Liturgia delle Ore - Letture
Sabato della 6° settimana del Tempo di Pasqua (Visitazione della Beata Vergine Maria)
Vangelo secondo Giovanni 1
1In principio era il Verbo,
il Verbo era presso Dio
e il Verbo era Dio.
2Egli era in principio presso Dio:
3tutto è stato fatto per mezzo di lui,
e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che
esiste.
4In lui era la vita
e la vita era la luce degli uomini;
5la luce splende nelle tenebre,
ma le tenebre non l'hanno accolta.
6Venne un uomo mandato da Dio
e il suo nome era Giovanni.
7Egli venne come testimone
per rendere testimonianza alla luce,
perché tutti credessero per mezzo di lui.
8Egli non era la luce,
ma doveva render testimonianza alla luce.
9Veniva nel mondo
la luce vera,
quella che illumina ogni uomo.
10Egli era nel mondo,
e il mondo fu fatto per mezzo di lui,
eppure il mondo non lo riconobbe.
11Venne fra la sua gente,
ma i suoi non l'hanno accolto.
12A quanti però l'hanno accolto,
ha dato potere di diventare figli di Dio:
a quelli che credono nel suo nome,
13i quali non da sangue,
né da volere di carne,
né da volere di uomo,
ma da Dio sono stati generati.
14E il Verbo si fece carne
e venne ad abitare in mezzo a noi;
e noi vedemmo la sua gloria,
gloria come di unigenito dal Padre,
pieno di grazia e di verità.
15Giovanni gli rende testimonianza
e grida: "Ecco l'uomo di cui io dissi:
Colui che viene dopo di me
mi è passato avanti,
perché era prima di me".
16Dalla sua pienezza
noi tutti abbiamo ricevuto
e grazia su grazia.
17Perché la legge fu data per mezzo di Mosè,
la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo.
18Dio nessuno l'ha mai visto:
proprio il Figlio unigenito,
che è nel seno del Padre,
lui lo ha rivelato.
19E questa è la testimonianza di Giovanni, quando i Giudei gli inviarono da Gerusalemme sacerdoti e leviti a interrogarlo: "Chi sei tu?".20Egli confessò e non negò, e confessò: "Io non sono il Cristo".21Allora gli chiesero: "Che cosa dunque? Sei Elia?". Rispose: "Non lo sono". "Sei tu il profeta?". Rispose: "No".22Gli dissero dunque: "Chi sei? Perché possiamo dare una risposta a coloro che ci hanno mandato. Che cosa dici di te stesso?".23Rispose:
"Io sono 'voce di uno che grida nel deserto:
Preparate la via del Signore',
come disse il profeta Isaia".24Essi erano stati mandati da parte dei farisei.25Lo interrogarono e gli dissero: "Perché dunque battezzi se tu non sei il Cristo, né Elia, né il profeta?".26Giovanni rispose loro: "Io battezzo con acqua, ma in mezzo a voi sta uno che voi non conoscete,27uno che viene dopo di me, al quale io non son degno di sciogliere il legaccio del sandalo".28Questo avvenne in Betània, al di là del Giordano, dove Giovanni stava battezzando.
29Il giorno dopo, Giovanni vedendo Gesù venire verso di lui disse: "Ecco l'agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo!30Ecco colui del quale io dissi: Dopo di me viene un uomo che mi è passato avanti, perché era prima di me.31Io non lo conoscevo, ma sono venuto a battezzare con acqua perché egli fosse fatto conoscere a Israele".32Giovanni rese testimonianza dicendo: "Ho visto lo Spirito scendere come una colomba dal cielo e posarsi su di lui.33Io non lo conoscevo, ma chi mi ha inviato a battezzare con acqua mi aveva detto: L'uomo sul quale vedrai scendere e rimanere lo Spirito è colui che battezza in Spirito Santo.34E io ho visto e ho reso testimonianza che questi è il Figlio di Dio".
35Il giorno dopo Giovanni stava ancora là con due dei suoi discepoli36e, fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: "Ecco l'agnello di Dio!".37E i due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù.38Gesù allora si voltò e, vedendo che lo seguivano, disse: "Che cercate?". Gli risposero: "Rabbì (che significa maestro), dove abiti?".39Disse loro: "Venite e vedrete". Andarono dunque e videro dove abitava e quel giorno si fermarono presso di lui; erano circa le quattro del pomeriggio.
40Uno dei due che avevano udito le parole di Giovanni e lo avevano seguito, era Andrea, fratello di Simon Pietro.41Egli incontrò per primo suo fratello Simone, e gli disse: "Abbiamo trovato il Messia (che significa il Cristo)"42e lo condusse da Gesù. Gesù, fissando lo sguardo su di lui, disse: "Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; ti chiamerai Cefa (che vuol dire Pietro)".
43Il giorno dopo Gesù aveva stabilito di partire per la Galilea; incontrò Filippo e gli disse: "Seguimi".44Filippo era di Betsàida, la città di Andrea e di Pietro.45Filippo incontrò Natanaèle e gli disse: "Abbiamo trovato colui del quale hanno scritto Mosè nella Legge e i Profeti, Gesù, figlio di Giuseppe di Nàzaret".46Natanaèle esclamò: "Da Nàzaret può mai venire qualcosa di buono?". Filippo gli rispose: "Vieni e vedi".47Gesù intanto, visto Natanaèle che gli veniva incontro, disse di lui: "Ecco davvero un Israelita in cui non c'è falsità".48Natanaèle gli domandò: "Come mi conosci?". Gli rispose Gesù: "Prima che Filippo ti chiamasse, io ti ho visto quando eri sotto il fico".49Gli replicò Natanaèle: "Rabbì, tu sei il Figlio di Dio, tu sei il re d'Israele!".50Gli rispose Gesù: "Perché ti ho detto che ti avevo visto sotto il fico, credi? Vedrai cose maggiori di queste!".51Poi gli disse: "In verità, in verità vi dico: vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sul Figlio dell'uomo".
Primo libro dei Maccabei 13
1Simone seppe che Trifone stava radunando un numeroso esercito per venire in Giudea a schiacciarla;2vide che il popolo era tremante e impaurito, andò a Gerusalemme e radunò il popolo;3li confortò e disse loro: "Voi sapete bene quanto io e i miei fratelli e la casa di mio padre abbiamo fatto per le leggi e per il santuario e le guerre e le difficoltà che abbiamo sostenute.4Per questa causa sono morti i miei fratelli, tutti per la causa di Israele, e sono restato io solo.5Ebbene, mai risparmierò la vita di fronte a qualunque tribolazione: perché io non sono più importante dei miei fratelli.6Anzi io difenderò il mio popolo e il santuario e le vostre mogli e i figli vostri, poiché si sono radunati tutti i pagani per sterminarci, spinti dall'odio".7Lo spirito del popolo si infiammò all'udire queste parole;8perciò risposero gridando a gran voce: "Tu sei il nostro condottiero al posto di Giuda e di Giònata tuo fratello;9combatti la nostra guerra e quanto ci comanderai noi faremo".10Egli allora radunò tutti gli uomini atti alle armi e accelerò il completamento delle mura di Gerusalemme e le fortificò tutt'attorno.11Poi inviò Giònata figlio di Assalonne con un forte esercito a Giaffa; egli ne scacciò gli occupanti e rimase là sul posto.
