Sotto il Tuo Manto

Lunedi, 21 luglio 2025 - San Lorenzo da Brindisi (Letture di oggi)

Il cuore buono è sempre forte; egli soffre, ma cela le sue lacrime e si consola sacrificandosi per il prossimo e per Dio. (San Pio da Pietrelcina)

Liturgia delle Ore - Letture

Giovedi della 14° settimana del tempo ordinario

Questa sezione contiene delle letture scelte a caso, provenienti dalle varie sezioni del sito (Sacra Bibbia e la sezione Biblioteca Cristiana), mentre l'ultimo tab Apparizioni, contiene messaggi di apparizioni a mistici o loro scritti. Sono presenti testi della Valtorta, Luisa Piccarreta, don Stefano Gobbi e testimonianze di apparizioni mariane riconosciute.

Vangelo secondo Luca 20

1Un giorno, mentre istruiva il popolo nel tempio e annunziava la parola di Dio, si avvicinarono i sommi sacerdoti e gli scribi con gli anziani e si rivolsero a lui dicendo:2"Dicci con quale autorità fai queste cose o chi è che t'ha dato quest'autorità".3E Gesù disse loro: "Vi farò anch'io una domanda e voi rispondetemi:4Il battesimo di Giovanni veniva dal Cielo o dagli uomini?".5Allora essi discutevano fra loro: "Se diciamo "dal Cielo", risponderà: "Perché non gli avete creduto?".6E se diciamo "dagli uomini", tutto il popolo ci lapiderà, perché è convinto che Giovanni è un profeta".7Risposero quindi di non saperlo.8E Gesù disse loro: "Nemmeno io vi dico con quale autorità faccio queste cose".

9Poi cominciò a dire al popolo questa parabola: "Un uomo 'piantò una vigna', l'affidò a dei coltivatori e se ne andò lontano per molto tempo.10A suo tempo, mandò un servo da quei coltivatori perché gli dessero una parte del raccolto della vigna. Ma i coltivatori lo percossero e lo rimandarono a mani vuote.11Mandò un altro servo, ma essi percossero anche questo, lo insultarono e lo rimandarono a mani vuote.12Ne mandò ancora un terzo, ma anche questo lo ferirono e lo cacciarono.13Disse allora il padrone della vigna: Che devo fare? Manderò il mio unico figlio; forse di lui avranno rispetto.14Quando lo videro, i coltivatori discutevano fra loro dicendo: Costui è l'erede. Uccidiamolo e così l'eredità sarà nostra.15E lo cacciarono fuori della vigna e l'uccisero. Che cosa farà dunque a costoro il padrone della vigna?16Verrà e manderà a morte quei coltivatori, e affiderà ad altri la vigna". Ma essi, udito ciò, esclamarono: "Non sia mai!".17Allora egli si volse verso di loro e disse: "Che cos'è dunque ciò che è scritto:

'La pietra che i costruttori hanno scartata,
è diventata testata d'angolo'?

18Chiunque cadrà su quella pietra si sfracellerà e a chi cadrà addosso, lo stritolerà".19Gli scribi e i sommi sacerdoti cercarono allora di mettergli addosso le mani, ma ebbero paura del popolo. Avevano capito che quella parabola l'aveva detta per loro.

20Postisi in osservazione, mandarono informatori, che si fingessero persone oneste, per coglierlo in fallo nelle sue parole e poi consegnarlo all'autorità e al potere del governatore.21Costoro lo interrogarono: "Maestro, sappiamo che parli e insegni con rettitudine e non guardi in faccia a nessuno, ma insegni secondo verità la via di Dio.22È lecito che noi paghiamo il tributo a Cesare?".23Conoscendo la loro malizia, disse:24"Mostratemi un denaro: di chi è l'immagine e l'iscrizione?". Risposero: "Di Cesare".25Ed egli disse: "Rendete dunque a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio".26Così non poterono coglierlo in fallo davanti al popolo e, meravigliati della sua risposta, tacquero.

27Gli si avvicinarono poi alcuni sadducei, i quali negano che vi sia la risurrezione, e gli posero questa domanda:28"Maestro, Mosè ci ha prescritto: Se a qualcuno muore un fratello che ha moglie, ma senza figli, suo fratello si prenda la vedova e dia una discendenza al proprio fratello.29C'erano dunque sette fratelli: il primo, dopo aver preso moglie, morì senza figli.30Allora la prese il secondo31e poi il terzo e così tutti e sette; e morirono tutti senza lasciare figli.32Da ultimo anche la donna morì.33Questa donna dunque, nella risurrezione, di chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l'hanno avuta in moglie".34Gesù rispose: "I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito;35ma quelli che sono giudicati degni dell'altro mondo e della risurrezione dai morti, non prendono moglie né marito;36e nemmeno possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, essendo figli della risurrezione, sono figli di Dio.37Che poi i morti risorgono, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando chiama il Signore: 'Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe'.38Dio non è Dio dei morti, ma dei vivi; perché tutti vivono per lui".39Dissero allora alcuni scribi: "Maestro, hai parlato bene".40E non osavano più fargli alcuna domanda.

41Egli poi disse loro: "Come mai dicono che il Cristo è figlio di Davide,42se Davide stesso nel libro dei Salmi dice:

'Ha detto il Signore al mio Signore:
siedi alla mia destra,'
43'finché io ponga i tuoi nemici
come sgabello ai tuoi piedi?'

44Davide dunque lo chiama Signore; perciò come può essere suo figlio?".

45E mentre tutto il popolo ascoltava, disse ai discepoli:46"Guardatevi dagli scribi che amano passeggiare in lunghe vesti e hanno piacere di esser salutati nelle piazze, avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei conviti;47divorano le case delle vedove, e in apparenza fanno lunghe preghiere. Essi riceveranno una condanna più severa".


Levitico 14

1Il Signore aggiunse a Mosè:2"Questa è la legge da applicare per il lebbroso per il giorno della sua purificazione. Egli sarà condotto al sacerdote.3Il sacerdote uscirà dall'accampamento e lo esaminerà; se riscontrerà che la piaga della lebbra è guarita nel lebbroso,4ordinerà che si prendano, per la persona da purificare, due uccelli vivi, mondi, legno di cedro, panno scarlatto e issòpo.5Il sacerdote ordinerà di immolare uno degli uccelli in un vaso di terracotta con acqua viva.6Poi prenderà l'uccello vivo, il legno di cedro, il panno scarlatto e l'issòpo e li immergerà, con l'uccello vivo, nel sangue dell'uccello sgozzato sopra l'acqua viva.7Ne aspergerà sette volte colui che deve essere purificato dalla lebbra; lo dichiarerà mondo e lascerà andare libero per i campi l'uccello vivo.8Colui che è purificato, si laverà le vesti, si raderà tutti i peli, si laverà nell'acqua e sarà mondo. Dopo questo potrà entrare nell'accampamento, ma resterà per sette giorni fuori della sua tenda.
9Il settimo giorno si raderà tutti i peli, il capo, la barba, le ciglia, insomma tutti i peli; si laverà le vesti e si bagnerà il corpo nell'acqua e sarà mondo.10L'ottavo giorno prenderà due agnelli senza difetto, un'agnella di un anno senza difetto, tre decimi di 'efa' di fior di farina, intrisa nell'olio, come oblazione, e un 'log' di olio;11il sacerdote che fa la purificazione, presenterà l'uomo che si purifica e le cose suddette davanti al Signore, all'ingresso della tenda del convegno.12Il sacerdote prenderà uno degli agnelli e l'offrirà come sacrificio di riparazione, con il 'log' d'olio, e li agiterà come offerta da agitare secondo il rito davanti al Signore.13Poi immolerà l'agnello nel luogo dove si immolano le vittime espiatorie e gli olocausti, cioè nel luogo sacro poiché il sacrificio di riparazione è per il sacerdote, come quello espiatorio: è cosa sacrosanta.14Il sacerdote prenderà sangue del sacrificio di riparazione e bagnerà il lobo dell'orecchio destro di colui che si purifica, il pollice della mano destra e l'alluce del piede destro.15Poi, preso l'olio dal 'log', lo verserà sulla palma della sua mano sinistra;16intingerà il dito della destra nell'olio che ha nella sinistra; con il dito spruzzerà sette volte quell'olio davanti al Signore.17E del rimanente olio che tiene nella palma della mano, il sacerdote bagnerà il lobo dell'orecchio destro di colui che si purifica, il pollice della destra e l'alluce del piede destro, sopra il sangue del sacrificio di riparazione.18Il resto dell'olio che ha nella palma, il sacerdote lo verserà sul capo di colui che si purifica; così farà per lui il rito espiatorio davanti al Signore.19Poi il sacerdote offrirà il sacrificio espiatorio e compirà l'espiazione per colui che si purifica della sua immondezza; quindi immolerà l'olocausto.20Offerto l'olocausto e l'oblazione sull'altare, il sacerdote eseguirà per lui il rito espiatorio e sarà mondo.
21Se quel tale è povero e non ha mezzi sufficienti, prenderà un agnello come sacrificio di riparazione da offrire con il rito dell'agitazione e compiere l'espiazione per lui e un decimo di 'efa' di fior di farina intrisa con olio, come oblazione, e un 'log' di olio.22Prenderà anche due tortore o due colombi, secondo i suoi mezzi; uno sarà per il sacrificio espiatorio e l'altro per l'olocausto.23L'ottavo giorno porterà per la sua purificazione queste cose al sacerdote, all'ingresso della tenda del convegno, davanti al Signore.24Il sacerdote prenderà l'agnello del sacrificio di riparazione e il 'log' d'olio e li agiterà come offerta da agitare ritualmente davanti al Signore.25Poi immolerà l'agnello del sacrificio di riparazione, prenderà sangue della vittima di riparazione e bagnerà il lobo dell'orecchio destro di colui che si purifica, il pollice della mano destra e l'alluce del piede destro.26Il sacerdote si verserà di quell'olio sulla palma della mano sinistra.27Con il dito della sua destra spruzzerà sette volte quell'olio che tiene nella palma sinistra davanti al Signore.28Poi bagnerà con l'olio che tiene nella palma, il lobo dell'orecchio destro di colui che si purifica, il pollice della mano destra e l'alluce del piede destro, sul luogo dove ha messo il sangue del sacrificio di riparazione.29Il resto dell'olio che ha nella palma della mano, il sacerdote lo verserà sul capo di colui che si purifica, per fare espiazione per lui davanti al Signore.30Poi sacrificherà una delle tortore o uno dei due colombi, che ha potuto procurarsi;31delle vittime che ha in mano, una l'offrirà come sacrificio espiatorio e l'altra come olocausto, insieme con l'oblazione; il sacerdote farà il rito espiatorio davanti al Signore per lui.
32Questa è la legge relativa a colui che è affetto da piaga di lebbra e non ha mezzi per procurarsi ciò che è richiesto per la sua purificazione".
33Il Signore disse ancora a Mosè e ad Aronne:34"Quando sarete entrati nel paese di Canaan, che io sto per darvi in possesso, qualora io mandi un'infezione di lebbra in una casa del paese di vostra proprietà,35il padrone della casa andrà a dichiararlo al sacerdote, dicendo: Mi pare che in casa mia ci sia come della lebbra.36Allora il sacerdote ordinerà di sgomberare la casa prima che egli vi entri per esaminare la macchia sospetta perché quanto è nella casa non diventi immondo. Dopo questo, il sacerdote entrerà per esaminare la casa.37Esaminerà dunque la macchia; se vedrà che l'infezione sui muri della casa consiste in cavità verdastre o rossastre, che appaiono più profonde della superficie della parete,38il sacerdote uscirà dalla casa, alla porta, e farà chiudere la casa per sette giorni.39Il settimo giorno il sacerdote vi tornerà e se, esaminandola, riscontrerà che la macchia si è allargata sulle pareti della casa,40il sacerdote ordinerà che si rimuovano le pietre intaccate e si gettino in luogo immondo, fuori di città.41Farà raschiare tutto l'interno della casa e butteranno i calcinacci raschiati fuor di città, in luogo immondo.42Poi si prenderanno altre pietre e si metteranno al posto delle prime e si intonacherà la casa con altra calce.
43Se l'infezione spunta di nuovo nella casa dopo che le pietre ne sono state rimosse e la casa è stata raschiata e intonacata,44il sacerdote entrerà ad esaminare la casa; trovato che la macchia vi si è allargata, nella casa vi è lebbra maligna; la casa è immonda.45Perciò si demolirà la casa; pietre, legname e calcinacci si porteranno fuori della città, in luogo immondo.46Inoltre chiunque sarà entrato in quella casa mentre era chiusa, sarà immondo fino alla sera.47Chi avrà dormito in quella casa o chi vi avrà mangiato, si laverà le vesti.
48Se invece il sacerdote che è entrato nella casa e l'ha esaminata, riscontra che la macchia non si è allargata nella casa, dopo che la casa è stata intonacata, dichiarerà la casa monda, perché la macchia è risanata.49Poi, per purificare la casa, prenderà due uccelli, legno di cedro, panno scarlatto e issòpo;50immolerà uno degli uccelli in un vaso di terra con dentro acqua viva.51Prenderà il legno di cedro, l'issòpo, il panno scarlatto e l'uccello vivo e li immergerà nel sangue dell'uccello immolato e nell'acqua viva e ne aspergerà sette volte la casa.52Purificata la casa con il sangue dell'uccello, con l'acqua viva, con l'uccello vivo, con il legno di cedro, con l'issòpo e con lo scarlatto,53lascerà andare libero l'uccello vivo, fuori città, per i campi; così farà il rito espiatorio per la casa ed essa sarà monda.
54Questa è la legge per ogni sorta di infezione di lebbra o di tigna,55la lebbra delle vesti e della casa,56i tumori, le pustole e le macchie,57per insegnare quando una cosa è immonda e quando è monda. Questa è la legge per la lebbra".


