Liturgia delle Ore - Letture
Sabato della 6° settimana del Tempo di Pasqua (Visitazione della Beata Vergine Maria)
Vangelo secondo Luca 8
1In seguito egli se ne andava per le città e i villaggi, predicando e annunziando la buona novella del regno di Dio.2C'erano con lui i Dodici e alcune donne che erano state guarite da spiriti cattivi e da infermità: Maria di Màgdala, dalla quale erano usciti sette demòni,3Giovanna, moglie di Cusa, amministratore di Erode, Susanna e molte altre, che li assistevano con i loro beni.
4Poiché una gran folla si radunava e accorreva a lui gente da ogni città, disse con una parabola:5"Il seminatore uscì a seminare la sua semente. Mentre seminava, parte cadde lungo la strada e fu calpestata, e gli uccelli del cielo la divorarono.6Un'altra parte cadde sulla pietra e appena germogliata inaridì per mancanza di umidità.7Un'altra cadde in mezzo alle spine e le spine, cresciute insieme con essa, la soffocarono.8Un'altra cadde sulla terra buona, germogliò e fruttò cento volte tanto". Detto questo, esclamò: "Chi ha orecchi per intendere, intenda!".
9I suoi discepoli lo interrogarono sul significato della parabola.10Ed egli disse: "A voi è dato conoscere i misteri del regno di Dio, ma agli altri solo in parabole, perché
'vedendo non vedano
e udendo non intendano'.
11Il significato della parabola è questo: Il seme è la parola di Dio.12I semi caduti lungo la strada sono coloro che l'hanno ascoltata, ma poi viene il diavolo e porta via la parola dai loro cuori, perché non credano e così siano salvati.13Quelli sulla pietra sono coloro che, quando ascoltano, accolgono con gioia la parola, ma non hanno radice; credono per un certo tempo, ma nell'ora della tentazione vengono meno.14Il seme caduto in mezzo alle spine sono coloro che, dopo aver ascoltato, strada facendo si lasciano sopraffare dalle preoccupazioni, dalla ricchezza e dai piaceri della vita e non giungono a maturazione.15Il seme caduto sulla terra buona sono coloro che, dopo aver ascoltato la parola con cuore buono e perfetto, la custodiscono e producono frutto con la loro perseveranza.
16Nessuno accende una lampada e la copre con un vaso o la pone sotto un letto; la pone invece su un lampadario, perché chi entra veda la luce.17Non c'è nulla di nascosto che non debba essere manifestato, nulla di segreto che non debba essere conosciuto e venire in piena luce.18Fate attenzione dunque a come ascoltate; perché a chi ha sarà dato, ma a chi non ha sarà tolto anche ciò che crede di avere".
19Un giorno andarono a trovarlo la madre e i fratelli, ma non potevano avvicinarlo a causa della folla.20Gli fu annunziato: "Tua madre e i tuoi fratelli sono qui fuori e desiderano vederti".21Ma egli rispose: "Mia madre e miei fratelli sono coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica".
22Un giorno salì su una barca con i suoi discepoli e disse: "Passiamo all'altra riva del lago". Presero il largo.23Ora, mentre navigavano, egli si addormentò. Un turbine di vento si abbatté sul lago, imbarcavano acqua ed erano in pericolo.24Accostatisi a lui, lo svegliarono dicendo: "Maestro, maestro, siamo perduti!". E lui, destatosi, sgridò il vento e i flutti minacciosi; essi cessarono e si fece bonaccia.25Allora disse loro: "Dov'è la vostra fede?". Essi intimoriti e meravigliati si dicevano l'un l'altro: "Chi è dunque costui che da' ordini ai venti e all'acqua e gli obbediscono?".
26Approdarono nella regione dei Gerasèni, che sta di fronte alla Galilea.27Era appena sceso a terra, quando gli venne incontro un uomo della città posseduto dai demòni. Da molto tempo non portava vestiti, né abitava in casa, ma nei sepolcri.28Alla vista di Gesù gli si gettò ai piedi urlando e disse a gran voce: "Che vuoi da me, Gesù, Figlio del Dio Altissimo? Ti prego, non tormentarmi!".29Gesù infatti stava ordinando allo spirito immondo di uscire da quell'uomo. Molte volte infatti s'era impossessato di lui; allora lo legavano con catene e lo custodivano in ceppi, ma egli spezzava i legami e veniva spinto dal demonio in luoghi deserti.30Gesù gli domandò: "Qual è il tuo nome?". Rispose: "Legione", perché molti demòni erano entrati in lui.31E lo supplicavano che non ordinasse loro di andarsene nell'abisso.
32Vi era là un numeroso branco di porci che pascolavano sul monte. Lo pregarono che concedesse loro di entrare nei porci; ed egli lo permise.33I demòni uscirono dall'uomo ed entrarono nei porci e quel branco corse a gettarsi a precipizio dalla rupe nel lago e annegò.34Quando videro ciò che era accaduto, i mandriani fuggirono e portarono la notizia nella città e nei villaggi.35La gente uscì per vedere l'accaduto, arrivarono da Gesù e trovarono l'uomo dal quale erano usciti i demòni vestito e sano di mente, che sedeva ai piedi di Gesù; e furono presi da spavento.36Quelli che erano stati spettatori riferirono come l'indemoniato era stato guarito.37Allora tutta la popolazione del territorio dei Gerasèni gli chiese che si allontanasse da loro, perché avevano molta paura. Gesù, salito su una barca, tornò indietro.38L'uomo dal quale erano usciti i demòni gli chiese di restare con lui, ma egli lo congedò dicendo:39"Torna a casa tua e racconta quello che Dio ti ha fatto". L'uomo se ne andò, proclamando per tutta la città quello che Gesù gli aveva fatto.
40Al suo ritorno, Gesù fu accolto dalla folla, poiché tutti erano in attesa di lui.41Ed ecco venne un uomo di nome Giàiro, che era capo della sinagoga: gettatosi ai piedi di Gesù, lo pregava di recarsi a casa sua,42perché aveva un'unica figlia, di circa dodici anni, che stava per morire. Durante il cammino, le folle gli si accalcavano attorno.43Una donna che soffriva di emorragia da dodici anni, e che nessuno era riuscito a guarire,44gli si avvicinò alle spalle e gli toccò il lembo del mantello e subito il flusso di sangue si arrestò.45Gesù disse: "Chi mi ha toccato?". Mentre tutti negavano, Pietro disse: "Maestro, la folla ti stringe da ogni parte e ti schiaccia".46Ma Gesù disse: "Qualcuno mi ha toccato. Ho sentito che una forza è uscita da me".47Allora la donna, vedendo che non poteva rimanere nascosta, si fece avanti tremando e, gettatasi ai suoi piedi, dichiarò davanti a tutto il popolo il motivo per cui l'aveva toccato, e come era stata subito guarita.48Egli le disse: "Figlia, la tua fede ti ha salvata, va' in pace!".
49Stava ancora parlando quando venne uno della casa del capo della sinagoga a dirgli: "Tua figlia è morta, non disturbare più il maestro".50Ma Gesù che aveva udito rispose: "Non temere, soltanto abbi fede e sarà salvata".51Giunto alla casa, non lasciò entrare nessuno con sé, all'infuori di Pietro, Giovanni e Giacomo e il padre e la madre della fanciulla.52Tutti piangevano e facevano il lamento su di lei. Gesù disse: "Non piangete, perché non è morta, ma dorme".53Essi lo deridevano, sapendo che era morta,54ma egli, prendendole la mano, disse ad alta voce: "Fanciulla, alzati!".55Il suo spirito ritornò in lei ed ella si alzò all'istante. Egli ordinò di darle da mangiare.56I genitori ne furono sbalorditi, ma egli raccomandò loro di non raccontare a nessuno ciò che era accaduto.
Secondo libro dei Maccabei 4
1Il suddetto Simone, che si era fatto delatore dei beni e della patria, diffamava Onia, come se avesse percosso Eliodòro e fosse stato l'organizzatore dei disordini;2osava definire nemico della cosa pubblica il benefattore della città, il protettore dei cittadini, il difensore delle leggi.3L'odio era giunto a tal punto che si compirono delle uccisioni da parte di uno dei gregari di Simone;4allora Onia, vedendo l'aggravarsi dell'invidia e accorgendosi che Apollonio figlio di Menèsteo, stratega della Celesira e della Fenicia, aizzava la perfidia di Simone,5si recò dal re, non per far la parte di accusatore dei suoi concittadini, ma per provvedere al bene comune del popolo e di ciascuno in particolare.6Vedeva infatti che senza un provvedimento del re era impossibile ristabilire la pace nella vita pubblica e che Simone non avrebbe messo freno alla sua pazzia.
7Ma, Selèuco essendo passato all'altra vita e avendo preso le redini del governo Antioco chiamato anche Epìfane, Giàsone, fratello di Onia, volle procurarsi con la corruzione il sommo sacerdozio8e, in un incontro con il re, gli promise trecentosessanta talenti d'argento e altri ottanta talenti riscossi con un'altra entrata.9Oltre a questi prometteva di versargli altri centocinquanta talenti, se gli fosse stato concesso di stabilire di sua autorità una palestra e un campo d'addestramento e di erigere una corporazione d'Antiocheni a Gerusalemme.10Avendo il re acconsentito, egli, ottenuto il potere, si diede subito a trasformare i suoi connazionali secondo i costumi greci,11annullando i favori concessi dal re ai Giudei, ad opera di Giovanni, padre di quell'Eupolemo che aveva guidato l'ambasciata presso i Romani per negoziare il patto d'amicizia e di alleanza, e sradicando le leggi cittadine inaugurò usanze perverse.12Fu subito zelante nel costruire una palestra, proprio ai piedi dell'acròpoli, e nell'indurre i giovani più distinti a portare il pètaso.13Così era raggiunto il colmo dell'ellenizzazione e la diserzione verso i costumi stranieri per l'eccessiva corruzione dell'empio e falso sommo sacerdote Giàsone.14Perciò i sacerdoti non erano più premurosi del servizio all'altare, ma, disprezzando il tempio e trascurando i sacrifici, si affrettarono a partecipare agli spettacoli contrari alla legge nella palestra, appena dato il segnale del lancio del disco.15Così tenendo in poco conto le glorie patrie stimavano nobilissime le glorie elleniche.16Ma appunto a causa di queste li sorprese una grave situazione e si ebbero quali avversari e punitori proprio coloro le cui istituzioni seguivano con zelo e a cui cercavano di rassomigliare in tutto.17Non è cosa che resti impunita il comportarsi empiamente contro le leggi divine, come dimostrerà chiaramente il successivo periodo di tempo.
18Celebrandosi in Tiro i giochi quinquennali con l'intervento del re,19l'empio Giàsone inviò come rappresentanti alcuni Antiocheni di Gerusalemme, i quali portavano con sé trecento dramme d'argento per il sacrifico a Ercole; ma questi portatori ritennero non conveniente usarle per il sacrifico, bensì impiegarle per altra spesa.20Così il denaro destinato al sacrificio a Ercole da parte del mandante, servì, grazie ai portatori, per la costruzione delle triremi.