12Intanto Trifone si mosse da Tolemàide con ingenti forze per venire in Giudea e aveva con sé Giònata come prigioniero.13Simone a sua volta si accampò in Adida di fronte alla pianura.14Trifone venne a sapere che Simone era succeduto a Giònata suo fratello e che si accingeva a muovergli guerra, perciò mandò messaggeri a proporgli:15"Giònata tuo fratello lo tratteniamo a causa del denaro che doveva all'erario del re per gli affari che amministrava.16Ora, mandaci cento talenti d'argento e due dei suoi figli in ostaggio, perché una volta liberato non si allontani per ribellarsi a noi. Con questo lo rimetteremo in libertà".17Simone si rese conto che gli parlavano con inganno, ma mandò ugualmente a prendere l'argento e i figli, per non attirarsi forte inimicizia da parte del popolo,18che poteva commentare: "È perito perché non gli hai mandato l'argento né i figli".19Perciò gli mandò i cento talenti e i figli; ma quegli non mantenne la parola e non liberò Giònata.20Fatto questo, Trifone si mosse per entrare nel paese e devastarlo, girando per la via che conduce ad Adòra. Ma Simone con le sue truppe ne seguiva le mosse puntando su tutti i luoghi dove quegli si dirigeva.21Quelli dell'Acra intanto inviarono messaggeri a Trifone sollecitandolo a venire da loro attraverso il deserto e a inviare loro vettovaglie.22Trifone allestì tutta la sua cavalleria per andare, ma in quella notte cadde neve abbondantissima, e così a causa della neve non poté andare. Perciò si mosse e andò in Gàlaad.23Quando fu vicino a Bascama, uccise Giònata e lo seppellì sul posto.24Poi tornò e partì per la sua regione.
25Simone mandò a prendere le ossa di Giònata suo fratello e lo seppellì in Modin, città dei suoi padri.26Tutto Israele lo pianse con un grande lamento e fece lutto su di lui per molti giorni.27Simone sopraelevò il sepolcro del padre e dei fratelli e lo pose bene in vista con pietre levigate, dietro e davanti.28Poi dispose sette piramidi, l'una di fronte all'altra, per il padre, per la madre e per i quattro fratelli.29Le completò con una struttura architettonica, ponendovi attorno grandi colonne; pose sulle colonne trofei di armi a perenne memoria e presso i trofei navi scolpite che si potessero osservare da quanti erano in navigazione sul mare.30Tale è il mausoleo che eresse in Modin e che esiste ancora.
31Trifone agiva con perfidia verso Antioco, il re ancora giovinetto, finché lo uccise32e si fece re al suo posto, si mise in capo la corona dell'Asia e procurò grandi rovine al paese.33Simone intanto completò le fortezze della Giudea, le cinse di torri elevate e di mura solide con portoni e sbarre e rifornì le fortezze di viveri.34Poi Simone scelse uomini adatti e li inviò al re Demetrio per ottenere esoneri al paese; perché tutti gli atti di Trifone erano state rapine.
35Il re Demetrio lo assicurò in questo senso, poi gli rispose per iscritto inviandogli la seguente lettera:
36"Il re Demetrio a Simone sommo sacerdote e amico del re, agli anziani e al popolo dei Giudei salute.37Abbiamo ricevuto la corona d'oro e la palma che ci avete inviata e siamo pronti a concludere con voi una pace solenne e a scrivere ai sovrintendenti agli affari di concedervi le esenzioni;38quanto stabilimmo con voi resta stabilito e le fortezze che avete costruite restino di vostra proprietà.39Vi condoniamo le mancanze e le colpe fino ad oggi e la corona che ci dovete; se altro si riscuoteva in Gerusalemme, non sia più riscosso.40Se alcuni di voi sono atti ad essere iscritti al seguito della nostra persona, siano iscritti e regni la pace tra di noi".
41Nell'anno centosettanta fu tolto il giogo dei pagani da Israele42e il popolo cominciò a scrivere negli atti pubblici e nei contratti: "Anno primo di Simone il grande, sommo sacerdote, stratega e capo dei Giudei".
43In quel tempo Simone pose il campo contro Ghezer, la circondò di accampamenti, fece allestire una torre mobile, la spinse contro la città e abbatté una torre impadronendosene.44I soldati della torre mobile si lanciarono nella città e si produsse in città un grande trambusto.45I cittadini salirono sulle mura insieme con le mogli e i bambini, con le vesti stracciate, e supplicarono a gran voce per indurre Simone a dar loro la destra46e dissero: "Non trattarci secondo le nostre iniquità, ma secondo la tua clemenza".47Simone venne a patti con loro e non combatté oltre contro di loro; ma li scacciò dalla città, purificò le case nelle quali c'erano idoli, e così entrò in città con canti di lode e di ringraziamento.48Egli eliminò da essa ogni contaminazione e vi stabilì uomini che fossero osservanti della legge; poi la fortificò e costruì in essa la propria dimora.
49Ora quelli dell'Acra in Gerusalemme, messi nell'impossibilità di uscire e venire nel paese a comprare e vendere, erano terribilmente affamati e buon numero di essi moriva di fame.50Allora fecero giungere il loro grido a Simone, perché desse loro la destra, e Simone la diede; così li sloggiò di là e purificò l'Acra da tutte le contaminazioni.51Fecero ingresso in quel luogo il ventitré del secondo mese dell'anno centosettantuno, con canti di lode e con palme, con suoni di cetre, cembali e arpe e con inni e canti, perché era stato eliminato un grande nemico da Israele.52Simone stabilì di celebrare ogni anno questo giorno di festa. Intanto completò la fortificazione del monte del tempio lungo l'Acra; qui abitò con i suoi.53Vedendo poi che suo figlio Giovanni era ormai uomo, Simone lo fece capo di tutte le milizie e questi pose la sua residenza in Ghezer.
Salmi 28
1'Di Davide.'
A te grido, Signore;
non restare in silenzio, mio Dio,
perché, se tu non mi parli,
io sono come chi scende nella fossa.
