppresso dal più amaro dolore e pentimento. Se non che questa sua umiliazione era appunto {52 [344]} quella che tirava sopra di sè la benignità di Gesù.

            Dopo la sua risurrezione Gesù apparve primieramente alla Maddalena e ad altre donne, perchè esse sole erano venute al sepolcro per imbalsamarlo. Dopo essersi loro manifestato soggiunse: andate tosto, riferite a' miei fratelli e particolarmente a Pietro che mi avete veduto vivo. Pietro, che si credeva già forse dimenticato dal Maestro, al sentirsi a nome di Gesù annunziare a lui nominatamente la nuova della sua risurrezione diede in un torrente di lagrime, e non poteva più tenere l'allegrezza in cuore. Trasportato dalla gioia e dal desiderio di vedere il Maestro risorto, egli in compagnia dell'amico Giovanni si mise a correre velocemente su pel monte Calvario. Correvano entrambi insieme, ma Giovanni essendo più giovane e più svelto vi giunse prima di Pietro. Con tutto ciò egli non ebbe ardire di entrare, ed inchinatosi alquanto all'imboccatura vide i pannolini in cui era stato avvolto il corpo di Gesù. Poco dopo sopraggiunse anche Pietro, il quale, fossa per l’autorità maggiore che sapeva di godere, fosse perchè era di un carattere più risoluto e pronto, senza fermarsi {53 [345]} al di fuori, discese dentro, lo esaminò in tutte le sue parti, tastò ancora da per tutto, e altro non vide che i medesimi pannolini ed il sudario, avviluppato in disparte. Sull'esempio di Pietro entrò di poi anche Gioanni, il quale fatto il medesimo esame e vedute le medesime cose rimase al pari di lui persuaso che il corpo di Gesù era stato tolto come altri avevano detto. Perciocchè non avevano ancora ben potuto comprendere la promessa del Redentore, quando disse che sarebbe risorto tre giorni dopo la sua morte. I due Apostoli allorchè ebbero fatto nel sepolcro quelle minute osservazioni uscirono fuori e ritornarono colà donde erano partiti.

            Però in quel giorno medesimo Gesù volle egli stesso visitare Pietro in persona e consolarlo colla sua presenza, e quello che è più ancora, apparve a Pietro prima di tutti gli altri Apostoli. Più volte il divin Salvatore apparve a' suoi Apostoli dopo la risurrezione per istruirli e confermarli nella fede.

            Un giorno Pietro, Giacomo e Gioanni con alcuni altri discepoli sia per evitare l'ozio, sia per guadagnarsi qualche cosa {54 [346]} da mangiare andarono a pescare sul lago di Tiberiade. Salirono tutti sopra una barca, la scostarono alquanto dal lido e gettarono le loro reti. Si affaticarono tutta la notte gettando le reti ora di qua ora di là, ma tutto invano; già spuntava il giorno e nulla avevano preso.

            Allora comparve il Signore sul lido, dove, senza farsi conoscere, quasi volesse comperar dei pesci: giovanetti, loro disse, avete forse qualche pesce per far colezione? Pueri numquid pulmentarium habetis? No, risposero: abbiamo faticato, tutta la notte ed abbiamo preso niente. Gesù soggiunse: gettate la rete alla destra della nave e ne prenderete.

            Fossero mossi da interno impulso, fosse per seguire, il consiglio di colui, che ai loro sguardi sembrava un perito pescatore, gettarono giù la rete, e se la trovarono piena di tanti e così grossi pesci, che tutti uniti non avevano forza bastante per ritirarla. A questa pesca inaspettata, Giovanni si rivolse verso colui che dal lido aveva dato quel suggerimento, ed avendo conosciuto essere Gesù, disse tosto a Pietro egli è il Signore.

            Pietro, udite queste parole, trasportate {55 [347]} dal solito fervore, senza altra deliberazione si getta nell'acqua e va nuotando fino alla sponda per essere il primo a salutare il divin Maestro. Mentre Pietro si tratteneva famigliarmene con Gesù si avvicinarono anche gli altri Apostoli alla riva strascinandosi dietro la rete piena di pesci. Nel prendere terra furono molto maravigliati vedendo quivi il fuoco acceso per mano stessa del Salvatore, e trovando preparato del pane con pesce che si arrostiva. Gli Apostoli trasportati dal desiderio di vedere il Signore lasciarono tutti i pesci nella barca; onde il Salvatore disse loro: portate qua dei vostri pesci. Pietro che in ogni cosa era il più pronto ed ubbidiente, udito quell'ordine salì subitamente nella nave, e da sè solo tirò a terra la rete piena di 153 grossi pesci.

            Il sacro testo ci avvisa che fu un miracolo il non essersi lacerata la rete sebbene vi fossero tanti pesci e di tal grossezza. I Ss. Padri ravvisano in questo fatto il capo della Chiesa il quale solo assistito in modo particolare dallo Spirito Santo guida la mistica nave piena di anime da condursi ai piò di Gesù Cristo che le ha redente e che le attende in cielo. - {56 [348]}

            Intanto Gesù aveva egli stesso preparato la refezione; ed invitando gli Apostoli a sedersi sopra la nuda arena, distribuì ad ognuno del pane e del pesce che aveva arrostito. Terminata la refezione, G. C. si mise di bel nuovo a discorrere con S. Pietro, e ad interrogarlo in faccia ai compagni nella maniera seguente: Simone figliuolo di Giovanni, mi ami tu più di costoro? Sì, rispose Pietro, voi sapete, che io vi amo. Gesù gli disse: pasci i miei agnelli. Quindi gli replicò un'altra volta: Simone figliuolo di Giovanni, mi ami tu? Signore, replicò Pietro, voi ben lo sapete che io vi amo. Gesù ripete: pascola i miei agnelli. Il Signore replicò: Simone figliuolo ili Giovanni, mi ami tu più di costoro? Pietro nel vedersi interrogato tre volte sopra il medesimo soggetto rimase fortemente conturbato. In quel momento gli ritornarono alla mente le promesse già fatte altra volta, e che egli aveva violato, e perciò temeva che G. C. si burlasse delle sue proteste quasi volesse già predirgli altre negazioni. Pertanto diffidando delle proprie forze Pietro umiliato rispose: Signore, voi sapete tutto, il mio cuore è tutto aperto a voi, e perciò voi sapete {57 [349]} altresì che io vi amo. Le quali parole vengono a significare che Pietro era sicuro in quel punto della sincerità de' suoi affetti, ma non lo era egualmente per l'avvenire. Gesù che conosceva il suo desiderio di amarlo e la schiettezza de' suoi affetti lo confortò dicendo: pascola le mie pecore.

            Colle quali parole G. C. adempiva la promessa fatta a S. Pietro di volerlo costituire principe degli Apostoli e pietra fondamentale della Chiesa. Imperocchè gli agnelli qui significano tutti i fedeli cristiani sparsi nelle varie parti del mondo che devono essere sottomessi al capo della Chiesa siccome fanno gli agnelli al loro pastore. Le pecore poi significano i vescovi e gli altri sacri ministri i quali danno bensì il pascolo della dottrina di G. C. ai fedeli cristiani, ma sempre d'accordo, sempre uniti, e sempre sottomessi al supremo pastore della Chiesa che è il Romano Pontefice, vicario di G. C. sopra la terra.

            Notano eziandio i Ss. Padri che il divin Redentore ha voluto che Pietro dicesse tre volte pubblicamente che l'amava, quasi per riparare lo scandalo che aveva dato negandolo tre volte. {58 [350]}

 

Capo X. Gesù predice a S. Pietro la morte di croce - promette assistenza alla Chiesa sino al fine del mondo. - Ascensione di Gesù - ritorno degli Apostoli nel cenacolo. Anno di G. C. 33.

 

            Dopochè S. Pietro intese che quelle replicate dimande non erano presagio di caduta ma erano conferma della sublime autorità che gli aveva conferita ne fu consolato. E siccome Gesù sapeva che stava molto a cuore a Pietro di glorificare il suo divin Maestro, volle predirgli il genere di supplizio con cui avrebbe terminata la sua vita.

            Perciò immediatamente dopo le tre promesse di amore che gli aveva fatto, prese a parlargli così: in verità, in verità, o Pietro, io ti dico, che quando eri più giovine ti vestivi da te ed andavi dove ti piaceva, ma quando sarai vecchio un altro, cioè il littore ti cingerà, vale a dire, ti legherà e tu stenderai le mani ed egli ti condurrà dove non vuoi. Colle quali parole, {59 [351]} dice il Vangelo, veniva a significare con quale morte avrebbe Pietro glorificato Iddio, cioè coll'essere legato ad una croce e così coronato del martirio. Pietro vedendo che dava a lui un'autorità suprema ed a lui solo prediceva il martirio, si dimostrò sollecito di dimandare che ne sarebbe stato del suo amico Giovanni, e disse: di costui che ne sarà? cui Gesù rispose: che importa a te di costui; tu fa quel che ti dico e seguimi. Allora Pietro adorò i decreti del Salvatore, nè più osò di fare interrogazione su tale proposito.

            Gesù Cristo apparve molte altre volte a S. Pietro ed agli altri Apostoli; e un giorno si manifestò sopra un monte dove erano presenti più di 500 discepoli.

            Poco prima di salire al cielo volle radunare i suoi Apostoli e dopo d'aver dato loro a conoscere il supremo ed assoluto potere che egli aveva in cielo e in terra, conferì a S. Pietro e a tutti gli altri Apostoli la facoltà di rimettere i peccati dicendo: ricevete lo Spirito Santo, quelli a cui rimetterete i peccati, sono rimessi; quelli a cui li riterrete, sono ritenuti. Andate, predicate il Vangelo a tutte le creature, ammaestratele e battezzatele nel {60 [352]} nome del Padre, del Figliuolo e dello Spirito Santo. Chi crederà e riceverà il battesimo sarà salvo, chi poi non crederà, andrà dannato. Ho ancora molte cose a dirvi che al presente non potete ancora comprendere. Quando avrete ricevuto lo Spirito Santo, che manderò sopra di voi di qui a pochi giorni; egli v'insegnerà ogni cosa. Non perdetevi d'animo. Voi sarete condotti dinanzi ai tribunali; dinanzi ai magistrati ed ai medesimi re. Non datevi pena di ciò che dovrete rispondere; lo Spirito di verità che il Padre celeste vi manderà in mio nome, vi metterà le parole in bocca, e vi suggerirà ogni cosa. Tu poi, o Pietro, e voi tutti miei Apostoli, non pensate che io vi lasci orfani; no, io sarò con voi tutti i giorni fino alla fine dei secoli.

            Disse ancora molte altre cose a' suoi Apostoli, di poi raccomandando loro di non partire da Gerusalemme fin dopo la venuta dello Spirito Santo, li condusse sopra il monte Oliveto. Colà alzando le mani al cielo li benedisse, e mentre li benediceva cominciò a sollevarsi in alto. In quel momento comparve una risplendente nuvola che lo circondò e lo tolse ai loro sguardi.

            Stavano tuttora gli Apostoli ed altri discepoli {61 [353]} colà venuti cogli occhi rivolti al cielo a guisa di chi e rapito in dolce estasi, allorchè due Angeli in sembianza d'uomini magnificamente vestiti si avvicinarono e dissero: uomini Galilei, a che state qui rivolti verso il cielo? quel Gesù, il quale partendo ora da voi è salito al cielo, ritornerà in quella stessa maniera colla quale lo avete veduto a salire. Ciò detto disparvero, e quella divota schiera partì dal monte Oliveto, rientrò in Gerusalemme per aspettare la venuta dello Spirito Santo il quale sarebbe disceso sopra di loro fra pochi giorni secondo la promessa del Salvatore.

 

Capo XI. S Pietro surroga Giuda. - Venuta dello Spirito Santo. - Miracolo delle lingue. Anno di G. C. 33.

            Noi abbiamo finora considerato Pietro solamente nella sua debolezza; presto lo vedremo a percorrere una carriera assai più gloriosa, dopochè avrà ricevuto i doni dello Spirito Santo.

            Ora vediamo come egli abbia cominciato {62 [354]} ad esercitare l'autorità di Sommo Pontefice di cui era stato investito da Gesù Cristo.

            Dopo l’ascensione dei Salvatore, s. Pietro cogli altri Apostoli si ritirarono nel cenacolo, che era un'abitazione situata sopra la parte più elevata di Gerusalemme detta monte Sion. Qui dunque in numero di circa 120, con Maria madre di Gesù, passavano le intere giornale in orazione attendendo la venuta dello Spirito Santo. Un giorno mentre erano applicati alle sacre funzioni, Pietro si levò dal mezzo di loro e intimando silenzio colla mano; «Fratelli, egli dice, è d'uopo che si adempia quello che lo Spirito Santo predisse per la bocca del profeta Davidde intorno a Giuda il quale fu condottiere di quelli che imprigionarono il Divin Maestro. Egli al par di noi era stato eletto al medesimo ministero. Ma egli prevaricò, e col prezzo della sua iniquità fu comperato un campo; ed egli si impiccò, e crepandosi per mezzo, versò le viscere sopra la terra. Il fatto si rese pubblico a tutti gli abitanti di Gerusalemme, e quel campo ricevette il nome di Aceldama, cioè campo del sangue. Ora di lui appunto fu scritto {63 [355]} nel libro de' Salmi (salm. 68): divenga la sua dimora deserta, e non vi sia chi abiti in essa; (Salm. 108) e in luogo di lui un altro gli sottentri nel vescovado. Perciò fa mestieri che tra coloro i quali furono insieme con noi, per tutto il tempo che dimorò con noi G. C. cominciando dal battesimo di Giovanni fino a quel giorno in cui partendo da noi è salito al cielo, è mestieri, dico, che tra coloro se ne scelga uno, il quale sia con noi testimonio della sua risurrezione per l'opera a cui noi siamo mandali.»

            Tutti si tacquero alle parole di Pietro, poichè tutti lo riguardavano come capo della Chiesa, ed eletto da G. C. a fare le sue veci dopo la sua ascensione al cielo. Pertanto furono presentati due, che sono Giuseppe, nominato anche Barsaba (che aveva per soprannome il Giusto) e Mattia. Ravvisandosi in amendue egual merito ed egual virtù rimisero a Dio la scelta. Prostrati adunque si misero a pregare così: Voi, Signore, il quale conoscete il cuore di tutti, mostrateci quale de' due abbiate scelto per occupare il luogo di Giuda prevaricatore. In quel caso fu giudicato bene di usare la sorte coll'orazione per {64 [356]} conoscere la volontà di Dio. Al presente la Chiesa non adopera più questo mezzo, avendo moltissime altre vie per conoscere coloro che sono chiamati al ministero dell'altare.

            Gettarono pertanto la sorte, e la sorte cadde sopra Mattia, il quale fu annoverato cogli undici Apostoli, e riempì così il duodecimo posto che era rimasto vacante. È questo il primo atto di autorità Pontificia, che esercitò S. Pietro; autorità non solo di onore, ma di diritto, siccome esercitarono in ogni tempo i Papi suoi successori.

            Noi abbiamo considerato in Pietro una fede viva, umilia profonda, ubbidienza pronta, carità fervente e generosa; ma queste belle qualità erano ben lontane dal metterlo in grado di esercitare l'alto ministero, cui era destinato. Egli doveva vincere l'ostinazione degli Ebrei, distruggere l'idolatria, convertire uomini dati a tutti i vizi, e stabilire in tutta la terra la fede di un Dio crocifisso. L'abbondanza di questa forza di cui Pietro abbisognava per una sì grande impresa, era riserbata ad una grazia speciale da infondersi mercè i doni dello Spirito Santo, che dovevano {65 [357]} illuminare l'anima sua e infiammarla del fuoco del santo amor di Dio.

            Era il giorno di Pentecoste, cioè cinquantesimo dopo la risurrezione di G. C. decimo dacchè Pietro era nel cenacolo in orazione cogli altri discepoli, quando improvvisamente all'ora terza si udì sopra il monte Sion un grande strepita, simile al rumoreggiar del tuono accompagnato da un vento gagliardissimo. Quel vento investì la casa dove erano i discepoli, e ne fu per ogni parte ripiena. Mentre ognuno andava ripensando la cagione di quel fragore apparvero fiammelle che a guisa di lingue di fuoco andarono a posarsi sopra il capo di ciascun di loro. Erano quelle fiamme simbolo del coraggio e dell'infiammata carità con cui gli Apostoli avrebbero dato mano alla predicazione del Vangelo. In questo momento il cuore di Pietro diventò tutto nuovo, provava in se stesso un coraggio ed una forza tale, che le più grandi imprese sembravano un nulla per lui.

            A quel grave rumore corse gran turba di popolo ebreo di varie nazioni, di cui alcuni parlavano latino, altri greco, altri egiziaco, arabo, ebraico ed altri persiano {66 [358]} ed altre lingue. Intorniato il cenacolo di quella moltitudine, escono gli Apostoli, e si tanno loro a parlare. E quivi cominciò ad operarsi un miracolo non mai udito; perciocchè gli Apostoli rozzi, che sapevano appena la lingua del paese, si misero a parlare le lingue di tutti quelli che erano colà accorsi. Non potevano darsi ragione gli uditori di simil fatto, pareva un sogno che un uomo solo potesse contemporaneamente parlare la lingua di tanti paesi.

 

Capo XII. Prima predica di Pietro. Anno di G. C. 33.

