Liturgia delle Ore - Letture
Venerdi della 16° settimana del tempo ordinario
Vangelo secondo Matteo 21
1Quando furono vicini a Gerusalemme e giunsero presso Bètfage, verso il monte degli Ulivi, Gesù mandò due dei suoi discepoli2dicendo loro: "Andate nel villaggio che vi sta di fronte: subito troverete un'asina legata e con essa un puledro. Scioglieteli e conduceteli a me.3Se qualcuno poi vi dirà qualche cosa, risponderete: Il Signore ne ha bisogno, ma li rimanderà subito".4Ora questo avvenne perché si adempisse ciò che era stato annunziato dal profeta:
5'Dite alla figlia di Sion:
Ecco, il tuo re viene a te
mite, seduto su un'asina,
con un puledro figlio di bestia da soma.'
6I discepoli andarono e fecero quello che aveva ordinato loro Gesù:7condussero l'asina e il puledro, misero su di essi i mantelli ed egli vi si pose a sedere.8La folla numerosissima stese i suoi mantelli sulla strada mentre altri tagliavano rami dagli alberi e li stendevano sulla via.9La folla che andava innanzi e quella che veniva dietro, gridava:
'Osanna' al figlio di Davide!
'Benedetto colui che viene nel nome del Signore!
Osanna' nel più alto dei cieli!
10Entrato Gesù in Gerusalemme, tutta la città fu in agitazione e la gente si chiedeva: "Chi è costui?".11E la folla rispondeva: "Questi è il profeta Gesù, da Nàzaret di Galilea".
12Gesù entrò poi nel tempio e scacciò tutti quelli che vi trovò a comprare e a vendere; rovesciò i tavoli dei cambiavalute e le sedie dei venditori di colombe13e disse loro: "La Scrittura dice:
'La mia casa sarà chiamata casa di preghiera'
ma voi ne fate 'una spelonca di ladri'".
14Gli si avvicinarono ciechi e storpi nel tempio ed egli li guarì.15Ma i sommi sacerdoti e gli scribi, vedendo le meraviglie che faceva e i fanciulli che acclamavano nel tempio: "Osanna al figlio di Davide", si sdegnarono16e gli dissero: "Non senti quello che dicono?". Gesù rispose loro: "Sì, non avete mai letto:
'Dalla bocca dei bambini e dei lattanti
ti sei procurata una lode?'".
17E, lasciatili, uscì fuori dalla città, verso Betània, e là trascorse la notte.
18La mattina dopo, mentre rientrava in città, ebbe fame.19Vedendo un fico sulla strada, gli si avvicinò, ma non vi trovò altro che foglie, e gli disse: "Non nasca mai più frutto da te". E subito quel fico si seccò.20Vedendo ciò i discepoli rimasero stupiti e dissero: "Come mai il fico si è seccato immediatamente?".21Rispose Gesù: "In verità vi dico: Se avrete fede e non dubiterete, non solo potrete fare ciò che è accaduto a questo fico, ma anche se direte a questo monte: Levati di lì e gettati nel mare, ciò avverrà.22E tutto quello che chiederete con fede nella preghiera, lo otterrete".
23Entrato nel tempio, mentre insegnava gli si avvicinarono i sommi sacerdoti e gli anziani del popolo e gli dissero: "Con quale autorità fai questo? Chi ti ha dato questa autorità?".24Gesù rispose: "Vi farò anch'io una domanda e se voi mi rispondete, vi dirò anche con quale autorità faccio questo.25Il battesimo di Giovanni da dove veniva? Dal cielo o dagli uomini?". Ed essi riflettevano tra sé dicendo: "Se diciamo: "dal Cielo", ci risponderà: "perché dunque non gli avete creduto?";26se diciamo "dagli uomin", abbiamo timore della folla, perché tutti considerano Giovanni un profeta".27Rispondendo perciò a Gesù, dissero: "Non lo sappiamo". Allora anch'egli disse loro: "Neanch'io vi dico con quale autorità faccio queste cose".
28"Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli; rivoltosi al primo disse: Figlio, va' oggi a lavorare nella vigna.29Ed egli rispose: Sì, signore; ma non andò.30Rivoltosi al secondo, gli disse lo stesso. Ed egli rispose: Non ne ho voglia; ma poi, pentitosi, ci andò.31Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?". Dicono: "L'ultimo". E Gesù disse loro: "In verità vi dico: I pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio.32È venuto a voi Giovanni nella via della giustizia e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, pur avendo visto queste cose, non vi siete nemmeno pentiti per credergli.
33Ascoltate un'altra parabola: C'era un padrone che 'piantò una vigna e la circondò con una siepe, vi scavò un frantoio, vi costruì una torre', poi l'affidò a dei vignaioli e se ne andò.34Quando fu il tempo dei frutti, mandò i suoi servi da quei vignaioli a ritirare il raccolto.35Ma quei vignaioli presero i servi e uno lo bastonarono, l'altro lo uccisero, l'altro lo lapidarono.36Di nuovo mandò altri servi più numerosi dei primi, ma quelli si comportarono nello stesso modo.37Da ultimo mandò loro il proprio figlio dicendo: Avranno rispetto di mio figlio!38Ma quei vignaioli, visto il figlio, dissero tra sé: Costui è l'erede; venite, uccidiamolo, e avremo noi l'eredità.39E, presolo, lo cacciarono fuori della vigna e l'uccisero.40Quando dunque verrà il padrone della vigna che farà a quei vignaioli?".41Gli rispondono: "Farà morire miseramente quei malvagi e darà la vigna ad altri vignaioli che gli consegneranno i frutti a suo tempo".42E Gesù disse loro: "Non avete mai letto nelle Scritture:
'La pietra che i costruttori hanno scartata
è diventata testata d'angolo;
dal Signore è stato fatto questo
ed è mirabile agli occhi nostri?'
43Perciò io vi dico: vi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che lo farà fruttificare.44Chi cadrà sopra questa pietra sarà sfracellato; e qualora essa cada su qualcuno, lo stritolerà".
45Udite queste parabole, i sommi sacerdoti e i farisei capirono che parlava di loro e cercavano di catturarlo; ma avevano paura della folla che lo considerava un profeta.
Primo libro di Samuele 14
1Un giorno Giònata, figlio di Saul, disse al suo scudiero: "Su vieni, portiamoci fino all'appostamento dei Filistei che sta qui di fronte". Ma non disse nulla a suo padre.2Saul se ne stava al limitare di Gàbaa sotto il melograno che si trova in Migròn; la sua gente era di circa seicento uomini.3Achià figlio di Achitùb, fratello di Icabòd, figlio di Pìncas, figlio di Eli, sacerdote del Signore in Silo, portava l''efod' e il popolo non sapeva che Giònata era andato.4Tra i varchi per i quali Giònata cercava di passare, puntando sull'appostamento dei Filistei, vi era una sporgenza rocciosa da una parte e una sporgenza rocciosa dall'altra parte: una si chiamava Bòzez, l'altra Sène.5Una delle rocce sporgenti era di fronte a Micmas a settentrione, l'altra era di fronte a Gàbaa a meridione.6Giònata disse allo scudiero: "Su, vieni, passiamo all'appostamento di questi non circoncisi; forse il Signore ci aiuterà, perché non è difficile per il Signore salvare con molti o con pochi".7Lo scudiero gli rispose: "Fa' quanto hai in animo. Avvìati e va'! Eccomi con te: come il tuo cuore, così è il mio".8Allora Giònata disse: "Ecco, noi passeremo verso questi uomini e ci mostreremo loro.9Se ci diranno: Fermatevi finché veniamo a raggiungervi, restiamo in basso e non saliamo da loro.10Se invece ci diranno: Venite su da noi!, saliamo, perché il Signore ce li ha messi nelle mani e questo sarà per noi il segno".11Quindi i due si lasciarono scorgere dall'appostamento filisteo e i Filistei dissero: "Ecco gli Ebrei che escono dalle caverne dove si erano nascosti".12Poi gli uomini della guarnigione dissero a Giònata e al suo scudiero: "Salite da noi, che abbiamo qualche cosa da dirvi!". Giònata allora disse al suo scudiero: "Sali dopo di me, perché il Signore li ha messi nelle mani di Israele".13Giònata saliva aiutandosi con le mani e con i piedi e lo scudiero lo seguiva; quelli cadevano davanti a Giònata e, dietro, lo scudiero li finiva.14Questa fu la prima strage nella quale Giònata e il suo scudiero colpirono una ventina di uomini, entro quasi metà di un campo arabile.
15Si sparse così il terrore nell'accampamento, nella regione e in tutto il popolo. Anche la guarnigione e i suoi uomini d'assalto furono atterriti e la terra tremò e ci fu un terrore divino.
16Le vedette di Saul che stavano in Gàbaa di Beniamino guardarono e videro la moltitudine che fuggiva qua e là.17Allora Saul ordinò alla gente che era con lui: "Su, cercate e indagate chi sia partito da noi". Cercarono ed ecco non c'erano né Giònata né il suo scudiero.18Saul disse ad Achia: "Avvicina l''efod'!" - egli infatti allora portava l''efod' davanti agli Israeliti -.19Mentre Saul parlava al sacerdote, il tumulto che era sorto nel campo filisteo andava propagandosi e crescendo. Saul disse al sacerdote: "Ritira la mano".20A loro volta Saul e la gente che era con lui alzarono grida e mossero all'attacco, ma ecco trovarono che la spada dell'uno si rivolgeva contro l'altro in una confusione molto grande.21Anche quegli Ebrei che erano con i Filistei da qualche tempo e che erano saliti con loro all'accampamento, si voltarono, per mettersi con Israele che era là con Saul e Giònata.22Inoltre anche tutti gli Israeliti che si erano nascosti sulle montagne di Efraim, quando seppero che i Filistei erano in fuga, si unirono a inseguirli e batterli.23Così il Signore in quel giorno salvò Israele e la battaglia si estese fino a Bet-Aven.
24Gli Israeliti erano sfiniti in quel giorno e Saul impose questo giuramento a tutto il popolo: "Maledetto chiunque gusterà cibo prima di sera, prima che io mi sia vendicato dei miei nemici". E nessuno del popolo gustò cibo.25Tutta la gente passò per una selva dove c'erano favi di miele sul suolo.26Il popolo passò per la selva ed ecco si vedeva colare il miele, ma nessuno stese la mano e la portò alla bocca, perché il popolo temeva il giuramento.27Ma Giònata non aveva saputo che suo padre aveva fatto giurare il popolo, quindi allungò la punta del bastone che teneva in mano e la intinse nel favo di miele, poi riportò la mano alla bocca e i suoi occhi si rischiararono.28Uno del gruppo s'affrettò a dire: "Tuo padre ha fatto fare questo solenne giuramento al popolo: Maledetto chiunque toccherà cibo quest'oggi!, sebbene il popolo fosse sfinito".29Rispose Giònata: "Mio padre vuol rovinare il paese! Guardate come si sono rischiarati i miei occhi, perché ho gustato un poco di questo miele.30Dunque se il popolo avesse mangiato oggi qualche cosa dei viveri presi ai nemici, quanto maggiore sarebbe stata ora la rotta dei Filistei!".
31In quel giorno percossero i Filistei da Micmas fino ad Aialon e il popolo era sfinito.32Quelli del popolo si gettarono sulla preda e presero pecore, buoi e vitelli e li macellarono e li mangiarono con il sangue.33La cosa fu annunziata a Saul: "Ecco il popolo pecca contro il Signore, mangiando con il sangue". Rispose: "Avete prevaricato! Rotolate subito qui una grande pietra".34Allora Saul soggiunse: "Passate tra il popolo e dite a tutti: Ognuno conduca qua il suo bue e il suo montone e li macelli su questa pietra, poi mangiatene; così non peccherete contro il Signore, mangiando le carni con il sangue". In quella notte ogni uomo del popolo condusse a mano ciò che aveva e là lo macellò.35Saul innalzò un altare al Signore. Fu questo il primo altare che egli edificò al Signore.
