Liturgia delle Ore - Letture
Lunedi della 6° settimana del Tempo di Pasqua (San Filippo Neri)
Vangelo secondo Luca 19
1Entrato in Gèrico, attraversava la città.2Ed ecco un uomo di nome Zaccheo, capo dei pubblicani e ricco,3cercava di vedere quale fosse Gesù, ma non gli riusciva a causa della folla, poiché era piccolo di statura.4Allora corse avanti e, per poterlo vedere, salì su un sicomoro, poiché doveva passare di là.5Quando giunse sul luogo, Gesù alzò lo sguardo e gli disse: "Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua".6In fretta scese e lo accolse pieno di gioia.7Vedendo ciò, tutti mormoravano: "È andato ad alloggiare da un peccatore!".8Ma Zaccheo, alzatosi, disse al Signore: "Ecco, Signore, io do la metà dei miei beni ai poveri; e se ho frodato qualcuno, restituisco quattro volte tanto".9Gesù gli rispose: "Oggi la salvezza è entrata in questa casa, perché anch'egli è figlio di Abramo;10il Figlio dell'uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto".
11Mentre essi stavano ad ascoltare queste cose, Gesù disse ancora una parabola perché era vicino a Gerusalemme ed essi credevano che il regno di Dio dovesse manifestarsi da un momento all'altro.12Disse dunque: "Un uomo di nobile stirpe partì per un paese lontano per ricevere un titolo regale e poi ritornare.13Chiamati dieci servi, consegnò loro dieci mine, dicendo: Impiegatele fino al mio ritorno.14Ma i suoi cittadini lo odiavano e gli mandarono dietro un'ambasceria a dire: Non vogliamo che costui venga a regnare su di noi.15Quando fu di ritorno, dopo aver ottenuto il titolo di re, fece chiamare i servi ai quali aveva consegnato il denaro, per vedere quanto ciascuno avesse guadagnato.16Si presentò il primo e disse: Signore, la tua mina ha fruttato altre dieci mine.17Gli disse: Bene, bravo servitore; poiché ti sei mostrato fedele nel poco, ricevi il potere sopra dieci città.18Poi si presentò il secondo e disse: La tua mina, signore, ha fruttato altre cinque mine.19Anche a questo disse: Anche tu sarai a capo di cinque città.20Venne poi anche l'altro e disse: Signore, ecco la tua mina, che ho tenuta riposta in un fazzoletto;21avevo paura di te che sei un uomo severo e prendi quello che non hai messo in deposito, mieti quello che non hai seminato.22Gli rispose: Dalle tue stesse parole ti giudico, servo malvagio! Sapevi che sono un uomo severo, che prendo quello che non ho messo in deposito e mieto quello che non ho seminato:23perché allora non hai consegnato il mio denaro a una banca? Al mio ritorno l'avrei riscosso con gli interessi.24Disse poi ai presenti: Toglietegli la mina e datela a colui che ne ha dieci25Gli risposero: Signore, ha già dieci mine!26Vi dico: A chiunque ha sarà dato; ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha.27E quei miei nemici che non volevano che diventassi loro re, conduceteli qui e uccideteli davanti a me".
28Dette queste cose, Gesù proseguì avanti agli altri salendo verso Gerusalemme.
29Quando fu vicino a Bètfage e a Betània, presso il monte detto degli Ulivi, inviò due discepoli dicendo:30"Andate nel villaggio di fronte; entrando, troverete un puledro legato, sul quale nessuno è mai salito; scioglietelo e portatelo qui.31E se qualcuno vi chiederà: Perché lo sciogliete?, direte così: Il Signore ne ha bisogno".32Gli inviati andarono e trovarono tutto come aveva detto.33Mentre scioglievano il puledro, i proprietari dissero loro: "Perché sciogliete il puledro?".34Essi risposero: "Il Signore ne ha bisogno".
35Lo condussero allora da Gesù; e gettati i loro mantelli sul puledro, vi fecero salire Gesù.36Via via che egli avanzava, stendevano i loro mantelli sulla strada.37Era ormai vicino alla discesa del monte degli Ulivi, quando tutta la folla dei discepoli, esultando, cominciò a lodare Dio a gran voce, per tutti i prodigi che avevano veduto, dicendo:
38"'Benedetto colui che viene,'
il re, 'nel nome del Signore'.
Pace in cielo
e gloria nel più alto dei cieli!".
39Alcuni farisei tra la folla gli dissero: "Maestro, rimprovera i tuoi discepoli".40Ma egli rispose: "Vi dico che, se questi taceranno, grideranno le pietre".
41Quando fu vicino, alla vista della città, pianse su di essa, dicendo:42"Se avessi compreso anche tu, in questo giorno, la via della pace. Ma ormai è stata nascosta ai tuoi occhi.43Giorni verranno per te in cui i tuoi nemici ti cingeranno di trincee, ti circonderanno e ti stringeranno da ogni parte;44abbatteranno te e i tuoi figli dentro di te e non lasceranno in te pietra su pietra, perché non hai riconosciuto il tempo in cui sei stata visitata".
45Entrato poi nel tempio, cominciò a cacciare i venditori,46dicendo: "Sta scritto:
'La mia casa sarà casa di preghiera'.
Ma voi ne avete fatto 'una spelonca di ladri!'".
47Ogni giorno insegnava nel tempio. I sommi sacerdoti e gli scribi cercavano di farlo perire e così anche i notabili del popolo;48ma non sapevano come fare, perché tutto il popolo pendeva dalle sue parole.
Numeri 16
1Ora Core figlio di Izear, figlio di Keat, figlio di Levi, e Datan e Abiram, figli di Eliab, figlio di Pallu, figlio di Ruben,2presero altra gente e insorsero contro Mosè, con duecentocinquanta uomini tra gli Israeliti, capi della comunità, membri del consiglio, uomini stimati;3radunatisi contro Mosè e contro Aronne, dissero loro: "Basta! Tutta la comunità, tutti sono santi e il Signore è in mezzo a loro; perché dunque vi innalzate sopra l'assemblea del Signore?".
4Quando Mosè ebbe udito questo, si prostrò con la faccia a terra;5poi disse a Core e a tutta la gente che era con lui: "Domani mattina il Signore farà conoscere chi è suo e chi è santo e se lo farà avvicinare: farà avvicinare a sé colui che egli avrà scelto.6Fate questo: prendete gli incensieri tu e tutta la gente che è con te;7domani vi metterete il fuoco e porrete profumo aromatico davanti al Signore; colui che il Signore avrà scelto sarà santo. Basta, figli di Levi!".8Mosè disse poi a Core: "Ora ascoltate, figli di Levi!9È forse poco per voi che il Dio d'Israele vi abbia segregati dalla comunità d'Israele e vi abbia fatti avvicinare a sé per prestare servizio nella Dimora del Signore e per tenervi davanti alla comunità, esercitando per essa il vostro ministero?10Egli vi ha fatti avvicinare a sé, te e tutti i tuoi fratelli figli di Levi con te e ora pretendete anche il sacerdozio?11Per questo tu e tutta la gente che è con te siete convenuti contro il Signore! E chi è Aronne perché vi mettiate a mormorare contro di lui?".
12Poi Mosè mandò a chiamare Datan e Abiram, figli di Eliab; ma essi dissero: "Noi non verremo.13È forse poco per te l'averci fatti partire da un paese dove scorre latte e miele per farci morire nel deserto, perché tu voglia fare il nostro capo e dominare su di noi?14Non ci hai davvero condotti in un paese dove scorre latte e miele, né ci hai dato il possesso di campi e di vigne! Credi tu di poter privare degli occhi questa gente? Noi non verremo".15Allora Mosè si adirò molto e disse al Signore: "Non gradire la loro oblazione; io non ho preso da costoro neppure un asino e non ho fatto torto ad alcuno di loro".
16Mosè disse a Core: "Tu e tutta la tua gente trovatevi domani davanti al Signore: tu e loro con Aronne;17ciascuno di voi prenda l'incensiere, vi metta il profumo aromatico e porti ciascuno il suo incensiere davanti al Signore: duecentocinquanta incensieri. Anche tu e Aronne; ciascuno prenda un incensiere".18Essi dunque presero ciascuno un incensiere, vi misero il fuoco, vi posero profumo aromatico e si fermarono all'ingresso della tenda del convegno; lo stesso fecero Mosè e Aronne.
19Core convocò tutta la comunità presso Mosè e Aronne all'ingresso della tenda del convegno; la gloria del Signore apparve a tutta la comunità.20Il Signore disse a Mosè e ad Aronne:21"Allontanatevi da questa comunità e io li consumerò in un istante".22Ma essi, prostratisi con la faccia a terra, dissero: "Dio, Dio degli spiriti di ogni essere vivente! Un uomo solo ha peccato e ti vorresti adirare contro tutta la comunità?".23Il Signore disse a Mosè:24"Parla alla comunità e ordinale: Ritiratevi dalle vicinanze della dimora di Core, Datan e Abiram".
25Mosè si alzò e andò da Datan e da Abiram; gli anziani di Israele lo seguirono.26Egli disse alla comunità: "Allontanatevi dalle tende di questi uomini empi e non toccate nulla di ciò che è loro, perché non periate a causa di tutti i loro peccati".27Così quelli si ritirarono dal luogo dove stavano Core, Datan e Abiram. Datan e Abiram uscirono e si fermarono all'ingresso delle loro tende con le mogli, i figli e i bambini.
28Mosè disse: "Da questo saprete che il Signore mi ha mandato per fare tutte queste opere e che io non ho agito di mia iniziativa.29Se questa gente muore come muoiono tutti gli uomini, se la loro sorte è la sorte comune a tutti gli uomini, il Signore non mi ha mandato;30ma se il Signore fa una cosa meravigliosa, se la terra spalanca la bocca e li ingoia con quanto appartiene loro e se essi scendono vivi agli inferi, allora saprete che questi uomini hanno disprezzato il Signore".31Come egli ebbe finito di pronunciare tutte queste parole, il suolo si profondò sotto i loro piedi,32la terra spalancò la bocca e li inghiottì: essi e le loro famiglie, con tutta la gente che apparteneva a Core e tutta la loro roba.33Scesero vivi agli inferi essi e quanto loro apparteneva; la terra li ricoprì ed essi scomparvero dall'assemblea.34Tutto Israele che era attorno ad essi fuggì alle loro grida; perché dicevano: "La terra non inghiottisca anche noi!".
35Un fuoco uscì dalla presenza del Signore e divorò i duecentocinquanta uomini, che offrivano l'incenso.
Giobbe 18
1Bildad il Suchita prese a dire:
2Quando porrai fine alle tue chiacchiere?
Rifletti bene e poi parleremo.
3Perché considerarci come bestie,
ci fai passare per bruti ai tuoi occhi?
4Tu che ti rodi l'anima nel tuo furore,
forse per causa tua sarà abbandonata la terra
e le rupi si staccheranno dal loro posto?
5Certamente la luce del malvagio si spegnerà
e più non brillerà la fiamma del suo focolare.
6La luce si offuscherà nella sua tenda
e la lucerna si estinguerà sopra di lui.
7Il suo energico passo s'accorcerà
e i suoi progetti lo faran precipitare,
8poiché incapperà in una rete con i suoi piedi
e sopra un tranello camminerà.
9Un laccio l'afferrerà per il calcagno,
un nodo scorsoio lo stringerà.
10Gli è nascosta per terra una fune
e gli è tesa una trappola sul sentiero.
11Lo spaventano da tutte le parti terrori
e lo inseguono alle calcagna.
12Diventerà carestia la sua opulenza
e la rovina è lì in piedi al suo fianco.
13Un malanno divorerà la sua pelle,
roderà le sue membra il primogenito della morte.
14Sarà tolto dalla tenda in cui fidava,
per essere trascinato al re dei terrori!
15Potresti abitare nella tenda che non è più sua;
sulla sua dimora si spargerà zolfo.
16Al di sotto, le sue radici si seccheranno,
sopra, saranno tagliati i suoi rami.
17Il suo ricordo sparirà dalla terra
e il suo nome più non si udrà per la contrada.
18Lo getteranno dalla luce nel buio
e dal mondo lo stermineranno.
19Non famiglia, non discendenza avrà nel suo
popolo,
non superstiti nei luoghi della sua dimora.
20Della sua fine stupirà l'occidente
e l'oriente ne prenderà orrore.
21Ecco qual è la sorte dell'iniquo:
questa è la dimora di chi misconosce Dio.
Salmi 51
1'Al maestro del coro. Salmo. Di Davide.'
2'Quando venne da lui il profeta Natan dopo che aveva peccato con Betsabea.'
3Pietà di me, o Dio, secondo la tua misericordia;
nella tua grande bontà cancella il mio peccato.
4Lavami da tutte le mie colpe,
mondami dal mio peccato.
5Riconosco la mia colpa,
il mio peccato mi sta sempre dinanzi.
6Contro di te, contro te solo ho peccato,
quello che è male ai tuoi occhi, io l'ho fatto;
perciò sei giusto quando parli,
retto nel tuo giudizio.
7Ecco, nella colpa sono stato generato,
nel peccato mi ha concepito mia madre.
8Ma tu vuoi la sincerità del cuore
e nell'intimo m'insegni la sapienza.
9Purificami con issopo e sarò mondo;
lavami e sarò più bianco della neve.
10Fammi sentire gioia e letizia,
esulteranno le ossa che hai spezzato.
11Distogli lo sguardo dai miei peccati,
cancella tutte le mie colpe.
12Crea in me, o Dio, un cuore puro,
rinnova in me uno spirito saldo.
13Non respingermi dalla tua presenza
e non privarmi del tuo santo spirito.
14Rendimi la gioia di essere salvato,
sostieni in me un animo generoso.
15Insegnerò agli erranti le tue vie
e i peccatori a te ritorneranno.
16Liberami dal sangue, Dio, Dio mia salvezza,
la mia lingua esalterà la tua giustizia.
17Signore, apri le mie labbra
e la mia bocca proclami la tua lode;
18poiché non gradisci il sacrificio
e, se offro olocausti, non li accetti.
19Uno spirito contrito è sacrificio a Dio,
un cuore affranto e umiliato, Dio, tu non disprezzi.
20Nel tuo amore fa grazia a Sion,
rialza le mura di Gerusalemme.
21Allora gradirai i sacrifici prescritti,
l'olocausto e l'intera oblazione,
allora immoleranno vittime sopra il tuo altare.
Baruc 6
1Per i peccati da voi commessi di fronte a Dio sarete condotti prigionieri in Babilonia da Nabucodònosor re dei Babilonesi.2Giunti dunque in Babilonia, vi resterete molti anni e per lungo tempo fino a sette generazioni; dopo vi ricondurrò di là in pace.3Ora, vedrete in Babilonia idoli d'argento, d'oro e di legno, portati a spalla, i quali infondono timore ai pagani.4State attenti dunque a non imitare gli stranieri; il timore dei loro dèi non si impadronisca di voi.5Alla vista di una moltitudine che prostrandosi davanti e dietro a loro li adora, pensate: "Te dobbiamo adorare, Signore".6Poiché il mio angelo è con voi, egli si prenderà cura di voi.
7Essi hanno una lingua limata da un artefice, sono indorati e inargentati, ma sono simulacri falsi e non possono parlare.8Come si fa con una ragazza vanitosa, prendono oro e acconciano corone sulla testa dei loro dèi.9Talvolta anche i sacerdoti, togliendo ai loro dèi oro e argento, lo spendono per sé, dandone anche alle prostitute nei postriboli.
10Adornano poi con vesti, come si fa con gli uomini, questi idoli d'argento, d'oro e di legno; ma essi non sono in grado di salvarsi dalla ruggine e dai tarli.11Sono avvolti in una veste purpurea, ma bisogna pulire il loro volto per la polvere del tempio che si posa abbondante su di essi.12Come un governatore di una regione, il dio ha lo scettro, ma non stermina colui che lo offende.13Ha il pugnale e la scure nella destra, ma non si libera dalla guerra e dai ladri.14Per questo è evidente che non sono dèi; non temeteli, dunque!
15Come un vaso di terra una volta rotto diventa inutile, così sono i loro dèi, posti nei templi.16I loro occhi sono pieni della polvere sollevata dai piedi di coloro che entrano.17Come ad uno che abbia offeso un re si tiene bene sbarrato il luogo dove è detenuto perché deve essere condotto a morte, così i sacerdoti assicurano i templi con portoni, con serrature e con spranghe, perché non vengano saccheggiati dai ladri.18Accendono loro lumi, persino più numerosi che per se stessi, ma gli dèi non ne vedono alcuno.19Sono come una delle travi del tempio; il loro interno, come si dice, viene divorato e anch'essi senza accorgersene sono divorati dagli insetti che strisciano dalla terra, insieme con le loro vesti.20Il loro volto si annerisce per il fumo del tempio.21Sul loro corpo e sulla testa si posano pipistrelli, rondini e altri uccelli e anche i gatti.22Di qui potete conoscere che non sono dèi; non temeteli, dunque!