21Antioco, avendo mandato Apollonio, figlio di Menèsteo, in Egitto per l'intronizzazione del re Filomètore, venne a sapere che costui era diventato contrario al suo governo e quindi si preoccupò della sua sicurezza. Perciò si recò a Giaffa, poi mosse alla volta di Gerusalemme.22Fu accolto da Giàsone e dalla città con dimostrazioni magnifiche e introdotto con corteo di fiaccole e acclamazioni. Così riprese la marcia militare verso la Fenicia.
23Tre anni dopo, Giàsone mandò Menelao, fratello del già menzionato Simone, a portare al re denaro e a presentargli un memoriale su alcuni affari importanti.24Ma quello, fattosi presentare al re e avendolo ossequiato con un portamento da persona autorevole, si accaparrò il sommo sacerdozio, superando l'offerta di Giàsone di trecento talenti d'argento.25Munito delle disposizioni del re, si presentò di ritorno, non avendo con sé nulla che fosse degno del sommo sacerdozio, ma avendo le manie di un tiranno unite alla ferocia di una belva.26Così Giàsone, che aveva tradito il proprio fratello, fu tradito a sua volta da un altro e fu costretto a fuggire nel paese dell'Ammanìtide.27Menelato si impadronì del potere, ma non s'interessò più del denaro promesso al re,28sebbene gliele avesse fatto richiesta Sòstrato, comandante dell'acròpoli; questi infatti aveva l'incarico della riscossione dei tributi. Per questo motivo tutti e due furono convocati dal re.29Menelao lasciò come sostituto nel sommo sacerdozio Lisìmaco suo fratello; Sòstrato lasciò Cratéte, comandante dei Ciprioti.
30Mentre così stavano le cose, le città di Tarso e Mallo si ribellarono, perché erano state date in dono ad Antiòchide, concubina del re.31Il re partì in fretta per riportare all'ordine la situazione, lasciando come luogotenente Andronìco, uno dei suoi dignitari.32Menelao allora, pensando di aver trovato l'occasione buona, sottrasse alcuni arredi d'oro del tempio e ne fece omaggio ad Andronìco; altri poi si trovò che li aveva venduti a Tiro e nelle città vicine.33Ma Onia lo biasimò, dopo essersi accertato della cosa ed essersi rifugiato in località inviolabile a Dafne situata presso Antiochia.34Per questo Menelao, incontratosi in segreto con Andronìco, lo pregò di sopprimere Onia. Quegli, recatosi da Onia e ottenutane con inganno la fiducia, dandogli la destra con giuramento lo persuase, sebbene ancora guardato con sospetto, ad uscire dall'asilo e subito lo uccise senza alcun riguardo alla giustizia.35Per questo fatto non solo i Giudei, ma anche molti altri popoli si mossero a sdegno e tristezza per l'empia uccisione di tanto uomo.36Quando il re tornò dalle località della Cilicia, si presentarono a lui i Giudei della città insieme con i Greci che condividevano l'esecrazione dell'uccisione di Onia contro ogni diritto.37Antioco fu intimamente rattristato, colpito da cordoglio e mosso a lacrime per la saggezza e la grande prudenza del defunto;38subito, acceso di sdegno, tolse la porpora ad Andronìco, ne stracciò le vesti e lo trascinò attraverso tutta la città fino al luogo stesso dove egli aveva sacrilegamente ucciso Onia e là cancellò dal mondo l'assassino. Così il Signore gli rese il meritato castigo.
39Essendo poi avvenuti molti furti sacrileghi in città da parte di Lisìmaco su istigazione di Menelao ed essendosene sparsa la voce al di fuori, il popolo si ribellò a Lisìmaco, quando già molti arredi d'oro erano stati portati via.40La folla era eccitata e piena di furore e Lisìmaco, armati circa tremila uomini, diede inizio ad atti di violenza, mettendo come comandante un certo Aurano già avanzato in età e non meno in stoltezza.41Ma quelli, appena si accorsero dell'aggressione di Lisìmaco, afferrarono chi pietre, chi grossi bastoni, altri raccolsero a manciate la polvere sul posto e si gettarono contro coloro che stavano attorno a Lisìmaco.42A questo modo ne ferirono molti, alcuni ne stesero morti, costrinsero tutti alla fuga, misero a morte lo stesso saccheggiatore del tempio presso la camera del tesoro.
43Per questi fatti fu intentato un processo contro Menelao.44Venuto il re a Tiro, i tre uomini mandati dal consiglio degli anziani difesero presso di lui il loro diritto.45Menelao, ormai sul punto di essere abbandonato, promise una buona quantità di denaro a Tolomeo, figlio di Dorìmene, perché traesse il re dalla sua parte.46Tolomeo invitò il re sotto un portico, come per prendere il fresco, e gli fece mutar parere.47Così il re prosciolse dalle accuse Menelao, causa di tutto il male, e a quegli infelici che, se avessero discusso la causa anche presso gli Sciti, sarebbero stati prosciolti come innocenti, decretò la pena di morte.48Così senza dilazione subirono l'ingiusta pena coloro che avevano difeso la città, il popolo e gli arredi sacri.49Gli stessi cittadini di Tiro, indignati per questo fatto, provvidero generosamente quanto occorreva per la loro sepoltura.50Menelao invece, per la cupidigia dei potenti, rimase al potere, crescendo in malvagità e facendosi grande traditore dei concittadini.
Siracide 16
1Non desiderare una moltitudine di figli buoni a nulla,
non gioire per figli empi.
2Se aumentano di numero non gioire,
se sono privi del timore del Signore.
3Non confidare su una loro vita lunga
e non fondarti sul loro numero,
poiché è preferibile uno a mille
e morir senza figli che averne degli empi.
4La città potrà ripopolarsi per opera di un solo
assennato,
mentre la stirpe degli iniqui sarà distrutta.
5Il mio occhio ha visto molte simili cose;
il mio orecchio ne ha sentite ancora più gravi.
6Nell'assemblea dei peccatori un fuoco si accende,
contro un popolo ribelle è divampata l'ira.
7Dio non perdonò agli antichi giganti,
che si erano ribellati per la loro forza.
8Non risparmiò i concittadini di Lot,
che egli aveva in orrore per la loro superbia.
9Non ebbe pietà di nazioni di perdizione,
che si erano esaltate per i loro peccati.
10Così trattò i seicentomila uomini
che sono periti per l'ostinazione del loro cuore.
11Ci fosse un solo uomo di dura cervice,
sarebbe strano se restasse impunito,
12poiché misericordia e ira sono in Dio,
potente quando perdona e quando riversa l'ira.
13Tanto grande la sua misericordia,
quanto grande la sua severità;
egli giudicherà l'uomo secondo le sue opere.
14Non sfuggirà il peccatore con la sua rapina,
ma neppure la pazienza del pio sarà delusa.
15Egli farà posto a tutta la sua generosità;
ciascuno sarà trattato secondo le sue opere.
16Non dire: "Mi terrò celato al Signore!
Chi penserà a me lassù?
17Non sarò riconosciuto fra un popolo numeroso,
chi sarò io in mezzo a una creazione senza numero?".
18Ecco il cielo e il cielo dei cieli,
l'abisso e la terra sussultano quando egli appare.
19Anche i monti e le fondamenta della terra
si scuotono di spavento quando egli li guarda.
20Ma nessuno riflette su queste cose;
al suo modo di agire chi ci bada?
21Anche la bufera che nessuno contempla,
e la maggior parte delle sue opere, sono nel mistero.
22"Chi a Dio annunzierà le opere di giustizia?
Ovvero chi le attende? L'alleanza infatti è lontana".
23Tali cose pensa chi ha il cuore perverso;
lo stolto, appunto errando, pensa sciocchezze.
24Ascoltami, figlio, e impara la scienza;
e sii attento nel tuo cuore alle mie parole.
25Manifesterò con esattezza la mia dottrina;
con cura annunzierò la scienza.
26Nella creazione del Signore le sue opere sono fin
dal principio,
e dalla loro origine ne separò le parti.
27Egli ordinò per l'eternità le sue opere,
ne stabilì l'attività per le generazioni future.
Non hanno fame né si stancano,
eppure non interrompono il loro lavoro.
28Nessuna di loro urta la sua vicina,
mai disubbidiranno ad un suo comando.
29Dopo ciò il Signore riguardò sulla terra
e la riempì dei suoi doni.
30Ne ricoprì la superficie con ogni genere di viventi
e ad essa faranno ritorno.
Salmi 102
1'Preghiera di un afflitto che è stanco'
'e sfoga dinanzi a Dio la sua angoscia'.
2Signore, ascolta la mia preghiera,
a te giunga il mio grido.
3Non nascondermi il tuo volto;
nel giorno della mia angoscia
piega verso di me l'orecchio.
Quando ti invoco: presto, rispondimi.
4Si dissolvono in fumo i miei giorni
e come brace ardono le mie ossa.
5Il mio cuore abbattuto come erba inaridisce,
dimentico di mangiare il mio pane.
6Per il lungo mio gemere
aderisce la mia pelle alle mie ossa.
7Sono simile al pellicano del deserto,
sono come un gufo tra le rovine.
8Veglio e gemo
come uccello solitario sopra un tetto.
9Tutto il giorno mi insultano i miei nemici,
furenti imprecano contro il mio nome.
10Di cenere mi nutro come di pane,
alla mia bevanda mescolo il pianto,
11davanti alla tua collera e al tuo sdegno,
perché mi sollevi e mi scagli lontano.
12I miei giorni sono come ombra che declina,
e io come erba inaridisco.
13Ma tu, Signore, rimani in eterno,
il tuo ricordo per ogni generazione.
14Tu sorgerai, avrai pietà di Sion,
perché è tempo di usarle misericordia:
l'ora è giunta.
15Poiché ai tuoi servi sono care le sue pietre
e li muove a pietà la sua rovina.
16I popoli temeranno il nome del Signore
e tutti i re della terra la tua gloria,
17quando il Signore avrà ricostruito Sion
e sarà apparso in tutto il suo splendore.
18Egli si volge alla preghiera del misero
e non disprezza la sua supplica.
19Questo si scriva per la generazione futura
e un popolo nuovo darà lode al Signore.
20Il Signore si è affacciato dall'alto del suo santuario,
dal cielo ha guardato la terra,
21per ascoltare il gemito del prigioniero,
per liberare i condannati a morte;
22perché sia annunziato in Sion il nome del Signore
e la sua lode in Gerusalemme,
23quando si aduneranno insieme i popoli
e i regni per servire il Signore.
24Ha fiaccato per via la mia forza,
ha abbreviato i miei giorni.
25Io dico: Mio Dio,
non rapirmi a metà dei miei giorni;
i tuoi anni durano per ogni generazione.
26In principio tu hai fondato la terra,
i cieli sono opera delle tue mani.
27Essi periranno, ma tu rimani,
tutti si logorano come veste,
come un abito tu li muterai
ed essi passeranno.
28Ma tu resti lo stesso
e i tuoi anni non hanno fine.