36Quindi Saul disse: "Scendiamo dietro i Filistei questa notte stessa e deprediamoli fino al mattino e non lasciamo scampare uno solo di loro". Gli risposero: "Fa' quanto ti sembra bene". Ma il sacerdote disse: "Accostiamoci qui a Dio".37Saul dunque interrogò Dio: "Devo scendere dietro i Filistei? Li consegnerai in mano di Israele?". Ma quel giorno non gli rispose.38Allora Saul disse: "Accostatevi qui voi tutti capi del popolo. Cercate ed esaminate da chi sia stato commesso oggi il peccato,39perché per la vita del Signore salvatore d'Israele certamente costui morirà, anche se si tratta di Giònata mio figlio". Ma nessuno del popolo gli rispose.40Perciò disse a tutto Israele: "Voi state da una parte: io e mio figlio Giònata staremo dall'altra". Il popolo rispose a Saul: "Fa' quanto ti sembra bene".41Saul parlò al Signore: "Dio d'Israele, fa' conoscere l'innocente". Furono designati Giònata e Saul e il popolo restò libero.42Saul soggiunse: "Tirate a sorte tra me e mio figlio Giònata". Fu sorteggiato Giònata.43Saul disse a Giònata: "Narrami quello che hai fatto". Giònata raccontò: "Realmente ho assaggiato un po' di miele con la punta del bastone che avevo in mano. Ecco, morirò".44Saul disse: "Faccia Dio a me questo e anche di peggio, se non andrai a morte, Giònata!".45Ma il popolo disse a Saul: "Dovrà forse morire Giònata che ha ottenuto questa grande vittoria in Israele? Non sia mai! Per la vita del Signore, non cadrà a terra un capello del suo capo, perché in questo giorno egli ha agito con Dio". Così il popolo salvò Giònata che non fu messo a morte.46Saul cessò dall'inseguire i Filistei e questi raggiunsero il loro paese.
47Saul si assicurò il regno su Israele e mosse contro tutti i nemici all'intorno: contro Moab e gli Ammoniti, contro Edom e i re di Zoba e i Filistei e dovunque si volgeva aveva successo.48Compì imprese brillanti, batté gli Amaleciti e liberò Israele dalle mani degli oppressori.49Figli di Saul furono Giònata, Isbàal e Malkisùa; le sue due figlie si chiamavano Merab la maggiore e Mikal la più piccola.50La moglie di Saul si chiamava Achinòam, figlia di Achimàaz. Il capo delle sue milizie si chiamava Abner figlio di Ner, zio di Saul.51Kis padre di Saul e Ner padre di Abner erano figli di Abièl.52Durante tutto il tempo di Saul vi fu guerra aperta con i Filistei; se Saul scorgeva un uomo valente o un giovane coraggioso, lo prendeva al suo seguito.
Proverbi 19
1Meglio un povero di condotta integra
che un ricco di costumi perversi.
2Lo zelo senza riflessione non è cosa buona,
e chi va a passi frettolosi inciampa.
3La stoltezza intralcia il cammino dell'uomo
e poi egli si adira contro il Signore.
4Le ricchezze moltiplicano gli amici,
ma il povero è abbandonato anche dall'amico che ha.
5Il falso testimone non resterà impunito,
chi diffonde menzogne non avrà scampo.
6Molti sono gli adulatori dell'uomo generoso
e tutti sono amici di chi fa doni.
7Il povero è disprezzato dai suoi stessi fratelli,
tanto più si allontanano da lui i suoi amici.
Egli va in cerca di parole, ma non ci sono.
8Chi acquista senno ama se stesso
e chi agisce con prudenza trova fortuna.
9Il falso testimone non resterà impunito,
chi diffonde menzogne perirà.
10Allo stolto non conviene una vita agiata,
ancor meno a un servo comandare ai prìncipi.
11È avvedutezza per l'uomo rimandare lo sdegno
ed è sua gloria passar sopra alle offese.
12Lo sdegno del re è simile al ruggito del leone
e il suo favore è come la rugiada sull'erba.
13Un figlio stolto è una calamità per il padre
e i litigi della moglie sono come stillicidio incessante.
14La casa e il patrimonio si ereditano dai padri,
ma una moglie assennata è dono del Signore.
15La pigrizia fa cadere in torpore,
l'indolente patirà la fame.
16Chi custodisce il comando custodisce se stesso,
chi trascura la propria condotta morirà.
17Chi fa la carità al povero fa un prestito al Signore
che gli ripagherà la buona azione.
18Correggi tuo figlio finché c'è speranza,
ma non ti trasporti l'ira fino a ucciderlo.
19Il violento deve essere punito,
se lo risparmi, lo diventerà ancora di più.
20Ascolta il consiglio e accetta la correzione,
per essere saggio in avvenire.
21Molte sono le idee nella mente dell'uomo,
ma solo il disegno del Signore resta saldo.
22Il pregio dell'uomo è la sua bontà,
meglio un povero che un bugiardo.
23Il timore di Dio conduce alla vita
e chi ne è pieno riposerà non visitato dalla sventura.
24Il pigro tuffa la mano nel piatto,
ma stenta persino a riportarla alla bocca.
25Percuoti il beffardo e l'ingenuo diventerà accorto,
rimprovera l'intelligente e imparerà la lezione.
26Chi rovina il padre e fa fuggire la madre
è un figlio disonorato e infame.
27Figlio mio, cessa pure di ascoltare l'istruzione,
se vuoi allontanarti dalle parole della sapienza.
28Il testimone iniquo si beffa della giustizia
e la bocca degli empi ingoia l'iniquità.
29Per i beffardi sono pronte le verghe
e il bastone per le spalle degli stolti.
Salmi 37
1'Di Davide.'
Alef. Non adirarti contro gli empi
non invidiare i malfattori.
2Come fieno presto appassiranno,
cadranno come erba del prato.
3Bet. Confida nel Signore e fa' il bene;
abita la terra e vivi con fede.
4Cerca la gioia del Signore,
esaudirà i desideri del tuo cuore.
5Ghimel. Manifesta al Signore la tua via,
confida in lui: compirà la sua opera;
6farà brillare come luce la tua giustizia,
come il meriggio il tuo diritto.
7Dalet. Sta' in silenzio davanti al Signore e spera in lui;
non irritarti per chi ha successo,
per l'uomo che trama insidie.
8He. Desisti dall'ira e deponi lo sdegno,
non irritarti: faresti del male,
9poiché i malvagi saranno sterminati,
ma chi spera nel Signore possederà la terra.
10Vau. Ancora un poco e l'empio scompare,
cerchi il suo posto e più non lo trovi.
11I miti invece possederanno la terra
e godranno di una grande pace.
12Zain. L'empio trama contro il giusto,
contro di lui digrigna i denti.
13Ma il Signore ride dell'empio,
perché vede arrivare il suo giorno.
14Het. Gli empi sfoderano la spada
e tendono l'arco
per abbattere il misero e l'indigente,
per uccidere chi cammina sulla retta via.
15La loro spada raggiungerà il loro cuore
e i loro archi si spezzeranno.
16Tet. Il poco del giusto è cosa migliore
dell'abbondanza degli empi;
17perché le braccia degli empi saranno spezzate,
ma il Signore è il sostegno dei giusti.
18Iod. Conosce il Signore la vita dei buoni,
la loro eredità durerà per sempre.
19Non saranno confusi nel tempo della sventura
e nei giorni della fame saranno saziati.
20Caf. Poiché gli empi periranno,
i nemici del Signore appassiranno
come lo splendore dei prati,
tutti come fumo svaniranno.
21Lamed. L'empio prende in prestito e non restituisce,
ma il giusto ha compassione e dà in dono.
22Chi è benedetto da Dio possederà la terra,
ma chi è maledetto sarà sterminato.
23Mem. Il Signore fa sicuri i passi dell'uomo
e segue con amore il suo cammino.
24Se cade, non rimane a terra,
perché il Signore lo tiene per mano.
25Nun. Sono stato fanciullo e ora sono vecchio,
non ho mai visto il giusto abbandonato
né i suoi figli mendicare il pane.
26Egli ha sempre compassione e dà in prestito,
per questo la sua stirpe è benedetta.
27Samech. Sta' lontano dal male e fa' il bene,
e avrai sempre una casa.
28Perché il Signore ama la giustizia
e non abbandona i suoi fedeli;
Ain. gli empi saranno distrutti per sempre
e la loro stirpe sarà sterminata.
29I giusti possederanno la terra
e la abiteranno per sempre.
30Pe. La bocca del giusto proclama la sapienza,
e la sua lingua esprime la giustizia;
31la legge del suo Dio è nel suo cuore,
i suoi passi non vacilleranno.
32L'empio spia il giusto
e cerca di farlo morire.
33Il Signore non lo abbandona alla sua mano,
nel giudizio non lo lascia condannare.
34Kof. Spera nel Signore e segui la sua via:
ti esalterà e tu possederai la terra
e vedrai lo sterminio degli empi.
35Res. Ho visto l'empio trionfante
ergersi come cedro rigoglioso;
36sono passato e più non c'era,
l'ho cercato e più non si è trovato.
37Sin. Osserva il giusto e vedi l'uomo retto,
l'uomo di pace avrà una discendenza.
38Ma tutti i peccatori saranno distrutti,
la discendenza degli empi sarà sterminata.
39Tau. La salvezza dei giusti viene dal Signore,
nel tempo dell'angoscia è loro difesa;
40il Signore viene in loro aiuto e li scampa,
li libera dagli empi e dà loro salvezza,
perché in lui si sono rifugiati.
Ezechiele 38
1Mi fu rivolta questa parola del Signore:2"Figlio dell'uomo, volgiti verso Gog nel paese di Magòg, principe capo di Mesech e Tubal, e profetizza contro di lui.
Annunzierai:3Dice il Signore Dio: Eccomi contro di te Gog, principe capo di Mesech e Tubal,4io ti aggirerò, ti metterò ganci alle mascelle e ti farò uscire con tutto il tuo esercito, cavalli e cavalieri tutti ben equipaggiati, truppa immensa con scudi grandi e piccoli, e tutti muniti di spada.5La Persia, l'Etiopia e Put sono con loro, tutti con scudi ed elmi.6Gomer e tutte le sue schiere, la gente di Togarmà, le estreme regioni del settentrione e tutte le loro forze, popoli numerosi sono con te.
7Sta' pronto, fa' i preparativi insieme con tutta la moltitudine che si è radunata intorno a te: sii a mia disposizione.8Dopo molto tempo ti sarà dato l'ordine: sul finire degli anni tu andrai contro una nazione che è sfuggita alla spada, che in mezzo a molti popoli si è radunata sui monti d'Israele, rimasti lungamente deserti. Essa rimpatriò dalle genti e tutti abitano tranquilli.9Tu vi salirai, vi giungerai come un uragano: sarai come un nembo che avvolge la terra, tu con tutte le tue schiere e con i popoli numerosi che sono con te.10Dice il Signore Dio: In quel giorno ti verranno in mente dei pensieri e concepirai progetti malvagi.11Tu dirai: Andrò contro una terra indifesa, assalirò genti tranquille che si tengono sicure, che abitano tutte in luoghi senza mura, che non hanno né sbarre né porte,12per depredare, saccheggiare, metter la mano su rovine ora ripopolate e sopra un popolo che si è riunito dalle nazioni, dedito agli armenti e ai propri affari, che abita al centro della terra.