Proverbi 24

1Non invidiare gli uomini malvagi,
non desiderare di stare con loro;
2poiché il loro cuore trama rovine
e le loro labbra non esprimono che malanni.
3Con la sapienza si costruisce la casa
e con la prudenza la si rende salda;
4con la scienza si riempiono le sue stanze
di tutti i beni preziosi e deliziosi.
5Un uomo saggio vale più di uno forte,
un uomo sapiente più di uno pieno di vigore,
6perché con le decisioni prudenti si fa la guerra
e la vittoria sta nel numero dei consiglieri.
7È troppo alta la sapienza per lo stolto,
alla porta della città egli non potrà aprir bocca.
8Chi trama per fare il male
si chiama mestatore.
9Il proposito dello stolto è il peccato
e lo spavaldo è l'abominio degli uomini.
10Se ti avvilisci nel giorno della sventura,
ben poca è la tua forza.
11Libera quelli che sono condotti alla morte
e salva quelli che sono trascinati al supplizio.
12Se dici: "Ecco, io non ne so nulla",
forse colui che pesa i cuori non lo comprende?
Colui che veglia sulla tua vita lo sa;
egli renderà a ciascuno secondo le sue opere.
13Mangia, figlio mio, il miele, perché è buono
e dolce sarà il favo al tuo palato.
14Sappi che tale è la sapienza per te:
se l'acquisti, avrai un avvenire
e la tua speranza non sarà stroncata.
15Non insidiare, o malvagio, la dimora del giusto,
non distruggere la sua abitazione,
16perché se il giusto cade sette volte, egli si rialza,
ma gli empi soccombono nella sventura.
17Non ti rallegrare per la caduta del tuo nemico
e non gioisca il tuo cuore, quando egli soccombe,
18perché il Signore non veda e se ne dispiaccia
e allontani da lui la collera.
19Non irritarti per i malvagi
e non invidiare gli empi,
20perché non ci sarà avvenire per il malvagio
e la lucerna degli empi si estinguerà.
21Temi il Signore, figlio mio, e il re;
non ribellarti né all'uno né all'altro,
22perché improvvisa sorgerà la loro vendetta
e chi sa quale scempio faranno l'uno e l'altro?

23Anche queste sono parole dei saggi.
Aver preferenze personali in giudizio non è bene.
24Se uno dice all'empio: "Tu sei innocente",
i popoli lo malediranno, le genti lo esecreranno,
25mentre tutto andrà bene a coloro che rendono giustizia,
su di loro si riverserà la benedizione.
26Dà un bacio sulle labbra
colui che risponde con parole rette.
27Sistema i tuoi affari di fuori
e fatti i lavori dei campi
e poi costruisciti la casa.
28Non testimoniare alla leggera contro il tuo prossimo
e non ingannare con le labbra.
29Non dire: "Come ha fatto a me così io farò a lui,
renderò a ciascuno come si merita".
30Sono passato vicino al campo di un pigro,
alla vigna di un uomo insensato:
31ecco, ovunque erano cresciute le erbacce,
il terreno era coperto di cardi
e il recinto di pietre era in rovina.
32Osservando, riflettevo
e, vedendo, ho tratto questa lezione:
33un po' dormire, un po' sonnecchiare,
un po' incrociare le braccia per riposare
34e intanto viene passeggiando la miseria
e l'indigenza come un accattone.


Salmi 50

1'Salmo. Di Asaf.'

Parla il Signore, Dio degli dèi,
convoca la terra da oriente a occidente.
2Da Sion, splendore di bellezza,
Dio rifulge.
3Viene il nostro Dio e non sta in silenzio;
davanti a lui un fuoco divorante,
intorno a lui si scatena la tempesta.

4Convoca il cielo dall'alto
e la terra al giudizio del suo popolo:
5"Davanti a me riunite i miei fedeli,
che hanno sancito con me l'alleanza
offrendo un sacrificio".
6Il cielo annunzi la sua giustizia,
Dio è il giudice.

7"Ascolta, popolo mio, voglio parlare,
testimonierò contro di te, Israele:
Io sono Dio, il tuo Dio.
8Non ti rimprovero per i tuoi sacrifici;
i tuoi olocausti mi stanno sempre davanti.
9Non prenderò giovenchi dalla tua casa,
né capri dai tuoi recinti.

10Sono mie tutte le bestie della foresta,
animali a migliaia sui monti.
11Conosco tutti gli uccelli del cielo,
è mio ciò che si muove nella campagna.
12Se avessi fame, a te non lo direi:
mio è il mondo e quanto contiene.

13Mangerò forse la carne dei tori,
berrò forse il sangue dei capri?
14Offri a Dio un sacrificio di lode
e sciogli all'Altissimo i tuoi voti;
15invocami nel giorno della sventura:
ti salverò e tu mi darai gloria".

16All'empio dice Dio:
"Perché vai ripetendo i miei decreti
e hai sempre in bocca la mia alleanza,
17tu che detesti la disciplina
e le mie parole te le getti alle spalle?

18Se vedi un ladro, corri con lui;
e degli adùlteri ti fai compagno.
19Abbandoni la tua bocca al male
e la tua lingua ordisce inganni.

20Ti siedi, parli contro il tuo fratello,
getti fango contro il figlio di tua madre.
21Hai fatto questo e dovrei tacere?
forse credevi ch'io fossi come te!
Ti rimprovero: ti pongo innanzi i tuoi peccati".

22Capite questo voi che dimenticate Dio,
perché non mi adiri e nessuno vi salvi.
23Chi offre il sacrificio di lode, questi mi onora,
a chi cammina per la retta via
mostrerò la salvezza di Dio.


Isaia 66

1Così dice il Signore:
"Il cielo è il mio trono,
la terra lo sgabello dei miei piedi.
Quale casa mi potreste costruire?
In quale luogo potrei fissare la dimora?
2Tutte queste cose ha fatto la mia mano
ed esse sono mie - oracolo del Signore -.
Su chi volgerò lo sguardo?
Sull'umile e su chi ha lo spirito contrito
e su chi teme la mia parola.
3Uno sacrifica un bue e poi uccide un uomo,
uno immola una pecora e poi strozza un cane,
uno presenta un'offerta e poi sangue di porco,
uno brucia incenso e poi venera l'iniquità.
Costoro hanno scelto le loro vie,
essi si dilettano dei loro abomini;
4anch'io sceglierò la loro sventura
e farò piombare su di essi ciò che temono,
perché io avevo chiamato e nessuno ha risposto,
avevo parlato e nessuno ha ascoltato.
Hanno fatto ciò che è male ai miei occhi,
hanno preferito quello che a me dispiace".

5Ascoltate la parola del Signore,
voi che venerate la sua parola.
Hanno detto i vostri fratelli che vi odiano,
che vi respingono a causa del mio nome:
"Mostri il Signore la sua gloria,
e voi fateci vedere la vostra gioia!".
Ma essi saranno confusi.
6Giunge un rumore, un frastuono dalla città,
un rumore dal tempio:
è la voce del Signore che paga
il contraccambio ai suoi nemici.
7Prima di provare i dolori, ha partorito;
prima che le venissero i dolori,
ha dato alla luce un maschio.
8Chi ha mai udito una cosa simile,
chi ha visto cose come queste?
Nasce forse un paese in un giorno;
un popolo è generato forse in un istante?
Eppure Sion, appena sentiti i dolori,
ha partorito i figli.
9"Io che apro il grembo materno,
non farò partorire?" dice il Signore.
"Io che faccio generare, chiuderei il seno?"
dice il tuo Dio.
10Rallegratevi con Gerusalemme,
esultate per essa quanti la amate.
Sfavillate di gioia con essa
voi tutti che avete partecipato al suo lutto.
11Così succhierete al suo petto
e vi sazierete delle sue consolazioni;
succhierete, deliziandovi,
all'abbondanza del suo seno.
12Poiché così dice il Signore:
"Ecco io farò scorrere verso di essa,
come un fiume, la prosperità;
come un torrente in piena
la ricchezza dei popoli;
i suoi bimbi saranno portati in braccio,
sulle ginocchia saranno accarezzati.
13Come una madre consola un figlio
così io vi consolerò;
in Gerusalemme sarete consolati.
14Voi lo vedrete e gioirà il vostro cuore,
le vostre ossa saran rigogliose come erba fresca.
La mano del Signore si farà manifesta ai suoi servi,
ma si sdegnerà contro i suoi nemici.
15Poiché, ecco, il Signore viene con il fuoco,
i suoi carri sono come un turbine,
per riversare con ardore l'ira,
la sua minaccia con fiamme di fuoco.
16Con il fuoco infatti il Signore farà giustizia
su tutta la terra
e con la spada su ogni uomo;
molti saranno i colpiti dal Signore.
17Coloro che si consacrano e purificano nei giardini,
seguendo uno che sta in mezzo,
che mangiano carne suina, cose abominevoli e topi,
insieme finiranno - oracolo del Signore -
18con le loro opere e i loro propositi.

Io verrò a radunare tutti i popoli e tutte le lingue; essi verranno e vedranno la mia gloria.19Io porrò in essi un segno e manderò i loro superstiti alle genti di Tarsis, Put, Lud, Mesech, Ros, Tubal e di Grecia, ai lidi lontani che non hanno udito parlare di me e non hanno visto la mia gloria; essi annunzieranno la mia gloria alle nazioni.20Ricondurranno tutti i vostri fratelli da tutti i popoli come offerta al Signore, su cavalli, su carri, su portantine, su muli, su dromedari al mio santo monte di Gerusalemme, dice il Signore, come i figli di Israele portano l'offerta su vasi puri nel tempio del Signore.21Anche tra essi mi prenderò sacerdoti e leviti, dice il Signore.

22Sì, come i nuovi cieli
e la nuova terra, che io farò,
dureranno per sempre davanti a me
- oracolo del Signore -
così dureranno la vostra discendenza e il vostro nome.
23In ogni mese al novilunio,
e al sabato di ogni settimana,
verrà ognuno a prostrarsi
davanti a me, dice il Signore.
24Uscendo, vedranno i cadaveri degli uomini
che si sono ribellati contro di me;
poiché il loro verme non morirà,
il loro fuoco non si spegnerà
e saranno un abominio per tutti".


Terza lettera di Giovanni 1

1Io, il presbitero, al carissimo Gaio, che amo nella verità.2Carissimo, faccio voti che tutto vada bene e che tu sia in buona salute, come va bene per la tua anima.

3Molto infatti mi sono rallegrato quando sono giunti alcuni fratelli e hanno reso testimonianza che tu sei verace in quanto tu cammini nella verità.4Non ho gioia più grande di questa, sapere che i miei figli camminano nella verità.
5Carissimo, tu ti comporti fedelmente in tutto ciò che fai in favore dei fratelli, benché forestieri.6Essi hanno reso testimonianza della tua carità davanti alla Chiesa, e farai bene a provvederli nel viaggio in modo degno di Dio,7perché sono partiti per amore del nome di Cristo, senza accettare nulla dai pagani.8Noi dobbiamo perciò accogliere tali persone per cooperare alla diffusione della verità.

9Ho scritto qualche parola alla Chiesa ma Diòtrefe, che ambisce il primo posto tra loro, non ci vuole accogliere.10Per questo, se verrò, gli rinfaccerò le cose che va facendo, sparlando contro di noi con voci maligne. Non contento di questo, non riceve personalmente i fratelli e impedisce di farlo a quelli che lo vorrebbero e li scaccia dalla Chiesa.11Carissimo, non imitare il male, ma il bene. Chi fa il bene è da Dio; chi fa il male non ha veduto Dio.
12Quanto a Demetrio, tutti gli rendono testimonianza, anche la stessa verità; anche noi ne diamo testimonianza e tu sai che la nostra testimonianza è veritiera.