2Ascolta la voce della mia supplica,
quando ti grido aiuto,
quando alzo le mie mani
verso il tuo santo tempio.
3Non travolgermi con gli empi,
con quelli che operano il male.
Parlano di pace al loro prossimo,
ma hanno la malizia nel cuore.
4Ripagali secondo la loro opera
e la malvagità delle loro azioni.
Secondo le opere delle loro mani,
rendi loro quanto meritano.
5Poiché non hanno compreso l'agire del Signore
e le opere delle sue mani,
egli li abbatta e non li rialzi.
6Sia benedetto il Signore,
che ha dato ascolto alla voce della mia preghiera;
7il Signore è la mia forza e il mio scudo,
ho posto in lui la mia fiducia;
mi ha dato aiuto ed esulta il mio cuore,
con il mio canto gli rendo grazie.
8Il Signore è la forza del suo popolo,
rifugio di salvezza del suo consacrato.
9Salva il tuo popolo e la tua eredità benedici,
guidali e sostienili per sempre.
Salmi 149
1Alleluia.
Cantate al Signore un canto nuovo;
la sua lode nell'assemblea dei fedeli.
2Gioisca Israele nel suo Creatore,
esultino nel loro Re i figli di Sion.
3Lodino il suo nome con danze,
con timpani e cetre gli cantino inni.
4Il Signore ama il suo popolo,
incorona gli umili di vittoria.
5Esultino i fedeli nella gloria,
sorgano lieti dai loro giacigli.
6Le lodi di Dio sulla loro bocca
e la spada a due tagli nelle loro mani,
7per compiere la vendetta tra i popoli
e punire le genti;
8per stringere in catene i loro capi,
i loro nobili in ceppi di ferro;
9per eseguire su di essi il giudizio già scritto:
questa è la gloria per tutti i suoi fedeli.
Alleluia.
Gioele 2
1Suonate la tromba in Sion
e date l'allarme sul mio santo monte!
Tremino tutti gli abitanti della regione
perché viene il giorno del Signore,
perché è vicino,
2giorno di tenebra e di caligine,
giorno di nube e di oscurità.
Come l'aurora, si spande sui monti
un popolo grande e forte;
come questo non ce n'è stato mai
e non ce ne sarà dopo,
per gli anni futuri di età in età.
3Davanti a lui un fuoco divora
e dietro a lui brucia una fiamma.
Come il giardino dell'Eden è la terra davanti a lui
e dietro a lui è un deserto desolato,
non resta alcun avanzo.
4Il loro aspetto è aspetto di cavalli,
come destrieri essi corrono.
5Come fragore di carri
che balzano sulla cima dei monti,
come crepitìo di fiamma avvampante
che brucia la stoppia, come un popolo forte
schierato a battaglia.
6Davanti a loro tremano i popoli,
tutti i volti impallidiscono.
7Corrono come prodi,
come guerrieri che scalano le mura;
ognuno procede per la strada,
nessuno smarrisce la via.
8L'uno non incalza l'altro,
ognuno va per il suo sentiero.
Si gettano fra i dardi, ma non rompono le file.
9Piombano sulla città, si precipitano sulle mura,
salgono sulle case, entrano dalle finestre come ladri.
10Davanti a loro la terra trema,
il cielo si scuote,
il sole, la luna si oscurano
e le stelle cessano di brillare.
11Il Signore fa udire il tuono dinanzi alla sua schiera,
perché molto grande è il suo esercito,
perché potente è l'esecutore della sua parola,
perché grande è il giorno del Signore
e molto terribile: chi potrà sostenerlo?
12"Or dunque - parola del Signore -
ritornate a me con tutto il cuore,
con digiuni, con pianti e lamenti".
13Laceratevi il cuore e non le vesti,
ritornate al Signore vostro Dio,
perché egli è misericordioso e benigno,
tardo all'ira e ricco di benevolenza
e si impietosisce riguardo alla sventura.
14Chi sa che non cambi e si plachi
e lasci dietro a sé una benedizione?
Offerta e libazione per il Signore vostro Dio.
15Suonate la tromba in Sion,
proclamate un digiuno,
convocate un'adunanza solenne.
16Radunate il popolo, indite un'assemblea,
chiamate i vecchi,
riunite i fanciulli, i bambini lattanti;
esca lo sposo dalla sua camera
e la sposa dal suo talamo.
17Tra il vestibolo e l'altare piangano
i sacerdoti, ministri del Signore, e dicano:
"Perdona, Signore, al tuo popolo
e non esporre la tua eredità al vituperio
e alla derisione delle genti".
Perché si dovrebbe dire fra i popoli:
"Dov'è il loro Dio?".
18Il Signore si mostri geloso per la sua terra
e si muova a compassione del suo popolo.
19Il Signore ha risposto al suo popolo:
"Ecco, io vi mando il grano, il vino nuovo e l'olio
e ne avrete a sazietà;
non farò più di voi il ludibrio delle genti.
20Allontanerò da voi quello che viene dal settentrione
e lo spingerò verso una terra arida e desolata:
spingerò la sua avanguardia verso il mare d'oriente
e la sua retroguardia verso il mare occidentale.
Esalerà il suo lezzo, salirà il suo fetore,
perché ha fatto molto male.
21Non temere, terra,
ma rallegrati e gioisci,
poiché cose grandi ha fatto il Signore.
22Non temete, animali della campagna,
perché i pascoli del deserto hanno germogliato,
perché gli alberi producono i frutti,
la vite e il fico danno il loro vigore.
23Voi, figli di Sion, rallegratevi,
gioite nel Signore vostro Dio,
perché vi da' la pioggia in giusta misura,
per voi fa scendere l'acqua,
la pioggia d'autunno e di primavera, come in passato.
24Le aie si riempiranno di grano
e i tini traboccheranno di mosto e d'olio.
25"Vi compenserò delle annate
che hanno divorate la locusta e il bruco,
il grillo e le cavallette,
quel grande esercito
che ho mandato contro di voi.
26Mangerete in abbondanza, a sazietà,
e loderete il nome del Signore vostro Dio,
che in mezzo a voi ha fatto meraviglie.
27Voi riconoscerete che io sono in mezzo ad Israele,
e che sono io il Signore vostro Dio,
e non ce ne sono altri:
mai più vergogna per il mio popolo.
Apocalisse 21
1Vidi poi un nuovo cielo e una nuova terra, perché il cielo e la terra di prima erano scomparsi e il mare non c'era più.2Vidi anche la città santa, la nuova Gerusalemme, scendere dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo.3Udii allora una voce potente che usciva dal trono:
"'Ecco la dimora' di Dio con gli uomini!