13Saba, Dedan, i commercianti di Tarsis e tutti i suoi leoncelli ti domanderanno: Vieni per saccheggiare? Hai radunato la tua gente per venir a depredare e portar via argento e oro, per rapire armenti e averi e per fare grosso bottino?14Perciò predici, figlio dell'uomo, e annunzia a Gog: Così dice il Signore Dio: In quel giorno, quando il mio popolo Israele dimorerà del tutto sicuro, tu ti leverai,15verrai dalla tua dimora, dagli estremi confini del settentrione, tu e i popoli numerosi che sono con te, tutti su cavalli, una turba grande, un esercito potente.16Verrai contro il mio popolo Israele, come un nembo per coprire la terra. Sul finire dei giorni io ti manderò sulla mia terra perché le genti mi conoscano quando per mezzo tuo, o Gog, manifesterò la mia santità davanti ai loro occhi.17Così dice il Signore Dio: Non sei tu quegli di cui parlai nei tempi antichi per mezzo dei miei servi, i profeti d'Israele, i quali, in quei tempi e per molti anni, profetizzarono che io ti avrei mandato contro di loro?18Ma, quando Gog giungerà nel paese d'Israele - parola del Signore Dio - divamperà la mia collera.19Nella mia gelosia e nel mio furore ardente io vi dichiaro: In quel giorno ci sarà un gran terremoto nel paese di Israele:20davanti a me tremeranno i pesci del mare, gli uccelli del cielo, gli animali selvatici, tutti i rettili che strisciano sul terreno e ogni uomo che è sulla terra: i monti franeranno, le rocce cadranno e ogni muro rovinerà al suolo.
21Contro di lui, per tutti i monti d'Israele, chiamerò la spada. Parola del Signore Dio. La spada di ognuno di essi sarà contro il proprio fratello.22Farò giustizia di lui con la peste e con il sangue: farò piovere su di lui e le sue schiere, sopra i popoli numerosi che sono con lui, torrenti di pioggia e grandine, fuoco e zolfo.23Io mostrerò la mia potenza e la mia santità e mi rivelerò davanti a genti numerose e sapranno che io sono il Signore".
Lettera di Giacomo 5
1E ora a voi, ricchi: piangete e gridate per le sciagure che vi sovrastano!2Le vostre ricchezze sono imputridite,3le vostre vesti sono state divorate dalle tarme; il vostro oro e il vostro argento sono consumati dalla ruggine, la loro ruggine si leverà a testimonianza contro di voi e divorerà le vostre carni come un fuoco. Avete accumulato tesori per gli ultimi giorni!4Ecco, il salario da voi defraudato ai lavoratori che hanno mietuto le vostre terre grida; e le proteste dei mietitori sono giunte alle orecchie del Signore degli eserciti.5Avete gozzovigliato sulla terra e vi siete saziati di piaceri, vi siete ingrassati per il giorno della strage.6Avete condannato e ucciso il giusto ed egli non può opporre resistenza.
7Siate dunque pazienti, fratelli, fino alla venuta del Signore. Guardate l'agricoltore: egli aspetta pazientemente il prezioso frutto della terra finché abbia ricevuto le piogge d'autunno e le piogge di primavera.8Siate pazienti anche voi, rinfrancate i vostri cuori, perché la venuta del Signore è vicina.9Non lamentatevi, fratelli, gli uni degli altri, per non essere giudicati; ecco, il giudice è alle porte.10Prendete, o fratelli, a modello di sopportazione e di pazienza i profeti che parlano nel nome del Signore.11Ecco, noi chiamiamo beati quelli che hanno sopportato con pazienza. Avete udito parlare della pazienza di Giobbe e conoscete la sorte finale che gli riserbò il Signore, perché 'il Signore è ricco di misericordia e di compassione'.
12Soprattutto, fratelli miei, non giurate, né per il cielo, né per la terra, né per qualsiasi altra cosa; ma il vostro "sì" sia sì, e il vostro "no" no, per non incorrere nella condanna.
13Chi tra voi è nel dolore, preghi; chi è nella gioia salmeggi.14Chi è malato, chiami a sé i presbiteri della Chiesa e preghino su di lui, dopo averlo unto con olio, nel nome del Signore.15E la preghiera fatta con fede salverà il malato: il Signore lo rialzerà e se ha commesso peccati, gli saranno perdonati.16Confessate perciò i vostri peccati gli uni agli altri e pregate gli uni per gli altri per essere guariti. Molto vale la preghiera del giusto fatta con insistenza.17Elia era un uomo della nostra stessa natura: pregò intensamente che non piovesse e non piovve sulla terra per tre anni e sei mesi.18Poi pregò di nuovo e il cielo diede la pioggia e la terra produsse il suo frutto.19Fratelli miei, se uno di voi si allontana dalla verità e un altro ve lo riconduce,20costui sappia che chi riconduce un peccatore dalla sua via di errore, salverà la sua anima dalla morte e coprirà una moltitudine di peccati.
Capitolo XXVII: Più di ogni altra cosa l’amore di se stesso distoglie massimamente dal Sommo Bene
Leggilo nella Biblioteca1. O figlio, per avere tutto, devi dare tutto e non più appartenerti per nulla: sappi che l'amore di te stesso ti danneggia più di ogni altra cosa di questo mondo. Ciascuna cosa sta più o meno fortemente a te abbracciata, a seconda dell'amore e della passione che tu porti per essa. Ma se il tuo sarà un amore puro, libero e conforme al volere di Dio, sarai affrancato dalla schiavitù delle cose. Non desiderare ciò che non ti è lecito avere; non volere ciò che ti può essere d'impaccio, privandoti della libertà interiore. Pare incredibile che tu non ti rimetta a me, dal profondo del cuore, con tutto te stesso e con tutte le cose che puoi desiderare ed avere. Perché ti consumi in vana tristezza? Perché ti opprimi con inutili affanni? Sta' al mio volere, e non subirai alcun nocumento. Se tu andrai cercando questo o quest'altro; se vorrai essere qui oppure là, per conseguire maggiormente il tuo comodo e il tuo piacere, non sarai mai in pace, libero da angosce; perché in ogni cosa ci sarà qualche difetto e dappertutto ci sarà uno che ti contrasta.
2. Quello che giova, dunque, non è ciò che possa essere da noi raggiunto o fatto più grande, fuori di noi; quello che giova è ciò che viene da noi disprezzato e strappato radicalmente dal nostro cuore. E questo va inteso non solamente della stima, del denaro o delle ricchezze, ma anche della bramosia degli onori e del desiderio di vane lodi: tutte cose che passano, col passare di questo mondo. Non sarà un certo luogo che ti darà sicurezza, se ti manca il fervore spirituale. Non sarà una pace cercata fuori di te che reggerà a lungo, se ti manca quello che è il vero fondamento della fermezza del cuore: vale a dire se tu non sei saldamente in me. Puoi trasferirti altrove, quanto vuoi; ma non puoi migliorare te stesso. Se, affacciandosi un'occasione, la coglierai, troverai ancora, e ancora di più, quello che avevi fuggito.
Preghiera per ottenere la purificazione del cuore e la celeste sapienza.
3. O Dio, dammi vigore, con la grazia dello Spirito Santo; fa' che il mio cuore si liberi da ogni vano, angoscioso tormento, senza lasciarsi allettare da vari desideri di cosa alcuna, di poco prezzo o preziosa; fa' che io guardi tutte le cose come passeggere, e me con esse, parimenti passeggero, poiché nulla resta fermo, sotto il sole, qui dove tutto è "vanità e afflizione di spirito" (Qo 1,14). Quanto è saggio chi ragiona così. Dammi, o Signore, la celeste sapienza; così che io apprenda a cercare e a trovare te, sopra ogni cosa; apprenda a gustare e ad amare te, sopra ogni cosa; apprenda a considerare tutto il resto per quello che è, secondo il posto assegnatogli dalla sapienza. Dammi la prudenza, per saper allontanare chi mi lusinga; dammi la pazienza, per sopportare chi mi contrasta. Perché qui è grande saggezza, nel non lasciarsi smuovere da ogni vuota parola e nel non prestare orecchio alla sirena che perfidamente ci invita. Cominciata in tal modo la strada, si procede in essa con sicurezza.
LETTERA 141: Agostino a nome dei Padri del concilio di Zerta, denuncia le calunnie dei Donatisti, secondo i quali Marcellino, avrebbe favorito i Cattolici .
Lettere - Sant'Agostino
Leggilo nella BibliotecaScritta il 14 giugno 412.
Agostino a nome dei Padri del concilio di Zerta, denuncia le calunnie dei Donatisti, secondo i quali Marcellino, avrebbe favorito i Cattolici (n. 1) e si appella ai verbali della Conferenza nei quali erano registrati i loro sforzi intesi a boicottare la Conferenza stessa in cui furono battuti (nn. 2-4) e il modo con cui i Cattolici ritorsero contro i Donatisti l'accusa di " traditori " mossa a Ceciliano e Felice di Aptungi (nn. 5-10); dimostra infine le contraddizioni degli scismatici (nn. 11-12) e li esorta a tornare in seno alla Chiesa cattolica (n. 13).
IL PRIMATE SILVANO, VALENTINO, AURELIO, INNOCENZO, MASSIMINO, OTTATO, AGOSTINO, DONATO E GLI ALTRI VESCOVI DEL CONCILIO DI ZERTA AI DONATISTI.
Si confutano le calunnie dei Donatisti.
1. E' arrivata ai nostri orecchi la voce, propalata dai vostri vescovi, secondo cui il commissario imperiale sarebbe stato corrotto con denaro per pronunciare il verdetto sfavorevole contro di loro, e voi siete disposti a crederlo, per cui molti non vogliono ancora credere alla verità. Per questo motivo, spinti dall'amore di Dio, ci è parso doveroso d'indirizzarvi questa lettera, conforme alle decisioni del nostro Concilio, per avvertirvi anzitutto che tali menzogne le vanno spargendo i vostri vescovi, confutati e condannati in giudizio. Essi, anche a proposito del loro rescritto, steso per la conferenza e garantito dalle firme dei loro nomi, nel quale ci chiamavano " traditori e persecutori ", furono smascherati e condannati per la loro falsificazione e l'evidentissima menzogna. Volendo vantarsi del gran numero dei loro vescovi coadiutori, giunsero al punto d'inserire tra i nomi di alcuni assenti perfino quello di un morto. Quando fu loro chiesto dove fosse, sconcertati e sconvolti confessarono ch'era morto durante il viaggio! Interrogati di nuovo come avesse potuto firmare quel documento a Cartagine uno che era morto in viaggio, ancor più fortemente sconcertati, risposero con un altro falso giuramento, che cioè era morto mentre tornava da Cartagine: ma non riuscirono a districarsi da tale bugia. Ecco a quale specie d'individui voi prestate fede, quando vi parlano del nostro antico "tradimento" o della corruzione del giudice; a individui cioè che non poterono firmare, senza commettere una colpa di falsificazione, il loro rescritto, dove ci imputarono la colpa di " tradimento ". Perciò in questa lettera abbiamo allegato i fatti più strettamente necessari, raccolti quasi in riassunto, nel timore che non vi riesca di consultare o leggere senza fatica i ponderosi volumi dei verbali ufficiali.
I verbali della Conferenza, documenti inoppugnabili.