29I figli dei tuoi servi avranno una dimora,
resterà salda davanti a te la loro discendenza.
Isaia 36
1Nell'anno decimoquarto del re Ezechia, Sennàcherib re di Assiria assalì e si impadronì di tutte le fortezze di Giuda.2Il re di Assiria mandò poi da Lachis a Gerusalemme contro il re Ezechia il gran coppiere con un grande esercito. Egli fece sosta presso il canale della piscina superiore, sulla strada del campo del lavandaio.
3Gli andarono incontro Eliakìm figlio di Chelkìa, il maggiordomo, Sebnà lo scrivano e Ioach figlio di Asaf, l'archivista.4Il gran coppiere disse loro: "Riferite a Ezechia: Così dice il grande re, il re di Assiria: Che significa questa sicurezza che dimostri?5Pensi forse che la semplice parola possa sostituire il consiglio e la forza nella guerra? Ora, in chi confidi tu, che ti ribelli contro di me?6Ecco, tu confidi nell'Egitto, in questo sostegno di canna spezzata che penetra la mano e la fora a chi vi si appoggia; tale è il faraone re d'Egitto per chiunque confida in lui.7Se mi dite: Noi confidiamo nel Signore nostro Dio, non è forse lo stesso a cui Ezechia distrusse le alture e gli altari, ordinando alla gente di Giuda e di Gerusalemme: Vi prostrerete solo davanti a questo altare?8Or bene, fa' una scommessa con il mio signore, il re di Assiria; io ti darò duemila cavalli, se puoi procurarti cavalieri per essi.9Come potresti far indietreggiare uno solo dei più piccoli sudditi del mio signore? Eppure tu confidi nell'Egitto per i carri e i cavalieri!10Ora, è forse contro il volere del Signore che io mi sono mosso contro questo paese per distruggerlo? Il Signore mi ha detto: Muovi contro questo paese e distruggilo".
11Eliakìm, Sebnà e Ioach risposero al gran coppiere: "Parla ai tuoi servi in aramaico, poiché noi lo comprendiamo; non parlare in ebraico alla portata degli orecchi del popolo che è sulle mura".12Il gran coppiere replicò: "Forse sono stato mandato al tuo signore e a te dal mio signore per dire tali parole o non piuttosto agli uomini che stanno sulle mura, i quali presto saranno ridotti a mangiare i loro escrementi e a bere la loro urina con voi?".
13Il gran coppiere allora si alzò e gridò in ebraico: "Udite le parole del gran re, del re di Assiria.14Dice il re: Non vi inganni Ezechia, poiché egli non potrà salvarvi.15Ezechia non vi induca a confidare nel Signore dicendo: Certo, il Signore ci libererà; questa città non sarà messa nelle mani del re di Assiria.16Non date ascolto a Ezechia, poiché così dice il re di Assiria: Fate la pace con me e arrendetevi; allora ognuno potrà mangiare i frutti della propria vigna e del proprio fico e ognuno potrà bere l'acqua della sua cisterna,17finché io non venga per condurvi in un paese come il vostro, paese di frumento e di mosto, di pane e di vigne.18Non vi illuda Ezechia dicendovi: Il Signore ci libererà. Gli dèi delle nazioni hanno forse liberato ognuno il proprio paese dalla mano del re di Assiria?19Dove sono gli dèi di Amat e di Arpad? Dove sono gli dèi di Sefarvàim? Hanno essi forse liberato Samaria dalla mia mano?20Quali mai, fra tutti gli dèi di quelle regioni, hanno liberato il loro paese dalla mia mano? Potrà forse il Signore liberare Gerusalemme dalla mia mano?".
21Quelli tacquero e non gli risposero neppure una parola, perché l'ordine del re era: "Non rispondetegli".
22Eliakìm figlio di Chelkìa, il maggiordomo, Sebnà lo scrivano e Ioach figlio di Asaf, l'archivista, si presentarono a Ezechia con le vesti stracciate e gli riferirono le parole del gran coppiere.
Atti degli Apostoli 22
1"Fratelli e padri, ascoltate la mia difesa davanti a voi".2Quando sentirono che parlava loro in lingua ebraica, fecero silenzio ancora di più.3Ed egli continuò: "Io sono un Giudeo, nato a Tarso di Cilicia, ma cresciuto in questa città, formato alla scuola di Gamalièle nelle più rigide norme della legge paterna, pieno di zelo per Dio, come oggi siete tutti voi.4Io perseguitai a morte questa nuova dottrina, arrestando e gettando in prigione uomini e donne,5come può darmi testimonianza il sommo sacerdote e tutto il collegio degli anziani. Da loro ricevetti lettere per i nostri fratelli di Damasco e partii per condurre anche quelli di là come prigionieri a Gerusalemme, per essere puniti.
6Mentre ero in viaggio e mi avvicinavo a Damasco, verso mezzogiorno, all'improvviso una gran luce dal cielo rifulse attorno a me;7caddi a terra e sentii una voce che mi diceva: Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?8Risposi: Chi sei, o Signore? Mi disse: Io sono Gesù il Nazareno, che tu perseguiti.9Quelli che erano con me videro la luce, ma non udirono colui che mi parlava.10Io dissi allora: Che devo fare, Signore? E il Signore mi disse: Alzati e prosegui verso Damasco; là sarai informato di tutto ciò che è stabilito che tu faccia.11E poiché non ci vedevo più, a causa del fulgore di quella luce, guidato per mano dai miei compagni, giunsi a Damasco.
12Un certo Ananìa, un devoto osservante della legge e in buona reputazione presso tutti i Giudei colà residenti,13venne da me, mi si accostò e disse: Saulo, fratello, torna a vedere! E in quell'istante io guardai verso di lui e riebbi la vista.14Egli soggiunse: Il Dio dei nostri padri ti ha predestinato a conoscere la sua volontà, a vedere il Giusto e ad ascoltare una parola dalla sua stessa bocca,15perché gli sarai testimone davanti a tutti gli uomini delle cose che hai visto e udito.16E ora perché aspetti? Alzati, ricevi il battesimo e lavati dai tuoi peccati, invocando il suo nome.
17Dopo il mio ritorno a Gerusalemme, mentre pregavo nel tempio, fui rapito in estasi18e vidi Lui che mi diceva: Affrettati ed esci presto da Gerusalemme, perché non accetteranno la tua testimonianza su di me.19E io dissi: Signore, essi sanno che facevo imprigionare e percuotere nella sinagoga quelli che credevano in te;20quando si versava il sangue di Stefano, tuo testimone, anch'io ero presente e approvavo e custodivo i vestiti di quelli che lo uccidevano.21Allora mi disse: Va', perché io ti manderò lontano, tra i pagani".
22Fino a queste parole erano stati ad ascoltarlo, ma allora alzarono la voce gridando: "Toglilo di mezzo; non deve più vivere!".23E poiché continuavano a urlare, a gettar via i mantelli e a lanciar polvere in aria,24il tribuno ordinò di portarlo nella fortezza, prescrivendo di interrogarlo a colpi di flagello al fine di sapere per quale motivo gli gridavano contro in tal modo.
25Ma quando l'ebbero legato con le cinghie, Paolo disse al centurione che gli stava accanto: "Potete voi flagellare un cittadino romano, non ancora giudicato?".26Udito ciò, il centurione corse a riferire al tribuno: "Che cosa stai per fare? Quell'uomo è un romano!".27Allora il tribuno si recò da Paolo e gli domandò: "Dimmi, tu sei cittadino romano?". Rispose: "Sì".28Replicò il tribuno: "Io questa cittadinanza l'ho acquistata a caro prezzo". Paolo disse: "Io, invece, lo sono di nascita!".29E subito si allontanarono da lui quelli che dovevano interrogarlo. Anche il tribuno ebbe paura, rendendosi conto che Paolo era cittadino romano e che lui lo aveva messo in catene.
30Il giorno seguente, volendo conoscere la realtà dei fatti, cioè il motivo per cui veniva accusato dai Giudei, gli fece togliere le catene e ordinò che si riunissero i sommi sacerdoti e tutto il sinedrio; vi fece condurre Paolo e lo presentò davanti a loro.
Capitolo XVI: Soltanto in Dio va cercata la vera consolazione
Leggilo nella Biblioteca1. Qualunque cosa io possa immaginare e desiderare per mia consolazione, non l'aspetto qui, ora, ma in futuro. Ché, pure se io potessi avere e godere da solo tutte le gioie e le delizie del mondo, certamente ciò non potrebbe durare a lungo. Sicché, anima mia, non potrai essere pienamente consolata e perfettamente confortata se non in Dio, che allieta i poveri e accoglie gli umili. Aspetta un poco, anima mia, aspetta ciò che Dio ha promesso e avrai in cielo la pienezza di ogni bene. Se tu brami disordinatamente i beni temporali, perderai quelli eterni del cielo: dei beni di quaggiù devi avere soltanto l'uso temporaneo, col desiderio fisso a quelli eterni. Anima mia, nessun bene di quaggiù, ti potrà appagare perché non sei stata creata per avere soddisfazione in queste cose. Anche se tu avessi tutti i beni del mondo, non potresti essere felice e beata, perché è in Dio, creatore di tutte le cose, che consiste la tua completa beatitudine e la tua felicità. Non è una felicità quale appare nella esaltazione di coloro che amano stoltamente questo mondo, ma una felicità quale si aspettano i buoni seguaci di Cristo; quale, talora, è pregustata, fin da questo momento, da coloro che vivono dello spirito e dai puri di cuore, "il cui pensiero è già nei cieli" (Fil 3,20).
2. Vano e di breve durata è il conforto che viene dagli uomini; santo e puro è quello che la verità fa sentire dal di dentro. L'uomo pio si porta con sé, dappertutto, il suo consolatore, Gesù, e gli dice: o Signore Gesù, stammi vicino in ogni luogo e in ogni tempo. La mia consolazione sia questa, di rinunciare lietamente ad ogni conforto umano. Che se mi verrà meno la tua consolazione, sia per me di supremo conforto, appunto, questo tuo volere, questa giusta prova; poiché "non durerà per sempre la tua collera e le tue minacce non saranno eterne" (Sal 102,9).
DISCORSO 292 NEL NATALE DI S. GIOVANNI BATTISTA
Discorsi - Sant'Agostino
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[Vi si discute a confutazione dei Donatisti] perché si celebra la nascita di Giovanni e non di altri.