 

            Mentre il maggior numero ammiravano l'intervento della potenza divina, non mancarono alcuni maligni che, soliti a disprezzare ogni cosa santa, non sapendo più che dire, andavano chiamando gli Apostoli ubbriachi. Sciocchezza veramente grande; l'ubbriachezza non fa parlare la lingua ignota, ma fa dimenlicare quella imparata. Fu allora che S. Pietro pieno di santo ardore cominciò a predicare per {67 [359]} la prima volta Gesù Cristo. Laonde a nome di tutti gli altri Apostoli si avanza in faccia alla moltitudine, alza la mano, intima silenzio, e comincia a parlare così: «A voi parlo, o Giudei, e voi tutti, abitanti di questa città, ricevete le mie parole, e sarete illuminati intorno a questo fatto. Questi uomini non sono già ubbriachi come pensate voi, poichè siamo soltanto alla terza ora del mattino, in cui siamo soliti ad essere digiuni. Ben altra è la cagione di quanto vedete. Oggi si è in noi verificata la profezia del profeta Gioele, il quale disse così: avverrà negli ultimi giorni, dice il Signore, che io spanderò il mio Spirito sopra gli uomini, e i vostri figliuoli e le vostre figliuole profeteranno; i vostri giovani avranno delle visioni, e i vostri vecchi dei sogni. Anzi in quei giorni spanderò il mio spirito sopra i miei servi e sopra le mie serve, e diventeranno profeti, e farò dei prodigi in cielo e in terra. Chiunque invocherà per la fede il nome del Signore, colui sarà salvo.

            «Ora, continuò Pietro, tale profezia si è verificata in noi: ascoltate, ascoltate, o figliuoli dì Giacobbe. Quel Signore, nel {68 [360]} cui nome chi crederà sarà salvo, è quel medesimo Gesù Nazareno, quell'uomo grande, a cui Iddio rendette testimonianza con una moltitudine di miracoli, che operò, come voi stessi avete veduto. Voi faceste morire quell'uomo per mano degli empi, e così senza saperlo serviste ai decreti di Dio, che voleva salvare il mondo colla sua morte. Dio però io ha risuscitato da morte, siccome aveva predetto il profeta Davidde con quelle parole: Tu non mi lascerai nel sepolcro, nè permetterai che il tuo Santo provi la corruzione.

            Notate, dice Pietro, notate, o Giudei, che Davidde non intendeva di parlare di sè in questo salmo, perchè voi ben sapete, che egli è morto e il suo sepolcro è rimasto fra noi fino al dì d'oggi. Ma essendo egli profeta, e sapendo che Iddio gli aveva promesso con giuramento che dalla sua discendenza sarebbe nato il Messia, profetizzò eziandio la sua risurrezione, dicendo, che egli non sarebbe lasciato nel sepolcro, e che il suo corpo non avrebbe provato la corruzione. Questi adunque è Gesù Nazareno, che Iddio ha risuscitato da morte, di che noi siamo {69 [361]} testimonii; si noi l'abbiamo veduto tornato a vita, l'abbiamo toccato, e abbiamo mangiato con lui.

            Egli adunque essendo stato innalzato dalla virtù del Padre nel Cielo, ed avendo ricevuto da lui l'autorità di mandare lo Spirito Santo, secondo la sua promessa, poco fa ha mandato sopra di noi questo divino Spirito, della cui virtù vedete in noi una prova così manifesta. Che poi Gesù sia salito al cielo, lo dice il medesimo Davidde con queste parole: Il Signore disse al mio Signore: siedi alla mia destra, finchè io abbia messo i tuoi nemici a scabello de' tuoi piedi. Ora voi ben sapete, che Davidde non salì al cielo per regnare. Egli è G. C. che salì al cielo: a Lui adunque, e non a Davidde, furono appropriate quelle parole. Sappia adunque tutto il popolo d'Israele, che quel Gesù che voi avete crocifìsso, Iddio lo ha costituito Signore di tutte le cose, re e Salvatore del suo popolo, e niuno può salvarsi senza avere fede in lui.»

            Tale predicazione di Pietro avrebbe dovuto inasprire gli animi de' suoi uditori, a cui rimproverava l'enorme delitto commesso contro la persona del divin Salvatore. {70 [362]} Ma era Iddio che parlava per bocca del suo ministro, e perciò la predicazione di Pietro produsse effetti maraviglisi. Quindi agitati come da un fuoco interno, effetto della grazia di Dio, da tutte parti andavano esclamando con cuore veramente contrito: che cosa faremo, che cosa faremo? S. Pietro vedendo la grazia del Signore operare nei loro cuori, e che già essi credevano in G. C., pieno di allegrezza loro disse: fate penitenza e ognuno in nome di Gesù C. riceva il battesimo, così otterrete la remissione dei peccati e riceverete lo Spirito Santo.

            L'Apostolo seguitò ad istruire quella moltitudine animando tutti a confidare nella misericordia e bontà di Dio che desidera la salute degli uomini. Il frutto di questa prima predica corrispose all' ardente carità del predicatore. Circa 3000 persone si convertirono alla fede di G. C. e furono dagli Apostoli battezzate. Santo Agostino assicura che Santo Stefano protomartire è stato convertito in questa predica.

            Ecco S. Pietro divenuto pescatore di anime secondo la promessa di G. C. Questa si può chiamare la prima pesca, cui {71 [363]} terranno dietro altre ed altre ancora più copiose. Così cominciavano a compiersi le parole del Salvatore quando disse a Pietro che per l'avvenire non sarebbe più stato pescatore di pesci, ma pescatore di anime.

 

Capo XIII. S. Pietro guarisce uno storpio; sua seconda predica; Anno di G. C. 33.

 

            Poco dopo questa predica all'ora nona, cioè alle tre dopo il mezzodì, Pietro e il suo amico Giovanni, come per ringraziare Iddio de' benefizi ricevuti, andavano insieme al tempio a fare orazione. Giunti ad una porta del tempio detta Speciosa ovvero Bella trovarono un uomo storpio da ambi i piedi fin dalla sua nascita. Non potendosi reggere egli era ogni dì colà trasportato per vivere chiedendo limosina a quelli che venivano al tempio. Quello sfortunato quando vide i due Apostoli a lui vicini dimandò loro limosina come faceva con tutti. Pietro così inspirato da Dio, miratolo fisso, gli disse: guarda in noi. Egli guardava, e nella speranza di {72 [364]} avere qualche cosa non batteva palpebra. Allora Pietro: ascolta, o buon uomo, io non ho nè oro nè argento a darti; quello che ho, te lo do. In nome di Gesù Nazareno levati su e cammina. Quindi lo prese per mano affine di sollevarlo, come in simili casi aveva veduto farsi dal divin Maestro. In quel momento lo storpio si sentì assodar le gambe, prender vigore i nervi, ed acquistar forza pari a qualunque altro uomo più sano. Sentendosi egli così guarito fece un salto, si pose a camminare, e saltellava di allegrezza. Indi prese Pietro per mano, e lodando Dio lo accompagnò nel tempio. Tutta la gente che era stata testimonio del fatto, e vedeva lo storpio camminare da sè, non durava fatica a ravvisare in quella guarigione un vero miracolo. Il linguaggio dei fatti è più efficace di quello delle parole. Perciò la moltitudine avendo conosciuto, essere stato S. Pietro colui, che aveva restituita la sanità a quel miserabile in gran folla si strinse intorno a lui ed intorno a Giovanni, bramando tutti di rimirare coi proprii occhi chi sapeva fare opere così stupende.

            E questo il primo miracolo, che dopo {73 [365]} l'ascensione di Cristo venisse operato dagli Apostoli; ed era conveniente che san Pietro ne fosse il primo strumento, perciocchè egli tenea fra tutti la prima dignità nella Chiesa. Ma Pietro al vedersi circondato da tanta gente stimò bella occasione di rendere a Dio la gloria dovuta, e di glorificare nel tempo stesso G. C. nel cui nome erasi operato il prodigio.

            «Figli d'Israele, loro disse, a che tanto maravigliarvi di questo fatto; a che tenere così fissi gli sguardi sopra di noi, quasi che per nostra virtù avessimo fatto camminare quell'uomo? Il Dio d'Abramo, d'Isacco e di Giacobbe, il Dio de' Padri nostri ha glorificato il suo figliuolo Gesù, quel Gesù che voi avete tradito e negato in faccia a Pilato, quando egli pur giudicava di lasciarlo impunito. Voi dunque aveste l'ardire di negare il Santo ed il Giusto, e faceste istanza che fosse liberato da morte Barabba ladro ed omicida, e rinnegando il Giusto, il Santo e l'Autor della vita, lo faceste morire. Ma Dio lo ha risuscitato da morte, e noi ne siamo testimoni che l'abbiamo veduto più volte, l'abbiamo toccato, e abbiamo mangiato con lui. Ora in virtù del suo nome, in {74 [366]} forza di quella fede che viene da lui, fu guarito questo zoppo che voi vedete e conoscete; è Gesù che l'ha restituito in perfetta sanità nel cospetto di tutti voi. Ora io so bene che il delitto vostro e dei vostri capi, quantunque non abbia bastante scusa, fu però per ignoranza. Ma Iddio, che aveva fatto predire da' suoi profeti, che il Messia doveva patire tali cose, ha permesso che voi ciò verificaste senza volerlo, sicchè il decreto della misericordia di Dio ebbe il suo compimento. Ravvedetevi adunque e fate penitenza, acciocchè vi siano cancellati i vostri peccati, e così possiate poi presentarvi con sicurezza di vostra salute dinanzi al tribunale di questo medesimo G. C. che io vi ho predicato, e da cui tutti dovremo essere giudicati.

            «Queste cose, continuò Pietro, furono da Dio predette; credete adunque a' suoi profeti, e fra tutti credete a Mosè che è il maggiore di essi. Che dice egli adunque? Il Signore, dice Mosè, vi farà sorgere fra i vostri figli un profeta, siccome a me, a lui crederete in tutto quello che vi dirà. Chiunque non ascolterà quello che dice questo profeta sarà sterminato dal popol {75 [367]} suo. Questo diceva Mosè, e parlava di Gesù. Dopo Mosè principiando da Samuele, tutti i profeti che vennero dipoi predissero questo giorno, e le cose che sono avvenute. Tali cose e le grandi benedizioni da loro predette appartengono a voi. Voi siete i figliuoli dei Profeti, delle promesse, e dell'alleanza, che Dio già fece coi Padri nostri dicendo ad Abramo, che è stipite della discendenza dei giusti: In te e nella tua stirpe saranno benedette tutte le generazioni del mondo. Egli parlava del Redentore, di quel Gesù, figliuolo di Dio, discendente da Abramo, quel Gesù che Dio risuscitò da morte, e che a noi comanda di predicarvi la sua parola prima che la predichiamo ad ogni altro popolo, portandovi per mezzo nostro la promessa benedizione, acciocchè vi convertiate de' vostri peccati ed abbiate la vita eterna.»

            A questa seconda predica di S. Pietro succedettero numerosissime conversioni alla fede. Cinque mila persone domandarono il battesimo, sicchè il numero dei fedeli convertiti in due prediche di san Pietro ascendeva già oltre a ottomila. {76 [368]}

 

Capo XIV. Pietro è messo con Giovanni in prigione e ne viene liberato.

 

            Ma il nemico del genere umano che vedeva distruggersi il suo regno cercò di suscitare una persecuzione contro alla Chiesa nel medesimo suo principio. Mentre Pietro predicava nel tempio, sopraggiunsero i sacerdoti, i magistrati del tempio ed i Sadducei, i quali negavano la risurrezione dei morti. Costoro mostravansi sommamente infuriati perchè Pietro predicava al popolo la risurrezione di G. C. Impazienti e pieni di collera interruppero la predica di Pietro, gli misero le mani addosso, lo condussero insieme a Giovanni in prigione con animo di discorrere con l'uno e con l'altro nel dì seguente. Temendo però rimostranze da parte del popolo, non fecero loro alcun male, e li lasciarono in pace tutta la notte.

            Fattosi giorno si radunarono tutti i principali della città, cioè tutto il supremo {77 [369]} magistrato di quella nazione si radunò a concilio per giudicare que' due Apostoli, come se fossero i più scellerati ed i più formidabili uomini del mondo. In mezzo a quella maestosa assemblea furono introdotti Pietro e Giovanni, e con essi lo storpio da loro guarito.

            Fu dunque loro fatta solennemente questa dimanda: con qual virtù e in nome di chi avete guarito questo storpio? Allora Pietro pieno di Spirito Santo con un coraggio veramente degno del capo della Chiesa prese a parlare nella seguente maniera: «Principi del popolo, e voi dottori della legge, ascoltate. Se in questo giorno veniamo accusati e ci formano un processo per un'opera ben fatta, quale è la guarigione di quell'infermo, sappiate tutti, e lo sappia tutto il popolo d'Israele, che costui, il quale vedete qui alla vostra presenza sano e salvo, ha ottenuto la sanita nel nome del nostro Signore Gesù Nazareno; quel medesimo che voi metteste in croce, e che Iddio ha fatto risorgere da morte a vita. Questa è quella Pietra che da voi fabbricando fu rigettata, e che ora è divenuta la Pietra angolare. Niuno può aver salute se non in {78 [370]} lui, nè avvi altro nome sotto al cielo dato agli uomini fuori di questo, nel quale si possa aver salute.»

            Questo parlare franco e risoluto del principe degli Apostoli produsse profonda impressione nell'animo di tutti coloro, che componevano l'assemblea, in guisa che ammirando il coraggio e l'innocenza di Pietro non sapevano a qual partito appigliarsi. Volevano punirli, ma il gran credito che il miracolo poco prima operato aveva loro fatto acquistare in tutta la città, faceva temere tristi conseguenze. Tuttavia volendo prendere qualche risoluzione fecero uscire i due Apostoli dal luogo del concilio, e convennero di proibire ad essi sotto pene severissime di non parlare mai più in avvenire delle cose passate, nè mai più nominare il nome di Gesù Nazareno, affinchè venisse a perdersi perfin la memoria di tali cose. Ma sta scritto che sono inutili gli sforzi degli uomini quando sono contrarti al volere di Dio.

            Pertanto ricondotti i due Apostoli in mezzo al concilio, come udirono intimarsi quella severa minaccia, lungi dallo spaventarsi, con fermezza e costanza maggiore {79 [371]} di prima Pietro rispose: orsù decidete voi stessi, se la giustizia e la ragione permettano di ubbidire piuttosto a voi che a Dio. Noi non possiamo fare a meno di palesare quel tanto che abbiamo udito e veduto.

            Allora quei giudici vie più confusi, non sapendo nè che rispondere, nè che fare, presero la risoluzione di mandarli per questa volta impuniti, proibendoli soltanto di non più predicare Gesù Nazareno.

            Appena lasciati liberi Pietro e Giovanni andarono subitaneamente a trovare gli altri discepoli, i quali erano in grave inquietudine per la loro prigionia. Come poi ebbero udito il racconto di quanto era avvenuto, ognuno rese grazie a Dio pregandolo a voler loro dare forza e virtù di predicare la divina parola a fronte di qualsiasi pericolo.

            Se i cristiani dei giorni nostri avessero il coraggio de' fedeli de' primi tempi, e superando ogni rispetto umano professassero intrepidi la loro fede, certamente non si vedrebbe tanto disprezzo di nostra santa religione; e forse tanti che cercano di mettere in burla e la religione ed i sacri ministri sarebbero dalla giustizia e {80 [372]} dalla innocenza costretti a venerare la stessa religione insieme co' suoi ministri.

 

Capo XV. Vita dei primitivi Cristiani. Fatto di Anania e Zaffìra. Miracoli di S. Pietro. Anno di G. C. 34.

 

            Per le prediche di S. Pietro e per lo zelo degli altri Apostoli, il numero dei fedeli era grandemente cresciuto. Molti pel desiderio di staccare interamente il loro cuore dai beni della terra e pensare unicamente al cielo vendevano le loro sostanze e le portavano ai piedi degli Apostoli, affinchè ne facessero quell’uso che meglio credevano a favore dei poveri. La sacra scrittura fa uno speciale encomio di un certo Giuseppe soprannominato Barnaba, che fu poi fedele compagno di S. Paolo apostolo. Costui vendè un campo che possedeva e ne portò generosamente l'intero prezzo agli Apostoli. Molti seguirono l'esempio di lui e andavano a gara per dar segno del loro distacco dalle cose terrene, di maniera che in breve quei fedeli formavano una sola {81 [373]} famiglia, di cui S. Pietro era capo. Non vi erano poveri; perchè i ricchi facevano parte delle loro sostanze ai bisognosi; nei giorni stabiliti si radunavano insieme per le sacre funzioni. È la sacra scrittura dice precisamente che quei fedeli erano perseveranti nella preghiera, nell'ascellare la parola di Dio e nel ricevere con frequenza la santa comunione, a segno che tra tutti formavano un cuor solo ed una anima sola per amare e servire Iddio Creatore.

            Tuttavia anche in quei tempi felici vi furono dei fraudolenti, i quali guidati da spirito d'ipocrisia tentarono di ingannare S. Pietro e mentire allo Spirito Santo. La qual cosa ebbe le più funeste conseguenze. Ecco come il sacro testo ci espone il terribile avvenimento.

            Certo Anania con sua moglie Zaffira fecero a Dio promessa di vendere un loro podere, ed al pari degli altri fedeli portarne il prezzo agli Apostoli, affinchè lo distribuissero secondo i varii bisogni. Eseguirono essi puntualmente la prima parte della promessa, ma l'amor dell'oro li condusse a violare la seconda. Essi erano padroni di tenersi il campo oppure {82 [374]} il prezzo, ma fatta la promessa erano tenuti a mantenerla, perciocchè le cose che si consacrano a Dio od alla Chiesa diventano sacre ed inviolabili.

            D'accordo pertanto tra di loro ritennero per sè una parte del prezzo, e portarono l'altra a S. Pietro, con intenzione di dargli ad intendere che questa fosse l'intera somma ricavata dalla vendita. Pietro ebbe speciale rivelazione dell'inganno, ed appena Anania comparve al suo cospetto, senza dargli tempo di proferir parola, con tuono autorevole e formidabile, si fece a rimproverarlo così: perchè ti sei lasciato sedurre dallo spirito di satana, fino a mentire allo Spirito Santo, fraudando una porzione del prezzo di quel tuo campo? Non era esso in tuo potere prima di venderlo? e dopo di averlo venduto non era a tua disposizione tutta la somma ricavata? Perchè dunque hai dato ricetto a questo reo disegno? Devi perciò sapere che hai mentito non agli uomini ma a Dio.