23L'oro di cui sono adorni per bellezza non risplende se qualcuno non ne toglie la patina; perfino quando venivano fusi, essi non se ne accorgevano.24Furono comprati a qualsiasi prezzo, essi che non hanno alito vitale.25Senza piedi, vengono portati a spalla, mostrando agli uomini la loro condizione vergognosa; arrossiscono anche i loro fedeli perché, se cadono a terra, non si rialzano più.26Neanche se uno li colloca diritti si muoveranno da sé, né se si sono inclinati si raddrizzeranno; si pongono offerte innanzi a loro come ai morti.27I loro sacerdoti vendono le loro vittime e ne traggono profitto; anche le mogli di costoro ne pongono sotto sale una parte e non ne danno né ai poveri né ai bisognosi; anche una donna in stato di impurità e la puerpera toccano le loro vittime.28Conoscendo dunque da questo che non sono dèi, non temeteli!
29Come infatti si potrebbero chiamare dèi? Perfino le donne presentano offerte a questi idoli d'argento, d'oro e di legno.30Nei templi i sacerdoti siedono con le vesti stracciate, la testa e le guance rasate, a capo scoperto.31Urlano alzando grida davanti ai loro dèi, come fanno alcuni durante un banchetto funebre.32I sacerdoti si portan via le vesti degli dèi e ne rivestono le loro mogli e i loro bambini.33Gli idoli non possono contraccambiare né il male né il bene ricevuto da qualcuno; non possono né costituire né spodestare un re;34nemmeno possono dare ricchezze né soldi. Se qualcuno, fatto un voto, non lo mantiene, non se ne curano.35Non liberano un uomo dalla morte né sottraggono il debole da un forte.36Non rendono la vista a un cieco né liberano un uomo dalle angosce.37Non hanno pietà della vedova né beneficano l'orfano.38Sono simili alle pietre estratte dalla montagna quegli idoli di legno, indorati e argentati. I loro fedeli saranno confusi.39Come dunque si può ritenere e dichiarare che costoro sono dèi?
40Inoltre, perfino gli stessi Caldei li disonorano; questi infatti quando trovano un muto incapace di parlare lo presentano a Bel pregandolo di farlo parlare, quasi che costui potesse sentire.41Costoro, pur rendendosene conto, non sono capaci di abbandonare gli idoli, perché non hanno senno.42Le donne siedono per la strada cinte di cordicelle e bruciano della crusca.43Quando qualcuna di esse, tratta in disparte da qualche passante, si è data a costui, schernisce la sua vicina perché non fu stimata come lei e perché la sua cordicella non fu spezzata.44Quanto avviene attorno agli idoli è menzogna; dunque, come si può credere e dichiarare che costoro sono dèi?
45Gli idoli sono lavoro di artigiani e di orefici; essi non diventano niente altro che ciò che gli artigiani vogliono che siano.46Coloro che li fabbricano non hanno vita lunga; come potrebbero le cose da essi fabbricate essere dèi?47Essi lasciano ai loro posteri menzogna e ignominia.48Difatti, quando sopraggiungono la guerra e le calamità, i sacerdoti si consigliano fra di loro sul come potranno nascondersi insieme con i loro dèi.49Come dunque è possibile non comprendere che non sono dèi coloro che non possono salvare se stessi né dalla guerra né dai mali?50Dopo tali fatti si riconoscerà che gli idoli di legno, indorati e argentati, sono una menzogna; a tutte le genti e ai re sarà evidente che essi non sono dèi, ma lavoro delle mani d'uomo e che sono privi di ogni qualità divina.51A chi dunque non sarà evidente che non sono dèi?
52Essi infatti non possono costituire un re sul paese né concedere la pioggia agli uomini;53non risolvono le contese, né liberano l'oppresso, poiché non hanno alcun potere; sono come cornacchie fra il cielo e la terra.54Infatti, se il fuoco si attacca al tempio di questi dèi di legno o indorati o argentati, mentre i loro sacerdoti fuggiranno e si metteranno in salvo, essi invece come travi bruceranno là in mezzo.55A un re e ai nemici non possono resistere.56Come dunque si può ammettere e pensare che essi siano dèi?
57Né dai ladri né dai briganti si salveranno questi idoli di legno, argentati e indorati, ai quali i ladri con la violenza tolgono l'oro, l'argento e la veste che li avvolge e poi fuggono tenendo la roba; essi non sono in grado di aiutare neppure se stessi.58Per questo vale meglio di questi dèi bugiardi un re che mostri coraggio oppure un arnese utile in casa, di cui si serve chi l'ha acquistato; anche meglio di questi dèi bugiardi è una porta, che tenga al sicuro quanto è dentro la casa o perfino una colonna di legno in un palazzo.59Il sole, la luna, le stelle, essendo lucenti e destinati a servire a uno scopo obbediscono volentieri.60Così anche il lampo, quando appare, è ben visibile; anche il vento spira su tutta la regione.61Quando alle nubi è ordinato da Dio di percorrere tutta la terra, eseguiscono l'ordine; il fuoco, inviato dall'alto per consumare monti e boschi, eseguisce il comando.62Gli idoli invece non assomigliano né per l'aspetto né per la potenza a queste cose.63Perciò non si deve ritenere né dichiarare che siano dèi, poiché non possono né rendere giustizia né beneficare gli uomini.64Conoscendo dunque che non sono dèi, non temeteli!
65Essi non maledicono né benedicono i re;66non mostrano alle genti segni nel cielo, né risplendono come il sole, né illuminano come la luna.67Le belve sono migliori di loro, perché possono fuggire in un riparo e provvedere a se stesse.68Dunque, in nessuna maniera è chiaro per noi che essi sono dèi; per questo non temeteli!
69Come infatti uno spauracchio che in un cocomeraio nulla protegge, tali sono i loro idoli di legno indorati e argentati;70ancora, i loro idoli di legno indorati e argentati si possono paragonare a un ramo nell'orto, su cui si posa ogni sorta di uccelli, o anche a un cadavere gettato nelle tenebre.71Dalla porpora e dal bisso che si logorano su di loro saprete che non sono dèi; infine saranno divorati e nel paese saranno una vergogna.72È migliore un uomo giusto che non abbia idoli, poiché sarà lontano dal disonore.
Lettera a Tito 3
1Ricorda loro di esser sottomessi ai magistrati e alle autorità, di obbedire, di essere pronti per ogni opera buona;2di non parlar male di nessuno, di evitare le contese, di esser mansueti, mostrando ogni dolcezza verso tutti gli uomini.3Anche noi un tempo eravamo insensati, disobbedienti, traviati, schiavi di ogni sorta di passioni e di piaceri, vivendo nella malvagità e nell'invidia, degni di odio e odiandoci a vicenda.4Quando però si sono manifestati la bontà di Dio, salvatore nostro, e il suo amore per gli uomini,5egli ci ha salvati non in virtù di opere di giustizia da noi compiute, ma per sua misericordia mediante un lavacro di rigenerazione e di rinnovamento nello Spirito Santo,6effuso da lui su di noi abbondantemente per mezzo di Gesù Cristo, salvatore nostro,7perché giustificati dalla sua grazia diventassimo eredi, secondo la speranza, della vita eterna.
8Questa parola è degna di fede e perciò voglio che tu insista in queste cose, perché coloro che credono in Dio si sforzino di essere i primi nelle opere buone. Ciò è bello e utile per gli uomini.9Guàrdati invece dalle questioni sciocche, dalle genealogie, dalle questioni e dalle contese intorno alla legge, perché sono cose inutili e vane.10Dopo una o due ammonizioni sta' lontano da chi è fazioso,11ben sapendo che è gente ormai fuori strada e che continua a peccare condannandosi da se stessa.
12Quando ti avrò mandato Àrtema o Tìchico, cerca di venire subito da me a Nicòpoli, perché ho deciso di passare l'inverno colà.13Provvedi con cura al viaggio di Zena, il giureconsulto, e di Apollo, che non manchi loro nulla.14Imparino così anche i nostri a distinguersi nelle opere di bene riguardo ai bisogni urgenti, per non vivere una vita inutile.
15Ti salutano tutti coloro che sono con me. Saluta quelli che ci amano nella fede.
La grazia sia con tutti voi!
Capitolo XVII: Affidare stabilmente in Dio ogni cura di noi stessi
Leggilo nella Biblioteca1. Figlio, lascia che io faccia con te quello che voglio: io so quello che ti è necessario. Tu hai pensieri umani e i tuoi sentimenti seguono spesso suggestioni umane. Signore, è ben vero quanto dici. La tua sollecitudine per me è più grande di ogni premura che io possa avere per me stesso. In verità, chi non rimette in te tutte le sue preoccupazioni si affida proprio al caso. Signore, purché la mia volontà sia continuamente retta e ferma in te, fai di me quello che ti piace. Giacché, qualunque cosa avrai fatto di me non può essere che per il bene. Se mi vuoi nelle tenebre, che tu sia benedetto; e se mi vuoi nella luce, che tu sia ancora benedetto. Se ti degni di darmi consolazione, che tu sia benedetto; e se mi vuoi nelle tribolazione, che tu sia egualmente benedetto.
2. Figlio, se vuoi camminare con me, questo deve essere il tuo atteggiamento. Devi essere pronto a patire, come pronto a godere; devi lietamente essere privo di tutto e povero, come sovrabbondante e ricco. Signore, qualunque cosa vorrai che mi succeda, la sopporterò di buon grado per tuo amore. Con lo stesso animo voglio accettare dalla tua mano bene e male, dolcezza e amarezza, gioia e tristezza; e voglio renderti grazie per ogni cosa che mi accada. Preservami da tutti i peccati, e non temerò né la morte né l'inferno. Purché tu non mi respinga per sempre cancellandomi dal libro della vita, qualunque tribolazione mi piombi addosso non mi farà alcun male.
Soliloqui - parte prima
Soliloqui - Sant'Agostino d'Ippona
Leggilo nella BibliotecaS. Agostino: Soliloqui LIBRO PRIMO
PRIMA DISCUSSIONE
Agostino cerca se stesso, ma la forza fisica gli manca
1, I. Da molto tempo volgevo tra me e me molti e differenti pensieri e da tanti giorni cercavo ardentemente me stesso, cercavo il mio bene e quale male dovessi evitare; quando all'improvviso - ero io o un altro? di dentro o di fuori? è proprio quello che ora mi sforzo attentamente di sapere - una voce mi dice:
RAGIONE - Ecco: supponi di aver acquisito qualche conoscenza: a chi l'affiderai per passare ad altre ricerche?
AGOSTINO - Alla memoria, naturalmente.
RAGIONE - Essa è dunque così valida da conservare egregiamente tutti i tuoi pensieri?
AGOSTINO - Difficilmente; forse anzi le è impossibile.
RAGIONE - Allora devi scrivere. Ma come puoi farlo, se la tua salute ricusa la fatica di scrivere? Peraltro queste riflessioni non si devono dettare: esse richiedono un'assoluta solitudine.
AGOSTINO - Dici il vero: allora non so proprio che fare.
La ragione lo invita a pregare
RAGIONE - Invoca salvezza ed aiuto per poter giungere al fine dei tuoi desideri; e questa stessa preghiera redigila per scritto; questo fatto ti darà più coraggio. Poi riassumi brevemente in poche conclusioni il risultato delle tue ricerche, senza pensare per ora ad una folta schiera di lettori: queste riflessioni infatti possono mirare solo a pochi fra i tuoi concittadini.
AGOSTINO - Farò così.
Preghiera a Dio
2. Dio, creatore del mondo, concedimi per prima cosa che io ti preghi bene, quindi che mi renda degno che tu mi liberi, infine che tu mi liberi. Dio, per mezzo del quale tutte le cose che da sé non sarebbero, si muovono verso l'essere. Dio, che neppure quelle cose, che reciprocamente si perdono, tu permetti che periscano. Dio, che dal nulla questo mondo hai creato, questo mondo che gli occhi di tutti percepiscono bellissimo. Dio, che non fai il male e lo fai essere solo perché non avvenga un male peggiore. Dio, che manifesti a pochi, quelli che si rivolgono a ciò che veramente è, che il male non è una realtà. Dio, per la cui potenza il mondo intero, anche con la parte meno adatta, raggiunge la perfezione. Dio, la dissonanza dal quale non produce l'estrema dissoluzione, poiché le cose peggiori si armonizzano con le migliori. Dio, che sei amato da ogni essere che può amare, lo sappia o non lo sappia. Dio, nel quale sono tutte le cose, ma che la deformità esistente nel mondo non rende deforme, né il male meno perfetto, né l'errore meno vero. Dio, che hai voluto che soltanto gli spiriti puri conoscessero il vero. Dio, padre della verità, padre della sapienza, padre della vita vera e somma, padre della beatitudine, padre del bene e del bello, padre della luce intelligibile, padre del nostro risveglio e della nostra illuminazione, padre della caparra, mediante la quale siamo ammoniti di ritornare a te.3. Ti invoco, o Dio verità, nel quale, dal quale e per mezzo del quale sono vere tutte quelle realtà che sono vere. Dio sapienza, nel quale, dal quale e per mezzo del quale sono sapienti tutti quegli esseri che hanno sapienza. Dio vita vera e somma, nel quale, dal quale e per mezzo del quale vivono tutte quelle realtà che hanno vita vera e somma. Dio beatitudine, nel quale, dal quale e per mezzo del quale sono beati tutti gli esseri che sono beati. Dio bene e bellezza, nel quale, dal quale e per mezzo del quale sono buone e belle tutte quelle realtà che hanno bontà e bellezza. Dio luce intelligibile, nel quale, dal quale e per mezzo del quale brillano di luce intelligibile tutti quegli esseri che brillano di luce intelligibile. Dio, il cui regno è tutto quel mondo che è nascosto al senso. Dio, dal cui regno deriva la legge per i nostri regni naturali. Dio, dal quale allontanarsi è cadere, voltarsi verso il quale è risorgere, rimanere nel quale è avere consistenza. Dio, dal quale uscire è morire, avviarsi verso il quale è tornare a vivere, dimorare nel quale è vivere. Dio, che nessuno lascia se non è ingannato, che nessuno cerca se non è chiamato, che nessuno trova se non è purificato. Dio, che abbandonare significa perire, a cui tendere significa amare, che vedere significa possedere. Dio, verso cui ci stimola la fede, c'innalza la speranza, ci unisce la carità. Dio, con la cui potenza vinciamo l'avversario. Ti supplico. Dio, per mezzo del quale abbiamo ricevuto, per non soggiacere a morte totale . Dio, dal quale siamo ammoniti, affinché vigiliamo. Dio, per la cui forza separiamo le cose buone dalle cattive. Dio, per mezzo del quale fuggiamo il male e operiamo il bene. Dio, per cui non cediamo alle avversità. Dio, col cui aiuto siamo soggetti rettamente al potere e con rettitudine lo esercitiamo. Dio, per la cui forza apprendiamo che sono anche di altri le cose che una volta reputavamo nostre e sono anche nostre le cose che un tempo reputavamo di altri. Dio, con il cui aiuto non ci attacchiamo agli adescamenti e irretimenti delle passioni. Dio, con il cui sostegno le cose minute non ci diminuiscono. Dio, per cui mezzo il nostro essere migliore non è soggetto al peggiore. Dio, con il cui aiuto la morte è annullata nella vittoria. Dio, che ci volgi verso di te. Dio, che ci spogli di ciò che non è e ci rivesti di ciò che è. Dio, che ci rendi esaudibili. Dio, che ci unisci a te. Dio, che ci immetti nella verità intera. Dio, che ci parli di tutti i beni e non ci rendi incapaci di seguirli e non permetti che ciò sia fatto da chicchessia. Dio, che ci richiami sulla strada. Dio, che ci conduci fino alla porta. Dio, che operi, affinché a chi bussa sia aperto. Dio, che ci dai il pane della vita. Dio, che ci asseti di quella bevanda, sorbendo la quale non avremo più sete. Dio, che accusi il mondo riguardo al peccato, alla giustizia, al giudizio. Dio, per la cui forza non ci smuovono coloro che non credono. Dio, per mezzo del quale riproviamo l'errore di coloro che affermano che le anime non possono meritare presso di te. Dio, con il cui ausilio non diveniamo schiavi degli elementi che causano debolezza e indigenza. Dio, che ci purifichi e ci predisponi ai premi divini. Vienimi incontro, propizio.