'Egli dimorerà tra di loro
ed essi saranno suo popolo
ed egli sarà il "Dio-con-loro"'.
4'E tergerà ogni lacrima dai loro occhi';
non ci sarà più la morte,
né lutto, né lamento, né affanno,
perché le cose di prima sono passate".
5E Colui che sedeva sul trono disse: "Ecco, io faccio nuove tutte le cose"; e soggiunse: "Scrivi, perché queste parole sono certe e veraci.
6Ecco sono compiute!
Io sono l'Alfa e l'Omega,
il Principio e la Fine.
'A colui che ha sete' darò 'gratuitamente'
acqua della fonte 'della vita'.
7Chi sarà vittorioso erediterà questi beni;
'io sarò il suo Dio ed egli sarà mio figlio'.
8Ma per i vili e gl'increduli, gli abietti e gli omicidi, gl'immorali, i fattucchieri, gli idolàtri e per tutti i mentitori è riservato lo stagno ardente di fuoco e di zolfo. È questa la seconda morte".
9Poi venne uno dei sette angeli che hanno le sette coppe piene degli ultimi sette flagelli e mi parlò: "Vieni, ti mostrerò la fidanzata, la sposa dell'Agnello".10L'angelo mi trasportò in spirito su di un monte grande e alto, e mi mostrò la città santa, Gerusalemme, che scendeva dal cielo, da Dio, risplendente della gloria di Dio.11Il suo splendore è simile a quello di una gemma preziosissima, come pietra di diaspro cristallino.12La città è cinta da un grande e alto muro con dodici 'porte': sopra queste porte stanno dodici angeli e 'nomi' scritti, i nomi delle dodici 'tribù dei figli d'Israele'.13'A oriente tre porte, a settentrione tre porte, a mezzogiorno tre porte e ad occidente tre porte'.14Le mura della città poggiano su dodici basamenti, sopra i quali sono i dodici nomi dei dodici apostoli dell'Agnello.
15Colui che mi parlava aveva come misura una canna d'oro, per misurare la città, le sue porte e le sue mura.16La città è a forma di quadrato, la sua lunghezza è uguale alla larghezza. L'angelo misurò la città con la canna: misura dodici mila stadi; la lunghezza, la larghezza e l'altezza sono eguali.17Ne misurò anche le mura: sono alte centoquarantaquattro braccia, secondo la misura in uso tra gli uomini adoperata dall'angelo.18Le mura sono costruite con diaspro e la città è di oro puro, simile a terso cristallo.19Le fondamenta delle mura della città sono adorne di ogni specie di pietre preziose. Il primo fondamento è di diaspro, il secondo di zaffìro, il terzo di calcedònio, il quarto di smeraldo,20il quinto di sardònice, il sesto di cornalina, il settimo di crisòlito, l'ottavo di berillo, il nono di topazio, il decimo di crisopazio, l'undecimo di giacinto, il dodicesimo di ametista.21E le dodici porte sono dodici perle; ciascuna porta è formata da una sola perla. E la piazza della città è di oro puro, come cristallo trasparente.
22Non vidi alcun tempio in essa perché il Signore Dio, l'Onnipotente, e l'Agnello sono il suo tempio.23La città non ha bisogno della luce del sole, né della luce della luna perché la gloria di Dio la illumina e la sua lampada è l'Agnello.
24'Le nazioni cammineranno alla sua luce
e i re della terra a lei porteranno la loro magnificenza'.
25'Le' sue 'porte non si chiuderanno mai durante il giorno',
poiché non vi sarà più notte.
26'E porteranno a lei la gloria' e l'onore 'delle nazioni'.
27'Non entrerà in essa nulla d'impuro',
né chi commette abominio o falsità,
ma solo quelli che sono scritti
nel libro della vita dell'Agnello.
Capitolo LVIII: Non dobbiamo cercar di conoscere le superiori cose del cielo e gli occulti giudizi di Dio
Leggilo nella Biblioteca1. O figlio, guardati dal voler disputare delle cose del cielo e degli occulti giudizi di Dio: perché quello è così derelitto e quell'altro è portato a un così grande stato di grazia; ancora, perché quello viene tanto colpito e quell'altro viene tanto innalzato. Tutto ciò va al di là di ogni umana capacità; non v'è alcun ragionamento, non v'è alcuna disquisizione che valga a comprendere il giudizio di Dio. Quando, dunque, una spiegazione ti viene suggerita dal nemico, oppure certuni indiscreti la vanno cercando, rispondi con quel detto del profeta: "tu sei giusto, o Signore, e retto è il tuo giudizio" (Sal 118,137); o con quest'altro: "veri sono i giudizi di Dio, santi in se stessi" (Sal 18,10). Tu devi venerare i miei giudizi, non discuterli, perché essi sono incomprensibili per l'intelletto umano. Neppure devi indagare e discutere dei meriti dei beati: chi sia più santo o chi sia più grande nel regno dei cieli. Sono cose che danno luogo spesso a dispute e a contese inutili e fomentano la superbia e la vanagloria; onde nascono invidie e divisioni, giacché uno si sforza, presuntuosamente, di portare innanzi un santo, un altro, un altro santo. Ma sono cose che, a volerle conoscere ed indagare, non portano alcun frutto; cose che, invece sono sgradite ai beati, poiché "io non sono un Dio di discordia ma di pace" (1Cor 14,33). Una pace che consiste nella vera umiltà, più che nella esaltazione di sé.