1. 1. La solennità odierna sollecita con grande aspettativa il discorso di consuetudine. Con l'aiuto di Dio, dunque, vi porgeremo ciò che avrà dato, mentre voi ricordate e comprendete il compito del nostro servizio, che è di parlare non quali maestri, ma come servi: non a discepoli, ma a condiscepoli; né infatti a servi, ma a compagni di servizio. Ma uno solo è il nostro Maestro, che insegna sulla terra ed ha la cattedra in cielo; di lui è nato il precursore Giovanni, del quale oggi si ricorda il giorno della nascita ed oggi si celebra. Abbiamo ricevuto questo dalla tradizione degli antichi e con religiosità da imitarsi lo tramandiamo ai posteri. Oggi dunque celebriamo il Natale di Giovanni, non dell'Evangelista, ma del Battista. Fatta questa premessa, si presenta una questione da non trascurarsi: perché celebriamo il giorno in cui Giovanni è venuto al mondo piuttosto che quello di uno degli Apostoli, o di un Martire, o di un Profeta o di un Patriarca? Se ci si interroga, che risponderemo? Da quel che mi sembra, da quanto si fa accessibile ai limiti delle mie capacità, la ragione è questa: i discepoli del Signore vennero assunti come tali dopo la nascita e una volta raggiunta la maturità degli anni con il progredire dell'età; in seguito, li vincolò al Signore la loro fede, ma la nascita di nessuno di loro fu al servizio del Signore. Anche dei Profeti conserviamo il ricordo, abbiamo venerazione per i Patriarchi: nacquero semplici uomini, crescendo in età, ripieni di Spirito Santo, annunziarono Cristo; vennero al mondo per diventare profeti in un secondo tempo. Al contrario, fu proprio la nascita di Giovanni che annunziò il Cristo Signore e che dal grembo materno salutò concepito.
Perché Giovanni, uomo così grande, non fu discepolo del Signore, ma ebbe discepoli suoi come il Signore. Le voci superbe dei donatisti.
2. 2. Risolta tale questione come abbiamo potuto, affrontiamo l'altra, secondo le forze che ci avrà dato il Signore. Si fa avanti infatti un'altra questione, a quel che mi sembra, alquanto più astrusa e più faticosa a investigare; in proposito molto mi aiuterà la vostra attenzione e la preghiera al Signore a sostegno delle mie limitate risorse. Questo Giovanni, che si distingue per tale abbondanza di grazia fino a salutare il Signore dal grembo materno, come è stato detto, non ancora a voce, ma balzando di gioia, la cui grazia era aperta a Dio fin dal tempo in cui la sua carne era ancora chiusa nella carne, questo Giovanni, dunque, non si trova tra i discepoli del Signore, ma si apprende che abbia avuto piuttosto dei discepoli come il Signore. Che vuol dire questo? Chi è costui? Un uomo assai grande, quale uomo assai grande? di che elevatezza un così grande uomo? Tuttavia non seguiva il Signore tra i discepoli, ma aveva dei discepoli alla sua sequela: mi guarderò dal dire che fosse in opposizione al Signore, pur tuttavia quasi indipendentemente dal Signore. Dei discepoli aveva Cristo, dei discepoli aveva Giovanni: insegnava Cristo, insegnava Giovanni. Che dire di più? Battezzava Giovanni, battezzava Cristo. Di più, a questo riguardo - mi riferisco al battesimo - da Giovanni fu battezzato Cristo. Dove sono coloro che dal ministero del battesimo traggono motivo per gonfiarsi per l'arroganza di una boriosa aggressività? Dove sono le voci tutt'altro che umili, altisonanti di superbia, "sono io che battezzo, sono io che battezzo"? Che avresti detto se ti fosse toccato battezzare Cristo? Per quanto avverte la Santità vostra, già comincia ad assumere importanza e ad essere evidente la causa per la quale anche Cristo doveva essere inviato dal Padre e Giovanni doveva essere inviato avanti da Cristo. Giovanni fu inviato per primo, ma a quel modo che il giudice viene preceduto da quanti gli rendono omaggio. Più tardi, come uomo, fu creato Cristo, però fu Cristo Dio a creare Giovanni. Giovanni era, quindi, un uomo veramente perfetto e fu provveduto di tanta grazia che il Signore stesso disse di lui: Tra i nati di donna non è sorto uno più grande di Giovanni Battista 1. Dunque, quest'uomo così eminente riconosce il Signore grande nell'abbassamento: l'uomo riconosce Colui che era venuto quale uomo Dio. Infatti, se tra i nati di donna, cioè tra gli uomini, non è sorto uno più grande, chiunque è più di Giovanni non è soltanto uomo, ma è anche Dio. Perciò, questo grande uomo dovette avere anche dei propri discepoli e, insieme ai suoi discepoli, riconoscere Cristo maestro di tutti. Ci può essere più valida attestazione della verità che, umiliandosi, riconoscere Colui del quale poteva essere geloso per rivalità? Giunse ad essere ritenuto il Cristo, ma non volle; poté essere oggetto di stima quale Cristo e non volle. Si chiesero gli uomini sbagliando su di lui: Non è questo il Cristo? Ed egli assicurò di non esserlo, per restare quel che era. Adamo, avendo ceduto proprio in questo, perdette ciò che era per aver usurpato ciò che non era. Il caso tornava alla mente di questo grande uomo, ma con il senso di inferiorità dell'ultimo di fronte al Cristo umile: ne era cosciente, vi rifletteva e lo teneva presente, poiché intendeva ricuperare quanto Adamo aveva perduto. Dunque, costui, come ho detto, il grande Giovanni, al quale il Signore rese una testimonianza tale - ed è la Verità a presentarlo così - che giunse a dire: Tra i nati di donna non è sorto uno più grande di Giovanni Battista, fu possibile crederlo il Cristo; anzi, era già ritenuto il Cristo da parte di quanti si erano illusi per l'eccellenza della sua grandezza: sarebbero anche rimasti in quell'errore se egli, rivelandosi, non li avesse convinti di abbaglio. Allora a quanti avevano quella convinzione oppose affermando: Non sono io il Cristo 2. Quasi a dire: in tal modo vi sbagliate sicuramente circa la mia dignità; così è certo che, attribuendomi questo, esagerate nella lode: ma quanto a me, devo riconoscere chi sono perché egli possa perdonare a voi che siete nell'errore. Infatti, se falsamente fosse stato creduto ciò che era, ne sarebbe derivata una menomazione per colui che in realtà lo era.
Cristo incarnato e battezzato per insegnare la via dell'unità.
3. 3. Quindi fu inviato innanzi Giovanni perché battezzasse il Signore umile. Il Signore infatti volle essere battezzato per umiltà, non a causa del peccato. Perché venne battezzato Cristo Signore? Perché venne battezzato Cristo Signore, l'Unigenito Figlio di Dio? Ricerca la ragione per cui nacque ed ivi troverai perché sia stato battezzato. Senza dubbio vi scoprirai la via dell'umiltà, che non puoi percorrere con incedere superbo: se non la percorrerai con piede umile non potrai giungere a quell'altezza dove conduce. Venne battezzato per te Colui che per te è sceso dal cielo. Nota quanto sia diventato insignificante Colui che essendo di natura divina, non considerò un'appropriazione indebita essere uguale a Dio 3. Non era infatti un'appropriazione, ma si fondava sulla natura l'uguaglianza del Figlio con il Padre. Se Giovanni avesse voluto essere considerato il Cristo, da parte sua sarebbe stata un'appropriazione indebita. Dunque: Non considerò un'appropriazione indebita essere uguale a Dio. Infatti, e senza appropriazione indebita, era nato coeterno dall'eterno. Tuttavia, spogliò se stesso assumendo la natura di servo 4, cioè assumendo la natura umana. Essendo di natura divina, non per aver assunto la natura divina: dunque, essendo di natura divina, spogliò se stesso assumendo la natura di servo. Assunse ciò che non era in modo da non perdere ciò che era. Restando Dio, assunse l'uomo. Assunse la natura di servo e divenne Dio uomo quel Dio dal quale fu creato l'uomo.
4. 3. Considera dunque quale maestà, quale potenza, quale sublimità, quale uguaglianza con il Padre venne a rivestirsi della natura di servo: vedi anche di apprendere da un così eccellente maestro la via dell'umiltà; poiché è molto più importante aver voluto farsi uomo che voler esser battezzato da un uomo.
Perché volle essere battezzato Giovanni.
4. 4. Dunque, Giovanni - ripeto - battezza Cristo, il servo il Signore, la voce la Parola. Ricordate infatti: Io sono voce di uno che grida nel deserto 5: e ricordate perché il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi 6. Dunque Giovanni - ripeto -battezza Cristo, il servo il Signore, la voce la Parola, la creatura il Creatore, la lucerna il Sole; ma, per sole, s'intende Colui che fece questo sole, sole del quale fu detto: Per me si levò il sole di giustizia e apporta salute con i suoi raggi 7. Al riguardo gli empi, pentendosi tardi, diranno alla fine, nel giudizio di Dio: Che ci ha giovato la superbia? o che ci ha apportato il vanto delle ricchezze? Come ombra tutte queste cose sono trascorse 8; e saranno con le ombre coloro che sono andati dietro alle ombre. Dicono: Così abbiamo deviato dalla via della verità e la luce della giustizia non ha brillato per noi e il sole non si è levato per noi 9. Non è sorto Cristo per coloro dai quali Cristo non è stato riconosciuto. Egli, sole di giustizia, senza nube, senza oscurità; egli non sorge per i cattivi, non sorge per gli empi, non sorge per gli infedeli. Ma egli fa sorgere ogni giorno questo sole materiale del firmamento sui buoni e sui cattivi 10. Dunque, come ho detto, la creatura battezzò il Creatore, la lucerna il sole: e il battezzatore non se ne inorgoglì, ma si sottomise al battezzando. Vedendolo avvicinarsi gli disse infatti: Tu vieni per essere battezzato da me? Sono io che devo essere battezzato da te 11. Piena confessione e deciso riconoscimento dell'umiltà da parte della lucerna. Se si fosse inalberata contro il sole, quella sarebbe stata subito spenta dal vento della superbia. È questo dunque che il Signore previde e che il Signore fece capire con il suo battesimo. Egli, il grande, volle essere battezzato da colui che era tanto piccolo; per dirla in breve: il Salvatore da chi doveva essere salvato. Infatti Giovanni, sebbene molto dotato, aveva dovuto richiamare alla mente qualche sua debolezza. Ecco pertanto: Non sono io che devo essere battezzato da te? È certamente il Battesimo del Signore la salvezza: perché del Signore è la salvezza 12. Poiché vana è la salvezza dell'uomo 13. Come allora si spiega il: Sono io che devo essere battezzato da te, se non aveva bisogno di essere guarito? Ma tu ammira il rimedio proprio nell'umiltà del Signore: quello battezzava ed egli risanava. Infatti, se è il Cristo, è il Salvatore di tutti gli uomini, soprattutto di coloro che credono 14; è un'affermazione dell'Apostolo ed è verace, perché Cristo è il Salvatore di tutti gli uomini; nessuno dica: Non ho bisogno di un salvatore. Chi parla così non si sottomette al medico, ma muore nel suo male. Se è salvatore di tutti gli uomini, quindi anche di Giovanni: non è che Giovanni non sia uomo perciò. Grande uomo certo, ma uomo tuttavia. Cristo è il salvatore di tutti gli uomini: pertanto, Giovanni riconosce il suo salvatore. Non è, dunque, che Cristo non sia il salvatore di Giovanni. Da parte sua non dice questo quello che si confessa umilmente dicendo: Sono io che devo essere battezzato da te. E il Signore: Lascia fare perché si compia ogni giustizia 15. Che vuol dire: ogni giustizia? Raccomandò la giustizia con l'umiltà: il Maestro del cielo e vero Signore ci fece riconoscere la giustizia soprattutto nell'umiltà. L'essere battezzato, infatti, era questione di umiltà: e, dal momento che quanto avrebbe fatto era questione di umiltà, disse: Perché si compia ogni giustizia.