13Molte cose avrei da scriverti, ma non voglio farlo con inchiostro e penna.14Spero però di vederti presto e parleremo a viva voce.15La pace sia con te. Gli amici ti salutano. Saluta gli amici ad uno ad uno.


Capitolo LIV: Gli opposti impulsi della natura e della grazia

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1. Figlio, considera attentamente gli impulsi della natura e quelli della grazia; come si muovono in modo nettamente contrario, ma così sottilmente che soltanto, e a fatica, li distingue uno che sia illuminato da interiore spiritualità. Tutti, invero, desiderano il bene e, con le loro parole e le loro azioni, tendono a qualcosa di buono; ma, appunto per una falsa apparenza del bene, molti sono ingannati. La natura è scaltra, trascina molta gente, seduce, inganna e mira sempre a se stessa. La grazia, invece, cammina schietta, evita il male, sotto qualunque aspetto esso appaia; non prepara intrighi; tutto fa soltanto per amore di Dio, nel quale, alla fine, trova la sua quiete. La natura non vuole morire, non vuole essere soffocata e vinta, non vuole essere schiacciata, sopraffatta o sottomessa, né mettersi da sé sotto il giogo. La grazia, invece, tende alla mortificazione di sé e resiste alla sensualità, desidera e cerca di essere sottomessa e vinta; non vuole avere una sua libertà, preferisce essere tenuta sotto disciplina; non vuole prevalere su alcuno, ma vuole sempre vivere restando sottoposta a Dio; è pronta a cedere umilmente a ogni creatura umana, per amore di Dio. La natura s'affanna per il suo vantaggio, e bada all'utile che le possa venire da altri. La grazia, invece, tiene conto di ciò che giova agli altri, non del profitto e dell'interesse propri. La natura gradisce onori e omaggi. La grazia, invece, ogni onore e ogni lode li attribuisce a Dio. La natura rifugge dalla vergogna e dal disprezzo. La grazia, invece, si rallegra "di patire oltraggi nel nome di Gesù" (At 5,41). La natura inclina all'ozio e alla tranquillità materiale. La grazia, invece, non può stare oziosa e accetta con piacere la fatica. La natura mira a possedere cose rare e belle, mentre detesta quelle spregevoli e grossolane. La grazia, invece, si compiace di ciò che è semplice e modesto; non disprezza le cose rozze, né rifugge dal vestire logori panni.

2. La natura guarda alle cose di questo tempo; gioisce dei guadagni e si rattrista delle perdite di quaggiù; si adira per una piccola parola offensiva. La grazia, invece, non sta attaccata all'oggi, ma guarda all'eternità; non si agita per la perdita di cose materiali; non si inasprisce per una parola un po' brusca, perché il suo tesoro e la sua gioia li pone nel cielo dove nulla perisce. La natura è avida, preferisce prendere che donare, ha caro ciò che è proprio e personale. La grazia, invece, è caritatevole e aperta agli altri; rifugge dalle cose personali, si contenta del poco, ritiene "più bello dare che ricevere" (At 20,35). La natura tende alle creature e al proprio corpo, alla vanità e alle chiacchiere. La grazia, invece, si volge a Dio e alle virtù; rinuncia alle creature, fugge il mondo, ha in orrore i desideri della carne, frena il desiderio di andare di qua e di là, si vergogna di comparire in pubblico. La natura gode volentieri di qualche svago esteriore, nel quale trovino piacere i sensi. La grazia, invece, cerca consolazione soltanto in Dio, e, al di sopra di ogni cosa di questo mondo, mira a godere del sommo bene. La natura tutto fa per il proprio guadagno e il proprio vantaggio; non può fare nulla senza ricevere nulla; per ogni favore spera di conseguirne uno uguale o più grande, oppure di riceverne lodi e approvazioni; desidera ardentemente che i suoi gesti e i suoi doni siano molto apprezzati. La grazia, invece, non cerca nulla che sia passeggero e non chiede, come ricompensa, altro premio che Dio soltanto; delle cose necessarie in questa vita non vuole avere più di quanto le possa essere utile a conseguire le cose eterne.

3. La natura si compiace di annoverare molte amicizie e parentele; si vanta della provenienza da un luogo celebre o della discendenza da nobile stirpe; sorride ai potenti, corteggia i ricchi ed applaude coloro che sono come lei. La grazia, invece, ama anche i nemici; non si esalta per la quantità degli amici; non dà importanza al luogo di origine o alla famiglia da cui discende, a meno che in essa vi sia una virtù superiore; è ben disposta verso il povero, più che verso il ricco; simpatizza maggiormente con la povera gente che con i potenti; sta volentieri con le persone sincere, non già con gli ipocriti; esorta sempre le anime buone ad ambire a "doni spirituali sempre più grandi" (1Cor 12,31), così da assomigliare, per le loro virtù, al Figlio di Dio. La natura, di qualcosa che manchi o che dia noia, subito si lamenta. La grazia sopporta con fermezza ogni privazione. La natura riferisce tutto a sé; lotta per sé, discute per sé. La grazia, invece, riconduce tutte le cose a Dio, da cui provengono come dalla loro origine; nulla di buono attribuisce a se stessa, non presume di sé con superbia; non contende, non pone l'opinione propria avanti alle altre; anzi si sottomette, in ogni suo sentimento e in ogni suo pensiero, all'eterna sapienza e al giudizio di Dio. La natura è avida di conoscere cose segrete e vuol sapere ogni novità; ama uscir fuori, per fare molte esperienze; desidera distinguersi e darsi da fare in modo che ad essa possa venirne lode e ammirazione. La grazia, invece, non si preoccupa di apprendere novità e curiosità, perché tutto il nuovo nasce da una trasformazione del vecchio, non essendoci mai, su questa terra, nulla che sia nuovo e duraturo. La grazia insegna, dunque, a tenere a freno i sensi, a evitare la vana compiacenza e l'ostentazione, a tener umilmente nascosto ciò che sarebbe degno di lode e di ammirazione, infine a tendere, in tutte le nostre azioni e i nostri studi, al vero profitto, alla lode e alla gloria di Dio. Non vuol far parlare di sé e delle cose sue, desiderando, invece, che, in tutti i suoi doni, sia lodato Iddio, che tutto elargisce per puro amore.

4. E', codesta grazia, una luce sovrannaturale, propriamente un dono particolare di Dio, un segno distintivo degli eletti, una garanzia della salvezza eterna. La grazia innalza l'uomo dalle cose terrestri all'amore del cielo e lo trasforma da carnale in spirituale. Adunque, quanto più si tiene in freno e si vince la natura, tanto maggior grazia viene infusa in noi; così, per mezzo di continue e nuove manifestazioni divine, l'uomo interiore si trasforma secondo l'immagine di Dio.


Contro Fausto Manicheo - Libro ventunesimo

Contro Fausto manicheo - Sant'Agostino di Ippona

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Dio e hyle sono due princìpi contrari, non due dèi.

1. FAUSTO. Dio è uno solo o due? Uno solo, naturalmente. Come mai, dunque, asserite che sono due? Mai nelle nostre affermazioni si è udito il nome di due dèi. Ma desidero sapere da dove ti deriva questo sospetto. Perché voi riferite che ci sono due princìpi: del bene e del male. È vero che ammettiamo due princìpi, ma uno lo chiamiamo dio, l'altro Hyle o, per dirla secondo l'uso comune, demone. Se pensi che questo significhi due dèi, potrai anche pensare che la salute e la malattia, di cui un medico discute, siano due forme di salute; e quando qualcuno nomina il bene ed il male potrai pensarli due forme di bene; e sentendo parlare di abbondanza e povertà le crederai due forme di abbondanza. Se mentre io discutessi del bianco e del nero, del freddo e del caldo, del dolce e dell'amaro, tu dicessi che ho mostrato due cose bianche, due calde, due dolci, non sembrerai pazzo e malato nel cervello? Così, quando indico due princìpi, dio e Hyle, non deve sembrare che mostro due dèi. Forse, perché attribuiamo tutto il potere malefico all'Hyle e quello benefico a dio, come è appropriato, credi che non ci sia per questo alcuna differenza? Dovremmo chiamarli entrambi dio? Che se è così, potrai anche credere, sentendo veleno ed antidoto, che non ci sia nessuna differenza o che l'uno e l'altro si chiamino antidoto perché l'uno e l'altro hanno il loro potere, fanno qualcosa ed operano. Ed anche sentendo medico e veterinario, chiamerai entrambi medici; e sentendo giusto ed ingiusto potrai chiamare entrambi giusti, perché l'uno e l'altro fanno qualcosa. Ma se questo è assurdo, quanto più assurdo è perciò credere dio e Hyle due dèi, perché ciascuno di loro opera qualcosa? Perciò è inopportuna ed abbastanza inefficace questa argomentazione per suscitare una disputa riguardo ai soli nomi,dal momento che non sai rispondermi sulla questione. Non nego che talvolta anche noi chiamiamo dio la natura contraria, ma non conformemente alla nostra fede, bensì secondo il nome ormai accettato per lei dai suoi adoratori, che suppongono per ignoranza che sia dio: come anche l'Apostolo disse: Il dio di questo mondo ha accecato la mente incredula 1, senza dubbio chiamandolo dio perché così ormai era chiamato dai suoi, ma aggiungendo che acceca le menti affinché da ciò si comprenda che non è il vero Dio.

Il Dio vero e giusto può manifestare ira e misericordia.

2. AGOSTINO. Nei vostri discorsi sentiamo parlare abitualmente di due dèi, cosa che, sebbene hai negato all'inizio, tuttavia poco dopo anche tu hai ammesso, rendendo ragione del perché diciate questo con le parole dell'Apostolo: Il dio di questo mondo ha accecato la mente incredula. Moltissimi tra noi dividono questa affermazione, così da dire che il vero Dio ha accecato la mente incredula. Infatti, dopo aver letto: Ai quali Dio, sospendono la pronuncia, ma poi soggiungono: ha accecato la mente incredula di questo mondo. Anche se non separi in questo modo, ma, per spiegare, muti l'ordine delle parole così: Ai quali Dio ha accecato la mente incredula di questo mondo, risulta evidente lo stesso significato. Infatti anche una tale azione, con cui si accecano le menti degli increduli, può, in un certo qual modo, riferirsi al vero Dio, come effetto non di malizia, ma di giustizia, come lo stesso Paolo altrove dice: Forse è ingiusto Dio, quando riversa su di noi la sua ira? 2 Parimenti, in un altro passo, afferma: Che diremo dunque? C'è forse ingiustizia da parte di Dio? No, certamente! 3 Egli, infatti, dice a Mosè: Userò misericordia con chi vorrò, e avrò pietà di chi vorrò averla 4. Dopo la premessa, dunque -che si deve mantenere incrollabilmente - che non c'è ingiustizia presso Dio, fa' attenzione a cosa dice poco dopo: Se pertanto Dio, volendo manifestare la sua ira e far conoscere la sua potenza, ha sopportato con grande pazienza i vasi di collera, già pronti per la perdizione, e questo per far conoscere la ricchezza della sua gloria verso i vasi di misericordia, da lui predisposti alla gloria 5, etc. Qui certamente non si può dire in alcun modo che uno è il Dio che manifesta l'ira e fa conoscere la sua potenza verso vasi già pronti per la perdizione ed un altro quello che manifesta la ricchezza verso vasi di misericordia. Perché la dottrina apostolica attesta che l'unico e medesimo Dio compie entrambe le cose. Da qui proviene anche: Perciò Dio li ha abbandonati all'impurità secondo i desideri del loro cuore, sì da disonorare fra di loro i propri corpi; e poco dopo: Per questo Dio li ha abbandonati a passioni infami; parimenti, poco dopo: E poiché hanno disprezzato la conoscenza di Dio, Dio li ha abbandonati in balìa di un'intelligenza depravata 6. Ecco in qual modo il Dio vero e giusto acceca le menti degli increduli. Mai, infatti, nelle parole dell'Apostolo che ho citato si deve intendere un altro Dio se non quello che ha mandato suo Figlio a dire: Io sono venuto in questo mondo per giudicare, perché coloro che non vedono vedano e quelli che vedono diventino ciechi 7. Anche qui sufficientemente appare alle menti dei credenti come Dio accechi le menti degli increduli. Infatti qualcosa di segreto avviene prima nella parte più nascosta, dove Dio compie il giustissimo esame del suo giudizio, cosicché le menti di alcuni sono accecate, di altri illuminate; riguardo a questo è stato detto con estrema esattezza: La tua giustizia è come i monti più alti 8. L'Apostolo, ammirando l'altezza impenetrabile di questa profondità, esclama: O profondità della ricchezza, della sapienza e della scienza di Dio! quanto sono imperscrutabili i suoi giudizi 9, etc.