2. Ci sono alcuni che, quasi per un geloso affetto, sono tratti verso questi o questi altri santi, con maggior sentimento: sentimento umano, però, piuttosto che divino. Sono io che ho fatto i santi tutti; sono io che ho elargito la grazia; sono io che ho accordato la gloria; sono io che, conoscendo i meriti di ciascuno, sono andato loro incontro benedicendoli nella mia bontà (Sal 20,4): io che li sapevo eletti, prima di tutti i secoli. "Sono stato io a sceglierli dal mondo, non loro a scegliere me" (Gv 15,16.19); sono stato io a chiamarli con la mia grazia, ad attirarli con la mia misericordia; sono stato io a condurli attraverso varie tentazioni, e ad infondere loro stupende consolazioni; sono stato io a dar loro la perseveranza e a premiare le loro sofferenze. Io conosco chi è primo tra di essi, e chi è ultimo; ma tutti li abbraccio in un amore che non ha misura. In tutti i miei santi, a me va data la lode; sopra ogni cosa, a me va data la benedizione; a me va dato l'onore per ciascuno di quelli che io ho fatto grandi, con tanta gloria, ed ho predestinati, senza che ne avessero dapprima alcun merito. Per questo chi disprezza il più piccolo dei miei santi, non onora neppure quello che sia grande, perché "fui io a fare e il piccolo e il grande" (Sap 6,8). E chi diminuisce uno qualunque dei santi, diminuisce anche me e tutti gli altri che sono nel regno dei cieli. Una cosa sola costituiscono tutti i beati, a causa del vincolo dell'amore; uno è il loro sentimento, uno il loro volere, e tutti unitamente si amano. Di più - cosa molto più eccelsa - amano me più che se stessi e più che i propri meriti. Giacché, innalzati sopra di sé e strappati dall'amore di sé, essi, nell'amore, si volgono totalmente verso di me; di me godono, in me trovano pace. Non c'è nulla che li possa distogliere o tirare al basso: colmi dell'eterna verità, ardono del fuoco di un inestinguibile amore. Smettano, dunque, gli uomini carnali e materiali, essi che sanno apprezzare soltanto il proprio personale piacere, di disquisire della condizione dei santi. Essi tolgono e accrescono secondo il loro capriccio, non secondo quanto è disposto dall'eterna verità. Molti non capiscono; soprattutto quelli che, per scarso lume interiore, a stento sanno amare qualcuno di perfetto amore spirituale. Molti, per naturale affetto e per umano sentimento , sono attratti verso questi o quei santi, e concepiscono il loro atteggiamento verso i santi del cielo come quello verso gli uomini di quaggiù; mentre c'è un divario incolmabile tra il modo di pensare della gente lontana dalla perfezione e le intuizioni raggiunte, per superiore rivelazione, da coloro che sono particolarmente illuminati.
3. Guardati dunque, o figlio, dall'occuparti avidamente di queste cose, che vanno al di là della possibile tua conoscenza; preoccupati e sforzati piuttosto di poterti trovare tu nel regno dei cieli, magari anche ultimo. Ché, pure se uno sapesse chi sia più santo di un altro o sia considerato più grande nel regno dei cieli, a che cosa ciò gli gioverebbe, se non ne traesse motivo di abbassarsi dinanzi a me, levandosi poi a lodare ancor più il mio nome? Compie cosa molto più gradita a Dio colui che pensa alla enormità dei suoi peccati, alla pochezza delle sue virtù e a quanto egli sia lontano dalla perfezione dei santi; molto più gradita di quella che fa colui che disputa intorno alla maggiore o minore grandezza dei santi. E' cosa migliore implorare i santi, con devote preghiere e supplicarli umilmente affinché, dalla loro gloria, ci diano aiuto; migliore che andare indagando, con inutile ricerca, il segreto della loro condizione. Essi sono paghi, e pienamente. Magari gli uomini riuscissero a limitarsi, frenando i loro vaniloqui. I santi non si vantano dei loro meriti; non ascrivono a sé nulla di ciò che è buono, tutto attribuendo a me; poiché sono stato io, nel mio amore infinito a donare ad essi ogni cosa. Di un così grande amore di Dio e di una gioia così strabocchevole i santi sono ricolmi; ché ad essi nulla manca di gloria, nulla può mancare di felicità. I santi, quanto più sono posti in alto nella gloria, tanto più sono umili in se stessi, e a me più cari. Per questo trovi scritto che "deponevano le loro corone dinanzi a Dio, cadendo faccia a terra dinanzi all'Agnello e adorando il Vivente nei secoli dei secoli" (Ap 4,10; 5,14).
4. Molti cercano di sapere chi sia il maggiore nel regno di Dio, e non sanno neppure se saranno degni di essere colà annoverati tra i più piccoli. Ed è gran cosa essere pure il più piccolo, in cielo, dove tutti sono grandi, perché "saranno detti - e lo saranno - figli di Dio" (Mt 5,9); "il più piccolo diventerà come mille" (Is 60,22); "il più misero morirà di cento anni" (Is 65,20). Quando infatti i discepoli andavano chiedendo chi sarebbe stato il maggiore nel regno dei cieli, si sentirono rispondere così: "se non vi sarete convertiti e non vi sarete fatti come fanciulli non entrerete nel regno dei cieli; chi dunque si sarà fatto piccolo come questo fanciullo, questi è il più grande nel regno dei cieli" (Mt 18,3s). Guai a coloro che non vogliono accettare di buon grado di farsi piccoli come fanciulli: la piccola porta del regno dei cieli non permetterà loro di entrare. Guai anche ai ricchi, che hanno quaggiù le loro consolazioni; mentre i poveri entreranno nel regno di Dio, essi resteranno fuori, in lamenti. Godete, voi piccoli; esultate, voi "poveri, perché il regno di Dio è vostro" (Lc 6,20); a condizione però che voi camminiate nella verità.
Omelia 54: Cristo rivelatore del Padre.
Commento al Vangelo di San Giovanni - Sant'Agostino d'Ippona
Leggilo nella Biblioteca1. In seguito alle parole che nostro Signore Gesù Cristo pronunciò e ai tanti segni prodigiosi che egli compì, alcuni tra i Giudei, che erano predestinati alla vita eterna e che egli chiamò sue pecore, credettero; altri invece non credettero, né potevano credere per il fatto che, secondo un occulto ma non ingiusto giudizio di Dio, erano stati accecati e induriti, essendo stati abbandonati da colui che resiste ai superbi mentre dà la sua grazia agli umili (cf. Gc 4, 6). Di quelli poi che avevano creduto, alcuni lo confessavano al punto da andargli incontro con rami di palme, accogliendolo con lodi e canti di gioia; altri invece, anche tra i notabili, non osavano dichiararsi, per non essere scacciati dalla sinagoga; e sono questi che l'evangelista ha bollato dicendo che preferivano la gloria degli uomini alla gloria di Dio (Gv 12, 43). Anche tra quelli che non avevano creduto ve n'erano alcuni che avrebbero creduto in seguito, e questi il Signore li aveva già presenti quando disse: Allorché avrete levato in alto il Figlio dell'uomo, allora conoscerete che io sono (Gv 8, 28); altri invece sarebbero rimasti nella loro incredulità, nella quale hanno imitatori i Giudei di oggi la cui nazione, dopo essere stata annientata a conferma delle profezie riguardanti il Cristo, è stata dispersa in quasi tutto il mondo.
[Non si può credere nel Padre senza credere nel Figlio.]