4. Tutto quanto ho detto, tu sei, o unico Dio. Tu vieni in mio aiuto, unica eterna vera sostanza, in cui non esiste nessuna discordanza, nessuna confusione, nessun cambiamento, nessuna deficienza, nessuna morte; in cui vi è somma concordia, somma evidenza, somma costanza, somma pienezza, somma vita; in cui nulla manca, nulla è superfluo; in cui genitore e generato sono una medesima cosa. Dio, cui è soggetto tutto ciò che è soggetto; cui obbedisce ogni anima buona. (Dio), per mezzo delle cui leggi ruotano i cieli, compiono il loro corso le stelle, il sole rinnova il giorno, la luna governa la notte e il mondo tutto, determinando i giorni mediante l'alternarsi della luce e dell'oscurità, i mesi mediante il crescere e il decrescere delle lunazioni, gli anni mediante la successione della primavera, dell'estate, dell'autunno, dell'inverno, i lustri mediante il compimento del corso solare, i grandi cicli mediante il periodico ricorso delle stelle, assicura grande regolarità, per quanto è compatibile con la materia corporea, mediante l'ordine e i periodi del tempo. Dio, le cui leggi stabili in eterno non permettono che sia turbato il movimento instabile delle cose mutevoli, riconducendole sempre, come per mezzo di un freno, mediante il corso dei secoli, ad una somiglianza della (tua) stabilità. (Dio), per le cui leggi è libero l'arbitrio dell'anima, con premi e pene distribuiti ai buoni e ai cattivi, secondo necessità universalmente determinate. Dio, da cui provengono fino a noi tutti i beni, che allontani da noi tutti i mali. Dio, sopra il quale non c'è nulla, fuori dal quale non c'è nulla, senza il quale non c'è nulla. Dio, cui tutto è sottomesso; in cui tutto è contenuto; in cui tutto esiste. (Dio), che hai fatto l'uomo a tua immagine e somiglianza, come lo riconosce chiunque conosce se stesso. Ascolta, ascolta, ascolta me, mio Dio, mio Signore, mio re, padre mio, causa mia, mia speranza, cosa mia, onore mio, dimora mia, patria mia, salvezza mia, mia luce, vita mia. Ascolta, ascolta, ascolta me, nel modo tutto tuo, ben noto solo a pochi.
5. Ormai io amo solo te, seguo solo te, cerco solo te e sono preparato a servire solo te, poiché tu solo eserciti il comando con giustizia ed io desidero ardentemente di essere in tuo potere. Comanda, ti prego e ordina ciò che vuoi, ma guarisci e apri le mie orecchie, affinché possa udire la tua voce. Guarisci e apri i miei occhi, con i quali possa vedere i tuoi cenni. Caccia da me i movimenti irragionevoli, affinché possa riconoscerti. Dimmi da che parte devo guardare, affinché possa vederti e spero di eseguire tutto ciò che comanderai. Ricevi, ti prego, il tuo schiavo fuggiasco, o Signore clementissimo. Dovrei ormai aver scontato a sufficienza, abbastanza dovrei essere stato schiavo dei tuoi nemici, che tu conculchi sotto i tuoi piedi, abbastanza dovrei essere stato ludibrio di cose ingannevoli. Ricevi me, tuo servo, che fuggo da queste cose, che, mentre fuggivo da te, mi accolsero come non loro. Sento che devo ritornare da te; a me che busso, si apra la tua porta; insegnami in che modo possa raggiungerti. Non ho altro che la volontà; non so nient'altro, se non questo, che le cose caduche e transeunti si devono disprezzare, le cose immutabili ed eterne ricercare. Questo faccio, o Padre, perché questo solo so; ignoro però da dove si deve partire, per giungere a te. Suggeriscimelo tu; mostrami tu la strada; forniscimi ciò che necessita al viaggio. Se per mezzo della fede ti ritrovano coloro che ritornano a te, dammi la fede; se per mezzo della virtù, dammi la virtù; se per mezzo del sapere, dammi il sapere. Aumenta in me la fede, aumenta in me la speranza, aumenta in me la carità. O bontà tua, singolare e da ammirare!
6. Verso di te, io voglio andare e con quali mezzi si tenda a te, ti chiedo nuovamente. Se infatti tu ci abbandoni, si perisce. Tu però non abbandoni, perché sei il sommo bene, che nessuno mai ha cercato con rettitudine, senza trovare. E ha rettamente cercato chiunque tu hai fatto capace di ricercare rettamente. Fa, o Padre, che anch'io ti cerchi, strappami dall'errore; mentre io ti cerco, che non incontri altro invece tua. Se non desidero altro che te, possa io ormai trovarti, o Padre, te ne prego. Se poi in me sopravvive un desiderio di cosa superflua, tu stesso mondami e rendimi capace di vederti. Per il resto, quanto alla salute di questo mio corpo mortale, poiché non so quale utilità possa trarne per me o per i miei cari, a te lo affido, Padre sapientissimo ed ottimo e per esso ti chiederò quello che mi suggerirai a tempo opportuno. Ora prego la tua suprema clemenza soltanto perché mi converta totalmente a te e che non mi faccia incontrare ostacoli nel mio tendere a te; che tu mi permetta, anche mentre governo e mi porto questo corpo, di essere puro, forte, giusto, prudente, amante perfetto e partecipe della tua sapienza, degno della cittadinanza e cittadino del tuo regno di ogni felicità. Amen, amen.
Conoscere Dio, conoscere l'anima
2, 7. AGOSTINO - Ho finito la mia preghiera a Dio.
RAGIONE - Allora, che cosa vuoi sapere?
AGOSTINO - Proprio tutto quello che ho domandato.
RAGIONE - Riassumilo in breve.
AGOSTINO - Voglio ardentemente conoscere Dio e l'anima.
RAGIONE - E null'altro?
AGOSTINO - Null'altro, assolutamente.
RAGIONE - Comincia dunque la tua ricerca; ma prima spiega in che modo, di fronte alla dimostrazione di Dio, tu possa dire: È sufficiente.
AGOSTINO - Ignoro fino a che punto tale dimostrazione debba essere spinta, perché io possa dire: È sufficiente. Credo infatti che non vi sia nulla che io conosco, così come desidero conoscere Dio.
RAGIONE - Che facciamo, allora? Non pensi forse che per prima cosa dovresti sapere come ti sia possibile raggiungere una conoscenza sufficiente di Dio, cosicché, raggiunto quel punto, cessi la ricerca?
AGOSTINO - Lo penso sicuramente; ma non vedo come ciò sia possibile. Infatti non ho mai conosciuto una realtà tanto simile a Dio, in modo da poter dire: Come comprendo questo, così voglio comprendere Dio.
RAGIONE - Ma se non conosci ancora Dio, come sai che non conosci nulla di simile a Dio?
AGOSTINO - Poiché se conoscessi qualcosa di simile a Dio, senza dubbio l'amerei. Ora io non amo altro che Dio e l'anima e non conosco né l'uno, né l'altra.
RAGIONE - Non ami forse i tuoi amici?
AGOSTINO - Come potrei non amarli, amando l'anima?
RAGIONE - E in tal modo ami anche le pulci e le cimici?
AGOSTINO - Ho affermato di amare l'anima, non gli animali.
RAGIONE - Allora, o i tuoi amici non sono uomini, o tu non li ami: ogni uomo, infatti, è un animale e tu hai detto di non amare gli animali.
AGOSTINO - I miei amici sono uomini ed io li amo, però non in tanto in quanto sono animali, ma perché sono uomini, cioè perché posseggono anime razionali, che amo persino nei furfanti. Posso infatti amare la ragione in chiunque, odiando però lui a buon diritto, perché usa male di quel bene che io amo. Così tanto più amo i miei amici, quanto meglio fanno uso dell'anima razionale, o almeno quanto desiderano di farne buon uso.
Conoscere Dio, meglio di quanto Agostino non conosca Alipio e non conosca se stesso
3, 8. RAGIONE - Ammetto questo. Se tuttavia ti si dicesse: Ti faccio conoscere Dio come tu conosci Alipio, non ringrazieresti dicendo: Questo è sufficiente?
AGOSTINO - Ringrazierei, ma non direi che questo è sufficiente.
RAGIONE - Perché mai, te ne prego?
AGOSTINO - Perché non conosco Dio come conosco Alipio e d'altronde non conosco Alipio a sufficienza.
RAGIONE - Non temi dunque che vi sia un qualche orgoglio nel voler conoscere Dio a sufficienza, dato che non conosci sufficientemente nemmeno Alipio?
AGOSTINO - Il tuo ragionare non è logico. In confronto alle stelle, la mia cena è certo ben insignificante; eppure io ignoro ciò che mangerò domani, ma senz'ombra di orgoglio professo di conoscere in che fase la luna si troverà domani.
RAGIONE - Allora ti è sufficiente conoscere Dio, come conosci per quale fase domani passerà la luna?
AGOSTINO - Non mi è sufficiente. Questo fenomeno infatti lo controllo con i sensi; ma ignoro se Dio o una qualche occulta causa naturale cambi all'improvviso l'ordinario corso della luna; se ciò avvenisse, renderebbe false tutte le mie previsioni.
RAGIONE - E tu credi che ciò possa verificarsi?
AGOSTINO - Non lo credo, ma io cerco per sapere, non per avere un'opinione. Ora di tutto ciò che sappiamo, forse rettamente possiamo dire di avere un'opinione; ma di tutto quello di cui abbiamo un'opinione, non possiamo parimenti dire di saperlo.
RAGIONE - Rifiuti in proposito ogni testimonianza dei sensi?
AGOSTINO - La rifiuto totalmente.
RAGIONE - E allora quel tuo amico che tu hai affermato di non conoscere ancora, vuoi conoscerlo con i sensi o con l'intelligenza?
AGOSTINO - La conoscenza che di lui ho acquisito con i sensi, se si può dare vera la conoscenza dei sensi, è di grado inferiore e mi è sufficiente; ma quella parte di lui che me lo rende amico, cioè il suo essere spirituale, desidero raggiungerla con l'intelligenza.
RAGIONE - Potrebbe essere conosciuta per altra via?
AGOSTINO - In nessun'altra.
RAGIONE - Oseresti dunque affermare che ti è sconosciuto un tuo amico, per di più molto intimo?
AGOSTINO - E perché non dovrei osare? Ritengo che sia giustissima quella legge dell'amicizia che ci prescrive di amare l'amico né più né meno che se stessi. Così, poiché ignoro me stesso, gli faccio forse ingiuria se dico che mi è sconosciuto, tanto più che, come credo, neppure egli conosce se stesso?
RAGIONE - Dunque se l'oggetto che tu desideri conoscere appartiene alla categoria delle cose che solo l'intelligenza percepisce, quando ho eccepito che vi era da parte tua dell'orgoglio nel volere conoscere Dio, mentre non conosci Alipio, non avresti dovuto proporre l'esempio della cena e della luna, se queste cose, come hai affermato, si riferiscono ai sensi.
Quale tipo di scienza Agostino vuole avere di Dio
4, 9. Ma poco ci importa. Ora rispondi a questa questione: se sono vere le affermazioni di Platone e di Plotino su Dio, ti è sufficiente conoscere Dio, come lo conoscevano loro?
AGOSTINO - Se le loro affermazioni sono vere, non ne consegue necessariamente che essi sapessero quanto dicevano. Molti infatti espongono con abbondanza di parole ciò che non sanno, come io stesso le cose che ho domandato nella preghiera, dicendo che desideravo conoscerle, e non l'avrei desiderato se già le avessi conosciute. Eppure per questa ragione non avrei forse potuto esprimerle? Ho detto cose non comprese da me con l'intelligenza, ma raccolte da ogni parte e affidate alla memoria: ad esse io ho prestato fede il più possibile; ma conoscere con certezza è altra cosa.
RAGIONE - Vuoi dire, per favore, se sai almeno che cos'è la linea in geometria?
AGOSTINO - Lo so bene.
RAGIONE - E in questa tua affermazione non ha timore degli Accademici?
AGOSTINO - Per nulla. Essi sostenevano che a sapiente non deve errare; ma io non sono un sapiente. Pertanto non temo per ora di professare la conoscenza delle cose da me conosciute. Che se poi giungerò alla sapienza come desidero, allora agirò come quella mi suggerirà.
RAGIONE - Non ho obiezioni da fare. Ma, per ritornare alla mia questione, se conosci la linea, conosci anche quel corpo rotondo che si chiama sfera?
AGOSTINO - Lo conosco.
RAGIONE - Conosci allo stesso modo linea e sfera oppure una di più e l'altra di meno?
AGOSTINO - Le conosco del tutto ugualmente: per l'una e per l'altra infatti non mi posso sbagliare.
RAGIONE - Ebbene, le hai percepite con i sensi o con l'intelletto?
AGOSTINO - Precisamente con i sensi, che in questo caso mi son serviti come una nave. Dopo avermi traghettato al punto cui tendevo, là dove li ho congedati, come uno che ormai è sceso a terra, cominciai però a considerare queste cose col pensiero. Lungamente i miei passi esitarono. Così ora mi parrebbe più facile navigare sulla terraferma, che apprendere la geometria mediante i sensi, sebbene essi, a quanto sembra, possano in certa misura giovare ai principianti.
RAGIONE - Dunque la conoscenza che tu puoi avere di questi oggetti non dubiti di chiamarla scienza?
AGOSTINO - Certamente no, se me lo permettono gli Stoici, loro che attribuiscono la conoscenza vera solo al sapiente. Ammetto di averne almeno quel genere di conoscenza che essi concedono anche alla stoltezza. Ma non li temo. Su quanto mi hai interrogato, posseggo bene una conoscenza vera. Continua ora: voglio vedere dove miri con queste domande.
RAGIONE - Non aver fretta, abbiamo tempo. Sta solo attento a non fare imprudenti ammissioni. Mi sforzo di renderti soddisfatto su argomenti per i quali non abbia a temere alcuna sorpresa: come se questo fosse cosa di piccola importanza, tu vuoi che mi affretti?
AGOSTINO - Faccia Dio, come tu dici. Allora interrogami a tuo piacere e rimproverami più duramente, se di nuovo mi succederà qualcosa di simile.
10. RAGIONE - Dunque è evidente per te che non si può dividere la linea in due, secondo la lunghezza.
AGOSTINO - È chiaro.
RAGIONE - E trasversalmente?
AGOSTINO - Si può dividere all'infinito.
RAGIONE - E non è ugualmente evidente che di tutti i cerchi che, in una sfera, passano per una parte più o meno lontana dal centro, neppure due di essi sono uguali fra loro?.
AGOSTINO - Ugualmente evidente.
RAGIONE - La linea e la sfera ti sembrano uguali o c'è fra esse qualche differenza?
AGOSTINO - Chi non vede che c'è moltissima differenza?
RAGIONE - Ma se tu conosci bene l'una e l'altra e pure ammetti che c'è tra esse massima differenza, può dunque esistere una scienza unica di cose diverse?
AGOSTINO - Chi mai lo ha negato?
RAGIONE - Tu, poco fa. Quando ti ho domandato come volessi conoscere Dio, onde poter affermare che ti era sufficiente, tu hai risposto che non lo sapevi spiegare, perché non vi era nulla che tu percepissi allo stesso modo con cui tu vorresti conoscere Dio, non conoscendo nulla di simile a Dio. Ed ora dunque? La linea e la sfera sono simili a Dio?
AGOSTINO - Chi mai potrebbe affermarlo?
RAGIONE - Ma io ti avevo domandato non se conoscevi validamente qualcosa di simile a Dio, bensì qualcosa di simile al tuo desiderio di conoscere Dio. Tu conosci la linea come conosci la sfera, sebbene la linea non sia la stessa cosa che la sfera. Rispondimi ora se ti è sufficiente conoscere Dio come conosci la sfera in geometria, cioè non aver dubbio su Dio, come non l'hai su di essa.
5, 11. AGOSTINO - Ti prego: tu m'incalzi e convinci con forza; io però non oso affermare di volere conoscere Dio come conosco queste figure, perché mi sembra che ci siano differenze non solo nella realtà, ma anche nella conoscenza. Primo, perché la linea e la sfera sono sì differenti, ma non tanto da non essere comprese sotto un'unica scienza. Invece nessun geometra ha fatto professione di insegnare Dio. Secondo, se fosse uguale la conoscenza di Dio e di queste figure, certo avrei nel conoscerle tanta gioia quanta penso proverei per la conoscenza di Dio. Ora, quando le paragono a lui, molto io le svaluto e mi sembra che se comprenderò Dio e lo conoscerò come è possibile, tutte queste cose s'annichileranno nel mio pensiero. Fin d'ora infatti l'amore che ho per lui impedisce loro quasi di venirmi in mente.