Bontà e severità appartengono ad un solo Dio.

3. Voi, invece, non sapendo distinguere cosa compia Dio in beneficio e cosa per giustizia, perché è lontano dal vostro cuore e dalla vostra bocca il nostro salterio, quando dice: Misericordia e giustizia voglio cantare a te, o Signore 10, qualsiasi cosa vi abbia offeso secondo la debolezza della umana mortalità, lo allontanate del tutto dall'arbitrio e dal giudizio di Dio; ovviamente avete preparato un altro dio cattivo, che non vi mostra la verità ma plasma la menzogna, cui poter imputare non solo qualsiasi vostra azione ingiusta, ma anche qualsiasi vostro patimento ingiusto. Attribuite così a Dio il beneficio dei doni e gli togliete il giudizio delle pene, come se Cristo avesse detto di un altro che ha preparato il fuoco eterno per i malvagi 11, invece di colui che fa sorgere il suo sole sopra i buoni ed i malvagi e piovere sopra i giusti e gli ingiusti 12. Perché non capite che qui tanta bontà e lì tanta severità appartengono a un solo Dio, se non perché non sapete cantare la misericordia e la giustizia? Quello che fa nascere il suo sole sopra i buoni ed i cattivi e fa piovere sopra i giusti e gli ingiusti, non è il medesimo che taglia tuttavia i rami naturali e innesta contro natura l'oleastro? Non parla di questo unico Dio, lì, l'Apostolo: Considera dunque la bontà e la severità di Dio; severità verso quelli che sono caduti; bontà di Dio invece verso di te, a condizione però che tu sia fedele 13? Certo udite, certo vi accorgete di come non tolga né a Dio la severità dei giudizi né all'uomo la libera volontà. È un mistero profondo, con un segreto inaccessibile è tenuto fuori dal pensiero umano il modo in cui Dio da un lato condanni l'empio, dall'altro lo giustifichi: la verità delle sacre Scritture, infatti, dice di lui entrambe le cose. Vi piace, dunque, cianciare contro i giudizi divini perché sono imperscrutabili? Quanto più appropriato, quanto più adatto alla nostra misura è provare lo stesso timore lì dove Paolo ha avuto timore ed esclamare: O profondità della ricchezza, della sapienza e della scienza di Dio! Quanto sono imperscrutabili i suoi giudizi e inaccessibili le sue vie! 14 Quanto è preferibile provare stupore per ciò che non sei capace di investigare, piuttosto che voler inventare un altro dio cattivo perché non hai potuto comprendere l'unico buono? Perché non si parla del nome, ma dell'operato.

Dio vero, non hyle, è artefice anche di ciò che appare cattivo.

4. Fausto sembra essersi difeso prontamente, quando dice: "Non parliamo di due dèi, ma di Dio e Hyle ". Ma quando gli avrai chiesto cosa chiami Hyle, sentirai che viene descritto esattamente come un altro dio. Se infatti la materia informe capace di forme corporee fosse chiamata da quelli Hyle, come hanno fatto gli antichi, nessuno di noi confuterebbe che essa sia chiamata dio. Ma ora quanto grande è l'errore, quanto grande l'insensatezza nel dire che la materia dei corpi è artefice dei corpi e negare che il loro artefice sia Dio! Perché, quindi, ciò che Dio vero fa, cioè le qualità e le forme dei corpi, degli elementi, degli animali - perché siano corpi, elementi, animali - voi dite che le fa non so chi altro; con qualunque nome lo chiamiate, a ragione si dice che con il vostro errore introducete un altro dio. In questa unica questione errate due volte in modo sacrilego: in primo luogo perché ciò che fa Dio dite che lo fa colui che vi vergognate ad ammettere come Dio; ma non dimostrerete che non è Dio, a meno che non negherete che faccia cose tali quali non fa se non Dio; in secondo luogo, poi, perché le cose buone che Dio buono fa voi credete che siano fatte da uno cattivo e siano cattive, e con un sentimento puerile provate orrore per quelle cose che non si accordano con la fragilità della colpevole mortalità ed amate quelle che si accordano con essa. Quindi dite che è cattivo chi ha fatto il serpente; invece questo sole lo ritenete un bene tanto grande da crederlo non fatto da Dio, ma uscito fuori o mandato. Invece Dio vero (soffro moltissimo perché ancora non credete in lui) ha fatto sia il serpente fra gli esseri inferiori, sia il sole tra gli altri superiori; ed ancora, tra le creature più sublimi, non corporee e celesti ma a questo punto spirituali, ne ha fatte di gran lunga migliori di questa luce, che un uomo carnale qualsiasi non percepisce. A maggior ragione ciò vale per voi che, quando detestate la carne, nient'altro detestate che la vostra norma con la quale misurate il bene ed il male, perché non può esserci in voi né il pensiero della cose cattive, se non di quelle che offendono il senso carnale; né delle buone, se non di quelle con cui si diletta la vista carnale.

L'arte divina conduce perfettamente a termine le opere celesti e quelle terrene.

5. Siccome, perciò, considero le realtà inferiori opera di Dio (terrene, umilissime, mortali, ma tuttavia opera di Dio, come possiamo vedere), sono spinto ineffabilmente alla lode del loro Creatore, che veramente è così grande nelle opere grandi, che non è da meno in quelle piccole. Infatti l'arte divina, con cui sono fatte le opere celesti e terrene, anche quando sono dissimili tra loro, è in tutte simile a se stessa, perché nel condurle a termine in ciascun genere ovunque è perfetta. Infatti non costituisce il tutto nelle singole parti, ma costituendo le singole parti per abbracciare il tutto, si presenta tutta sia nel costituire le singole parti, facendo e disponendo ogni cosa convenientemente a posto suo e in ordine, sia assegnando ciò che è conforme a tutte nel particolare e nel complesso. Ecco, qui, in questa sorta di bassofondo della creazione universale, guardate gli animali, che volano, e nuotano, e camminano, e strisciano. Certo, sono mortali; certo, la loro vita, come è stato scritto, è un vapore che appare per un istante 15. Ad ogni modo questa misura, ricevuta dal buonissimo Creatore, per così dire la conferiscono tutti insieme al mondo intero, riempiendolo in proporzione alla loro specie, affinché con queste creature umili ci siano tutte quelle buone, tra le quali ci sono creature superiori migliori di quelle. Pertanto ascoltate: trovatemi un qualsiasi essere vivente, il più abietto, la cui anima abbia in odio la sua carne o piuttosto non la nutra e la curi, né con il movimento vitale la rinvigorisca e la governi e in qualche modo non amministri un certo universo suo, secondo la limitatezza della sua specie, favorevole a preservare la sua incolumità. L'anima razionale corregge, è vero, il suo corpo e lo sottopone all'obbedienza, affinché una smodata passione per le cose terrene non gli impedisca di cogliere la sapienza: anche così, però, essa ama senza dubbio la sua carne, che legittimamente sottomette a sé ed ordina perché obbedisca. Infine voi stessi, sebbene detestiate la carne per un errore carnale, non potete non amare la vostra carne e provvedere alla sua salute ed incolumità, non evitarle tutti i colpi e le cadute e le intemperie dalle quali è offesa, non cercare, persino, di difenderla e conservarla in buona salute. Così dimostrate che la legge della natura prevale sulla supposizione del vostro errore.

La perfezione della creatura fatta di carne.

6. Nella carne stessa le viscere vitali, convenienti a tutta la forma, le membra deputate all'azione, i vasi alla sensazione, tutti distinti nelle loro posizioni e funzioni e connessi in una concorde unità, in una moderazione di misure, in una uguaglianza di numeri, in un ordine di pesi, non indicano forse come loro artefice Dio vero, a cui veramente è stato detto: tu hai tutto disposto con misura, calcolo e peso 16? Se dunque non aveste il cuore perverso e corrotto da frottole inconsistenti, contemplereste con l'intelletto le sue perfezioni invisibili anche attraverso queste cose fatte in questa infima e carnale creatura 17. Chi è, infatti, l'autore di queste cose che ho ricordato, se non colui la cui unità fa sussistere ogni misura, la cui sapienza forma ogni bellezza, la cui legge stabilisce ogni ordine? Se non avete occhi per contemplare queste cose, vi guidi l'autorità dell'Apostolo.

Ogni essere animato ama la propria carne come Cristo ama la Chiesa.

7. L'Apostolo, infatti, indicando quale debba essere la natura dell'amore dei mariti verso le mogli, trae esempio dall'anima dell'amante: chi ama la propria moglie, dice, ama se stesso. Nessuno mai infatti ha preso in odio la propria carne; al contrario la nutre e la cura, come fa Cristo con la Chiesa 18. Ecco, sotto i vostri occhi c'è l'intera realtà carnale; vedete come in ogni animale, incline alla sua buona salute, continui questa unione naturale, affinché ami la sua carne. Perché questo non avviene soltanto negli uomini i quali, quando vivono rettamente, non solo provvedono alla salute della loro carne ma domano e frenano gli impulsi carnali secondo l'uso della ragione; ma anche le bestie fuggono il dolore, paventano la morte; evitano con tutta prontezza qualunque cosa possa fare a pezzi e disgregare, da una concorde connessione, la coesione delle membra e l'unione del corpo e dello spirito, nutrendo e curando anche loro la carne. Nessuno mai infatti ha preso in odio la propria carne; al contrario la nutre e la cura, dice, come fa Cristo con la Chiesa. Vedete da dove è partito e a quale altezza sia giunto. Contemplate, se siete capaci, quanta potenza la creatura tragga dal Creatore, determinata dalla pienezza della totalità a partire dalle schiere celesti fino alla carne e al sangue, ornata dalla varietà delle forme, ordinata secondo gradi di realtà.

S. Paolo attesta la grandezza di ciò che è piccolo, la bontà di ciò che è ultimo fra le realtà corporee.

8. Ancora lo stesso Apostolo, insegnandoci una realtà senza dubbio grande e divina e misteriosa riguardo ai diversi doni spirituali e tuttavia conformi all'unità, fece un paragone proprio con questa nostra carne e, mentre parlava, non passò affatto sotto silenzio il suo artefice, Dio. Sebbene sia lungo, poiché, però, è quanto mai indispensabile, non mi rincrescerà di inserire tutto intero in questa opera quel passo tratto dalla sua Lettera ai Corinzi: Riguardo ai doni dello Spirito, fratelli, non voglio che restiate nell'ignoranza. Voi sapete infatti che, quando eravate pagani, vi lasciavate trascinare verso gli idoli muti secondo l'impulso del momento. Ebbene, io vi dichiaro: come nessuno che parli sotto l'azione dello Spirito di Dio può dire: " Gesù è anàtema ", così nessuno può dire: " Gesù è il Signore " se non sotto l'azione dello Spirito Santo. Vi sono poi diversità di carismi, ma uno solo è lo Spirito; vi sono diversità di ministeri, ma uno solo è il Signore; vi sono diversità di operazioni, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti. E a ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per l'utilità comune: a uno viene concesso dallo Spirito il linguaggio della sapienza; a un altro, invece, per mezzo dello stesso Spirito, il linguaggio di scienza; a uno la fede per mezzo dello stesso Spirito; a un altro il dono di far guarigioni per mezzo dell'unico Spirito; a uno il potere dei miracoli; a un altro il dono della profezia; a un altro il dono di distinguere gli spiriti; a un altro la varietà delle lingue; a un altro infine l'interpretazione delle lingue. Ma tutte queste cose è l'unico e medesimo Spirito che le opera, distribuendole a ciascuno come vuole. Come infatti il corpo, pur essendo uno, ha molte membra e tutte le membra, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche Cristo. E in realtà noi tutti siamo stati battezzati in un solo Spirito per formare un solo corpo, Giudei o Greci, schiavi o liberi; e tutti ci siamo abbeverati a un solo Spirito. Ora il corpo non risulta di un membro solo, ma di molte membra. Se il piede dicesse: " Poiché io non sono mano, non appartengo al corpo ", non per questo non farebbe più parte del corpo. E se l'orecchio dicesse: " poiché io non sono occhio, non appartengo al corpo ", non per questo non farebbe più parte del corpo. Se il corpo fosse tutto occhio, dove sarebbe l'udito? Se fosse tutto udito, dove l'odorato? Ora, invece, Dio ha disposto le membra in un modo distinto nel corpo, come egli ha voluto. Se poi tutto fosse un membro solo, dove sarebbe il corpo? Invece molte sono le membra, ma uno solo è il corpo. Non può l'occhio dire alla mano: " Non ho bisogno di te "; né la testa ai piedi: " Non ho bisogno di voi ". Anzi quelle membra del corpo che sembrano più deboli sono più necessarie; e quelle parti del corpo che riteniamo meno onorevoli le circondiamo di maggior rispetto, e quelle indecorose sono trattate con maggior decenza, mentre quelle decenti non ne hanno bisogno. Ma Dio ha composto il corpo, conferendo maggior onore a ciò che ne mancava, perché non vi fosse disunione nel corpo, ma anzi le varie membra avessero cura le une delle altre. Quindi se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme; e se un membro è onorato, tutte le membra gioiscono con lui 19. Se in voi c'è non dico una qualche fede cristiana, per credere all'Apostolo, ma un po' di sensibilità umana, per scorgere ciò che è evidente, ciascuno in se stesso veda queste cose e consideri quanto siano vere, quanto siano certe, quanta grandezza sia in ciò che è piccolo e quanta bontà in ciò che è ultimo. Dal momento che l'Apostolo le esalta affinché attraverso queste infime cose corporee che si vedono si possano più facilmente riconoscere quelle sublimi e spirituali che non si vedono.