            A quel tuono, a quelle parole Anania come colpito da un fulmine, cadde morto sull'istante. Appena passate tre ore venne anche a presentarsi a Pietro Zaffira, senza nulla sapere del tragico fine del {83 [375]} marito. L'apostolo usò maggiore compassione verso di costei, e volle darle spazio di penitenza con interrogarla se quella somma fosse l'intero prodotto della vendita di quel campo. La donna con intrepidezza e temerità uguale a quella di Anania, con un'altra bugia confermò la bugia di suo marito. Perciò ripresa da S. Pietro collo stesso zelo e colla medesima forza, cadde anch'ella sull'istante e spirò. Giova sperare che un sì terribile castigo temporale avrà contribuito a far loro risparmiare il castigo eterno nell'altra vita. Una pena così esemplare era necessaria per insinuare venerazione pel cristianesimo a tutti quelli che venivano alla fede e procacciare rispetto al principe degli Apostoli, come eziandio per dare a noi un esempio del modo terribile con cui Dio punisce lo spergiuro, e in pari tempo ad ammaestrarci ad essere fedeli alle promesse fatte a Dio.

            Questo fatto unitamente ai molti miracoli, che Pietro operava, fecero che si raddoppiasse il fervore tra i fedeli, e si dilatasse la fama delle sue virtù. Tutti gli Apostoli operavano miracoli. Un ammalato che fosse stato in contatto col {84 [376]} corpo degli Apostoli, era tosto guarito. S. Pietro poi spiccava sopra ogni altro. Era tale la fiducia che tutti i fedeli avevano in lui e nelle sue virtù, che da tutte le parti, anche da paesi lontani, venivano in Gerusalemme per essere spettatori de' suoi miracoli. Talvolta avveniva che egli era attorniato da tal quantità di storpii e da tanti ammalati, che non era più possibile di potersegli avvicinare. Perciò portavano gl’interni sopra i pagliaricci nelle pubbliche piazze e nelle strade in modo che passando di colà S. Pietro, almeno l'ombra del suo corpo giugnesse a toccarli: la qual cosa era bastante per far guarire ogni genere di infermità. Santo Agostino assicura che un morto, sopra del quale era passata l'ombra di Pietro, immantinente risuscitò.

            I santi Padri ravvisano in questo fatto l'adempimento della promessa del Redentore a' suoi Apostoli dicendo che essi avrebbero operato miracoli anche maggiori di quelli che egli non aveva giudica o a proposito di operare. {85 [377]}

 

Capo XVI. S. Pietro di nuovo messo in prigione, è da un angelo liberato. Anno di G. C. 34.

 

            La chiesa di Gesù Cristo acquistava ogni giorno nuovi fedeli. La moltitudine dei miracoli unitamente alla santa vita di quei primi cristiani faceva che ogni grado, età e condizione di persone corressero in folla per chiedere il Battesimo, e così assicurare la loro eterna salvezza. Ma il principe dei sacerdoti ed i Saducei rodevansi di rabbia e di gelosia; nè sapendo quale mezzo usare per impedire la propagazione del Vangelo, fecero prendere Pietro e gli altri Apostoli, e li chiusero in prigione. Ma Iddio per dimostrare eziandio questa volta che sono vani i progetti degli uomini, quando sono contrarii ai voleri del cielo, e che Egli può fare quel che vuole e quando lo vuole, mandò in quella notte medesima un angelo che, aperte le porte della prigione, li cavò fuori dicendo loro: «In nome di Dio andate e con sicurezza predicate nel tempio {86 [378]} in presenza del popolo le parole di vita eterna. Non temete nè i comandi nè le minacce degli uomini.»

            Gli Apostoli vedutisi così prodigiosamente favoriti e difesi da Dio, secondo l'ordine avuto, di buon mattino si portarono al tempio a predicare ed ammaestrare il popolo. Il principe dei sacerdoti che desiderava di castigare severamente gli Apostoli, per dare una solennità al processo, convocò il sinedrio, gli anziani, gli scribi e tutti quelli che avevano qualche grado sopra il popolo. Di poi mandò a prendere gli Apostoli perchè dalla prigione fossero colà condotti.

            I ministri, ovvero gli sgherri, ubbidirono agli ordini dati. Vanno, aprono il carcere, entrano, e non vi trovano anima viva. Fanno immediatamente ritorno alla assemblea, e pieni di maraviglia annunziano la cosa così: abbiamo trovato il carcere chiuso e guardato con tutta diligenza: le guardie tenevano fedelmente il loro posto, ma avendolo aperto, non vi abbiamo trovato alcuno. Udito ciò non sapevano più a qual partito appigliarsi. Mentre stavano consultando intorno a ciò che dovessero deliberare, sopraggiunge {87 [379]} uno dicendo: noi sapete? quegli uomini che metteste ieri in prigione, sono ora nel tempio a predicare con maggior fervore di prima. Allora sentironsi più che mai ardere di rabbia contro gli Apostoli; ma il timore d'inimicarsi il popolo li trattenne, perchè avrebbero corso rischio di essere lapidati. Il prefetto del tempio si assunse di aggiustare egli stesso tale faccenda col migliore spediente possibile. Andò colà dove erano i predicatori e con buone maniere senza usare violenza alcuna li invitò a venir seco e li condusse nel mezzo dell'assemblea.

            Il sommo sacerdote volgendo loro la parola disse: sono appena alcuni giorni che noi vi abbiamo strettamente proibito di parlare di questo Gesù Nazareno, e intanto voi avete riempiuto la città di questa nuova dotirina. Sembra che vogliate versare sopra di noi la morte di quell'uomo e farci odiare da tutta la gente come colpevoli di quel sangue. Come osaste fare ciò?

            Ottimamente ci pare aver fatto, rispose Pietro anche a nome degli altri Apostoli, perciocchè bisogna piuttosto ubbidire a Dio che agli uomini. Quello che predichiamo è {88 [380]} una verità a noi messa in bocca da Dio, e noi non temiamo di dirla a voi in questa veneranda radunanza. Quivi Pietro ripetè quello che altre volte aveva detto intorno alla vita, passione e morte del Salvatore; conchiudendo sempre che loro era impossibile di tacere quelle cose che secondo gli ordini ricevuti da Dio dovevano predicare.

            A tali parole degli Apostoli proferite con tanta fermezza, non avendo che opporre, smaniavano di rabbia e già pensavano di farli morire. Ma ne furono distolti da un certo Gamaliele, che era uno dei dottori della legge colà radunati. Costui, considerata bene ogni cosa, fece uscire per breve ora gli Apostoli, poi levatosi in piedi disse in piena assemblea: o Israeliti, ponete ben mente a quello che siete per fare intorno a questi uomini; imperciocchè, se costoro predicano l'opera degli uomini, la loro dottrina cadrà da se stessa, come avvenne a tanti altri; che se eglino predicano l'opera di Dio, potrete voi forse opporvi a' suoi voleri? Tutta l'adunanza si acquetò, e seguì il suo consiglio.

            Fatti adunque rientrare gli Apostoli, la {89 [381]} prima cosa li fecero battere; poi loro ordinarono che assolutamente non parlassero più di Gesù Cristo. Essi adunque si partirono dal concilio pieni di allegria, perchè erano stati fatti degni di patire qualche cosa pel nome di G. C.

 

Capo XVII. Elezione di sette diaconi. - S. Pietro resiste alla persecuzione di Gerusalemme. - Va in Samaria. - Suo primo scontro con Simon mago. Anno di G. C. 35.

 

            La moltitudine dei fedeli che abbracciavano la fede occupava talmente lo zelo degli Apostoli, che essi dovendo attendere alla predicazione della divina parola, all'istruzione dei nuovi convertiti, all'orazione, all'amministrazione dei Sacramenti, non potevano più disimpegnare gli affari temporali. Tal cosa era cagione di malcontento presso ad alcuni fedeli, quasi che fossero tenuti in poca considerazione o disprezzati. Di ciò informato S. Pietro e gli altri Apostoli, risolvettero di porvi rimedio. Convocarono pertanto una numerosa radunanza di fedeli, e facendo loro {90 [382]} intendere come essi non dovevano tralasciare le cose del loro sacro ministero, per occuparsi delle cose temporali, proposero la elezione di sette diaconi, i quali conosciuti pel loro zelo e per la loro virtù attendessero all'amministrazione di certe cose sacre, come sarebbe l'amministrazione del Battesimo, dell'Eucaristia, e nello stesso tempo avessero cura della distribuzione delle limosine e delle altre cose materiali.

            Tutti approvarono tale divisamento, quindi S. Pietro e gli altri Apostoli imposero le mani ai nuovi eletti, e li destinarono ciascuno ai proprii uffizi. Colla aggiunta di questi sette diaconi, oltre all'aver provveduto ai bisogni temporali, si moltiplicarono eziandio gli operai evangelici, quindi maggiori conversioni. Dei sette diaconi fu celebre santo Stefano che per la sua intrepidezza a sostenere le verità del Vangelo, fu ucciso con essere lapidato fuori della città. È questi il primo martire dopo di Gesù Cristo. La morte di santo Stefano fu il principio di una grande persecuzione suscitata dagli Ebrei contro tutti i seguaci di Gesù Cristo. La qual cosa obbligò i fedeli a disperdersi qua e là per varie città e paesi. {91 [383]}

            Pietro cogli Apostoli rimase in Gerusalemme sia per confermare gli altri nella fede, sia per mantenere viva relazione con quelli che erano in altri paesi dispersi. A fine poi di evitare il furore dei Giudei, egli si teneva nascosto, noto solamente ai fedeli, uscendo però dalla sua segreta abitazione, qualora ne scorgesse il bisogno. Intanto un editto dell'imperatore Tiberio Augusto in favore dei cristiani e la conversione di S. Paolo fecero cessare la persecuzione. E fu allora che si conobbe come la provvidenza di Dio non permetta alcun male senza ricavarne del bene, perciocchè si servì della persecuzione per ispargere il Vangelo in altri luoghi, e si può dire che ciascun fedele era un predicatore di G. C. in tutti que' paesi ove andava a ricoverarsi. Di quelli che furono costretti a fuggire di Gerusalemme fu uno dei sette diaconi di nome Filippo. Esso andò nella città di Samaria dove colla predicazione e coi miracoli fece molte conversioni. Giunta a Gerusalemme la notizia che un numero straordinario di Samaritani erano venuti alla fede, gli Apostoli risolvettero d'inviare colà alcuni che amministrassero il Sacramento della {92 [384]} Cresima e supplissero a quello che i diaconi non aveano l'autorità di amministrare. Furono perciò destinati per quella missione Pietro e Gioanni: Pietro perchè come capo della Chiesa ricevesse in grembo di essa quella straniera nazione e unisse i Samaritani ai Giudei; Giovanni poi come speciale amico di S. Pietro e chiaro fra gli altri per miracoli e santità.

            Eravi in Samaria un certo Simone di Gitone, soprannominato Mago, vale a dire stregone. Costui a forza di ciance e d'incantesimi aveva ingannato molti, millantandosi di essere qualche cosa di straordinario. Bestemmiando diceva che egli era la virtù di Dio e quello stesso Spirito Santo, che era disceso sopra gli Apostoli. La gente pareva impazzata per lui e gli correva dietro acclamandolo persona divina. Essendosi un giorno trovato alla predicazione di Filippo ne fu commosso, e domandò il Battesimo per operare anche egli le maraviglie, che generalmente i fedeli operavano dopo di aver ricevuto questo Sacramento. Ma siccome non aveva fede, ricevutte solamente il battesimo senza gli effetti del sacramento che è la grazia.

            Giunti colà Pietro e Gioanni si posero {93 [385]} ad amministrare il sacramento della confermazione imponendo le mani, facendo orazioni, come fanno i vescovi d'oggidì. Simone vedendo che coll'imposizione delle mani ricevevano ancora il dono delle lingue e di far miracoli, pensò che sarebbe stata per lui gran fortuna, se avesse potato operare le medesime cose. Fattosi adunque vicino a Pietro, tirò fuori una borsa di danaro, e gliela offrì pregandolo che gli volesse eziandio concedere la podestà di fare miracoli e di dare lo Spirito Santo a coloro, cui egli avesse imposto le mani.

            S. Pietro fu vivamente sdegnato di tale empietà e rivolto a lui, scellerato, gli disse, sia teco il tuo danaro in perdizione, poichè tu hai creduto che per danaro si possano comprare i doni dello Spirito Santo. Affrettati a far penitenza di questa tua malvagità, e prega Iddio che ti voglia concedere il perdono. Simone temendo forse che accadesse a lui ciò che era accaduto ad Anania e Zafira tutto spaventato rispose: È vero: pregate eziandio voi per me onde in me non si verifichi tale minaccia. Codeste parole sembrano dimostrare che egli fosse pentito, ma non {94 [386]} lo era, egli non pregò gli Apostoli di impetrargli da Dio misericordia, bensì di tenere da lui lontano il flagello. Passato il timor del castigo egli ritornò ad essere quel di prima, cioè Mago, seduttore, amico del demonio. Noi lo vedremo in altri scontri con Pietro.

            I due Apostoli Pietro e Gioanni come ebbero amministrato il sacramento della Cresima ai nuovi fedeli della Samaria, e li ebbero rassodati nella fede che poco prima avevano ricevuto, dato loro il saluto di pace, partirono da quella città. Passarono per molti luoghi predicando G. C., reputando poco ogni fatica purchè contribuisse a propagare il Vangelo e guadagnare anime a G. C.

 

Capo XVIII. S. Pietro fonda la cattedra di Antiochia, ritorna in Gerusalemme. È visitato da S. Paolo. Anno di G. C. 36.

 

            S. Pietro ritornato da Samaria dimorò qualche tempo in Gerusalemme, dipoi andò a predicare la grazia del Signore in varii paesi. Mentre con zelo degno {95 [387]} del principe degli Apostoli predicava il Vangelo, e visitava le chiese che si andavano qua e là fondando venne a sapere che Simon Mago da Samaria erasi recato in Antiochia per ispargere cola le sue imposture. Pietro risolse di portarsi in quella città per dissipare gli errori di quel nemico di Dio e degli uomini. Giunto in quella capitale Pietro diè subito mano a predicare il Vangelo con grande zelo, e riuscì a convertire tal numero di gente alla fede, che i fedeli cominciarono colà ad essere chiamati cristiani, vale a dire seguaci di Gesù Cristo.

            Fra i personaggi illustri che per le prediche di S. Pietro si convertirono fu san Evodio. Al primo arrivo di Pietro egli lo invitò a casa sua, e il santo Apostolo gli si affezionò, gli procurò la necessaria istruzione, e vedendolo adorno delle necessarie virtù lo consacrò sacerdote, di poi vescovo, perchè facesse le sue veci in tempo di sua assenza, e perchè gli succedesse dipoi nel suo vescovado.

            Quando Pietro voleva dar principio alla predicazione in quella città incontrava grave ostacolo per parti del governatore che era un principe di nome Teofilo. Costui fece {96 [388]} mettere in prigione il Santo Apostolo come inventore di una religione contraria alla religione dello stato. Volle però venire a disputa con lui intorno alla fede che predicava, e sentendolo a dire che G. C. per amore degli uomini era morto in croce, disse: costui è matto, non bisogna più ascoltarlo. Acciocchè poi fosse riputato come tale, per ischerno, gli fece tagliare i capelli per mezzo, lasciandogli un cerchio intorno al capo in modo di corona. Quello che allora fu fatto a S. Pietro per disprezzo, ora gli ecclesiastici lo usano per onore, e si chiama chierica o tonsura, che rammemora la corona di spine posta sul capo al Divin Salvatore.

            Quando Pietro si vide a trattare a quel modo pregò il governatore che si degnasse di ascoltarlo un'altra volta. Essendogli tal cosa concessa, Pietro gli disse: Tu, o Teofilo, ti scandalizzi per avermi udito a dire, che il Dio che io adoro morì in croce. Già ti aveva detto che si era fatto uomo, ed essendo uomo non dovevi tanto maravigliarli che egli fosse morto, poichè il morire è proprio dell'uomo. Sappi però che egli morì in croce di sua volontà, perchè colla sua morte voleva dare la vita a tutti {97 [389]} gli uomini facendo pace fra il suo Eterno Padre e il genere umano. Ma siccome ti dico che egli morì, così ti accerto che egli risuscitò per virtù propria, avendo prima risuscitato molti altri morti. Teofilo sentendo a dire che aveva fatto risuscitare dei morti si acquietò, e con aria di maraviglia soggiunse: tu dici che questo tuo Dio risuscitò morti, ora se tu in suo nome farai risuscitare un mio figliuolo che morì alcuni giorni sono, io crederò quanto mi predichi. L'Apostolo accettò l'invito, andò alla tomba del giovane, e in presenza di molto popolo fece una preghiera e in nome di Gesù Cristo lo richiamò a vita[3]. La qual cosa fu causa che e il governatore e tutta la città credessero in Gesù Cristo.

            Teofilo divenne in breve fervoroso cristiano e in segno di stima e venerazione versò s. Pietro gli offerì la sua casa perchè ne facesse quell'uso che meglio desiderava. Quell'edifizio fu ridotto a forma di chiesa, dove si radunava il popolo per assistere al divino servizio, e per udire le prediche del {98 [390]} S. Apostolo. Affine poi di poterlo ascoltare con maggiore comodità e profitto, gli alzarono quivi una cattedra, dalla quale il Santo dava le sue sacre lezioni.