I donatisti riferiscono erroneamente al ministro del Battesimo il passo del Vangelo che tratta dell'albero e del suo frutto.
4. 5. Il Signore previde che molti si sarebbero inorgogliti per essere ministri del Battesimo, ed avrebbero detto: Sono io che battezzo; ed ancora: Quale sono io che battezzo, tale rendo chi viene battezzato da me. Come puoi provarlo? Dice: Lo provo. Con quali attestazioni? Con quelle del Vangelo, risponde. Stiamo ascoltando non so quale nuovo evangelista in contrasto con l'antico Battista. Allora, con quali attestazioni tratte dal Vangelo tu provi che, quale sei, tale rendi chi battezzi? In quanto è stato scritto - risponde - che l'albero buono dà frutti buoni. Espongo quanto è scritto, riporto il Vangelo: L'albero buono dà frutti buoni, l'albero cattivo dà frutti cattivi 16. Riconosco il Vangelo: ma, da quanto mi risulta, tu non conosci te stesso. E perché io possa avere un po' di pazienza con te, spiega quel che dici e fa' conto, intanto, che io non abbia capito. Dimmi quale riferimento abbiano queste affermazioni, quale contributo apportino a risolvere siffatta questione circa il Battesimo. L'albero buono - dice - è il battezzatore buono. Dice "albero buono" come dicono quelli: Albero buono - dice - è il battezzatore buono; suo frutto buono è chi viene battezzato da lui: se il battezzatore sarà stato albero buono, allora sarà infatti buono il frutto. Che dici di Cristo e di Giovanni? Non dormire, svegliati, la luce di una verità lampante colpisce i tuoi occhi; fa' attenzione a quel che in anticipo ci è stato posto davanti; leggi il Vangelo: Giovanni battezzò Cristo. Stai per dire che Giovanni è l'albero e Cristo il frutto? Chiamerai albero la creatura e frutto il Creatore? Cristo Signore volle essere battezzato da Giovanni non per liberarsi dall'iniquità attraverso il battesimo, ma per chiudere la bocca all'iniquità. Ecco, è inferiore chi battezza; dirò che è da più chi viene battezzato? Forse questo per me è tanto a comprendersi. Torna fra gli uomini. Considera due, entrambi uomini. Anania battezzò Paolo. Paolo fu migliore di Anania. Il frutto non è stato mai migliore dell'albero. Infatti l'albero porta frutto, non è portato dal frutto.
I donatisti sono confutati perché si fanno valere in luogo di Cristo.
4. 6. Non ti accorgi di che ti appropri? Il Signore stesso affermò: Molti verranno nel mio nome dicendo: Io sono il Cristo 17. Molti andando in giro e seducendo si presentarono in nome di Cristo, ma non abbiamo inteso che alcuno abbia detto: io sono il Cristo. Eretici senza numero vennero tutti in nome di Cristo, cioè, dissimulandosi, vennero in nome di Cristo, vennero celando l'aspetto esterno di fango sotto il nitore dello splendido nome, eppure non abbiamo inteso dire da alcuno: Io sono il Cristo. Perché dunque? Il Signore ha ignorato quel che ha predetto? Non ci ha piuttosto destati dal sonno alla comprensione degli stessi sensi nascosti, all'apertura del segreto, per farci indagare e picchiare perché ci si apra quel che è chiuso, quindi, rimosso il tetto, veniamo a sottometterci al Signore come quel paralitico e meritare di essere sanati da lui 18? Troviamo proprio di quelli che dicono: Io sono il Cristo; non con queste parole, ma, quel che è peggio, con i fatti. Non con l'audacia di queste parole. Chi li ascolta infatti? Chi si presta all'ascolto o si fa persuaso intimamente di così sciocchi raggiri? Se prova a dire a chi è in procinto di ricevere il battesimo: Io sono il Cristo, quello gli volta le spalle, si allontana dall'aperta arroganza dell'uomo, cerca la grazia di Dio. Perciò, quello non dice così: Io sono il Cristo, ma, poiché esprime diversamente l'Io sono il Cristo, fate attenzione al modo. Cristo risana, Cristo purifica, Cristo giustifica: l'uomo non giustifica. Che vuol dire giustificare? Rendere uno giusto. Come mortificare è rendere uno morto; vivificare è rendere uno vivo, così pure giustificare è rendere uno giusto. Ecco che un battezzatore furtivamente, non entrando per la porta, ma penetrando attraverso il muro; non da pastore e guardiano, ma da furfante e ladro, indirettamente afferma: Sono io che battezzo. Se in funzione di ministro, oso dire: Non dire di più: tutto ciò che è di più viene dal maligno 19. E, tuttavia, aggiunge, senza scrupoli. Che aggiunge? Io giustifico, io rendo l'uomo giusto. Infatti vuol dire questo: Io sono l'albero buono, nasca da me chi vuoi essere un frutto buono. Se ne fai profitto, ascolta per un attimo; si tratta di poche parole e, se non sbaglio, sono chiare. Sei dunque tu a giustificare, sei tu a rendere uno giusto? Allora io dico: Creda in te chi tu giustifichi. Parla, abbi il coraggio di dire " credi in me ", tu che non hai ritegno a dire: Vieni giustificato da me. Si turba, si agita, adduce scuse. Risponde: Quale bisogno c'è che io gli dica: Credi in me? Dico: Credi in Cristo. Hai esitato, hai dubitato: ti sei degnato di accostarti un poco a noi. Hai ammesso qualcosa per cui puoi essere risanato. Hai detto qualcosa di retto che vale a correggere gli altri tuoi errori. A questo punto non ascoltare me, ma te. Come è vero, non hai il coraggio di dire: Credi in me. Lungi da me, dici. E tuttavia hai il coraggio di dire: Sono io che ti giustifico. Ascolta e riconosci che quel che fonda il tuo ritegno a dire "credi in me" è lo stesso per cui non devi osare dire: Sono io che giustifico te. È l'Apostolo a parlare, arrenditi a lui, al quale vieni ad essere soggetto, voglia tu o non voglia. Infatti non all'Apostolo come uomo, ma a colui del quale parla l'Apostolo: Volete avere una prova che Cristo parla in me? 20 Perciò, non l'Apostolo, ma Cristo ascolta per il ministero dell'Apostolo. Che dice l'Apostolo? A chi crede in colui che giustifica l'empio, la sua fede gli viene accreditata a giustizia 21. Vi prego di stare attenti; notate come è semplice, come è chiaro: A chi crede in colui che giustifica l'empio, la sua fede gli viene accreditata come giustizia. A chiunque, quindi, avrà creduto in colui che giustifica l'empio, che rende giusto chi era empio, la sua fede viene accreditata a giustizia. Ora di' pure, se ne hai l'ardire: Sono io che ti giustifico. Rifletti alla risposta che ti ho dato secondo l'Apostolo: se a giustificarmi sei tu, crederò in te, perché a chi crede in colui che giustifica l'empio, la sua fede gli viene accreditata come giustizia. Tu mi fai giusto? Crederò in te. Infatti, se a rendermi giusto sei tu, avrò fede in chi mi giustifica, cioè in chi giustifica l'empio: credo con sicurezza perché la mia fede viene accreditata a giustizia. Se, dunque, non osi dire "Sono io che ti giustifico", anzi, se non osi dire "Credi in me", guardati allora dal dire "Sono io che ti giustifico". O perduto, ti ho ritrovato, perché tu non perda e me e te.
Come si deve interpretare il passo del Vangelo che tratta dell'albero e del frutto.
4. 7. Dato che hai tirato in campo l'argomento dell'albero e del frutto, ti presento qualche esemplificazione perché tu riesca a intendere quel che è stato detto: L'albero buono dà frutti buoni e l'albero cattivo dà frutti cattivi 22. Da parte mia, infatti, intendo il passo così come è proprio il Signore ad esporlo. Che vuol dire: L'albero buono dà frutti buoni? L'uomo buono dal tesoro del suo cuore trae cose buone; l'uomo cattivo dal cattivo tesoro del suo cuore trae cose cattive 23. Paragonò gli uomini ad alberi, le azioni ai tesori. Quale è l'uomo, tali sono le sue azioni. Se l'uomo è buono, le sue azioni sono buone; se l'uomo è cattivo, le sue azioni sono cattive; un uomo buono non può agire male, né un uomo cattivo può agire bene. Che di più evidente, che di più limpido, che di più chiaro? Ora, invece, tu che battezzi fai di te un albero buono e di chi battezzi ne fai il frutto, così che quale sei tu tale sia quello. Dio guardi lui, mentre, da parte tua, renditi conto di come sia deviante la tua interpretazione. Tra di voi c'è un tale che almeno una volta ha commesso adulterio, magari in segreto. Ma ciò di cui non ho conoscenza - dice - non mi contamina. Non mi riferisco a questo; la questione è un'altra: voglio dire qualcosa riguardo al Battesimo; questo infatti abbiamo preso a considerare. È adultero in segreto: perciò è un finto; non un adultero finto, ma un adultero vero, finto casto. Dunque, da questo adultero uomo finto, e ancor più finto perché si nasconde - se infatti fosse adultero manifesto non sarebbe più finto - allora da questo adultero rifugge senza dubbio lo Spirito Santo. In realtà, è palese la sentenza emanata: Lo Spirito Santo che ammaestra rifugge dalla finzione 24. Quindi, dal momento che non è conosciuto come adultero, certamente battezza. Ecco, è davanti a me un uomo battezzato da un adultero in occulto: è nato il frutto, dov'è l'albero buono. È battezzato, è innocente, gli sono stati perdonati i peccati; dunque l'empio è stato giustificato, è nato il frutto buono; domando: da quale albero? Parla, rispondimi: quell'albero è un adultero occulto, è albero cattivo; se costui è frutto di quest'albero, è frutto cattivo. L'affermazione del Signore è: L'albero cattivo dà frutti cattivi. Risponderai, per assicurare che costui è un frutto buono, che non è nato da quell'albero. Quindi non per il fatto che tu ignori che quell'albero è cattivo, esso non è cattivo: è tanto peggiore quanto più si ignora. Tanto più infatti si ignora per quanto nasconde il suo operato con perversa astuzia. Se, infatti, fosse un adultero manifesto, magari con la confessione potrebbe guarire. Pessimo l'albero e, tuttavia, ecco il frutto buono. Da chi è nato? o forse non è nato? È nato, tu dici. Io domando da chi: che vorrai dire? Da chi è nato costui? Non c'è altro da dire se non: Da Dio; non so se si possa dire altro che "da Dio". Se dicesse questo di tutti - e non fingesse di essere un albero buono, pur essendo cattivo, divenendo così peggiore - di tutti direbbe che nascono da Dio; può contare su una chiara affermazione evangelica: Ha dato il potere di diventare figli di Dio a coloro che non da carne, non da sangue, non da volere di uomo, non da volere di carne, ma da Dio sono nati 25. Torna dunque a costui: è nato da Dio? Da Dio. Perché costui è nato da Dio? Non poté infatti nascere frutto buono da albero cattivo. Il battezzatore casto è albero buono, non è finto; battezzò veramente da casto, buono il frutto dall'albero buono. Ecco, anche costui frutto buono, da quale albero è nato? Di' pure dal cattivo se osi. Non ardisco, risponde. Quindi, anch'egli da albero buono? Da albero buono. Da quale albero buono? Da Dio. L'altro da chi? Dall'uomo casto. Fa' un poco d'attenzione: vediamo di capire quanto andiamo dicendo. Costui, battezzato da un uomo casto, da un albero buono, cioè da un uomo buono, è nato frutto buono. Quello, battezzato dall'adultero occulto, da albero cattivo, è nato frutto... che frutto? Buono. Non può verificarsi. Se il frutto è buono, allora devi sostituire l'albero. Tu riconosci buono questo frutto, cattivo quell'uomo perché è adultero occulto: sostituisci l'albero a questo frutto. Tu dici: l'ho sostituito; perciò ho detto: da Dio. Ora confronta questi due nati: un uomo manifestamente casto battezzò quello, un adultero occulto battezzò questo: quello nato dall'uomo, questo è nato da Dio. Per conseguenza, è nato più felicemente costui da un adultero occulto che quello da un uomo palesemente casto.