Il vero Dio ha creato il corpo nella sua unitarietà e funzionalità.

9. Chiunque nega che Dio sia l'artefice di queste membra e del nostro corpo che l'Apostolo tanto valorizza e loda, vedete chi contraddice, annunciandovi cose che sono estranee a quanto abbiamo ricevuto 20. Perciò che cosa è necessario smentire da parte mia, piuttosto che maledire da parte di tutti i Cristiani? L'Apostolo dice: Dio ha composto il corpo 21; mentre costui dice Hyle, non Dio. Che c'è di più evidente di questi contrasti, da maledire prima che da smentire? Forse anche qui l'Apostolo, dicendo Dio, ha aggiunto di questo mondo 22? Quand'anche qualcuno interpretasse che il diavolo acceca le menti dei non credenti, non neghiamo che lo fa con cattivi consigli; chi ad essi acconsente, perde la luce della giustizia quando Dio retribuirà ciò che è giusto. Tutto questo leggiamo nelle sacre Scritture; anche quanto riguarda la seduzione che viene dall'esterno: Temo però che, come il serpente nella sua malizia sedusse Eva, così i vostri pensieri vengano in qualche modo traviati dalla loro semplicità e purezza nei riguardi di Cristo 23. A cui è simile: Le cattive compagnie corrompono i buoni costumi 24; e il versetto secondo cui ciascuno sarebbe seduttore di se stesso: Se infatti uno pensa di essere qualcosa mentre non è nulla, inganna se stesso 25; e quello sulla vendetta di Dio, che ho menzionato sopra: Dio li ha abbandonati in balìa d'una intelligenza depravata, sicché commettono ciò che è indegno 26. Così anche nell'Antico Testamento, dopo la premessa: Perché Dio non ha creato la morte e non gode per la rovina dei viventi 27, si dice: Ma la morte è entrata nel mondo per invidia del diavolo 28. Ed ancora, sulla stessa morte, perché gli uomini non si considerassero senza colpa, si dice: Gli empi invocano su di sé la morte con gesti e con parole, ritenendola amica e si consumano per essa 29. Altrove, però: Bene e male, vita e morte, povertà e ricchezza, tutto proviene dal Signore 30. A questo punto gli uomini confusi non capiscono che in un'unica e medesima cattiva azione, anche se non ne segue un'altra evidente, ma è accompagnata immediatamente da una punizione, qualcosa proviene dall'astuzia del consigliere, qualcosa dall'indolenza di colui che vuole, qualcosa dalla giustizia di colui che punisce; perché il diavolo suggerisce, l'uomo acconsente, Dio abbandona. Perciò nella cattiva azione, cioè nell'accecamento dei non credenti, se si riconosce anche il diavolo per la sua malignità nel consigliare, così da distinguere Dio di questo mondo, non mi sembra un'assurdità. Ed infatti non viene detto Dio senza aggiunta, ma viene aggiunto di questo mondo, cioè degli uomini empi, che vogliono prosperare solo in questo mondo; secondo ciò che viene detto è anche un mondo perverso, come è scritto: Per strapparci da questo mondo perverso 31. Simile è, infatti, quell'espressione: Il cui Dio è il loro ventre 32: se lì non ci fosse il cui Dio non verrebbe affatto chiamato ventre. Né nel salmo i demoni potrebbero essere chiamati dèi se non si aggiungesse "delle nazioni ". Così infatti è stato scritto: Gli dèi delle nazioni sono demoni 33. Nel passo che stiamo considerando, però, non è stato messo né Dio di questo mondo, né il cui Dio è il ventre, né gli dèi delle nazioni sono demoni, ma semplicemente Dio ha composto il corpo, il vero Dio, creatore di tutte le cose. Quelle sono espressioni di biasimo, questa, invece, di lode. A meno che Fausto non intenda che Dio ha composto il corpo non disponendo le membra, cioè creandole e costruendole, ma mescolandole alla sua luce, di modo che, ovviamente, queste membra così distinte e collocate nelle loro sedi le avrebbe disposte un altro, che ha creato questo corpo; Dio, invece, mescolandovi la sua bontà avrebbe mitigato la malizia di questa creazione. Con tali invenzioni inebetiscono le anime fragili. Ma Dio, venendo in aiuto dei piccoli per bocca dei santi, non ha permesso che costoro dicessero questo. Hai, infatti, poco sopra: Ora, invece, Dio ha disposto le membra in modo distinto nel corpo, come egli ha voluto 34. Chi, ormai, non capirebbe, che Dio è detto regolatore del corpo il corpo in base al fatto che ha creato il corpo con molte membra, che conservano le funzioni di varie attività in una struttura unitaria?

Che beni grandi ha perduto la stirpe delle tenebre con la mescolanza del bene!

10. Dicano, allora, i Manichei se gli animali, che secondo i loro deliri l'Hyle aveva creato nella stirpe delle tenebre, prima che Dio avesse mescolato la sua luce con quelli, non avevano questa armonia delle membra, che l'Apostolo loda come ho detto; se in quel caso la testa avrebbe detto ai piedi, o l'occhio alla mano: Non ho bisogno di te! 35 Non l'hanno mai detto, né avrebbero potuto dirlo; perché gli attribuiscono le seguenti azioni e funzioni: strisciavano, camminavano, nuotavano, volavano, ciascuno secondo la propria specie; vedevano pure, e sentivano, e percepivano con gli altri sensi, si nutrivano e curavano i loro corpi con alimenti appropriati ed equilibrati. Di conseguenza, anche la fecondità della prole era sufficiente: infatti attribuiscono loro anche l'accoppiamento. Certo, tutte queste cose, che Manicheo biasima come opere dell' Hyle, non si possono compiere senza l'armonia delle membra, che l'Apostolo loda ed attribuisce a Dio. Dubitate ancora chi sia da seguire e chi da maledire? Che dire del fatto che vi erano alcuni che parlavano anche, cosicché, mentre essi pronunciavano un discorso, tutti i serpenti, i quadrupedi, i volatili, i natanti ascoltavano, capivano, approvavano? Da ammirare questa eloquenza soprannaturale! E non l'avevano appresa da nessun grammatico o retore, né avevano imparato quelle cose tra le lacrime delle bacchette e delle verghe! Evidentemente anche Fausto si è accostato tardi alla disciplina dell'eloquenza, per cianciare eloquentemente di queste falsità, e benché fosse di ingegno acuto, tuttavia leggendo ad alta voce fece perdere la pazienza, cosicché tanto pochi approvarono la sua eloquenza. Misero, egli che nacque in codesta luce e non in quelle tenebre! Lì, infatti, mentre teneva discorsi contro la luce, volentieri l'avrebbero ascoltato e prontamente obbedito ogni bipede, ogni animale a più zampe, persino ogni serpente, dal dragone fino alla lumaca; qui, invece, disputando contro le tenebre, i più lo chiamavano eloquente piuttosto che dotto, molti, però, perversissimo seduttore. Tra i pochi Manichei che lo applaudivano come un grande maestro, d'altra parte, nessun animale gli faceva cenno di assenso, neppure il suo cavallo sapeva qualcosa di quella dottrina, come se la parte divina si fosse mescolata a quegli animali solo per questo: per farli diventare più stupidi! Che è questo, vi prego? Svegliatevi, una buona volta, miseri, e confrontate nella vostra invenzione il tempo antecedente ed il presente di tutti gli animali, allora nella loro terra, ora in questo mondo; allora forti erano i corpi, ora sono deboli; allora la vista era acuta, con la tentazione di invadere la zona di Dio; ora così debole da essere distolta dai raggi del sole; allora le menti degli animali sviluppate per comprendere uno che pronunciasse un discorso; ora ebeti e del tutto estranee da una tale capacità; allora era naturale un'eloquenza così grande e potente, ora con tanto studio e fatica a malapena è piccola e modesta. Che beni grandi ha perduto la stirpe delle tenebre con la mescolanza del bene!

Bene e male, opposti tra loro, non sono evidenti nei contrari esemplificati da Fausto.

11. Proprio a questo Fausto, in questo stesso discorso, cui ora rispondo, è sembrato bene opporre elegantemente numerosi contrari: salute e malattia, abbondanza e miseria, bianco e nero, caldo e freddo, dolce e amaro. Tralascio di dire qualcosa del bianco e del nero, o in altri termini se c'è qualche elemento di bene e di male nei colori, al punto da dire che il bianco appartiene a dio, il nero, invece, all'Hyle. Dal momento che ritengono che Hyle ha creato tutte le specie di volatili, se dio asperse il colore bianco sulle loro piume, dove si nascondevano i corvi, quando i cigni furono cosparsi di bianco? Parimenti non è necessario discutere del caldo e del freddo: entrambi, infatti, se somministrati con moderazione, sono salutari, se in eccesso, invece, sono dannosi. Vediamo il resto. Il bene e il male, che avrebbe eventualmente dovuto mettere per primi, sembra che li abbia posti tra i contrari medesimi volendo che si intendessero come generali, cioè che al bene appartiene la salute, l'abbondanza, il bianco, il caldo, il dolce; al male, invece, la malattia, la povertà, il nero, il freddo, l'amaro: chi può, veda quanto ciò sia da ignorante e da sconsiderato! Io, invece, perché non si creda che tratti ingiustamente quest'uomo, non oppongo il bianco al nero, il caldo al freddo, il dolce all'amaro, la salute alla malattia. Infatti se il bianco e il dolce sono due cose buone, mentre il nero e l'amaro due cose cattive, come mai la maggior parte dell'uva e tutte le olive, diventando nere divengono dolci, cioè possedendo più male migliorano? Parimenti, se il calore e la salute sono due cose buone, invece il freddo e la malattia due cose cattive, perché i corpi, riscaldandosi, si ammalano? Per caso i sani hanno la febbre? Quindi non contrappongo queste cose, che probabilmente ha ricordato da incauto o per indicare qualsiasi forma di contrari piuttosto che il bene ed il male; in particolare perché non hanno mai detto che il fuoco della stirpe delle tenebre fosse freddo, ma il suo calore indubbiamente un male.

Salute e abbondanza presso la stirpe delle tenebre.

12. Ma per lasciando da parte queste cose, consideriamo quelle che ha menzionato come buone fra questi contrari, così da non volere dubbi: la salute, l'abbondanza, la dolcezza. Davvero non c'era la salute dei corpi in quella stirpe, in cui sono potuti nascere e crescere e generare quegli animali e resistere a tal punto che quando alcuni di loro, gravidi, furono catturati - come vanno vaneggiando - e furono legati insieme in cielo, i feti, nati neppure nella pienezza del tempo, ma prematuri, cadendo in terra da una tale altezza, poterono vivere e crescere e propagare queste specie carnali che ora sono innumerevoli? Oppure non c'era abbondanza là dove gli alberi poterono nascere non soltanto nell'acqua e nel vento, ma anche nel fuoco e nel fumo ed essere così fecondi che dai loro frutti erano generati animali di ciascuna loro specie, e si conservavano in quanto nutriti ed allevati dalla fertilità di quegli alberi, l'abbondanza del cui nutrimento era testimoniata anche dalla fecondità della prole, soprattutto dove non c'erano né il lavoro dei campi né le intemperie dell'estate e dell'inverno (perché lì non girava il sole, affinché con l'alternarsi delle stagioni trascorressero gli anni)? Quindi perenne era la fertilità degli alberi, per i quali l'elemento e l'alimento della loro specie, come era stato di aiuto a quelli che dovevano essere generati, così bastava perennemente a coloro che dovevano essere fecondati, e non faceva mai mancare i frutti, come vediamo gli alberi dei cedri generare fiori e frutti per tutto l'anno, se sono continuamente irrigati. Grande, dunque, lì l'abbondanza, e grande la sicurezza di averla: perché non si temeva la grandine, dove non c'erano coloro che scacciavano la luce, i quali - come inventate - scatenano i tuoni.