            È bene qui notare come S. Pietro per lo spazio di tre anni, per quanto poteva, risiedeva in Gerusalemme come capitale della Palestina, dove i Giudei potevano con maggior facilità avere con lui relazione. L'anno poi trentesimosesto di Gesù Cristo, sia per la persecuzione di Gerusalemme, sia per preparare la strada alla conversione de' Gentili, venne a stabilire la sua sede in Antiochia: cioè stabilì la città di Antiochia per sua ordinaria dimora, e come centro di comunione colle altre chiese cristiane.

            Governò Pietro questa chiesa d'Antiochia sette anni, finchè così inspirato da Dio trasferì la sua cattedra a Roma, come noi racconteremo a suo tempo. Lo stabilimento della santa sede in Antiochia è particolarmente narrato da Eusebio di Cesarea, da S. Girolamo, da S. Leone il Grande e da un gran numero di scrittori ecclesiastici. La chiesa cattolica celebra questo avvenimento con una particolare solennità il 22 febbraio. {99 [391]}

            Mentre S. Pietro da Antiochia erasi recato a Gerusalemme ricevette una visita che certamente gli fu di grande consolazione. S. Paolo che era stato convertito alla fede con uno strepitoso miracolo, sebbene fosse stato instruito da Gesù Cristo e da lui stesso mandato a predicare il Vangelo ai gentili, tuttavia volle recarsi da S. Pietro, per venerare in lui il capo della Chiesa, e da lui ricevere quegli avvisi e quelle istruzioni che fossero state a proposito. S. Paolo stette in Gerusalemme col principe degli Apostoli quindici giorni, il qual tempo bastò per lui, giacchè oltre alle rivelazioni avute da Gesù Cristo, aveva passato la sua vita nello studio delle scritture e dopo la sua conversione erasi indefessamente occupato nella meditazione e nella predicazione della parola di Dio.

 

Capo XIX. S. Pietro visita parecchie chiese, guarisce Enea paralitico. Risuscita la defunta Tabita. Anno di G. C. 38.

 

            S. Pietro era stato dal divin Salvatore deputato a governare nella fede tutti i {100 [392]} fedeli cristiani, e poichè molte chiese si andavano fondando or qua or là dagli Apostoli, dai Diaconi e da altri discepoli, perciò S. Pietro e per mantenere l'unità della fede, e per usare della podestà suprema conferitagli dal Salvatore, mentre teneva la sua ordinaria dimora in Antiochia andava a visitare personalmente le chiese che in quel tempo erano già state fondate o si andavano fondando. In certi luoghi confermava i fedeli nella fede, altrove consolava quelli che avevano sofferto nella passata persecuzione, qua amministrava il sacramento della Cresima, da per tutto poi ordinava pastori e vescovi, i quali dopo la sua partenza continuassero ad aver cura delle chiese e del gregge di Gesù Cristo.

            Passando da una città in un'altra pervenne ai Santi che abitavano in Lidda città distante circa venti miglia da Gerusalemme. Chi sono mai questi santi? I cristiani dei primi tempi per la vita virtuosa e mortificata che tenevano erano chiamati santi, e con tal nome dovrebbero potersi chiamare i cristiani d'oggidì che al pari di quelli sono chiamati alla santità. {101 [393]}

            Giunto alle porte della città di Lidda, Pietro incontrò un paralitico di nome Enea. Costui era attratto e tutto immobile nelle membra e da otto anni non si era più mosso dal suo lettuccio. Pietro come lo vide, senza esserne punto pregato, a lui rivolto, Enea, gli disse, il Signor Gesù Cristo ti ha guarito; levati su, e da le stesso aggiustati il letto. Enea si levò in piedi sano e robusto come se non fosse mai stato infermo. Molti si trovarono presenti a questo miracolo, che in breve si pubblicò per tutta la città e nel vicino paese detto Sarona. Tutti quegli abitanti mossi dalla bontà divina che in una maniera sensibile dava segni della sua potenza infinita, credettero in Gesù Cristo ed entrarono in grembo della Chiesa.

            A poca distanza da Lidda eravi Ioppe che è altra città posta sulle rive del mare Mediterraneo. Quivi dimorava una vedova cristiana di nome Tabita, la quale e per le sue limosine, e per molte altre opere di carità era universalmente chiamata la madre dei poveri. Avvenne in que' dì che ella cadde ammalata, e dopo breve malattia morì lasciando in tutti il più vivo rincrescimento. Secondo l'uso di que' tempi {102 [394]} le donne lavarono il suo cadavere, e lo portarono sopra il terrazzo per fargli a suo tempo la sepoltura.

            Ora per la vicinanza di Lidda essendosi in Ioppe sparsa la notizia del miracolo operato nella guarigione di Enea furono colà mandati due uomini a pregar Pietro, che volesse venire a vedere la defunta Tabita. Egli intesa la morte di quella virtuosa discepola di G. C. e il desiderio che andasse colà per farla risuscitare, partì tosto con loro.

            Giunto a Ioppe i discepoli lo condussero sul terrazzo e mostrandogli il cadavere di Tabita raccontavangli le molte opere di carità di quella buona donna e lo pregavano che la volesse far risuscitare.

            I poveri e le vedove come seppero la venuta di Pietro corsero piangendo a pregarlo che loro volesse restituire la buona loro madre. Vedi, diceva una, quest'abito fu opera della sua carità; questa tonaca, i calzari di quel ragazzo, altre soggiungono, sono cose tutte donate da lei. Alla vista di tanta gente che piangeva, di tante opere di carità che si andavano raccontando, Pietro ne fu intenerito. Si alzò in piedi e veltosi al cadavere: Tabita, disse, {103 [395]} io ti comando, levati su. Tabita in quell'istante apri gli occhi ed avendo veduto Pietro si pose a sedere e a parlare con lui. Pietro presala per mano, la rialzò, e chiamati i discepoli, loro restituì la loro madre sana e salva. Grandissimo fu il giubilo che si levò in tutta la casa; da tutte parti piangevano di allegrezza, parendo a quei buoni cristiani di aver riacquistato un tesoro in quella sola donna, che veramente era la consolazione di quella città. Da questo fatto imparino i poveri ad essere riconoscenti a chi loro porge limosina. Imparino i ricchi che cosa voglia dire essero pietosi e liberati verso i poveri.

 

Capo XX. Dio rivela a S. Pietro essere giunto il tempo della vocazione de' Gentili. Va in Cesarea e battezza la famiglia di Cornelio Centurione. Anno di G. C. 39.

 

            Iddio aveva più volte fatto predire dai suoi profeti che alla venuta del Messia tutte le nazioni sarebbero state chiamate alla conoscenza del vero Dio. Lo stesso {104 [396]} divin Salvatore aveva dato espresso comando a' suoi Apostoli, dicendo: ite, docete omnes gentes, andate, ammaestrate tutti i gentili. Gli stessi predicatori del Vangelo avevano già ricevuto alcuni gentili alla fede, come avevano fatto dell'Eunuco della Regina Candace, e di Teofilo Governatore di Antiochia; ma questi erano fatti particolari, e gli Apostoli fino allora avevano quasi esclusivamente predicato il Vangelo agli Ebrei, aspettando dal Signore avviso speciale dell'epoca in cui dovessero senza eccezione ricevere alla fede anche i gentili e i pagani. Tale rivelazione doveva certamente essere fatta a S. Pietro capo della Chiesa. Ecco come il sacro testo espone questo memorabile avvenimento. In Cesarea città della Palestina abitava un certo Cornelio Centurione, ovvero uffiziale di una coorte, corpo di 100 soldati, che apparteneva alla legione italica, così chiamata perchè composta di soldati italiani.

            La Sacra Scrittura gli fa un elogio dicendo, che egli era un uomo religioso e pieno di timor di Dio. Le quali parole vogliono dire che egli era gentile, ma che aveva lasciata l'idolatria nella quale {105 [397]} era nato, adorava il vero Dio, faceva molte limosine ed orazioni, viveva religiosamente secondo il dettame della retta ragione.

            Iddio infinitamente misericordioso, che non manca mai colla sua grazia di venire in soccorso di chi fa quel che può dal canto suo, mandò un Angelo a Cornelio per istruirlo di ciò che doveva fare. Stava questo buon soldato facendo orazione; quando vide comparirsi dinanzi un angelo sotto la sembianza d'uomo vestito di bianco. Cornelio, disse l'angelo. Ed egli preso da paura fissò in lui gli sguardi dicendo: chi siete voi, o Signore, che volete? Allora l'angelo: Iddio si è ricordato delle tue limosine; le tue orazioni giunsero al suo trono, e volendo appagare i tuoi desiderii mandò me per additarti la via della salute. Perciò manda a Ioppe, e cerca di un tal Simone soprannominato Pietro. Egli dimora presso un altro Simone conciatore di pelli, che ha la casa vicino al mare. Da questo Pietro saprai tutto ciò che è necessario per salvarti. Non tardò Cornelio ad ubbidire alla voce del Cielo, e chiamati a sè due domestici e un soldato, persone tutte che {106 [398]} temevano Iddio, raccontò la visione e comandò che si portassero immediatamente in Ioppe pel fine indicatogli dall'angelo.

            Partirono costoro sull'istante e camminando tutta la notte giunsero in Ioppe nel dì seguente verso al mezzogiorno, perciocchè la distanza fra queste due città è di circa 40 miglia. Poco prima che ivi giungessero, S. Pietro ebbe anche egli una maravigliosa rivelazione, colla quale veniva a conoscere che eziandio i gentili erano chiamati alla fede. Stanco dalle sue fatiche il santo apostolo un giorno era venuto a casa del suo ospite per ristorarsi, e secondo il solito si portò prima in una camera posta nel piano superiore per fare orazione. Mentre pregava gli parve di vedere il Cielo aperto e dal mezzo calare giù fino a terra un certo arnese a guisa di ampio lenzuolo, che sostenuto nelle sue quattro estremità formava come un gran vaso pieno di ogni sorta di animali, quadrupedi, serpenti e volatili, i quali tutti, secondo la legge di Mosè, erano tenuti immondi, cioè non potevano mangiarsi nè offrirsi a Dio. Nel tempo stesso udì una voce che disse: Su via, o Pietro, uccidi, e mangia. Attonito l'Apostolo a tal {107 [399]} comando, non sia mai, rispose, che io mangi animali immondi, dai quali mi sono sempre astenuto. La voce soggiunse: non chiamare immondo quello che Iddio ha purificato. Dopo essergli stata per tre volte ripetuta la stessa visione, quel vaso misterioso si alzò verso il cielo e disparve.

            I Ss. Padri riconoscono figurati in questi animali immondi i peccatori e tutti quelli che, involti nel vizio e nell'errore, per mezzo del sangue di G. C. sono purificati da Dio e ricevuti in gratia.

            Mentre Pietro stava meditando che cosa volesse mai significare quella visione giunsero i tre messaggeri. In quei momento Dio glieli fece conoscere e gli comandò di scendere ad incontrarli, mettersi in loro compagnia, e andare seco loro senza alcun timore. Sceso egli adunque, e vedutili, disse: eccomi, io sono colui che voi cercate. Qual è il motivo della vostra venuta? Udita la visione di Cornelio e la cagione del loro viaggio, comprese subito il significato di quel misterioso lenzuolo; perciò li accolse gentilmente, e li fece dimorare seco quella notte. La mattina vegnente accompagnato da sei discepoli parti da Ioppe coi messaggeri, e in numero {108 [400]} di dieci presero il cammino alla volta di Cesarea.

            Dopo due giorni Pietro con tutta la sua comitiva giunse in quella città dove con grande ansietà l'attendeva il Centurione. Questi per maggiormente onorare il suo ospite aveva convocato tutti i suoi parenti ed amici, affinchè potessero anch'essi partecipare delle celesti benedizioni che all'arrivo di Pietro sperava di ottenere dal Cielo. Allorchè il buon Centurione per ordine di Dio mandò a chiamare Pietro per intendere da lui i voleri del Cielo dovette certamente formarsi una grande idea di lui, reputandolo un personaggio sublime e non conforme agli altri uomini. Perciò entrando Pietro in sua casa gli si fece tosto incontro, gli si gettò ai piedi in atto di adorarlo. Pietro pieno di umiltà lo rialzò immantinenti avvisandolo che egli era al par di lui un semplice uomo. Seguitando poscia a parlare entrarono nel luogo dell'adunanza.

            Là alla presenza di tutti Pietro raccontò l'ordine da Dio ricevuto di conversare coi Gentili e di non più giudicarli come abbominevoli e profani. Ora io sono qui da voi, conchiuse; ditemi {109 [401]} pertanto quale sia la cagione per cui mi avete chiamato? Cornelio ubbidì all'invito di Pietro, si levò in piedi e raccontò quanto eragli accaduto quattro giorni prima, protestando che egli e tutti quelli colà radunati erano prontissimi ad eseguire ogni cosa, che per commissione divina avesse loro comandato. Allora Pietro spiegando il carattere di apostolo del Signore, depositario fedele della religione e della fede, prese ad istruire nei principali misteri del Vangelo tutta quella onorevole assemblea.

            Continuava Pietro il suo ragionamento quando lo Spirito Santo scese visibilmente sopra Cornelio e sopra gli altri colà radunati, ed in maniera sensibile comunicò loro il dono delle lingue, per il che essi magnificavano Iddio cantandone le lodi. S. Pietro vedendo operarsi colà quasi lo stesso prodigio operato nel cenacolo di Gerusalemme esclamò: Avvi forse alcuno che possa impedire che noi battezziamo costoro, i quali hanno ricevuto lo Spirito Santo al pari di noi? Indi rivolto a' suoi discepoli ordinò che tutti li battezzassero. La famiglia di Cornelio {110 [402]} fu la prima di Roma e d'Italia che abbracciasse la fede.

            S. Pietro dopo averli tutti battezzati ritardò la sua partenza da Cesarea, si fermò qualche tempo per appagare le pie istanze di Cornelio e di tutti quei novelli battezzati, che di ciò il pregavano instantemente. Pietro approfittò di quel tempo per predicare il Vangelo in quella cillà, e tale ne fu il frutto che egli risolvette di assegnare un pastore a quella moltitudine di fedeli, e questi fu S. Zaccheo, di cui si parla nel Vangelo, il quale perciò fu consacrato primo vescovo di Cesarea. V. Teodoreto, S. Gio. Grisostomo, S. Clemente, ecc.

            Questo fatto, cioè l'avere ammesso alla fede i gentili, cagionò una certa gelosia tra i fedeli di Gerusalemme, nè mancarono quelli, che disapprovarono pubblicamente quanto aveva fatto S. Pietro. Per la qual cosa egli giudicò bene di recarsi in quella città per disingannare gl'illusi, e far conoscere che quanto aveva operato era ordine di Dio. Giunto in Gerusalemme, alcuni si presentarono a lui parlandogli arditamente così: perchè sei tu andato da uomini non circoncisi, ed {111 [403]} hai mangiato con essi? Pietro alla presenza di tutti i fedeli radunati, senza far conto della fatta interrogazione, diede loro ragione di quanto aveva fatto, cominciando dalla visione avuta in Ioppe, del vaso ripieno d'ogni sorta d'animali immondi, dell'ordine ricevuto da Dio di cibarsi di essi; della ripugnanza che mostrò di ubbidire per timore di contraddire alla legge; e della voce che si fece di nuovo udire di non più chiamare immondo quello che era stato da Dio purificato. Dipoi espose minutamente quanto era avvenuto in casa di Cornelio e come in presenza di molti era disceso visibilmente lo Spirito Santo. Allora tutta quella assemblea riconoscendo la voce del Signore in quella di Pietro, sì acquietarono e lodarono Iddio che avesse esteso i limiti della sua misericordia. {112 [404]}

 

Capo XXI. Erode fa decapitare S. Giacomo il maggiore e mettere S. Pietro in prigione, ma ne è liberato da un angelo. - Morte di Erode. Anno di G. C. 41.

 

            Mentre la parola di Dio predicata con santo zelo dagli Apostoli, e da' discepoli produceva frutti di vita eterna fra gli Ebrei e fra i Gentili, la Giudea era governata da Erode Agrippa nipote di Erode il Grande. Dominato costui da spirito di ambizione e di vanagloria desiderava perdutamente di guadagnarsi l'affetto del popolo. Gli Ebrei e specialmente quelli che erano in qualche autorità, seppero valersi di questa sua propensione per muoverlo a perseguitare la Chiesa e cercare gli applausi dei perversi Giudei nel sangue dei cristiani. Cominciò egli dal far mettere in prigione l'apostolo S. Giacomo per farlo di poi condannare al patibolo. Questi è S. Giacomo Maggiore fratello di S. Giovanni l’evangelista, fedele amico di Pietro, che ebbe seco lui molti segni di speciale benevolenza dal Salvatore. {113 [405]}

            Questo coraggioso apostolo dopo la discesa dello Spirito Santo predicò il Vangelo nella Giudea, di poi andò nella Spagna, dove convertì molti alla fede. Ritornato in Palestina, fra gli altri converti un certo Ermogene, uomo celebre, la qual cosa dispiacque molto ad Erode, e gli servì di pretesto per farlo mettere in prigione. Condotto dinanzi ai tribunali, dimostrò tanta fermezza nel rispondere e confessare G. C. che il giudice ne rimase maravigliato. Il suo stesso accusatore, commosso da tanta costanza, rinunziò al giudaismo e si dichiarò pubblicamente cristiano, e come tale venne eziandio condannato a morte. Mentre amendue erano condotti al supplizio, esso si rivolse a S. Giacomo e gli dimandò perdono di quanto aveva detto e fatto contro di lui. Il santo apostolo dandogli un'affettuosa occhiata pax tecum, gli disse, la pace sia con te. Quindi lo abbracciò e lo baciò, protestando che di tutto cuore lo perdonava, anzi come fratello lo amava. Di qui si vuole che abbia avuto origine il segno di pace e di perdono, che suole usarsi fra i cristiani e specialmente nel sacrificio della santa messa. {114 [406]}

            Dopo di che quei due generosi confessori della fede ebbero tagliatata la testa e si congiunsero eternamente in cielo.