Confuta i donatisti con le parole di Giovanni e dell'apostolo Paolo.
4. 8. Dunque, tu ascolti meglio Giovanni, o eretico, ascolti meglio chi corre avanti, tu che corri all'indietro; ascolti meglio l'umile, o superbo; ascolti meglio la lucerna accesa, o lucerna spenta. Ascolta Giovanni, poiché si va da lui: Io vi battezzo con acqua 26 - anche tu, se ti conosci, sei ministro dell'acqua - Io, dice, vi battezzo con acqua; ma colui che verrà è più grande di me. Di quanto è più grande di te? Non sono degno di sciogliere il legaccio del suo sandalo 27. Quanto non si sarebbe umiliato pur riconoscendosene degno? In realtà neppure di questo si disse degno: sciogliere il legaccio del sandalo. Egli è colui che battezza nello Spirito Santo 28. Perché tu prendi il posto di Cristo? Egli battezza nello Spirito Santo. Dunque, chi giustifica è lui. Tu che dici? Io battezzo nello Spirito Santo, sono io che giustifico. Sei certo che non dici: Io sono il Cristo? Sei certo che non sei di quelli dei quali è stato detto: Molti verranno nel mio nome a dire: io sono il Cristo 29? Sei stato preso: e voglia il cielo che anche preso sia ritrovato tu che, non preso, andavi perduto. È un bene esser presi all'esca del gran re con le reti della verità. Perciò non dire più: "Sono io che giustifico, sono io che santifico", ad evitare di essere indotto a riconoscere che dici: Io sono il Cristo. Ripeti piuttosto quanto dice l'amico dello Sposo, invece di volerti esibire in luogo dello Sposo: Né chi pianta è qualcosa, né chi irriga, ma Dio che fa crescere 30. Ascolta pure proprio colui del quale parliamo, amico dello Sposo. È vero che quasi come Cristo aveva dei discepoli, e che non era un discepolo del Cristo; ascoltalo mentre riconosce di essere discepolo del Cristo. Vedilo tra i discepoli di Cristo, e tanto più vero quanto più umile; tanto più umile quanto più grande. Nota come egli si comporti secondo quanto è stato scritto: Quanto più sei grande tanto più umiliati in tutto, così troverai grazia davanti al Signore 31. Disse appunto: Non sono degno di sciogliere il legaccio del sandalo: ma non in questo si rivelò discepolo. Chi viene dall'alto - disse - è al di sopra di tutti 32; noi tutti abbiamo ricevuto dalla sua pienezza 33. Quindi, era pure tra i discepoli egli che come Cristo aveva intorno a sé dei discepoli. Ascoltalo ammettere con maggior chiarezza di essere discepolo: Chi possiede la sposa è lo sposo, ma l'amico dello sposo sta lì e lo ascolta 34. E intanto sta lì in quanto lo ascolta. Sta lì e ascolta, perché, se non ascolta, cade. A ragione Davide dice: Al mio orecchio darai gioia e letizia 35. Che vuol dire: al mio orecchio? Ascoltare lui, non voler essere ascoltato al suo posto. E perché avessimo conosciuto che voglia significare il fatto che lo ascolta, raccomanda l'umiltà. Dopo aver detto: Al mio orecchio darai gioia e letizia, subito soggiunse: ed esulteranno le ossa che hai umiliato 36. Dunque, sta lì e lo ascolta. Esulteranno le ossa che hai umiliato, perché quelle che si inalberano saranno spezzate. Nessun servo, perciò, si attribuisca la potenza del Signore. Si rallegri di trovarsi in famiglia e, se è posto a capo, a tempo debito, somministri il cibo ai compagni di servizio 37; ma di questo cibo egli stesso viva e non sia che quelli vivano di lui. Che vuol dire infatti somministrare il cibo a tempo debito se non presentare Cristo, lodare Cristo, raccomandare Cristo, predicare Cristo? Questo significa somministrare il cibo a tempo debito. Cristo stesso infatti, per essere cibo dei suoi giumenti, quando nacque, fu posto in un presepe.
1 - Mt 11, 11.
2 - Gv 1, 20.
3 - Fil 2, 6.
4 - Fil 2, 7.
5 - Gv 1, 23.
6 - Gv 1, 14.
7 - Ml 4, 2.
8 - Sap 5, 8-9.
9 - Sap 5, 6.
10 - Cf. Mt 5, 45.
11 - Mt 3, 14.
12 - Sal 3, 9.
13 - Sal 59, 13.
14 - 1 Tm 4, 10.
15 - Mt 3, 15.
16 - Mt 7, 17.
17 - Mt 24, 5.
18 - Cf. Mc 2, 3-12.
19 - Cf. Mt 5, 37.
20 - 2 Cor 13, 3.
21 - Rm 4, 5.
22 - Mt 7, 17.
23 - Mt 12, 35.
24 - Sap 1, 5.
25 - Gv 1, 12-13.
26 - Lc 3, 16; Gv 1, 26-27.
27 - Lc 3, 16; Gv 1, 26-27.
28 - Gv 1, 33; Lc 3, 16.
29 - Mt 24, 5.
30 - 1 Cor 3, 7.
31 - Sir 3, 20.
32 - Gv 3, 31.
33 - Gv 1, 16.
34 - Gv 3, 29.
35 - Sal 50, 10.
36 - Sal 50, 10.
37 - Cf. Mt 24, 45.
13 - I sette doni dello Spirito Santo che ebbe Maria santissima
La mistica Città di Dio - Libro secondo - Suor Maria d'Agreda
Leggilo nella Biblioteca596. I sette doni dello Spirito Santo - secondo la comprensione che ne ho - mi pare che aggiungano qualcosa alle virtù corrispondenti; per questo si distinguono da esse, benché abbiano lo stesso oggetto. È certo che qualunque beneficio del Signore si può chiamare dono o regalo della sua mano, anche se naturale. Adesso, però, non parliamo dei doni così in generale, sebbene siano virtù e doni infusi, perché non tutti quelli che hanno qualche virtù o più virtù hanno per questo grazia di doni in quella materia o almeno non arrivano a possedere le virtù in quel grado in cui si chiamano doni perfetti, come li intendono i Dottori nelle parole di Isaia, dove disse che su Cristo nostro salvatore si sarebbe posato lo Spirito del Signore, enumerando sette grazie, le quali comunemente si chiamano doni dello Spirito Santo. Essi sono: lo spirito di sapienza e d'intelletto, lo spirito di consiglio e di fortezza, lo spirito di conoscenza e di pietà e quello del timore di Dio. Questi doni si trovavano nell'anima santissima di Cristo, ridondando dalla divinità alla quale stava ipostaticamente unita, come nella fonte sta l'acqua che da essa sgorga per comunicarsi ad altri, perché tutti attingiamo alle sorgenti del Salvatore grazia su grazia e dono su dono ed in lui stanno nascosti i tesori della sapienza e della scienza di Dio.
597. I doni dello Spirito Santo corrispondono alle virtù cui si collegano. Benché quanto a questa correlazione i Dottori discorrano con qualche differenza, non ve ne può essere alcuna quanto al fine di tali doni, che consiste nel dare qualche speciale perfezione alle facoltà, affinché compiano alcune azioni ed opere assolutamente perfette ed eroiche nelle materie delle virtù; senza questa condizione, infatti, non si potrebbero chiamare doni particolari e più perfetti ed eccellenti del modo comune di operare che hanno le virtù. Questa loro perfezione deve consistere principalmente in qualche speciale o forte ispirazione e mozione dello Spirito Santo, che superi con più efficacia gli impedimenti e muova il libero arbitrio, dandogli maggiore forza affinché non operi debolmente, ma anzi con grande pienezza di perfezione e forza in quella specie di virtù alla quale appartiene il dono. A tutto questo non può giungere il libero arbitrio, se non è illuminato e mosso con speciale efficacia, virtù e forza dello Spirito Santo, che lo spinge fortemente, soavemente e dolcemente, affinché segua quella illuminazione e con libertà operi e voglia quella azione che pare sia fatta nella volontà con l'efficacia dello Spirito divino, come dice l'Apostolo. Perciò questa mozione si chiama istinto dello Spirito Santo; la volontà, infatti, sebbene operi liberamente e senza violenza, in queste opere si comporta molto come strumento volontario e molto somiglia a questo, perché opera con minore esame della prudenza comune con la quale operano le virtù, anche se non con minore intelligenza e libertà.
598. Mi farò intendere in parte con un esempio, avvertendo che, per muovere la volontà alle opere di virtù, concorrono due cose nelle facoltà. L'una è il peso o inclinazione che la stessa volontà ha in sé, che la muove cosi come la gravità porta la pietra o la leggerezza il fuoco, perché ciascuno vada verso il suo centro. Le virtù accrescono più o meno questa inclinazione nella volontà, come fanno i vizi a modo loro; infatti, volgendola all'amore pesano e l'amore è il suo peso che la porta liberamente. L'altra cosa che concorre in questa mozione è da parte dell'intelletto un'illuminazione nelle virtù, dalla quale la volontà è mossa e determinata; essa è proporzionata alle virtù ed agli atti della volontà. Per quelli ordinari servono la prudenza e la sua deliberazione ordinaria, ma per altri atti più elevati è necessaria una più alta e superiore illuminazione e mozione dello Spirito Santo, la quale appartiene ai doni. Poiché la carità è soprannaturale e procede dalla volontà divina come il raggio nasce dal sole, riceve un particolare influsso da Dio; essa muove a sua volta le altre virtù della volontà, e maggiormente quando opera con i doni dello Spirito Santo.