2. Noi e i vostri vescovi andammo a Cartagine e ci radunammo tutti in assemblea, benché i vostri in un primo momento avessero rifiutato la conferenza e avessero detto che non era opportuna. Da parte nostra e da parte loro furono eletti dei delegati, in numero di sette, a parlare a nome di tutti. Ne vennero eletti ancora sette dall'una e dall'altra parte, con i quali consultarsi quando fosse necessario. Inoltre vennero eletti quattro per ciascuna parte, che fossero garanti della stesura dei verbali, al fine di evitare che si dicesse che qualche particolare fosse stato falsificato da qualcuno. Furono dati dalle due parti quattro stenografi, che si alternassero due alla volta coi cancellieri del giudice, affinché nessuna delle due parti avesse poi a lamentarsi che le parole non fossero state scritte. testualmente. A si scrupolose precauzioni si aggiunse anche quella di obbligarci a sottoscrivere il testo, tanto noi che essi, come pure il giudice in persona, con formule nostre per evitare che nessuno in seguito potesse dire che in quei verbali fosse stata alterata qualche cosa. Dato che tali verbali sono arrivati a conoscenza del pubblico in tutti i luoghi nei quali è giusto che siano conosciuti, essendo ancora in vita coloro che li sottoscrissero, così durerà sino ai posteri la verità confermata con tali garanzie. Non vogliate essere dunque sconoscenti verso tanta misericordia di Dio, che vi è stata procurata con questa gran diligenza. Ormai non c'è più scusa: troppo induriti, troppo diabolici sono i cuori degli uomini che si oppongono ancora a una manifestazione così chiara della verità.
La Conferenza boicottata dai Donatisti.
3. Ecco, i vescovi della vostra setta, eletti da tutti i loro colleghi perché parlassero a difesa di tutti ' si sforzarono, per quanto poterono, perché non si trattasse affatto la causa, per cui si gran numero di vescovi d'ambo le parti era venuto da tutta l'Africa e da luoghi tanto lontani. E mentre tutti aspettavano ansiosi che cosa si dovesse trattare in un'adunanza così numerosa, essi si sforzavano accanitamente affinché non si facesse nulla. Perché mai agivano così, se non perché sapevano d'avere torto e perché non avevano dubbi di dover essere condannati, qualora fosse stata trattata la causa? La loro stessa disposizione d'animo, per cui temevano che la causa fosse trattata, mostrava che erano già condannati. Anche se fossero riusciti a estorcere ciò che volevano, che cioè la conferenza non si facesse più e che dalle nostre discussioni non apparisse la verità, che cosa avrebbero potuto rispondervi, che cosa mostrarvi al ritorno da Cartagine? Vi avrebbero mostrato i verbali, io credo, e vi avrebbero detto: " Noi facevamo pressioni perché la causa non si discutesse, ma i nostri avversari premevano in senso contrario. Vi aspettate di vedere che cosa abbiamo concluso: ecco, leggete: li abbiamo vinti per il fatto che non si è proceduto a nessuna discussione ". Può darsi che anche voi, se aveste avuto coraggio, li avreste rimbeccati: " Se non avevate intenzione di far nulla, perché siete andati? o piuttosto: perché siete tornati senza aver concluso nulla?"
I donatisti smascherati nella Conferenza.
4. Dopoché infine non riuscirono ad attuare il loro tentativo di boicottare la conferenza, quando questa si svolse dimostrò che cosa quelli temevano dal momento che i loro vescovi furono battuti su tutta la linea. Confessarono infatti di non aver nulla da dire contro la Chiesa cattolica, diffusa in tutto il mondo, poiché furono schiacciati dalle testimonianze divine delle Sacre Scritture, in cui si delinea la storia della Chiesa che, cominciando da Gerusalemme 1, crebbe nei luoghi ove predicarono gli Apostoli e ne lasciarono i nomi scritti nelle loro lettere e negli Atti e di lì si diffuse per tutte le altre nazioni. A chiara voce manifestarono di non avere nessuna obiezione contro questa Chiesa, ed in ciò risuona evidentissima la nostra vittoria nel nome di Dio. In effetti, quando confermano la (verità della) Chiesa con la quale noi siamo in comunione, mentre è manifesto che non lo sono essi, dimostrano di essere stati già battuti. Se siete avveduti, essi vi insegnano pure ciò che dovete abbandonare e ciò che dovete conservare, non con la falsità con cui non cessano ancora di mentirvi, ma con la verità che, battuti, sono costretti a confessare.
Solo i conniventi si macchiano dei peccati altrui.
5. Chiunque si sarà separato dalla Chiesa cattolica, per quanto creda di vivere virtuosamente, non avrà la vita a causa dell'unica colpa di essersi separato dall'unità di Cristo, ma l'ira di Dio rimarrà su di lui 2. Chi invece vivrà bene in questa Chiesa, non riceverà alcun danno a causa dei peccati altrui, poiché ciascuno - come dice l'Apostolo - porterà in essa il proprio fardello 3. E chiunque in essa mangia indegnamente il corpo di Cristo, mangia e beve la propria condanna 4, come scrisse il medesimo Apostolo. Dicendo che: mangia la propria condanna, mostra chiaramente che la mangia per sé, non per un altro. Ecco che cosa abbiamo fatto, che cosa abbiamo dimostrato e che cosa abbiamo ottenuto, poiché la comunione dei cattivi non macchia alcuno se partecipa ai sacramenti, ma lo macchia solo quando acconsente alle azioni. Poiché se uno non acconsente alle male azioni dei cattivi, il malvagio porta la propria colpa e la sua responsabilità personale, senza essere di pregiudizio a un altro, che non è complice della sua colpa nell'acconsentire alla sua mala azione.
Il caso di Ceciliano e del donatista Massimiano.
6. Gli stessi vescovi furono costretti ad ammettere anche tale verità a note molto chiare; non proprio allorquando si discuteva questo argomento, ma in seguito, quando si trattò un'altra questione. Si era arrivati infatti anche alla questione di Ceciliano, che noi separavamo da quella della Chiesa, disposti a scomunicarlo se mai fosse stato trovato colpevole, non però ad abbandonare per causa sua la Chiesa di Cristo, alla quale Ceciliano non poteva recare pregiudizio col suo torto. Allorché dunque si giunse alla questione di Ceciliano, ed essi fecero leggere il resoconto del concilio di Cartagine e citarono i giudizi pronunciati da più o meno settanta vescovi contro Ceciliano assente, noi rispondemmo che quel concilio di vescovi non danneggiava Ceciliano assente, allo stesso modo che il ben più numeroso concilio di vescovi Donatisti non arrecò danno a Primiano assente, quando più o meno cento vescovi lo avevano condannato nel processo contro Massimiano. Appena si fece menzione del processo contro Massimiano, essi rimasero sconcertati. Sanno infatti di avere accolto nella setta e reintegrato in tutti gli onori anche coloro che furono da loro condannati e di avere confermato e non annullato il battesimo amministrato durante il sacrilego scisma di Massimiano; sapevano che nella loro sentenza di Bagai con cui li scomunicarono, avevano concesso ad alcuni scismatici una dilazione, col dire che erano stati infettati dai germogli del sacrilego pollone di Massimiano. Appena dunque risonò ai loro orecchi la menzione di quel processo, sbigottiti e profondamente turbati, dimenticarono il motivo per cui poc'anzi litigavano contro di noi e all'improvviso affermarono: " Una causa non ne pregiudica un'altra, né una persona ne pregiudica un'altra ". Con le loro medesime parole confermarono ciò che prima dicevamo noi della Chiesa, che cioè la causa personale di Ceciliano, qualunque essa. fosse, non poteva recare pregiudizio non solo alla Chiesa cattolica d'oltremare, contro la quale essi ammisero di non avere nulla da dire, ma neppure alla Chiesa cattolica africana, congiunta a quella d'oltremare nella comunione dell'unità, se è vero che al partito di Donato non reca pregiudizio Massimiano, che con gli altri suoi colleghi condannò Primiano, e neanche Feliciano, che insieme con lui condannò Primiano e poi nel processo contro quest'ultimo fu a sua volta condannato e scomunicato dal partito di Donato, nel quale ora viene reintegrato e accolto come vescovo, come lo era stato prima; se è vero che Massimiano non reca pregiudizio neppure ai suoi compagni, ai quali i Donatisti concessero una dilazione, affermando che non erano stati macchiati da colui col quale erano vissuti, perché " né una causa, né una persona possono recar pregiudizio a un'altra ".
L'accusa di "traditori" ritorta contro i Donatisti.
7. Che andate cercando di più? Sovraccaricarono i verbali con molte parole superflue; e poiché non, poterono impedire che la causa si trattasse, coi loro sproloqui resero difficile la lettura di quanto si era trattato. Ma vi dovrebbero bastare queste poche parole per distogliervi dall'odiare l'unità della Chiesa cattolica per non so quali colpe di non so quali persone. Sono parole che essi preannunciarono, rilessero e sottoscrissero: " Una causa non reca pregiudizio a un'altra, né una persona a un'altra". Sebbene la questione di Ceciliano non riguardasse quella della Chiesa, ne assumemmo tuttavia la difesa, perché anche in essa apparissero chiare le calunnie degli avversari, che furono palesamente confutati né poterono provare alcuna delle accuse contro Ceciliano. Inoltre per le accuse di " tradimento " presentammo i verbali vescovili, dai quali leggemmo all'assemblea che alcuni dei loro vescovi, che avevano pronunziato sentenze di condanna all'indirizzo di Ceciliano assente, erano stati proprio essi " traditori " inequivocabili. Ma essi, che non avevano nulla da opporre alla nostra affermazione, accusarono di falso quei verbali, ma non poterono provarlo in alcun modo.
L'innocenza di Ceciliano dimostrata dai documenti.
8. Per di più ammisero, o meglio dichiararono pubblicamente, come titolo di grande gloria, che Ceciliano era stato accusato dai loro predecessori presso l'imperatore Costantino. Aggiunsero anche questa bugia, che cioè in base alla loro accusa era stato condannato dall'imperatore. Ma anche su questo punto subirono uno scacco, essi che sono soliti spargere intorno a voi le tenebre dell'errore, eccitando il vostro sdegno contro di noi e rendendoci a voi odiosi, perché trattiamo la causa della Chiesa presso l'imperatore. Ecco, questi sono i loro antenati, dei cui nomi vanno tanto fieri; furono essi a trattare la causa della Chiesa dinnanzi all'Imperatore, a perseguitare con accuse Ceciliano presso il medesimo Imperatore e a dire che era stato condannato. Non lasciatevi dunque più sedurre dalle loro affermazioni, che non sono altro che errori e menzogne; tornate in voi stessi 5, abbiate timore di Dio, meditate sulla verità, abbandonate la falsità. Rispetto a tutto ciò che avete sofferto per causa delle leggi imperiali, e non certo per la vostra giustizia ma per l'iniquità, non potete chiamarci ingiusti, poiché non ci saremmo dovuti comportare con voi in guisa che l'Imperatore v'impedisse di continuare a violare la legge di Dio. I vostri vescovi ammisero che i loro predecessori s'erano comportati con Ceciliano proprio come non vorreste si agisse con voi. Eppure che Ceciliano fosse perseguitato da loro presso l'imperatore, è cosa ben nota, per ammissione e dichiarazione esplicita di essi medesimi, ma che Ceciliano fosse condannato dall'imperatore, non risultò nel modo più assoluto. Risultò anzi chiaro che, dietro accuse e persecuzioni degli antenati donatisti, egli fu assolto prima in due concili dai vescovi, e in seguito dall'imperatore in persona. Lo confermarono anch'essi allorché citarono più tardi questi fatti, quasi fossero a loro favore, che in tal modo risultarono sfavorevoli ad essi, e così anche le prove da loro addotte furono lette a favore di Ceciliano. Per tale motivo non poterono provare con testimonianze inoppugnabili le accuse da loro mosse contro chiunque: tutto ciò invece che noi diciamo in favore della Chiesa e di Ceciliano lo confermarono essi stessi con le proprie parole e con i testi da loro presentati.