            Una tal morte contristò molto i fedeli ma rallegrò al sommo i Giudei, i quali colla morte dei capi della religione si pensavano di mandare a fine la religione medesima. Erode vedendo che la morte di S. Giacomo era piaciuta ai Giudei, pensò di procacciar loro un più dolce spettacolo col far imprigionare S. Pietro, per poi lasciarlo in balìa del loro cieco furore. E poichè correva la settimana degli azimi, che per gli Ebrei è tempo di giubilo e di preparazione alla Pasqua, non volle funestare la pubblica allegrezza di quei giorni col supplizio di un uomo preteso reo. Carico perciò di catene il fece condurre in mezzo a due custodi, e ordinò che fosse con tutta cautela custodito dentro ad oscura prigione fino al termine di quella solennità. Diede poi ordine rigoroso che fossero posti per guardia sedici soldati, i quali notte e giorno vegliassero ripartiti in due luoghi, cioè altri in vista della prigione, altri alla porta di ferro che metteva in un viottolo della città. Certamente sapeva quel {115 [407]} re come Pietro fosse già stato altre volte posto in prigione, e uscito in una maniera affatto maravigliosa, e non voleva che gli accadesse altra volta somigliante cosa. Ma tutte queste cautele, uscio, porta, catene, custodi e guardie ad altro non servirono che a dar maggior risalto all'opera di Dio.

            Siccome l'arma più polente lasciata dal Salvatore ai cristiani è la preghiera, così tutti i fedeli, come privati del loro comun padre e pastore, si radunarono insieme, piangendo la prigionia di lui, e porgendo di continuo preghiere a Dio, onde lo liberasse dall'imminente pericolo. Sebbene queste loro orazioni fossero più forti delle catene, nondimeno piacque al Signore di esercitare per qualche giorno la loro pazienza e fede, e fare vie più conoscere gli effetti della sua onnipotenza.

            Era già la notte precedente al giorno fissato per la morte di Pietro. Egli era tutto rassegnato alle divine disposizioni, egualmente preparato a vivere e morire per la gloria del suo Signore; perciò nel buio di quell'orrida prigione dimorava colla maggior tranquillità dell'animo suo. Dormiva egli, ma per lui vegliava chi ha {116 [408]} promesso di assistere la sua Chiesa. Era la mezzanotte, ogni cosa in cupo silenzio, quando improvvisamente una luce sfolgoreggiante illumina tutto quel carcere; mentre un angelo mandato da Dio scuote Pietro, lo risveglia dicendogli: presto, levati su. A tali parole ambe le catene si sciolsero e gli caddero dalle mani. Allora l'angelo continuò: mettiti tosto gli abiti indosso coi calzari ai piedi: S. Pietro fece ogni cosa; e l'angelo seguì, dicendogli: mettiti ancora sulle spalle il mantello, e vienmi dietro. Pietro ubbidì; ma gli pareva che tutto fosse un sogno e che egli fosse fuori di sè. Intanto le porte della prigione trovandosi aperte, egli se ne usciva seguendo l'angelo che gli andava innanzi. Passate le prime e le seconde guardie, senza che dessero il minimo segno di vederli, giunsero alla porta di ferro d'enorme grossezza, che mettendo fuori dall'edifizio delle carceri dava adito in città. Quella porta si aprì da se medesima. Usciti adunque camminarono alquanto insieme finchè l'angelo disparve. Allora Pietro tornato in se stessso, e riflettendo sopra se medesimo, ora, disse, mi accorgo che il Signore mandò {117 [409]} veramente il suo angelo a liberarmi dalle mani di Erode, e dal giudizio che gli Ebrei aspettavano che egli facesse di me. Considerato poi bene il luogo dove era, andò difilato alla casa di certa Maria, madre di Giovanni, soprannominato Marco, dove molti fedeli stavano radunati in orazione supplicando Iddio che si degnasse di venire in soccorso del capo della Chiesa.

            Giunto S. Pietro a quella casa, si mise a bussare la porta. Una fanciulla di nome Rosa, andò per vedere chi fosse. Chi c'è? ella disse. E Pietro: son'io, apri. La fanciulla conosciutane bene la voce, quasi fuor di sè per la gioia, non badò più ad aprire la porta, e lasciatolo fuori, corse a darne avviso ai padroni. Non sapete? egli è Pietro. Ma quegli le dissero: tu vaneggi, Pietro è in prigione e non può trovarsi qui a quest'ora. Ma ella continuava ad asserire che era veramente desso. Essi allora dissero: quello che tu hai visto o sentito sarà forse il suo angelo, che nella forma di lui può esser venuto a darcene qualche novella.

            Mentre costoro disputavano colla fanciulla, Pietro seguitava a bussare più {118 [410]} forte dicendo: olà, aprite. Ciò li mosse a correre in fretta ad aprire, e conobbero che era veramente Pietro. A tutti sembrava un sogno, e ciascuno giudicava di vedere un morto risuscitato. Alcuni chiedevano chi l'avesse liberato, altri quando, alcuni erano impazienti di sapere se erasi operato qualche prodigio. Allora Pietro per appagarli tutti, fatto cenno colla mano che stessero in silenzio, raccontò per ordine tutto l'avvenuto coll'angelo, e come lo aveva cavato di prigione. Ognuno piangeva di tenerezza e lodando Iddio, lo ringraziavano del favore loro usato.

            Pietro non giudicandosi più sicuro della vita in Gerusalemme, disse a quei discepoli, andate e riferite queste cose a Giacomo (il Minore, vescovo di Gerusalemme) ed agli altri fratelli, e liberateli dalla pena in cui si trovano per conto mio. In quanto a me, io vedo conveniente partire da questa città e andarmene altrove.

            Quando fu sparsa la notizia che Iddio aveva così prodigiosamente liberato il capo della Chiesa, tutti i fedeli ne furono vivamente consolati. {119 [411]}

            La Chiesa cattolica celebra la memoria di questo glorioso avvenimento il giorno primo di agosto sotto il titolo di festa di S. Pietro in Vincoli. Ma che ne fu di Erode e delle sue guardie? Fattosi giorno, le guardie che nulla avevano nè udito nè veduto, andarono di buon mattino a visitare la prigione; quando poi non trovarono più Pietro, rimasero prese dal più grande sbigottimento. La cosa fu subito riferita ad Erode, il quale fece bensì cercare S Pietro, ma non gli fu più possibile di trovarlo. Allora sdegnato fece fare un processo ai soldati e li fece tutti condurre a morte, forse per sospetto di negligenza o d'infedeltà, avendo trovato aperte le porte della prigione.

            Ma l'infelice Erode non tardò molto a pagare il fio delle ingiustizie e dei tormenti fatti patire ai seguaci di Gesù Cristo. Per alcuni affari politici da Gerusalemme egli era andato nella città di Cesarea, e mentre si pasceva degli applausi, con cui il popolo follemente lo adulava chiamandolo Dio; in quell'istante medesimo fu colpito da un Angelo del Signore; venne portato fuori della piazza, e fra indicibili dolori rosicato dai vermi spirò. {120 [412]} Questo fatto fa vedere con quanta sollecitudine Dio viene in aiuto dei suoi servi fedeli, e dà un avviso terribile ai malvagi. Essi devono grandemente temere la mano di Dio, che severamente punisce anche nella presente vita coloro, che disprezzano la religione o nelle cose sacre o nella persona de' suoi ministri.

 

Capo XXII. S. Pietro trasferisce la cattedra Apostolica a Roma. Progresso del Vangelo. Anno di G. C. 42.

 

            L'Apostolo S. Pietro dopo di essere fuggito da Gerusalemme ritornò in Antiochia. Colà si radunarono gli Apostoli e stabilirono che tutti quelli i quali avessero abbracciata la fede del Vangelo fossero chiamati cristiani, vale a dire seguace di Gesù Cristo; il qual nome si conservò fino ai nostri giorni. Dopo di che S. Pietro secondando gl'impulsi dello Spirito Santo decise di trasferire la sua sede a Roma. Pertanto dopo di aver tenuta la sua cattedra in Antiochia sette anni partì alla volta di Roma. Nel suo {121 [413]} viaggio predicò Gesù Cristo nel Ponto e nella Bitinia, che sono due vaste Provincie dell'Asia Minore: seguendo il suo viaggio egli predicò il santo Vangelo in Sicilia, ed in Napoli, dando a questa città per vescovo S. Aspreno. Finalmente giunse a Roma l'anno quarantesimo secondo di Gesù Cristo, mentre teneva il Romano impero un imperatore di nome Claudio.

            Pietro trovò quella città in istato veramente deplorabile. Era, dice S. Leone, un pelago immenso d'iniquità, una sentina di tutti i vizi, una selva di bestie frementi. Le strade, le piazze, erano seminate di statue, di bronzi, di pietre adorate come Dei, e dinanzi a quegli orridi simulacri si bruciavano incensi, e si facevano sacrifizi. Il demonio medesimo era adorato con nefande sozzure; le azioni più vergognose reputavansi atti di virtù. Si aggiungano le leggi che proibivano ogni nuova religione. I sacerdoti idolatri ed i filosofi erano eziandio gravi ostacoli. Di più trattavasi di predicare una religione che disapprovava il culto di tutti gli Dei, condannava ogni sorta di vizi e comandava le più sublimi virtù.

            Tutte queste difficoltà anzichè arrestare {122 [414]} lo zelo del principe degli Apostoli lo accesero maggiormente di desiderio di liberare quella miserabile città dalle tenebre di morte. S. Pietro adunque appoggiato al solo aiuto del Signore entra in Roma per formare della metropoli dell'impero la prima sede del Sacerdozio, il centro del cristianesimo.

            La fama però delle virtù e dei miracoli di Gesù Cristo era già ivi pervenuta. Pilato ne mandò relazione all'imperatore Tiberio, il quale commosso al leggere la santa vita, e la morte gloriosa del Salvatore, aveva divisato di annoverarlo fra gli Dei Romani. Da prima Pietro cominciò a predicare il Vangelo agli Ebrei che abitavano allora in Transtevere, che è una parte della città di Roma posta al di là del Tevere.

            Dalla sinagoga degli Ebrei Pietro passò a predicare a' Gentili i quali con trasporto di vera gioia correvano ansiosi per ricevere il Battesimo. Il loro numero divenne così grande, e la loro fede così viva, che S. Paolo poco dopo ebbe a consolarsi co' Romani scrivendo queste parole: La vostra fede è annunziata, cioè fa parlare di sè, estende la sua fama, per {123 [415]} tutto il mondo. (Rom. c. 1.) Nè solamente sopra il basso popolo cadevano le benedizioni del Cielo, ma anche sopra persone della primaria nobiltà. Si vedevano uomini elevati alle prime cariche di Roma abbandonare il culto dei falsi Dei per mettersi sotto al soave giogo di Gesù Cristo. Eusebio vescovo di Cesarea dice che i ragionamenti di Pietro erano così robusti, e s'insinuavano con tanta dolcezza negli animi degli uditori, che diveniva padrone dei loro a affetti e tutti rimanevano come incantati dalle parole di vita che gli uscivano dalla bocca e non si saziavano di ascoltarlo. Sì grande era il numero di quelli che chiedevano il Battetesimo, che Pietro aiutato da altri suoi compagni lo amministrava sulle rive del Tevere, nella stessa guisa che S. Gioanni Battista lo amministrava su quelle del Giordano. Eus. stor. Eccl. lib. 2, cap. 15.

            Giunto in Roma Pietro abitò il sobborgo detto Trastevere vicino al luogo dove fu di poi edificata la Chiesa di santa Cecilia. Di qui nacque la special venerazione che i trasteverini tuttora conservano verso la persona del sommo Pontefice. Fra i primi a ricevere la fede fu un {124 [416]} certo Pudente senatore, che aveva occupato le più sublimi cariche dello stato. Egli diede in sua casa ospitalità al Principe degli Apostoli, ed esso ne approfittava per celebrare i Divini Misteri, amministrare ai fedeli la santa Eucaristia, e spiegare le verità della fede, a quelli che lo venivano ad ascoltare. Quella casa fu bentosto cambiata in un tempio consacrato a Dio sotto il titolo del Pastore, il più antico di Roma, e si crede che sia quel medesimo che presentemente è detto di S.a Pudenziana. Quasi contemporaneamente fu fondata un'altra Chiesa dal medesimo Apostolo, che si vuole essere quella che oggidì si appella di S. Pietro in vincoli.

            Bisogna qui ritener bene che per sede o cattedra di S. Pietro, non intendasi la sedia materiale, ma s'intende l'esercizio di quella suprema autorità che egli aveva ricevuto da Gesù Cristo, specialmente quando gli disse, che quanto egli avrebbe legato o sciolto sopra la terra sarebbe altresì stato legato o sciolto in cielo. S'intende l'esercizio di quell'autorità conferitagli da Gesù Cristo di pascolare il gregge universale dei fedeli, sostenere e conservare gli altri pastori nell'unità di fede e di {125 [417]} dottrina siccome hanno sempre fatto i sommi Pontefici da S. Pietro fino al regnante Pio IX.

            S. Pietro vedendo come Roma fosse così ben disposta a ricevere la luce del Vangelo, e nel tempo stesso un luogo molto adattato per tener relazione in tutti i paesi della Cristianità, stabilì la sua cattedra in Roma, vale a dire stabilì che Roma fosse centro e luogo di sua special dimora, ove dalle varie parti del mondo dovessero ricorrere i cristiani nei dubbi di religione e nei varii loro spirituali bisogni. La Chiesa Cattolica celebra la festa detto stabilimento della cattedra di S. Pietro in Roma il 18 gennaio.

            Poichè le occupazioni che S. Pietro aveva in Roma non gli permettevano più di potersi recare a visitare quelle chiese che egli in varii paesi aveva fondato, scrisse una lunga e sublime lettera indirizzata specialmente a' Cristiani che abitavano nel Ponto, nella Galazia, nella Bitinia e nella Cappadoccia, che sono provincie dell'Asia minore. Egli qual padre amoroso dirige il discorso a' suoi figliuoli per animarli ad essere costanti nella fede che {126 [418]} aveva loro predicato e li avvisa specialmente di guardarsi dagli errori che gli eretici fin da quei tempi andavano spargendo contro alla dottrina di Gesù Cristo.

            I Romani che avevano con gran fervore abbracciata la fede predicata da Pietro manifestarono a S. Marco, fido discepolo dell'Apostolo, il vivo loro desiderio che mettesse in iscritto quello che S. Pietro predicava. S. Marco difatti aveva accompagnato S. Pietro in parecchi viaggi e lo aveva udito a predicare in molti paesi. Perciò tra le prediche udite e quel tanto che in famigliari trattenimenti aveva imparato dal Maestro, e colla inspirazione dello Spirito Santo era realmente in grado di appagare i pii desiderii di quei fedeli. Perciò vinto dalle loro istanze si accinse a scrivere il Vangelo, vale a dire un fedele racconto delle azioni del Salvatore, ed è quello che abbiamo oggidì sotto al nome di Vangelo secondo S. Marco.

            S. Pietro da Roma mandò vari suoi discepoli in diverse parti d'Italia e in molti altri paesi del mondo. Inviò S. Apollinare in Ravenna, S. Trofimo nelle Gallie e precisamente nella città di Arles; donde il Vangelo si propagò negli altri {127 [419]} paesi della Francia; mandò S. Marco in Alessandria di Egitto a fondare in suo nome quella chiesa. Così la città di Roma, capitale di tutto l'impero, la città di Alessandria che era la prima dopo Roma, quella di Antiochia, capitale di tutto l'Oriente, ebbero per fondatore il principe degli Apostoli, e divennero perciò le tre prime sedi patriarcali, tra cui fu per più secoli ripartito il dominio del mondo cattolico, salvo sempre però la dipendenza dei patriarchi Alessandrino ed Antiocheno dal Pontefice Romano capo di tutta la Chiesa, pastore universale, centro di unità. Mentre S. Pietro mandava tanti suoi discepoli a predicare altrove il Vangelo egli in Roma ordinava Sacerdoti, consacrava Vescovi, tra cui aveva scelto S. Lino per Vicario a fare sue veci in occasione che qualche grave affare lo avesse obbligato ad allontanarsi da quella città. {128 [420]}

 

Capo XXIII. S. Pietro va al Concilio di Gerusalemme, definisce una questione. S. Giacomo conferma il suo giudizio. Anno di G. C. 50.

 

            Roma era ordinaria dimora del principe degli Apostoli, ma le sue vigilanze dovevano estendersi a tutti i fedeli cristiani. Perciò qualora fossero insorte difficoltà o questioni intorno a cose di religione egli mandava qualche suo fido discepolo, o scriveva lettere in proposito e talvolta andava egli stesso in persona; siccome fece in una questione insorta in Antiochia tra i Giudei ed i Gentili.

            Credevano gli Ebrei che per essere buoni Cristiani fosse necessario di ricevere la Circoncisione, ed osservare tutte le cerimonie della legge di Mosè. I Gentili rifiutavano di sottomettersi a questa pretensione degli Ebrei, e la cosa venne a tal punto che ne ridondava grave danno e scandalo tra i semplici fedeli e tra gli stessi predicatori del Vangelo. Laonde S. Paolo e S. Barnaba giudicarono bene di ricorrere al giudizio del capo della Chiesa e degli {129 [421]} altri Apostoli, affinchè colla loro autorità sciogliessero ogni dubbio.

            S. Pietro si recò in Gerusalemme, ove giunto convocò tutti gli Apostoli, e tutti quei primarii Pastori che potè avere; quindi Paolo e Barnaba accolti in concilio esposero in piena adunanza la loro ambasciata a nome dei Gentili d'Antiochia, le ragioni ed i timori d'una parte e dell'altra, dimandando la loro deliberazione per quiete e sicurezza della coscienza.