599. Conformemente a ciò, nei doni dello Spirito Santo mi pare di conoscere da parte dell'intelletto una speciale illuminazione, nella quale esso si comporta molto passivamente, volta a muovere la volontà. Ad essa corrispondono le sue virtù con qualche grado di perfezione che inclina, con forza superiore a quella ordinaria, ad opere molto eroiche. Come la pietra, se oltre al suo peso le si aggiunge un altro impulso, si muove più velocemente, così nella volontà, aggiungendo la perfezione, ossia l'impulso dei doni, i moti delle virtù sono più eccellenti e perfetti. Il dono della sapienza comunica all'anima un certo gusto, per mezzo del quale conosce ciò che è divino e ciò che è umano senza inganno, dando all'uno ed all'altro il proprio valore e peso, in opposizione al gusto che procede dall'ignoranza e stoltezza umana; questo dono appartiene alla carità. Il dono dell'intelletto chiarifica per penetrare le cose divine e conoscerle, contro la durezza e lentezza del nostro intelletto. Quello della conoscenza fa penetrare ciò che è più oscuro e rende maestri perfetti contro l'ignoranza. Questi due doni appartengono alla fede. Il dono del consiglio incammina, indirizza e trattiene dalla precipitazione umana, contro l'imprudenza; questo appartiene alla sua virtù propria, che è la prudenza. Quello della fortezza scaccia il timore disordinato e rinvigorisce la debolezza; appartiene alla virtù dallo stesso nome. Quello della pietà rende buono il cuore, gli toglie la durezza e lo ammorbidisce contro l'empietà e la durezza; appartiene alla virtù della religione. Il dono del timore di Dio umilia amorosamente contro la superbia; questo corrisponde all'umiltà.
600. Maria santissima possedeva tutti i doni dello Spirito Santo, avendo come un certo diritto ad essi in quanto madre del Verbo divino, da cui procede lo Spirito Santo, al quale tali doni si attribuiscono. Rapportando questi doni alla dignità speciale di madre, era conseguente che si trovassero in lei con la dovuta proporzione e con tanta differenza da tutte le altre anime quanta ve n'è tra il chiamarsi lei madre di Dio e tutte le altre semplicemente creature. Questo accadeva anche perché la grande Regina era assai vicina allo Spirito Santo per questa dignità e per l'impeccabilità, mentre tutte le altre creature se ne trovano molto lontane, sia per la colpa sia per la distanza dell'esistenza comune, senza altro rapporto o affinità con lo Spirito divino. Se in Cristo nostro redentore e maestro erano come nell'origine e nella fonte, si dovevano trovare anche in Maria sua degna madre come in un ricettacolo o mare da dove si distribuissero a tutte le creature, poiché dalla sua pienezza sovrabbondante si riversano su tutta la Chiesa. Salomone espresse ciò con un'altra metafora nei Proverbi, dicendo che la sapienza costruì una casa su sette colonne, imbandì la mensa, preparò il vino ed invitò gli inesperti ed i privi di senno per trarli fuori dalla stoltezza ed insegnare loro la prudenza. Non mi trattengo a spiegare questo, poiché nessun cattolico ignora che Maria santissima fu questa magnifica abitazione dell'Altissimo, edificata e fondata sopra questi sette doni per sua solidità e bellezza e per preparare in questa casa mistica il banchetto di tutta la Chiesa; in Maria, infatti, è pronta la mensa, affinché tutti noi piccolini ed ignoranti figli di Adamo arriviamo a saziarci dell'influsso e dei doni dello Spirito Santo.
601. Quando questi doni si acquistano mediante la disciplina e l'esercizio delle virtù superando i vizi contrari, il timore ha il primo posto; in Cristo Signore nostro, però, Isaia cominciò ad enumerarli dal dono della sapienza, che è il più alto, perché egli li ricevette come maestro e capo, non come discepolo che li apprendesse. Con questo stesso ordine li dobbiamo considerare nella sua Madre santissima, perché nei doni somigliò più lei al suo Figlio santissimo che le altre creature a lei. Il dono della sapienza contiene un'illuminazione saporosa, mediante la quale l'intelletto conosce la verità delle cose per le loro cause intime e supreme; e la volontà, con il gusto della verità del vero bene, discerne e separa questo bene da quello apparente e falso, perché è veramente sapiente colui che conosce senza inganno il vero bene per gustarlo e lo gusta conoscendolo. Questo gusto della sapienza consiste nel godere del sommo Bene per un'intima unione di amore, cui segue il sapore e gusto dei bene onesto, partecipato ed esercitato per mezzo delle virtù inferiori all'amore. Perciò non si chiama sapiente colui che conosce la verità solo speculativamente, benché abbia in questa conoscenza il suo diletto, né colui che opera atti di virtù per la sola conoscenza, e tanto meno se lo fa per altra causa. Se, però, opera con intimo amore unitivo per il gusto del sommo e vero Bene, che conosce senza inganno, ed in lui e per lui tutte le verità inferiori, allora questi sarà veramente sapiente. Tale conoscenza viene data alla sapienza dal dono dell'intelletto, che la precede ed accompagna; esso consiste in un intima penetrazione delle verità divine e di quelle che a questo ordine si possono ricondurre e collegare, perché lo Spirito scruta le profondità di Dio, come dice l'Apostolo.
602. Questo medesimo Spirito sarà necessario per intendere e dire qualcosa dei doni di sapienza ed intelletto che ebbe l'imperatrice del cielo, Maria. L'impeto del fiume della somma Bontà, trattenuto per tanti secoli, infine rallegrò questa città di Dio con la corrente che riversò nella sua anima santissima per mezzo dell'Unigenito del Padre e suo, che abitò in lei; fu come se - a nostro modo di intendere - avesse scaricato in questo pelago di sapienza l'infinito mare della Divinità, nello stesso momento in cui Maria poté invocare lo spirito della sapienza. Anzi, perché lo chiamasse venne a lei, affinché apprendesse tale sapienza senza finzione e la comunicasse senza invidia, come fece, poiché per mezzo della sua sapienza si manifestò al mondo la luce del Verbo eterno incarnato. Questa sapientissima Vergine conobbe la struttura del mondo e la forza degli elementi, il principio, la fine e il mezzo dei tempi, il loro alternarsi, la posizione degli astri, la natura degli animali e l'istinto delle fiere, i poteri degli spiriti e i ragionamenti degli uomini, la varietà delle piante e la proprietà delle radici, tutto ciò che è nascosto, occulto e superiore al pensiero degli uomini, i misteri e le vie segrete dell'Altissimo. Maria santissima nostra regina conobbe e gustò tutto ciò con il dono della sapienza che, bevuta alla sua fonte originale, restò parola fatta del suo pensiero.
603. Qui ricevette questo effluvio della virtù di Dio, questa emanazione della sua carità sincera che la fece immacolata, preservandola dalla colpa che imbratta l'anima dei mortali, rendendola così specchio senza macchia della maestà di Dio. Qui attinse lo spirito che la sapienza contiene, spirito intelligente, santo, unico, molteplice, sottile, mobile, penetrante, senza macchia, terso, inoffensivo, amante del bene, acuto, libero, benefico, amico dell'uomo, stabile, sicuro, senza affanni, onnipotente, onniveggente e che pervade tutti gli spiriti intelligenti, puri, sottilissimi. Tutte queste qualità di cui parlò l'autore del libro della Sapienza si trovarono in modo singolare e perfetto in Maria santissima, dopo che nel suo Figlio unigenito. Insieme con la sapienza le vennero tutti i beni e in tutto la precedevano questi altissimi doni di sapienza ed intelletto, affinché in tutte le azioni delle altre virtù fosse da essi guidata ed in tutte si vedesse l'impronta dell'incomparabile sapienza con la quale operava.
604. Degli altri doni si è già riferito qualcosa parlando delle virtù alle quali appartengono; ma, poiché tutto quanto possiamo intendere e dire è assai meno di quello che vi era in questa città mistica di Maria, troveremo sempre molto da aggiungere. Il dono del consiglio segue nell'ordine di Isaia quello dell'intelletto. Esso consiste in una illuminazione soprannaturale con la quale lo Spirito Santo tocca l'intimo dell'uomo, illuminandolo sopra ogni umana e comune intelligenza, affinché scelga ciò che è più utile, conveniente e giusto e respinga il contrario, conducendo la volontà, con le regole dell'eterna ed immacolata legge divina, all'unità di un solo amore ed alla conformità perfetta con la volontà del sommo Bene. Accogliendo questa ispirazione divina la creatura bandisce da sé la molteplicità e varietà delle inclinazioni e degli attaccamenti ai beni esteriori e terreni, che possono essere di intralcio al cuore impedendogli di ascoltare e seguire questo impulso e consiglio divino e di giungere a conformarsi a quell'esempio vivo di Cristo nostro Signore, il quale con altissimo consiglio disse all'eterno Padre: Non sia fatta la mia, ma la tua volontà.
605. Il dono della fortezza è una partecipazione o influsso della virtù divina, che lo Spirito Sant6 comunica alla volontà creata affinché, felicemente coraggiosa, si sollevi sopra tutto quello che la debolezza umana può e suole temere dalle tentazioni, dai dolori, dalle tribolazioni e dalle avversità. Sorpassando e vincendo tutto, essa acquista e conserva ciò che vi è di più arduo ed eccellente nelle virtù e, innalzandosi sempre più, trascende tutte le virtù, le grazie, le consolazioni interiori e spirituali, le rivelazioni, gli amori sensibili, per nobili ed eccellenti che siano. Tutto, insomma, lascia dietro di sé, estendendosi con divino sforzo fino ad arrivare a conseguire l'intima e suprema unione con il sommo Bene, al quale anela con desideri ardentissimi e dove veramente esce dal forte la dolcezza, avendo tutto vinto in colui che le dà la forza 16 . Il dono della conoscenza èuna capacità di discernere con rettitudine infallibile tutto quello che si deve credere ed operare con le virtù. Si differenzia dal consiglio perché questo sceglie e quella giudica, l'uno forma la scelta prudente e l'altra il giudizio retto. Si distingue, poi, dal dono dell'intelletto perché questo penetra le verità profonde riguardanti la fede e le virtù, come in una semplice intelligenza, mentre il dono della conoscenza sa ciò che da esse si deduce ed applica le azioni esterne delle facoltà alla perfezione della virtù, nella quale il dono della conoscenza è come radice e madre della discrezione.
606. Il dono della pietà è una virtù divina o influsso con il quale lo Spirito Santo ammorbidisce e in un certo modo fonde e scioglie la volontà umana, muovendola verso tutto ciò che appartiene al servizio dell'Altissimo ed al beneficio del prossimo. Con questa tenerezza e soave dolcezza la nostra volontà sta pronta e la nostra memoria attenta in ogni tempo, luogo e avvenimento a lodare e benedire il sommo Bene ed a rendere a lui grazie ed onore, come anche ad avere compassione tenera e amorosa delle creature, senza mancare di sovvenirle nelle loro tribolazioni e necessità. Questo dono della pietà non è trattenuto dall'invidia né conosce odio, avarizia, tiepidezza o meschinità, perché causa una forte e soave inclinazione per cui abbraccia con dolcezza e amore tutte le opere d'amore di Dio e del prossimo; anzi, rende benevolo, pieno di riguardo, premuroso e diligente chi lo possiede. Per questo l'Apostolo dice che l'esercizio della pietà è utile a tutto, portando con sé la promessa della vita eterna, perché è uno strumento nobilissimo della carità.