RAGIONE - Ammettiamo pure che tu sarai molto più soddisfatto per la conoscenza di Dio che per quella di queste figure; la differenza però è nelle cose, non nell'intelletto, a meno che tu contempli con altri occhi la terra e con altri il cielo sereno, la cui vista ti rallegra molto più dell'altra. Ma se i tuoi occhi non t'ingannano, interrogato se sei certo di vedere tanto la terra quanto il cielo, credo che debba rispondere che ti è altrettanto certo, sebbene ti allieti non tanto la terra, quanto il cielo con la sua bellezza ed il suo splendore.
AGOSTINO - Mi convince il paragone, lo ammetto, e mi induce ad assentire: quanto nel suo genere la terra differisce dal cielo, altrettanto queste dimostrazioni scientifiche sicuramente certe sono differenti dalla maestà intelligibile di Dio.
Condizioni morali necessarie per vedere Dio
6, 12. RAGIONE - È bene che tu ne sia convinto. La ragione, che parla con te, promette di manifestare Dio alla tua intelligenza, come il sole si manifesta ai tuoi occhi. Infatti le intelligenze sono per le anime come i loro sensi. Le verità le più solide della scienza somigliano agli oggetti che sono illuminati dal sole perché siano visibili, come la terra e tutte le cose terrestri. Però è Dio colui che illumina. Io, la Ragione, sto alle intelligenze come lo sguardo agli occhi. Avere gli occhi non è la stessa cosa che guardare; ed è diverso guardare e vedere. Dunque l'anima ha bisogno di tre cose: aver occhi buoni e funzionanti, guardare, vedere. Occhi sani ha l'anima pura da ogni macchia corporale, cioè ormai lontana e purificata da ogni passione per le cose mortali: questa purificazione la procura esclusivamente e anzitutto la fede. Nulla infatti si può mostrare all'anima, mentre è febbricitante e malata, perché essa non può vedere se non è sana. Ma se essa non crede che in nessun altro modo potrà vedere, non coopera per la sua salute. E se credesse che le cose stanno così come diciamo e che essa potrà vedere a questa condizione, ma disperasse di poter guarire, non si dovrebbe pensare forse che si abbandoni a un profondo accasciamento e si disprezzi e non voglia obbedire alle prescrizioni del medico?
AGOSTINO - Proprio così, specialmente perché è necessario che la malattia subisca rigorosi provvedimenti.
RAGIONE - Dunque alla fede bisogna aggiungere la speranza.
AGOSTINO - Così penso.
RAGIONE - Sì, ma se l'anima, pur ammettendo che tutto sia così, pur sperando in una possibilità di guarigione, non ama la luce che le è promessa, non la desidera e si convince di doversi accontentare provvisoriamente delle sue tenebre, diventate gradite per la consuetudine, non respingerà forse dei tutto il medico?
AGOSTINO - Senz'altro.
RAGIONE - Allora, in terzo luogo è necessaria la carità.
AGOSTINO - Nulla certamente è tanto necessario.
RAGIONE - Perciò senza queste tre virtù nessun'anima è risanata per poter vedere - cioè conoscere - il suo Dio. 13. E quando avrà occhi sani, che resta da fare?
AGOSTINO - Guardare.
RAGIONE - Sguardo dell'anima è la ragione. Ma poiché non sempre chi guarda vede realmente, lo sguardo retto e perfetto, cioè completato dal fatto di vedere, si chiama virtù. La virtù è infatti la rettitudine o la perfezione della ragione. Ma anche lo sguardo non può rivolgere gli occhi già guariti alla luce, senza che permangano quelle tre disposizioni: la fede, che gli fa credere che la realtà, verso cui deve rivolgersi, lo renda felice per il fatto di vederla; la speranza che lo fa congetturare, guardando bene, di vedere; la carità, che lo fa desiderare di vedere e di godere. Lo sguardo consegue poi la visione di Dio, che ne è il termine: non che lo sguardo si annulli, ma non ha più oggetto ulteriore; in essa consiste la vera perfezione della virtù, la ragione che raggiunge il suo fine e la conseguente felicità. La visione poi consiste nella conoscenza che sussiste nell'anima e che si compie mediante il concorso del soggetto conoscente e dell'oggetto conosciuto, come per gli occhi l'atto che si dice vedere risulta dal senso e dall'oggetto sensibile: eliminando l'uno o l'altro, è impossibile vedere alcunché.
Acquisita questa visione, solo la carità sussiste. Ma fede e speranza sono necessarie quaggiù
7, 14. Vediamo ora dunque se l'anima, quando sarà capace di vedere cioè di conoscere Dio, avrà ancora bisogno di queste tre virtù. La fede, perché dovrebbe essere necessaria, quando già l'anima vede? Ugualmente la speranza, perché l'anima già possiede. Invece la carità non solo non avrà diminuzione alcuna, ma accrescimento grandissimo. L'anima infatti quando vedrà quella Bellezza unica e vera, l'amerà di più. E se non fisserà l'occhio con grande amore senza distogliere mai lo sguardo, non le sarà possibile persistere in quella visione di beatitudine. Ma finché l'anima dimora in questo corpo, anche se vede con pienezza, cioè conosce Dio, i sensi compiono le loro funzioni senza ingannarla certo, non senza però crearle ambiguità. Si può quindi denominare fede la virtù con cui si resiste ai sensi, preferendo credere alla verità dell'oggetto che è oltre essi. Parimenti in questa vita, sebbene per la conoscenza di Dio sia già felice, tuttavia l'anima sostiene ancora molte miserie del corpo e deve sperare che dopo la morte questi travagli non esisteranno più. Dunque anche la speranza non abbandona l'anima, finché è in questa vita. Ma dopo questa vita, quando l'anima si sarà totalmente raccolta in Dio, resta la carità, con la quale l'anima si trattiene in quel luogo. Non si potrà più dire che essa ha fede nella verità del suo oggetto, poiché non avrà più alcuna sollecitazione dell'errore; né dovrà ancora sperare, poiché possiede in sicurezza il tutto. Tre sono dunque le condizioni dell'anima: esser sana, guardare, vedere. Quanto a queste tre virtù - la fede, la speranza, la carità - sono sempre indispensabili per la prima e la seconda condizione; lo sono ugualmente in questa vita per la terza; dopo questa vita basta solo la carità.È Dio che rende intelligibili le diverse scienze
8, 15. Eccoti ora, per quanto lo permette il tempo, alcune conclusioni su Dio tratte, secondo il mio insegnamento, anche dal paragone con le cose sensibili. Intelligibile è Dio, intelligibili sono pure le dimostrazioni scientifiche; tuttavia presentano differenze essenziali. Infatti visibile è la terra, visibile è la luce; ma la terra se non è illuminata dalla luce non è visibile; per conseguenza si deve credere che anche gli insegnamenti scientifici, che compresi non lasciano dubbi sulla loro verità, non si possono comprendere se non sono illuminati come da un loro sole. Perciò come nel sole si possono osservare tre proprietà: l'essere, il fulgore, l'illuminazione, così in quel Dio nascosto, che tu vuoi conoscere, ci sono tre proprietà: egli è, egli è conosciuto, egli fa conoscere. Questi due oggetti, Dio e te stesso, affinché tu li conosca, io oso ammaestrarti. Ma rispondimi in che modo li intendi: probabili o veri?AGOSTINO - Semplicemente probabili. Confesso che mi ero innalzato a maggiore speranza. Ma dopo le due osservazioni sulla linea e sulla sfera non hai detto nulla ch'io osi affermare di sapere veramente.
RAGIONE - Non fa stupire: non ho ancora esposto verità che ti richiedano piena comprensione.
Attuali disposizioni morali di Agostino
9, 16. Ma perché indugiamo? Dobbiamo metterci in via. Esaminiamo pertanto la condizione preliminare: se siamo sani.AGOSTINO - Lo vedrai tu, se puoi guardare un poco sia in te e sia in me. Fammi qualche domanda e, se sento qualche cosa, ti risponderò.
RAGIONE - Desideri qualche altra cosa che la conoscenza vera di te stesso e di Dio?
AGOSTINO - Potrei rispondere che non desidero altro, secondo il mio sentimento attuale; ma più prudentemente rispondo che non so. Infatti mi è successo più di una volta di credermi insensibile ad ogni cosa; ecco poi che mi veniva in mente un pensiero a sollecitarmi molto diversamente da quanto avevo preveduto. Parimenti spesso una qualche cosa presentatasi casualmente al pensiero non mi turbava; ma poi in realtà, ciò accadendo, mi turbava più di quanto credessi. Ora, però, mi sembra che solo tre cose mi possono veramente smuovere: il timore di perdere quelle persone che amo, il timore del dolore, il timore della morte.
RAGIONE - Tu dunque ami la vita in comune con i tuoi più cari, la tua salute e la tua vita corporale: altrimenti non temeresti le loro perdite.
AGOSTINO - Confesso che è così.
RAGIONE - Ora dunque il fatto che i tuoi amici non sono tutti con te e che la tua salute è meno completa, ti induce nell'animo una certa apprensione. Vedo che questo è conseguente.
AGOSTINO - Vedi giusto, non posso negarlo.
RAGIONE - E se all'improvviso tu sentissi e sperimentassi il tuo corpo salvo e vedessi che tutti quelli che ami usufruiscono concordemente con te di occupazioni liberali, non ti lasceresti forse prendere alquanto anche tu dalla gioia?
AGOSTINO - Certamente un poco. Anzi se queste cose mi giungessero improvvisamente, come dici, come potrei contenermi, come potrei anche solo dissimulare una tale gioia?
RAGIONE - Tu sei ancora soggetto a tutte le passioni dell'anima e a tutte le perturbazioni. Quale presunzione è dunque per tali occhi voler vedere quel sole?
AGOSTINO - Tu hai concluso come se io stesso non percepissi affatto di quanto la mia guarigione abbia progredito, di quali malanni mi sia liberato e quanti ancora me ne rimangano. Permettimi di avanzare una tale costatazione.
10, 17. RAGIONE - Non vedi forse che questi occhi del corpo, anche sani spesso sono colpiti e respinti dalla luce di questo sole e si rifugiano nel loro offuscamento? E tu pensi al tuo progresso, ma non pensi all'oggetto che vorresti vedere. Ebbene, voglio discutere con te questo progresso che tu pensi che abbiamo realizzato. Non desideri le ricchezze?
AGOSTINO - No e non da oggi. Ho trentatrè anni e sono quasi quattordici che ho cessato di desiderarle; in esse, se casualmente mi sono state offerte, non ho mai trovato altro che un mezzo per le necessità della vita e per una generosa destinazione. Bastò un solo libro di Cicerone a persuadermi con molta facilità che non bisogna assolutamente desiderare le ricchezze, ma se esse ci sono, si è in dovere di amministrarle con massima saggezza e prudenza.
RAGIONE - E gli onori?
AGOSTINO - Confesso che solo ora e proprio in questi giorni ho cessato di desiderarli.
RAGIONE - E prendere moglie? Non ti avvince talvolta il pensiero di una moglie bella, pudica, compiacente, istruita o almeno docile ai tuoi insegnamenti, che ti porti anche una dote appena sufficiente - poiché disprezzi la ricchezza - in modo da non gravare sulle tue occupazioni di studio, soprattutto se speri e se sei certo che da lei non dovrai soffrire alcuna molestia?
AGOSTINO - Dipingila pure come vuoi, ricolmala di tutti i pregi, ho deciso che nulla devo evitare quanto l'unione con una donna. Sento che nulla maggiormente priva della sua sicurezza un'anima virile quanto le carezze di una donna e quel contatto dei corpi senza il quale non si può possedere una moglie. Pertanto se cercare di avere dei figli fa parte dei doveri dei sapiente, il che non ho ancora appurato, colui che s'unisce a una donna unicamente per questo scopo, mi sembra degno di ammirazione, infatti è un'esperienza che comporta più pericolo che possibilità di esito felice. Perciò io credo di aver provveduto giustamente e utilmente alla libertà della mia anima, imponendomi di non desiderare, di non cercare, di non prendere moglie.
RAGIONE - Io non cerco ora ciò che tu hai deciso, ma se sostieni ancora lotte o se l'hai vinta questa passione. Si tratta della guarigione dei tuoi occhi.
AGOSTINO - Non cerco, non desidero più nulla di tutto questo e lo ricordo con ripugnanza e orrore. Che vuoi di più? Questa mia buona disposizione aumenta di giorno in giorno: infatti quanto cresce la speranza di vedere quella Bellezza, che ardentemente desidero, tanto ad essa si volge tutto il mio amore e tutta la mia volontà.
RAGIONE - E il piacere del cibo? te ne curi ancora?
AGOSTINO - Non mi attirano affatto i cibi che ho deciso di non mangiare. Quelli poi, a cui non ho rinunciato, mi danno piacere, lo confesso, quando ci sono; ma non provo alcun turbamento dello spirito quando, anche solo visti o gustati, vengono sottratti. Quando infine non ci sono affatto, non sento mai il desiderio insinuarsi tra i miei pensieri come un ostacolo. Ma cessa d'interrogarmi del cibo, delle bevande, dei bagni e di tutti i piaceri del corpo: ad essi chiedo soltanto quanto può essere giovevole alla mia salute.
11, 18. RAGIONE - Hai fatto molto progresso. Tuttavia quanto resta da esaminare può costituire un notevole ostacolo per vedere quella luce. Ora io avanzo una prova per dimostrare facilmente o che non ci resta più nessuna passione da domare, o che non abbiamo realizzato nessun progresso e che rimane la corruzione di tutti quei mali che pensiamo d'aver eliminato. Ti domando infatti: se tu ti persuadessi che non puoi vivere con molti tuoi amici nello studio della sapienza senza una considerevole fortuna patrimoniale per sovvenire alle vostre necessità, non desidereresti forse e non ti procureresti le ricchezze?
AGOSTINO - Ne convengo.
RAGIONE - E se ti si dimostrasse che tu puoi portare molti alla sapienza, se cresci di autorità con un'alta carica; e se ti si dimostrasse che gli stessi tuoi amici non possono frenare le loro passioni e rivolgersi completamente alla ricerca di Dio senza che anch'essi abbiano dei posti onorifici e non li possano ottenere se non mediante la tua carica e la tua autorità, non dovresti forse desiderare anche queste cose e insistere seriamente per ottenerle?
AGOSTINO - È proprio come tu dici.
RAGIONE - Quanto alla questione della moglie, non dico più nulla. Infatti può darsi che non esista un'assoluta necessità di doverla prendere. Però se fosse certo che il suo vistoso patrimonio possa sostenere, naturalmente con il suo consenso, tutti quelli che per tuo desiderio vivono insieme con te nello studio e che specialmente per la sua nobiltà così illustre possa renderti facile raggiungere quegli onori che hai ammesso come necessari non so se sia tuo dovere disprezzare questi vantaggi.
AGOSTINO - Quando potrei osare di avere tali speranze?
19. RAGIONE - Così parli, come se io cercassi ora quali siano le tue speranze. Non voglio sapere che cosa non ti attira quando ti è negato, ma che cosa ti soddisfa quando ti è offerto. Altro è una passione esaurita, altro una passione sopita. Vale qui il detto di taluni uomini saggi: la stoltezza di ogni insensato ha cattivo odore come ogni fanghiglia. Non sempre, ma solo quando la rimescoli. C'è molta differenza tra una passione nascosta dalla frustrazione dell'anima e una eliminata dalla guarigione dell'anima.
AGOSTINO - Sebbene non ti possa rispondere, tuttavia non riuscirai mai a persuadermi che le disposizioni dell'anima, così come ora sono da me sentite, non rappresentino per me un progresso.
RAGIONE - Credo che tu abbia questa prospettiva perché, essendo libero di desiderare quei beni, ti sembra che possano essere ricercati non per se stessi, ma per un altro scopo.
AGOSTINO - È proprio questo che volevo dire. Quando ho espresso il desiderio delle ricchezze, le ho desiderate appunto per essere ricco; le cariche di cui ho detto di aver domato l'ambizione solo poco tempo fa, affermavo di volerle perché compiaciuto della loro grandezza; nella moglie poi null'altro ho inteso, quando la volevo, che di procurarmi soddisfazione dei sensi, congiunta con la buona reputazione. Allora c'era in me una vera passione per questi beni. Ora rinuncio ad essi totalmente. Però se per giungere al fine da me voluto mi si costringe a passare attraverso essi, io non accetto cose desiderate, ma subisco cose da tollerarsi.
RAGIONE - Perfettamente. Non penso infatti di dover chiamare passione il desiderio di beni ricercati per un altro scopo.