            Quella sacra assemblea prese ad esaminare questo punto, e dopo lunga discussione sulla proposta materia, infine levatosi Pietro prese a parlare così: Fratelli, voi ben sapete come Iddio elesse me per far conoscere ai Gentili la luce del Vangelo e le verità della fede siccome avvenne di Cornelio Centurione, e di tutta la sua famiglia. Ora Iddio che conosce i cuori degli uomini ha renduto testimonianza a quei buoni gentili mandando sopra di loro lo Spirito Santo come aveva fatto sopra di noi, e niuna differenza ha fatto tra noi e loro, mostrando che la fede gli aveva purificati dalle immondezze che prima gli escludevano dalla {130 [422]} grazia. Dunque la cosa è chiara che senza la circoncisione i Gentili sono giustificati per la fede di Gesù Cristo. A che pertanto vogliamo tentar Iddio quasi provocandolo a darci una prova più sicura della sua volontà? Perchè imporre a questi nostri fratelli. Gentili un giogo, che con fatica noi ed i nostri padri abbiamo potuto portare? Pertanto noi crediamo che per la sola grazia del N. Signor Gesù Cristo tanto gli Ebrei quanto i Gentili debbano essere salvi.

            Dopo la sentenza del Vicario di Gesù Cristo, tacque tutta quella assemblea. Paolo e Barnaba confermarono quanto aveva detto Pietro raccontando le conversioni ed i miracoli, che Dio erasi compiaciuto di operare per mano loro dinanzi a' Gentili che avevano convertiti a Gesù Cristo.

            Come Paolo e Barnaba ebbero finito di parlare, S. Giacomo vescovo di Gerusalemme confermò il giudizio di Pietro dicendo: fratelli, ora ponete mente anche a me: ben disse Pietro, come da principio Iddio fece grazia ai Gentili formando un popol solo che glorificasse il suo Santo Nome. Ora ciò è confermato dalle parole dei Profeti che noi vediamo in questi fatti avverate. Per la quale cosa io giudico {131 [423]} con Pietro che i Gentili non sono da inquietarsi dopochè si sono convertiti a Gesù Cristo: solamente mi pare doversi ordinar loro che per riguardo alla inferma coscienza dei fratelli Ebrei e per agevolare l'unione fra questi due popoli venga proibito di mangiar cose sacrificate agli idoli, carni soffocate, il sangue, e proibita sia eziandio la fornicazione. Quest'ultima cosa, cioè la fornicazione, non occorreva proibirla essendo affatto contraria ai dettami della ragione e proibita dal sesto precetto del Decalogo. Fu però rinnovata tal proibizione riguardo ai Gentili, i quali nel culto dei loro falsi Dei pensavano che fosse lecito, anzi che fosse cosa gradita a quelle immonde divinità.

            Il giudicio di S. Pietro così da s. Giacomo confermato piacque a tutti quelli del Concilio; e però di corami consentimento determinarono di eleggere persone autorevoli da mandare in Antiochia con Paolo e Barnaba. A questi, a nome del concilio, furono consegnate lettere che contenevano le decisioni che colà eransi prese. Le lettere erano di questo tenore: «Gli Apostoli e sacerdoti fratelli a' fratelli Gentili che sono in Antiochia, nella Siria {132 [424]} nella Cilicia salute. Avendo noi inteso che alcuni venuti di qua hanno turbato ed angustiato le vostre coscienze con idee arbitrarie, è sembrato bene a noi qui radunati, di scegliere e mandare a voi Paolo e Barnaba, uomini a noi carissimi, che la loro vita sacrificarono ed esposero a pericolo pel nome di Nostro Signor Gesù Cristo. Con essi mandiamo Sila e Giuda, i quali consegnandovi le nostre lettere vi confermeranno a bocca le medesime verità. Imperciocchè fu giudicato dallo Spirito Santo e da noi di non imporvi alcun'altra legge eccetto quella che dovete osservare, cioè di astenervi dalle cose sacrificate agli idoli, dalle carni soffocate, dal sangue, e dalla fornicazione. Dalle quali cose astenendovi farete bene. Statevi con Dio.»

            Questo fu il primo concilio generale, a cui presiedette S. Pietro, dove come Principe degli Apostoli e capo della Chiesa parlò e definì la questione coll'assistenza dello Spirito Santo. Così da ogni fedel cristiano deve credersi, che le cose definite nei concilii generali radunati e confermati dal Sommo Pontefice Vicario di Gesù Cristo, e successore di s. Pietro {133 [425]} sono verità certissime, che danno i medesimi motivi di credibilità come se uscissero dalla bocca dello Spirito Santo, perchè essi rappresentano la Chiesa col suo capo, a cui Dio ha promesso assistenza fino alla fine dei secoli.

 

Capo XXIV. S. Pietro conferisce a S. Paolo ed a S. Barnaba la pienezza dell'Apostolato. È avvisato da S. Paolo. Ritorna a Roma. Anno di G. C. 54.

 

            Iddio aveva già prima fatto conoscere più volte che voleva mandare S. Paolo e S. Barnaba a predicare a' Gentili. Ma fino allora esercitavano il loro sacro ministerio come semplici ministri, e forse anche come vescovi senzachè loro fosse peranche conferita la pienezza dell'apostolato. Quando poi andarono in Gerusalemme per cagione del Concilio, e raccontarono le maraviglie per mezzo loro da Dio operate fra i gentili, si trattennero eziandio a speciali colloquii coi Ss. Pietro, Giacomo e Giovanni. Raccontarono, dice il sacro Testo, tali maraviglie a quelli {134 [426]} che tenevano le prime cariche nella Chiesa, tra quali erano certamente i tre apostoli sopra nominali, che si consideravano come le tre colonne principali della Chiesa. Egli fu in questa occasione, dice S. Agostino, che S. Pietro, come capo della Chiesa, Vicario di G. C., e divinamente inspirato, conferì a Paolo e a Barnaba la pienezza dell'apostolato con incarico di portare la luce del Vangelo a' Gentili. Così S. Paolo fu elevato alla dignità di apostolo colla stessa pienezza di poteri che godevano gli altri apostoli stabiliti da Gesù Cristo.

            Mentre S. Pietro e S. Paolo dimoravano in Antiochia avvenne un fatto che merita di essere riferito. S. Pietro era certamente persuaso che le cerimonie della legge di Mosè non fossero più obbligatorie pei Gentili, tuttavia quando trovavasi cogli Ebrei mangiava all'uso giudaico, temendo di disgustarli se avesse praticato altrimenti. Tale condiscendenza era cagione che molti Gentili si raffreddassero nella fede; quindi nasceva avversione tra gentili ed ebrei, e veniva a rompersi quel vincolo di carità che forma il carattere dei veri seguaci di Gesù Cristo. S. Pietro ignorava le dicerie che avevano luogo sopra questo {135 [427]} fatto. S. Paolo accorgendosi che tale condotta di Pietro poteva generare scandalo nei fedeli, pensò di correggerlo pubblicamente dicendo: Se tu, essendo Giudeo, hai conosciuto per la fede di poter vivere e vivi difatti come i gentili, e non come i giudei, perchè col tuo esempio vuoi costringere i gentili all'osservanza della legge giudaica? S. Pietro fu molto contento di tale avviso, perciocchè con tal fatto veniva pubblicato in faccia a tutti i fedeli, che la legge cerimoniale di Mosè non era più obbligatoria, e come colui che ad altri predicava l'umiltà di Gesù Cristo, seppe praticarla egli medesimo, non dando il minimo segno di risentimento. D'allora in poi non ebbe più alcun riguardo pella legge cerimoniale di Mosè.

            Bisogna però qui notare co' Ss. Padri che quanto faceva s. Pietro non era male in sè, ma somministrava a' cristiani motivo di discordia. Si vuole eziandio che s. Pietro sia stato d'accordo con s. Paolo intorno alla correzione da farsegli pubblicamente, affinchè vie più fosse conosciuta la cessazione della legge cerimoniale di Mosè. {136 [428]}

            Da Antiochia s. Pietro andò a predicare in varie città, finchè fu avvisato da Dio di recarsi presto a Roma per assistere i fedeli in una fiera persecuzione eccitata contro a' cristiani. Quando s. Pietro giunse in quella città governava l'impero Nerone, uomo pieno di vizi e per conseguenza il più avverso al cristianesimo. Egli aveva fatto appiccare il fuoco in vari lati di Roma, pel che la città con molti cittadini rimase in gran parte consumata dalle fiamme. Nerone poi gettò la colpa di quella malvagia azione sopra i cristiani. Nella sua crudeltà egli aveva fatto mettere a morte un virtuoso filosofo di nome Seneca, che era stato suo maestro.

            La medesima sua madre perì vittima di quello snaturato figlio; il quale di poi per placare le ombre infernali, o piuttosto per sedare i rimorsi della coscienza fece ricercare i maghi più accreditati per far uso della loro magia e dei loro incantesimi. Il mago Simone, quello stesso che aveva cercato di comperare da s. Pietro i doni dello Spirito Santo, approfittò dell'assenza del S. Apostolo, per recarsi in {137 [429]} quella città affine di adulare quell'imperatore e screditare la religione cristiana.

 

Capo XXV. S. Pietro fa risuscitare un morto. Anno di Gesù Cristo 66.

 

            Il mago Simone sapeva che se avesse potuto fare qualche miracolo sarebbesi acquistato gran credito. Quelli che s. Pietro andava da ogni parte operando servivano ad accenderlo vie più d'invidia e di rabbia. Laonde andava studiando qualche prestigio per farsi vedere superiore a s. Pietro. Venne più volte seco lui a prova, ma ne fu sempre pieno di confusione. E poichè vantava la scienza di guarire le infermità, allungare la vita, risuscitare i morti, cose tutte che egli vedeva farsi da s. Pietro, avvenne, che fu invitato a far altrettanto. Era morto un giovine di nobile famiglia e parente dell'imperatore. I suoi genitori, essendone inconsolabili, furono consigliati di ricorrere a s. Pietro perchè venisse a richiamarlo a vita. Altri invece invitarono Simone, {138 [430]}

            Giunsero ambidue nel tempo stesso alla casa del defunto; s. Pietro acconsentì di buon grado che egli facesse le sue prove per dare la vita al morto, perciocchè sapeva, che solo Iddio può operar miracoli, nè mai alcuno potè vantarsi di averne operati fuori della religione cattolica, perciò tornare inutili tutti gli sforzi dell'empio Simone. Tuttavia pieno di boria e spinto dallo spirito maligno egli accettò pazzamente la prova, e persuaso di vincere propose la seguente condizione: se Pietro fa egli risuscitare il morto, io sarò condannato a morte; ma se io darò vita a questo cadavere, Pietro la paghi colla testa. Non essendovi tra gli astanti chi ricusasse, un tal partito, e di buon grado accettandolo s. Pietro, il Mago si accinse all'impresa.

            Si accostò esso al feretro del defunto, e invocando il demonio e operando mille altri incantesimi, parve ad alcuni che quel freddo cadavere desse qualche segno di vita. Allora i partigiani di Simone si misero a gridare che Pietro doveva morire.

            Il santo Apostolo rideva di quell'impostura, e con modestia pregando tutti a voler tacere per un momento, disse: se {139 [431]} il morto è risuscitato, si levi su, cammini e parli: si resuscitatus est, surgat, ambulet, fabuletur. Non è vero che ei muova il capo o dia segno di vita, è la vostra fantasia che vi fa pensare così. Comandate a Simone che si scosti dal letto, e tosto vedrete svanire dal morto ogni speranza di vita. S. Paciano ep. 2.

            Così fu fatto, e colui che prima era estinto seguitava a giacere qual sasso privo di spirito e di moto. Allora il s. Apostolo s'inginocchiò a poca distanza dal feretro, e si mise a pregare fervorosamente il Signore, supplicandolo di glorificare il suo santo nome a confusione dei malvagi e a conforto dei buoni. Dopo breve orazione rivolto al cadavere disse ad alla voce: Giovane, alzati su, Gesù Signore ti dà la vita e la sanità.

            Al comando di questa voce, cui la morte era avvezza ad ubbidire, lo spirito tornò prontamente a vivificare quel freddo corpo; e perchè non sembrasse un'illusione, si alzò in piedi, parlò, camminò e gli fu fatto prender cibo. Anzi Pietro lo prese per mano e vivo e sano lo restituì alla madre. Quella buona donna non sapeva come esprimere la sua gratitudine {140 [432]} verso il santo, e lo pregò umilmente a non partire dalla sua casa, perchè non fosse abbandonato chi era risorto per le sue mani. S. Pietro la confortò dicendo: noi siamo servi del Signore, egli lo ha risuscitato e non lo abbandonerà mai. Non temere di tuo figlio, poichè egli ha il suo custode.

            Rimaneva ora che il Mago fosse condannato a morte, e già una turba di popolo era pronta ad opprimerlo sotto un nembo di pietre, se l'Apostolo, mosso a pietà di lui, non avesse dimandato che fosse lasciato in vita, dicendo essere per lui castigo assai grande la vergogna che aveva provato. Viva pure, gli disse, ma viva per vedere a crescere e dilatarsi sempre più il regno di Gesù Cristo.

 

Capo XXVI. Volo - Caduta - Disperata morte di Simon Mago. Anno di G. C. 67.

 

            Nella risurrezione di quel giovane Simone ivrebbe dovuto ammirare la bontà e la carità di Pietro, e riconoscere in pari tempo {141 [433]} l’intervento della potenza divina, quindi abbandonare il demonio cui da tanto tempo serviva; ma la sua superbia lo rese vie più ostinato. Animato dallo spirito di Satana s'inferocì più che mai e risolse a qualunque costo di far vendetta contro a s. Pietro. Con questo pensiero si portò egli un giorno da Nerone, e gli disse come egli era disgustato de' Galilei, cioè dei cristiani, e che aveva risoluto di abbandonar il mondo, e che per dare a tutti una prova infallibile della sua divinità, voleva salire da se stesso al Cielo.

            A Nerone piacque assai la proposta; e poichè desiderava trovar sempre nuovi pretesti onde perseguitare i cristiani, fece avvisar s. Pietro, il quale secondo lui passava per un gran conoscitore di magia, e lo sfidò a fare altrettanto e mostrare che Simone era un bugiardo; che se ciò non avesse fatto, veniva egli stesso giudicato bugiardo ed impostore, e come tale l'avrebbe pagata colla testa. L'apostolo appoggiato alla protezione del cielo che non manca mai di venire in difesa della verità accettò l'invito. S. Pietro adunque senz'alcun soccorso umano si armò dello scudo inespugnabile dell'orazione. Ordinò eziandio a {142 [434]} tutti i fedeli che con digiuno universale e con preghiere continue invocassero la divina misericordia. Il giorno in cui facevansi queste pratiche religiose era sabato, e di qui è venuto il digiuno del sabato, che ai tempi di s. Agostino praticavasi ancora in Roma in memoria di questo avvenimento.

            Per lo contrario il Mago Simone tutto imbaldanzito pel favore promessogli dai suoi demonii si apparecchiava ad ordire e terminare con loro la frode, e nella sua pazzia credeva con questo colpo di abbattere la Chiesa di Gesù Cristo. Venne il giorno fissato. Immensa folla di popolo era radunata nella gran piazza di Roma. Nerone stesso con tutta la corte, abbigliato di vesti lucicanti di oro e di gemme, stava seduto sopra una tribuna sotto a ricchissimo ed elegante padiglione mirando e confortando quel suo campione. Si fa profondo silenzio. Appare Simone vestito come se fosse un Dio e affettando tranquillità mostra sicurezza di riportare vittoria. Mentre si diffondeva in pomposi discorsi, improvvisamente apparve in aria un carro di fuoco; (era tutto illusione diabolica e giuoco di fantasia) e ricevutovi {143 [435]} dentro il mago alla vista di tutto il popolo il demonio lo levò di terra, e lo trasportò su per l'aria. Già toccava le nubi e cominciava a dileguarsi dalla vista del popolo il quale cogli occhi levati all'insù giubilando di maraviglia e battendo le palme gridava: Vittoria! miracolo! miracolo! Gloria ed onore a Simone vero figliuolo degli Dei!

            Pietro senz'alcuna ostentazione s'inginocchia a terra e colle mani levate al Cielo fervorosamente prega Gesù Cristo che voglia venire in aiuto della sua Chiesa per far trionfare la sua religione in faccia a quel popolo illuso. Detto fatto: la mano di Dio onnipotente, che aveva permesso agli spiriti maligni di sollevare Simone fino a quell'altezza, tolse loro in un subito ogni potere, sicchè privi di forza dovettero abbandonare Simone nel più grave pericolo, e nel colmo di sua gloria. Sottratta a Simone la virtù diabolica, abbandonato al peso del pingue suo corpo si rovesciò con rovinosa caduta, e cadde giù con tale impeto a terra che sfracellandosi tutte le membra, schizzò il sangue fino sul tribunale di Nerone. Tale caduta di Simone avvenne vicino ad un tempio dedicato {144 [436]} a Romolo, dove oggi esiste la chiesa de' santi Cosma e Damiano.

            L'infelice Simone avrebbe certamente dovuto perdere la vita, se s. Pietro non avesse invocato Dio a favore di lui. Pietro, dice, s. Massimo, pregò il Signore di liberarlo dalla morte sia per far conoscere a Simone la debolezza de' suoi demonii, sia perchè confessando la potenza di G. C. implorasse da lui il perdono delle sue colpe. Ma colui che da lungo tempo faceva professione di disprezzare le grazie del Signore, era troppo difficile che si arrendesse anche in questo caso che Iddio abbondava nella sua misericordia. Simone divenuto l'oggetto delle beffe di tutto il popolo, pieno di confusione pregò alcuni suoi amici di portarlo via di là. Portato in una casa vicina sopravvisse ancora qualche giorno finchè oppresso dal dolore e dalla vergogna, si appigliò al disperato partito di togliersi quei miseri avanzi di vita, e gettandosi giù da una finestra si diede così disperatamente la morte[4]. {145 [437]}

            La caduta di Simone è viva immagine della caduta di que' cristiani i quali o rinnegando la cristiana religione, o trascurando di osservarla, cadono dal grado sublime di virtù, cui la fede cristiana gli ha innalzati, e rovinano miseramente ne' vizi e ne' disordini, con disonore del carattere cristiano, della religione che professano e con danno talvolta irreparabile dell'anima loro.