Gradevolezza e disgusto di un cibo secondo la convenienza del corpo.

13. Se poi non avessero considerato i loro cibi dolci e deliziosi non li avrebbero ricercati, i loro corpi non si sarebbero rinvigoriti. Infatti così stanno le cose: in base alla convenienza di ciascun corpo un cibo o piace o disgusta. Se piace, si dice che è dolce o delizioso; se invece disgusta si dice che è amaro, o acerbo o che va rifiutato perché in qualche modo sgradevole. Noi uomini non siamo forse così, cioè per lo più uno ricerca un cibo di cui l'altro ha disgusto, o per costituzione naturale, o per abitudine o per stato di salute? Quanto più i corpi di animali di diverso genere possono ritenere piacevole quel cibo che per noi è amaro? O altrimenti si dovrebbero trattenere le capre dal rodere l'oleastro? Perché come per qualcuno degli uomini il miele è amaro a causa di una malattia, così per quella natura animale è delizioso l'oleastro. Così si infonde nei prudenti esaminatori della realtà il valore dell'ordine, quando, cioè, a ciascuno è offerto e restituito il suo; e si rende noto quanto grande sia questo bene che si estende dalle cose infime fino a quelle più alte, dalle corporali fino alle spirituali. Pertanto, per la stirpe delle tenebre, quando un animale appartenente a qualche elemento si nutriva con quel cibo che era nato nel suo elemento, senza dubbio questa stessa congruenza glielo rendeva piacevole; se invece si fosse imbattuto nel cibo fatto di un altro elemento l'incongruenza stessa avrebbe offeso il senso di colui che lo gustava. E questa offesa è chiamata amarezza o asprezza o sgradevolezza o quant' altro o, se fosse così eccessiva da distruggere l'armonia della costituzione del corpo con una forza estranea, e uccida o tolga le forze, è chiamata anche veleno, semplicemente per l'incongruenza, poiché è cibo appropriato per un'altra specie; come uno sparviero, se mangia il pane, che è il nostro cibo quotidiano, muore, anche noi se mangiamo l'elleboro, di cui si nutrono la maggior parte degli animali. Un certo modo di usare quell'erba, però, è anche una forma di medicamento. Se Fausto sapesse e considerasse tal cosa, certamente non porrebbe veleno ed antidoto come esempio delle due nature del bene e del male, come se dio fosse l'antidoto ed Hyle il veleno, dal momento che una medesima cosa e una medesima natura, presa o usata ora appropriatamente ora non appropriatamente, giova o nuoce. Perciò, secondo la loro invenzione, si può dire che il loro dio è stato il veleno per la stirpe delle tenebre, di cui logorò i corpi tanto robusti così da renderli debolissimi; ma poiché anche la luce stessa fu catturata, sottomessa e sciupata, furono entrambi reciprocamente velenosi.

Il regno di dio e il regno di Hyle.

14. Perché dunque non chiamate questi regni o entrambi buoni o entrambi cattivi, o piuttosto entrambi buoni e cattivi (entrambi buoni in se stessi, entrambi cattivi l'uno verso l'altro)? Successivamente, se sarà necessario, cercheremo quale di questi sia migliore o peggiore; nel frattempo, giacché erano due regni buoni in se stessi, si faccia questa considerazione: dio regnava nella sua terra, anche Hyle regnava nella sua. La buona salute dei regnanti c'era sia lì che qui; frutti abbondanti sia lì che qui; fecondità della prole in entrambi i regni; la dolcezza dei piaceri propri nell'uno e nell'altro regno. Ma quella stirpe, dicono, a parte il fatto che era cattiva per la luce vicina, anche in se stessa era cattiva. Per il momento ho già parlato delle sue molte cose buone; se anche voi potrete mostrarne delle cattive saranno due i regni buoni, ma migliore quello in cui non c'era alcun male: quali dite che fossero, dunque, suoi mali? Si devastavano, dice Fausto, si danneggiavano a vicenda, si uccidevano, si logoravano. Se lì ci si dedicava soltanto a questo, in che modo si generarono, si allevarono, si svilupparono così tante schiere? Lì dunque c'erano quiete e pace. Ma ammettiamo che fosse migliore il regno in cui non c'era alcuna discordia: molto più opportunamente li chiamerei, tuttavia, due regni buoni, piuttosto che uno buono e l'altro cattivo, pur essendo migliore quello in cui ciascuno non nuoceva a se stesso, né l'uno all'altro; meno buono, invece, questo in cui, sebbene si contrapponessero a vicenda, tuttavia ciascun animale difendeva la sua salute, l'incolumità, la natura. Nondimeno al dio vostro non si può paragonare neppure per una così grande differenza il principe delle tenebre, cui nessuno resisteva, del cui regno tutti erano servitori, seguito da tutti quando pronunciava un discorso: questo non sarebbe potuto avvenire senza una grande pace e concordia. Ci sono, infatti, regni felici laddove si obbedisce al re col pieno consenso di tutti. A ciò si aggiunge che erano sudditi di quel principe non solo quelli della sua specie, cioè i bipedi, che voi dite genitori degli uomini, ma tutte le specie degli altri animali, ed al suo cenno gli si rivolgevano, facendo ciò che aveva comandato, credendo a ciò che aveva dichiarato. Dicendo queste cose, ritenete fino a tal punto sordi i cuori degli uomini da aspettarsi che voi nominiate un altro dio, che vedono compiutamente ed apertamente descritto? Se infatti questo principe era capace di questo con le sue forze, doveva derivarne grande potenza; se con l'onore, grande gloria; se con l'amore, grande concordia; se con il timore, grande disciplina. Se in tutte queste buone cose ce n'erano alcune cattive, allora forse si deve parlare di natura cattiva? O lo fanno solo coloro che non sanno che dicono? Inoltre, se ritenete che fosse una natura cattiva, per il fatto che non solo era cattiva nei confronti dell'altra natura, ma aveva il male anche in se stessa, credete che non sia alcun male la dura necessità che sopportava il vostro dio prima della mescolanza con la natura contraria, così da essere costretto a combattere con essa ed a mandare nelle fauci le sue membra, per essere così schiacciate che non si potesse recuperarle tutte intere? Ecco, c'era anche in essa un grande male, prima che si mescolasse con lei quello che solo chiamate male. Infatti o non poteva essere offeso e danneggiato dalla stirpe delle tenebre e per propria stoltezza soffriva quella necessità; o, se poteva essere danneggiato nella sua sostanza, non adorate un dio incorruttibile, come lo dichiara l'Apostolo 36. E allora? La corruttibilità stessa, dalla quale non era ancora corrotta quella natura ma dalla quale poteva essere corrotta, non vi sembra un male nel dio vostro?

Nel dio dei Manichei né prescienza né sicurezza.

15. Chi non vedrebbe, inoltre, che o in lui non c'era prescienza - nel qual caso è vostro dovere pensare se non sia un difetto di Dio mancare di prescienza e non sapere minimamente cosa stia per accadere -; o, se in lui c'era prescienza, non poteva esserci sicurezza, ma eterno timore, e riconoscete certamente quanto ciò sia male! Non temeva che da un momento all'altro venisse il tempo in cui le sue membra sarebbero state talmente devastate e contaminate in quella battaglia, che a stento sarebbero state liberate e purificate con infinita fatica e neppure per intero? Ma se questo non lo riguardava (e vedete senz'altro quanto si possa dirlo con difficoltà), le sue membra, che stavano per soffrire mali tanto grandi, avevano certamente paura. O non sapevano che sarebbe avvenuto questo? Quindi ad una qualunque parte della sostanza del vostro dio mancò assolutamente la prescienza. Contate i mali nel vostro sommo bene! O forse non temevano perché prevedevano la loro successiva liberazione e, parimenti, il trionfo? Certamente temevano per i compagni, sapendo che dovevano essere cacciati dal loro regno e imprigionati per l'eternità in quel globo.

Cosa vanno delirando coloro che, non accettando la sana dottrina, si volgono alle favole!

16. Forse lì non c'era carità affinché non ci fosse fraterna compassione per le anime minacciate da eterni supplizi senza alcun precedente peccato? Come? Quelle stesse anime che dovevano essere legate nel globo, non erano anche loro membra del vostro dio? Non è forse unica l'origine, unica la sostanza? Esse, almeno, sicuramente temevano, sicuramente erano afflitte perché avevano prescienza del loro futuro ed eterno carcere. O altrimenti, se quelle anime non sapevano che sarebbe avvenuto questo, una parte del vostro dio era preveggente, una parte no; come, dunque, una sola ed identica poteva essere la sostanza? Dal momento che, dunque, anche lì ci furono mali tanto grandi, prima che ci fosse la mescolanza con un male estraneo, perché vi vantate di quel bene, come se fosse puro, semplice, sommo? Perciò siete costretti a confessare che queste due stesse nature erano o entrambe buone o entrambe cattive. Vi concediamo, se direte che erano entrambe cattive, di dichiarare peggiore quella che vorrete; se invece direte che erano entrambe buone, dite quale di queste fosse la migliore. Dopo sarà più accurato l'esame; purché, tuttavia, sia rimosso quel vostro errore per il quale dite che esistevano due princìpi di natura diversa, buona e cattiva, e evidentemente due dèi, uno buono e l'altro cattivo. Ora, però, se è cattivo qualcosa per il fatto che nuoce ad un altro, questi due princìpi si sono nuociuti a vicenda: supponiamo che una parte sia stata più cattiva perché per prima ha desiderato i beni altrui. Perciò una volle introdurre il male, l'altra restituì male per male; e non secondo la legge del taglione, cioè occhio per occhio 37, che abitualmente criticate per ignoranza e per impudenza, ma con molta più gravità. Scegliete dunque quale parte chiamare peggiore, quella che per prima volle nuocere o quella che volle e poté nuocere di più. Questa infatti desiderò godere della luce secondo la sua misura; l'altra estirpò quella alla radice. Se l'una avesse portato a compimento quel che desiderava, sicuramente non avrebbe danneggiato se stessa; l'altra, invece, per abbattere completamente l'avversaria ostile, nocque gravemente anche ad una parte di sé. Come dice quella notissima e veemente esclamazione affidata alla memoria di certe opere: Periscano gli amici purché contemporaneamente muoiano i nemici 38. Infatti una parte di dio è stata mandata all'irrimediabile contaminazione affinché fosse possibile proteggere il globo, nel quale il nemico deve essere sepolto vivo in eterno; tanto, infatti, sarà temuto anche da vinto, tanto spaventerà benché rinchiuso, che l'eterna sventura di una parte di dio procura una qualunque sicurezza alle altre parti. O innocentissima bontà! Ecco, anche il dio vostro farà ciò che potrebbe nuocere ai suoi ed ai nemici, di cui accusate terribilmente la stirpe delle tenebre. Proprio questo è denunciato, nel caso del vostro dio, dalla zona più profonda del globo, nella quale è rinchiuso il nemico ed inchiodato il suddito; addirittura quella parte che dite dio prevale nel nuocere di più ai nemici ed ai suoi. Hyle, in effetti, non volle distruggere il regno nemico, ma occuparlo; alcuni dei suoi, poi, sebbene li uccidesse distruggendoli mediante altri dei suoi, tuttavia li trasformava di nuovo in altre forme, cosicché morendo e rinascendo, almeno durante gli intervalli di tempo godevano della loro vita. Dio, invece, onnipotente ed ottimo come lo descrivete, distrugge i nemici e condanna i suoi per sempre; e - cosa cui si crede per una follia più sorprendente - Hyle danneggia i suoi animali nella lotta, dio punisce le sue membra nella vittoria. Non state forse vaneggiando? Certamente ricordate il paragone di Fausto tra dio e l'antidoto e tra Hyle ed il veleno: ecco, nuoce di più il vostro antidoto che il veleno. Se Hyle ha rinchiuso dio e inchiodato le sue viscere nel globo così orrendo, per sempre; e - crimine maggiore - egli calunnia le restanti anime perché non sembri di esser venuto meno, non avendo potuto purificarle. Mani, infatti, nella sua Epistola del Fondamento, dice che quelle anime diventano degne di tale supplizio perché " hanno concesso a se stesse di allontanarsi dalla loro precedente brillantezza naturale e sono divenute nemiche della santa luce ", sebbene dio stesso le abbia condotte in quel traviamento. Di conseguenza furono così ottenebrate da diventare luce nemica della luce. Se non lo volevano, egli fu ingiusto nel costringerle; se lo volevano, egli fu ingrato nel punirle. Se esse avessero potuto sapere in anticipo che sarebbero state nemiche della loro origine, sarebbero state tormentate dal timore prima del conflitto, contaminate irrimediabilmente durante esso, e dopo esso condannate per sempre, mai beate. D'altro canto, se non avessero potuto sapere in anticipo, sarebbero state incaute prima del conflitto, deboli durante esso e misere dopo, mai divine. E necessariamente ciò che è vero di esse è vero di dio, conformemente all'unità della sostanza. Non possiamo credere che vedete quanto grande sia la vostra bestemmia? E tuttavia, talvolta, volendo - per così dire - difendere la bontà di dio, dite di riservare qualcosa di buono anche alla stessa Hyle, perché rinchiusa non si accanisca su se stessa. Avrà dunque qualcosa di buono pur non avendo nulla di buono mescolato con essa? Forse, come dio prima del conflitto, pur senza mescolanza col male, aveva il male di necessità, così Hyle, dopo il conflitto, senza mescolanza col bene, avrà il bene della pace? Parlate dunque di due mali, ma uno peggiore dell'altro; o, più esattamente, di due non sommi beni, ma uno migliore dell'altro. Di conseguenza il migliore lo proclamate più misero: infatti, se l'esito di quel grande conflitto sarà che - sopraffatta Hyle dalla propria devastazione e inchiodate le membra di dio nel globo - qualcosa di buono sia riservato ai nemici ed un grande male sia inflitto ai sudditi, pensate chi abbia vinto! Ma (si capisce!) il veleno è Hyle, che è stata capace di formare, fortificare, nutrire, vivificare i suoi animali; e l'antidoto è dio, che ha potuto condannare, ma non guarire, le sue membra! Pazzi! Quella non è Hyle, quello non è dio! Così vanno delirando coloro che, non accettando la sana dottrina, si volgono alle favole 39.