Agostino subordina tutto al suo desiderio di conoscere Dio e l'anima
12, 20. Ma ti domando perché questi uomini, che ami tanto, tu desideri che vivano e che vivano con te.
AGOSTINO - Per ricercare insieme, in affiatamento, le nostre anime e Dio. Così il primo che ne fa la scoperta, vi guida gli altri con facilità e senza fatica.
RAGIONE - Ma se essi non vogliono fare quella ricerca?
AGOSTINO - Li indurrò a volerla con la persuasione.
RAGIONE - E se non ti è possibile o perché pensano di aver già fatto quella scoperta, o perché la ritengono inattuabile, o perché impediti da altri pensieri e da altri desideri?
AGOSTINO - Staremo come potremo, gli uni rispetto agli altri.
RAGIONE - Ma se la loro presenza giunge fino ad impedire la tua ricerca, non ne soffrirai? Non desidererai forse che, se non possono esser diversi, ti lascino, piuttosto che restare così?
AGOSTINO - Lo ammetto, è come dici.
RAGIONE - Dunque desideri la loro vita e la loro presenza non per se stessa, ma per scoprire la sapienza
AGOSTINO - Hai il mio pieno consenso.
RAGIONE - E se tu fossi certo che la tua vita ti è di ostacolo al raggiungimento della sapienza, vorresti conservarla?
AGOSTINO - La fuggirei risolutamente.
RAGIONE - E se tu venissi a sapere che puoi giungere alla sapienza sia abbandonando questo tuo corpo e sia conservandolo, procureresti di godere del bene che ami in questa vita o in un'altra?
AGOSTINO - Se sapessi di non andare incontro a nulla di meno bene che mi facesse regredire dal punto in cui sono arrivato, non me ne curerei.
RAGIONE - Così dunque tu temi di morire perché pensi di poter incorrere in una condizione peggiore, che ti toglierebbe la conoscenza di Dio.
AGOSTINO - Temo non solo di perdere quella conoscenza che casualmente ho potuto acquisire, ma anche di trovarmi impedito l'accesso a quelle conoscenze che anelo possedere. Penso tuttavia di conservare quello che ho già.
RAGIONE - Dunque vuoi la vita presente non per se stessa, ma in vista della sapienza.
AGOSTINO - Certamente.
21. RAGIONE - Resta il dolore fisico, che potrebbe forse toglierti serenità per la sua violenza.
AGOSTINO - Anch'esso temo, grandemente, non per altro se non perché impedisce le mie ricerche. Così in questi giorni ero tormentato da un acutissimo dolore di denti che mi permetteva sì di rivolgere nel pensiero le cose conosciute, ma mi impediva totalmente di imparare cose nuove, per le quali abbisognavo di tutta l'attenzione della mente. Tuttavia mi pareva che se si fosse rivelata ai miei pensieri la sfolgorante luce della verità o io non avrei più sentito quel dolore o lo avrei sopportato come cosa da nulla. Non ho mai provato sofferenza più intensa. E tuttavia, quando spesso penso che possono accaderci dolori ancora più gravi, allora sono costretto a dar ragione a Cornelio Celso, che afferma che il bene sommo è la sapienza e il male sommo è il dolore fisico. E la ragione che egli porta non mi pare assurda. Poiché infatti siamo composti - egli dice - di due elementi, l'anima e il corpo, di cui il primo, l'anima, è la migliore e il corpo è la meno buona, ne consegue che il bene sommo è il massimo bene della parte migliore, il male sommo è il massimo male della parte meno buona. Ora, il massimo bene dell'anima è la sapienza, il massimo male del corpo è il dolore. Ne consegue che il sommo bene dell'uomo è la sapienza ed il sommo male è il dolore: conclusione senza alcun errore, a quanto mi pare.
RAGIONE - Questo lo vedremo più tardi. Forse infatti questa stessa sapienza, alla quale ci sforziamo di pervenire, ci suggerità un'altra conclusione. Se invece ci dimostrerà che proprio questa è la verità, adotteremo senza alcun dubbio tale opinione sul sommo bene e sul sommo male.
Vie diverse che possono condurre alla Sapienza
13, 22. Cerchiamo ora a quale livello tu ami la sapienza. Tu desideri vederla con castissimo sguardo e con un amplesso senza alcun velo, come nuda, possederla teneramente, così come essa si rivela solo a pochissimi e sceltissimi suoi amanti. Ora, se tu amassi ardentemente una donna bellissima, lei certo non si darebbe a te - e giustamente - se venisse a scoprire che tu ami qualcosa oltre a lei. E la sapienza mostrerà forse a te la sua casta bellezza, se tu non amerai essa solamente?
AGOSTINO - Perché sono ancora irretito nella mia infelicità e sono condannato ad attendere con straziante travaglio? Ho già dimostrato con certezza che non amo altro, poiché ciò che non si ama per se stesso, non si ama. Ora io amo solo la sapienza per se stessa; tutto il resto: vita, quiete, amici, voglio averlo o temo di perderlo solo per essa. L'amore verso questa bellezza può avere questo criterio di misura: io non la invidio neppure agli altri; non solo, ma cerco moltissimi che con me la desiderino, con me la bramino, con me la posseggano, con me la godano e che mi diventino tanto più amici quanto più l'amata sapienza ci sarà comune.
23. RAGIONE - Questi devono essere gli amanti che si addicono alla sapienza. Questi cerca colei, con la quale l'unione è veramente casta e senza contaminazione. Non è però una sola la via per la quale si giunge ad essa . Ciascuno, in proporzione alla propria salute e robustezza, possiede quel bene unico e vero. Essa è luce ineffabile e incomprensibile delle intelligenze. E questa luce terrestre ci fa capire, per quanto è possibile, come ciò avvenga. Ci sono infatti occhi tanto sani e vividi che, appena aperti, si rivolgono verso il sole senza alcuna esitazione; per essi in qualche modo è guida la stessa salute; per loro non c'è bisogno di un ammaestramento, ma forse solo di un orientamento; per essi è sufficiente credere, sperare, amare. Altri occhi invece sono colpiti da quel fulgore che pur desiderano ardentemente vedere e spesso, poiché non l'hanno visto, tornano nel buio con gioia.
Sebbene in simili condizioni si possano giustamente ritenere sani, è pericoloso voler mostrare ad essi ciò di cui ancora non possono sopportare la vista. Essi dunque hanno prima bisogno di esercizio e il loro desiderio utilmente si deve differire e alimentare. Anzitutto bisogna mostrar loro oggetti che di per sé non sono luminosi, ma sono visibili mediante la luce come una veste, una parete o altro di simile; poi qualche oggetto che non di per sé, ma mediante la luce più intensamente rifulge, come l'argento, l'oro e simili, comunque senza raggi del sole che colpiscano gli occhi. In seguito forse converrà mostrare questo fuoco terreno con precauzione, poi le stelle, la luna, lo splendore dell'aurora e la magnificenza del cielo mentre albeggia. In tutti questi esercizi, più presto o più tardi, sia seguendo tutta questa serie, sia tralasciandone qualche momento, abituandosi secondo la propria salute, ciascuno riuscirà a vedere il sole senza timore, anzi con grande gioia. Qualcosa di simile operano i maestri più valenti a vantaggio di coloro che sono molto amanti della sapienza e che già possono vedere, sebbene non ancora con acutezza. Per giungere alla sapienza ci vuole infatti un certo quale metodo da parte di un buon insegnamento, poiché senza metodo è esito di una fortunata congiuntura, appena credibile. Ma per oggi mi pare che abbiamo già scritto a sufficienza; bisogna avere qualche riguardo per la tua salute.
SECONDA DISCUSSIONE
Il grande principio è: fuggire le cose sensibili. Agostino è più vulnerabile di quanto non pensi
14, 24. Il giorno seguente ripresi:
AGOSTINO - Ti prego, fammi conoscere, se puoi, questo metodo. Conducimi e portami nella direzione che vuoi, con i mezzi che vuoi, nel modo che vuoi. Imponimi gli sforzi più duri, le prove più ardue, purché siano nella mia possibilità, affinché per mezzo loro possa con sicurezza giungere là dove desidero giungere.
RAGIONE - Uno solo è il comandamento che ti posso dare, poiché non ne conosco altri: fuggire assolutamente le cose sensibili. Ci si deve guardare finché portiamo questo corpo terrestre che le nostre ali non ne siano invischiate; dobbiamo infatti averle intatte e perfette per salire da queste tenebre verso quella luce, che neppure si degna di mostrarsi ai prigionieri rinchiusi in questa prigione, a meno che essi non siano in grado, spezzata e distrutta la prigione, d'innalzarsi nell'atmosfera in cui essa riluce. Quando sarai divenuto tale che nulla di quanto è terrestre più ti seduca, allora, credimi che in quel momento, in quell'attimo vedrai ciò cui aspiri.
AGOSTINO - Ti prego di dirmi quando avverrà tutto questo, perché credo che non mi sia possibile pervenire a disprezzare tutto in quel modo, senza aver visto l'oggetto al cui paragone tutte queste cose diventano vili.
25. RAGIONE - Così potrebbe dire pure l'occhio del nostro corpo. Non cesserò di amare le tenebre, fin quando non avrò visto il sole. Anche questo sembra addirsi a quel metodo e invece non è proprio così. L'occhio ama le tenebre perché non è sano; solo l'occhio sano può vedere il sole. In questo spesso s'inganna l'anima; si crede sana e se ne vanta; e siccome non vede ancora, crede di aver diritto di lamentarsi. Ma la Bellezza sa quando deve mostrarsi. Essa infatti esercita l'ufficio del medico e comprende chi è sano, meglio di quanto lo comprenda chi è risanato. Per parte nostra a noi sembra di vedere di quanto siamo emersi; ma non ci è permesso né di avere coscienza, né di avvertire quanto eravamo immersi e fino a che punto eravamo giunti. È in paragone con questa malattia più grave che ci crediamo in salute. Non vedi con quanta presunzione solo ieri abbiamo affermato che non eravamo più soggetti ad alcuna malattia morale, che non amavamo nulla fuorché la sapienza, che cercavamo e volevamo tutti gli altri beni solo per essa? Quanto basso, vile, indesiderabile, increscioso ti era apparso l'amplesso della donna, quando discutevamo tra noi del desiderio di avere una moglie. Eppure stanotte quando, svegli entrambi, abbiamo ripreso l'argomento, hai provato, ben diversamente dalle tue previsioni, che l'immagine di quelle blandizie e la loro amara dolcezza ti hanno sollecitato; molto meno, certo, molto meno del normale, ma parimenti molto diversamente da quanto avevi supposto. Così quel medico che agisce nell'intimità ti ha dimostrato in una volta sola due cose: la malattia da cui sei uscito per mezzo delle sue cure e la debolezza che ancora rimane da curare.
26. AGOSTINO - Taci, taci, te ne supplico. Perché mi tormenti, perché scavi tanto e discendi così nel profondo? Non posso più trattenere il pianto; non faccio ormai più promesse; non presumo più nulla; non interrogarmi più su questi argomenti. Dici bene: quando sarò sano, lo sa colui che ardentemente desidero di vedere. Faccia ciò che è il suo beneplacito; si mostri quando gli piacerà; ormai mi affido totalmente alla sua clemenza e alla sua cura. Sono convinto una volta per tutte che egli non mancherà di sollevare quelli che sono così disposti verso di lui. Quanto a me, non dirò più nulla dello stato di salute della mia anima, finché non avrò visto quella sua Bellezza.
RAGIONE - Sicuro: fa così. Ma ormai frena le tue lacrime e fatti coraggio. Hai già pianto molto e codesta tua malattia di petto risente gravemente di tutto ciò.
AGOSTINO - Vuoi che metta fine alle mie lacrime, mentre ancora non vedo la fine della mia miseria? Mi esorti ad avere riguardo alla salute del corpo, mentre tutto il mio io è disfatto da questa malattia? Ti prego, se tu hai qualche potere su di me, tenta di condurmi attraverso una qualche via più breve; avvicinami un poco a quella luce, di cui i miei progressi devono ormai consentire di sopportare il fulgore; fa che mi rincresca di rivolgere gli occhi a quelle tenebre che ho lasciato, se tuttavia ancora si può dire che le ho lasciate, esse che osano lusingare la mia cecità.
Desiderando conoscere Dio e l'anima, Agostino vuole conoscere la verità. Ma che è la verità?
15, 27. RAGIONE - Concludiamo, se sei d'accordo, questo primo libro. Prenderemo in un secondo quella via che si offrirà più comoda per noi. Per questa tua disposizione spirituale non bisogna cessare infatti dall'esercizio, per quanto moderato.
AGOSTINO - Non permetterò affatto di terminare questo libro, senza che tu mi assicuri un poco sull'avvicinarsi della luce, alla quale io debbo rivolgermi.
RAGIONE - Quel medico di cui parlo è compiacente con te; infatti non so quale improvviso splendore mi orienta e mi indica dove condurti; perciò ascolta con attenzione.
AGOSTINO - Guidami, ti prego, e portami dove vuoi.
RAGIONE - Continui a dire che vuoi conoscere l'anima e Dio?
AGOSTINO - Questa è tutta la mia preoccupazione.
RAGIONE - Null'altro?
AGOSTINO - Null'altro.
RAGIONE - E non vuoi comprendere la verità?
AGOSTINO - Come se fosse possibile conoscere queste realtà senza di essa!
RAGIONE - Quindi per prima cosa tu devi conoscere questa ultima, per mezzo della quale quelle altre realtà possono essere conosciute.
AGOSTINO - Non dissento di certo.
RAGIONE - Anzitutto dunque esaminiamo quest'asserto: verità e vero sono due parole distinte; ti pare che queste parole significhino due realtà distinte o una sola?
AGOSTINO - Due, a quanto mi sembra. Infatti come altro è castità, altro è casto e molti altri casi in questa maniera. Ritengo pertanto che altro è la verità e altro è ciò che si dice vero.
RAGIONE - Quale di questi pensi che sia più importante?
AGOSTINO - La verità, io penso. Infatti non è l'essere casto che fa la castità, ma la castità che fa l'essere casto. Parimenti quando una cosa è vera, lo è in forza della verità.
28. RAGIONE - E quando muore una persona casta, pensi che muoia anche la castità?
AGOSTINO - Per nulla.
RAGIONE - Dunque quando perisce qualcosa ch'è vero, non per questo perisce la verità.
AGOSTINO - Ma come può perire qualcosa di vero? Non lo capisco.
RAGIONE - Mi stupisco di questa tua domanda: non vediamo forse perire sotto i nostri occhi migliaia di cose? A meno che tu non ritenga che quest'albero o sia un albero, ma non vero, oppure che non possa venire meno in nessun caso. E quand'anche tu non credessi alla testimonianza dei sensi ed anche se tu potessi rispondermi di ignorare affatto se è un albero, non potrai negare almeno questo, a quanto penso: che è un vero albero, se è un albero. Ciò infatti si giudica non con i sensi, ma con l'intelligenza. Se l'albero è un albero falso, allora non è un albero; se invece è un albero per davvero, allora necessariamente è vero.
AGOSTINO - Lo ammetto.
RAGIONE - Altra osservazione: l'albero è di natura tale che nasce e muore. Lo ammetti?
AGOSTINO - Non posso negarlo.
RAGIONE - Si può dunque concludere che una cosa, che pure è vera, muore.
AGOSTINO - Non contraddico.
RAGIONE - E allora? Non ti è forse evidente che, anche se periscono cose vere, la verità non perisce, così come, morto un uomo casto, la castità non muore?
AGOSTINO - Anche questo ammetto e attendo con grande ansietà dove vuoi arrivare.
RAGIONE - Allora fai bene attenzione.
AGOSTINO - Eccomi.
29. RAGIONE - Ti sembra vera questa proposizione: Tutto ciò che esiste, è necessariamente in qualche luogo?
AGOSTINO - Nulla s'impone maggiormente al mio consenso.
RAGIONE - E ammetti sempre che la verità esiste?
AGOSTINO - L'ammetto.
RAGIONE - Dunque è necessario che cerchiamo dove sia. Non è certamente in alcun spazio, a meno che non si ammetta che nello spazio esiste qualcosa che non sia un corpo, oppure si ammetta che la verità è un corpo.
AGOSTINO - Respingo entrambe queste affermazioni.
RAGIONE - Allora dove pensi che sia la verità? Poiché ammettiamo la sua esistenza, bisogna ben che sia da qualche parte.
AGOSTINO - Se sapessi dov'è, forse non continuerei a cercare.
RAGIONE - Ma puoi sapere almeno dove non è?
AGOSTINO - Se mi aiuti a ricordarlo, forse lo potrò.