 

Capo XXVII. Pietro cercato a morte; Gesù gli appare e gli predice imminente il martirio. Testamento di questo Apostolo. Anno di G. C. 68; dell'era volgare 64.

 

            Il supplizio toccato a Simon Mago mentre rendeva sensibile la vendetta del cielo, contribuì assai ad accrescere il numero dei cristiani. Nerone però al vedere una moltitudine di persone abbandonare il {146 [438]} profano culto degli dei per professare la religione predicata da s. Pietro, ed essendosi accorto che la predicazione del santo Apostolo era giunta a guadagnare persone da lui molto favorite e quelle stesse che in corte erano strumento d'iniquità; tutte queste cose gli fecero raddoppiare la sua rabbia contro ai cristiani. In mezzo al furore di quella persecuzione Pietro era indefesso nell'animare i fedeli ad essere costanti nella fede fino alla morte, e nel convertire nuovi gentili, sicchè il sangue de' martiri ben lungi dall'atterrire i cristiani e diminuirne il numero, era un seme fecondo che ogni giorno li moltiplicava. Solamente gli Ebrei di colà, forse stimolati dagli Ebrei della Giudea, facevano gli ostinati. Per la qual cosa Iddio volendo fare l'ultima prova per vincere la loro ostinazione fece pubblicamente predire dal suo apostolo, che fra breve sarebbesi suscitato un re contro quella nazione, il quale dopo averla ridotta alle più gravi angustie uguaglerebbe al suolo la loro città, costringendone i cittadini a morir di fame e di sete. Allora, diceva: «si vedranno gli uni mangiare i corpi degli altri e consumarsi a vicenda, finchè venuti in {147 [439]} preda a' vostri nemici vedrete sotto gli occhi vostri straziare crudelmente le vostre mogli, le vostre figlie, e i vostri fanciulli percossi emessi a morte sopra le pietre, le vostre contrade dal ferro e dal fuoco ridotte in desolazione e rovina. Quelli poi che sfuggiranno dalla comune sciagura saranno venduti come giumenti e soggetti a perpetua servitù. Tali mali verranno sopra di voi, o figliuoli di Giacobbe, perchè avete fatto festa sopra la morte del figliuolo di Dio, ed or ricusate di creder in Lui.» Lattanzio lib. 4.

            Ma saputosi da' ministri della persecuzione che si sarebbero affaticati inutilmente se non toglievano di mezzo il capo dei cristiani, si volsero contro di lui per cercarlo e metterlo a morte. I cristiani considerando la perdita che avrebbero fatta colla morte di lui, studiavano ogni mezzo per impedire che egli cadesse nelle mani dei persecutori. Ma vedendo essere impossibile che egli potesse più a lungo star nascosto, lo consigliarono ad uscire da Roma e ritirarsi in luogo dove fosse men conosciuto. Pietro rifiutavasi a tali consigli suggeriti dall'amor figliale, e anzi ardentemente desiderava la corona del {148 [440]} martirio. Ma seguitando i fedeli a pregarlo di far ciò pel bene della Chiesa di Dio, cioè cercare di conservarsi in vita per istruire i fedeli, confermare nella fede i credenti e guadagnare anime a Cristo, infine accondiscese e stabilì di partire.

            Di nottetempo prese da' fedeli congedo per involarsi al furore degl'idolatri. Ma giunto alle mura della città, quando stava per uscire dalla porta Capena, detta oggidì Porta di s. Sebastiano, gli apparve Gesù Cristo in quello stesso sembiante in cui l'aveva conosciuto e per più anni trattato. L'Apostolo benchè fosse sorpreso da questa inaspettata comparsa, nondimeno secondo la sua prontezza di spirito si fece animo di interrogarlo dicendo: O Signore, dove andate? Domine, quo vadis? Rispose Gesù: Io vengo a Roma per essere di nuovo crocifisso. Da tali parole conobbe Pietro che era imminente la propria crocifissione, poichè sapendo che il Signore non poteva più essere nuovamente crocifisso per se medesimo, doveva esserlo nella persona del suo Apostolo. In memoria di questo avvenimento presso alla porta di S. Sebastiano fu edificata una chiesa detta ancora oggidì, Domine, {149 [441]} quo vadis, oppure Sancta Maria ad Passus, ossia Santa Maria de' Piedi, perchè il Salvatore in quel luogo, dove parlò a s. Pietro, lasciò impressa sopra di una pietra !a sacra traccia de' suoi piedi. Questa pietra si conserva tuttora nella chiesa di s. Sebastiano.

            Dopo tale avviso del Salvatore s. Pietro ritornò indietro, e interrogato dai Cristiani di Roma sulla cagione disi presto ritorno, raccontò loro ogni cosa. Niuno ebbe più alcun dubbio, che Pietro in breve sarebbe stato incarcerato ed avrebbe glorificato il Signore col dare per lui la vita. Nel timore pertanto di cadere da un momento all'altro nelle mani dei persecutori e che in quei calamitosi momenti la Chiesa rimanesse priva del sue supremo pastore, pensò di nominar alcuni dei vescovi più zelanti dei quali uno settentrasse nel Pontificato dopo sua morte. Furono questi s. Lino, s. Cleto, s. Clemente e s. Anacleto, i quali lo avevano già aiutato in qualità di suoi vicari nei vari bisogni della Chiesa. Di questi papi parleremo appositamente altrove.

            Non contento s. Pietro di aver così provveduto a' bisogni della sede pontificia, {150 [442]} volle altresì indirizzare uno scritto a tutti i fedeli, come per suo testamento, cioè una seconda lettera. Questa lettera è diretta al corpo universale dei fedeli, nominando in particolar maniera quelli del Ponto, della Galazia e di altre provincie dell'Asia a cui aveva predicato.

            Dopo di aver di nuovo accennate le cose già dette nella sua prima lettera, raccomanda di avere sempre innanzi agli occhi Gesù Salvatore, guardandosi dalla corruzione di questo secolo e da' piaceri mondani. Per risolverli poi a tenersi fermi nella virtù, mette loro in vista i premii che il Salvatore tien preparati nel regno eterno del Cielo, ed all'incontro richiama loro i terribili castighi coi quali suole Iddio punire i peccatori bene spesso in questa vita, ma infallibilmente nell'altra colla pena eterna del fuoco. Portandosi poi col suo pensiero nell'avvenire, predice gli scandali che molti uomini perversi avrebbero suscitato, gli errori che avrebbero seminati, le astuzie di cui sarebbonsi serviti per propagarle. «Ma sappiate, egli dice, che costoro a somiglianza di fonti senza acqua, e di nebbie oscure agitate dai venti sono tutti impostori e seduttori delle {151 [443]} anime, che promettono una libertà, la quale va sempre a finire in una miserabile schiavitù in cui si trovano avvolti essi medesimi, dopo di che, loro è riserbato il giudicio, la perdizione ed il fuoco.»

            «Per me, egli continua, io son certo, che secondo la rivelazione avuta dal N. Signore Gesù Cristo fra poco tempo debbo abbandonare questo tabernacolo del mio corpo, ma non mancherò di far in maniera, che ancor dopo la morte abbiate i mezzi per richiamare tali cose alla mente vostra. State certi, le promesse del Signore non mancheranno mai: verrà il giorno estremo in cui cesseranno di essere i cieli, gli elementi saranno disciolti o divorati dal fuoco, sarà consumata la terra con tutto ciò che contiene. Occupati adunque nelle opere di pietà, aspettiamo con impazienza e con piacere la venuta del giorno del Signore e secondo le sue promesse viviamo in maniera di poter passare alla contemplazione dei cieli ed al possesso di un'eterna gloria.»

            Dipoi li esorta a conservarsi mondi dal peccato, e a credere costantemente che la lunga pazienza che usa spesso il Signore con noi, è per comun nostro bene. {152 [444]} Quindi raccomanda caldamente di non interpretare le sacre scritture col privato intendimento di ciascuno, e nota particolarmente le lettere di s. Paolo, che egli chiama suo fratello carissimo di cui dice così: «Gesù Cristo differisce la sua venuta per darvi tempo a convertirvi; le quali cose vi scrisse Paolo nostro carissimo fratello secondo la scienza che gli è stata data da Dio. Siccome eziandio fa in tutte le sue lettere, ove egli parla di queste medesime cose. State però ben attenti che in queste lettere vi sono alcune cose difficili ad intendersi, le quali gli uomini ignoranti e leggeri spiegano in senso perverso, siccome fanno eziandio delle altre parti della sacra scrittura, di cui si abusano a loro propria perdizione.» Le quali parole meritano di essere attentamente considerate dai protestanti i quali vogliono affidare l'interpretazione della Bibbia a qualsiasi uomo del popolo comunque sia rozzo ed ignorante. A questi si può applicare che la capricciosa spiegazione della Bibbia riuscì a loro propria perdizione: ad suam ipsorum perditionem, Ep. 2, cap. 3. {153 [445]}

 

Capo XXVIII. S. Pietro in prigione converte Processo e Martiniano. - Suo Martirio. Anno di G. C. 69-70; dell'era volgare 66.

 

            Finalmente era giunto il momento che si dovevano compiere le predizioni fatte da Gesù Cristo intorno alla morte del suo Apostolo. Tante fatiche meritavano di essere coronate colla palma del martirio. Mentre un giorno sentivasi tutto ardere di amore verso la persona del Divin Salvatore, e vivamente desiderava di potersi quanto prima congiungere a lui, viene sorpreso da' persecutori che in un momento lo legano e lo conducono in prigione[5]. La Divina Provvidenza dispone che Nerone dovesse per affari di governo allontanarsi per qualche tempo da Roma; sicchè s. Pietro dovette star circa nove mesi nelle carceri. Ma i veri servi del Signore sanno promuovere la sua gloria in ogni {154 [446]} tempo e in ogni luogo. Nell'oscurità della prigione esercitando Pietro le cure del suo apostolato e specialmente il ministero della divina parola, ebbe la consolazione di guadagnare a G. C. i due custodi della carcere di nome Processo e Martiniano ed altre 47 persone che si trovavano rinchiuse nel medesimo luogo.

            È fama confermata dall'autorità di accreditati scrittori che non essendo colà acqua per amministrare il battesimo a quei novelli convertiti, Iddio facesse scaturire in quello istante un fonte perenne, le cui acque continuano a scaturire oggidì. I ministri dell'imperatore tentarono più volte di vincere la costanza del s. Apostolo, ma tornando inutile ogni loro sforzo, e per soprappiù vedendo, che fra le stesse catene non cessava di predicar Gesù Cristo e così accrescere il numero dei cristiani, determinarono di farlo tacere colla morte. Era un mattino, quando Pietro vide aprirsi la carcere. Entrano i carnefici, lo legano strettamente e gli annunziano che doveva essere condotto al supplizio. Oh allora il suo cuore fu pieno di allegrezza. Io godo, andava esclamando, perchè presto vedrò il mio Signore. Presto andrò a trovare {155 [447]} Colui che ho amato e da cui ho ricevuto tanti segni d'affetto e di misericordia.

            Prima di essere condotto al supplizio, il santo Apostolo secondo le leggi romane dovette essere sottoposto a dolorosa flagellazione; la qual cosa gli cagionò somma gioia, perchè egli vedevasi seguire il suo Divin Maestro negli stessi tormenti; perciocchè prima di essere posto, in croce egli era stato sottoposto a crudelissima flagellazione.

            Anche la strada, da lui percorsa andando al supplizio, merita di essere notata. I Romani conquistatori del mondo dopo aver soggiogate nazioni apparecchiavano la pompa del trionfo sopra un magnifico carro nella valle del Vaticano e di là per la via sacra trionfanti ascendevano al Campidoglio. S. Pietro egli pure dopo aver sottomesso quasi il mondo intiero al soave giogo di Cristo, vien tratto fuori dal carcere detto Mamertino e per la medesima strada condotto al luogo ove si preparavano quelle grandi solennità e celebrava anch'egli la cerimonia del trionfo ed offeriva se stesso in olocausto al Signore fuori della porta di Roma siccome {156 [448]} fuori di Gerusalemme era stato crocifisso il suo Divin Maestro.

            Fra il colle Gianicolo ed il Vaticano era una valle dove raccogliendosi delle acque formavasi una palude. In riva a questa palude era il luogo destinato al martirio del più grand'uomo del mondo. L'intrepido atleta giunto al luogo del patibolo ride che gli era apparecchiata la croce sopra cui era condannato a morire. Egli che non solo ove si trattava di gloria, ma nell'ignominia medesima, aveva imparato a scegliere l'ultimo luogo, reputava onore per lui troppo grande morire nella stessa maniera che era morto il suo Divin Maestro. Perciò temendo di dar occasione di crederlo forse uguagliato al medesimo Gesù Cristo nella gloria della passione, pregò i suoi crocifissori che per grazia volessero farlo morire col capo all'ingiù. Siccome tal maniera di morire veniva a farlo patire di più, così la grazia gli fu facilmente concessa. Ma il corpo di lui naturalmente non polevasi tenere sulla croce, se le mani ed i piedi fossero unicamente conficcati coi chiodi, perciò furono strette con funi le sante sue membra a quel duro tronco {157 [449]}

            Era stato accompagnato al luogo del supplicio da una turba infinita di cristiani e d'infedeli. E l'uomo di Dio in mezzo agli stessi tormenti quasi dimentico di se stesso, consolava i primi, perchè non si affliggessero per lui; si adoperava per salvar i secondi con esortarli a lasciar il culto degl'idoli ed abbracciare il vangelo affinchè potessero conoscere l'unico vero Dio, creatore di tutte le cose. Il Signore che dirigeva sempre lo zelo di sì fedele ministro lo consolò in quelle ultime agonie colla conversione di un gran numero d'idolatri d'ogni condizione e d'ogni sesso. S. Ef. Sir.

            S. Pietro riportava sopra la croce così nobile trionfo il 29 giugno, l'anno settantesimo di Gesù Cristo e sessantesimo sesto dell'era volgare. Nello stesso giorno che s. Pietro moriva in croce, s. Paolo sotto la spada dello stesso tiranno glorificava Gesù Cristo con aver tronca la testa. Giorno veramente glorioso per tutte le chiese della cristianità, ma specialmente per quella di Roma, la quale dopo essere stata da Pietro fondata, e lungamente pasciuta colla dottrina di ambidue questi Principi degli Apostoli, è ora consacrata {158 [450]} dal loro martirio, dal loro sangue, e sublimata sopra tutte le chiese del mondo.

            Così mentre era imminente la distruzione della città santa di Gerusalemme, e doveva essere arso il suo tempio, Roma che era la capitale e la padrona di tutte le nazioni, diventava per mezzo di quei due apostoli la Gerusalemme della nuova alleanza, la città eterna; e tanto più gloriosa della vecchia Gerusalemme, quanto la grazia del vangelo e il sacerdozio della nuova alleanza sono più grandi del sacerdozio, di tutte le cerimonie e figure della legge antica.

            Il tempo del pontificato di s. Pietro fu di 35 anni, 3 mesi e 4 giorni. Tre anni li passò specialmente in Gerusalemme. Tenne poi la sua cattedra sette anni in Antiochia, il rimanente a Roma.

 

 

Capo XXIX. Sepolcro. - Tempio. - Reliquie di s. Pietro. - Conclusione.

 

            Appena s. Pietro rese fra i tormenti l'ultimo respiro, e l'anima sua beata volò a ricevere il bacio di eterna pace dal suo {159 [451]} Divin Maestro in cielo, un sacerdote di nome Marcello aiutato da altre pie persone, depose il suo corpo dalla croce, lo unse di preziosi aromi, lo imbalsamò e lo portò ad essere seppellito sopra la vicina montagnetta del Vaticano.

            Era da poco tempo colà sepolto il corpo del Principe degli Apostoli, quando alcuni cristiani venuti dall'Oriente, considerando qual prezioso tesoro sarebbe stato il possedere quelle reliquie, vennero a Roma per farne acquisto. E poichè conobbero che sarebbe stato inutile il cercare di comperarle con danaro, pensarono di rubarle quasi come cosa loro propria e riportarle in quei luoghi donde il santo era venuto. Andarono perciò coraggiosamente al sepolcro, lo estrassero di là, e lo portarono alle catacombe, che sono un luogo sotterraneo dello presentemente s. Sebastiano, con animo di mandarle in Oriente appena si fosse presentata l'opportunità.

            Iddio però che aveva chiamato quel grande Apostolo a Roma, perchè la rendesse gloriosa col martirio, dispose eziandio che il suo corpo fosse conservato in quella città e rendesse quella chiesa la più gloriosa del mondo. Quando pertanto {160 [452]} quegli orientali andarono per compiere il loro disegno, si sollevò un temporale con un turbine sì gagliardo, che pel rumoreggiare de' tuoni, pel saettare dei fulmini furono costretti a lasciarlo nel luogo stesso ore era stato riposto.

            Si accorsero dell'avvenuto i cristiani di Roma ed in gran folla usciti dalla città ripigliarono il corpo del santo Apostolo, e lo portarono nuovamente sul monte Vaticano donde era stato tolto. V. Gregorio M. ep. 30. Baronio all'anno 284.