Note:



1 - 2 Cor 4, 4.

2 - Rm 3, 5.

3 - Rm 9, 14-15.

4 - Es 33, 19.

5 - Rm 9, 22-23.

6 - Rm 1, 24. 26. 28.

7 - Gv 9, 39.

8 - Sal 35, 7.

9 - Rm 11, 33.

10 - Sal 100, 1.

11 - Cf. Mt 25, 41.

12 - Cf. Mt 5, 45.

13 - Rm 11, 17-24.

14 - Rm 11, 33.

15 - Gc 4, 15.

16 - Sap 11, 21.

17 - Cf. Rm 1, 20.

18 - Ef 5, 28-29.

19 - 1 Cor 12, 1-26.

20 - Cf. Gal 1, 9.

21 - 1 Cor 12, 24.

22 - 2 Cor 4, 4.

23 - 2 Cor 11, 3.

24 - 1 Cor 15, 33.

25 - Gal 6, 3.

26 - Rm 1, 28.

27 - Sap 1, 13.

28 - Sap 2, 24.

29 - Sap 1, 16.

30 - Sir 11, 14.

31 - Gal 1, 4.

32 - Fil 3, 19.

33 - Sal 95, 5.

34 - 1 Cor 12, 18.

35 - 1 Cor 12, 21.

36 - Cf. 1 Tm 1, 17.

37 - Cf. Es 21, 24.

38 - CICERONE, Pro Deiotaro 9, 25.

39 - Cf. 2 Tm 4, 3.


13 - Maria beatissima celebra con i suoi angeli altre feste.

La mistica Città di Dio - Libro ottavo - Suor Maria d'Agreda

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625. La gratitudine per quanto ci è concesso dalla ma­no del sommo sovrano è una virtù così nobile che con es­sa conserviamo il nostro rapporto con lui: egli ci favorisce come potente, sovrabbondante e munifico, e noi lo rin­graziamo come poveri, umili e obbligati. È proprio di chi offre per la sua larghezza l'accontentarsi della riconoscen­za di chi è nel bisogno, ed essa è un contraccambio velo­ce, facile e dilettevole, che soddisfa il donatore impegnan­dolo ad essere di nuovo generoso. Ciò succede tra gli uo­mini magnanimi e a maggior ragione tra il Signore e i suoi figli, poiché noi siamo la stessa miseria e indigenza, men­tre egli è ricco e tale che, se possiamo immaginare in lui qualche necessità, questa non è necessità di ricevere, ben­sì di dare. Quindi, nella sua saggezza, giustizia e rettitu­dine non ci respinge mai perché sprovvisti, ma perché im­memori di quello che ci è prodigato; vuole dispensarci tan­to, ma a condizione che gli rendiamo lode. La corrispon­denza nei benefici minori lo muove a farne di più grandi e a moltiplicarli, e soltanto chi è umile se li assicura, dal momento che conseguentemente è di certo anche grato.

626. La maestra di questa scienza fu la beatissima Ver­gine, giacché, avendo ella sola avuto tutta la pienezza di grazie che poterono essere comunicate a una semplice crea­tura, non dimenticò o tralasciò di apprezzarne alcuna con la massima eccellenza. Aveva assegnato a ciascuna dei par­ticolari cantici con altri singolari esercizi, destinando allo scopo dei giorni dell'anno e in essi delle ore, e a tale pre­mura aggiungeva quella di governare la comunità eccle­siale, istruire gli apostoli e i discepoli, consigliare l'enor­me quantità di persone che andavano a consultarla, non negandosi mai a nessuno e non trascurando mai di preoc­cuparsi delle esigenze dei fedeli.

627. Se la riconoscenza vincola l'Altissimo e lo induce alla liberalità, chi riuscirà a ponderare quanto doveva toc­carlo quella che la prudentissima Madre gli palesava in mo­do eccezionale per tutte le sue innumerevoli e sublimi elar­gizioni? Noi discendenti di Adamo in paragone siamo ne­gligenti, pigri e così duri di cuore che il poco, ammesso che facciamo qualcosa, ci pare molto; al contrario, alla diligente Regina il molto pareva poco e, compiendo tutto il possibi­le per le sue forze, si giudicava manchevole. Ho già di­chiarato altrove che agiva in maniera simile a Dio, che è un atto purissimo che opera con il medesimo essere senza poter cessare nelle sue operazioni infinite, partecipando ineffabilmente di questa prerogativa: sembrava tutta un'o­perazione infaticabile e continua, e ciò non sorprende se si pensa che la grazia, che in tutti è impaziente al vedersi oziosa, stava in lei senza limiti e senza la comune misura.

628. Non so spiegare la mia affermazione meglio che ri­ferendo lo stupore degli angeli, che sovente di fronte a quel­lo che contemplavano dicevano tra sé o parlando con sua Maestà: «In costei l'Eterno si mostra mirabile più che in tut­ti gli altri! In costei la natura umana ci sorpassa considere­volmente! Sia sempre esaltato chi vi ha plasmato, o Maria. Voi siete il vanto e la bellezza dei mortali. Voi siete oggetto di santa emulazione addirittura per noi che siamo esseri spi­rituali e suscitate meraviglia nei cittadini del paradiso. Sie­te il portento dell'Onnipotente, la manifestazione della sua destra, la sintesi delle opere del Verbo, il vivo ritratto delle sue perfezioni, l'effigie dei suoi passi e l'immagine in tutto somigliante a colui che si è incarnato nel vostro grembo. Voi siete degna guida della Chiesa militante e gloria specialmente di quella trionfante, onore del nostro popolo e riparatrice del vostro. A tutte le nazioni sia nota la vostra virtù ed emi­nenza, e ogni generazione vi acclami e benedica. Amen».

629. La nostra Principessa celebrava con essi i favori che le erano stati concessi, supplicandoli di assisterla non soltanto per il suo fervente amore, che meritava e solleci­tava tutti i mezzi per l'inestinguibile sete che provoca il fuoco della carità nell'animo in cui arde, ma pure per la sua profonda umiltà, con la quale si confessava più debi­trice degli altri, che esortava ad aiutarla a pagare benché fosse l'unica ad esserne capace. In questo modo trasferiva sulla terra, nel suo oratorio, la corte del supremo Re, e fa­ceva del mondo un cielo.

630. Ricordava la sua Presentazione al tempio nella da­ta corrispondente, cominciando dalla vigilia e spendendo l'intera notte in esercizi e ringraziamenti, come in occasio­ne dell'Immacolata Concezione e della Natività. Meditava il beneficio di essere stata condotta dal sommo Bene nella sua casa in tanto tenera età e tutto quanto aveva ricevuto mentre vi dimorava, ma ancor più ammirevole è che, ri­colma di luce superna, richiamasse alla memoria gli inse­gnamenti che le avevano impartito il sacerdote e la sua mae­stra durante l'infanzia. Aveva la stessa cura in ordine a ciò che aveva appreso dai suoi genitori e successivamente dai Dodici, ed eseguiva nuovamente tutto nel grado conveniente alla sua maturità. Sebbene le fossero sufficienti le parole di Cristo, rammentava quelle di tutti, perché in materia di umi­liarsi e di obbedire come inferiore non perdeva alcun pun­to o ingegnoso segreto. Oh, a che inarrivabile livello portò gli ammonimenti dei sapienti: «Non appoggiarti sulla tua intelligenza e non credere di essere saggio; non disprezzare i racconti e gli avvertimenti degli anziani, e ascolta le lo­ro massime; non aspirare a cose troppo elevate, piegati in­vece alle umili»!

631. Sentiva come un'affezione naturale al ritiro di cui aveva goduto allora, anche se si era prontamente sotto­messa al comando di lasciarlo per gli imperscrutabili fini del nostro Creatore, che in tale anniversario la compensa­va con dei doni singolari. Il Salvatore scendeva dall'empi­reo avvolto da un eccezionale splendore e scortato dai suoi ministri, e proclamava: «Colomba mia, venite a me, che sono vostro Signore e vostro figlio. Voglio darvi un'abita­zione più sicura ed eccellente, che sarà in me medesimo: venite, carissima amica mia, alla vostra legittima stanza». A questo dolcissimo invito i serafini la sollevavano dal suo­lo, poiché al cospetto di Gesù stava prostrata finché egli non la pregava di rialzarsi, e con sublimi armonie la col­locavano al suo fianco. Subito la Vergine percepiva o ca­piva che la divinità di lui la riempiva tutta come tempio della sua gloria e la penetrava, rivestiva e circondava co­me il mare fa con il pesce che tiene in sé; per quel con­tatto sperimentava effetti ineffabili, avendo una specie di possesso di sua Maestà che non posso spiegare, nel quale provava grande soddisfazione e giubilo pur non vedendo­lo faccia a faccia.

632. Ella chiamava questa immensa grazia "il mio al­tissimo rifugio" e la solennità "festa dell'essere di Dio", e componeva mirabili cantici di gratitudine. Alla sera, poi, magnificava il nostro sovrano per tutti i patriarchi e i pro­feti, da Adamo a Gioacchino ed Anna: per quanto aveva elargito loro, per quanto avevano predetto e per quanto di essi riferiscono i testi sacri. Rivolgendosi a suo padre e sua madre esprimeva riconoscenza per essere stata offerta tan­to piccola all'Onnipotente, e chiedeva che nella Gerusa­lemme trionfante lo lodassero per ciò a nome suo e le im­petrassero da lui che l'educasse a farlo e la guidasse in ogni sua azione; soprattutto, li implorava di esaltarlo per averla esentata dal peccato originale allo scopo di sceglierla perché lo accogliesse nel suo grembo, dal momento che considerava sempre inseparabili tali favori.

633. Viveva pressappoco nello stesso modo le memo­rie dei suoi genitori, che entravano nel suo oratorio con l'Unigenito e con una moltitudine di spiriti celesti. Con questi ultimi ringraziava il suo diletto per averle conces­so di nascere da persone così rette e conformi alla sua volontà e per come le aveva premiate, e ideava altri inni che ripetevano con musica soavissima e forte. Ciascun co­ro dei suoi angeli e di quelli che in simili circostanze si univano ad essi le illustrava un attributo dell'Eterno e uno del Verbo fatto uomo, in un colloquio che le procurava incomparabile gioia e l'accendeva ulteriormente nell'a­more e che era causa di enorme gaudio accidentale an­che per i due santi. A questi Maria domandava infine di benedirla, restando stesa nella polvere mentre risalivano al paradiso.

634. Nel giorno dedicato al suo castissimo sposo, ce­lebrava il matrimonio in cui egli le era stato dato come fedele compagno per nascondere i misteri dell'incarna­zione e per compiere con eccelsa sapienza le opere della redenzione, e, poiché teneva depositato nel suo pruden­tissimo cuore questo consiglio immutabile della Provvi­denza, ponderandolo e stimandolo opportunamente, era straordinariamente esultante. Giuseppe arrivava con stu­pendo fulgore e con migliaia di ministri superni, che in­tonavano con allegrezza e compostezza i nuovi motivi scritti dalla nostra Maestra per i benefici ricevuti insie­me a lui.