RAGIONE - Non si trova certo tra le cose mortali. Infatti tutto ciò che esiste non può persistere, se non rimane il soggetto in cui esso è; ora che la verità persista, anche quando periscono delle cose vere, lo abbiamo ammesso poco fa; dunque la verità non esiste nelle cose mortali. Però la verità esiste e deve ben esistere da qualche parte. Esistono dunque delle cose immortali. Ora nulla è vero, se non c'è la verità; ne consegue che sono vere solamente le cose immortali. Un albero falso, non è un albero; e un legno falso non è un legno; dell'argento falso non è dell'argento e, per dirla in una sola parola, tutto ciò che è falso, non è. Ebbene tutto ciò che non è vero, è falso. A dire il vero, nulla dunque si può dire che esiste, se non ciò che è immortale. Considera diligentemente tra te e te questo piccolo ragionamento, per vedere se ci sia qualche riserva da fare. Se infatti tu l'approvi, abbiamo quasi esaurito tutto il problema, che forse meglio si chiarirà nel libro seguente.
30. AGOSTINO - Ti ringrazio. Queste idee tra me e me e soprattutto con te esaminerò con diligenza e cautela, quando saremo in silenzio, purché le tenebre non si frappongano e, ciò che io temo fortemente, non mi facciano sperimentare la loro seduzione.
RAGIONE - Credi in Dio con perseveranza e affidati tutto a lui, per quanto puoi. Non voler essere come tuo e pienamente in tuo potere; professati piuttosto schiavo di quel Signore pieno di clemenza e bontà; così egli non cesserà di elevarti a sé e non permetterà che ti accada se non quanto ti può giovare, anche a tua insaputa.
AGOSTINO - Ascolto, credo e obbedisco per quanto è in mio potere; inoltre prego molto Dio perché moltiplichi le mie forze. Desideri forse qualcosa d'altro da me?
RAGIONE - Per il momento basta. Farai in seguito, dopo averlo visto, tutto ciò che egli stesso ti comanderà.
Capitolo ottavo - E mostraci, dopo questo esilio, Gesù, il frutto benedetto del tuo seno
Le glorie di Maria - Sant'Alfonso Maria de Liguori
Leggilo nella Biblioteca1. Maria libera i suoi devoti dall'inferno
È impossibile che si danni un devoto di Maria che fedelmente la onora e si raccomanda a lei. A prima vista questa proposizione sembrerà forse a qualcuno troppo azzardata, ma io lo pregherei di non respingerla prima di leggere quello che dirò su questo punto. Quando si afferma che è impossibile che un devoto della Madonna si danni, non si intende parlare di quei devoti che abusano della loro devozione per peccare con minor timore. Perciò ingiustamente alcuni sembrano disapprovare che noi esaltiamo tanto la pietà di Maria verso i peccatori perché dicono che questi ne abusano per peccare ancora di più; tali presuntuosi per la loro temeraria fiducia meritano il castigo, non la misericordia. Si intende invece parlare di quei devoti che, desiderosi di emendarsi, sono fedeli nell'onorare la Madre di Dio e nel raccomandarsi a lei. Questi, dico, è moralmente impossibile che si perdano. Lo ha affermato anche il padre Crasset nel suo libro sulla devozione verso Maria Vergine, e prima di lui il Vega nella sua Teologia mariana, il Mendoza e altri teologi. Per assicurarci che essi non hanno parlato a caso, vediamo quel che ne hanno detto i dottori e i santi. Nessuno si meravigli se riporterò molte sentenze somiglianti; ho voluto registrarle tutte, per dimostrare quanto sono stati concordi gli autori su questo punto. Sant'Anselmo dice che, come è impossibile che si salvi chi non è devoto a Maria e da lei non è protetto, così è impossibile che si danni chi si raccomanda alla Vergine e da lei è guardato con amore. Sant'Antonino conferma quasi con le stesse parole: « Come è impossibile che possano essere salvi quelli dai quali Maria distoglie gli sguardi della sua misericordia, così è necessario che quelli sui quali rivolge i suoi occhi implorando per loro siano salvi ed entrino nella gloria ». Si noti la prima parte della proposizione di questi santi e tremino quelli che tengono in poco conto o abbandonano per trascuratezza la devozione alla divina Madre: dicono che è impossibile salvarsi per quelli che non sono protetti da Maria. Lo asseriscono anche altri, come il beato Alberto Magno: « O Maria, tutti quelli che non sono tuoi servi si perderanno ». San Bonaventura: « Chi trascura di servire la Vergine morirà in peccato ». E altrove: « Chi non ti invoca in questa vita, Signora, non giungerà in paradiso ». A proposito del salmo 99 il santo arriva a dire che quelli da cui Maria distoglie lo sguardo non solo non si salveranno, ma che per loro non vi sarà neppure speranza di salvezza. Già prima di lui sant'Ignazio martire aveva affermato che un peccatore non può salvarsi se non per mezzo della santa Vergine, la quale con la sua pietosa intercessione salva tanti che secondo la divina giustizia sarebbero dannati. Alcuni dubitano che questa sentenza sia di sant'Ignazio; il padre Crasset dice che questo detto l'ha fatto suo san Giovanni Crisostomo. Lo troviamo ugualmente ripetuto dall'abate di Selles. E in questo senso la santa Chiesa applica a Maria le parole dei Proverbi: « Tutti quelli che mi odiano, amano la morte» (Pro 8,36). Infatti - come dice Riccardo di san Lorenzo a proposito delle parole « Ella è simile alla nave di un mercante » (Pro 31,14) - «saranno sommersi nel mare di questo mondo tutti quelli che sono fuori di questa nave». Anche l'eretico Ecolampadio diceva: « Non mi si sentirà mai parlare contro Maria, poiché stimo segno certo di riprovazione la poca devozione verso di lei». Al contrario, Maria afferma: « Chi mi ascolta non sarà confuso » (Eccli [= Sir] 24,30 Volg.), non si perderà. « Signora, le dice san Bonaventura, chi attende ad onorarti sarà lontano dalla perdizione». Ciò avverrà, dice sant'Ilario, anche se costui in passato avesse molto offeso Dio. Perciò il demonio si dà tanto da fare perché i peccatori, dopo aver perduto la grazia divina, perdano anche la devozione a Maria. Sara, vedendo Isacco scherzare con Ismaele che gli insegnava cattive abitudini, chiese ad Abramo di allontanarlo e di allontanare anche sua madre Agar: « Scaccia questa serva e il figlio di lei » (Gn 21,10). Non le bastò che fosse mandato via solamente il figlio senza che venisse mandata via anche la madre; pensava infatti che altrimenti il figlio, venendo a vedere la madre, avrebbe continuato a frequentare la casa. Così il demonio non si accontenta di vedere che un' anima scaccia da sé Gesù Cristo, se non ne scaccia anche la madre, altrimenti teme che la Madre con la sua intercessione riconduca di nuovo in essa il Figlio. E teme con ragione, poiché, come dice il dotto padre Paciuchelli, « colui che persevera nel rendere omaggio alla Madre di Dio, presto riceverà Dio stesso». Perciò a buon diritto sant'Efrem chiama la devozione alla Madonna « la Carta della libertà», il salva-condotto per non essere relegato all'inferno. E la divina Madre era da lui proclamata « la protettrice dei dannati ». San Bernardo assicura che a Maria « non può mancare né la potenza né la volontà di salvarci ». Non le manca la potenza, perché, dice sant'Antonino, « è impossibile che non siano esaudite le sue preghiere». E san Bernardo assicura che « quel che Maria cerca, trova e le sue domande non possono essere mai deluse ». Non le manca la volontà di salvarci, poiché Maria ci è madre e desidera la nostra salvezza più di quanto la desideriamo noi. Se ciò e vero, come può mai succedere che un devoto di Maria si perda? Egli può essere peccatore, ma se con perseveranza e volontà di emendarsi si raccomanderà a questa buona Madre, sarà sua cura ottenergli lume per uscire dal suo miserevole stato, dolore dei suoi peccati, perseveranza nel bene e infine una buona morte. Quale madre, se potesse facilmente liberare un figlio dalla morte pregando il giudice di graziarlo, non io farebbe? Possiamo forse pensare che Maria, la madre più amorevole che possa trovarsi dei suoi devoti, potendo così facilmente liberare un figlio dalla morte eterna, non lo farà? Devoto lettore, ringraziamo il Signore se vediamo che ci ha donato l'affetto e la fiducia verso la Regina del cielo, poiché Dio, dice san Giovanni Damasceno, fa questa grazia solo a quelli che vuole salvi. Ecco le belle parole con cui il santo ravviva la sua e nostra speranza: « O Madre di Dio, se io metto la mia fiducia in te sarò salvo. Se io sono sotto la tua protezione, non ho nulla da temere, perché essere tuo devoto è avere armi sicure di salvezza che Dio concede solamente a coloro che vuole salvi ». Perciò Erasmo così salutava la Vergine: «Dio ti salvi, o spavento dell'inferno, speranza dei cristiani; la fiducia in te ci assicura la salvezza». Quanto dispiace al demonio vedere un'anima che per severa nella devozione alla divina Madre! Si legge nella Vita del padre Alfonso Alvarez, molto devoto a Maria, che un giorno mentre egli pregava ed era assalito dalle tentazioni impure con cui lo tormentava il demonio, il nemico gli disse: « Smetti questa tua devozione a Maria e io smetterò di tentarti ». Come riferisce Ludovico Biosio, il Signore rivelò a santa Caterin~ da Siena che per sua bontà aveva concesso a Maria, per riguardo al suo Unigenito di cui è Madre, che nessuno, anche se peccatore, che a lei devotamente si raccomanda, sia preda dell'inferno. Anche il profeta Davide pregava di essere liberato dall'inferno per l'amore che portava all'onore di Maria: « Io amo, o Signore, la maestà della tua casa... non perdere insieme con gli empi l'anima mia » (Sal 25,8-9). Dice: « della tua casa », perché Maria fu quella casa che Dio stesso si fabbricò su questa terra come sua abitazione e per trovarvi il suo riposo, quando si fece uomo, come sta scritto nei Proverbi: « La sapienza si è fabbricata una casa » (Pro 9,1). « Certamente non si perderà, diceva sant'Ignazio martire, chi attenderà ad essere devoto alla Vergine Madre ». San Bonaventura lo conferma: « Signora, quelli che ti amano godono grande pace in questa vita; la loro anima non vedrà la morte in eterno ». Non è mai accaduto, « non può accadere - ci assicura il devoto Blosio - che un servo umile e attento di Maria si perda eternamente» «Quanti sarebbero stati eternamente dannati o sarebbero rimasti impenitenti se la beata Vergine Maria non si fosse interposta presso il Figlio, affinché usasse loro misericordia! ». Così dice Tommaso da Kempis e molti teologi, specialmente san Tommaso, pensano che a molte persone, morte in peccato mortale, la divina Madre abbia ottenuto da Dio la sospensione della sentenza e di ritornare in vita a far penitenza. Autori importanti ne citano diversi esempi. Fra gli altri Flodoardo, che visse verso il secolo IX, nella sua Cronaca narra di un certo diacono Adelmano che, creduto morto, stava per essere seppellito quando ritornò in vita e disse di aver veduto il luogo del-l'inferno a cui era stato condannato. Ma per le preghiere della beata Vergine era stato rimandato nel mondo a far penitenza. Anche il Surio riferisce che un cittadino romano chiamato Andrea era morto in peccato mortale e che Maria gli aveva ottenuto di ritornare in vita per poter essere perdonato. Pelbarto racconta che ai suoi tempi, mentre l'imperatore Sigismondo attraversava le Alpi con il suo esercito, da un cadavere in cui erano rimaste soltanto le ossa si udì uscire una voce che chiedeva un confessore, dicendo che la Madre di Dio, alla quale era stato devoto durante la sua vita di soldato, gli aveva ottenuto di vivere in quelle ossa fin che si fosse confessato. E dopo essersi confessato morì. Questi e altri esempi non debbono indurre qualche temerario che volesse vivere in peccato e sperare che Maria lo libererà dall'inferno anche se morisse nel peccato. Infatti, come sarebbe una grande pazzia gettarsi in un pozzo con la speranza che Maria lo preservi dalla morte, perché ne ha preservato alcuni in simili casi, così sarebbe maggior pazzia rischiare di morire in peccato, con la presunzione che la santa Vergine lo preservi dall'inferno. Ma questi esempi devono servire a ravvivare la nostra fiducia, pensando che se l'intercessione della divina Madre ha potuto liberare dall'inferno anche coloro che sono morti nel peccato, tanto più potrà impedire che cadano nell'inferno coloro che in vita ricorrono a lei con l'intenzione di emendarsi e la servono fedelmente. Diciamole dunque con san Germano: « Che ne sarà di noi, o Vergine santa, vita dei cristiani? ». Noi siamo peccatori, ma vogliamo emendarci e ricorriamo a te. Sant'Anselmo afferma: « Non si dannerà quello per cui Maria avrà pregato anche una sola volta ». Prega dunque per noi e saremo salvi dall'inferno. « Chi mai mi dirà che quando arriverò al tribunale divino non avrò favorevole il giudice, se nella mia causa avrò te a difendermi, Madre di misericordia? » esclama Riccardo di san Vittore. Il beato Enrico Suso dichiarava di aver posto la sua anima nelle mani di Maria e diceva che, se il giudice avesse voluto condannare il suo servo, voleva che la sentenza passasse per le mani di Maria. Sperava infatti che se la condanna fosse giunta nelle mani pietose della Vergine, ne sarebbe certamente stata impedita l'esecuzione. Lo stesso dico e spero per me, o mia santissima Regina. Perciò voglio sempre ripeterti con san Bonaventura: « Signora, ho sperato in te, non sarò confuso in eterno ». In te ho posto tutte le mie speranze; perciò spero con certezza di non vedermi perduto, ma salvo in cielo a lodarti e amarti in eterno.
Esempio
Nell'anno 1604 in una città della Fiandra vivevano due giovani studenti, i quali, invece di dedicarsi alle lettere, si abbandonavano a gozzoviglie e ad azioni disoneste. Una notte, andarono a peccare in casa di una donna di facili costumi. Uno di loro, chiamato Riccardo, dopo un po' ritornò a casa sua; l'altro rimase. Mentre si spogliava prima di coricarsi, Riccardo si ricordò di non aver recitato quel giorno alcune Ave Maria alla santa Vergine, come era solito fare. Benché oppresso dal sonno, si sforzò di recitarle, anche se senza devozione e mezzo addormentato. Mentre era immerso nel primo sonno, senti bussare con forza alla porta e subito dopo, senza aver aperto, si vide davanti il suo compagno, che aveva un aspetto orribile. - Chi sei? - gli chiese. - Non mi riconosci? - rispose l'altro. - Ma come sei così cambiato? Sembri un demonio. - Povero me! - esclamò quell'infelice - sono dannato. - E come? - Sappi che mentre uscivo da quella casa infame venne un demonio e mi soffocò. Il mio corpo è restato in mezzo alla strada e la mia anima sta all'inferno. Sappi che il mio stesso castigo toccava anche a te, ma la beata Vergine te ne ha liberato per quel piccolo omaggio delle tue Ave Maria. Felice te se saprai profittare di questo avvertimento che la Madre di Dio ti manda per mezzo mio! - Ciò detto, il dannato slacciò il suo mantello mostrando le fiamme e i serpenti che lo tormentavano; poi scomparve. Allora il giovane scoppiò in un pianto dirotto e si gettò con la faccia per terra per ringraziare la sua liberatrice Maria e mentre pensava di cambiare vita, sentì suonare il mattutino al monastero dei Francescani. Allora disse tra sé: « Dio mi chiama a far penitenza » e subito andò al convento pregando di essere ricevuto. I religiosi erano riluttanti, poiché conoscevano la sua vita dissoluta, ma egli narrò loro tutto l'accaduto piangendo dirottamente. Allora due padri andarono in quella strada, trovarono il cadavere del compagno soffocato e nero come il carbone, e ricevettero il giovane. Riccardo si diede quindi a una vita esemplare, poi andò nelle Indie a predicare la fede; di là passò in Giappone dove infine ebbe la sorte e la grazia di morire martire per Gesù Cristo, bruciato vivo.