I Donatisti smaccati e derisi.
9. Presentarono dapprima un libro di Ottato, quasi a dimostrare che Ceciliano era stato condannato dall'imperatore. Orbene, mentre quel libro veniva letto, risultò sfavorevole a loro in quanto dimostrava piuttosto che Ceciliano era stato discolpato, sicché furono derisi da tutti. Siccome però la risata non poté essere registrata dagli stenografi, attestarono nei verbali che furono derisi per le loro affermazioni. Presentarono e lessero come seconda prova la denuncia inviata dai loro predecessori all'imperatore Costantino, nella quale si lamentavano d'essere fieramente perseguitati dal predetto imperatore, e così proprio con questa denuncia mostrarono ch'erano stati battuti da Ceciliano presso l'imperatore e che l'affermazione della condanna di Ceciliano era falsa. In terzo luogo presentarono una lettera dello stesso Costantino, diretta al vicario Verino, nella quale egli li detesta aspramente e ordina di liberarli dall'esilio e di lasciarli in preda al loro furore, poiché Dio aveva già cominciato a punirli. Così anche questa lettera confermò che essi avevano asserito il falso col dire che Ceciliano era stato condannato dall'imperatore, mentre invece l'imperatore dimostrò piuttosto che proprio essi erano stati vinti da Ceciliano, quando, dopo averli esecrati con tutto il suo disprezzo, aveva dato ordine che venissero richiamati dall'esilio, per essere puniti dalla giustizia di Dio, come già avevano cominciato ad esserlo.
Felice di Aptungi dichiarato innocente dal tribunale civile.
10. Misero poi in discussione il caso di Felice di Aptungi, che aveva ordinato vescovo Ceciliano, dicendo che lo stesso Felice era stato " traditore " perché aveva consacrato Ceciliano; presentarono inoltre una lettera dello stesso Costantino a favore di Ceciliano e quindi sfavorevole a loro, nella quale dava ordine al proconsole d'inviare Ingenzio al proprio tribunale imperiale. Questo Ingenzio, durante l'inchiesta del proconsole Eliano, aveva confessato d'aver detto il falso a danno di Felice, il quale aveva ordinato Ceciliano. Orbene, i Donatisti affermavano che non senza un motivo l'imperatore aveva mandato a chiamare Ingenzio: lo aveva fatto perché era ancora pendente la causa di Ceciliano e tentavano con ciò d'insinuare il sospetto, quanto mai infondato, che cioè solo dopo che Ingenzio fu inviato al tribunale imperiale l'imperatore avrebbe potuto pronunciare il giudizio contro Ceciliano e, con una sentenza posteriore, annullare la sentenza da noi letta, in base alla quale l'imperatore aveva giudicato tra le due parti e discolpato Ceciliano. S'insisteva da parte nostra perché leggessero piuttosto quest'ultima sentenza, ma non avevano assolutamente nulla da mostrare. Al contrario, il contenuto della lettera con cui l'imperatore aveva ordinato che gli s'inviasse Ingenzio 6 e che essi lessero a loro danno mentre era in favore di Ceciliano, era che il proconsole Eliano, nel processo di Felice, giudicò nel modo del tutto opposto e risultò che Felice era innocente riguardo alla colpa di " tradimento ". D'altronde ordinava che Ingenzio fosse inviato al suo tribunale, affinché a coloro che erano presenti e non cessavano di reclamare presso di lui ogni giorno, si potesse dimostrare e far capire che invano cercavano di procurare odiosità a Ceciliano e che avevano tentato di levarsi contro di lui con la violenza.
Dichiarazioni controproducenti dei Donatisti.
11. Chi mai avrebbe pensato che i vostri vescovi avrebbero potuto leggere nell'adunanza documenti sfavorevoli ad essi e favorevoli a noi, se per volontà di Dio onnipotente non fosse accaduto che nei verbali ufficiali non solo venissero affidate le loro parole, ma vi si potessero leggere anche le firme di coloro che li sottoscrissero? Se infatti adesso uno osserva attentamente la successione dei consoli e dei giorni, registrata nei verbali, troverà in primo luogo che Ceciliano fu assolto da un tribunale composto di vescovi. Non molto tempo dopo, dal proconsole Eliano venne istruito il processo contro Felice di Aptungi, che risultò chiaramente innocente; durante questo processo Ingenzio ricevette l'ordine di recarsi al tribunale imperiale. Molto più tardi l'imperatore stesso esaminò la causa tra le due parti e la definì; in questo processo giudicò innocente Ceciliano e ignobili calunniatori gli avversari. Seguendo la successione dei consoli e dei giorni appare ben chiara la menzogna e la calunnia con cui i Donatisti affermarono che l'imperatore mutò il suo verdetto dopo l'arrivo di Ingenzio al tribunale imperiale e condannò in un secondo momento Ceciliano, da lui prima assolto. A conferma di questa accusa non poterono allegare nessun documento scritto, ma solo documenti a loro sfavore; essi tuttavia in base alla successione degli anni vengono convinti con la massima evidenza che il processo di Felice, nel quale Ingenzio ricevette l'ordine di recarsi presso il tribunale imperiale, era già terminato, e che poco dopo, ma a grande distanza di tempo, Ceciliano fu assolto dalla sentenza summenzionata dell'imperatore, dopo aver giudicato le due parti in causa.
Ridicole scappatoie dei Donatisti.
12. Non vengano dunque a dirvi che noi corrompemmo il giudice con danaro. Che cos'altro sogliono dire coloro che sono sconfitti? Se noi demmo al giudice del denaro perché pronunciasse contro di loro la sentenza favorevole a noi, che cosa demmo ai Donatisti, perché non solo dicessero, ma leggessero anche tante cose a vantaggio nostro e a proprio danno? Vogliono forse che li ringraziamo presso di voi perché, mentre dicono che il giudice fu da noi corrotto con denaro, essi stessi offrirono gratuitamente tante prove che dissero e lessero per noi, contro di loro? Oppure se affermano di averci vinto, per aver trattato la causa di Ceciliano meglio di noi, allora potete dare senz'altro loro credito. Noi infatti avevamo pensato che a scagionare Ceciliano bastasse leggere due documenti: essi invece ne presentarono quattro.
Esorta i Donatisti a tornare nell'unità cattolica.
13. Ma perché allungare la lettera e renderla più noiosa? Credete a noi se vi diciamo che vogliamo mantenere tutti insieme l'unità comandata ed amata da Dio. Se invece non volete credere a noi, leggete voi stessi i processi verbali o permettete che vi siano letti e assicuratevi se è vero ciò che vi abbiamo scritto. Se poi non volete far nulla di ciò e desiderate seguire ancora la falsità della setta di Donato comprovata dalla verità luminosissima, noi non siamo responsabili della vostra condanna, quando un giorno vi pentirete, ma sarà troppo tardi. Se al contrario non trascurerete l'occasione che Dio vi ha offerta e, dopo una causa dibattuta con tanta cura ed esaminata con tanto scrupolo, lasciando la vostra perversa abitudine, consentirete nella pace e nell'unità di Cristo, noi esulteremo del vostro ravvedimento e i Sacramenti di Cristo, di cui usate nel sacrilegio dello scisma a vostra condanna, vi riusciranno utili e salutari, quando avrete a vostro capo Cristo, nella pace cattolica, nella quale la carità copre la moltitudine dei peccati 7. Vi abbiamo scritto questa lettera il 18 prima delle calende di luglio, nel nono consolato del piissimo Onorio Augusto, perché giungesse a ciascuno appena possibile.
1 - Cf. At 1, 8.
2 - Gv 3, 36.
3 - Gal 6, 5.
4 - 1 Cor 11, 29.
5 - Cf. Is 46, 8.
6 - Cf. Ep. 88, 4.
7 - 1 Pt 4, 8.
16 - Maria beatissima viene a conoscere le risoluzioni prese dal diavolo per perseguitare la Chiesa.
La mistica Città di Dio - Libro settimo - Suor Maria d'Agreda
Leggilo nella Biblioteca307. Quando Lucifero e i suoi ministri, dopo la conversione di Paolo, stavano escogitando il modo di vendicarsi sulla nostra Signora e sui cristiani, non immaginavano che la sua vista penetrasse le oscure caverne infernali e quanto vi era di più occulto nei loro conciliaboli; in tale inganno, quei cruentissimi draghi si ripromettevano più sicura la vittoria e l'esecuzione dei loro decreti contro di lei e contro i discepoli. Ella, però, dal luogo del suo ritiro, scrutava con la chiarezza della sua scienza quello che i nemici della luce discutevano e decidevano, intendendo tutti i loro fini e i mezzi scelti per conseguirli, lo sdegno che nutrivano per l'Altissimo e per lei, nonché il loro feroce odio per gli apostoli e gli altri fedeli. Nella sua saggezza valutava altresì che, senza il permesso celeste, essi non possono realizzare niente di ciò che architettano nella loro malvagità; tuttavia, poiché nell'esistenza mortale la battaglia è inevitabile e le erano note la fragilità e l'ignoranza che gli uomini comunemente hanno della maliziosa astuzia con cui i demoni procurano la loro perdizione, provava grande dolore e apprensione nell'osservare piani tanto perfidi per rovinarli.
308. Con queste eminentissime doti di carità e sapienza, a lei partecipate direttamente da quelle di Dio, le fu comunicata anche un'altra specie di attività infaticabile, simile a quella di lui, che sempre opera come atto purissimo. La vigilante Vergine aveva continuamente preoccupazione attuale della gloria dell'Onnipotente, come pure della salvezza e consolazione dei suoi figli; inoltre, nel suo intimo castissimo e prudente meditava eccelsi misteri, confrontando il passato con il presente e tutto questo con il futuro, che prevedeva con discrezione e lungimiranza sovrumane. L'acceso desiderio della felicità perenne dei membri della Chiesa, insieme alla compassione materna che sentiva delle loro tribolazioni e dei pericoli che li sovrastavano, la stimolavano a fare sue quelle pene. Per quanto dipendeva dal suo ardore, anelante a sopportarle per tutti nella propria persona, bramava che gli altri seguaci del Redentore si impegnassero con gioia e letizia, guadagnandosi la grazia e la vita senza fine, e che le sofferenze di tutti gravassero su lei sola. Anche se questo non era possibile nell'equità e provvidenza divina, si deve considerare un affetto tanto raro e meraviglioso, ed esserle grati che talvolta la volontà del supremo Re condiscendesse realmente ad esso per appagare la sua sete e darle ristoro nelle sue ansietà, consentendo che patisse per noi e ci meritasse enormi benefici.