2. In tale situazione, e nell'imminenza ormai della sua passione, Gesù gridò e disse - così è cominciata la lettura di oggi -: Chi crede in me, non crede in me ma in colui che mi ha mandato; e chi vede me, vede colui che mi ha mandato (Gv 12, 44-45). Già in altra occasione aveva detto: La mia dottrina non è mia ma di colui che mi ha mandato (Gv 7, 16). Parole che noi abbiamo interpretato nel senso che per sua dottrina intendeva il Verbo del Padre, che è egli stesso, e che dicendo La mia dottrina non è mia ma di colui che mi ha mandato, voleva far capire che egli non procedeva da se stesso, ma aveva origine da un altro: Dio da Dio, Figlio del Padre; il Padre invece non è Dio da Dio, ma Dio Padre del Figlio. E come dobbiamo intendere queste sue parole: Chi crede in me, non crede in me ma in colui che mi ha mandato, se non nel senso che egli appariva agli uomini come uomo, mentre rimaneva occulto come Dio? E affinché non credessero che egli era soltanto ciò che essi vedevano, e volendo esser creduto tale e quale il Padre, chi crede in me - dice - non crede in me, cioè in quello che vede, ma in colui che mi ha mandato, cioè nel Padre. Ma chi crede nel Padre dovrà necessariamente credere che egli è Padre; e chi crede che egli è Padre di conseguenza ammette che ha un Figlio; quindi chi crede nel Padre, necessariamente dovrà credere anche nel Figlio. Ma qualcuno potrebbe ritenere che il Figlio unigenito è chiamato Figlio di Dio alla maniera di quanti sono chiamati figli di Dio per grazia, non per natura, secondo che dice l'evangelista: ha dato loro il potere di diventare figli di Dio (Gv 1, 12), e dei quali il Signore stesso, citando la testimonianza della legge, dice: Chi crede in me, non crede in me, affinché non si creda in Cristo solamente come uomo. Crede dunque in me - egli sembra affermare - chi non crede in me secondo ciò che vede di me, ma crede in colui che mi ha mandato; e così, credendo nel Padre, creda anche che egli ha un Figlio uguale a se stesso e perciò creda veramente in me. Infatti chi pensa che il Padre abbia soltanto figli secondo la grazia, figli che sono sue creature, che non sono il Verbo ma che per mezzo del Verbo furono create; chi pensa che il Padre non abbia un Figlio a lui uguale e con lui coeterno, nato da sempre, ugualmente immutabile, in nessuna cosa dissimile e inferiore; chi pensa così non crede nel Padre che lo ha mandato, perché ciò che pensa non corrisponde al Padre che lo ha inviato.
3. Perciò dopo aver detto: Chi crede in me, non crede in me, ma in colui che mi ha mandato, affinché non si pensasse che voleva presentare il Padre come Padre dei molti figli rigenerati per grazia, e non del Verbo unico ed uguale a sé, aggiunge subito: E chi vede me, vede colui che mi ha mandato. Dice forse: Chi vede me, non vede me ma colui che mi ha mandato, come prima aveva detto: Chi crede in me, non crede in me, ma in colui che mi ha mandato? Si era espresso così per non essere creduto soltanto Figlio dell'uomo, come appariva; ora invece si esprime in quest'altro modo per essere creduto uguale al Padre. E così dice: Chi crede in me, non crede a ciò che vede di me, ma crede in colui che mi ha mandato. O meglio, quando crede nel Padre che mi ha generato uguale a sé, deve credere in me non secondo ciò che vede di me, ma come in colui che mi ha mandato; e a tal punto non c'è differenza tra me e lui, che chi vede me, vede colui che mi ha mandato. Certamente Cristo Signore inviò i suoi Apostoli, come lo indica il loro stesso nome: infatti, come in greco sono chiamati angeli coloro che in latino si chiamano messaggeri, la parola greca apostoli si traduce in latino con inviati. Tuttavia, mai nessun apostolo oserebbe dire: Chi crede in me, non crede in me, ma in colui che mi ha inviato; in nessun modo potrebbe dire: chi crede in me. Noi crediamo all'apostolo, ma non crediamo nell'apostolo; poiché l'apostolo non giustifica l'empio. E' a colui che crede in chi giustifica l'empio che la fede viene computata in giustizia (cf. Rm 4, 5). L'apostolo potrà dire: Chi accoglie me, accoglie colui che mi ha mandato; oppure: Chi ascolta me, ascolta colui che mi ha mandato; è questo infatti che il Signore disse agli Apostoli: Chi accoglie voi, accoglie me, e chi accoglie me, accoglie colui che mi ha mandato (Mt 10, 40). Infatti il signore viene onorato nel servo e il padre nel figlio; ma il padre come presente nel figlio e il signore nel servo. Il Figlio unigenito invece ha potuto dire: Credete in Dio, e credete in me (Gv 14, 1); e come dice ora: Chi crede in me, non crede in me ma in colui che mi ha mandato. Dicendo così non allontana da sé la fede dei credenti, ma vuole che il credente non si limiti alla sua forma di servo; infatti se uno crede nel Padre che lo ha mandato, senza dubbio crede anche nel Figlio, in quanto sa che il Padre non è senza il Figlio, e crede in lui come uguale al Padre, secondo quanto segue: E chi vede me, vede colui che mi ha mandato.
4. Proseguiamo: Io sono venuto nel mondo per essere la luce, affinché chiunque crede in me, non resti nelle tenebre (Gv 12, 46). In altra occasione egli disse ai suoi discepoli: Voi siete la luce del mondo. Una città non può star nascosta se è situata su di un monte; né si accende una lucerna per metterla sotto il moggio, ma sul candelabro, e risplende per tutti quelli che sono in casa. Similmente risplenda la vostra luce davanti agli uomini, affinché vedano le vostre buone opere e glorifichino il Padre che è nei cieli (Mt 5, 14-16). Non disse ai discepoli: Voi come luce siete venuti nel mondo, affinché chiunque crede in voi non resti nelle tenebre. Posso garantire che questo non si trova in nessuna parte del Vangelo. Sì, è vero, tutti i santi sono luci, ma in quanto vengono illuminati da lui mediante la fede: se si allontanassero da lui cadrebbero nelle tenebre. La luce, invece, da cui essi sono illuminati, non può allontanarsi da se medesima, perché essa è assolutamente indefettibile. Noi crediamo quindi alla luce illuminata, come è il profeta e come è l'apostolo. Crediamo a lui, cioè al profeta e all'apostolo, ma non in lui che viene illuminato. Con lui crediamo in quella luce che lo illumina, in modo da essere anche noi illuminati, non dal profeta o dall'apostolo, ma, insieme al profeta e all'apostolo, dalla luce che li illumina. Però dicendo: affinché chiunque crede in me non resti nelle tenebre, il Signore esplicitamente dichiara che ha trovato tutti nelle tenebre; e per non rimanere nelle tenebre in cui sono stati trovati, essi debbono credere nella luce che è venuta nel mondo, poiché è per mezzo di essa che il mondo è stato creato.