607. Viene in ultimo luogo il dono del timore di Dio, tanto lodato, magnificato e raccomandato ripetutamente nella Scrittura divina e dai santi Dottori come fondamento della perfezione cristiana e principio della vera sapienza, perché è il primo che resiste alla stoltezza arrogante degli uomini e quello che con maggiore forza la distrugge ed annienta. Questo dono così importante consiste in un'amorosa fuga ed in una nobilissima e pudica riservatezza con cui l'anima si ritira in se stessa e nella conoscenza della propria condizione e bassezza, considerandola in confronto con la suprema grandezza e maestà di Dio, e, non volendo sentire né pensare altamente di se stessa, teme, come insegnò l'Apostolo. Questo santo timore ha i suoi gradi, perché al principio si chiama iniziale ed in seguito filiale. L'anima, infatti, comincia a fuggire dalla colpa, come contraria al sommo Bene che ama con riverenza; passa, poi, ad abbassare e disprezzare se stessa, perché paragona la propria natura con la maestà di Dio, la propria ignoranza con la sua sapienza e la propria povertà con la sua infinita ricchezza. Trovandosi in tutto soggetta pienamente alla volontà divina, si umilia e sottomette anche a tutte le creature per Dio, muovendosi verso di lui e verso di loro con intimo amore e giungendo così alla perfezione dei figli di Dio, cioè alla suprema unione di spirito con il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo.
608. Se mi dilungassi maggiormente nella spiegazione di questi doni, uscirei dal mio intento ed allungherei troppo questo discorso. Quello che ho detto mi pare sufficiente per capire la loro natura e le loro qualità. Inteso questo, si deve considerare che nella sovrana Regina del cielo tutti i doni dello Spirito Santo si trovarono non solamente nel grado sufficiente e ordinario che ciascuno di essi ha nel suo genere, perché ciò sarebbe comune agli altri santi, ma con speciale eccellenza e privilegio quale non poté aver luogo in nessuno di loro, né sarebbe stato conveniente ad altri inferiori a lei. Compreso, dunque, in che cosa consistono il timore santo, la pietà, la fortezza, la conoscenza ed il consiglio in quanto doni speciali dello Spirito Santo, il giudizio umano e l'intelletto angelico si estendano e pensino il grado dei doni più alto, nobile, eccellente, perfetto e divino. Si sappia che i doni di Maria si trovano al di là di quanto possono concepire tutte le creature insieme e che il più basso grado di essi corrisponde a quello più alto immaginato dal pensiero umano, come il più alto grado dei doni di questa Signora e regina delle virtù tocca, in qualche modo, il più basso grado delle eccellenze di Cristo e della Divinità.
Insegnamento della Regina santissima Maria
609. Figlia mia, questi nobilissimi ed eccellentissimi doni dello Spirito Santo che hai inteso sono un emanazione con cui la Divinità si comunica e si trasferisce nelle anime sante, per cui non ammettono limitazione da parte loro come l'hanno da parte del soggetto da cui sono ricevuti. Se le creature liberassero dagli affetti e dall'amore terreno il loro cuore, benché esso sia limitato, parteciperebbero senza misura del torrente della Divinità infinita, per mezzo degli inestimabili doni dello Spirito Santo. Le virtù purificano la creatura dalla bruttezza e dalla macchia dei vizi, se ne ha, e tramite esse questa comincia a ristabilire l'ordine armonico delle sue facoltà, perso prima per il peccato originale e dopo per quelli attuali suoi propri. Inoltre, le virtù aggiungono bellezza, forza e diletto nel bene operare. I doni dello Spirito Santo sollevano le stesse virtù ad un sublime grado di perfezione, ornamento e bellezza mediante il quale l'anima si dispone, si abbellisce e si rende graziosa per entrare nel talamo dello Sposo, dove in modo ammirabile resta unita alla Divinità in un solo spirito e nel vincolo dell'eterna pace. Da quel felicissimo stato esce fedelissima e sicura ad operare virtù eroiche e con esse torna a ritirarsi al medesimo principio da cui è uscita, che è lo stesso Dio; alla sua ombra riposa tranquilla e quieta, senza che la turbino gli impeti furiosi delle passioni ed i loro appetiti disordinati. Pochi, però, ottengono questa felicità e solo per esperienza la conosce chi la riceve.
610. Medita, perciò, o carissima, e considera con profonda attenzione come salirai al grado più alto di questi doni, perché la volontà del Signore e mia è che tu passi più avanti al banchetto che la sua dolcezza ti prepara con la benedizione dei doni; a questo fine, appunto, li hai ricevuti. Considera, dunque, che per l'eternità vi sono solamente due cammini: uno, che conduce alla morte eterna per il disprezzo delle virtù e per l'ignoranza della Divinità; l'altro, che porta alla vita eterna mediante la conoscenza fruttuosa dell'Altissimo, perché questa è la vita eterna, che si conoscano Dio e il suo Unigenito che egli ha inviato nel mondo. Battono il cammino della morte infiniti stolti, i quali non conoscono la loro stessa ignoranza, presunzione e superbia, accecati da una spaventosa insipienza. A quelli che, invece, chiamò misericordiosamente alla sua ammirabile luce, rigenerandoli come figli della luce, diede in questa generazione il nuovo essere che hanno per la fede, la speranza e la carità e che li fa suoi ed eredi della divina ed eterna felicità. Ricondottili così allo stato di figli, diede loro le virtù che si infondono nella prima giustificazione, affinché come figli della luce compissero proporzionatamente opere di luce, in base alle quali tiene pronti da dare i doni dello Spirito Santo. E come il sole materiale a nessuno nega il suo calore e la sua luce, se nel soggetto vi è capacità e disposizione per ricevere la virtù dei suoi raggi, così non nega se stessa né si nasconde ad alcuno la sapienza divina, che invita e chiama tutti, gridando in cima alle alture, sulle strade battute e nei sentieri più nascosti, presso le porte e nelle piazze delle città. La stoltezza dei mortali, però, li rende sordi, la loro empia malizia li fa dispregiatori e la loro incredula perversità li allontana da Dio, la cui sapienza non entra in un'anima che opera il male né abita in un corpo schiavo del peccato.
611. Ma tu, figlia mia, rifletti bene sulle tue promesse, sulla tua vocazione e sui tuoi desideri, perché la lingua che mente a Dio uccide l'anima; non volere provocarti la morte con gli errori della tua vita né attirarti la rovina con le opere delle tue mani, come per mezzo della divina luce sai che fanno i figli delle tenebre. Temi l'onnipotente Dio e Signore con timore santo, umile e ben ordinato ed in tutte le tue azioni determina la tua condotta con questo maestro. Offri il tuo cuore duttile, arrendevole e docile alla disciplina ed alle opere di pietà. Giudica con rettitudine la virtù ed il vizio. Fatti animo con invincibile fortezza per operare ciò che è più arduo e sublime e per soffrire ciò che è più avverso e difficile nelle tribolazioni. Scegli con discrezione i mezzi per l'esecuzione di queste opere. Considera la forza della luce divina, con la quale trascenderai tutto il sensibile, salirai alla conoscenza altissima dei segreti della sapienza divina ed apprenderai a dividere l'uomo nuovo da quello vecchio. Ti renderai capace di ricevere la sapienza quando, entrando nella cella del vino del tuo Sposo, sarai inebriata del suo amore ed in te sarà ordinata la sua carità etema .
Fatima (Portogallo), 11 marzo 1995. Cenacolo coi sacerdoti e fedeli del M.S.M. del Portogallo. Il mio segreto.
Don Stefano Gobbi
«In questo mio venerato Santuario tutti vi accolgo, miei prediletti e figli a Me consacrati, per racchiudervi nel sicuro rifugio del mio Cuore Immacolato.
- Qui Io sono apparsa come la Donna vestita di sole, per indicarvi il cammino da percorrere, in questo vostro secolo, così insidiato e posseduto dallo Spirito del male.
- Qui Io sono venuta dal cielo per offrirvi il rifugio, in cui ripararvi, nel momento della grande lotta fra Me ed il mio Avversario e nelle ore dolorose della grande tribolazione e del castigo.
- Qui Io ho fatto sorgere il Movimento Sacerdotale Mariano e, per mezzo di questo piccolo figlio, che ho portato in ogni parte del mondo, in questi anni, mi sono formata la schiera, pronta ormai alla battaglia ed alla mia più grande vittoria.
- Qui vi voglio spiritualmente uniti a questo mio figlio, oggi in cui viene fatto un grande Cenacolo del mio Movimento, davanti alla Immagine della vostra Mamma Celeste, posta nello stesso luogo in cui sono apparsa ai tre bambini Giacinta, Francesco e Lucia.
- Qui vi raccolgo tutti attorno a Me e vi manifesto la mia compiacenza, per il modo con cui avete accolto l'invito ad aderire al Movimento Sacerdotale Mariano, a consacrarvi al mio Cuore Immacolato ed a diffondere ovunque i Cenacoli di preghiera fra i sacerdoti, i bambini, i giovani e nelle famiglie.
Vi voglio spiritualmente Qui con Me, perché ormai entrate nell'ultimo periodo di tempo di questo vostro secolo, in cui gli avvenimenti che vi ho predetto avranno il loro pieno compimento. Per questo oggi, nello stesso luogo dove sono apparsa, voglio manifestare a voi il mio segreto. Il mio segreto riguarda la Chiesa. Nella Chiesa sarà portata a termine la grande apostasia, che si diffonderà in tutto il mondo; lo scisma verrà compiuto nel generale allontanamento dal Vangelo e dalla vera fede.
In essa entrerà l'uomo iniquo, che si oppone a Cristo, e che porterà al suo interno l'abominio della desolazione, dando così compimento all'orribile sacrilegio, di cui ha parlato il profeta Daniele (Mt. 24,15). Il mio segreto riguarda l'umanità. L'umanità giungerà al culmine della corruzione e della empietà, della ribellione a Dio e della aperta opposizione alla sua Legge di amore. Essa conoscerà l'ora del suo più grande castigo, che vi è già stato predetto dal profeta Zaccaria (Zc. 13, 7-9).
Allora questo luogo apparirà a tutti come segno luminoso della mia presenza materna, nell'ora suprema della vostra grande tribolazione. Da Qui la mia luce si diffonderà in ogni parte del mondo e da questa fonte sgorgherà l'acqua della divina misericordia, che scenderà ad irrorare l'aridità di un mondo, ridotto ormai ad un immenso deserto. Ed in questa mia straordinaria opera di amore e di salvezza, apparirà a tutti il trionfo del Cuore Immacolato di Colei, che viene invocata come la Madre della misericordia».