309. La Principessa , però, non capì nei dettagli quello che veniva stabilito contro di lei, ma solo in generale di essere oggetto della rabbia più furiosa dei principi delle tenebre. Ciò che determinavano di fare le fu parzialmente celato per disposizione superna, affinché successivamente fosse maggiore il trionfo che avrebbe ottenuto. In effetti, il preavviso delle tentazioni e persecuzioni che avrebbe dovuto sostenere non era per lei necessario come per gli altri, che non erano tanto nobili; delle loro difficoltà ebbe, dunque, cognizione più precisa. Dato che in tutto ricorreva all'orazione per consultare l'Eterno, come istruita dall'esempio e dall'insegnamento del Maestro, lo fece subito con diligenza, abbassandosi in disparte fino a terra come di consueto, e con mirabile fervore parlò così:
310. «Immenso sovrano, perfetto e incomprensibile, ecco steso al vostro cospetto questo vile vermiciattolo. Per il vostro Unigenito e mio Signore, vi scongiuro di non rigettare le domande e i gemiti che presento al vostro sconfinato amore con quello che, uscito dall'incendio che divampa in voi, è stato riversato in questa semplice ancella. In nome dell'intera comunità ecclesiale, vi offro il sacrificio della passione di Cristo e quello del suo corpo consacrato, le preghiere a voi tanto gradite che egli vi ha innalzato mentre era nel mondo, la bontà che per il riscatto di tutti lo mosse ad incarnarsi nel mio grembo, dove l'ho portato per nove mesi, alimentandolo poi al mio seno; ponderate tutto, per concedermi licenza di implorare ciò che il mio cuore, aperto al vostro sguardo, sospira».
311. La Regina , rapita in estasi, contemplò Gesù che seduto sul trono impetrava che fosse esaudita, in quanto lo aveva generato ed era in tutto bene accetta al Padre, il quale si dichiarava vincolato dalle invocazioni che ella gli aveva indirizzato e soddisfatto di esse e quindi, fissandola con infinita benevolenza, pronunciava le seguenti parole: «Maria, mia diletta, ascendi più su». Allora, venne dal cielo un'innumerevole moltitudine di angeli di diversi ordini, i quali, giunti dinanzi a lei, la sollevarono dal suolo, che toccava con la fronte. Immediatamente la condussero in anima e corpo all'empireo, presso la sede della Trinità, che le si rivelò con una visione sublime, benché non intuitivamente ma per specie. Costei, prostratasi, adorò Dio nelle tre Persone con incommensurabile umiltà e riverenza, e rese grazie al Salvatore per aver appoggiato la sua supplica, sollecitandolo a farlo ancora. Egli, che da dove era la riconosceva come sua degna madre, non dimenticò l'obbedienza che le aveva prestato; anzi, davanti a tutta la sua corte rinnovò questa dimostrazione di figlio e come tale raccomandò un'altra volta quello di cui ella aveva premura. L'Altissimo rispose:
312. «Mio Unigenito, nel quale ho la pienezza del mio compiacimento, le mie orecchie sono attente a colei che vi ha fatto nascere e la mia clemenza è incline ad accontentarla in tutto». Poi, rivolto a lei proseguì: «Amica mia, prescelta da me tra migliaia, tu sei strumento della mia onnipotenza e deposito della mia carità. Abbi calma nei tuoi affanni ed esponimi ogni tuo bisogno, perché ascolterò le tue richieste, che sono sante ai miei occhi». Avuto questo beneplacito, ella disse: «Sommo Creatore, che a tutto date e sostenete l'esistenza, le mie aspirazioni riguardano la vostra Chiesa. Siate pietoso e abbiatene cura, perché è opera del Verbo fatto uomo, fondata ed acquistata con il suo sangue. Contro di essa tornano ad ergersi il serpente antico e i suoi alleati, pretendendo la rovina dei vostri fedeli, che sono il frutto della redenzione. Confondete le loro perverse deliberazioni e difendete gli apostoli, vostri ministri, e gli altri battezzati; affinché questi siano liberati dalla loro ira e dalle loro trame, le concentrino pure su di me, se è fattibile. Io sono una sola povera e i vostri servi sono molti; dunque, essi godano di tranquillità e dei vostri favori, così che possano dedicarsi alla vostra esaltazione, e sia io a sopportare quello che incombe su di loro. Combatterò contro satana e voi, con il vigore del vostro braccio, lo vincerete e sgomenterete nella sua crudeltà».
313. Il nostro Re riprese: «Mia carissima, ti accordo quanto è possibile: proteggerò i miei devoti in ciò che sarà conveniente per la mia gloria e ti lascerò soffrire quello che sarà utile per la loro corona. Perché ti sia manifesto il segreto del mio giudizio, con il quale tutto questo va dispensato, sali al nostro seggio, dove il tuo ardore ti dà spazio nel nostro concistoro e nella singolare partecipazione dei nostri attributi. Vieni, ti saranno svelati tanti misteri in ordine alla guida della comunità dei credenti e al suo sviluppo. Eseguirai il tuo volere, che coinciderà con il nostro, come adesso ti illustreremo». Ella si accorse di essere alzata dalla forza di questa dolcissima voce e collocata alla destra di sua Maestà, con ammirazione e giubilo di tutti i beati, che capirono il discorso e la decisione del loro sovrano. Fu senza dubbio una novità tale da muoverli a meraviglia il vedere che una donna nella carne mortale era elevata e invitata al fianco della Trinità, per essere illuminata su verità relative alla direzione della Chiesa, che erano nascoste a tutti e racchiuse nelle profondità divine.
314. Susciterebbe stupore se lo si facesse in qualche città, chiamandone una alle assemblee nelle quali si discute del governo pubblico, e ancor più se la si introducesse nelle sedute dei consigli supremi, dove si affrontano e risolvono le questioni di maggiore complessità ed importanza per i regni e la loro amministrazione. Si stimerebbe questa innovazione poco sicura, dato che Salomone afferma di essere andato in cerca della ragione e di aver trovato un uomo su mille che la possedeva, ma neppure una donna. Sono così rare quelle che l'hanno costante e retta, per la loro fragilità naturale, che normalmente essa non si presume in nessuna; se poi ce ne sono alcune, non fanno numero per occuparsi di affari ardui e dibattuti senza che abbiano un'altra luce oltre a quella comune. Questa legge non comprendeva Maria perché, se Eva nella sua ignoranza cominciò a distruggere la casa del mondo che il Signore aveva edificato, ella, che fu sapientissima e madre della sapienza, la rifabbricò e la trasformò con la sua incomparabile prudenza', che le ottenne di entrare in quel concistoro, nel quale si parlava di tale riparazione.
315. Lì fu interrogata un'altra volta su che cosa volesse per sé e per tutti i cristiani, in particolare per i Dodici e i discepoli. La saggia Regina espresse ancora il suo fervoroso anelito alla magnificazione di Dio e al loro sollievo nella persecuzione che i nemici tramavano contro di essi. Anche se le tre Persone conoscevano tutto ciò, le comandarono di dichiararlo per dare la loro approvazione e compiacersene, e per renderla più istruita su nuovi arcani inerenti ai loro decreti e alla predestinazione degli eletti. Per spiegare quanto mi è stato rivelato su questo, asserisco che, essendo la volontà della Vergine perfetta ed in tutto straordinariamente giusta e gradita all'Altissimo, pare che questi non potesse desiderare nulla che fosse contrario ad essa. Egli era rivolto verso l'ineffabile santità di lei e come ferito dai capelli e dallo sguardo di una compagna tanto diletta, unica tra tutti. Il Padre la trattava come figlia, il Figlio come madre e lo Spirito come sposa, e tutti e tre le avevano affidato la Chiesa , ponendo in lei tutta la fiducia; per questo, non intendevano stabilire l'esecuzione di niente senza consultarla e ricevere in qualche modo il suo consenso.
316. Perché il suo beneplacito e quello della Signora coincidessero in questo, l'Onnipotente dovette comunicarle ulteriormente la sua scienza e gli occulti disegni della provvidenza con la quale egli dispone con peso e misurar, nella maniera più equa e adeguata, ogni cosa concernente le sue creature, i loro fini e i loro mezzi. Dunque, in tale circostanza ella fu rischiarata mirabilmente su quello che era opportuno che il sommo potere operasse e ne penetrò le recondite motivazioni. Seppe quali e quanti apostoli era bene che patissero e perissero prima del suo passaggio da questa vita all'altra, quali sofferenze avrebbero sostenuto per il nome di Gesù, quali cause vi erano per ciò e per la necessità che fondassero la Chiesa spargendo il proprio sangue, come aveva fatto il loro Maestro. Inoltre, apprese che, per la cognizione di quanto avrebbero dovuto sopportare i seguaci del Redentore, avrebbe compensato con il proprio dolore il non subire ella stessa tutto quello che ambiva, poiché era inevitabile che affrontassero una tribolazione momentanea per arrivare al premio eterno pronto per loro. Affinché avesse materia più abbondante per questo tipo di merito, fu informata dell'ormai prossima uccisione di Giacomo e della prigionia di Pietro, ma non le fu detto che l'angelo l'avrebbe liberato, sciogliendo le sue catene. Le fu annunciato anche che a ciascuno sarebbe stato concesso il genere di pena e di martirio proporzionato alle forze della grazia e del suo spirito.
317. Per soddisfare completamente l'ardente carità della purissima Principessa, la Trinità le accordò di combattere ancora le sue battaglie contro i serpenti infernali e di conquistare le vittorie e i trionfi che gli altri non potevano conseguire, schiacciando loro la testa e confondendoli nella loro arroganza per indebolirli e fiaccarne le energie contro i fedeli. A questo scopo, le furono rinnovati tutti i doni e la partecipazione degli attributi divini, ed ognuna delle tre Persone la benedisse. Quindi, i custodi la riportarono all'oratorio del cenacolo nel medesimo modo in cui l'avevano condotta all'empireo. Appena uscì dall'estasi, si prostrò a terra in forma di croce e, stretta alla polvere, con incredibile umiltà e versando tenere lacrime ringraziò il Signore per il beneficio del quale l'aveva arricchita, senza che in esso ella avesse dimenticato di dare prova della sua sconfinata modestia. Si trattenne, poi, per un po' con gli esseri superni sui misteri e i bisogni della Chiesa, per accorrere attraverso il loro ministero dove c'era più urgenza. Le sembrò conveniente avvertire i Dodici di alcune cose e rinvigorirli, incoraggiandoli per le angustie che l'avversario comune avrebbe provocato loro, dato che essi erano quelli contro i quali lottava più duramente. Perciò, parlò a Pietro, a Giovanni e agli altri che erano con loro e li avvisò di molti fatti che sarebbero accaduti; inoltre, confermò la conversione di san Paolo, manifestando lo zelo con cui proclamava sua Maestà e la sua legge.
318. Inviò dei messaggeri celesti agli apostoli che erano già fuori Gerusalemme ed anche ai discepoli, perché li preparassero ed esortassero con le stesse notizie che aveva trasmesso agli altri e li mettessero al corrente del mutamento avvenuto in Saulo; comandò in particolare ad uno di essi di palesare a quest'ultimo le trame che il demonio ordiva contro di lui, di animarlo e renderlo saldo nella speranza dell'aiuto di Dio nelle sue fatiche. Eseguirono ciò con la consueta velocità, obbedendo alla loro Regina, e comparvero a coloro ai quali erano stati indirizzati. Questo singolare favore colmò tutti di profonda consolazione e nuovo ardimento, e ciascuno rispose con rispettosa riconoscenza tramite gli stessi, promettendole di morire con letizia per l'onore del suo Unigenito. Pure il giovane di Tarso risaltò in questo, perché la sua devozione e la sua brama di vedere la propria salvatrice e di esserle grato lo spronavano a più evidenti dimostrazioni e a più grande sottomissione. Egli era allora a Damasco, dove evangelizzava e disputava con i membri di quelle sinagoghe, anche se subito dopo si trasferì in Arabia, facendo in seguito ritorno nel luogo dal quale era partito.