            Il colle Vaticano in progresso di tempo fu rinchiuso nella città di Roma, ed i papi hanno ivi fatto costruire la chiesa di s. Pietro che è il più superbo ed il più magnifico edifizio del mondo. I viaggiatori che si recano a visitarlo, al primo vederlo restano come incantati, e i personaggi più celebri per ingegno e scienza giunti ne' loro paesi non sanno darne se non una debole idea.

            Ecco quel tanto che si può con qualche facilità comprendere. Quella chiesa è abbellita di marmi i più squisiti che siansi potuti avere; la sua ampiezza e la sua elevazione giungono ad un segno, che sorprende l'occhio che lo rimira; {161 [453]} il pavimento, le mura, la volta, sono con tal maestria ornati, che sembrano aver esausti tutti i ritrovati dell'arte. La cupola che per così dire sale fino alle nuvole è un compendio di tutte le bellezze della pittura, della scultura e dell'architettura. Il coperchio è di bronzo dorato; in una parola ivi tutto è sì bello, si raro, sì ben lavorato, che questo edifizio supera tutto ciò che si può immaginare nel mondo. Principi, re, monarchi e imperatori hanno contribuito ad ornare questo edifizio maraviglioso con magnifici doni da loro inviati alla tomba di s. Pietro, e spesso da loro medesimi portati colà dai più lontani paesi della terra. Egli è appunto in mezzo ad un luogo sì magnifico, che riposano le ceneri preziose di un povero pescatore, di un uomo senza erudizione umana, senza ricchezze, la' cui fortuna consiste in una rete. E ciò fu da Dio voluto affinchè gli uomini comprendano come Iddio nella sua onnipotenza prende l'uomo il più abbietto in faccia al mondo per collocarlo sul trono glorioso a governare il suo popolo; comprendano eziandio quanto egli onori anche nella presente vita i suoi servi fedeli, e {162 [454]} si facciano così una qualche idea della gloria immensa riservata in cielo a chi vive e muore nel suo divino servizio. Re, principi, imperatori, e i più grandi monarchi della terra sono venuti ad implorare la prolezione di colui che fu tolto da una barca per essere fatto pastore supremo della Chiesa; gli eretici e gl'infedeli stessi furono costretti a rispettarlo. Iddio avrebbe potuto scegliere il supremo pastor della sua Chiesa fra i più grandi e i più sapienti della terra; ma allora si sarebbero forse attribuite alla loro sapienza e potenza quelle maraviglie, che Dio voleva che fossero interamente conosciute venire dalla onnipotente sua mano.

            I Papi non hanno mai permesso che le reliquie di questo gran protettore di Roma fossero altrove trasportate; perciò niun luogo della cristianità può vantare di possederne; tutta la gloria è in Roma.

            Chi mai volesse scrivere i molti pellegrinaggi ivi fatti in ogni tempo, da tutte le parti del mondo e da ogni ceto di persone, la moltitudine di grazie ivi ricevute, gli strepitosi miracoli ivi operati, dovrebbe farne molti e grossi volumi. Noi {163 [455]} ci contenteremo di farne cenno di mano in mano che giungeremo a parlare di quei Papi sotto al cui pontificato tali maraviglie sonosi operate.

            Intanto noi compresi da sentimenti di sincera gratitudine, come per conclusione e frutto di quanto abbiamo detto intorno alle azioni del principe degli Apostoli, innalziamo fervorose preghiere al trono dell'Altissimo Iddio; preghiamo questo suo fortunato Vicario e martire glorioso, onde si degni volgere dal Cielo uno sguardo pietoso sopra i presenti gravi bisogni della sua Chiesa, si degni di proteggerla e sostenerla nei gagliardi assalti che ogni dì deve sostenere da parte de' suoi nemici; ottenga forza e coraggio a' suoi successori, a tutti i vescovi e a tutti i sacri ministri, affinchè tutti si rendano degni del ministero da Cristo loro affidato. Cosicchè dal suo celeste aiuto confortati possano riportare copiosi frutti delle loro fatiche, promovendo la gloria di Dio e la salute delle anime fra i popoli Cristiani.

            Fortunati que' popoli che sono uniti a Pietro nella persona de' Papi suoi successori. Essi camminano per la strada della {164 [456]} salute; mentre tutti quelli che si trovano fuori di questa strada e non appartengono all'unione di Pietro non hanno speranza alcuna di salvezza; perchè Gesù Cristo ci assicura che la santità e la salvezza non possono trovarsi se non nell’unione con Pietro sopra cui poggia l'immobile fondamento della sua Chiesa. Ringraziamo di cuore la bontà divina che ci ha fatti figli di Pietro.

            E poichè esso ha le chiavi del regno de' Cieli preghiamolo ad esserci protettore nei presenti bisogni, e così nell'ultimo giorno di nostra vita egli si degni di aprirci la porta della beata eternità. Così sia.

 

 

Appendice sulla venuta di S. Pietro a Roma[6].

 

            Sebbene le discussioni sopra fatti storici siano estranee al noslro scopo perchè {165 [457]} appartenenti alla classe delle persone erudite e non al semplice popolo a cui sono specialmente dirette le nostre letture; tuttavia la venuta di s. Pietro, che è un punto de' più importanti della storia ecclesiastica, essendo caldamente combattuta dagli eretici d'oggidì, mi sembrò materia di tale importanza da non doversi ommettere; tanto più che i protestanti da qualche tempo in qua, nei loro libri, giornali e conversazioni, cercano di farne soggetto di ragionamento sempre collo scopo di metterla in dubbio e screditar la nostra santa cattolica religione. Noi crediamo che questo solo fatto varrà a far conoscere a tutto il mondo la grande ignoranza, e direi piuttosto, la grande malizia di cui servonsi i nemici della fede per ingannare; giacchè il mettere in dubbio la venuta di S. Pietro a Roma è lo stesso che dubitare se vi sia luce quando il sole risplende in pieno mezzodì; perciò la sola ignoranza o malizia può esserne cagione.

            Stimo però bene di dar qui di passaggio un avviso a tutti coloro che si fanno a scrivere o parlare di questo argomento, di non considerarlo come punto dogmalico {166 [458]} e religioso; e ciò sia detto tanto pei cattolici come pei protestanti; perciocchè Iddio stabilì s. Pietro capo della Chiesa e questo è dogma e verità di fede; che poi s. Pietro abbia esercitata questa sua autorità in Gerusalemme, in Antiochia, in Roma od altrove, questa è discussione storica estranea alla fede.

            È pur bene di avvisare i protestanti che fino al secolo decimoquarto, nello spazio di circa millequattrocento anni, non trovasi un autore nè cattolico nè eretico il quale abbia mosso il minimo dubbio sopra la venuta di s. Pietro a Roma; e noi li invitiamo a citarne UN SOLO. Il primo che abbia messo in campo tal dubbio fu Marsilio di Padova che vendette la sua penna all'imperatore Lodovico il Bavaro, i quali, uno colle armi, l'altro colle perverse dottrine, si scatenarono contro al primato del Sommo Pontefice; tal dubbio però fu da tutti considerato come ridicolo, e svanì colla morte del suo autore.

            Due secoli dopo, nel secolo decimosesto, sorsero gli spiriti turbolenti di Calvino e di Lutero, e dalla scuola di costoro uscirono parecchi, i quali, superando la malizia degli stessi loro maestri, {167 [459]} studiarono di suscitare il medesimo dubbio per meglio ingannare i semplici e gli ignoranti. Chi è alcun poco pratico di storia sa quale fede si meriti colui che appoggiato unicamente al suo capriccio si mette a contraddire un fatto riferito dall'unanime consenso di gravi autori di tutti i tempi e di tutti i luoghi. Questa sola osservazione basterebbe da sè a far manifesta l'insussistenza di tal dubbio; tuttavia affinchè il lettore conosca gli autori che colla loro autorità vengono a confermare quanto asseriamo ne andremo citando alcuni; e poichè i protestanti ammettono l'autorità della Chiesa de' quattro primi secoli, noi desiderosi di compiacerli in tutto quello che è possibile ci serviremo di scrittori che abbiano in tale tempo fiorito. Eccoci.

            S. Clemente papa, discepolo di S. Pietro, e successore di lui nel pontificato, nella sua prima lettera scritta ai Corinti dà come pubblica e certa la venuta di Pietro a Roma, la lunga sua dimora ivi fatta, il martirio ivi sofferto.

            S. Ignazio martire, parimenti discepolo di s. Pietro e suo successore nel vescovado di Antiochia, dice le stesse cose nella {168 [460]} sua lettera scritta ai Romani al capo quarto.

            Lo stesso afferma Papia coetaneo dei suddetti e discepolo di s. Giovanni Evangelista, come si può vedere presso di Eusebio nella sua storia ecclesiastica libro 2, capo 15. A poca disianza da costoro abbiamo le illustri testimonianze di S. Ireneo e di S. Dionigi, i quali hanno lungamente conosciuto e conversato coi discepoli degli Apostoli, ed erano informatissimi delle cose avvenute in seno alla chiesa di Roma[7]. Quasi nel tempo stesso fiorirono s. Clemente Alessandrino, s. Caio prete di Roma, Tertulliano di Cartagine, Origene, s. Cipriano e moltissimi altri i quali vanno d'accordo nel riferire il gran concorso de' fedeli alla tomba di s. Pietro in Roma martirizzato, e tutti pieni di venerazione pel primato che godeva la chiesa di Roma, dicono che da quella si devono attendere gli oracoli dell'eterna salute, perchè G. C. ha promesso la conservazione della fede al suo fondatore S. Pietro. Caio Romano presso Eusebio, Clemente Alessandrino Stromati lib. 7. Tertulliano {169 [461]} delle prescrizioni. Origene presso Eusebio lib. 3. S. Cipriano lettera 52 ad Antoniano, e lett. 55 a Corneliano.

            Che se da questi scrittori passiamo ai grandi luminari della Chiesa, s. Pietro di Alessandria, s. Asterio Amaseno, s. Ottato Milevitano, s. Ambrogio, s. Gioanni Grisostomo, s. Epifanio, s. Massimo Torinese, s. Agostino, s. Cirillo d'Alessandria ed altri molti, noi troveremo le loro testimonianze pienamente unanimi e d'accordo intorno alla verità che noi asseriamo. Aggiungansi i molti martirologii delle diverse chiese latine, che dalla più remota antichità sono pervenuti fino a noi, i diversi Calendarii degli Etiopi, degli Egiziani, dei Sirii, i menologi dei Greci; le stesse liturgie di tutte le chiese cristiane sparse ne' varii paesi della cristianità; da per tutto si trova registrata la verità di questo racconto.

            Che più? i medesimi protestanti alquanto celebri in dottrina, come sono il Cave, Ammondo, Pearsonio, Grozio, Usserio, Biondello, Scaligero, Basnagio e Newton con moltissimi altri convengono essere un fatto incontestabile la venuta del principe degli Apostoli a Roma e della morte di lui accaduta in questa metropoli dell'universo. {170 [462]}

            È vero che nè gli atti degli Apostoli, nè s. Paolo nella sua lettera ai Romani fanno menzione di questo fatto; ma oltrechè scrittori accreditati riconoscono in questi autori abbastanza chiaramente accennato tale avvenimento; noi osserviamo che l'autore degli alti degli apostoli non aveva per iscopo di scrivere le azioni di s. Pietro, nemmeno quelle di s. Paolo che riferisce solamente fino al suo arrivo in Roma; lo stesso dicasi di s. Paolo nella sua lettera ai Romani. Che se vogliamo fermarci sopra questo silenzio degli atti degli Apostoli e della lettera di s. Paolo, diciamo che ciò non prova nè per noi nè pei protestanti. Perciocchè la sana logica e la semplice ragion naturale ci ammaestra, che quando si cerca la verità di un fatto taciuto da un autore si deve cercare presso ad altri cui spetta il parlarne. La qual cosa noi abbiam fatto abbondantissimamente. Neppure ignoriamo che Giuseppe Flavio non parla di questa venuta di s. Pietro a Roma; come neppure parla di s. Paolo; ma che importava a lui di parlare de' cristiani? Suo scopo era di scrivere la storia del popolo ebreo, e della guerra giudaica, e non i fatti particolari {171 [463]} altrove avvenuti. Parla egli forse di s. Paolo, di s. Andrea o degli altri apostoli che furono coronati del martirio fuori della Palestina? E non dice egli stesso che passava sotto silenzio molti fatti avvenuti a' suoi tempi? Antiq. Iudaic. L. 20, c. 5.

            Altronde non è una follia il fidarsi più di un ebreo che non parla, che dei primi cristiani i quali proclamano tutti ad una voce s. Pietro morto in Roma dopo di avervi dimorato molti anni? E non gli si dovrebbe negar fede quando anche avesse scritto il contrario? Neppure vogliamo omettere la difficoltà che talun va facendo, sul disaccordo degli scrittori nel fissare l'anno della venuta di s. Pietro a Roma; perciocchè ai nostri tempi gli eruditi vanno comunemente d'accordo nella cronologia da noi seguita. Ma noi diciamo che tal disaccordo degli scrittori antichi dimostra la verità del fatto: dimostra che uno scrittore non ha copiato dall'altro, che ciascuno si serviva di que' documenti, o di quelle memorie che aveva ne' rispettivi paesi e che eraso pubblicamente conosciuti come certi; nè deve farci maraviglia tal disaccordo di cronologia (che è di uno o due anni più o meno) in que' tempi remoti {172 [464]} in cui ogni nazione aveva un modo suo proprio di computare gli anni. Ma tutti questi autori riferiscono con franchezza tal venuta di s. Pietro a Roma, e ne accennano le minute circostanze riguardanti la sua dimora e morte in quella città avvenuta.

            Ciò posto noi possiamo venire a questa conclusione. Per lo spazio di mille e quattrocent'anni non vi fu mai alcuno che abbia mosso il minimo dubbio contro alla venuta di s. Pietro a Roma. All'opposto abbiamo una lunga serie di uomini celeberrimi per santità e dottrina che dai tempi apostolici fino a noi, colla loro autorità l'hanno sempre accertata. Le liturgie, i martirologi, i medesimi eretici ed altri nemici del cristianesimo sono d'accordo co' più dotti tra i protestanti intorno a tal fatto.

            Dunque voi, o protestanti d'oggidì, contrastando la venuta di s. Pietro a Roma, vi opponete a tutta l'antichità; vi opponete all'autorità degli uomini i più dotti e più pii dei tempi andati; vi opponete ai martirologi, ai menologii, alle liturgie, ai calendarii dell'antichità; vi opponete a quanto scrissero i vostri maestri medesimi.

            Deh, protestanti, aprite gli occhi, ascoltate: {173 [465]} molti pretendono di farsi vostra guida di verità, ma o per malizia o per ignoranza v'ingannano. Ascoltate la voce di Dio che vi chiama al suo ovile sotto alla custodia del pastore supremo da lui stabilito. Abbandonate ogni impegno, superate l'ostacolo del rispetto umano, rinunciate agli errori in cui uomini illusi vi hanno precipitati. Ritornate alla religione de' vostri avi, che alcuni vostri antecessori abbandonarono; invitate tutti i seguaci della riforma ad ascoltare quanto diceva a' suoi tempi Tertulliano: «Orsù adunque, o cristiano, se vuoi accertarti nel grande affare della salute, fa ricorso alle chiese dagli apostoli fondate. Va a Roma donde emana la nostra autorità. O chiesa felice, dove gli apostoli col loro sangue sparsero tutta la loro dottrina, dove Pietro patì un martirio simile alla passione del suo divin Maestro, dove Paolo fu coronato del martirio con aver tronca la testa; dove Giovanni dopo essere stato immerso in una caldaia d'olio bollente, nulla patì, e quindi venne esiliato nell'Isola di Patmos.» Tertulliano de Praescrip. cap. 36. {174 [466]}

 


8-13 Ottobre 4, 1907 La croce innesta la Divinità all’umanità.

Luisa Piccarreta (Libro di Cielo)

(1) Continuando il mio solito stato di privazione, e quindi con poche sofferenze stavo dicendo tra me: “Non solo di Gesù sono priva, ma anche il bene delle sofferenze mi viene tolto. Oh! Dio, dovunque volete mettere ferro e fuoco e toccarmi le cose a me più care, e che formavano la mia stessa vita: Gesù e la croce. Se a Gesù sono abominevole per le mie ingratitudini, ha ragione che non viene, e tu, oh! croce, che ti ho fatto che così barbaramente mi hai lasciato? Ahi! forse non ti ho fatto buon viso quando sei venuta? Non ti trattavo come mia fedele compagna? Ahi! ricordo che ti amavo tanto, che non sapevo stare senza di te, e qualche volta ti preferivo allo stesso Gesù; io non sapevo che cosa mi avevi fatto che non sapevo stare senza di te, eppure mi hai lasciato? E’ vero che molti beni mi hai fatto, tu eri la via, la porta, la stanza, il segreto, la luce in cui trovavo Gesù, perciò ti amavo tanto, ed ora è tutto finito per me”. Mentre ciò pensavo, quando appena il benedetto Gesù è venuto, mi ha detto:

(2) “Figlia, la croce è parte della vita, e solo non l’ama chi non ama la propria vita, perché solo con la croce innestai la Divinità all’umanità perduta. E’ solo la croce che continua la Redenzione nel mondo, innestando chiunque la riceve nella Divinità; e chi non l’ama significa che non sa niente né di virtù, né di perfezione, né di amor di Dio, né di vera vita, succede come ad un ricco, che perdute le ricchezze, gli si presenta un mezzo come acquistarle di nuovo e forse di più; quanto non ama questo mezzo? E non mette forse la propria vita in questo mezzo per ritrovare la vita nelle ricchezze? Così è la croce, l’uomo era divenuto poverissimo, e la croce è il mezzo non solo per salvarlo dalla miseria, ma per arricchirlo di tutti i beni; perciò la croce è la ricchezza dell’anima”.

(3) Ed è scomparso, ed io sono rimasta più amareggiata, pensando alla perdita che avevo fatto.