Preghiera
O Maria, madre mia carissima, in quale abisso di mali mi troverei, se con la tua mano pietosa non me ne avessi tante volte preservato? Da quanti anni sarei già nell'inferno, se con le tue potenti preghiere non me ne avessi liberato? I miei gravi peccati là mi cacciavano, la divina giustizia mi ci aveva già condannato, i demoni fremevano impazienti di eseguire la sentenza. Tu accorresti, o Madre, senza essere pregata né invocata da me e mi salvasti. Mia amata liberatrice, che mai ti renderò per tanta grazia e per tanto amore? Poi vincesti la durezza del mio cuore inducendomi ad amarti e a riporre in te la mia fiducia. In quale abisso di mali sarei precipitato se con la tua mano pietosa tu non mi avessi tante volte aiutato nei pericoli in cui sono stato in procinto di cadere! Continua, speranza mia, vita mia, madre mia più cara della mia stessa vita, continua a salvarmi dall'inferno e anzitutto dai peccati in cui posso ricadere. Non permettere che io arrivi a maledirti nell'inferno. Mia diletta Signora, io ti amo. Come potrà la tua bontà sopportare di veder dannato un tuo servo che ti ama? Ottienimi di non essere più ingrato verso dite e verso il mio Dio che per amor tuo mi ha concesso tante grazie. Che mi dici, Maria? Mi dannerò? Mi dannerò se ti abbandono. Ma come potrei più abbandonarti? Come potrei scordarmi dell'amore che mi hai dimostrato? Dopo Dio, sei tu l'amore dell'anima mia. Io non ho la forza di continuare a vivere senza amarti. Ti voglio bene, ti amo e spero di amarti sempre nel tempo e nell'eternità, o creatura la più bella, la più santa, la più dolce, la più amabile che ci sia nell'universo. Amen.
2. Maria soccorre i suoi devoti nel purgatorio
Felici sono i devoti di questa Madre così pietosa, poiché non solo sono da lei soccorsi su questa terra, ma anche nel purgatorio sono assistiti e consolati dalla sua protezione. Anzi, dato che le anime del purgatorio sono le più bisognose di sollievo perché sono le più tormentate e non possono aiutarsi da sé, la nostra Madre di misericordia si prodiga per portare soprattutto ad esse il suo soccorso. San Bernardino da Siena dice che in quel carcere di anime spose di Gesù Cristo, Maria ha pieno dominio per dar loro sollievo e per liberarle dalle loro pene. Maria dà sollievo anzitutto alle anime del purgatorio. Applicando a lei le parole dell'Ecclesiastico: « Sui flutti del mare passeggiai » (Eccli [= Sir] 24,8 Volg.), san Bernardino da Siena aggiunge: « Cioè visitando e soccorrendo nelle necessità e nelle pene i miei devoti, perché sono miei figli ». Il santo dice che le pene del purgatorio sono chiamate « flutti » perché sono transitorie, a differenza di quelle dell'inferno che non passano mai, e sono paragonate ai « flutti del mare », perché sono molto amare. I devoti di Maria afflitti da queste pene sono spesso da lei visitati e confortati. « Vedete dunque, dice il Novarino, quanto importa essere servi della Vergine, poiché ella non li dimentica quando soffrono in mezzo a quelle fiamme e, benché soccorra tutte le anime purganti, tuttavia ottiene sempre più indulgenza e sollievo ai suoi devoti ». La divina Madre rivelò a santa Brigida: «Io sono la madre di tutte le anime che stanno in purgatorio e tutte le pene che esse meritano per le colpe commesse durante la loro vita, in ogni ora per le mie preghiere vengono in qualche modo mitigate». La pietosa Madre non disdegna talvolta di entrare in quella santa prigione per visitare e consolare quelle anime afflitte sue figlie. « Penetrai nelle profondità dell'abisso » (Eccli [= Sir] 24,8 Volg.). San Bonaventura applica a Maria queste parole, aggiungendo: «Dell'abisso, cioè del purgatorio, per dar sollievo con la sua presenza a quelle anime sante». «Quanto grande è la bontà di Maria verso quelli che si trovano nel purgatorio, poiché per suo mezzo essi ricevono continui conforti e refrigeri», dice san Vincenzo Ferreri. Quale altra consolazione hanno nelle loro pene se non Maria e il soccorso di questa Madre di misericordia? Santa Brigida udì un giorno Gesù dire a Maria: « Tu sei mia madre, tu sei la madre della misericordia, tu sei la consolazione di quanti sono in purgatorio ». La beata Vergine stessa disse a santa Brigida: « Come un povero infermo, afflitto e abbandonato nel suo letto, si sente confortato da una parola di consolazione, così le anime del purgatorio si rallegrano al solo udire il mio nome ». Dunque il solo nome di Maria - nome di speranza e di salvezza - che spesso invocano in quel carcere quelle anime sue figlie dilette, è per esse un gran conforto. Dice il Novarino: « L'amorevole Madre, sentendosi invocare da loro, aggiunge le sue preghiere a Dio da cui quelle anime vengono soccorse come da una celeste rugiada che mitiga l'ardore dei loro tormenti ». Maria non solo consola e conforta i suoi devoti nel purgatorio, ma spezza le loro catene e li libera con la sua intercessione. Sin dal giorno della sua gloriosa Assunzione, in cui si dice che « tutto il purgatorio rimase vuoto », come scrive Giovanni Gersone - e lo conferma il Novarino: «Autori degni di fede affermano che Maria, quando stava per andare in cielo, chiese al Figlio la grazia di poter condurre con sé nella gloria tutte le anime che Si trovavano allora in purgatorio»: sin da allora dice Gersone che la beata Vergine ebbe il privilegio di liberare i suoi servi da quelle pene. Lo asserisce anche risolutamente san Bernardino da Siena: « La beata Vergine, con le sue preghiere e anche con l'applicazione dei suoi meriti, ha la facoltà di liberare le anime del purgatorio, e massimamente i suoi devoti». Lo stesso dice il Novarino: « Non stento a credere che per i meriti di Maria le pene di tutte le anime del purgatorio, non solo sono alleviate, ma anche abbreviate, di modo che per intercessione della Vergine si accorcia il tempo della loro espiazione ». Basta che ella preghi. San Pier Damiani racconta che una donna chiamata Marozia, essendo già morta, apparve a una sua comare e le disse che nel giorno dell'Assunzione di Maria era stata da lei liberata dal purgatorio insieme con tante altre anime il cui numero superava quello degli abitanti di Roma. La stessa cosa afferma san Dionisio Cartusiano, dicendo che ogni anno nelle festività della Nascita e della Risurrezione di Gesù Cristo, la beata Vergine, accompagnata da schiere di angeli, scende nel purgatorio e libera molte anime da quelle pene. E il Novarino non esiterebbe a credere che in qualunque festa solenne della santa Vergine molte anime siano liberate dal purgatorio. Ben nota è la promessa che Maria fece al papa Giovanni XXII, quando gli apparve e gli ordinò di far sapere a tutti coloro che avrebbero portato il sacro scapolare del Carmelo, che il sabato dopo la loro morte sarebbero stati liberati dal purgatorio. E quel che il pontefice, come riferisce il padre Crasset, dichiarò nella Bolla da lui pubblicata, che fu poi confermata da Alessandro V, Clemente VII, Pio V, Gregorio XIII e Paolo V, il quale, in una Bolla del 1612, disse: «Il popolo cristiano può piamente credere che la beata Vergine aiuterà con le sue continue intercessioni, con i suoi meriti e la sua protezione speciale dopo la morte e principalmente nel giorno di sabato - che le è consacrato dalla Chiesa - le anime dei fratelli della confraternita di santa Maria del monte Carmelo che saranno uscite da questa vita in stato di grazia, avranno portato lo scapolare osservando la castità secondo il loro stato, e avranno recitato l'officio della Vergine o, se non hanno potuto recitarlo, avranno osservato i digiuni della Chiesa, astenendosi dal mangiare carne il mercoledì, eccettuato il giorno di Natale ». E nell'officio solenne della festa di santa Maria del Carmine si legge che si può credere piamente che la santa Vergine con amore di madre consoli i confratelli del Carmine nel purgatorio e con la sua intercessione li conduca presto nella patria celeste. Perché non dobbiamo sperare anche noi le stesse grazie e favori, se saremo devoti a questa buona Madre? E se la serviremo con speciale amore, perché non possiamo sperare di andare subito dopo la morte in paradiso, senza passare per il purgatorio? È quel che la santa Vergine per mezzo di frate Abondo mandò a dire al beato Godifredo con queste parole: « Di' a fra Godifredo di avanzare sempre nella virtù. Così apparterrà a mio Figlio e a me e quando la sua anima si separerà dal corpo, non lascerò che vada in purgatorio, ma la prenderò e l'offrirò a mio Figlio ». E se desideriamo suffragare le anime sante del purgatorio, rivolgiamoci alla santa Vergine in tutte le nostre preghiere, applicando ad esse specialmente il santo rosario, che apporta loro un grande sollievo, come si legge nel seguente esempio.
Esempio
Il padre Eusebio Nieremberg racconta che nella città di Aragona viveva una fanciulla chiamata Alessandra, nobile e bellissima, che era amata da due giovani. Un giorno, trasportati dalla gelosia, essi si affrontarono in uno scontro e morirono tutti e due. I loro parenti, pieni di collera, uccisero la povera ragazza ritenendola causa di così grave sventura; le tagliarono la testa e la buttarono in un pozzo. Alcuni giorni dopo passa di lì san Domenico che, ispirato dal Signore, si china sul pozzo e dice: «Alessandra, esci fuori!». Ed ecco la testa dell'uccisa esce, si mette sull'orlo del pozzo e chiede a san Domenico di confessarla. Il santo la confessa e poi le dà la comunione, alla presenza di un'immensa folla accorsa stupita. Poi san Domenico ordinò ad Alessandra di dire perché aveva ricevuto quella grazia. La giovane rispose che, quando le era stata tagliata la testa, era in peccato mortale, ma che la santa Vergine per ricompensarla della sua devozione nel recitare il rosario, l'aveva conservata in vita. Per due giorni la testa rimase viva sull'orlo del pozzo a vista di tutti, e dopo l'anima andò in purgatorio. Ma quindici giorni dopo a san Domenico apparve l'anima di Alessandra, bella e risplendente come una stella e gli disse che uno dei principali suffragi che ricevono le anime nelle pene del purgatorio è il rosario che si recita per loro. Quando poi queste anime giungono in paradiso, pregano per quelli che hanno applicato ad esse questa potente preghiera. Dopo di che, san Domenico vide quell'anima fortunata salire giubilante al regno dei beati,
Preghiera
O regina del cielo e della terra, Madre del Signore del mondo, Maria, la più grande, la più eccelsa, la più amabile di tutte le creature, è vero che sulla terra molti non ti amano e non ti conoscono; ma vi sono tanti milioni di angeli e di beati in cielo che ti amano e ti lodano continuamente. Anche in questo mondo quante anime felici ardono d'amore per te e vivono innamorate della tua bontà! Ti amassi anch'io, mia amabile Signora! Pensassi sempre a servirti, a lodarti, ad onorarti e a farti amare da tutti! Con la tua bellezza tu hai conquistato l'amore di un Dio, strappandolo, per così dire, dal seno dell'Eterno Padre, attirandolo sulla terra per farsi uomo e figlio tuo; e io misero verme non ti amerò? No, mia dolce Madre, anch'io voglio amarti' amarti molto e voglio fare tutto ciò che posso per vederti amata anche dagli altri. Gradisci dunque, Maria, questo mio desiderio e aiutami a realizzarlo. Io so che quelli che ti amano sono guardati con compiacimento dal tuo Dio. Dopo la sua gloria egli non desidera altro che la tua gloria nel vederti onorata e amata da tutti. Da te, Signora, io spero ogni mia fortuna. Sei tu che mi devi ottenere il perdono di tutti i miei peccati e la perseveranza; sei tu che mi devi assistere nell'ora della mia morte; sei tu che mi devi far uscire dal purgatorio; sei tu che mi devi condurre in paradiso. Tutto questo sperano da te quelli che ti amano e non restano delusi; tutto questo spero anch'io che ti amo con tutto il cuore e sopra ogni cosa dopo Dio.