319. San Giacomo il Maggiore era più lontano di tutti gli altri, poiché era uscito per primo dalla città per la missione e, trascorsi alcuni giorni nei dintorni, si era recato in Spagna. Si era imbarcato a Ioppe, l'attuale Giaffa, nel trentaquattro dopo Cristo, nel mese di agosto, che allora si chiamava sestile, un anno e cinque mesi dopo la passione, otto mesi dopo la lapidazione di Stefano e cinque mesi prima della conversione di Paolo, secondo quanto ho già scritto. Da lì, facendo scalo in Sardegna, era approdato al porto di Cartagena, nel quale aveva cominciato la predicazione; presto, diretto dallo Spirito, aveva preso il cammino per Granada, dove aveva capito che la messe era abbondante e l'occasione opportuna per soffrire per Gesù, come in effetti successe.
320. Era tra i prediletti di Maria e tra coloro che ella assisteva di più, sebbene esteriormente non lo distinguesse molto, per l'uniformità con la quale prudentemente trattava tutti come pure perché egli era suo parente. Anche Giovanni, suo fratello, aveva lo stesso legame con lei, ma a suo vantaggio giocavano altre ragioni, perché tutto il collegio apostolico sapeva che il Maestro stesso dalla croce lo aveva dato come figlio a sua Madre e così, se questa lasciava trasparire il suo affetto, non c'erano gli inconvenienti che ci sarebbero stati se lo avesse fatto con Giacomo o con chiunque altro tra loro; intimamente, però, aveva un amore del tutto speciale per lui, e glielo rivelò sempre con grazie eccezionali. Egli le meritò con la riverenza e la venerazione in cui si segnalava ed ebbe necessità della sua difesa perché, essendo di cuore nobile e generoso e di animo ferventissimo, andava incontro alle tribolazioni e ai rischi con invincibile valore. Perciò, precedette i suoi compagni nell'avviarsi a portare l'annuncio e a subire il martirio. Nel tempo del suo peregrinare fu proprio un fulmine come figlio del tuono, giacché per questo ricevette tale nome quando si unì agli altri.
321. In Spagna gli si presentarono inconcepibili difficoltà e persecuzioni mosse da satana per mezzo dei giudei. Non furono piccole neppure quelle che poi dovette sopportare in Italia e in Asia minore, da dove tornò a Gerusalemme a diffondere la lieta novella e ad affrontare il supplizio, dopo aver percorso in pochi anni province tanto distanti e nazioni tanto diverse. Poiché non appartiene al mio intento riferire tutto quello che sostenne in così vari viaggi, esporrò solo ciò che conviene a questa Storia. Quanto al resto, ho compreso che la nostra Signora ebbe cura di lui in modo eccezionale per i motivi da me addotti, e che attraverso i suoi angeli lo preservò da parecchi gravi pericoli e frequentemente lo confortò mandandoli a trovarlo e a dargli informazioni e consigli, perché ne aveva bisogno più degli altri, considerata la brevità della sua vita. Spesso il medesimo Redentore fece scendere dal cielo alcuni suoi servitori affinché lo proteggessero e lo trasportassero da una parte all'altra, guidandolo nei suoi spostamenti e nella sua opera.
322. Nel periodo in cui dimorò in Spagna, tra gli altri benefici che gli furono elargiti dalla Vergine due furono assai considerevoli, perché ella stessa lo visitò e soccorse. Una di queste apparizioni, che si verificò a Saragozza, è tanto certa quanto celebrata nel mondo, e oggi non si potrebbe negarla senza distruggere una verità così pia, confermata e consolidata da mirabili prodigi e da testimonianze per più di milleseicento anni; accennerò ad essa nel prossimo capitolo. Dell'altra, che fu la prima, non mi è noto che si conservi memoria, poiché fu più nascosta. Secondo quello che mi è stato svelato, accadde a Granada, nella maniera che adesso spiegherò. Gli ebrei avevano lì delle sinagoghe fin dal momento del loro arrivo; la terra era fertile e la vicinanza ai porti del Mediterraneo consentiva loro di tenersi comodamente in contatto con la Palestina. Quando vi giunse Giacomo, avevano sentito parlare degli avvenimenti riguardanti sua Maestà: alcuni di essi ambivano di conoscere i suoi insegnamenti e il loro fondamento, ma nella maggioranza erano già stati preparati con un'empia incredulità da Lucifero a non accoglierli e a non permettere che fossero trasmessi agli altri, perché contrari ai loro riti e a Mosè; infatti, avevano paura che altrimenti i pagani avrebbero eliminato il giudaismo. Con tale diabolico inganno, impedivano la fede in costoro, che, constatando che Cristo era rigettato come impostore dal suo stesso popolo, non si persuadevano facilmente a seguirlo.
323. L 'Apostolo entrò in città e, appena ebbe iniziato a predicare, si imbatté nella loro resistenza: lo facevano passare per un avventuriero, imbroglione, inventore di sette false, stregone ed ammaliatore. Egli aveva con sé dodici discepoli, ad imitazione del suo Signore, e, siccome perseveravano tutti nella proclamazione del Vangelo, cresceva l'odio contro di essi, tanto che fu presa la decisione di ucciderli; in effetti, ne fu assassinato immediatamente uno, che si era opposto con ardente zelo. Dato che, però, non temevano la morte ed anzi aspiravano a patire per Gesù, continuarono a proporre il loro messaggio ancor più intrepidamente. Dopo che ebbero faticato in questo per vari giorni ed ebbero convertito molti abitanti di quel luogo e della zona circostante, il furore dei giudei si accese maggiormente. Infine, questi li catturarono tutti e li trascinarono in catene fuori delle mura per ammazzarli, e appena furono in campagna legarono nuovamente i loro piedi affinché non fuggissero, perché li ritenevano maghi e incantatori. Mentre stavano per decapitarli, Giacomo non cessava di implorare il favore dell'Altissimo e della sua Regina. Le disse: «Santa Madre del mio Salvatore, assistete in quest'ora il vostro umile schiavo. Voi che siete clementissima, pregate per me e per questi confessori. Se è volontà dell'Onnipotente che periamo qui per la sua gloria, supplicatelo che riceva la mia anima alla sua presenza. Ricordatevi di me e beneditemi in nome di colui che vi ha scelto tra tutti. Accettate il sacrificio che faccio di non incontrare i vostri occhi misericordiosi in quest'ora, che per me deve essere l'ultima. O Maria, o Maria!».
324. Ripeté tante volte l'invocazione finale, che ella ascoltò dal suo oratorio, da dove stava osservando distintamente tutto ciò che succedeva a quel suo amatissimo figlio. Allora, le sue viscere materne si mossero a tenera compassione per la tribolazione che egli sosteneva e nella quale le si rivolgeva, e ne provò particolare dolore pure per il fatto di essere così lontana anche se, avendo chiaro che niente era difficile al potere infinito, si inclinò a desiderare di aiutarlo in quel frangente; inoltre, tale pena aumentò in lei poiché aveva cognizione che sarebbe stato il primo a versare il proprio sangue. Comunque, non chiese a Dio o agli esseri celesti di portarla da lui, perché la trattenne dal farlo la sua eccezionale prudenza, con la quale intendeva che la provvidenza non avrebbe fatto mancare il necessario, e nel domandare queste grazie mentre viveva quaggiù si regolava sul beneplacito della Trinità, con eccellente discrezione e riguardo.
325. Il suo Unigenito, che teneva l'attenzione fissa ai suoi aneliti come santi, giusti e pieni di pietà, dispose all'istante che i suoi mille custodi eseguissero quanto ella sospirava. Questi le si manifestarono in forma umana e, palesatole l'ordine che avevano avuto, senza alcun indugio la fecero salire su un trono formato da una bellissima nuvola e la condussero in Spagna, sul campo dove erano Giacomo e i suoi e dove i nemici che li avevano fatti prigionieri avevano già sguainato le scimitarre o sciabole. Solo l'Apostolo la vide sulla nube, dalla quale ella gli parlò con dolcezza: «Mio diletto, carissimo al Redentore, state di buon animo e siate benedetto eternamente da colui che vi ha creato e vi ha chiamato alla sua luce. Orsù, servitore fedele, alzatevi e siate sciolto dai ceppi». Egli si era prostrato come meglio aveva potuto. Alle parole della fortissima Principessa, le catene di tutti si aprirono in un attimo e si trovarono liberi. I giudei, che avevano le armi in pugno, caddero a terra e vi rimasero per alcune ore privi di sensi, mentre i demoni, che li appoggiavano e provocavano furono precipitati negli abissi infernali. Così, sua Maestà poté essere magnificato senza impedimenti da quei dodici e da Giacomo, e questi ringraziò la Vergine con incomparabile sottomissione e giubilo del suo intimo; gli altri, pur non potendola contemplare, dall'accaduto si resero conto del prodigio, e il loro maestro lo rivelò nella misura che gli parve conveniente per confermarli nella fede, nella speranza e nella devozione a lei.
326. Tale singolare beneficio fu anche più mirabile perché la Signora non solo lo difese dalla morte affinché tutto quel regno traesse giovamento dalla sua predicazione, ma regolò anche i suoi spostamenti; ella, infatti, incaricò cento dei suoi angeli di accompagnarlo, guidandolo di paese in paese e proteggendolo dappertutto da ogni pericolo, e di indirizzarlo quindi verso Saragozza. Essi le obbedirono e gli altri la trasferirono al cenacolo. Con una simile scorta, Giacomo percorse quei territori più sicuro che gli israeliti nel deserto. Lasciò a Granada alcuni dei suoi, che poi vi subirono il martirio, e proseguì il viaggio in molte località dell'Andalusia con i rimanenti e con gli altri che accoglieva. Giunse a Toledo e di là passò in Portogallo, in Galizia e per Astorga; facendo delle deviazioni verso posti differenti, arrivò nella Rioja e da Logrono si recò a Tudela e, infine, a Saragozza. Nel suo peregrinare si separò via via da parecchi suoi discepoli, che designò come pastori di varie città, dove aveva piantato la Chiesa e il culto divino. In quelle regioni fece tanti e così straordinari miracoli che non devono sembrare incredibili quelli che si sanno, essendo ben più numerosi quelli che si ignorano. Il frutto che raccolse fu immenso, tenuto conto del tempo in cui vi dimorò. È stato un errore dire o pensare che convertì poche persone, perché ovunque andò stabilì la comunità, ordinando tanti vescovi per il governo dei figli che aveva generato in Cristo.
327. Per terminare questo capitolo avverto che in molteplici maniere ho conosciuto le teorie opposte degli storici ecclesiastici su quanto sto scrivendo, cioè l'uscita degli apostoli da Gerusalemme allo scopo di evangelizzare, la distribuzione tra loro delle parti del mondo, la composizione del simbolo, la partenza di Giacomo e la sua uccisione. Riguardo a tutti questi avvenimenti ho compreso che dissentono considerevolmente nell'attribuire ad essi una datazione e nell'accordarli con i libri canonici. Il Signore, però, non mi ha comandato di chiarire questi ed altri dubbi, né di comporre queste controversie; anzi, fin dal principio ho riferito che egli mi ha ingiunto di stendere il presente racconto senza opinioni, affinché non le mescoli con la verità. Quando ciò che affermo è conseguente al testo sacro, non contrasta in niente con esso e corrisponde alla dignità della materia che tratto, non posso dare maggiore autorità alla narrazione, e neppure pretenderà di più la pietà cattolica. Potrà anche capitare che per tale strada si risolvano alcuni punti dibattuti, e questo lo faranno coloro che sono dotti e letterati.