[Misericordia e giustizia.]
5. Se qualcuno ascolta le mie parole e non le osserva, io non lo giudico (Gv 12, 47). Penso che ricordiate quanto avete ascoltato nelle precedenti letture; e chi l'avesse dimenticato, lo richiami alla memoria; e se mai allora eravate assenti, ma ora siete presenti, ascoltate come si esprime il Figlio. Egli dice: Io non lo giudico. In un'altra occasione aveva detto: Il Padre non giudica nessuno, ma ha rimesso ogni giudizio al Figlio (Gv 5, 22), mentre qui dice: "ora non giudico". Perché non giudica ora? Attenzione a ciò che segue: Perché non sono venuto per condannare il mondo, ma per salvare il mondo (Gv 12, 47), cioè per rendere salvo il mondo. Ora è infatti il tempo della misericordia, poi verrà quello del giudizio, poiché io canterò la tua misericordia e il tuo giudizio, o Signore (Sal 100, 1).
6. Ma notate anche cosa dice del medesimo giudizio futuro: Chi rigetta me e non accetta le mie parole, ha chi lo giudica: la parola che ho annunciato, quella lo giudicherà nell'ultimo giorno (Gv 12, 48). Non dice: Chi rigetta me e non accetta le mie parole, io non lo giudicherò nell'ultimo giorno. Se avesse detto questo, evidentemente avrebbe contraddetto la sua precedente affermazione: Il Padre non giudica nessuno, ma ha rimesso ogni giudizio al Figlio. Siccome però ha detto: Chi rigetta me e non accetta le mie parole ha chi lo giudica, per chi aspettava di capire chi fosse questo giudice, ha aggiunto: La parola che ho annunciato, quella lo giudicherà nell'ultimo giorno, facendo capire abbastanza chiaramente che sarà egli stesso a giudicare nell'ultimo giorno. Quindi ha parlato di sé, si è annunciato, ha posto se stesso come porta per la quale egli stesso, come pastore, entra nell'ovile delle pecore. E così quelli che non lo hanno ascoltato saranno giudicati in un modo, e quelli che lo hanno ascoltato e hanno disprezzato la sua parola, in un altro. Quanti infatti hanno peccato senza la legge - dice l'Apostolo -, senza legge pure periranno; quanti invece hanno peccato avendo la legge, per mezzo della legge saranno giudicati (Rm 2, 12).
[Il Verbo rivela la volontà del Padre.]
7. Perché io - dice - non ho parlato da me (Gv 12, 49). Dice che non ha parlato da se stesso, appunto perché egli non è da se stesso. Una cosa, questa, che vi abbiamo detto più volte, e consideriamo a voi troppo nota per doverla insegnare; ma vogliamo solo ricordarvela. Ma il Padre che mi ha mandato, egli stesso, mi ha prescritto ciò che dovevo dire e annunciare (Gv 12, 49). Non ci preoccuperemmo se sapessimo di parlare alle stesse persone che ci hanno ascoltato precedentemente, e ricordano ciò che hanno ascoltato; ci saranno però alcuni che non ci hanno ascoltato, e nelle stesse condizioni si trovano quelli che hanno dimenticato; per amore di questi, quanti ricordano abbiano pazienza se ci soffermiamo alquanto. In che modo il Padre esprime la sua volontà al suo unico Figlio? Di quale parola si serve per parlare al Verbo se lo stesso Figlio è il Verbo unico de] Padre? Forse gli parla per mezzo di un angelo? Ma è per mezzo del Verbo che sono stati creati gli angeli. Forse per mezzo di una nube? Ma quando si rivolse così al Figlio, non fu per lui che si fece sentire quella voce - come egli stesso ebbe a dire - ma perché fosse udita dagli altri. Forse per mezzo di un suono articolato dalle labbra? Ma Dio non ha corpo e tra il Padre e il Figlio non vi è spazio occupato da aria che vibri e faccia giungere la voce all'orecchio. Non sia mai che immaginiamo simili cose di questa sostanza incorporea ed ineffabile. Il Figlio unico è il Verbo del Padre e la Sapienza del Padre, nella quale sono contenuti tutti gli ordini del Padre. Non ci fu mai un tempo in cui il Figlio ignorasse gli ordini del Padre, da dover avere in un determinato momento ciò che prima non aveva. Quanto ha lo ha ricevuto dal Padre con la nascita, in quanto il Padre glielo ha comunicato generandolo. Egli è la vita, e ha ricevuto la vita nascendo, non esistendo prima senza vita. Anche il Padre ha la vita, ed è ciò che ha: e tuttavia egli non l'ha ricevuta, in quanto non ha origine da nessuno. Il Figlio invece ha ricevuto la vita, avendogliela comunicata il Padre dal quale ha origine. Ed egli stesso è ciò che ha: ha la vita ed è la vita. Ascolta ciò che dice: Come il Padre ha la vita in se stesso, così ha dato al Figlio d'aver la vita in se stesso (Gv 5, 26). Forse ha dato la vita ad uno che già esisteva e non l'aveva? No, ma colui che ha generato la vita gliel'ha comunicata nell'atto di generarlo, sicché la vita ha generato la vita. E siccome ha generato una vita identica, non diversa, perciò il Figlio dice: Come il Padre ha in se stesso la vita, così ha dato al Figlio d'aver la vita in se stesso. Gli ha dato la vita, perché, generando la vita, che cosa gli ha dato se non di essere la vita stessa? E poiché la sua nascita è eterna, sempre è esistito il Figlio che è la vita e non è mai stato senza vita; e siccome la sua nascita è eterna, colui che è nato è la vita eterna. Allo stesso modo il Padre non ha dato un comandamento che il Figlio non avesse; ma, come ho detto, nella sapienza del Padre, cioè nel Verbo del Padre, sono contenuti tutti i comandamenti del Padre. Il Signore dice che questo comandamento gli è stato dato, perché colui al quale fu dato non è da sé: dare al Figlio una cosa senza della quale egli non è mai esistito, è lo stesso che generare il Figlio che sempre è esistito.