3. Maria conduce i suoi servi in paradiso
Che bel segno di predestinazione hanno i servi di Maria! La santa Chiesa applica alla divina Madre e le fa dire a conforto dei suoi devoti queste parole dell'Ecclesiastico: « Fra tutti cercai riposo e dimorerò nell'eredità del Signore » (Eccli [= Sir] 24,11 Volg.). Il cardinale Ugo di san Caro commenta: « Beato colui nella cui casa la beata Vergine avrà trovato riposo »'. Per l'amore che porta a tutti, Maria cerca di far regnare in tutti la devozione verso di lei. Molti o non la ricevono o non la conservano: beato colui che la riceve e la conserva. « E dimorerò nell'eredità del Signore, vale a dire, aggiunge il dotto Paciuchelli, la devozione verso la Vergine dimora in tutti coloro che sono l'eredità del Signore», cioè che staranno in cielo a lodarlo eternamente. Maria seguita a parlare, facendo sue le parole dell'Ecclesiastico nel testo citato: « Colui che mi ha creato si è riposato nel mio tabernacolo e mi ha detto: "Abita in Giacobbe e in Israele abbi la tua eredità, e tra i miei eletti metti radici" » (Eccli [= Sir] 24,12-13 Volg.). Il mio Creatore, ci dice Maria, si è degnato di venire a riposare nel mio seno e ha voluto che io abitassi nei cuori di tutti gli eletti - di cui fu figura Giacobbe e che sono l'eredità della Vergine - e ha disposto che in tutti i predestinati fosse radicata la devozione e la fiducia verso di me. Il cardinale Ugo mètte sulle labbra di Maria queste parole dell'Ecclesiastico: « Io feci sorgere nel cielo una luce indefettibile » (Eccli [= Sir] 24,6 Volg.); ho fatto risplendere in cielo tanti lumi eterni quanti sono i miei devoti. L'autore aggiunge: « Quanti santi non sarebbero ora in cielo, se Maria con la sua potente intercessione non ce li avesse condotti! ». « A tutti coloro che confidano nella protezione di Maria, si aprirà la porta del cielo per riceverli », dice san Bonaventura. Perciò sant'Efrem chiamava la devozione verso la divina Madre « l'entrata della Gerusalemme celeste ». E l'abate Blosio dice alla Vergine: « Signora, a te sono consegnate le chiavi e i tesori del regno dei cieli ». Perciò dobbiamo continuamente pregarla con le parole di sant'Ambrogio: « Aprici, o Vergine, le porte del cielo, poiché ne hai le chiavi », anzi, ne sei la porta, conie ti dice la Chiesa: « lanua caeli, porta del cielo ». La santa Madre è anche chiamata dalla Chiesa stella del mare: « Ave, maris stella ». Infatti, dice san Tommaso, « come i naviganti sono guidati al porto per mezzo della stella, così i cristiani sono guidati al paradiso per mezzo di Maria». Allo stesso modo, san Pier Damiani la chiama « scala del cielo » poiché « per mezzo di Maria Dio è sceso dal cielo in terra, affinché grazie a lei gli uomini meritassero di salire dalla terra al cielo». Sant'Anastasio esclama: « Ave, sei stata ripiena di grazia perché tu fossi la via della nostra salvezza e il cammino per ascendere alla patria celeste ». Perciò san Bernardo chiama la Vergine « veicolo per salire al cielo» e san Giovanni Geometra la saluta: « Salve, nobilissimo cocchio » sul quale i suoi devoti sono condotti in cielo. San Bonaventura dice: « Beati quelli che ti conoscono, o Madre di Dio! Il conoscerti è la strada della vita immortale e il pubblicare le tue virtù è la via della salvezza eterna». Nelle Cronache francescane si narra che fra Leone vide un giorno una scala rossa sopra cui stava Gesù Cristo e una scala bianca sopra cui stava la sua santa Madre. Osservò che alcuni cominciavano a salire la scala rossa ma, dopo pochi gradini, cadevano; ricominciavano a salire e cadevano di nuovo. Esortati ad andare per la scala bianca, li vide salire felicemente, mentre la beata Vergine porgeva loro la mano e così giungevano senza difficoltà in paradiso. San Dionisio Cartusiano domanda: « Chi mai si salva? Chi giunge a regnare in cielo? » e risponde: « Quelli per i quali la regina della misericordia offre le sue preghiere ». Lo afferma Maria stessa: « Per me regnano i re» (Pro 8,15). Per mezzo della mia intercessione le anime regnano prima nella vita mortale su questa terra, dominando le loro passioni; poi vengono a regnare eternamente in cielo dove, dice sant'Agostino: « Quanti sono cittadini, tutti sono re». Maria insomma, è la padrona del paradiso. Applicando a lei le parole dell'Ecclesiastico: « In Gerusalemme è la sede della mia potenza » (Eccli [= Sir] 24,15 Volg.), Riccardo di san Lorenzo le fa dire: « Comando in cielo ciò che voglio e vi introduco quelli che voglio». Poiché ella è la Madre del Signore del paradiso, con ragione, dice Ruperto, è anche la Signora del paradiso. Questa divina Madre, con le sue potenti preghiere e con il suo aiuto, ci ha ottenuto il paradiso, se non vi mettiamo ostacolo, scrive sant'Antonino. Perciò, afferma l'abate Guerrico, « colui che serve Maria e per cui intercede Maria è così sicuro del paradiso come se stesse gia in paradiso ». «Servire Maria e far parte della sua corte, aggiunge san Giovanni Damasceno, è l'onore più grande che possiamo avere, poiché servire la regina del cielo è già regnare in cielo e vivere sotto i suoi comandi è più che regnare. Al contrario, quelli che non servono Maria non si salveranno, poiché coloro che sono privi dell'aiuto di una tale Madre sono abbandonati dal soccorso del Figlio e di tutta la corte celeste». Sempre sia lodata la bontà infinita del nostro Dio che ha costituito in cielo per nostra avvocata Maria, affinché ella, come madre del giudice e madre di misericordia, con la sua intercessione possa trattare efficacemente la causa della nostra salvezza eterna. È questo il pensiero che esprime san Bernardo. E il monaco Giacomo, celebre dottore tra i padri greci, così si rivolge a Dio: « Tu hai stabilito Maria come un ponte di salvezza, per cui facendoci passare sopra le onde di questo mondo, possiamo giungere al tuo porto tranquillo». «Udite, o genti che desiderate il regno di Dio, esclama san Bonaventura, servite e onorate la Vergine Maria e troverete sicuramente la vita eterna». Non debbono disperare di ottenere il regno celeste nemmeno quelli che hanno meritato l'inferno, se si mettono a servire fedelmente la nostra regina. Dice san Germano: « Quanti peccatori hanno cercato di trovare Dio per mezzo tuo, o Maria, e si sono salvati!» Riccardo di san Lorenzo fa notare che, secondo san Giovanni, Maria ha « una corona di dodici stelle sul capo » (Ap 12,1), mentre nel Cantico dei cantici è scritto che la Vergine è coronata di fiere, di leoni, di leopardi: « Vieni dal Libano, mia sposa, vieni dal Libano, vieni; sarai coronata... dalle tane dei leoni, dai monti dei leopardi » (Ct 4,8 Volg.). Che significa ciò? si domanda Riccardo e risponde: « Queste fiere sono i peccatori che per grazia e intercessione di Maria divengono stelle del paradiso, che si addicono come corona alla testa di questa regina di misericordia più di tutte le stelle del cielo». Leggiamo nella Vita di suor Serafina da Capri che un giorno questa serva del Signore, durante la novena dell'Assunzione, mentre pregava la santa Vergine, le chiese la conversione di mille peccatori. Temeva che la sua domanda fosse troppo audace, ma le apparve Maria che dissipò questo suo vano timore dicendole: « Perché temi? Non sono forse abbastanza potente per ottenerti dal Figlio mio la salvezza di mille peccatori? Eccoli, l'ho già ottenuta ». Poi la condusse in spirito in paradiso, dove le mostrò innumerevoli anime di peccatori che avevano meritato l'inferno, ma che per la sua intercessione si erano salvati e già godevano la beatitudine eterna. E’ vero che in questa vita nessuno può essere sicuro della sua salvezza eterna: « Non sa l'uomo se è degno d'amore o di odio, ma tutto è riservato nella sua incertezza al futuro » (Eccle [= Qo] 9,1-2 Volg.). Davide domanda a Dio: « Chi abiterà nella tua tenda? » (Sal 14,1). San Bonaventura risponde: « Peccatori, seguiamo le orme di Maria, buttiamoci ai suoi santi piedi e non la lasciamo finché non avremo meritato di essere benedetti da lei», poiché la sua benedizione ci assicurerà il paradiso. « Signora, le dice sant'Anselmo, basta che tu voglia salvarci e non potremo non essere salvi». Sant'Antonino aggiunge che le anime sulle quali Maria rivolge i suoi occhi necessariamente si salvano e saranno glorificate. La santa Vergine predisse che tutte le generazioni l'avrebbero chiamata beata (Lc 1,48). Con ragione, dice sant'Ildefonso, perché tutti gli eletti ottengono la beatitudine eterna per mezzo di Maria. «Tu, Vergine Madre di Dio, sei il principio, il mezzo e la fine della nostra felicità», esclama san Metodio. Principio, perché Maria ci ottiene il perdono dei peccati; mezzo, perché ci ottiene la perseveranza nella grazia divina; fine, perché alla fine ci ottiene il paradiso. « Grazie a te, prosegue san Bernardo, è stato aperto il cielo; grazie a te si è vuotato l'inferno; grazie a te è stata instaurata la Gerusalemme celeste; grazie a te è stata donata la vita eterna a tanti miserabili che si meritavano la morte eterna » Ma soprattutto deve incoraggiarci a sperare con certezza il paradiso la promessa che fa Maria stessa a quelli che la onorano, specialmente a chi con le parole e con l'esempio si sforza di farla conoscere e onorare anche dagli altri: « Quelli che operano con me non peccheranno. Quelli che mi fanno conoscere avranno la vita eterna » (Eccli [= Sir] 24,30-31 Volg.). Dice san Bonaventura: « Quelli che ottengono il favore di Maria saranno riconosciuti dai cittadini del paradiso come loro compagni; chi porterà l'insegna di servo di Maria sarà iscritto nel libro della vita » A che serve dunque preoccuparsi delle questioni dibattute nelle scuole chiedendosi se la predestinazione alla gloria preceda o segua la previsione dei meriti e se siamo iscritti o no nel libro della vita? Vi saremo iscritti sicuramente se saremo veri servi di Maria e otterremo la sua protezione poiché, come dice san Giovanni Damasceno, Dio non concede la devozione verso la sua santa Madre se non a coloro che vuole salvi. E quel che il Signore fece espressamente intendere attraverso le parole di san Giovanni: «Il vittorioso... scriverò su di lui il nome del mio Dio e il nome della città del mio Dio» (Ap 3,12). Chi vincerà e si salverà porterà scritto nel cuore il nome della città di Dio. E qual è questa città di Dio se non Maria, come spiega san Gregorio commentando il passo di Davide: « Cose stupende si dicono di te, città di Dio » (Sal 86,3). Possiamo dunque dire con san Paolo: « Avendo questo sigillo, Dio conosce quelli che sotio suoi » (2Tm 2,19); chi porta il segno della devozione di Maria, è riconosciuto da Dio come suo. Perciò san Bernardo ha scritto che la devozione alla Madre di Dio « è segno certissimo della salvezza eterna » Il beato Alano, parlando dell'Ave Maria, dice che chi onora spesso la Vergine con la Salutazione Angelica ha un segno molto grande di predestinazione. Altrettanto afferma a proposito dell'abitudine di recitare con perseveranza il santo rosario ogni giorno. Inoltre, scrive il padre Eusebio Nieremberg, i servi della Madre di Dio non solo sono privilegiati e favoriti su questa terra, ma anche in cielo saranno più particolarmente onorati. E aggiunge che essi avranno in cielo una divisa e una livrea speciale, più ricca, che li faranno riconoscere come familiari della regina del cielo e persone della sua corte, secondo quel che è scritto nei Proverbi: « Tutti i suoi domestici hanno doppia veste » (Pro 31,21). Santa Maria Maddalena de' Pazzi vide in mezzo al mare una navicella in cui stavano rifugiati tutti i devoti di Maria che, facendo l'officio di nocchiera, li conduceva felicemente al porto. La santa capì da questa visione che quel che vivono sotto la protezione di Maria, in mezzo a tutii pericoli di questa vita, sono salvati dal naufragio del e della dannazione, perché sono sicuramente guidati da lei al porto del paradiso. Sforziamoci dunque di entrare in questa navicella beata del manto di Maria e rimaniamoci sicuri del regno celeste, poiché la Chiesa canta: « Santa Madre di Dio, tu sei la nostra dimora, come lo sei di tutti i beati », tutti coloro che saranno partecipi del gaudio eterno abitano in te, vivendo sotto la tua protezione.
Esempio
Cesario racconta che un monaco cistercense molto devoto alla Madonna desiderava una visita della sua amata Regina e la pregava continuamente di questo favore. Una notte, uscito in giardino, mentre se ne stava guardando il cielo e sospirava per il desiderio d'incontrare la sua sovrana, vede scendere dal cielo una vergine bella e splendente che gli domanda: « Tommaso, vorresti sentire il mio canto? ». « Certo », rispose. Allora la vergine cantò con tanta dolcezza, che al devoto religioso sembrava di essere in paradiso. Finito il canto, la visione sparì, lasciando in lui un gran desiderio di sapere chi era. Ma ecco apparire un'altra vergine bellissima che gli fece udire il suo canto. Questa volta il monaco non poté trattenersi e le domandò chi fosse. La vergine rispose: « Quella che hai visto poc'anzi era Caterina; io sono Agnese, tutte e due martiri di Gesù Cristo, mandate dalla nostra Signora a consolarti. Ringrazia Maria e preparati a ricevere una grazia maggiore ». Ciò detto scomparve, ma il religioso restò con la grande speranza di vedere finalmente la sua regina. Non s'ingannava, poiché dopo un po' vede una grande luce, sente riempirsi il cuore di una nuova allegrezza, ed ecco in mezzo a quella luce gli si fa vedere la Madre di Dio circondata da angeli, e infinitamente più bella delle altre due sante apparse. « Mio caro servo e figlio, - gli dice - io ho gradito la tua fedeltà nel servirmi e ho esaudito le tue preghiere. Hai desiderato vedermi; eccomi e voglio anche farti sentire il mio canto ». La santa Vergine cominciò a cantare con tanta dolcezza, che il devoto religioso perse i sensi e cadde con la faccia contro terra. Suonò il mattutino; i monaci si riunirono e, non vedendo Tommaso, andarono a cercarlo nella cella e in altri luoghi. Finalmente lo trovarono in giardino come morto. Il superiore gli ordinò di dire quel che gli era accaduto e allora egli, rientrando in sé in virtù dell'ubbidienza, raccontò tutti i favori della divina Madre.
Preghiera
O regina del paradiso, madre del santo amore, poiché fra tutte le creature sei la più amabile, la più amata da Dio e quella che più lo ama, lascia che ti ami pure il più ingrato e misero peccatore della terra il quale, vedendosi liberato dall'inferno per mezzo tuo e senza alcun merito così beneficato da te, si è acceso d'amore per la tua bontà e ha posto in te tutte le sue speranze. Io ti amo, mia Regina, e vorrei amarti più di quanto ti hanno amato i santi più devoti a te. Vorrei, se potessi, far conoscere a tutti gli uomini che non ti conoscono, quanto sei degna di essere amata, affinché tutti ti amassero e ti onorassero. Vorrei perfino morire per amor tuo difendendo la tua verginità, la tua dignità di Madre di Dio, la tua Immacolata Concezione, se per difendere questi tuoi privilegi dovessi morire. Madre mia dilettissima, gradisci il mio affetto e non permettere che un tuo servo che ti ama divenga mai nemico del tuo Dio che tu ami tanto. Misero me! Tale sono stato un tempo, quando offendevo il mio Signore. Ma allora, o Maria, non ti amavo e poco cercavo di essere amato da te. Ora però non desidero altro, dopo la grazia di Dio, che di amarti e di essere amato da te. Non mi fanno dubitare di ottenere tali grazie le mie colpe passate, poiché so che tu, benigna e grata Regina, non disdegni di amare nemmeno i più miserabili peccatori che ti amano; anzi, non ti lasci superare in amore da nessuno. Mia amabile sovrana, io voglio venire ad amarti in paradiso. Quando vi sarò giunto, inginocchiato ai tuoi piedi, capirò meglio quanto sei amabile e quanto hai fatto per salvarmi; perciò ti amerò con amore ancora più grande, ti amerò eternamente, senza timore di cessare mai di amarti. Maria, ho la ferma speranza di salvarmi per mezzo tuo. Prega Gesù per me. Questo basta; sei tu che mi devi salvare, sei tu la mia speranza. Andrò dunque sempre cantando: Maria, speranza mia, tu mi devi salvare.
35-32 Febbraio 7, 1938 Come Dio non ama lo sforzo ma la spontaneità. Sfogo che il Voler Divino farà in chi viva in Esso. La Creazione non è finita.
Luisa Piccarreta (Libro di Cielo)
(1) Sono sotto l’impero del Voler Divino, la sua virtù creatrice ha tale forza, che fa sentire il suo dolce impero sulla povera creatura, che dolcemente, non forzata, s’accorda col Fiat e le dà ampia libertà di fare quello che vuole di essa, anzi gli dice: “Come mi sento onorata che dell’essere mio vuoi farne un portento; ma tanto, che vuoi usare la tua forza creatrice e operatrice nella povera anima mia”. Ma mentre la mia mente era immersa nel ricevere la virtù creante del Fiat Divino, il mio sempre amabile Gesù, sorprendendomi con la sua breve visitina, con amore indicibile mi ha detto:
(2) “Figlia del mio Volere, come è bello il mio Fiat nell’operare con la sua virtù creatrice, tu hai visto che non usa la violenza, ma la dolcezza, ma dolcezza irresistibile più forse della stessa violenza. Con la sua dolcezza imbalsama la creatura, le fa sentire il bello del Divino, in modo che lei stessa dice: “Fa presto Voler Santo, non più indugiare; mi sento languire se non ti veggo in me che operi con la tua virtù creatrice”. Figlia mia, le cose, una volontà sforzata, non ci ha piaciuto mai, anzi neppure le vogliamo, danno molto di umano e non si accordano né col nostro amore, né con le nostre opere, dove tutto è spontaneità e Volontà piena, che lo vogliamo, sospiriamo di fare il bene e lo facciamo, e perciò lo facciamo con tale pienezza d’amore e di grazia, che nessuno ci può raggiungere. Tanto che se non vediamo la spontaneità, la volontà che vuol ricevere il bene che vogliamo fare in essa, non facciamo nulla; al più aspettiamo, facciamo sentire i nostri sospiri, le nostre ansie, ma non ci moviamo ad operare se prima non vediamo che con amore vuol ricevere l’operato del suo Creatore.
(3) Ora, tu devi sapere che ad ogni atto che la creatura fa nel nostro Volere, così va crescendo la sua Vita in essa, e quando giunge alla pienezza che tutto è Volontà mia in lei, allora incominciamo lo sfoggio del nostro amore, delle nostre grazie, in modo che in ogni istante le diamo nuovo amore e nuove grazie sorprendenti; mettiamo fuori le nostre pompe divine, lo sfarzo, il lusso dei nostri stratagemmi d’amore; tutto ciò che le facciamo porta l’impronta dell’abbondanza del suo Creatore. Quando l’anima è piena della nostra Volontà Divina non badiamo più a nulla, ciò che teniamo diamo, e ciò che vuole è suo. E’ tanto il lusso che facciamo, che in ogni suo atto facciamo scorrere una nota delle nostre musiche divine, affinché neppure la nostra musica ci manchi in essa, ed essa spesso ci fa le belle sonatine delle nostre note divine, ed oh! come ci sentiamo felicitare, armonizzare le nostre armonie, i nostri suoni divini. Tu devi sapere, per chi vive nella nostra Volontà, superiamo il lusso, la pompa, lo sfarzo, la sontuosità che avemmo nella Creazione; tutto fu abbondanza, abbondanza di luce che nessuno la può misurare, estensione di cielo, lusso di bellezze, ornato con tante stelle. Ogni cosa creata veniva creata con tale abbondanza, investita con tale sfarzo di lusso, che nessuna può avere bisogno dell’altra; anzi tutti possono dare, senza bisogno di ricevere. La sola volontà umana mette i limiti, le strettezze alla creatura, la getta nelle miserie, ed impedisce ai miei beni di darsi a loro. Perciò con ansia aspetto che la mia Volontà sia conosciuta, e che vivano in Essa, e allora farò tale sfoggio di lusso, ogni anima sarà una nuova creazione, bella, ma distinta l’una dall’altra. Mi divertirò, la farò da artefice insuperabile, metterò fuori la mia arte creatrice. Oh! come l’aspetto, lo voglio, lo sospiro. Perciò la Creazione non è finita, tengo da fare le opere più belle. Perciò figlia mia fammi lavorare, e sai quando lavoro? Quando ti manifesto una verità sulla mia Divina Volontà, subito la faccio da artefice, e con le mie mani creatrici lavoro in te, per fare che quella verità si formi vita nell’anima tua; ed oh! come godo nel lavoro, l’anima si fa come molle cera nelle mie mani, e vi formo la vita che voglio. Quindi sii attenta e lasciami fare”.