Insegnaniento della Regina del cielo
328. Mia eletta, la meraviglia che hai qui esposto, cioè il mio innalzamento al trono regale di Dio perché egli potesse parlare con me dei decreti della sua provvidenza, è così particolare e grande che supera le facoltà dei viatori; solamente in patria, nella visione beatifica, essi capiranno siffatto mistero con speciale gaudio accidentale. Questa grazia eccezionale fu in qualche modo effetto e compenso dell'ardore con cui amavo ed amo il sommo Bene e dell'umiltà con cui mi confessavo sua ancella; furono queste virtù a sollevarmi lassù mentre vivevo nella carne. Allora, voglio che tu penetri profondamente un arcano che senz'altro fu uno dei più sublimi operati in me e uno di quelli che dettero più motivo di ammirazione ai ministri superni e ai santi. Bisogna che tu trasformi la cognizione che ne hai in una vigilantissima sollecitudine e in accesi desideri di imitarmi in ciò per cui meritai tali favori.
329. Intendi dunque che non una volta sola, ma molte, fui elevata fino alla sede della Trinità nel periodo che trascorse tra la venuta dello Spirito e il giorno nel quale fui assunta, dopo il mio trapasso, per gioire perennemente. In quello che ti resta da dichiarare della mia vita, afferrerai altri segreti al riguardo; però, per quanto mi fu concesso dalla destra dell'Altissimo, ricevetti abbondantissimi doni, nelle diverse maniere che erano possibili alla sua potenza infinita e alla capacità che egli mi conferì per l'ineffabile e quasi immensa partecipazione delle sue perfezioni. Talora, elargendomeli, il Padre proclamava: «Sposa mia, il tuo affetto e la tua fedeltà, superiore a quella di tutti gli altri, ci vincolano e ci danno la pienezza di compiacimento che bramiamo. Ascendi presso di noi, per essere assorta nell'abisso della nostra divinità ed avere qui il quarto posto, nei limiti permessi a una semplice creatura. Prendi possesso della nostra gloria, i cui tesori mettiamo nelle tue mani. Tuoi sono il cielo, la terra e i mari; godi nella tua esistenza peritura dei privilegi della beatitudine al di sopra di ogni altro. Ti servano tutte le nazioni e tutti gli esseri, ti obbediscano le potestà e i supremi serafini, e tutte le nostre ricchezze siano in comune con te. Apprendi le decisioni della nostra sapienza ed abbi parte in esse, dato che sei assolutamente retta e irreprensibile. Addentrati nelle spiegazioni di quello che determiniamo con equità; il tuo volere sia uno con il nostro, ed uno il motivo in ciò che stabiliamo per la nostra Chiesa».
330. Con questa benignità tanto ineffabile quanto singolare indirizzava la mia volontà per conformarla alla sua, affinché nella comunità ecclesiale non si facesse niente se non per mia disposizione, e questa fosse quella di lui stesso, le cui ragioni e convenienze conoscevo nel suo eterno consiglio. In esso vidi che per legge universale io non potevo sostenere tutte le pene di ognuno, principalmente degli apostoli; ma la mia aspirazione, benché irrealizzabile, non fu una deviazione dal beneplacito dell'eccelso sovrano, che la suscitò in me come indizio e testimonianza del mio amore sconfinato, dal momento che anelavo a questo appunto per il Signore stesso, che ha tanta tenerezza verso gli uomini. Io ero sincera e il mio cuore era pronto per quello che chiedevo; perciò egli lo gradì e mi premiò come se l'avessi eseguito, giacché mi causò molto dolore non poter soffrire per ciascuno. Da questo nasceva in me la compassione che avevo dei martiri e dei tormenti con i quali furono uccisi i Dodici e gli altri, poiché in tutti e con tutti ero afflitta e tribolata, e in un certo modo morivo con loro. Tale fu la mia affezione per i miei figli! E questa adesso, tranne che per il patire, è la medesima, anche se essi non sanno fin dove li obblighi la mia carità per esserne grati in misura adeguata.
331. Questi inesprimibili benefici mi furono accordati mentre stavo accanto al mio Gesù, rapita in estasi, e mi dilettavo nelle sue prerogative ed eccellenze, per quanto potevano essere comunicate ad una semplice creatura. I disegni celesti erano manifestati innanzitutto all'umanità santissima di Cristo, nell'ordine mirabile che essa ha con la divinità alla quale è congiunta nel Verbo. Subito, tramite lui, erano trasmessi a me in un'altra maniera. L'unione della sua umanità con la persona del Verbo, infatti, è immediata, sostanziale e intrinseca, e quindi la partecipazione della divinità e dei suoi decreti è corrispondente e proporzionata; per me, invece, veniva seguito un altro ordine, stupendo e senza esempi, che aveva luogo in un essere non divino, ma somigliante all'umanità santissima e, dopo di essa, il più vicino a Dio stesso. Non potrai comprendere facilmente ciò, ma i beati lo hanno fatto ognuno nel grado di scienza a lui spettante, e tutti hanno inteso la mia conformità con il mio Unigenito, e pure la differenza. Questo li mosse e li muove ancora a comporre nuovi cantici a onore e lode dell'Onnipotente, perché fu uno dei più grandi prodigi che il suo braccio vigoroso fece in me.
332. Affinché tu dilati maggiormente le tue energie e quelle della grazia in desideri e sentimenti pii, anche se questi riguardano quanto non puoi mettere in pratica, voglio svelarti un'altra cosa. Quando io scoprivo gli effetti della redenzione nella giustificazione delle anime, e gli aiuti che erano infusi ad esse per mondarle ed elevarle per mezzo della contrizione o del battesimo e di altri sacramenti, ne avevo stima fino a provarne quasi invidia. Non avevo colpe delle quali purificarmi e dunque questo non mi poteva essere concesso come ai peccatori, ma, poiché piansi il male che avevano compiuto più di tutti loro e mi mostrai riconoscente a sua Maestà per la sua liberale misericordia, ottenni più di quello che era necessario per la salvezza dell'intera discendenza di Adamo. Sino a tal punto l'Altissimo si riteneva impegnato dalle mie opere e tale fu la virtù che egli dette loro perché trovassero favore presso di lui!
333. Considera quanto tu mi sia debitrice, ora che ti ho illuminato e istruito su realtà tanto venerabili; non tenere oziosi i tuoi talenti e non fare andare perduti tanti beni. Vieni dietro a me attraverso l'imitazione perfetta dei miei atti. Per infervorarti di più nell'amore di Dio, tieni continuamente a mente la brama che il Maestro ed io avevamo della beatitudine dei credenti e le nostre lacrime per la rovina definitiva che molti si procurano da soli con una falsa ed ingannevole allegrezza. Devi contraddistinguerti ed esercitarti parecchio in tale zelo, come sposa fedelissima di colui che per questo si abbandonò alla morte di croce, e come figlia e discepola mia; infatti, se la forza di un simile ardore non mi privò della vita fu perché questa mi fu conservata miracolosamente, ed essa mi meritò di avere un posto nel trono e nel consesso della Trinità. Se tu, amica, sarai così diligente nel modellarti su di me e così attenta nell'obbedirmi come io esigo da te, ti assicuro che sarai partecipe dei doni che io feci al mio servo Giacomo e che ti assisterò nei travagli e ti guiderò, secondo quello che ti ho promesso ripetutamente; inoltre, il Signore con te sarà tanto generoso che supererà ogni tua attesa.
33-16 Maggio 12, 1934 Estremo bisogno dell’abbandono nel Voler Divino, virtù di Esso. Come tutti giriamo intorno a Dio; la sola volontà umana va vagando ed è la turbatrice di tutti.
Luisa Piccarreta (Libro di Cielo)
(1) Il mio abbandono nel Fiat è per me un bisogno estremo del povero mio cuore, perché mi fa sentire la sua Paternità e Maternità Divina, che con le sue braccia di luce mi tiene stretta al suo seno per riversarsi in me come Madre tenerissima che ama con amore inseparabile la sua figlia, ma tanto, che vuol generare la sua Vita nella figlia sua. Pare che sia un delirio, una passione divina di questa Madre Santa che la rende tutt’occhio, tutta attenzione e premura, tutta cuore ed in continuo atto di lavorare per concepire, nascere e crescere la sua Vita nella figlia sua, tutta abbandonata nelle sue braccia. Sicché l’abbandono nella Divina Volontà facilita le cure e rende effettuabili le premure di questa Madre Celeste, di formare la sua Vita tutta di Volontà Divina nella creatura. Mamma mia bella, deh! non distaccarmi dal tuo seno di luce affinché possa sentire la tua Vita in me, che pennellandomi continuamente mi faccia conoscere quanto mi ami, chi Tu sei e quanto sei bella, amabile e adorabile. Ma mentre la mia mente si perdeva nell’abbandono totale del Voler Divino, il mio dolce Gesù ripetendo la sua breve visitina mi ha detto:
(2) “Figlia mia benedetta, quanto più si comprende del mio Volere, tanto più si gode della sua Bellezza e Santità e tanto più si riceve dei suoi beni, e l’abbandono in Esso distrugge tutti gli ostacoli e stringe l’anima tanto stretta nelle sue braccia, che senza sforzo il mio Fiat può rigenerare la sua Vita Divina nella creatura; il vero e pieno abbandono dice coi fatti: “Fa di me ciò che vuoi, la mia vita è la tua, e della mia non ne voglio saper più nulla”. Sicché l’abbandono tiene virtù di far restare la creatura in balia della mia Divina Volontà. Perché tu devi sapere che tutte le cose e la stessa natura umana prende dal moto eterno di Dio, in modo che tutto le gira intorno, la Creazione tutta, il respiro, il palpito, la circolazione del sangue stanno sotto l’impero del moto Eterno, e siccome tutti e tutto hanno vita da questo moto, sono inseparabili da Dio, e come hanno vita, così con una corsa unanime girano intorno all’Ente Supremo, sicché il respiro, il palpito, il moto umano, non sta in poter loro di respirare, di palpitare, di muoversi, vogliano o non vogliano, stando sotto il moto incessante dell’Eterno sentono anch’essi l’atto incessante del respiro, del palpito e del moto, si può dire fanno vita insieme con Dio e con tutte le cose create che le girano intorno senza mai fermarsi; solo la volontà umana, avendola creato col gran dono del libero arbitrio, affinché potesse dirci che liberamente ci amava, non perché costretta com’è costretto il respiro a respirare, il cuore a palpitare e a ricevere il moto del suo Creatore, ma di volontà voluta, non forzata, potesse amarci e starsi insieme con Noi per ricevere la Vita operante nel nostro Volere; era l’onore ed il dono più grande che davamo alla creatura, ed essa, ingrata, si scosta dalla nostra unione ed inseparabilità e quindi dall’unione di tutti e di tutto, e perciò si smarrisce, si degrada, si debilita, perde la forza unica, ed è la sola in tutta la Creazione che perde la sua corsa, il suo posto d’onore, la sua bellezza, la sua gloria, e va vagando spostata dal suo posto che tiene nella nostra Volontà che la chiama, la sospira al suo posto d’onore, sicché tutti hanno un posto, anche il respiro ed il palpito umano, e siccome tutti e tutto hanno un posto non perdono mai la vita ed il loro moto incessante, nessuno si sente povero, debole, ma ricchi nel moto eterno del loro Creatore. Solo l’umana volontà, perché non vuol stare nel regio posto del nostro Volere Divino, è la smarrita e la più povera di tutti, e siccome si sente povera si sente infelice ed è la turbatrice dell’umana famiglia. Perciò se vuoi essere ricca, felice, non scendere mai dal tuo posto d’onore, qual è dentro della nostra Volontà, allora avrai tutto in tuo potere, forza, luce, e anche la mia stessa Volontà”.