8. E continua: E io so che il suo comandamento è vita eterna (Gv 12, 50). Se dunque il Figlio stesso è la vita eterna e il comandamento del Padre è vita eterna, che altro ha voluto dire se non che egli stesso, il Figlio, è il comandamento del Padre? Sicché quando aggiunge: Le cose dunque che io dico, le dico come il Padre le ha dette a me (Gv 12, 50), non dobbiamo prendere l'espressione le ha dette a me nel senso che il Padre abbia detto delle parole all'unico suo Verbo, come se il Verbo di Dio avesse bisogno di parole di Dio. Il Padre dunque ha parlato al Figlio, così come ha dato la vita al Figlio; non gli ha detto qualcosa che non sapesse o che non avesse, ma gli ha detto e gli ha dato ciò che il Figlio stesso è. Che significa perciò la frase: io dico ciò che il Padre mi ha detto, se non questo: io dico ciò che è vero? Allo stesso modo che il Padre glielo ha detto in quanto è verace, così il Figlio a sua volta lo dice in quanto è verità. Colui che è verace ha generato la verità. E che aveva da dire ancora alla verità? Non era infatti una verità imperfetta da aver bisogno di altra verità. Il Padre, dunque, ha parlato alla verità nel senso che ha generato la verità. A sua volta la verità parla così come le è stato detto, e solo a chi è in grado di intendere rivela la sua origine. Perché gli uomini credessero ciò che ancora non riuscivano a comprendere sono risuonate le parole su una bocca di carne, disperdendosi: attraverso l'aria hanno fatto sentire il loro suono scandito nel tempo. Ma al contrario le cose di cui i suoni erano segno, sono passate nella memoria di quanti hanno udito, e, mediante la scrittura che è un segno visibile, sono pervenute fino a noi. Non è in questo modo che parla la verità: essa parla interiormente alla mente che intende, istruendola senza bisogno di suoni, inondandola di luce spirituale. Chi riesce a vedere in questa luce l'eterna sua nascita, può intendere quella parola che il Padre ha rivolto al Figlio, per dirgli ciò che voleva rivelare a noi. Egli ha acceso in noi un ardente desiderio della sua intima dolcezza: ma è crescendo che diventiamo capaci d'intendere, ed è camminando che cresciamo, ed è progredendo che camminiamo in modo da raggiungere la meta.
«Tocca a te!» disse il becchino
I sogni di don Bosco - San Giovanni Bosco
Leggilo nella BibliotecaLa sera del 30 ottobre 1868, alle comunità riunite degli studenti e artigiani, Don Bosco raccontò questo sogno.
Tutti i giovani sono in cortile che si divertono. Incomincia a
imbrunire, cessano i giochi, si formano crocchi in attesa che la campana chiami allo studio; c’è ancora qualcuno che passeggia; in tanto la sera
si avanza e appena appena si può distinguere un giovane dall’altro.
Ed ecco entrare dalla portineria due becchini che, camminando con passo
concitato, portano sulle spalle una cassa da morto. I giovani, al loro
passaggio, fanno largo. Quei due uomini vengono avanti e depongono la
bara per terra in mezzo al cortile. I giovani si dispongono intorno
formando un vasto circolo, ma nessuno parla per la paura. I becchini
tolgono il coperchio alla cassa.
In quell’istante compare la luna con la sua luce chiara, viva, e
lentamente fa un primo giro intorno alla cupola di Maria Ausiliatrice,
ne fa un secondo e poi ne comincia un terzo, ma non lo finisce e si
ferma sopra la chiesa, quasi fosse per cadere.
Intanto, appena la luna ebbe illuminato il cortile, uno dei becchini
fece un giro, poi un altro dinanzi alle file degli alunni, fissando ben
da vicino il volto di ciascuno finché, vedutone uno sulla cui fronte
stava scritto: «Morieris» (morirai), lo prese per metterlo nella cassa.
— Tocca a te! — gli disse.
Quegli gridava:
— Sono ancora giovane, vorrei prepararmi, fare delle opere buone che non ho fatto finora.
— Io non debbo rispondere a questo.
— Ma almeno possa ancora andare a rivedere i miei parenti.
— Io non posso rispondere a questo. Vedi là la luna? Ha fatto un giro,
poi un altro, poi un poco più di mezzo giro; appena scomparirà, tu
verrai con me.
Poco dopo la luna scomparve dall’orizzonte e il becchino prese il
giovane per la vita, Io distese nella cassa, gli avvitò sopra il
coperchio e senz’altro lo portò via, aiutato dal compagno.
Dopo due giri e mezzo di luna (due mesi e mezzo) la profezia si avverava.
Il segretario Don Gioachino Berto, parlando dell’avveramento del sogno,
commenta. « Noi eravamo già assuefatti a vedere avverarsi tali
predizioni, sicché ci avrebbe recato stupore, come di eccezione alla
regola, il vederne alcuna non avverata».
4-56 Febbraio 10, 1901 L’ubbidienza tiene vista lunghissima, l’amor proprio è molto corto di vista.
Luisa Piccarreta (Libro di Cielo)
(1) Continuando a venire il mio adorabile Gesù, si faceva vedere con gli occhi risplendenti di vivissima e purissima luce; io sono rimasta incantata e sorpresa innanzi a quella luce abbagliante, e Gesù vedendomi così incantata, senza che gli dicevo niente, mi ha detto:
(2) “Diletta mia, l’ubbidienza tiene la vista lunghissima e vince in bellezza ed in acutezza la stessa luce del sole, come l’amor proprio è molto corto di vista, tanto che non può dare un passo senza inciampare. E non ti credere tu che questa vista lunghissima l’hanno quelle anime che vanno sempre turbolente e scrupoleggiando, anzi questa è una rete che le tesse l’amor proprio, ché essendo molto corto di vista, prima le fa cadere e poi le suscita mille turbazioni e scrupolosità, e ciò che oggi hanno detestato con tanti scrupoli e timori, domani vi ricadono di nuovo, tanto, che il loro vivere si riduce a starsi sempre immerse in questa rete artifiziosa che le sa tessere ben bene l’amor proprio. A differenza della vista lunghissima dell’ubbidienza, che è omicida dell’amor proprio, ché essendo lunghissima e chiarissima subito prevede dove può dare un passo in fallo, e con animo generoso se ne astiene e vi gode la santa libertà dei figliuoli di Dio. E siccome le tenebre attirano le altre tenebre e la luce attira altra luce, così questa luce giunge ad attirarsi la luce del Verbo, ed unendosi insieme vi tessono la luce di tutte le virtù”.
(3) Stupita nel sentire ciò, ho detto: “Signore, che dite? A me pare che sia santità quel modo di vivere scrupoloso”.
(4) E Lui, con tono più serio ha soggiunto: “Anzi ti dico che questa è la vera impronta dell’ubbidienza, e l’altra è la vera impronta dell’amor proprio, e quel modo di vivere mi muove più a sdegno che ad amore, perché quando è la luce della Verità che fa vedere una mancanza, fosse anche minima, ci dovrebbe stare una emendazione, ma siccome è la vista corta dell’amor proprio, non fa altro che tenerle oppresse, senza che danno uno sviluppo nella via della vera santità”.