635. Dopo aver speso in tale maniera parecchie ore, la Regina passava le rimanenti discorrendo delle perfezioni e delle prerogative divine, perché in assenza del Signore que­sto era ciò che la rallegrava maggiormente. Poi, per prende­re congedo lo supplicava di intercedere per lei e di rendere onore alla Trinità da parte sua, gli raccomandava le neces­sità dei credenti e degli apostoli e si faceva benedire, conti­nuando alla sua partenza le consuete manifestazioni di umiltà. Segnalo due cose: in quelle occasioni Cristo, duran­te la sua permanenza quaggiù, l'assisteva e le si mostrava trasfigurato come sul Tabor, rimunerando la sua profonda devozione e rinnovandola meravigliosamente; inoltre in esse, come in altre delle quali parlerò in seguito, ella aggiungeva una premura conveniente alla sua pietà e degna della nostra attenzione, e cioè sfamava molti poveri, apparecchiando e servendoli con le proprie mani stando in ginocchio. A tal fi­ne, ordinava all'Evangelista di trovare e condurle innanzi i più trascurati e bisognosi, ed egli eseguiva puntualmente il suo comando. La Vergine preparava pure un altro pranzo più delicato per mandarlo agli infermi indigenti che erano negli ospedali e non potevano essere portati a casa sua, e li andava a consolare e sollevare con la sua presenza. Istruì su tutto questo i suoi figli, affinché la imitassero palesandosi per quanto possibile obbligati con lodi e gesti caritatevoli.

 

Insegnamento della Regina del cielo

636. Mia eletta, l'ingratitudine nei confronti dell'Altissi­mo è una delle colpe più brutte e che rendono più odiosi ai suoi occhi e a quelli dei beati, che hanno una specie di orrore per questa turpissima villanìa. Eppure, benché essa sia per loro così pericolosa, i mortali non commettono nes­sun altro peccato con più sconsideratezza e frequenza. È certo che il medesimo Dio, per non essere tanto offeso dal­la generale dimenticanza delle sue elargizioni, vuole che la Chiesa compensi in qualche misura la mancanza in cui in­corrono i suoi membri e tutti gli altri, e dunque sono in gran numero le preghiere e i sacrifici a sua gloria; però, siccome i favori della sua liberalissima destra appartengo­no non solo alla comunità ecclesiale ma anche ad ognuno in particolare, ciò non basta ad estinguere il debito, che si è singolarmente tenuti a soddisfare.

637. Quanti vi sono che non hanno mai fatto atti di au­tentica riconoscenza verso colui che ha concesso e con­serva loro la vita, e accorda loro salute, vigore, nutrimen­to, decoro e averi materiali? Altri, poi, sono mossi ad essi non dall'amore per il Donatore, bensì dall'amore per se stessi e per le realtà terrene che si compiacciono di pos­sedere, inganno che si desume da due fattori. Il primo è che, allorché le perdono, si rattristano, adirano ed abbat­tono, senza essere capaci di pensare ad altro né altro im­plorare e apprezzare, perché hanno caro esclusivamente quello che è apparente e caduco. E sebbene sovente sia per loro una grazia l'essere privati delle buone condizioni fisi­che, delle facoltà e di cose simili affinché non vi si ab­bandonino disordinatamente, reputano tale evento una sventura e sempre desiderano correre dietro a ciò che ha termine, per perire assieme ad esso.

638. Il secondo è che, per la cieca bramosia dei beni transitori, non si ricordano di quelli celesti, che non san­no discernere e gradire. Questo errore è ripugnante e ter­ribile tra i cristiani, ai quali l'immensa misericordia del­l'Onnipotente, senza che alcuno la vincolasse e muovesse con il proprio retto comportamento, applicò in modo spe­ciale i meriti della passione del mio Unigenito. Costoro po­tevano nascere in altri secoli, antecedentemente alla sua incarnazione, oppure tra i pagani, gli idolatri e gli eretici, dove sarebbe stata inevitabile la dannazione. Egli, invece, li ha gratuitamente attratti alla fede illuminandoli sulla si­cura verità; li ha giustificati mediante il battesimo e ha dato loro i sacramenti, dei ministri e degli insegnamenti; li ha posti sul diritto sentiero e li soccorre con aiuti, li as­solve quando hanno sbagliato, li rialza quando sono ca­duti, li aspetta per la conversione, li invita con clemenza e li premia con eccezionale larghezza; li difende tramite gli angeli; si offre loro come pegno e come alimento di vi­ta spirituale, e non passa giorno od ora senza accumulare i suoi benefici.

639. Dimmi, quindi: quale gratitudine si deve a tanto liberale e paterna benignità? E quanti l'hanno? È ammi­revole soprattutto che non si siano sbarrate le porte e prosciugate le fonti della sua bontà, e questo accade poi­ché è infinita. La principale radice di una così spaven­tosa grettezza è la loro esorbitante ingordigia e avidità delle ricchezze mondane, che fa sia sembrare da poco quelle che ricevono sia ignorare le altre, più elevate. A tale stoltezza se ne accompagna solitamente una peggio­re, cioè la supplica per ottenere dal Signore non soltan­to ciò di cui hanno bisogno, ma anche ciò che ambi­scono per capriccio e che serve alla loro rovina. Fra gli uomini non è normale che si cerchi alcunché presso chi si è offeso, a maggior ragione se allo scopo di offender­lo ancor più. Per quale motivo dunque un essere vile e spregevole, nemico dell'Eterno, gli domanda il benesse­re, l'onore, la roba e altre cose che ha costantemente usa­to contro di lui?

640. E aggiungendo che mai lo ha ringraziato perché lo ha creato, redento, chiamato, atteso, perdonato e gli tiene preparata la medesima gloria di cui gode egli stes­so, qualora voglia acquistarla, è chiaramente un'inaudita temerarietà e audacia che ardisca chiedere essendosene così reso assolutamente indegno, se prima non se ne pen­te. Ti garantisco che questo frequente peccato è uno dei più evidenti segni di riprovazione in coloro che lo com­mettono sconsideratamente. È un cattivo indizio pure il fatto che l'equo giudice distribuisca abbondanza di favo­ri temporali a chi è immemore del proprio riscatto, giac­ché costui dimenticando il mezzo della salvezza anela a quello della morte e il suo conseguimento non è che un castigo.

641. Ti manifesto il pericolo affinché tu ne abbia terro­re e te ne allontani, ma intendi bene che la tua ricono­scenza non ha da essere ordinaria e comune, dal momen­to che ciò che ti è stato prodigato sorpassa ogni tua pon­derazione. Non lasciarti indurre a sminuirti con il prete­sto della modestia e a non stimarlo convenientemente. Ti è noto l'impegno del demonio nel tentare di farti sparire da davanti agli occhi le elargizioni di sua Maestà e mie, procurando che tu ritenga le tue mancanze e miserie in­compatibili con esse e con la luce che ti è stata concessa. Esci ormai del tutto da questo inganno, comprendendo che tanto più ti abbasserai ed annienterai quanto più attribui­rai a Dio quello che ti è accordato dalla sua generosità, e che quanto più gli dovrai tanto più povera ti troverai per pagare il debito. Questa consapevolezza non è presunzio­ne, bensì avvedutezza, e trascurarla non è umiltà, bensì ot­tusità oltremodo riprensibile, perché non puoi essere gra­ta di qualcosa di cui sei all'oscuro né puoi amare molto se non ti sai costretta e stimolata dai doni che ti obbligano. Sei giustamente preoccupata di non perdere la grazia e l'a­micizia dell'Altissimo, che ha operato con te quanto basta per numerose anime, ma è assai diverso l'avere prudente­mente paura di privartene e il dubitarne; il tuo avversario nella sua astuzia prova a farti equivocare e ad introdurre in te un'incredula pertinacia coperta con il manto della buona intenzione e del santo timore. Impiega quest'ultimo nel custodire il tuo tesoro e nell'avere una purezza angeli­ca, imitandomi con diligenza e mettendo in pratica tutti gli insegnamenti che a tal fine ti impartisco nella presen­te Storia.


5-25 Ottobre 25, 1903 L’anima in Grazia innamora Dio.

Luisa Piccarreta (Libro di Cielo)

(1) Venendo l’ora del mio solito stato pensavo tra me, che se il Signore non ci veniva dovevo provare a sforzarmi anche per vedere se almeno ci riuscivo. Onde in primo ci riuscivo, ma poi è venuto il mio adorabile Gesù e mi faceva vedere che quando io pensavo di starmi, Lui si avvicinava e m’incatenava a Sé, in modo che io non potevo; quando poi pensavo a levarmi, Lui si allontanava e mi lasciava libera; di modo che potevo farlo, onde non mi sapevo decidere e dicevo fra me: “Quanto vorrei vedere il confessore per domandare a Lui che cosa dovrei fare”. Quindi poco dopo, ho visto il confessore insieme con Nostro Signore e subito ho detto: “Ditemi, devo stare, sì o no”. E mentre ciò dicevo vedevo nell’interno del confessore che aveva ritirato l’ubbidienza che mi aveva dato il giorno precedente, onde mi decisi a starmi, pensando tra me che se fosse vero che aveva ritirato l’ubbidienza, va bene; se poi era mia fantasia che così vedevo, mentre poteva essere falso, quando il confessore veniva allora si pensava potendo provare un altro giorno, e così mi sono quietata. Onde seguitando a farsi vedere il benedetto Gesù mi ha detto:

(2) “Figlia mia, la bellezza dell’anima in grazia è tanta, da innamorare lo stesso Dio, gli angioli ed i santi ne restano stupiti nel vedere questo prodigioso portento, d’un anima ancora terrestre posseduta dalla grazia, alla fragranza dell’odore celeste gli corrono intorno, e con sommo loro piacere trovano in essa quel Gesù stesso che li beatifica nel Cielo, di modo che per loro è indifferente tanto a star su in Cielo, quanto giù vicino a quest’anima. Ma chi mantiene e conserva questo portento, dandole continuamente nuove tinte di bellezza all’anima che vive nella mia Volontà? Chi toglie qualunque ruggine ed imperfezione e le somministra la conoscenza dell’oggetto che possiede? La mia Volontà. Chi rassoda, stabilisce e fa restare confermata nella grazia? La mia Volontà. Il vivere nel mio Volere è tutto il punto della Santità, e dà continua crescenza di grazia. Ma chi un giorno fa la mia Volontà, ed un altro la sua, mai resterà confermato nella grazia, non farebbe altro che crescere e decrescere; e questo quanto male arreca all’anima, di quanta gioia priva Dio e sé stessa. E’ immagine di chi oggi è ricca e domani povera, non resterà confermata né nella ricchezza né nella povertà, quindi non si può sapere dove andrà a finire”.

(3) Detto ciò è scomparso, e poco dopo è venuto il confessore e avendo detto ciò che ho scritto, mi ha assicurato che veramente aveva ritirato l’ubbidienza che mi aveva dato.

(4) Per ubbidire al confessore riprendo a dire gli altri significati da me compresi del giorno del 24 corrente. Onde la donna rappresentava la Chiesa che essendo inferma, non in sé stessa, ma nelle sue membra, e sebbene abbattuta ed oltraggiata dai nemici e resa inferma nelle sue stesse membra, mai non perde la sua maestà e venerazione; il letto dove si trovava, comprendevo che la Chiesa mentre pare oppressa, inferma, contrastata, pure riposa con un riposo perpetuo ed eterno, e con pace e sicurezza nel seno paterno di Dio come un bambino nel seno della propria madre; le spalliere del letto che toccavano la volta, comprendevo la protezione divina che assiste sempre la Chiesa, e che tutto ciò che essa contiene, tutto dal Cielo è venuto: Sacramenti, dottrine ed altro, tutto è celeste, santo e puro, in modo che, tra il Cielo e la Chiesa c’è continua comunicazione, non mai interrotta. I pochi religiosi che prestavano cura, assistenza alla donna, comprendevo che pochi sono quelli che a corpi perduti difendono la Chiesa, tenendo come a sé stessi i mali che riceve, la stanza dove dimorava, composta di pietre, rappresentava la solidità e fermezza ed anche la durezza della Chiesa a non cedere a nessun dritto che le appartengono. La donna morente che con intrepidezza e coraggio si fa battere dai nemici, rappresentava la Chiesa, che mentre pare che muore, allora risorge più intrepida, ma come? Con le sofferenze e con lo spargimento di sangue, vero spirito della Chiesa, sempre pronta alle mortificazione, come lo fu Gesù Cristo.